…come un organo comunitario il quale verrebbe organizzato come

1
Massimo Carlo Capirossi
Relazione in Conferenza internazionale Olaf-Commissione Europea-Ufficio Europeo per la lotta
antifrode/Centre for criminal Tax Law-Centro di diritto penale tributario, comunitario e delle
materie collegate-Italia-Torino
Torino-Italia 26 marzo 2004 “Corporate Governance”: bilancio consolidato, convenzione P.I.F. e
società europea: riforme nazionali e prospettive comunitarie di fronte al P.M.E. per la protezione
degli interessi finanziari dell’U.E.
IL PUBBLICO MINISTERO E LA PROTEZIONE DEGLI INTERESSI FINANZIARI
DELL’UNIONE EUROPEA. Diritto positivo e figure normative in tema di rapporti fra reato e
spazio territoriale nel quadro del progetto di Costituzione Europea.1
1.Per un accostamento non di tecnologia giuridica.
Proprio perché l’istituto2 che ci occupa oggi é stato disegnato come un organo comunitario
organizzato come titolare dell’esercizio di un’ azione comunitaria volta alla tutela davanti al
giudice nazionale di beni o interessi ricondotti all’ambito finanziario dell’unione europea, ritengo
Rinvio puramente e semplicemente alla ormai sterminata bibliografia sull’argomento, sia pur scarna sui temi
penalistici. Fra le prime introduzioni A. Cantaro, Europa sovrana. La costituzione dell’unione tra guerra e diritti,
Dedalo, Bari, 2003,pp. 171; J. Ziller, La nuova Costituzione europea, Il Mulino, Bologna, 2003, p.184; e, soprattutto,
con sguardo alla Corte di Giustizia, R. Calvano, La Corte di Giustizia e la Costituzione Europea, Cedam, Padova,
2004, pp. 318. Ancora, ma sempre da punti di vista istituzionali di dottrina politica, atti Convegno Istituto Affari
Costituzionali su La nuova costituzione dell’Europa e il futuro del parlamento europeo nell’Unione allargata, Torino,
23-24 aprile 2004.
2
Vi é ormai una sterminata messe di convegni e ricerche sul tema: P. Tonini, Il P.M. Europeo nel Corpus Juris sulla
repressione delle frodi comunitarie, in Riv. Dir.pubbl. comunitario, 1999, p. 1 e seg.; fondamentale C. Van den
Wyngaert, Studies on “Penal and administrative Sanctions, Settlement, Winstleblowing and Corpus Juris in the
candidate Countries – The protection of the financial Interests of the EU in the candidate States – Perspectives on the
future of judicial integration in Europe, Final report 11 september 2001”, Antwerp – Trier; F. Sgubbi, voce Diritto
penale comunitario, in Dig. Discipl. pen., UTET, Torino; A. Bernardi, Europeizzazione del diritto penale
commerciale, in Riv.trim.dir.pen.econom, CEDAM, Padova, n 1/1996, p. 1 e seg; K. Tiedemann, Diritto comunitario e
diritto penale, ibidem, 1993, p. 209 e seg.; S. Manacorda, L’efficacia espansiva del diritto comunitario sul diritto
penale, in Foro It. 1995, c. 55; S. Riondato, Profili di rapporti tra diritto comunitario e diritto penale dell’economia
(influenza, poteri del giudice penale, questione pregiudiziale ex art. 177 T.CE, questioni di costituzionalità), in Riv.
Trim. dir. pen. Econ, n. 4/1997; F. De Angelis-R.Sicurella, Vers un espace judiciaire européen?:Un corpus juris
portant dispositions pénales pour la protection des intérêts financiers de l’Union européenne, in Revue du Marché
Unique Européen, 1997, n. 1, 121 ; S. Riondato, Competenza penale della Comunità europea: problemi di
attribuzione attraverso la giurisprudenza, CEDAM, Padova, 1996 ; J.A.E. Vervaele, L’applicazione del diritto
comunitario: la separazione dei beni tra secondo e terzo pilastro, in Riv.trim.dir.pen.econom., 1996, p. 506 e seg.;
M.C. Capirossi – L. Imperato Note sulle disposizioni in materia di procedura penale contenute nel Corpus Juris,
CDPT, Venezia, 1997; M. Pisani, Criminalità organizzata e cooperazione internazionale, in Riv. It. Dir.e proc. pen,
Giuffré, Milano, 1998, p. 703 e seg.; K. Tiedemann, La europeizzazione del diritto penale, ivi, p. 3; C.E.Paliero, La
fabbrica del golem. Progettualità e metodologia per la “parte generale” di un codice penale dell’Unione Europea,
ivi, 2000, p. 466 e seg.; M. Delmas-Marty, verso un diritto penale comune europeo, ivi, 1997, p. 543 e seg.; R.
Sicurella, Il titolo VI del Trattato di Maastricht ed il diritto penale, ivi, 1997, 1307 e seg.
1
2
opportuno concentrare la presente relazione sugli aspetti (secondo la terminologia italiana o
continentale) sostanziali dell’insieme dei problemi che mi sono stati affidati.
Per conoscere il diritto nazionale è necessario non affrontarlo guardando dal punto di vista
nazionale italiano. In questa prospettiva è opportuno chiarire il diritto nazionale esaminandolo nel
contesto comunitario e scoprire il diritto comunitario (di derivazione comunitaria), nel momento in
cui si integra e si articola nel (e con) il diritto nazionale.
Il punto di vista che voglio proporre è un accostamento di diritto positivo, secondo i tradizionali
accostamenti della scienza giuridica italiana che ha un ancoraggio logico formale in quanto è
necessario sapere come il diritto nazionale e comunitario viene modificato attualmente dal diritto
comunitario. Soltanto sotto questo profilo è possibile effettuare della valutazioni e delle previsioni
sul funzionamento e sulle modalità di funzionamento della norma sostanziale comunitaria che sia o
meno attuata con forme di riconoscimento o di ricognizione nazionale oppure invece venga ad
operare direttamente nel diritto nazionale.
L’ancoraggio di diritto penale positivo consente a mio avviso di evitare una serie di impasse
dogmatiche, vale a dire non criticamente vagliate in maniera compiuta, che nella comune
prospettazione di problemi quali quelli presenti corrono il rischio di ricondurre a delle posizioni
assiomatiche talvolta indimostrate che possono costituire degli ostacoli ad una maggiore chiarezza
dei problemi.
Ho dedicato un apposito studio3 al modo di relazionarsi del PM e quindi del concetto di azione o
di actio che in Italia viene vista come un istituto processuale rispetto all’ambito dei diritti o delle
potestà o degli interessi inquadrati nelle fattispecie giuridiche criminali a cui l’azione deve
rapportarsi. Contemporaneamente mi sono, per eventi differenti4, dedicato a studiare il profilo
processuale, la cosiddetta pregiudiziale comunitaria prevista dal Trattato di Roma nel vecchio art.
177 del Trattato che costituisce un veicolo fondamentale attraverso il quale, sia virtualmente che
operativamente, gli enunciati della Corte di Giustizia condizionano direttamente sia l’aspetto
interpretativo ed applicativo
che quello reale del diritto nazionale che è e diventa diritto
comunitario. Attraverso questi meccanismi gli istituti comuni iniziano a circolare negli
ordinamenti nazionali nell’insieme concorrente e integrato degli ordinamenti nazionali nei loro
reciproci rapporti con gli ordinamenti comunitari, anche se le relazioni - come diremo in seguito risentono di un trend di crescita della complessità e sono difficilmente inquadrabili secondo i
canonici schematismi della gerarchia delle fonti.
3
V. relazioni atti Convegni 31 ottobre 1997, Torino, Circolo della Stampa; 17 marzo 1997, Venezia, Marina Militare;
14 aprile 1998, Torino Scuola Scambi Transnazionali; 4 luglio 2002, Torino, Unione Industriale; 17 settembre 2002,
Bruxelles, Audizione Pubblica C.E.; Relazione di sintesi sul PME (pp. 1-94), sito http://europa.eu.int/olaf/livre_vert. E’
in corso di edizione per l’ottobre 2004 volume sulla sanzione penale comunitaria dell’illecito (Padova).
4
La pregiudiziale comunitaria, Corso progredito, Torino, 10 aprile 2000, Palazzo Barolo; Pregiudiziale comunitaria
ed operatività diretta delle fonti comunitarie sull’illecito unitario italiano, atti Corso progredito, Treviso, 11 gennaio
2003,
3
Separatamente mi sono anche dedicato a riflettere su profili generali di interferenza fra istituti
comunitari – ad esempio quello delle responsabilità penale, o criminale o amministrativa degli enti
morali- vale a dire degli enti non costituenti persone fisiche -, nel momento – dicevo – in cui
entrano in relazione con i principi regolativi sia dei singoli delitti di parte speciale che con gli
istituti ed i principi che regolano la parte generale. Mi sono – prossimamente 5si avrà l’occasione
di tornare su questi argomenti – occupato del principio di apparenza della diversa qualificazione
degli stessi fatti vietati da parte di norme nazionali e di norme comunitarie. Questo a mio avviso
costituirà il problema centrale del prossimo – si auspica – avvio del funzionamento del pubblico
ministero comunitario.
Ho fatto queste brevi premesse su questioni che non vengono trattate nello spazio che mi è
assegnato se non per quanto riguarda brevi riferimenti che farò in coda alle lucide osservazioni di
Picotti6 sui rapporti fra la truffa classica ex 640 c.p. con la truffa aggravata ex 640 bis con le altre
fattispecie in materie comunitarie su cui ritornerò in seguito7.
5
Le concours réel des crimes et le concours idéal des qualifications entre C.J. et les systémes nationaux, in
“L’evolution du droit pénal supranational: Une comparaison entre le droit international pénal et le droit pénal
européen”, Firenze, 27 maggio 2004, European University Institut-No Peace withou Justice.
6
L. Picotti, La ratifica italiana della convenzione P.I.F.: prospettive di cooperazione giudiziaria, Torino, 26 marzo
2004; Sulle relazioni tra il PME e le attuali autorità europee, Roma, 27 novembre 2003 (“Toward a European Justice”).
Non mi posso esimere dal ricordare (non è qui possibile citarne i pregiati lavori) la penetrante relazione di E. Mezzetti
sulla Protezione degli interessi finanziari delle Comunità (Roma, 18 maggio 2002, “Il Libro verde sulla tutela penale
degli interessi finanziari comunitari e sulla creazione di un pubblico ministero europeo -Verso Una Giustizia
europea?”).
7
Nell’ordinamento italiano (ma presumiamo non solo) mancano criteri univoci, soprattutto quando una norma numerata
distintamente descrive fatti puniti altrove con diverse specificazioni, per affermare se essa si inserisca su queste
semplicemente a fini sanzionatori e senza mutare il titolo o la qualificazione della fattispecie. Tradizionalmente, gli
argomenti utilizzati muovono a scoprire l’intenzione legislativa (numerazione autonoma, etc.); a volte invece sono più
“strutturali”. Le conseguenze sono serie, in punto indifferenza del coefficente psicologico di partecipazione alle
modalità descrittive aggiunte ad una fattispecie base. Secondariamente, se si opta infine per l’autonomia della
fattispecie, si entra nella ‘camera oscura’ del raffronto fra le descrizioni per capire se esse sono solo diverse nel senso
che una sia puramente e semplicemente più “adatta” a particolare situazioni o soggetti, così da attrarre in sé l’altra. Non
é qui il caso di affrontare i problemi relativi alle tecniche di raffronto tra le fattispecie, volte a comprendere, magari
chiedendo ausilio al medio costituito dal contenuto del disvalore del fatto, il quale invero ci appare come conseguenza e
non premessa dell’interpretazione, se fra esse vi sia alternatività dentro l’ordinamento. Talvolta é la stessa legge a
stabilire con clausole di collegamento (salvo che sia già punito, ferma la pena prevista per ..., qualora non sia punito per
più grave reato etc.) vuoi una regola più rigida di pluralità delle punizioni (concorso reale o materiale), vuoi un
incompatibilità reciproca delle sanzioni e via dicendo. Tuttavia queste soluzioni hanno carattere normativo, come ad
esempio la sussidiarietà, e non sono idonee ad essere lette in un senso o nell’altro per trarre un principio positivo per
stabilire se sia previsto in generale il concorrere insieme delle sanzioni ogni qual volta vi siano diverse qualificazioni
ovvero se l’ordinamento debba essere concepito come se vietasse a sé stesso di far conseguire un cumulo di sanzioni
qualora esso abbia provveduto a più qualificazioni di illecito e sanzionatorie del medesimo segmento o linea più estesa
di fatto. Aggiungasi che, in maniera certo non surrettizia e ricorrente si é assistito a non rari momento in cui all’interno
del fatto sono andati a pullulare anche particolari modalità descrittive, quasi in senso naturalistico, dei modi di
atteggiarsi dei profili psicologici (frode, intenzionalmente, gravemente, maliziosamente, dolosamente e via dicendo).
Così che si é talvolta tratto argomento in materia di disvalore e quindi di originalità della incriminazione proprio dalla
particolare attenzione descrittiva della fattispecie. L’apparenza del concorso tra le fattispecie é stata quindi ottenuta
come risultato esegetico del complesso iter argomentativo di cui appena ora abbiamo disegnato i confini esterni. Al
fondo di questo ragionamento si é così giunti alla base di applicazione – ad esempio – dell’art. 15 del c.p. (stessa
materia), il quale si limita a spiegare, senza fornire alcun ausilio per quanto detto sulla nozione di ‘stessa materia’, a
chiarire che va applicata la legge speciale. Quello che appare indiscutibile é solo che l’ordinamento autorizza ed
impone certi criteri di elezione della norma più adatta, qualora ve ne sia più di una (per norma intendiamo un insieme di
regolazioni descrittive e sanzionatorie di un fatto rilevante) appunto adatta in astratto. Se fosse limitata la lettura della
4
I seguenti capitoli costituiscono niente di più che un ponte per giungere poi alle aperte osservazioni
del capitolo finale, relativo a meccanismi di costruzione, che si pongono spesso in alternativa fra di
loro, degli illeciti di derivazione comunitaria.
Dicevo, ho fatto queste breve osservazioni introduttive per rinviare – in quanto oggi mi occuperò
esclusivamente delle ultime acquisizioni interpretative sui problemi, - alle ampie osservazioni, per
le quali non posso che rinviare per l’Italia al lavoro istituzionale fondamentale di Grasso8 ed i
recenti lavori di Picotti9 (per Manacorda, sempre in tema di letteratura scientifica italiana sul
punto, sia sufficiente rinviare a tutti i suoi lavori, a quelli di M. Delmas-Marty, E. Bacigalupo e J.
Spencer) focalizzati sulla insistenza che allo stato non sussisterebbe un diritto penale comunitario
in quanto i riflessi del diritto comunitario sul modo di costruire la norma criminale o penale
sarebbero indiretti e comporterebbero una costante modificazione, integrazione ed interpretazione,
sia sotto il profilo degli elementi positivi che sotto il profilo degli elementi negativi, della norma
penale nazionale, operando attraverso i consueti canali delle norme extrapenali di integrazione del
precetto penale, intorno a quei meccanismi di integrazione della fattispecie che vengono autorizzati
nel rispetto della riserva di legge dalle norme cd. penali in bianco, ovvero che opererebbero
facendo venir meno gli aspetti di antigiuridicità della norma ove gli interessi protetti dalla norma
penale o criminale risiedono in altri luoghi del diritto penale (che invece si presenta con una sua
scansione di seconda tutela) o in base ad un carattere enciclopedico, sia pur munito – come è stato
recentemente osservato – di una valenza di autonoma, se non in tutto quantomeno in parte,
ratio esterna dell’art. 15, nulla sapremmo se l’ordinamento abbia preso posizione favorevole o contraria al problema
della pluriqualificazione sopra accennato, nel senso ad esempio di una, analogamente a quanto accade per le lacune,
presa d’atto della possibilità di indicazioni fuorvianti. Parimenti, residua il problema se, tolta l’utilità del riferimento
precettivo all’ “opzione speciale”, la norma per il resto aggiunga qualcosa ad una sua ipotetica assenza. Diversamente,
impregiudicata la problematicità della nozione di ‘stessa materia’ (disvalore o fatto o qualifIcazione), residua il dubbio
se la originalità normativa dell’art. 15 riposi nel principio che il medesimo affermi sotto il profilo realistico appunto
che la realtà della qualificazione di illecito non é plurale (quasi a stabilire un ponte fra il fatto e la qualificazione).
