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La processione dei Misteri a Montelepre:
radici storiche e significato attuale
Intervento nel terzo convegno di studio sulla locale processione
dei Misteri organizzato dalla parrocchia Santa Rosalia, dal Comune
e dalla Proloco di Montelepre domenica 6 aprile 2003
1. Perché questo momento di studio? Tre ipotesi
Ci si potrebbe porre una domanda: perché è stato ritenuto opportuno far precedere il momento
celebrativo della processione dei Misteri a Montelepre, che avrà luogo nella imminente Settimana
santa, da un momento di studio e di riflessione, quale indubbiamente costituisce il convegno cui
stiamo partecipando?
Si possono fare tre ipotesi.
La prima è che ci sia bisogno di ricordare a tutti il significato della manifestazione, perché lo
si è smarrito e, quindi, ormai non lo si vive più: si partecipa alla processione ma non se ne
percepisce il senso. È questo il nostro caso? È certo, comunque, che se un fenomeno è vivo e
partecipato non ha bisogno di essere studiato, non occorre che se ne indichino radici storiche e
significato attuale; la sua storia è conosciuta da coloro che lo vivono e il suo significato è a tutti
chiaro. Non so se si possa dire che il motivo per il quale a Montelepre è stata sentita l’esigenza di
un momento di riflessione sulla processione dei Misteri sia che se ne è smarrita la comprensione
credente. Mi pare però che non si possa dire questo. Mi si informa, anzi, che ultimamente c’è stata
una ripresa dell’antica manifestazione nella linea di un’interiorità più vissuta e più partecipata dagli
“attori” e dai fedeli tutti. Questo indicherebbe che la processione costituisce tutt’oggi non
semplicemente il residuo di un’antica tradizione o un elemento del folklore locale o una bella
rappresentazione di tipo teatrale del dramma sacro della redenzione e dell’intera storia della
salvezza, ma piuttosto un’esperienza credente, una manifestazione corale della fede cristiana del
popolo di Montelepre. E, se le cose stanno così, allora non si può dire che il convegno è stato
pensato per ricordare a tutti quel significato di fede della manifestazione che si sarebbe perso.
La seconda ipotesi è che, comunque, conviene studiare il passato di una manifestazione che,
pur viva ancora oggi, affonda nel tempo le sue origini. La si studia non perché se ne sia smarrito il
significato ma per comprenderla in una prospettiva storica. E di fatto, come è stato già ricordato in
questo nostro convegno, la processione dei Misteri di Montelepre può farsi risalire ad un modello di
processione che si praticava nel Settecento nella vicina Carini ogni tre maggio, allora festa liturgica
dell’invenzione (cioè ritrovamento) della croce, una cui descrizione abbiamo nell’opera di uno
studioso locale del tempo, Luigi Sarmiento, Vita, passione e morte di Cristo Signor Nostro, che
possediamo in due edizioni, l’una del 1741 e l’altra del 1752. Un grande storico, Michel De
Certeau, sostiene, in un solo volume degli anni Settanta del secolo appena tramontato, il Novecento,
che il compito dello storico è di seppellire il passato. Lo storico ricostruisce le vicende del passato e
in tal modo le seppellisce, cioè le stabilisce nella loro lontananza dal presente che, in tal modo, può
cogliersi come tale: il presente è tale proprio in rapporto ad un suo passato, ormai tale, cioè
definitivamente tramontato. Questo compito dello storico è importante ed indispensabile per ogni
società. Lo storico aiuta i suoi contemporanei a comprendersi come uomini del presente, cioè come
persone che possiedono un passato. I vivi possono vivere se il morto non resta in casa e non
l’appesta ma viene portato al cimitero e sepolto con tutti gli onori. Bisogna seppellire il proprio
passato se si vuole vivere il presente. Per vivere il presente della manifestazione della processione
dei Misteri di Montepelepre abbiamo bisogno di conoscerne le origini storiche, di sapere il contesto
culturale ed ecclesiale in cui maturò il suo avvio e, anche, le vicende attraverso cui,
successivamente, è venuta trasmettendosi e, quindi, inevitabilmente, trasformandosi. Il nostro
convegno è – per usare l’immagine di De Certeau – un bel funerale del nostro passato, cioè un
riconoscerci, nel nostro presente, come dipendenti e, nello stesso tempo, ormai distanti da un
passato che è ormai inevitabilmente tramontato. Un passato, dunque, senza il quale noi non
saremmo. E per questo dobbiamo ricordarlo e studiarlo.