Sintomatica di questa oscillazione é la discussione (v. G. Amato, Con l’addio alla giurisprudenza prevalente
Cassazione dimentica i differenti beni tutelati, commento a Cass. SS.UU. pen. 26 giugno-10 luglio 2002 n. 26351 in
Guida al diritto, n. 42 del 02.11.2002, p. 64 e seg.) sull’atteggiarsi nel diritto italiano dei rapporti tra 640 c.p. (truffa),
640bis (truffa aggravata comunitaria), art. 2 L898/1986 (frode comunitaria, sussidiaria), 316bis (malversazione a danno
dello Stato). Mi limito a ricordare le puntuali note di R. Bartoli, (Truffa aggravata per conseguire erogazioni pubbliche:
una fattispecie davvero circostanziante?, in Dir. pen e processo, n. 3/2003 p. 295 e seg.), da non condividersi tuttavia
nelle conclusioni, polarizzate “potenziando l’attività del giudice ... oltre la rigidità del testo ... per descrivere la
fattispecie”. Sul punto v. altresì M. di Siena Un tentativo di inquadramento sistematico dell art. 316ter del c.p.
nell’ambito dell’apparato di tutela degli interessi finanziari dell’U.E.”, sull’art. 4 L. 29.09.2000 n. 300 (316ter c.p.),
art. 2 L. 23.12.1986 n. 898, L. 19.03.1990 n. 55 (640bis), in Il Fisco, ETi, Roma, 2004, n. 12, p. 1781 e seg.
8
Sul solco del classico Comunità Europee e diritto penale. I rapporti tra l’ordinamento comunitario e i sistemi penali
degli stati membri, Milano, Giuffrè, 1989, v. Introduzione a Potestà penale..cit a nota successiva, che include la prima
edizione della traduzione italiana stampata nel ’97 a cura di R. Sicurella.
9
L. Picotti, Dal libro verde sull’istituzione di un procuratore europeo ad un sistema di diritto penale comunitario, sito
Olaf; altresì Potestà penale dell’Unione Europea nella lotta contro le frodi comunitarie e possibile base giuridica del
C.J. In margine al nuovo art. 280 del trattato CEE, in Lotta contro le frodi agli interessi finanziari della Comunità
Europea tra prevenzione e repressione. L’esempio dei fondi strutturali, Milano, Giuffrè, 2000; ancora Attuali
prospettive di tutela penale degli interessi finanziari dell’U.E. negli ordinamenti italiano-spagnolo, 2000; Introduzione
a Possibilità e limiti di un diritto penale dell’Unione Europea, Milano, Giuffrè, 1999.
5
qualificazione o nuova qualificazione in termini penali degli elementi di fattispecie extrapenali che
vengono richiamati e, per così dire, ricreati.
2.
Il paradigma monistico della gerarchia statualistica delle fonti.
Nelle letture che sono state date in termini di diritto positivo del portato e del significato delle
disposizioni contenute nei trattati che direttamente od indirettamente fanno riferimento, per
affermarla o negarla, secondo i punti di vista, alla potestà in materia penale, sicuramente ha avuto
ed ha una notevole influenza la costruzione dogmatica e direi storico politica della potestà penale
che, in effetti, è stata certamente da sempre configurata come una delle peculiarità monopolistiche
della potestà normativa nazionale caratterizzata da una riserva assoluta di legge nazionale, studiata
nei singoli sistemi costituzionali in relazione
o in rapporto alle fonti derivate nazionali o
comunque sottoordinate in una prospettiva necessariamente gerarchica in materia di elaborazione
della teoria delle fonti, ma che nel suo complesso costituisce, a sua volta, un elemento decisivo
anche ai fini della costruzione della valutazione, dell’impatto dogmatico che l’esistenza di
eventuali fonti, diversamente articolate rispetto al piano o alla dimensione gerarchica delle fonti
interne, porta l’interprete ad un irrigidimento, anche ancorato ad evidenti e giustificate ragioni di
costituzionalità interna rispetto all’esistenza od al funzionamento di fonti – diciamo così –
normative di rango comunitario.
In altre parole, la recezione dogmatica delle teoria gerarchica delle fonti comporta necessariamente
una negazione dell’esistenza di potestà penali in materia comunitaria, allo stato degli atti, secondo
il diritto attualmente vigente.
Corollario di questa concezione è la unificazione in un tutto del portato o dell’oggetto della potestà
normativa: se la riserva è assoluta allora l’assolutezza deve essere riferita ad ogni elemento della
fattispecie sia nei suoi profili positivi che nei suoi profili negativi, sia per quanto riguarda
eventualmente le vicende del rapporto giuridico relativo alla potestà punitiva che debbono seguire
gli stessi dettami. Direi, a ben guardare, tuttavia, che l’impostazione monistica, che costituisce in
questo senso il portato della concezione necessariamente gerarchica delle fonti, ha a sua volta il
corollario costituito dalla priorità in senso temporale - che è l’unica che legittima l’emanazione,
secondo il diritto nazionale, di un norma da parte degli organi a ciò deputati - rispetto alle sue
eventuali integrazioni attraverso fonti derivate od attraverso fonti diverse.
Paradossalmente, l’unica ragione plausibile per cui si ammette comunemente una riserva
depotenziata e quindi una delega a fonti superprimarie è quella della priorità della – in senso lato –
delega contenuta nella emanazione della norme penale e criminale. Una visione invece che guardi
all’insieme dei formanti operativi pretorii, dottrinari, giurisprudenziali che regolano il concreto
funzionamento delle vicende della fattispecie penale, anche sotto il profilo della sua estinzione,
deve porre sul tappeto i problemi relativi, verosimilmente, ad un tramonto, quanto meno parziale,
6
del principio di gerarchia delle fonti alla luce di una complessa concorrenza, ad un relazionarsi
(anche non necessariamente in via verticale, ma anche in via orizzontale, se non alternativa) delle
fonti normative di matrice internazionale o sovranazionale o comunitaria.
Della coerente prospettiva dogmatica accennata adesso in maniera generale, risente la lettura
dell’attuale art. 280 ex 209A del Trattato istitutivo della Comunità Europea che stabilisce al primo
comma “la Comunità e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che
ledono gli interessi finanziari della Comunità stessa mediante misure adottate a norma del
presente articolo che siano dissuasive
e tali da permettere una protezione efficace negli stati
membri”. Il secondo comma prevede che “gli Stati membri adottano, per combattere contro la
frode che lede gli interessi finanziari della Comunità le stesse misure che adottano per combattere
contro la frode che lede i loro interessi finanziari”; il terzo comma prevede che “Fatte salve
altre disposizioni del presente Trattato, gli Stati membri coordinano l’azione diretta a tutelare gli
interessi finanziari della Comunità contro la frode. A tale fine, essi organizzano, insieme alla
Commissione una stretta e regolare cooperazione tra le autorità competenti”; il quarto e centrale
comma stabilisce che “Il consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all’art. 251, previa
consultazione della Corte dei Conti, adotta le misure necessarie nei settori della prevenzione e
lotta contro la frode, che lede gli interessi finanziari della Comunità, al fine di pervenire ad una
protezione efficace ed equivalente in tutti gli stati membri. Tali misure NON riguardano
l’applicazione del diritto penale nazionale o l’amministrazione
della giustizia negli Stati
membri”.
Di conseguenza, Grasso ha ritenuto che l’art. 172 del Trattato non introducesse una competenza
comunitaria – in realtà solo presupposta e non consentita – e ciò, diremmo, noi - in base ad un
affermazione metagiuridica di carattere realistico-naturalistico - dal cd. deficit democratico e della
sovranità.
La vecchia versione dell’art. 209A Trattato CE (Obbligo degli stati membri di assimilare alle
finanze comunitarie i propri interessi) non sarebbe in questa prospettiva stata incisa
ampliativamente dal nuovo art. 280 CE (“Le misure adottate a tutela devono essere dissuasive ed
efficaci per la Comunità negli Stati), anzi, sarebbe di segno opposto l’espressione del quarto
comma che il “Consiglio adotti le misure necessarie nei settori … contro la frode che lede gli
interessi al fine di proteggere efficacemente ed equivalentemente …”.
Si sarebbe in presenza di un’assimilazione che si sposta verso l’armonizzazione che investe anche
gli aspetti sanzionatori, come è avvenuto per le sanzioni amministrative comunitarie. Ma per
Grasso quest’ultima frase, riportata prima al quarto comma, deciderebbe la competenza penale
comunitaria diretta in quanto “le misure NON riguardano l’applicazione del diritto penale
nazionale e l’amministrazione interna della giustizia”.
7
3. Il diritto penale non definito.
E’ appena il caso di scomodare Tiedemann, nell’osservare che il testo letterale che parla di
applicazione sembra proprio presupporre la parola “vigenza” mentre la parola “nazionale” che si
collega con la parola “applicazione” può alla lettera interpretarsi come oggetto non di una diretta
abrogazione espressa, ma anzi come oggetto di una riserva di esistenza ove non sussidiariamente
derogato, anche tenuto conto che il quarto comma non definisce il diritto penale.
In altre parole, se si legge con attenzione il quarto comma dell’art. attuale 280 CE, se esso esclude
l’applicazione del diritto penale nazionale, sembra dare per scontata la possibilità di normare in
materia penale chiaramente lasciando aperto il rapporto fra la norma comunitaria ed il diritto
penale nazionale, che invece sarebbe riservato all’applicazione nazionale, così come vale per
l’amministrazione della giustizia nei singoli stati.
Un altro forte argomento sia letterale che teoretico è costituito dalla assenza di una definizione di
“penale” o “criminale” nell’ambito comunitario, che invece sappiamo si caratterizza per investire i
profili sanzionatori con delle sanzioni amministrative, che sono amministrative, ma che
sicuramente possono essere configurate diversamente a seconda delle culture giuridiche dei vari
Paesi.
Ora, certamente potrebbe attribuirsi – e questo è uno dei temi di riflessione – alla parola ‘penale’
una nozione che non risieda nelle qualificazioni di tale natura caratteristiche dei vari ordinamenti;
si potrebbe in astratto ricorrere ad una nozione strutturale di “penale” che sia ancorata ad un
diritto del precedente, ovvero pretorio della Corte di Giustizia, la quale obiettivamente (attraverso
interpretazione pregiudiziale imposta, consentita, vincolante ovvero la disapplicazione del giudice
nazionale, che avvenga in via principale o incidentale) ritiene le fonti dirette comunitarie
conformatrici del precetto, della sanzione, dei principi di parte generale, principi di carattere
comunitario, sulle singole fattispecie assorbite od abrogate nazionali (si pensi al tema della
specialità, su cui si ritornerà).
La struttura proporzionale, dissuasiva, equivalente, efficace, affittiva, attraverso sanzioni non
necessariamente reclusive, timorali (il tema dell’eclissi del diritto penale come reclusione),
tendenze di ogni ordinamento nazionale, ordinamenti comuni e quant’altro della fattispecie
sanzionatoria, caratterizzerebbe di natura penalizzante o penale l’oggetto della fonte comunitaria.
La procedura di co-decisione ex art. 189B del Trattato (art. 251 della nuova numerazione)
deporrebbe in tal senso.
Gli aspetti costituzionali, per così dire, contenuti nei Trattati
comunitari non prevedono
espressamente, certamente, ma neppure vietano l’esistenza ed il funzionamento di una fonte in via
prioritaria, esattamente come fanno le norme costituzionali interne, che le riservano ai trattati.
8
Anche l’ex art. 177 del Trattato non pone limiti in materia penale
alla nozione di diritto
comunitario interpretabile come applicabile dalla Corte.
Ritengo, se quanto precede ha una qualche forma di pregio, che la storia delle discussioni avvenute
in sede comunitaria sul CJ dal 1996 ad oggi in qualche modo sia una conferma di quanto stavo
dicendo.
Vale a dire che il passaggio fra la prima versione del CJ del 1997 alla seconda versione del CJ del
2000 (la cd versione di Firenze, curata da Vervaele e Delmas- Marty)10 sia sintomatico della presa
d’atto che fosse possibile sostanzialmente abbandonare, in linea tendenziale, l’idea di costruire in
sede comunitaria una parte generale che consentisse l’applicazione del disegno di nuove fattispecie
incriminatrici operative a livello nazionale, quasi prendendo atto delle difficoltà - che abbiamo
sinteticamente accennato - a concepire come compatibile con le potestà normative nazionali in
materia criminale un’autonoma e concorrente potestà normativa criminale comunitaria, attraverso
tuttavia l’istituzione, in via di separazione rispetto ad un giudice nazionale della tutela ed
apparentemente ad una norma sostanziale incriminatrice della azione penale.
4. L’action pénal mobile.
In realtà, abbiamo osservato in separata sede 11che, ove non fosse intesa l’operazione del CJ come
una vera e propria individuazione di una possibilità di potestà normativa criminale delle comunità
europee (anziché puro riferimento a criteri di individuazione di una competenza territoriale e
funzionale del PM), il PME costituirebbe un’azione spezzata, slegata, fratturativa del principio di
giurisdizione, che invece attraversa la storia giuridica europea congiungendo come facce l’una e
l’altra della medesima medaglia, sia l’azione (che è nient’altro che esercizio di un diritto di fare
valere un diritto) rispetto – appunto – al diritto sostanziale fatto valere.
Questo piano introduttivo sul quale abbiamo voluto iniziare ad affrontare i temi soltanto
apparentemente è lontano dalle questioni che dobbiamo trattare.
Il tema della base giuridica difatti, secondo l’impostazione de jure condito che accogliamo, non va
considerato sotto il profilo di quale potrebbe essere il veicolo normativo di ingresso delle nuove
fattispecie disegnate dal CJ, ma piuttosto deve essere visto come quale sia attualmente la base
giuridica12 nei Trattati e nei diritti nazionali, negli ordinamenti nazionali, nei sistemi nazionali,
10
Alla prima versione, edita in Italia col citato lavoro a cura di G. Grasso, che ha dato la stùra anche ad una
straordinaria consecuzione di studi e conferenze internazionali (cui rinviamo), è seguita di M. Delmas-Marty-J.A.E.
Vervaele la monumentale (1972 pp.) La mise en ouvre du Corpus Juris dans les etats membres, IntersentiaUtrecht,
2000 Vol. 1,II, II, IV).
11
Il tema della discussione finale sul P.M.E.. Alcune riflessioni sulla tutela penale degli interessi finanziari comunitari
e sulla creazione di una procura europea, Torino-Brussèls, settembre 2002, (pp-1-84), sito, cit.
Per profili generali.,v. P. Mengozzi, Il Diritto comunitario e dell’Unione Europea, Cedam. Padova, 1997; F. Pocar,
Diritto delle comunità europee, Giuffrè, Milano, 1991; U. Draetta, Elementi di diritto dell’Unione europea, Giuffrè,
Milano, 1999; F. Palumbo, Studi di diritto penale comunitario, Giuffrè, Milano, 1999; P. Fimiani, La tutela penale
delle finanze comunitarie, Milano, 1999; G.Donà-W. Viscardini, La tutela penale e amministrativa degli operatori
economici e gli interessi finanziari dell’U.E., Padova, 2000 (con interessante analisi sui rapporti di specialità fra
sanzioni penali ed amministrative).
9
connotati anche da profili differenziati di carattere costituzionale, in modo tale da poter approdare
ad un punto di vista fermo (anche se aperto) che in qualche modo sia indifferente rispetto alle
modifiche dei Trattati ed ai temi costituzionali.
Qualche considerazione pertanto ancora in questo ambito introduttivo va fatta sui temi
costituzionali per un verso e sui temi relativi alla nuova Costituzione europea di cui si sta parlando.
5. Assiologia e costituzionalità.
Sul rapporto fra lo statement law (sul diritto criminale di derivazione statuale e contenuto in legge,
che va a disciplinare integralmente la fattispecie penale sotto il profilo genetico, modificativo,
estintivo, in ordine quindi a quasi tutte le sue vicende) e l’apparato costituzionale si tornerà
quando faremo alcune osservazioni sull’assiologia dei beni comunitari.
Tuttavia, qualche cenno al problema va posto. Non prendiamo volutamente posizione
sull’ammissibilità, ai fini dell’ interpretazione delle norma penale, dei riferimenti all’assiologia
contenuta nel dettato costituzionale, ove ammessa tendenzialmente la distinzione fra norme
programmatiche e norme imperative costituzionali, la cui osservanza dovrebbe presiedere l’attività
delle supreme Corti costituzionali. Basti in questa sede sottolineare – ma lo rifaremo quando
accenneremo ai temi dell’ interpretazione comunitaria delle norme (comunitarie) con riferimento a
quelle nazionali – che a nostro avviso, sotto il profilo esegetico, non è ammessa alcuna attività
correttiva, sotto il profilo dell’interpretazione della norma, per renderla adeguata ai parametri né
costituzionali né comunitari.
Una considerazione di natura prettamente metagiuridica va tuttavia fatta, data anche la sede, con
riferimento ai temi costituzionali. Io personalmente mi onoro di appartenere alla Scuola formalista
sistematica torinese che da sempre punta a leggere la norma per il suo significato, a guardarne la
funzione, sia sotto il profilo della sua ragione giustificatrice, storica che sotto il riguardo del suo
inserirsi in un contesto più ampio dove essa va ad acquisire i significati che sono tipici della
cultura giuridica normata dell’ordinamento, in qualche modo andando a travalicare quelle che
sono le pure e semplici finalità di politica normativa, di politica legislativa, di politica criminale.
Tuttavia, non va neanche dimenticato quel grande orientamento caratteristico della cultura
giuridica anglosassone o comunque di oltremanica la quale guarda al sistema di diritto statutario in
una maniera diversa rispetto a quello che è caratteristico dei sistemi di common law, vale a dire
che si tiene conto del fatto che il diritto, a prescindere dall’impostazione realistico-critica o
realistico giuridica (Paesi scandinavi), va concepito come fenomeno sociale più che come prodotto
di una volontà costruttiva o costruttivistica di un’autorità politica che tende, attraverso questo
fenomeno, a ridisegnare, ricostruire, rivoltare, rivolgere e rivoluzionare il sistema vigente.
Il diritto può raffigurarsi ed essere inteso come fenomeno sociale
il quale via via, con le
integrazioni storiche dei sistemi parlamentari, tende ad essere un fenomeno spontaneo che si
10
sviluppa nel corso degli anni,dei decenni, dei secoli, come un sistema di adattamento e talora di
rafforzamento di regole di equa o giusta condotta, che per lo più si sono sviluppate
spontaneamente ed hanno quindi prodotto risultati positivi anche intesi come fenomeni o come
sistemi di organizzazione sociale o di scambio, contenenti informazioni e che quindi sono divenuti
dei veicoli di trasmissione della conoscenza dispersa.13 Non solo le norme intese come fenomeni
giuridici di derivazione statale, ma come dei meccanismi di orientamento e di trasmissione della
conoscenza diffusa e circolante nella grande società civile.
La norma quindi, in un certo contesto, da comando viene concepita come uno schema, un insieme
di schemi formativi e normativi posti a disposizione del consociato.
Tanto più un ordinamento è vicino alla cultura giuridica e quindi non é costitutivo di fenomeni
rivoluzionari, tanto meno i principi regolativi di rango costituzionale, reale sono inseriti nel modo
di organizzarsi delle norme.
Non tutti i Paesi, sappiamo,sono muniti di costituzione formale. Il tema, così odierno va affrontato
tenendo conto di queste differenze: tenendo conto che la Costituzione, per quanto sia un punto di
vista fermo per la lettura normativa che il giurista deve compiere, non deve essere intesa come un
sistema rigido, come un organismo rigido che contenga delle norme precettive necessariamente di
primo grado. Costituisce uno degli elementi di cui si deve tenere conto.
6.
I grandi rivelatori del diritto posti su diversi piani.
Qualche breve cenno ai problemi per così dire che sono sullo sfondo.
Siamo abituati a considerare i rapporti fra norma costituzionale o comunque i rapporti interni fra
le fonti ordinate gerarchicamente come dei rapporti di esclusione reciproca, oppure di
autorizzazione discendente dall’altro verso il basso. La coesistenza attuale di fonti comunitarie si
pone in un rapporto piuttosto non di esclusione reciproca, non di esclusione necessaria, ove esiste,
direi, una libertà operativa delle fonti nei casi in cui non sia reciprocamente divietata l’attività e
l’oggetto di queste. Anche i rapporti, direi, fra le sentenze dei giudici nazionali e quelle della Corte
di Giustizia si configurano come più liberi sotto il profilo dell’ an, del quantum, del quomodo
anche con cui il quanto sanzionatorio occupa.
Parimenti sotto il profilo dell’efficacia delle sentenze della Corte di Giustizia abbiamo delle
analogie e delle forti differenze fra quelle e quelle delle corti costituzionali oppure delle corti
supreme o dei giudici di merito. Le sentenze, ad esempio della corte di giustizia, sono
categorizzabili soltanto parzialmente sul versante giudiziale: efficacia erga omnes, disapplicazione
di norme, annullamento, un vincolo che deriva dal precedente, anche sotto il profilo interpretativo,
che si estende alle norme ed anche alle decisioni giudiziali, un’attività che è diversa da quella
13
Sul pensiero di F.A. Hayek (Law, Legislation and Liberty, Rotledge & Keagan Paul, London, prima edizione
completa dei vol. I, II, e III (1973, 1976, 1979), 1981) e sulla sterminata bibliografia successiva non è certo questa la
sede di dir di più.
11
dell’abrogazione. Il fenomeno costituzionale sta sullo sfondo dell’attività del Giudice nazionale,
che possiamo suddividere in un’attività di
applicazione della norma ed in un’attività di
interpretazione della norma. Direi che sotto il profilo della norma interna, che sia contrastante con
la norma comunitaria sovraordinata, spesso l’attività del giudice nazionale si volge una volta che
sia già stato risolto il problema della vigenza di una norma comunitaria e del suo primato, oppure
che sia già stato risolto il problema in ordine alla semplice eventualità del contrasto tra norma
nazionale e norma comunitaria e quello della costituzionalità della norma nazionale una volta
ortopedizzata da quella comunitaria con riferimento alla Costituzione. Spesso la questione
pregiudiziale è risolta pertanto dal medesimo giudice sul presupposto di una certificata ed obiettiva
originaria disapplicabilità della norma nazionale rispetto a quella esterna comunitaria o di quella
comunitaria rispetto all’interna se dovesse sorgere un problema di costituzionalità.
In altri casi invece la (per così dire) “disapplicazione” sarà indotta all’esito della risoluzione di una
questione pregiudiziale in ordine alla quale sia sospeso il processo.
Da questo contesto, in conseguenza della pronuncia della Corte di Giustizia che adotti dei criteri,
potrà darsi luogo ad una compatibilizzazione fra disposizioni in contrasto apparente ovvero una
dichiarazione di non incompatibilità, ed in questo senso vi sarà spazio per l’attività puramente
esegetica del Giudice nazionale.
In questa opera delicata, il Giudice nazionale fa parte, cioè integra uno, di quei meccanismi di
autoregolamentazione interni del sistema integrato costituito da quello o quelli nazionali visti
insieme tra di loro e quello comunitario. Con ciò, per capire il diritto comunitario, si può
paragonare la Costituzione al diritto comunitario e metterli a confronto. Il Giudice nazionale e la
Corte di Giustizia sono il fulcro, con l’ordinamento nazionale che ne è, per così dire, il sostegno.
Possono essere organizzati anche degli schemi grafici per rappresentare questo fenomeno.
In questa visione le carte costituzionali costituiscono dei limiti negativi. Il giurista pone in termini
di comando e segue – come detto – la teoria gerarchica delle fonti (si può far riferimento alle Preleggi) e ragiona in termini di derivazione dall’una all’altra, che costituirebbe un momento attuativo
della precedente. Lo stesso rapporto tra legge ed atto amministrativo, tra delega e sua attuazione
può essere significativo.
Altro punto è che i Trattati sono immediatamente precettivi e derogano, talvolta, alla norma
nazionale e sono applicati dalla Corte di Giustizia. Possono questi anche imporre immediatamente
delle norme nazionali. Hanno una duplice funzione a livello normativo: impongono l’esecuzione
propria o la compatibilità e coerenza fra sé e gli ordinamenti nazionali e poi costituiscono un
criterio per non che si verifichino delle incompatibilità sia astratte che concrete.
La Corte di Giustizia, interpretando la norma derivata ed i trattati, segue o un criterio di non
compatibilità o un criterio di necessaria esecuzione in conformità ai trattati.
12
Contestualmente, vi è un sindacato diffuso tra i Giudici nazionali che hanno cognizione su tutti le
norme nazionali e non; da questo sindacato tendenzialmente si diffonde una compatibilità del
diritto nazionale rispetto al diritto comunitario.
Le Corti costituzionali adottano un duplice criterio: interpretano la Costituzione in base ai trattati
ed interpretano i trattati in base alla Costituzione.
Tuttavia, in questo caso, sui trattati si limita alla relazione con i diritti fondamentali e solo su
espressa facoltà, senza potere di annullare gli stessi.
Possiamo dire che vi è la sottrazione di una competenza di annullamento sotto il profilo reciproco,
sia per la Corte costituzionale e che per la Corte di Giustizia. La Corte di Giustizia disapplica nei
propri giudizi le norme nazionali difformi.
Sia il Giudice nazionale che la Corte di Giustizia si riferiscono all’ordinamento comunitario e,
sotto questo profilo, direi che la Corte costituzionale non è un giudice di ultima istanza.
Il modo di attuazione dell’ordinamento comunitario nei vari Paesi si caratterizza in modo diverso,
anche tenuto conto delle tradizioni costituzionali diverse, le quali però arrivano ad interagire sotto
il profilo di quelle che sono le interpretazioni nazionali dei rapporti tra il proprio diritto ed il diritto
comunitario.
Allora, se si guarda ai criteri adottati dalla Corte costituzionale, che è svincolata dalla teoria delle
fonti perché é ultima competente sui soli principi, si comprende il diritto comunitario anche
criminale, ma soprattutto l’ordinamento giuridico comunitarizzato.
Gli ordinamenti giuridici statuali concorrono tra di loro, anche sotto il profilo interpretativo. Se si
guarda ai principi regolativi di diritto comunitario, vediamo che i principi vengono disegnati, sia
pur in maniera non prettamente negativa rispetto a quelli nazionali, tuttavia in modo affatto
diverso: il principio dell’inesistenza dell’abrogazione; sconosciuto il principio di invalidità; non
esistono gravami nei confronti della Corte di Giustizia; non esiste un profilo di gerarchia delle
fonti; l’istituto del giudicato è tendenzialmente sconosciuto; non vi è una strutturata e
costituzionalizzata differenza tra la legge e l’atto amministrativo; non vi è una suddivisione di
poteri, se si guarda alla figura della Corte di Giustizia come autorità che opera con decisioni di
portata generale e costitutive di principi sovraordinati, che svolge un attività di applicazione e di
interpretazione dei trattati e delle norme - anche se indirettamente - nazionali e svolge anche altri
poteri che adesso è lungo trattare.
Vi è una concentrazione di questi diversi poteri nella medesima istituzione e quasi tutte le
istituzioni nell’ambito comunitario partecipano di questi poteri.
Non vi è codificazione, e solo oggi si inizia a parlare di ‘Costituzione’.
7. Ordinamenti nazionali a validità condizionale.
13
L’ordinamento comunitario interstatuale é munito di un sindacato sulle leggi degli altri Paesi e in
qualche modo questo sindacato dipende ed è poggiato sulle leggi tipiche delle singole nazioni che
ne regolano sotto il profilo anche criminale la competenza territoriale, nonché sugli effetti delle
decisioni dei suoi giudici nazionali.
La Corte di Giustizia interpreta i trattati, che sono direttamente precettivi, a differenza delle
costituzioni dei singoli Paesi, si connota per dare un’ultima interpretazione anche sulla loro
estensione (ad esempio i rapporti fra l’attuale secondo e terzo pilastro), è istituzione nell’essere
anche fonte normativa sui giudicati erga omnes, sotto il profilo della validità, e si caratterizza
anche per un giudicato infra partes, con efficacia vincolante sulla validità.
Il diritto nazionale e comunitario rimangono validi finchè non sono dichiarati invalidi.
Si pone quindi sullo sfondo la distinzione tra il tema della validità e quello dell’efficacia. Vi è un
diritto validabile, ma vi è anche un diritto invalidabile; c’è un diritto compatibile verso l’UE, un
diritto compatibile verso le Nazioni.
Il tema costituzionale diventa delicato ma è indicativo di un’ampia attuale rilevanza del diritto
comunitario a prescindere dalla qualificazione del medesimo come penale o meno, in ordine al
costante mutamento dell’area e dell’intensità della punibilità verso l’alto o verso il basso, in pejus
o in melius.
Sono stati bene enumerati gli effetti del diritto comunitario sul diritto penale per quanto riguarda il
precetto (ad esempio in materia di
interpretazione, di integrazione armonizzata al diritto
comunitario attraverso norme generali o norme extrapenali o atti e direttive di armonizzazione o
attraverso - come detto - la disapplicazione in tutto o in parte).
Sullo sfondo rimane il problema della liceità, nel senso che spesso si pone lo stesso problema
della riserva di legge se la norma o la sentenza comunitaria è successiva alla legge anche
extrapenale nazionale, in quanto la non penalizzazione, quindi la non criminalizzazione, sarebbe,
secondo il diritto interno, coperta dalla riserva di legge.
Vi è poi l’effetto non sul precetto, ma sulle sanzioni, sotto il profilo della statuizione dei principi,
come fedeltà, non discriminazione, libera circolazione, oppure attraverso obblighi di
incriminazione, oppure non con riferimento a principi ma a regolamenti, direttive o
raccomandazioni sulle tipologie o entità di sanzioni, oppure in tema di vere e proprie sanzioni
comunitarie che prevedono dei precetti e delle sanzioni. A sua volta, quest’ultimo profilo si
articola in forme amministrative, in unificazioni normative, in armonizzazioni, in cumuli. Sullo
sfondo vi è il tema del diritto condizionato.
In questa fase facciamo cenno alle penetranti osservazioni di Bernardi o a quelle di Riondato, di
cui richiamiamo il tema della competizione della normativa ove le istituzioni comunitarie operano
delle restituzioni delle aree di punibilità. Se il Giudice nazionale opera dei controlli di
14
costituzionalità diffusi sorge il problema se sia altresì competente sulla validità degli atti
comunitari. Il Giudice nazionale può applicare direttamente tutti i principi comunitari generali,
delle convenzioni, dei trattati. Tuttavia, una sentenza nazionale fondata su diritto nazionale
incompatibile con questi sarebbe da disapplicare da parte del medesimo giudice nazionale.
8. Introduzione sui meccanismi per risolvere vuoti e collegare regole e qualificazioni differenti.
Nel raffronto tra diritto nazionale diritto comunitario si possono isolare ambiti diversi: un diritto
comunitario non ancora normato o risolto dal diritto nazionale, “un diritto comunitario che è stato
normato dal diritto nazionale”, un diritto comunitario che è stato normato dal diritto nazionale ma
non risolto sotto il profilo della validità o invalidità, “un diritto nazionale non ancora normato dal
diritto comunitario”, un diritto nazionale normato ma non risolto dal diritto comunitario. Ancora,
un diritto nazionale non normabile dal diritto comunitario.
L’ordine di problemi che sta sullo sfondo del tema odierno è quello di quale sia la nozione, di quali
siano i meccanismi generali ed astratti di carattere normativo idonei a risolvere definitivamente le
questioni circa la regolazione di situazioni concrete di fatto da cui sorge un conflitto fra varie
norme concorrenti.
Si può affermare l’esistenza di lacune nel diritto comunitario ? e come si possono colmare? Si
“pesca” da principi comuni od interni?
La Corte costituzionale che ha i poteri limitati dell’art. 11 della Costituzione, non incidendo sul
diritto comunitario non è munita di un potere analogo al giudizio del vecchio art. 177 del trattato,
che attribuisce il potere interpretativo alla Corte di Giustizia; ha un sindacato sulle leggi di
esecuzione dei trattati ed il profilo è quello del diritto penale comunitario.
Il diritto comunitario ha un limite negativo che è precettivo, mentre il diritto costituzionale é un
limite negativo analogamente a quanto avviene nel giudizio di costituzionalità interno.