La terza ipotesi è che, attraverso il convegno, si voglia accompagnare la devozione con lo
studio. C’è una via della devozione che è data dall’esperienza credente dei protagonisti della
processione dei Misteri: gli organizzatori, gli “attori” o figuranti dei singoli quadri della storia della
salvezza, i fedeli e partecipanti tutti. Ma c’è anche una via dello studio, della ricerca e della
riflessione su quella stessa esperienza di devozione: ed è una via su cui sono invitati a incamminarsi
credenti e non credenti, devoti e non devoti, purché interessati a un fenomeno ancora oggi vivo e
vitale della tradizione cristiana monteleprina. Le due vie non sono in contrapposizione, possono
benissimo essere percorse insieme. Direi di più: oggi devono essere percorse insieme. Perché?
Perché noi oggi viviamo in un tempo che è piuttosto distante e diverso da quel Settecento in cui la
processione fu “pensata” ed avviata. La differenza più evidente è che allora si viveva in un regime
di cristianità ed oggi invece in un regime di Stato laico e, comunque, in una società che si
autorappresenta come laica e pluralista. Dal 1860 è stato introdotto anche in Sicilia il modello dello
Stato laico. Inizialmente riguardava il rapporto tra Chiesa e Stato: ci sono due sfere – quella della
comunità ecclesiale e quella dello Stato – non solo distinte ma anche separate e, perfino, in qualche
misura ostili. Ma, poi, compostosi con il concordato tra Stato e Chiesa del 1929 il dissidio nato nel
Risorgimento, e progredendo sempre più quel processo di secolarizzazione che ha coinvolto tutta
l’area culturale occidentale, è venuta crescendo anche una separazione tra la comunità cristiana e la
società nel suo complesso che è venuta perdendo la sua antica connotazione cristiana. Non c’è più
coincidenza o anche semplice coestensione – né di principio né di fatto – tra comunità ecclesiale e
società. Anche nel caso di piccole comunità locali, come Montelepre con le sue due parrocchie,
dove può anche darsi che tutti gli abitanti si riconoscano nell’appartenenza ecclesiale, è a tutti
evidente non solo che una cosa sono le parrocchie e un’altra il Comune e le istituzioni civili ma
anche che una cosa è la comunità ecclesiale e un’altra la società tutta. Possiamo dire anche che
questa nostra società – nella sua dimensione locale – è cristiana, ma solo nel senso che ha una sua
storia cristiana, vive un’eredità civile che deriva dal lungo influsso del cristianesimo. È chiaro che
in una tale condizione sociale e culturale, tipica del nostro tempo, l’esperienza della devozione,
quale si esprime ad esempio nella processione dei Misteri, pur coinvolgendo la popolazione locale
pressoché nella sua interezza, dev’essere, per così dire, spiegata e motivata davanti a tutti; e
spiegata con argomenti in qualche modo “laici”, cioè non miranti direttamente a suscitare o
sostenere la fede ma semplicemente in grado di dire radici e significato attuale di quell’esperienza
credente. Appunto: alla via della devozione si accompagna quella dello studio e della ricerca che,
per principio, oltre che di fatto, può e deve interessare credenti e non credenti.
Credo che l’ipotesi circa la ragione più vera della celebrazione del nostro convegno di studio
sia proprio questa terza appena esaminata, pur senza scartare del tutto la seconda. Noi sentiamo che
dobbiamo accompagnare la processione dei Misteri con un momento di studio in cui appaia a tutti
evidente che questa nostra manifestazione credente ha una sua base storica, si fonda su una puntuale
documentazione storica, e inoltre è coerente con l’insieme simbolico della tradizione cristiana e
attinge ai contenuti centrali della fede cattolica. E mi sembra che, con i vari interventi previsti in
questo convegno, stiamo facendo proprio questo.
2. Tre brevi considerazioni
Ciascuno dei relatori porterà in questo convegno la sua riflessione e il frutto della sua ricerca.