Le questioni di costituzionalità tramite le leggi di esecuzione del trattato hanno posto i problemi
dei limiti dell’operato costituzionale ai quali rinviamo (circa ad esempio i profili dell’eventuale
incostituzionalità del difetto di protezione nazionale di beni previsti dai trattati per violazione
dell’obbligo comunitario di protezione che verrebbe ad integrare la costituzione).
Non è questa la sede per affrontare una corretta lettura dell’art. 177 del Trattato, (continuo ad usare
la vecchia numerazione per abitudine) circa la sua reale portata, in quanto è pacifico che (ad
esempio per il diritto italiano, avendo il giudice l’obbligo di applicare la legge ed essendo legge
applicabile anche la norma comunitaria), il giudice ordinario, anche di merito, ha l’obbligo di
applicare prioritariamente in caso di conflitto la norma comunitaria, risolvendo la questione
interpretativa.
La “facoltà” letteralmente attribuita al medesimo, e non l’obbligo che invece caratterizzerebbe da
noi il giudice di legittimità, vale a dire del giudice che pronuncia in grado non impugnabile, in
15
ultimo grado sulla questione, potrebbe essere letta nel senso che il 177 attribuisce espressamente
la funzione applicativa della norma comunitaria riservata in via puramente interpretativa e non
applicativa alla corte di Giustizia. La distinzione quindi fra facoltà ed obbligo del giudice di ultima
istanza apparirebbe sfumare se non si desse al 177 una lettura differente.
Tutte le questioni dovrebbero ruotare intorno al come risolvere la definizione di questione
interpretativa, vale a dire questione che possa facoltizzare il giudice alla sospensione del processo
senza lui stesso dare la decisione.
9. La Costituzione Europea non sposta il problema cruciale.
Abbiamo detto in precedenza che vogliamo condurre il discorso in termini di diritto positivo ed
abbiamo fatto l’affermazione che può
sembrare paradossale , se non ulteriormente chiarita,
secondo la quale le considerazioni che vanno fatte debbono prescindere dall’approvazione della
costituzione europea per le considerazioni in ordine al CJ( ed ora al Green Book presentato alla
Commissione euopea l’11 dicembre 2001) ed all’ammissibilità di una potestà criminale in materia
normativa.
C’è il venir meno della distinzione in pilastri nel nuovo progetto di costituzione. Tuttavia, nel terzo
pilastro avevano le convenzioni ed altri istituti di nuova concezione previsti dal Trattato sull’UE
del 1992, istitutivo di uno
spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia. Ricordiamo la
Convenzione Europol del 1995, quelle del 95-96 per l’estradizione semplificata, la Convenzione
del 95 in materia di tutela degli interessi finanziari delle C.E. e quella del 2000 sulla mutua
assistenza giudiziale in materia penale.
Fra gli atti nuovi, ricordiamo le azioni comuni così denominate dal Trattato di Maastricht e
battezzate decisioni-quadro dal trattato di Amsterdam nel 1997, caratterizzati da una sorta di
equilibrio tra il metodo intergovernativo e il metodo comunitario proprio del primo pilastro,
utilizzati sia per armonizzare le fattispecie penali e le relative sanzioni applicabili ai molteplici
settori della criminalità organizzata (tratta di esseri umani, sfruttamento sessuale, riciclaggio,
corruzione privata , partecipazione ad associazioni criminali, frodi e falsificazioni dell’euro e di
altri mezzi di pagamento, riciclaggio, emigrazione clandestina, reati ambientali), sia per migliorare
la cooperazione di polizia giudiziale e giudiziaria (si pensi alla decisione 2001 sull’individuazione,
rintracciamento, congelamento, sequestro, confisca degli strumenti/proventi da reato, quelle del
2002 sulle squadre investigative comuni e mandato di arresto europeo, la decisione 2003
sull’esecuzione dei provvedimenti di blocco dei beni e sequestro probatorio). Questo moltiplicarsi
delle fonti comunitarie di diritto derivato ha determinato una parallela moltiplicazione delle
fattispecie penali soggette all’influenza del diritto europeo, con modificazione profonda di interi
settori del diritto penale sostanziale e processuale, quasi a forma di europeizzazione del diritto
penale.
16
Le decisioni quadro - è stato osservato14 - ricalcando lo schema delle direttive, sono prive di
efficacia diretta, ma sono sottoposte all’interpretazione della Corte di Giustizia e non vengono
supportate dalle procedure di inadempimento da parte della Commissione. Gli ordinamenti penali
nazionali hanno discrezionalità estesa al momento della loro attuazione così da porre addirittura in
crisi la credibilità complessiva di questi nuovi strumenti normativi.
Ricordiamo la solenne proclamazione a Nizza della Carta europea dei Diritti del 2000.
Si è osservato che il progetto di trattato istitutivo di costituzione europea non attribuisce una
generale rivoluzionaria competenza penale all’Unione15. Tuttavia, in alcuni settori del diritto
criminale si prefigge di
riconoscere
a quest’ultimo una competenza concorrente che si
preannunzia ricca di conseguenze negli anni a venire.
Come ancora osserva Bernardi, una fitta trama di norme a carattere più o meno esplicitamente
penale è rinvenibile in tutte e tre le parti del Progetto di trattato, nel quadro di un generale riassetto
dei meccanismi della produzione normativa europea diretta alla loro omogeneazione, con
conseguente attenuazione delle difficoltà collegate alla scelta della base giuridica di taluni
provvedimenti.
Un’espansione del controllo giurisdizionale della Corte di Giustizia sugli atti di diritto derivati,
sulle relative norme interne, e di attuazione.
Un’espressa costituzionalizzazione di alcuni fondamentali diritti e principi in materia penale.
Il venir meno dei tre pilastri posti a fondamento dell’Unione e la conseguente unificazione e
ridenominazione degli atti normativi adottabili in tutti i settori di competenza UE (leggi europee,
leggi-quadro europee in luogo degli attuali regolamenti e direttive) si accompagnano alla
previsione di una lunga serie di disposizioni attributive di competenze penali in molteplici campi
di rilievo UE.
10. Un Progetto di Costituzione che non prevede e non vieta principi regolativi di diritto sugli
istituti penali concorrenti.
Ho sottomano la Bozza Bruxelles 18 luglio 2003 consegnata al Presidente del Consiglio Europeo a
Roma nella medesima data, Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, adottato per il
Consenso della Convenzione europea il 13 giugno ed il 10 luglio 2003, trasmesso al Presidente.
Si segnala al terzo comma del Preambolo che l’Europa riunificata intende operare a favore della
giustizia; al terzultimo comma si dice che l’Europa è unita nella diversità; all’art. 9 (Principi
fondamentali) si statuisce il principio di attribuzione, dove le competenze dell’Unione sono
14
A. Bernardi, Europeizzazione del diritto penale e progetto di costituzione europea, in Dir.pen. e processo, Ipsoa, n.
1/2004, p. 5 e segg.).
15
Sull’argomento, ricordiamo ancora A. Giarda, Giustizia penale e Costituzione per l’Europa, in Dir.pen. e processo,
n. 2/2004, p. 137; F. De Leo, La Convenzione sul futuro dell’europa e la cooperazione giudiziaria in materia penale,
ivi, n. 3/2003, p. 377 e seg.;. G. De Francesco, Internazionalizzazione del diritto e della politica criminale: verso un
equilibrio di molteplici sistemi penali, ivi n. 1/2003, p. 5 e segg.
17
fondate sulla sussidiarietà e proporzionalità. L’unione è limitata dalle competenze conferitele e ove
la competenza non è conferita essa appartiene agli Stati membri. Al terzo comma: nei settori che
sono di sua competenza esclusiva, in base alla sussidiarietà, l’Unione interviene nella misura e se
gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente raggiunti negli Stati.
I Parlamenti nazionali vigilano sul rispetto di tale principio secondo la pronuncia prevista nel
protocollo. La proporzionalità stabilisce che il contenuto e la forma delle azioni dell’Unione non
vanno al di là quanto necessario, che costituirebbe il limite.
L’art. 11 sulle categorie di competenza stabilisce che la competenza esclusiva in un determinato
settore fa sì che l’Unione sia l’unica a poter legiferare ed adotterà atti giuridicamente obbligatori,
salva l’autorizzazione ai singoli Stati. Per il secondo comma, se la competenza dell’Unione è
concorrente con quella degli Stati con un certo settore, sia l’Unione che gli stati possono legiferare
e gli stati esercitano la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria o
ha deciso di cessare di esercitarle.
Come si vede, viene stabilita all’art. 9 la regola generale della necessarietà e sussidiarietà, la quale
dovrebbe poi essere attuata in sede di distinzione tra le competenze esclusive, concorrenti ed
invece tipiche delle varie nazioni. Questo chiaramente involge il tema del diritto criminale e
dell’eventuale competenza del PM europeo e sullo sfondo gli opinamenti sulla fattività del CJ.
Dicevo che i principi di necessarietà e sussidiarietà dovrebbero per un verso presiedere la
distinzione tra le competenze, per l’altro il modo di organizzare la normazione all’interno delle
competenze rispettivamente esclusive concorrenti od escluse.
Fra le competenze esclusive (art. 12 comma I) l’Unione può definire le regole di concorrenza
necessarie al funzionamento del mercato nei settori di politica monetari, commerciale, unione
doganale, risorse biologiche, del mare e per la conclusione di accordi internazionali e previsti in
atto legislativo dell’Unione o allorché tale conclusione di accordi sia necessaria per l’esercizio
delle competenze.
Per l’art. 13 nei settori di competenza concorrente, se non rientra nei settori di cui agli artt.12 e 16,
vi sono il mercato interno, lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, nonché altri ambiti fra cui
l’agricoltura, i trasporti, l’energia, la politica sociale, l’economia, l’ambiente, i consumatori, la
sicurezza in materia si sanità pubblica.
Ferma la clausola di flessibilità dell’art. 17 in base alla quale le azioni necessarie non previste dalla
costituzione fra le attribuzioni possono essere autorizzate dal Consiglio dei Ministri all’unanimità
su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento – dicevamo - fra le
competenze concorrenti vi è lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
Il tema - si anticipa - dei beni, tuttavia, ci porta a vedere come vi sono molti settori di competenza
esclusiva ovvero concorrente dell’unione che sono soliti essere oggetto di normazione anche
18
primaria in materia penale da parte dei singoli Stati membri e, in questo senso, per materia si
intenderebbe convenzionalmente l’ambito fenomenologico di individuazione di problemi sociali
(ad esempio l’ambiente) sulle quali sia i singoli Paesi che le norme comunitarie incidono.
L’art. 41 è centrale, Disposizioni particolari relative all’istituzione dello spazio di libertà, sicurezza
e giustizia istituito dalle norme dei trattati anche - ora - attraverso leggi – quadro europee intese, se
è necessario, a ravvicinare le legislazioni nazionali nei settori elencati nella Parte III, attraverso
anche una cooperazione operativa della Autorità competenti degli Stati membri, compresi i servizi
di polizia, eccetera.
In materia di Titolo VII (Finanze dell’Unione) l’art. 52 stabilisce i principi finanziari e di bilancio
ed al comma VII che l’Unione e gli Stati membri combattono la frode e le altre attività illegali che
ledono gli interessi finanziari dell’Unione in conformità alle disposizioni di cui all’art. 321.
Il Titolo VI (Giustizia) della Parte II all’art. 249 (Principi della legalità e della proporzionalità dei
reati e delle pene) fissa principi generali quali il principio di irretroattività della legge criminale
(“Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che al momento in cui è stata
commessa non costituiva reato secondo il diritto interno od il diritto nazionale, parimenti non può
essergli inflitta un pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato
commesso. Se successivamente alla commissione del reato la legge prevede l’applicazione di una
pena più lieve occorre applicare quest’ultima. Il presente articolo non osta al giudizio o alla
condanna di una persona colpevole di un’azione o di un omissione che al momento in cui è stata
commessa costituiva un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni. Le
pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato”.).
L’art. 250 (Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato – il principio del
cd. ne bis in idem) fissa che “Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il
quale è stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva
conforme alla legge”.
L’art. 252 (Portata ed interpretazione dei diritti e dei principi) al comma III dice “Laddove la
presente carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli
stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione. La presente disposizione non
preclude il diritto dell’Unione di concedere una protezione più estesa. Laddove la presente Carta
riconosca i diritti fondamentali quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati
membri, tali diritti sono interpretati in armonia con dette tradizioni”.
Al successivo comma VI si ritiene pienamente conto delle legislazioni e prassi nazionali “come
specificato nella presente carta”.
19
L’art. 349: “qualora sia necessario per conseguire gli obiettivi di cui all’art. 358 in particolare
per quanto riguarda la prevenzione e la lotta contro la criminalità organizzata, il terrorismo e la
tratta degli esseri umani, la legge europea può definire un quadro per misure concernenti
movimenti di capitale e pagamenti, quali il congelamento di capitali, dei beni finanziari e dei
proventi economici appartenenti, posseduti o detenuti da persone fisiche o giuridiche, gruppi od
entità non statali. Il Consiglio dei Ministri su proposta della Commissione adotta regolamenti
europei o decisioni europee per attuare la legge di cui al primo comma”.
L’art. 362 (Una legge-quadro europea) stabilisce le misure riguardanti l’armonizzazione delle
legislazioni relative alle imposte sulla cifra d’affari etc. “qualora” (comma II) “il Consiglio dei
Ministri constati che le misure riguardano la cooperazione amministrativa e la lotta contro la
frode fiscale e l’elusione fiscale illecita delibera, in deroga al paragrafo 1, a maggioranza
qualificata etc”.
L’art. 363 (Misure relative all’imposta sul reddito delle società riguardo alla cooperazione
amministrativa o la lotta contro la frode fiscale e l’elusione fiscale illecita) adotta una leggequadro europea che stabilisce tali “misure necessarie per assicurare il funzionamento del mercato
interno”.
L’art 358 capo IV (sullo spazio di libertà, sicurezza e giustizia) ribadisce “la realizzazione dello
spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali tenuto conto delle
diverse tradizioni e diversi ordinamenti giuridici degli Stati membri”.
Art 360: “I Parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà e
proporzionalità”.
Art. 368: “L’Unione sviluppa una politica comune dell’immigrazione, stabilisce le misure nei
settori di condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi che soggiornano legalmente
in uno stato, comprese le condizioni che disciplinano la libertà di circolazione e soggiorno negli
Stati membri”.
La Sezione quarta (Cooperazione giudiziaria in materia penale) è, all’art. 371, centrale.
Al comma I si stabilisce il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e si
contempla il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati nei settori di
cui al Paragrafo II Articolo 372. “ La legge o la legge-quadro europea stabilisce misure per
definire norme e procedure per il riconoscimento in tutta l’Unione di tutte le forme di sentenza e di
decisione, per prevenire e risolvere i conflitti di competenza, favorire la formazione, facilitare la
cooperazione della autorità giudiziarie o omologhe
in relazione all’azione penale o
all’esecuzione delle decisioni, per facilitare il riconoscimento delle decisioni giudiziarie nelle
materie penali che presentano una dimensione transnazionale la legge-quadro può stabilire norme
minime riguardanti: l’ammissibilità reciproca delle prove tra gli Stati membri, i diritti della
20
persona nella procedura penale, i diritti delle vittime della criminalità “ e, molto importante alla
lettera d), “ altri elementi specifici della procedura penale individuati dal Consiglio dei Ministri in
via preliminare mediante una decisione europea. L’adozione di tali norme minime non osta agli
Stati membri di mantenere ed introdurre un livello più elevato di tutela dei diritti della persona
nella procedura penale”.
L’art. 372: “La legge quadro può stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle
sanzioni in sfere di criminalità particolarmente gravi che presentano una dimensione
transnazionali derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare
necessità di combatterli su basi comuni. Sono: terrorismo, tratta di esseri umani, sfruttamento
sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di stupefacenti, di armi, riciclaggio di capitali,
corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità
organizzata. In funzione dell’evoluzione della criminalità, il Consiglio può adottare una decisione
che individui altre sfere di criminalità che rispondano ai criteri di cui al presente paragrafo.