Per parte mia mi limiterò a una riflessione di ordine piuttosto generale che prende spunto
dall’Introduzione dell’opera già ricordata del Sarmiento, in cui l’autore, rivolgendosi alla Vergine
Madre, così si esprime: «Non vi turbate tanto, o inclita Regina dell’universo, se vi vedete
presentare, altra volta, da questa inesperta ed indotta mano di vilissimo peccatore […] la
penosissima Vita, Passione e Morte del Figliol vostro diletto, non già per rammentarvi i tormentosi
affanni, che in quel tempo provaste, ma per maggiormente scolpire nei cuori dei cattolici la dovuta
stima del preziosissimo Sangue che nella terra e pietre di Gerosolima Egli sparse per la comune
salute, e per mostrare la singolare divozione di questo vostro divoto popolo di Carini […]». È un
testo molto significativo, perché dice esemplarmente del sentimento di devozione cristiana proprio
del suo tempo, e, perciò, ci permette di cogliere l’humus culturale e spirituale in cui maturò e prese
avvia la manifestazione della processione dei Misteri che, tramontata a Carini, continua tuttora a
Montelepre.
Mi si permettano tre brevi osservazioni: la prima sull’importanza, nell’esperienza credente
cristiana, del ricordo dell’“evento” della passione e morte del Figlio di Dio fattosi uomo, quale
traspare dal testo appena letto; la seconda sul tipo di devozione cristiana che il testo esprime; e la
terza sui diversi interessi che emergono nell’attuale diffuso volgersi alle manifestazioni dell’antica
tradizione religiosa popolare.
La prima osservazione. Scrive il Sarmiento: noi diamo vita a questa manifestazione «non già
per rammentarvi [o Madre del Signore] i tormentosi affanni che in quel tempo provaste, ma per
maggiormente scolpire nei cuori dei cattolici la dovuta stima del preziosissimo Sangue che nella
terra e pietre di Gerosolima Egli [Gesù] sparse…». È un preciso riferimento ad un tempo storico, ad
un tempo già trascorso, ad un avvenimento accaduto: è l’evento della passione e morte di Gesù di
Nazaret, accaduto circa millesettecentocinquanta anni prima che venisse promossa la processione
dei Misteri a Carini, e a cui la madre di Gesù aveva partecipato con tutto l’affanno e il dolore che
può provare una madre cui il figlio è messo a morte. È un riferimento importante, perché ci dice che
il cristianesimo vive dell’annuncio di un fatto storico: il Figlio eterno di Dio si è fatto uomo nella
carne di Gesù di Nazaret, il quale è morto sulla croce ed è risorto. Ed è precisamente questo evento
della passione e morte del Signore Gesù che viene ricordato nella celebrazione dei Misteri di
Montelepre, attraverso una rappresentazione che include la passione e morte del Signore Gesù nel
quadro degli avvenimenti che l’hanno preceduta e preannunciata fin dalla creazione del mondo e dal
peccato di Adamo ed Eva: le vicende dei patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe, la storia di Mosé e
le promesse dei profeti. Tutta la storia della salvezza, quale raccontata dalla Santa Scrittura, viene
rievocata nella processione dei Misteri di Montelepre. È ricordato un evento – la passione e morte
di Gesù – inserito in una storia, in una successione di eventi.
Ma, in realtà, la passione e morte del Signore è l’evento centrale e definitivo dell’intera storia
della salvezza. Verso di esso tende tutta la storia. In esso culmina la rivelazione di Dio. Dio vi si
rivela in maniera definitiva ed insuperabile. Non ci potrà essere uno sviluppo ulteriore nella
comunicazione che Dio fa di sé agli uomini. Nell’incarnazione, morte e risurrezione del suo Figlio
eterno, Dio assume il tempo e lo spazio. Quel tempo e quello spazio concretamente assunti
nell’umanità di Gesù di Nazaret segnano l’inserimento di Dio nella storia degli uomini o, con più
precisione, l’inserimento della creazione e della storia, dello spazio e del tempo in Dio.
È vero che, già da prima dell’incarnazione del Figlio di Dio, tutta la creazione e tutta la storia
degli uomini parlano di Dio, hanno un carattere sacramentale, sono segno dell’azione creatrice e
della presenza provvidente di Dio. Ma ora lo spazio e il tempo assunti nell’umanità del Figlio di Dio
sono inseriti in Dio stesso. E diventano strumento della sua comunicazione personale agli uomini.
Forse ci può aiutare in proposito la distinzione che ama fare il prof. padre Basilio Randazzo,
presente in questo convegno, che fu mio preside nella Facoltà teologica di Sicilia a Palermo, dove
per tanti anni ha insegnato sociologia e antropologia, e che ora terrà una sua relazione, cioè la
distinzione tra sacro e santo. Nell’evento dell’incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio lo
spazio e il tempo da lui assunti non attingono semplicemente il sacro, cioè non dicono solamente la
relazione della creazione e della storia con la provvidenza divina, ma sono manifestazione della
santità di Dio, dicono la sua volontà di una relazione personale con gli uomini. Per usare il
linguaggio di padre Basilio, Dio che si rivela nella storia della salvezza, culminante nella morte e
risurrezione di Gesù, non è il sacro ma il Santo.
Ed è, dunque, questo evento di suprema manifestazione salvifica di Dio – la morte e
risurrezione di Gesù di Nazaret, il Figlio eterno fattosi uomo – che viene perennemente ricordato
dai cristiani lungo i secoli. Ed è un ricordo che fa partecipare della salvezza che quell’evento ha
prodotto per l’intera umanità. È un evento centrale e conclusivo della storia umana: in esso l’intera
vicenda umana e tutta la creazione è portata in Dio. Il significato della storia umana è segnato per
sempre. La Chiesa vive di questo ricordo. Come cantiamo dopo la consacrazione in ogni
celebrazione eucaristica: annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione
nell’attesa della tua venuta. E questo stesso fatto della morte e risurrezione del Signore ha
annunciato la processione dei Misteri promossa dalla devozione dei carinesi nel Settecento e
continua ad annunciare la stessa processione ancora oggi organizzata e partecipata dai monteleprini.
Mi si permetta una piccola notazione sull’importanza del termine “mistero” che il Sarmiento
adopera nella sua opera e che oggi è ancora ripresa nell’uso comune che indica questa suggestiva
processione monteleprina che ricorda l’intera storia della salvezza. Abbiamo detto dell’evento di
Gesù di Nazaret in cui Dio assume un preciso tempo e un preciso spazio. Questo evento è di
salvezza per tutti gli uomini, perché propriamente significa l’entrata, per così dire, in Dio della
creazione e della storia. Nel ricordo credente noi ci facciamo presenti a quell’evento, che resta
eternamente presente per noi, entriamo in esso, viviamo in esso l’incontro di salvezza col Signore.
Dicendo “mistero”, un termine che deriva dalla stessa Scrittura, intendiamo dire tutto questo;
vogliamo appunto sottolineare la dimensione salvifica del fatto della morte e risurrezione del Cristo,
proclamiamo che in esso culmina l’intero piano di Dio per la salvezza degli uomini, cioè per la sua
autocomunicazione agli uomini, e che perciò questo fatto sussiste eternamente, in esso si concentra
l’intera storia umana e in esso ogni generazione umana è chiamata a entrare per attingervi la
salvezza, cioè incontrare Dio. La processione dei Misteri che rievoca in quadri viventi tutta la storia
della salvezza, è un annuncio aperto e solenne della fede in Cristo Salvatore e, come ho già
sottolineato, una singolare modalità, inventata dalla devozione delle generazioni cristiane che ci
hanno preceduti, di entrare, attraverso il ricordo credente, in un rapporto di comunione effettiva con
il Signore morto e risorto.
La seconda osservazione che vorrei proporvi riguarda il peculiare tipo di devozione che il
testo di Sarmiento e la processione che da esso prende inizio testimoniano. Non c’è dubbio,
innanzitutto, che si tratta di devozione. Sarmiento lo dice e lo ripete in mille modi. Lo scopo della
processione dei Misteri è mostrare la devozione dei carinesi. E devozione significa affidamento a
Dio, volontà di una relazione personale col Signore e con i santi, desiderio di una partecipazione fin
d’ora al mondo di Dio, di una comunione d’amore con lui. Ma ogni generazione cristiana ha una
sua tipicità di devozione cristiana, vive una sua specificità nel rapporto con Dio. Ed è una tale
specificità che fonda la possibilità di tracciare una storia della devozione cristiana. Due
caratteristiche vorrei indicare della devozione quale traspare dal testo del Sarmiento. Innanzitutto si
tratta di una devozione che intende introdurre il credente in una comprensione sempre più piena e
più vitale dei “misteri” di Dio, della sua rivelazione nella storia della salvezza e della sua presenza
nei sacramenti celebrati nella Chiesa. È il tratto della devozione soprattutto settecentesca che padre
Basilio Randazzo, nei sui studi, ama definire “mistagogico”, cioè di iniziazione alla fede creduta,
celebrata e vissuta nella comunità ecclesiale. La devozione del Settecento, quale testimoniata
esemplarmente nel bel testo del Sarmiento, è catechesi sapiente che vuole iniziare il fedele ad
un’esperienza ecclesiale piena. In secondo luogo la devozione che è attestata nell’opera del
Sarmiento, è chiaramente incentrata nella contemplazione della passione e morte del Signore. Il
devoto si commuove per le sofferenze del Signore durante la sua passione, considera che quelle
sofferenze sono state causate dal peccato degli uomini ed anche dal suo peccato personale e si
ripropone di allontanarsi dal peccato e vivere fedelmente nell’amore di Dio. La contemplazione dei
dolori del Signore Gesù e di sua Madre Maria durante la passione diventa un appello alla
conversione del cuore. Non ho il tempo per sviluppare questi due aspetti della devozione cristiana
settecentesca, soprattutto nella Sicilia occidentale: il tratto mistagogico e l’importanza attribuita alla
considerazione delle sofferenze del Signore durante la sua passione. Basti in questa sede averli
accennati. E del resto penso che gli altri relatori, in particolare il prof. Randazzo, vorranno ritornarci
e comunque avranno modo di riprenderli.