Allorché il ravvicinamento delle norme di diritto penale si riveli indispensabile in un settore
oggetto di misure di armonizzazione, la legge quadro può stabilire norme minime relative alla
definizione dei reati e delle sanzioni nel settore in questione”.
Salvo il cenno dell’art. 374 (The Eurojust) che omettiamo, centrale è che “la legge europea del
Consiglio dei Ministri può istituire una Procura europea a partire dall’Eurojust. Il Consiglio dei
Ministri delibera all’unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo. La procura
europea è competente per individuare, perseguire e trarre in giudizio, eventualmente in
collegamento con l’Europol gli autori di reati gravi con ripercussioni in più Stati membri, di reati
che ledono interessi finanziari dell’Unione quali definiti
dalla legge europea prevista nel
Paragrafo 1 ed i loro complici. Esercita l’azione penale per l’azione penale per tali reati innanzi
agli organi giurisdizionali competenti degli Stati membri. La legge europea di cui al Paragrafo 1
stabilisce lo statuto della Procura europea, le condizioni di esercizio delle sue funzioni, le regole
procedurali applicabili alle sue attività ed all’ammissibilità delle prove, le regole applicabili al
controllo giurisdizionale degli atti che adotta nell’esercizio delle sue funzioni”.
Ancora in questa carrellata spicca l’art. 3.321 “L’unione e gli stati membri combattono la frode e
gli altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, mediante misure adottate a
norma del presente articolo.” Sono dissuasive. “Gli stati membri adottano per combattere la frode
agli interessi finanziari dell’Unione le stesse disposizioni che adottano per combattere la frode che
lede i loro interessi finanziari”.
Fatte salve le altre disposizioni della Costituzione ”gli Stati coordinano l’azione diretta a tutelare
gli interessi finanziari dell’Unione contro la frode. A tal fine organizzano con la Commissione una
stretta e regolare cooperazione con le autorità competenti. La legge o la legge quadro europea
21
stabilisce le misure necessarie nei settori della prevenzione e lotta contro la frode che lede gli
interessi finanziari dell’unione al fine di offrire una protezione efficace ed equivalente in tutti gli
stati membri. E’ adottata previa consultazione della Corte dei Conti”.
L’impressione, leggendo queste norme, è che non abbia torto Bernardi nell’ osservare che ben
poco sembrerebbe destinato a cambiare
sotto il profilo dei rapporti tra diritto non penale
dell’Unione e diritto penale nazionale. Istituti come il principio di sussidiarietà, di necessarietà, il
ricorso alle norme minime e gli spazi sulle definizione di fattispecie poste a presidio degli interessi
finanziari dell’unione o di forme transnazionali del reato, sotto il profilo della base giuridica
spostano sostanzialmente il meccanismo normativo nel senso che espressamente attribuiscono
detta competenza agli organi, alle istituzioni comunitarie, senza tuttavia poter modificare sotto il
profilo complessivo la portata della discussione.
Quello che interessa pertanto ai fini della presente relazione non è la novità contestuale alla nuova
approvanda Costituzione europea, quanto il residuare dei problemi, già ampiamente aperti, anche
dopo l’approvazione della Costituzione europea.
Certamente il puro e semplice testo di un progetto non può modificare i nostri orientamenti
interpretativi che debbono essere ancorati al diritto vigente. Nell’ipotesi di approvazione di questo
progetto di costituzione europea, si profilerà l’alternativa di ritenere che, ove per un verso la
costituzione europea prevede espressamente la potestà normativa in materia penale, pur senza
definire “per natura” la materia criminale, in capo all’Unione europea, questa competenza ora
sarebbe esclusa, ovvero, in alternativa, ove viene prevista questa potestà, i suoi limiti potrebbero
essere intesi come delle precisazioni di limiti attualmente invece non esistenti nelle forme ampie
del Trattato che presuppone, inserendolo nel terzo pilastro, l’unico divieto delle fonti comunitarie
di normare in materia di applicazione della legge penale e di amministrazione della giustizia.
Puramente definitoria, la novità risiederebbe nella previsione in astratto nella possibilità e di
adottare misure e di adottare norme individuatici di fattispecie tanto per i reati cd. transnazionali
che per i reati volti a ledere gli interessi finanziari della comunità anche a mezzo delle frodi.
Sotto il profilo formale non esistono divieti di normare in materia di applicazione della legge
penale. C’è un rinvio alle tradizioni giuridiche dei singoli paesi e, in ogni modo (questo sembra
intangibile) alle giurisdizioni nazionali, pur in presenza del PM europeo.
Esistono, tuttavia, dei principi – direi gli unici - fissati a livello “costituzionale” in materia penale,
verosimilmente agganciati al mutuo riconoscimento delle decisioni ed eventualmente ai criteri di
ammissibilità delle prove, per quanto riguarda il divieto di retroattività della norma penale, sia
sotto il profilo dell’incriminazione che quello della nozione e con riferimento al principio del ne
bis in idem. Sarà interessante vedere come si svilupperà la discussione dottrinaria circa i rapporti
tra questi due principi cardine caratteristici non solo del diritto penale, ma sicuramente anche e
22
soprattutto del diritto criminale, in relazione- dicevo – anche alle potestà legislative che vengono
attribuite alle istituzioni comunitarie in materia criminale. Se vengono direttamente “fissati” a
livello costituzionale questi due principi, sorgerà il profilo esegetico della portata “espansiva” della
suddetta norma sotto il profilo della sua incidenza diretta negli ordinamenti nazionali e della sua
funzionalità nel quadro dello sviluppo e dell’integrazione dell’ordinamento comunitario in materia
criminale, a prescindere comunque dal contesto dei reati di rilievo comunitario. In altri termini si
dovrà acclarare se questi principi valgano per tutti gli ambiti del normabile penalmente tipici dei
vari paesi o soltanto per gli ambiti
che sono di competenza così esclusiva o concorrente
comunitaria.
La portata del principio è notevole, nel senso che il perfezionamento di un processo per un fatto
che in astratto può essere considerato reato per più di un paese, comporterebbe l’improcedibilità
dell’azione (mi riferisco al principio del ne bis in idem, principio visto sotto il profilo processuale)
in ogni altro paese. Il principio porta con sé la ratifica, senza prefissare norme di competenza,
dell’attività processuale svolta nel singolo paese membro. Già il diritto internazionale
convenzionale sta introducendo principi omologhi. 16
Il principio di irretroattività della norma penale si può piegare, tuttavia, ad un’altra conseguenza.
Qualora in un paese membro venga prevista la responsabilità penale per fatti che in quel paese
membro precedentemente non erano considerati reati, la responsabilità penale certamente non
potrebbe essere ritenuta in quel paese membro, ma tranquillamente potrebbe essere ritenuta in quel
paese membro se in un altro paese membro il reato era considerato tale dalla legge.
Si rammenti Cass. S.U. 8 maggio 1999, Polo castro, ricordata da T. Basile( Adeguamento dell’ordinamento giuridico
nazionale alla Convenzione eupea dei diritti dell’uomo, in Dir.pen. e processo, n. 7/2202, p. 907 e segg.) sulla natura
direttamente precettiva delle convenzioni munite di modelli di atti interni completi dei suoi elementi essenziali.
Sia pure parzialmente, l’affido nazionale all’attribuzione di rilevanza al fatto di reato altrove operata, postulatane
l’identità, è il presupposto logico di Convenzioni, attuate ad esempio in d.l. 28.12.1993 conv. con modificazioni nella
recente L. 14 febbraio 1994 n. 12A (disposizioni in materia di cooperazione con il tribunale internazionale competente
per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nei territori della ex-jugoslavia (e ora la L. 2 agosto 2002 n. 181Tribunale internazionale per il Ruanda), le quali riservano ad altra giurisdizione la decisione, con la conseguenza del ne
bis in idem. Ritorneremo in seguito sul punto della verifica o meno della doppia incriminazione. Bast qui il riferimento
a enfatizzare la parziale circolazione del modello di reato (v. S. Zappalà, La cooperazione dell’ Italia con il Tribunale
di Arusha, in Dir.pen. e processo, n. 10/2002, p. 1293) a prescindere dalla qualificazione (punizione come reato
comune). Non si tratta qui di mutuo riconoscimento e di circolazione integrale del modello con le relative
qualificazioni, come ad esempio di reati relativi al mandato di arresto europe di cui infra (v. E. Rosi, L’elenco dei reati
nella decisione sul mandato di arresto europeo: l’U.E. “lancia il cuore oltre l’ostacolo”, ibidem, n. 3/2004, p. 377,
ancora, J.P. Pierini, L’attuazione del mandato d’arresto europeo: l’extradition act 2003 e l’EuHbg tedesca, ivi, n.
4/2004, p. 513 e segg).: qui è interessante la distinzione fra il Double Jeopardy Rule e il non coincidente ne bis in idem
perché attinente alla medesima offence, “ mentre “successive imputazioni” per il medesimo ‘fatto’ possono dare luogo a
discharge discrezionale in base alla Abuse of Process Rule” ).
Profilo ancora differente è investito (v. R. Bellelli, Come adattare l’ordinamento giuridico italiano allo Statuto della
Corte dell’Aja, p. 1299 e segg. di Dir.pen. e processo, n. 10/2003) dai crimini sottratti alle regolazioni territoriali del
locus commisi delicti, il che pone problemi diversi di circolarità del modello legale di crimine. In generale, riterremmo,
anche per i paesi che adottano un principio universalistico di estensione della giurisdizione, che le convenzioni attuino e
presuppongano l’assorbimento nelle qualificazioni dei crimini delle fattispecie interne, meno speciali rispetto ai primi.
In generale si veda sul problema P. Rivello, I crimini di guerra secondo lo Statuto della nuova Corte dell’Aja, Dir.pen.
e processo n. 9/2003; sulle Corti v. E. Gallo, Istituzioni di giustizia sovranazionale aventi sede in Europa, in Diritto
penale e processo, n. 8 e n. 9/2001, da pag. 1035 e 1169.
16
23
Questo chiaramente si verifica nell’ipotesi in cui dal raffronto, dall’integrazione dei principi
accolti di universalità temperata, dovessero porsi problemi di frizione tra di loro, nel senso che per
un fatto commesso in un paese terzo ai danni dello stato, del paese che ha già previsto
l’incriminazione, qualora il fatto fosse punito successivamente per legge di un secondo paese
membro si porrebbe il problema di quale sia la legge applicabile e se vi sia violazione da parte di
questo secondo paese membro del principio introdotto costituzionalmente. Non esistono infatti
criteri, a livello di costituzione europea, di regolazione del rapporto fra la extraterritorialità
caratteristica dei vari ordinamenti.
Parimenti non esistono criteri regolatori circa il locus commisi delicti, mentre invece le uniche
disposizioni sono dettate relativamente all’efficacia della legge penale nel tempo, senza però
collocare espressamente tale disciplina nell’ambito della disciplina di rilevanza penale per legge
comunitaria di nuova emanazione.
Ci limitiamo a richiamare quanto è stato osservato puntualmente da Bernardi sul fatto che la leggequadro sarebbe chiamata solo in via facoltativa a dettare norme di armonizzazione penale (comma
I paragrafo 1 dell’art. 3.172: viene usato il verbo “può”) e dovrebbe farlo esclusivamente
attraverso il ricorso a norme minime, dove per contro, nell’art. III.321 in tema di lotta alle frodi
comunitarie, viene eliminato il verbo “potere” (le misure da utilizzarsi ai fini preventivi e
repressivi non devono essere necessariamente minime).
Le norme di armonizzazione penale, oltre ad essere facoltative e minime, devono essere
indispensabili (art. 3. 172 par. 2 comma I).
Per quanto riguarda l’adozione della legge-quadro di armonizzazione per le norme penali
processuali, le due modifiche più recenti del 9 dicembre 2003 prevedono che l’impiego di norme
minime non sia solo facoltativo, ma deve essere necessario, tenendo conto delle differenze tra le
tradizioni ed i sistemi giuridici degli stati membri, soprattutto fra i sistemi detti di common law e
gli altri.
L’addendum (a fine par. 2 dell’art. III.171 e nuovo par. 3 del III.172) prevede la clausola di
salvaguardia che consente al membro del Consiglio, se il progetto di legge-quadro appare in
contrasto con il principi fondamentali del proprio sistema giuridico, di domandare l’adizione del
Consiglio con sospensione della procedura di adozione di tale atto normativo.
Il par. 1 del 3.171 e dell’originale 3.175 ed il comma II del par. 1 dell’art. 3.172 prevedono che le
misure per il mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie (o risolvere i conflitti di
competenza, favorire la formazione, facilitare la cooperazione etc) siano stabilite anche con legge
europea, non solo quadro, la quale al pari dell’attuale regolamento comunitario, preclude
ai
paesi dell’unione europea margini di manovra perché obbligatoria in tutti i suoi elementi e
direttamente applicabile in ciascuno degli stati membri.
24
Si è detto che se si è posto un meccanismo di riconoscimento reciproco, così che la decisione –
quadro sul mandato di arresto europea è diventata operativa l’ 1.01.2004, diverso sarebbe per il
PM europeo, perché l’Addendum 9.12.2003 al nuovo art. 3.175 prevede che la competenza sarebbe
non estesa alle manifestazioni di criminalità grave transnazionale, ma soltanto ai reati lesivi degli
interessi finanziari dell’Unione. Paragrafo 4 dell’art. prevede l’estensione, appunto, ad ulteriori
forme di criminalità solo a seguito di decisione adottata dal consiglio all’unanimità, previa
consultazione con il parlamento e la commissione ed approvazione degli stati membri della
modifica conformemente ai relativi meccanismi costituzionali.
Certamente la costituzione europea prevede espressamente una potestà normativa con precisi
vincoli procedurali ed istituzionali in materia penale, anche nei settori in cui appare necessario il
ricorso a disposizioni comuni minime in tema di ravvicinamento in settori dove vi sono stati
interventi di armonizzazione.
Manca, al di là di questa potestà astratta conferita alle istituzioni comunitarie, una definizione
comune di norma penale.
11. Più basi giuridiche in competizione. Quali semafori adottare?
Sotto il profilo istituzionale direi che può essere sufficiente quanto appena osservato in ordine a
qual sia o quale possa essere la base giuridica del pubblico ministero comunitario.
Tuttavia, vorremmo ritornare sulla necessità di individuare una base giuridica nel senso tecnico,
vale a dire nel senso di attribuzione all’Unione europea di potestà normativa nelle materie da essa
regolate. E’ quindi direi insufficiente affrontare il tema della base giuridica se non con riferimento
alle materie sulle quali eventualmente può insistere un “rafforzamento” sotto il profilo di norma
penale. E’ da apprezzare l’abbandono (e in questo senso parlo da posizione minoritaria, nel
contesto degli studiosi della materia in Italia) della cosiddetta Parte generale (vale a dire l’idea di
creare un corpo autonomo di norme sulle norme speciali incriminatici). Dall’altra, va rimarcata la
fissità del Progetto di CJ limitatamente all’individuazione di questo istituto puramente processuale
che é il PME, il quale dovrebbe semplicemente divenire il titolare di un’azione che invece è
strettamente ancorata sul piano sostanziale dei diritti o delle potestà pubbliche, in questo caso
sopranazionali o ipernazionali, comunitarie.
Il problema non è puramente terminologico. Le modalità di rinvio ai diritti nazionali secondo il
programma del CJ dovrebbero lasciare da un canto il tema della normazione in materia penale che
perviene al profilo sostanziale, per spostare il tema della autoattribuzione di una potestà in materia
penale al puro piano procedurale, come se la procedura non rientrasse a pieno titolo nel settore
penale (in molti paesi è sconosciuta la distinzione) a mezzo di una facoltà che le istituzioni
comunitarie si arrogherebbero di individuare, per così dire, dei puri e semplici criteri di
competenza, interna alla singola nazione, fra PM nazionale e PM comunitario inteso come
25
emanazione del PM generale comunitario, il quale avrebbe competenza ‘per certi reati, ritagliati a
livello comunitario fra più ampi reati individuati a livello nazionale, per agire e quindi per
esercitare l’azione penale davanti al medesimo giudice, e così senza cambiare il Giudice naturale,
senza cambiare l’istituto sostanziale, senza cambiare fattispecie, ma semplicemente in virtù di un
criterio di attribuzione di una competenza sul piano della pura e semplice azione.
Ciò è stato osservato acutamente a più riprese nel contesto europeo come allontanamento da quella
che è stata la genesi propria della pretesa punitiva nel momento in cui si emancipò dalla pretesa al
mantenimento o comunque alla garanzia di un certo bene attraverso semplicemente la creazione di
un soggetto che poteva far valere il diritto e giungendo, dal punto di vista generale, ad una frattura
del principio di giurisdizione.
Contrarietà alla Parte generale da parte nostra è stata stimolata dalla considerazione evidente che
nessuna iniezione di principio giuridico o di fattispecie può prescindere dalla sua integrazione con
i principi della Parte generale interna che vanno dal rapporto che passa tra i fatti che devono essere
investiti dall’elemento psicologico in tutte le sue forme rispetto a quelli che non devono essere
investiti (i cd. accidentalia delicti, le circostanze). Su questo ogni Paese fa le sue opzioni.
Contemporaneamente anche il disegnare delle distinzioni fra sfere di tutela optando ad esempio per
una tutela più avanzata, una estensione della tutela per responsabilità colposa, dove l’elemento
psicologico illumina solamente un pezzo del fatto, questa è una tendenziale differenza tra i vari
Paesi.
I vari paesi di fatti hanno queste libertà: l’optare per forme (direi) più di moltiplicazione della
qualificazione e della sanzione giuridica rispetto agli stessi fatti, individuando, anche
implicitamente, attraverso la normazione, vieppiù in assenza dei principi di specialità neppure
impliciti (come accade in Francia), il ricorso al principio sostanzializzato del ne bis in idem;
estendendo l’ambito – o restringendo – del concorso materiale dei reati o del concorso formale dei
reati, anche senza la categoria del concorso apparente dei reati.
12. L’interesse della visione minimale del Green Book. Paradigma scientifico da integrare tenuto
conto dei diritti vigenti.
Ho dedicato uno studio separato sui profili del GB pubblicato sul sito OLAF. In questa sede è utile
effettuare una sintetica rassegna dei punti in ordine ai quali si può affrontare il tema generale
dell’ammissibilità dei limiti di una normazione comunitaria in materia penale, sulla
presupposizione della possibilità di individuare un’azione di diritto penale valevole in sede
comunitaria, in questo senso comune ai vari paesi membri.
Questo tipo di valutazione sull’ammissibilità va effettuata in termini di scienza giuridica, che
guardi al diritto positivo, le cui acquisizioni poi sono suscettibili di essere utilizzate per operazioni
di tecnologia giuridica.
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Interessano soltanto problemi di natura tecnica, nel senso di verificare la fattibilità delle soluzioni
proposte con riferimento a meccanismi di compatibilità o compatibilizzazione fra gli ordinamenti
nazionali e l’ordinamento comunitario, nel doppio senso reciproco. Alludiamo all’uso del termine
consistency tipico della dottrina giuridica anglosassone e sviluppata ad esempio nell’opera di
Friedrick August von Hayek
Ci limiteremo a enumerare i problemi che appaiono di difficile soluzione sotto il profilo della
strutturazione delle fonti e dei meccanismi di funzionamento delle fonti di diritto comunitario, in
principal modo del diritto penale comunitario, sia con riferimento alle singole articolazioni e alle
singole soluzioni di compatibilizzazione, che possono essere date in maniera compatibile con i
concorrenti ordinamenti nazionali, da una parte delle relazioni tra di loro singoli nazionali e
dall’altra nazionali nel loro complesso con l’ordinamento comunitario attraverso il suo
funzionamento ed attraverso la sua progressiva integrazione.
Vedremo che appaia intelligente lo slittamento del GB rispetto alle due versioni del CJ nel senso di
espungere la parte generale, in quanto la parte generale avrebbe complicato a dismisura i problemi
di coordinamento e di riflessione del diritto comunitario criminale nel diritto interno.
In questo senso appare interessante l’operazione contenuta nel GB e in parte nel CJ di rinviare
contestualmente non a un unico diritto nazionale, che venga ridisegnato sotto un profilo minimale,
ma a tanti diversi diritti nazionali. Chiaramente ciò avviene con riferimento ad isolati settori di
competenza, all’interno della disciplina penalistica; il diritto penale inteso come tecnica di tutela o
modo di disciplina destinata a tutelare in materie anche diverse tra di loro per poter fornire una
protezione efficace e legittima ai sensi dell’ art. 280 del Trattato deve rispondere a condizioni di
funzionamento non necessariamente come sistema.
Il PM europeo, come configurato dal GB, con riferimento alla strumentazione processuale, alla
raccolta delle prove e ad altro, non provoca il rinvio al diritto sostanziale di un paese, ma- e questo
è uno dei temi che vedremo - corre il rischio di potere spostare il diritto sostanziale applicato, nel
senso che le articolazioni processuali (ad esempio attraverso i sistemi di competenza) possono far
sì che vada ad applicarsi un diritto sostanziale diverso rispetto a quello per così dire naturale.
Il tema del diritto sostanziale di matrice comunitaria difatti non si sposta se si considera che il GB
muove fra l’idea di
individuare una lista di fattispecie incriminatici che
costruirebbero
unicamente l’oggetto di un criterio di ripartizione della competenza processuale tra procuratore
nazionale e procuratore europeo e, invece, l’ambizione di introdurre, sia pur con la nomenclatura
definitoria di distinzione delle competenze, vere e proprie fattispecie incriminatici di derivazione
comunitaria che attribuirebbero, seppure scaturite da fonte comunitaria, al Giudice comunitario che
si identifica con il giudice nazionale, la competenza a pronunciarsi in materia di fattispecie
incriminatici poste a tutela dei beni comunitari.
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Bisogna tenere conto del fatto che non é necessariamente vero, atteso l’incrocio delle norme sia
procedurali che sostanziali definitorie comunitarie, che – dicevo - attraverso la strumentazione
‘definitoria’ del contenuto delle fattispecie incriminatici il giudice nazionale, operando come
giudice comunitario (comunitarizzato), abbia a sua disposizione solo e soltanto fattispecie
incriminatrici finalmente armonizzate e identiche nei vari Paesi.
Difatti, a meno di non ricorrere ad una codificazione integrale, unica, questo profilo differenziale
di tendenziale diversità di trattamento appare inevitabile, date le reviviscenze ‘endogene’ costanti
attraverso l’opera pretoria, ermeneutica, dei giudici nazionali, dovrebbe essere ammissibile la
semplice individuazione di fattispecie le quali, lette internamente ai singoli ordinamenti nazionali,
comporterebbero l’acquisizione di meccanismi ermeneutici progressivamente omologhi. Questi, a
loro volta, potrebbero continuare a circolare in via interpretativa nell’ordinamento comunitario nel
suo complesso, inteso anche come insieme connesso degli ordinamenti
nazionali, e quindi
accelerare un processo di progressiva integrazione anche attraverso la via pretoria.
Nella visione del GB è stato sostenuto come l’art. 280bis del Trattato potrebbe essere configurato
come attributivo di una delega al Consiglio, indicandogli i temi di massima direttivi (questo è il
ragionamento ai fini di vedere la compatibilità con la Costituzione italiana dell’adozione da parte
di un paese membro di questo Trattato modificativo dell’art. 280bis) in ordine all’individuazione
di elementi di fattispecie a condizione di una loro previa illegalità, sull’unico presupposto della
lesività o idoneità lesiva o pericolo di lesione in ordine ad un bene definito come sopranazionale e
costituito dagli interessi finanziari della Comunità.
L’attività seguirebbe questi principi:
a)
pura competenza di attribuzioni circoscritta;
b)
rispetto del principio di sussidiarietà;
c)
rispetto del principio di proporzionalità;
d)
applicazione del principio dell’extrema ratio.
Il minimo necessario per esercitare l’azione penale, la quale verrebbe esercitata in maniera
equivalente contro le attività illecite lesive sull’intero territorio della Comunità.
Il diritto nazionale sarebbe il diritto regolativo, sia sotto il profilo sostanziale (in questo modo si
by-passa il problema della scelta del corpo di norme di parte generale) sia per quanto riguarda le
norme sostanziali, sia per quanto riguarda le norme procedurali, ove non eccezionalmente emanate
attraverso il diritto comunitario.
Non si amplierebbero le competenze sostanziali della Comunità., L’ambito degli interessi
finanziari sarebbe definito dall’art. 280 e comprenderebbero i bilanci generali, i bilanci gestiti dalle
Comunità e via dicendo.
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Con questa visione la procura europea in senso tecnico andrebbe a colmare una lacuna e sarebbe
strumento supplementare articolato armonicamente con i singoli ordinamenti nazionali giuridici,
attraverso procuratori europei delegati ubicati negli stati, mettendo i tribunali nazionali in grado di
giudicare in alcuni settori con le comuni risorse proprie e qui i tribunali nazionali sarebbero
giudici di diritto
comunitario applicando a particolari categorie di reati le norme integrate
nell’ordinamento giuridico nazionale, analogamente a come si applicano le regole di diritto
comunitario in tutti i settori del trattato.
La procura difenderebbe interessi e beni giuridici sopranazionali, soprattutto finanziari, della
comunità indipendenti e tutelati da fattispecie incriminatrici
comuni, davanti ad un giudice
nazionale (il quale non sarebbe un organo giurisdizionale comunitario) per giudicare sul merito.
Ora, in questo senso, l’apertura fatta dal Progetto di costituzione potrebbe indurre verosimilmente
– questa é una considerazione direi di tecnologia giuridica – a ritenere di potere operare
direttamente delle individuazioni di fattispecie e di fare riferimento ad un giudice nazionale
come vero e proprio giudice comunitario; ma questo comporterebbe i medesimi problemi di
interferenza.
13. I problemi cruciali della circolazione dei momenti giuridici provvisori e definitivi nazionali di
attribuzione di rilevanza al fatto-reato (prove, rimedi cautelari, sentenza).
Abbiamo sollevato già a suo tempo un profilo di difficoltà di compatibilizzare lo scorporamento
fra un azione pubblica ed il diritto sostanziale rispetto al principio giurisdizionale
costituzionalizzato, sotto il profilo della compatibilità fra normative comunitarie e normative
costituzionali (ad esempio richiamammo la Corte costituzionale tedesca piuttosto che quella
italiana).
Questa difficoltà è dimostrata dalle difficoltà in materia di criteri di attribuzione di competenza
territoriale e sostanziale, i cui conflitti dovrebbero essere risolti nella visione della Corte di
Giustizia.
Anche problemi relativi all’applicabilità sia del giudicato che del ne bis in idem costituiscono il
tema che in qualche maniera dipende dallo scorporo dell’azione dal diritto sostanziale fatto valere.
Verosimilmente non è possibile, sotto il profilo dell’ulteriore riconoscimento reciproco in ambito
comunitario delle prove acquisite, altra soluzione che non sia
ammettere puramente e
semplicemente la validità delle prove altrimenti acquisite, vale adire acquisite in altri paesi
membri, tenendo però presente la distinzione fra i vari profili della ammissibilità delle prove, della
loro assunzione, della loro utilizzazione, dell’attribuzione di rilevanza alle stesse, nonché di altri
eventuali profili.
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Al giudice nazionale non potrà mai essere impedito di applicare il proprio diritto sostanziale
integrato con quello comunitario, ad esempio sotto il profilo della attribuzione di rilevanza a prove
che, comunque, devono essere previamente ammesse, assunte, ritenute ammissibili, utilizzate.
La circolazione delle prove avverrebbe così in maniera differente.
Analogo discorso si fa per l’ammissibilità e il riconoscimento degli interventi incisivi sulla libertà
delle persone e delle cose.
E’ stato sostenuto che la connessione possa essere un profilo di diritto sostanziale, analogamente a
quanto accade, diremmo noi, per la continuazione e, anche se l’espressione è forzata, per quanto
riguarda lo sviluppo e la vita temporale del reato, con riferimento al tempus commisi delicti, che
comunque genererebbe un’attrazione della competenza o comunque della giurisdizione, con
riferimento al fatto principale del reato realizzato.
14. Se la legge penale deve applicarsi a tutti, l’azione penale deve essere obbligatoria
Si è sostenuto che vi è la doppia possibilità di riservare i reati connessi al PM nazionale oppure
attrarli al PM comunitario.
Nulla quaestio sulla possibilità di uno svolgimento congiunto ovvero separato delle indagini.
Tuttavia avremmo seri dubbi nel ritenere che possa aversi un’attrazione per i reati connessi. Il PM,
investito dei reati per cui si possa parlare di connessione in relazione ad altri reati, se – appunto –
trattasi di PM comunitario, dovrà trasferire il fascicolo al PM nazionale o viceversa, affinché possa
essere esercitata obbligatoriamente l’azione davanti al giudice naturale precostituito per legge.
In qualche modo il PM essendo il titolare di un’azione è anche lui il PM naturale. Il principio non
è costituzionalizzato, ma è sicuramente un tema su cui riflettere.
Penseremo quindi ad una delega esclusiva ai procuratori nazionali delegati ed europeo che tuttavia
debbono obbligatoriamente esercitare l’azione penale.
Nessuno spazio, quindi, riterremmo di dare, a forme di discrezionalità.
Non ritenere obbligatoria l’azione penale in senso stretto e secco significherebbe derogare al
principio della conformità dell’applicazione della legge penale comunitaria in tutta la comunità.
Parimenti non dovrebbero essere derogati i criteri di competenza del PM sotto il profilo della sua
competenza territoriale.
15.Una giurisdizione esclude l’altra nello stesso territorio( europeo).
Per quanto riguarda le norme di delimitazione della competenza della procura europea, le stesse
sono definitorie dell’area sostanziale di illiceità penale comune, per la cui sanzione è data azione
al PM europeo. Non dovrebbe essere
derogabile l’insieme di questi criteri di competenza
individuatori dei contenuti interni ed esterni delle fattispecie incriminatici di rilevanza comunitaria.
L’idea di obbligatorietà dell’azione penale richiede logicamente l’esatta definizione del parametro
sostanziale che, definendo i fatti perseguibili, fa scattare l’obbligo del suo esercizio.
30
In seguito faremo alcuni cenni al contenuto della fattispecie di frode di corruzione e di riciclaggio
e di associazione per delinquere e abuso di ufficio.
Riteniamo interessante l’idea contenuta nel GB di limitare le nozioni di parte generale come
relative all’istigazione, all’aiuto, al tentativo, ai criteri associativi, ai criteri per il concorso di
persone, nonché all’esatto dimensionamento delle sanzioni (se prevedere un livello massimo o un
livello minimo). Stesso discorso vale per il concorso apparente del reato e le opzioni per il cumulo
giuridico o il cumulo materiale.
Anche il tema della prescrizione è un profilo che andrebbe parzialmente regolato, stante la
diversità di trattamento.
16.Cenni all’autonomia del PME ( assicurata dalla obbligatorietà dell’azione).
Occorre senz’altro richiedere, sia per il PM generale europeo sia per i procuratori delegati i
medesimi requisiti, le medesime condizioni richieste per l’esercizio nei rispettivi paesi delle più
elevate funzioni giurisdizionali (funzioni di Cassazione superiori direttive, nel linguaggio italiano).
Dovrebbe altresì insistersi per richiedere l’attualità, al momento della presentazione della domanda
(al fine di concorso) e delle designazioni, della titolarità delle funzioni giurisdizionali direttive
superiori in base all’ordinamento giudiziario, o quanto meno l’idoneità a ricoprire dette funzioni
direttive superiori.
E’ neutra la
rinnovabilità o meno del mandato. E’ necessario un autonomo ordinamento
giudiziario che attivi lo statuto e le affidi garanzie di tutela e responsabilità disciplinare ad un
organo nuovo.
Lo stesso per la possibilità di una destituzione d’ufficio a cura di un organo disciplinare istituito
eventualmente presso o a fianco della Corte di Giustizia.
La designazione dovrebbe essere effettuata su domanda indipendentemente dalla proposta dello
Stato di origine, purché in presenza di titoli. La nomina dei delegati dovrebbe essere fatta con gli
stessi sistemi.
Sottrazione sotto il profilo gerarchico e funzionale del PM comunitario all’ordinamento di
appartenenza, con uno status europeo autonomo anche per i procuratori delegati.
Esclusa la cumulabilità di funzioni, il mandato dovrebbe essere a tempo indeterminato, così come
avviene nei Paesi di competenza.
Eliminare la discrezione dello Stato membro in ordine alla scelta di cumulo.