La terza considerazione riguarda l’attuale nostra comprensione di manifestazioni di devozione
popolare quali la processione dei Misteri a Montelepre, cioè il significato che di fatto attribuiamo ad
esse. Mi pare di scorgere due prevalenti significati, diversi ma non incomponibili.
Il primo è legato alla ricerca, attualmente molto viva anche nelle nostre comunità locali, della
cosiddetta loro identità. È una ricerca che nasce dalla coscienza di una crisi della stessa identità,
cioè dalla consapevolezza che si sta smarrendo o addirittura si è già perso quel tipico sentimento
che fa i membri di una collettività partecipi di una stessa storia e di un medesimo destino. Per
quanto riguarda le nostre comunità paesane e cittadine, indubbiamente costituisce parte importante
di un tale sentimento di identità collettiva la tradizione religiosa derivata dal cristianesimo. Le
nostre comunità sarebbe impensabili nella loro attuale identità senza l’apporto della tradizione
cristiana. Per questo si assiste spesso al recupero, in maniera più o meno consistente, più o meno
consapevole, di aspetti e manifestazioni della tradizione cristiana locale che, in taluni casi, erano
perfino caduti nell’oblio. Si cerca, in tal modo, di rivitalizzare il sentimento dell’identità locale.
Protagonista di questo recupero sono spesso anche l’amministrazione comunale e le associazioni di
promozione della cultura locale e del turismo. Non c’è da meravigliarsi dell’attivismo che in questo
campo mostrano autorità civili ed associazioni culturali laiche. La tradizione cristiana è patrimonio
comune delle nostre comunità cittadine. E voler salvaguardare l’identità, anche sul piano civile, di
queste nostre comunità implica l’interesse attivo per le tradizioni e le devozioni popolari, anche
quelle specificamente cristiane. Anche nel caso di Montelepre e della sua processione dei Misteri
mi pare di scorgere questo interesse.
Ma c’è anche un altro interesse che è più proprio della comunità ecclesiale in quanto tale. Ed
è l’interesse a riscoprire la valenza precisamente mistagogica di queste tradizioni, secondo l’intento
originario che fu delle generazioni cristiane cui risalgono. Ed anche un tale interesse mi pare di
scorgere nel caso concreto della processione dei Misteri a Montelepre. È la comunità credente che
vuole riappropriarsi delle sue tradizioni, vuole ricomprenderle, riviverle e trasmetterle alle nuove
generazioni.
Sono incompatibili questi due interessi, l’uno funzionale alla riscoperta dell’identità cittadina
e l’altro volto alla rivitalizzazione di antiche forme di devozione e di catechesi mistagogica? Certo i
soggetti dei due interessi sono diversi: nel primo caso è l’ente locale e nel secondo è la parrocchia.
E non si può ignorare che, talvolta, sorgono dei conflitti, quando si tende a far perdere alle
tradizionali manifestazioni della devozione popolare la connotazione mistagogica per ridurle a
percorsi per il recupero storico-culturale dell’identità locale, talvolta da fruire consumisticamente
come mero spettacolo. Eppure un incontro è possibile e doveroso. Non foss’altro perché
frequentemente le persone che sentono e vivono i due interessi sono le stesse, contemporaneamente
impegnate nell’amministrazione comunale o nelle associazioni culturali locali e attivamente
partecipi della vita della comunità ecclesiale. Si tratta di coniugare con pazienza interessi e percorsi
diversi e trovare forme di proficua collaborazione tra ente locale e comunità ecclesiale. È questo
l’auspicio che sento di formulare per il caso di Montelepre.
(testo tratto dalla registrazione)
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