Coordinare, rispetto ai procedimenti disciplinari anteatti, la permanenza nelle funzioni del PM
europeo.
17. Il reato sul territorio europeo.
Il tema centrale, per quanto detto, agli aspetti sostanziali, è l’ambito di competenza territoriale del
PM europeo. Sicuramente dovrebbe esserci in territorio europeo uno spazio giuridico (europeo)
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all’interno di tutto il quale il procuratore delegato possa operare indipendentemente
dall’autorizzazione del procuratore europeo capo. Fermo l’obbligo del procuratore delegato di
agire quanto meno informandolo, in cooperazione con il procuratore europeo corrispondente,
anche se ciascun procuratore delegato
dovrebbe prescindere da autorizzazioni interne per
avvalersi dei poteri di indagine.
Il punto è centrale, perché la limitazione (competenza) del campo di azione al paese membro di
appartenenza dovrebbe essere riferita all’individuazione dei fatti di reato che radicherebbero la
competenza territoriale del procuratore europeo delegato.
I criteri di competenza processuale territoriale del procuratore europeo delegato non devono
confondersi con i criteri di attribuzioni della competenza al PM, criteri di attribuzione i quali
dovrebbero fondarsi su specifici ed univoci ed escludenti principi dell’individuazione del locus
commisi delicti, che radicherebbe a sua volta l’agganciarsi dell’azione al giudice nazionale in
questa veste con funzioni comunitarie, precostituito per legge.
Si tornerà sul tema della necessità di articolare strutturalmente l’illecito in maniera univoca e in
maniera che non possano concorrere più competenze (è istituto di natura sostanziale).
Chiaramente è sospeso ogni obbligo di osservanza delle istruzioni da parte delle rispettive autorità
nazionali, sia da parte del procuratore generale europeo che da parte dei procuratori delegati.
18. Mai sullo stesso fatto e mai nello stesso territorio.
Le considerazioni che seguono dovranno ruotare intorno al come consentire di praticare il ne bis
in idem sia sostanziale che processuale all’interno dei vari paesi con l’ausilio dell’attività e della
competenza del PM europeo.
Medesimo problema è relativo all’ancoraggio di istituti di diritto sostanziale, come le cause di
estinzione del reato e la prescrizione, nel senso (che si dirà) che il PM può ripartire con l’Araba
Fenice esercitando nuovamente l’azione penale in un altro paese, con il rischio di potere andare
sostanzialmente, grazie alla strumentazione
processuale parasostanziale,
a ricuperare istituti
sostanziali che non vengono, dietro l’apparenza che venga fatto salvo il diritto nazionale, disegnati
dal diritto comunitario e spariscono nel rapporto con i vari ordinamenti nazionali.
La pregiudiziale comunitaria potrebbe essere utilizzata ampiamente ai fini di interpretare norme
comunitarie o nazionali che regolano i meccanismi di competenza del procuratore europeo (riparto
di paragiurisdizione delle rispettive procure).
Un processo eventualmente sospeso, o una questione teorica sulla competenza accolta, potrebbero
porre il problema che, ad esempio, la prescrizione interrotta davanti al procuratore europeo
continui a decorrere nell’ipotesi in cui ad agire poi successivamente fosse dopo il procuratore
nazionale per un altro reato magari in un altro paese.
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Infatti la facoltà, secondo il GB, del PM europeo di scegliere – magari dopo aver svolto atti
istruttori all’interno di un paese ed essersi fatto autorizzare dai tribunali della libertà - di agire
davanti ad un primo giudice nazionale, oppure di optare per un giudice di rinvio di un certo altro
paese, fa scattare l’applicabilità delle norme sostanziali di quel paese. Ad esempio, se quel paese
considera come norme di diritto penale sostanziale norme di procedura ed i criteri per determinare
il locus commisi delicti, o l’applicabilità o meno del principio di universalità o quello di stretta
territorialità o quant' altro, la scelta di carattere processuale sulla competenza, veicolata dalle
norme procedurali sul PM europeo fissate dal GB, ha un effetto notevolissimo dal punto di vista
sostanziale, perché se il reato di rilevanza comunitaria è stato commesso in più paesi, se ciascun
paese applica regole diverse per quanto riguarda l’attrazione di certi momenti consumativi o meno
, ovvero l’irrilevanza di certi momenti (perché, ad esempio, la norma di quel paese non si occupa
di quello che è accaduto nel territorio di altri paesi) ci sono degli effetti dal punto di vista
sostanziale molto importanti.
Anche se si adotterà la distinzione tra competenze esclusive e concorrenti delle istituzioni
comunitarie, dovranno affrontarsi ulteriori problemi.
Mentre nel rispetto di principi immutabili costituzionali relativi alla cd. Costituzione materiale,
non modificabili dai singoli paesi, il legislatore nazionale è sovrano di mutare i propri precedenti
orientamenti quasi che lo spazio del normabile o dell’incriminabile delle situazioni di vita o delle
sfere di interesse non sia esauribile, una volta che su di esse il legislatore – in questo caso penale –
intervenga, il problema invece andrebbe affrontato da un’altra angolazione per quanto riguarda il
tasso di esauribilità del disciplinabile da parte del legislatore nazionale dopo che su di esso è già
intervenuto il legislatore comunitario.
In questa luce il principio di extrema ratio non consentirebbe di risolvere il problema se il
legislatore nazionale possa avocare a sé la materia con una disciplina differente da quella
approvata a livello di fonti comunitarie. Una maggiore incisione nella sfera della libertà o una non
incisione da parte della strumentazione penale, ovvero della strumentazione amministrativa in
assenza di un criterio ontologico di distinzione fra penale amministrativo o civile a livello
sovraordinato comunitario, eventualmente anche successiva all’intervento normativo comunitario,
potrebbe porre rilevanti problemi di compatibilizzazione fra le diverse discipline.
Cosa succederebbe se lo stato francese predisponesse un regime meno rigido in materia di tutela
penale della moneta unica o della funzione pubblica ? Può parlarsi di sottrazione alla sfera
nazionale in via definitiva, attraverso le modifiche prospettate in sede di GB da parte della
Comunità europea?
Il più possibile il PM europeo deve basarsi su norme procedurali scarne. E’ necessario che vi sia il
riconoscimento reciproco delle norme procedurali dei singoli paesi nella stessa prospettiva con cui
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non si ritiene di formare un corpus autonomo relativo ad una parte generale in deroga alle parti
generali, ove esistenti, nei vari membri.
La soluzione pare in linea con la necessità di mantenere il collegamento nazionale – o quanto
meno a livello nazionale – fra norme di diritto penale sostanziale e norme procedurali che sono
agganciate ed articolate secondo schemi complessi e frutto di una spontanea evoluzione
e
normazione tipica dei vari paesi, e quindi difficilmente scorporabili e separabili.
Con una soluzione di tal fatta,. Si eviterebbero le insuperabili difficoltà costituite dalla diversa
caratura circa la qualificazione di sostanziale o procedurale tipica dei vari paesi.
Anche istituti sostanziali come la calunnia, tipici
dei vari paesi, dovrebbero applicarsi
tranquillamente alle attività del PM europeo. Gli obblighi di comunicazione, anche a carico dei
funzionari.
19. La norma comunitaria deve integrarsi diversamente sul diritto dei vari paesi e il reato qui
assorbe la potestà punitiva degli altri.
Va poi studiata la distinzione tra principio di ne bis in idem sostanziale pacifico e di ne bis in idem
processuale, ove vi sia stata una definizione intangibile del procedimento attraverso un
proscioglimento giudiziale in via definitiva.
La Corte di Giustizia chiarirà da quale momento nel corso della fase istruttoria il principio trovi
applicazione.
Il limite del divieto di avvio dell’azione penale per gli stessi fatti dovrebbe essere (come
internamente) tuttavia limitato alle assoluzioni con condanne definitive. Pare di difficile
praticabilità la costruzione di un’indagine preliminare volta alla delibazione “preliminare” circa la
sussistenza del bis in idem ai fini dell’avvio di un’eventuale azione penale, che renderebbe
veramente macchinoso
e costituirebbe l’elisione del principio del divieto del procedimento
attraverso un ultronea distinzione e scorporazione della azione preliminare rispetto al vero e
proprio esercizio dell’azione penale.
Se l’azione penale non può essere iniziata o proseguita dal giudice, egli non può che disporre
immediatamente il proscioglimento.
Problema sarà quale è il primo momento in cui venga investito del principio del contraddittorio il
giudice nazionale da parte del PM, perché soltanto in quel momento– nel caso in cui fossero
sfuggiti al PM delegato eventuali proscioglimenti pregressi nel paese e successivi in altri paesi –
quelle parti potrebbero far presente la sussistenza del bis in idem.
Meritevole di studio è il criterio di definizione del medesimo reato nell’ipotesi, ad esempio, in cui
il proscioglimento sia intervenuto precedentemente in conseguenza di una contestazione per una
fattispecie nazionale assorbente o assorbibile da quella comunitaria, eventualmente successiva per
quanto riguarda la sua previsione normativa.
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Idem vale per il patteggiamento.
Se senz’altro l’archiviazione (ma che dire dei patteggiamenti?che dovrebbero presupporre la
colpevolezza) non fa stato, anche se disposta al giudice, potrebbe sorgere il problema qualora in
certi paesi non vi fosse la garanzia dal giudice in ordine all’archiviazione, ovvero non vi fosse la
distinzione tra l’archiviazione ed il proscioglimento, oppure in sede di proscioglimento o di
archiviazione la distinzione tra formule quali l’insufficienza di prove o l’insussistenza del fatto o
quant’altro.
Per i paesi in cui il patteggiamento non esistesse, o fosse condizionato all’approvazione del
giudice, potrebbe sorgere il problema se venga esaurita la potestà punitiva comunitaria. Ma di ciò
infra.
Il medesimo discorso andrebbe poi approfondito guardando il profilo dal punto di vista del bis in
idem ai fini del diritto nazionale rispetto al diritto comunitario.
Mancando da parte del GB delle comuni nozioni sul giudicato o quanto meno essendo senz’altro
diversamente regolato per i vari paesi il passaggio in giudicato della sentenza (è il caso ad esempio
in cui vi sono diversi o manchino gradi di giudizio) il rinvio al riguardo alla legislazione del
singolo paese farebbe sì che il principio di ne bis in idem comunitario potrebbe de facto o de jure
essere disapplicato in base alla norma interna o, se fosse appunto il giudice nazionale, in base al
proprio convincimento a dover applicare la norma interna che esclude o diversamente qualifica il
giudicato, ad esempio intervenuto in altro paese della comunità.
Anche la relazione, oggi ampliata, purché non vada a costituire ragione di bis in idem anche fra i
singoli paesi, dovrebbe inventarsi verso le decisioni di proscioglimento?
Il semplice rinvio fatto dal GB all’autorità reciprocamente riconosciuta della decisione del giudice
nazional-comunitario, presuppone la definizione di definitività, e quindi di giudicato, della
medesima decisione.
Se manca una definizione di giudicato, il principio di ne bis in idem potrebbe essere di difficile
attuazione e non fattibile.
Al riguardo, è opportuna una definizione di giudicato, un espresso vincolo interpretativo per il
giudice nazionale investito.
E ciò presupporrà necessariamente l’affido nell’accertamento definitivo del fatto di reato e
l’accettazione della qualificazione giuridica interna.
Vediamo che l’attuale progetto di costituzione non si occupa della questione.
Non è questa la sede per affrontare funditu il tema dei cosiddetti casi misti, né delle indagini e,
soprattutto, andare a fondo sulla questione dell’ammissibilità e utilizzabilità delle prove (che,
anche nella versione più evoluta del CJ di Firenze 2000, corre il rischio, come abbiamo rilevato in
altra sede, di incrementare meccanismi di circolarità).
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I temi della collaborazione, dell’attività del giudice competente al giudizio ed al controllo, del
soggetto passivo delle fattispecie criminali comunitarie, degli esperti e prove, del giudice, delle
garanzie, della soluzione dei conflitti, della facoltà di scelta del PM, insieme al tema della sintesi
sul controllo del rinvio del principio del ne bis in idem, ai gravami, sono istituti fondamentali ma
direi in qualche modo dipendenti dai temi generali dianzi accennati.
Abbiamo dubbi sulla rinnovabilità dell’effetto di un’azione penale in caso di proscioglimento
anche per insufficienza di prove, qualora emergano nuovi elementi, per incisione grave della
definitività dell’accertamento.
Alternativa potrebbe essere quella di individuare una precisa comune nozione di archiviazione non
vincolante distinta dal proscioglimento definitivo. Le decisioni di archiviazione per queste ragioni
dovrebbero essere motivate e essere ricorribili, non si propende per alcun temperamento al
riguardo, stante l’obbligatorietà dell’azione penale.
Dovrebbero essere espunti, quindi, temperamenti per la scarsa gravità, per l’utilità dell’azione.
Tema centrale che però merita un separato lavoro è la possibilità di qualificazione da parte
dell’autorità comunitaria e del PM nazionale degli stessi fatti non caratterizzati da un’apparenza di
concorsualità delle fattispecie. Non appare assolutamente sufficiente, essendo il rilievo puramente
statistico, giustificare un’eccezione al rigoroso principio obbligatorio.
Pare minare il principio di obbligatorietà, il principio di stretta legalità
e di necessaria
connessione tra l’azione penale e la pretesa sostanziale comunitaria fatta valere, seppure
riconosciuta a livello nazionale, l’idea (pag. 49 del GB) di ripartire tra le procure le responsabilità
dell’azione penale, in virtù del principio di sussidiarietà.
Il criterio di ripartizione della giurisdizione o della competenza, ammesso che si possa distinguere
in materia tra autorità comunitaria ed autorità nazionale, verrebbe inficiato dall’occasionalità e
dalla elasticità dei criteri di ripartizione ad hoc delle competenze.
Nell’ipotesi in cui si ravvisino le notitiae criminis, nulla impedisce, prima della qualificazione in
via definitiva giudiziale, ad entrambe le procure o a più procure, dietro chiaramente il
coordinamento dei rispettivi capi nazionali e comunitari, di effettuare i rilievi, le indagini e le
contestazioni
ritenute più opportune, in maniera del tutto indipendente, salvo chiaramente la
pratica possibilità di una collaborazione.
Se si esamina l’impostazione del GB circa l’esito dell’azione penale (problema dell’archiviazione,
del non luogo a procedere) si vede che la scelta processuale del PM di evocare, nel caso di un
illecito attratto nella sfera di competenza di uno specifico giudice nazionale, il giudice competente
o uno dei giudici competenti, (questo sarà un problema dei temi meritevoli di discussione circa il
vincolo tra i vari procuratori delegati europei a rispettare la scelta processuale prima
dell’intervento di una decisione processuale del giudice), porrebbe il problema dell’esaurimento
36
dell’azione penale (ad esempio, in virtù, una volta eletto un sistema nazionale, dell’applicazione di
una causa di estinzione dell’azione penale o del reato in base al diritto sostanziale del paese
membro evocato: ad esempio con il rinvio a giudizio o con altre forme di richieste). Parimenti, ciò
va detto per la questione dell’eventuale avocazione del procuratore generale europeo. In qualunque
momento e anche nella fase istruttoria può intervenire una causa di estinzione dell’azione penale
indipendente dalla volontà del PM. Certo, il PM potrà chiedere l’archiviazione per ragioni di
merito; ma nell’ipotesi in cui dovesse intervenire una causa di estinzione dell’azione penale, questa
è una nozione nuova, rispetto ad esempio all’ordinamento italiano.
La scadenza del termine di prescrizione, il decesso o la scomparsa dell’autore di fatto, il
provvedimento nazionale generale di amnistia, di clemenza (e questo è un altro problema da
valutare per quanto riguarda la potestà residuale o meno che, a nostro avviso, dovrebbe essere a
questo punto esclusa ,attesa la fonte comunitaria per i reati, con problemi costituzionali comunitari
in ordine al potere amnistiale ed indultale: appunto, si parla anche di atti di clemenza). Atteso
l’accertamento della causa di estinzione del reato, dovrebbe essere regolata a livello comunitario
l’improcedibilità, esaurito il principio del ne bis in idem processuale e sostanziale dell’azione
penale.
Con termine tecnico, si parla nel G.B. di archiviazione nel caso in cui il fatto non costituisca reato,
nei casi di insufficienza di prova o di non identificazione dell’autore dei fatti di reato comunitario.
Fermo l’obbligo di motivazione
della decisione di richiedere al giudice competente
l’archiviazione, da notificarsi all’imputato, alla vittima ed alle autorità nazionali eventualmente
preposte all’azione penale, il G.B. osserva che, se il principio del ne bis in idem lo consente, la
decisione discrezionale del PM europeo di archiviare il fascicolo non impedirebbe alle autorità
nazionali la possibilità di avviare a loro volta l’azione penale per reati di rilevanza nazionale.
Il problema ci sembra falso, perché se il reato (diverso) è nazionale nulla è escluso.
20. Locus commisi delicti.
Certo, l’unità della Procura europea comporterebbe solo la scelta vincolata di un diritto nazionale
procedurale e sostanziale con cui decidere del reato comunitario e qui il locus commisi delicti sarà
meno problematico bastando radicare la competenza in un paese. Bisognerebbe porre estrema
attenzione però alle conseguenze di non abbandonare la continuazione.
Fermo resta che il procuratore europeo delegato
ai
fini del giudizio debba adeguarsi alla
procedura penale nazionale, ove non derogata da fonte comunitaria.
Si é sostenuto che l’individuazione del giudice nazionale competente è la conseguenza dell’
individuazione del procuratore delegato competente in ordine al luogo di commissione del reato.
Se però la nozione di locus commisi delicti viene determinata in base al diritto nazionale, il primo
procuratore europeo che imposta l’iniziativa investigativa ed eventualmente esercita l’azione
37
penale attrae a sé la competenza e quindi vi attrae la medesima giurisdizione. La discrezionalità
dei PM europei pertanto da evitarsi dovrebbe essere nel privilegiare, non essendo essi - ripeto ordinati in forma gerarchica, un criterio dell’attribuzione della competenza piuttosto che un altro.
Altro problema è quello di fondare successivamente i criteri di trasferimento della competenza una
volta che le indagini siano proseguite ed eventualmente la contestazione debba essere coltivata una
volta elevata.
Va esclusa ogni discrezionalità di adottare un criterio oppure l’altro, posto che la scelta del diritto
nazionale procedurale sostanziale per quanto riguarda la parte generale applicabile non può
comportare in astratto alcuna differenza di trattamento (in astratto anche il diritto di ogni paese é
per definizione accettabile in quanto é prevedibile, quale sarà il paese competente: dove il fatto si é
iniziato al primo segmento ...?).
Attraverso questa discrezionalità verrebbe di fatto modificato il principio di precostituzione del
giudice naturale, ove per giudice si intende il complesso delle norme che regolano, nella procedura
e nel concreto assetto dei beni giuridici, l’attuazione della legge.
E sempre con riferimento al controllo da parte del giudice impinge la questione della precisazione
dei criteri preposti al controllo (potrebbe immaginarsi per assurdo un quarto grado di giudizio in
una Corte suprema comunitaria diversa dalla Corte di giustizia, munita di poteri di riqualificazione
giuridica e di poteri di condanna o proscioglimento).
Anche il giudice nazionale non può controllare se non munito di espressi criteri di competenza.
Anche la Corte di Giustizia in via interpretativa, in via ex177 ex Trattato non potrebbe, senza
criteri specifici, di fonte sovraordinata, delibare.
Il rischio sarebbe che il giudice nazionale preposto al controllo applicasse il diritto nazionale di
competenza; ragion per cui la scelta processuale del PM europeo verrebbe regolata secondo il
diritto nazionale e non secondo l’apertura sui criteri di competenza dianzi indicati nel GB (o da
altro).
Le questioni relative al criterio di competenza rientrano comunque nell’oggetto del decisum del
giudice nazionale ove non prevista un autonoma procedura di preventiva risoluzione da parte della
Corte di giustizia europea sui conflitti positivi e negativi di competenza.
Ci sembra che la soluzione esclusa dal GB, vale a dire di non istituire un giudice di controllo delle
scelte del PM europeo, imponga la precisazione di non ritenere le scelte territoriali oggetto di
discrezionalità tecnica da parte dei PM, sui quali possono tutti gli organi deputati delle legislazioni
nazionali a livello giudiziario intervenire e con precisione delibare.
O si affida ad una Corte di Giustizia in funzione di giudice penale europeo (sul modello del
tribunale del riesame incardinato nel tribunale ordinario) la definizione in via preventiva e
definita, eventualmente in grado di ulteriore gravame rispetto all’ultima autorità di legittimità dei
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singoli paesi nazionali, ovvero si esclude la costituzione di un tale giudice penale europeo e si
demanda la soluzione, così come è già stata espressa dal GB, delle questioni al giudice nazionale.
Non è accoglibile
la tesi della residenza di uno dei rei, che comporta scelte casuali e
strumentalizzabili, ovvero dello stato che per primo ha avuto la conoscenza del fatto di reato, in
quanto non evitabile, diversamente da quanto sostenuto in dottrina. Piuttosto, quello non tanto
della commissione del reato ma della praticabilità dell’istituto definitorio
del locus commisi
delicti, fissato in norme specifiche di diritto nazionale, legittimamente evocato in fase di esercizio
dell’azione penale da parte del PM competente. Vedremo come il sistema del locus commisi
delicti va inquadrato insieme al problema del giudicato ed al criterio di specialità fra i tre principicardine, la soluzione dei quali, dipendente da come costruire un rapporto sereno tra fatto e
territorio, è fondamentale per consentire il funzionamento dell’organismo preposto.
Il giudice delle garanzie, al termine della fase istruttoria, in base alle decisioni della Procura
europea e regolato da precise norme comunitarie sulla competenza, esercita la funzione di
controllo del rinvio a giudizio. Deve confermare l’imputazione in base alla quale la Procura
europea intende procedere, oltre a convalidare la scelta della giurisdizione del rinvio a giudizio
(giudice-filtro).
Rifiutato il profilo organico della creazione di una giurisdizione comunitaria incaricata di fungere
da tribunale della libertà, che comporterebbe l’obbligo di creare una legislazione comune in
materia di provvedimenti istruttori e di prevedere un diritto europeo completo in materia (di
perquisizioni,
sequestri, intercettazioni delle comunicazioni , ordini di comparizione, arresti,
libertà vigilata , custodia cautelare etc.) il GB opta per un tribunale della libertà a livello nazionale
nel contesto delle disposizioni dell’art. 234 C e della giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Giudici della libertà diversi da quelli di merito. Funzionalmente i tribunali sarebbero da dirsi quelli
dello stato membro del procuratore delegato competente. Nello stesso caso potrebbero intervenire
vari tribunali nazionali della libertà, se ciò implica un’azione della procura europea in vari stati
membri. Tuttavia, estesa eventualmente con riferimento all’intero spazio europeo la sfera di
operatività di qualsiasi procuratore delegato, che opererebbe previo avviso e concerto con colleghi
anche in paesi diversi da quello di propria incardinazione ed istituzione, il tribunale nazionale della
libertà potrebbe essere anche quello in cui debbono essere assunte o comunque eseguite le
iniziative istruttorie.
Fra questa ipotesi fu espressa la preferenza per la prima.
Tra queste ipotesi che non è possibile approfondire, tuttavia ci si dovrebbe occupare della precisa
attribuzione integrale ed esclusiva della competenza autorizzatoria all’autorità giudiziaria della
libertà nazionale competente in ragione della radicazione della competenza con riferimento al
luogo di commissione del reato in capo al titolare dell’azione penale comunitaria.
39
Estenderemmo il nostro avviso favorevole all’individuazione dal punto di vista organico del
giudice del rinvio a giudizio analogamente a quanto vale per il giudice nazionale.
Il ne bis in idem dovrebbe essere ritoccato e chiarito nelle singole norme nazionali per esplicitarlo.
L’assoggettabilità di enti e di soggetti alla norma penale comunitaria vincolata dall’ applicabilità
della norma nazionale ove non corretta con principio di parte generale, con dettagli modificativi
rispetto al diritto internazionale
sostanziale in
base alla procedura penale locale corretta
eventualmente dalle norme derivate, comporta la possibilità di un diversificato trattamento, incluse
le misure premiali, quelle di detenzione, le modalità alternative di esecuzione della pena, i criteri
di determinabilità in concreto della pena, le cause di esclusione e di estinzione del reato, le cause di
giustificazione, il diverso regime del tentativo, delle circostanze, dell’atteggiarsi fra circostanze e
fatti di reato, delle forme di manifestazione del reato (concorso di persone nel reato), della
specialità (principio di specialità) e quindi dell’apparenza delle norme che sono tipiche del diritto
nazionale dei vari paesi.
Questo é il limite dell’ impostazione minimalista, che il diritto penale comunitario in ogni modo
deve incontrare.
Pur in presenza del tendenziale principio procedurale del ne bis in idem che eviterebbe l’esercizio
per gli stessi fatti davanti a qualsiasi paese membro di più azioni penali comunitarie esercitate da
diversi procuratori delegati, é opportuno distinguere al riguardo fra la possibilità che ciò avvenga
prima della vera e propria iniziazione delle indagini ovvero nel momento successivo ovvero nella
richiesta del rinvio a giudizio.
Nell’ipotesi in cui l’illecito possa essere unificato, in quanto la sua esecuzione o i momenti della
sua esecuzione avvengano frazionatamente all’interno dello spazio giuridico europeo, e quindi
contestualmente o consecutivamente in vari paesi, eventualmente da parte di più soggetti, o
eventualmente si ponga un problema di continuazione che deve essere regolata dai regimi
nazionali e verso la quale, comunque, sarebbe opportuno che la norma derivata si esprimesse,
effettivamente potrebbe succedere che diversi PME delegati formino indagini o richieste di rinvio
a giudizio davanti a diversi giudici nazionali nella funzione comunitaria.
Dovrebbero essere previste in modo più specifico di quanto fatto nel CJ regole che prevedano e in
concreto consentano di dirimere conflitti positivi di competenza fra i vari PM delegati.
21. I primi necessari feedbacks verso il G.B. In particolare su scelta, meccanismi e contenuto delle
fattispecie di illecito sanzionato penalmente. Un breve cenno sulla nozione di frode, sulle frizioni
“traduttive, sulla unificazione strutturale necessaria dell’elemento psicologico17 naturale ed
17
Sottolineiamo la necessità di ricercare categorie comuni europee utili a rinvenire nei fatti giuridici una nozione
oggettiva di dolo, ovvero di partecipazione psicologica e conoscitiva ai fatti illeciti, il cui acclaramento potrà rivelarsi
utile anche ai fini “dommatici” interni in sede di ricostruzione e interpretazione degli istituti di fattispecie.
40
autocosciente18 e –soprattutto- sull’indeterminatezza della nozione di pericolo contenuta nelle
fattispecie di frode comunitaria.Osservazioni sui complessi rapporti di specialità con le c.d. truffe
interne (640 e 640 bis) e profili di specialità della corruzione, con aspetti di indeterminatezza.
Lo schema ci pare adatto per sottolineare l’andamento progressivo della discussione in seno alla
comunità scientifica comunitaria, la quale parte da proposte, riceve osservazioni critiche basate su
reali problemi e si trova di conseguenza su di un terreno popolato da questioni di grandi difficoltà
ancora non risolte, le quali vanno ricapitolate ed enfatizzate, a fini costruttivi.
In altre sedi si sono espressi rilievi sull’esistenza di una categoria autonoma di elemento
psicologico fraudolento che sia applicabile nel contesto comunitario e si sono rassegnati alcuni
problemi conseguenti all’applicazione trapiantata nelle nozioni causalistiche in materia di c.d.
delitti di attentato, che equipareremmo a quelli di pericolo secondo la prospettiva della necessarietà
–atteso il principio fattualistico di colpevolezza- che gli atti sanzionabili siano provvisti di una
attitudine da misurare alla cagione del fatto che l’ordinamento giuridico vuole evitare ponendo la
norma correlativa.
Nei successivi paragrafi si vedrà come vengano proposte varie tipologie di beni da tutelarsi, in
aggiunta anche a quelli proposti dal G.B., sia pure con diversi ancoraggi a non meglio esplicitate
nozioni di competenza della Comunità in materia penale.
Bene il G.B. (pag. 36 della traduzione italiana -v. Documenti) si riferisce alle “disposizioni di
diritto penale sostanziale della convenzione di Bruxelles del 26 luglio 1995 “sulla “tutela degli
interessi finanziari delle Comunità europee, coi relativi protocolli aggiuntivi” (GU C 316
27.11.95, p. 48; GU C 313 23.10.96, p. 1; GU C 221 19.7.97, p. 11; GU C 151 20.5.97, p. 1), ed
altresì le relazioni esplicative sulla Convenzione (GU C 191 del 23.6.97 p. 1) e sul secondo
Protocollo (GU C 31.3.99, p. 8), riprese integralmente nella proposta di direttiva del 23 maggio
2001 (COM (2001) 272), al fine di rassegnare l’art. 1 della Conv. 26 luglio 1995, la quale definisce
la frode.
Tanto in materia di entrate, quanto in materia di spese, la condotta proposta è incentrata su
“..azione od omissione intenzionale relativa all'’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o di
documenti falsi, inesatti o incompleti…., alla mancata comunicazione…, alla distrazione… cui
consegua la diminuzione.… o il percepimento…..
Vi sarà la necessaria discussione sulla natura di evento –nella terminologia continentale- o meno,
Quanto appena osservato –ci si perdoni la ripetizione- presuppone e comporta –per le svariate ragioni illustrate nel
testo sulla struttura della norma e dei rapporti complessi fra ordinamenti- l’adozione di una angolazione latu sensu
naturale delle forme psicologiche di coscienza-conoscenza, se la previsione ha contenuto conoscitivo e condiziona i
processi volontari, che presuppongono aspetti di concezione di sé come agente.
18
41
che debba essere, o meno, investito dall’elemento psicologico doloso di chi ha posto in essere le
omissioni o le condotte fraudolente (documenti falsi) dirette alla diminuzione delle risorse di
bilancio come sopra definito..
Ma a prescindere da tale aspetto di grande rilevanza - la cui lettura può spostare di molto il tema
della discussione in quanto la sfera del penalmente rilevante potrebbe opportunamente riguardare
anche la sola condotta frodatoria –assistita da relativa tipicizzabilità fattuale- e l’evento descritto
(“cui consegua”) potrebbe costituire, o non costituire, se si modifica la proposta nel senso voluto
dal G.B., condizione oggettiva di punibilità anche non preveduta e voluta -, non va passato in
second’ordine il profilo che “l’effetto della frode potrebbe essere esteso ai casi in cui gli interessi
finanziari comunitari vengono messi in pericolo, per evitare che una loro condizione necessaria
per procedere contro comportamenti fraudolenti sia il buon esito”.
Sulla colpa abbiamo in separata sede osservato che non paiono esservi elementi logici o sistematici
ostativi alla punizione penale di condotte colpose, anche tenuto conto che il dolo conoscitivo,
effettivo o potenzial-eventuale, non si identifica con un dolo di frode e e che la frode obiettiva è
riconducibile –lungi da aspetti psicologici- unicamente alle modalità oggettive di particolare grave
modalizzazione della condotta. Difatti, nulla osta a che –come in astratto possa configurarsi un
peculato colposo- il legislatore comunitario possa sanzionare falsità pregiudizievoli che siano
anche frutto di (sola o aggiunta) negligenza.
Sarà questione di scelta tecnologico-giuridica delle Istituzioni comunitarie, che in ogni caso
potranno tener conto, nella costruzione del fatto vietato, delle indicazioni qui in sintesi accennate.
Il problema centrale, però, è altro.
Potrebbe costruirsi certo in astratto una fattispecie di pura condotta, anche analoga all’ art. 640 c.p.
italiano, eventualmente aggravata, come per l’art. 640 bis, nel caso di conseguimento dell’ingiusto
profitto e/o danno delle finanze comunitarie.19
19
Andrebbe tuttavia fatta una scelta precisa in fase di modalità della condotta tipica, posto che sono ben note le
capacità “attrattive” della clausola “artifici e raggiri” o di similari espressioni (si pensi alle tematiche penaltributaristiche tipiche dei delitti di frode tributaria, sia pur variati dopo le non lontane riforme italiane), con le peculiari
enfatizzazioni delle modalità “soggettive o psicologiche della condotta”. Ci si limita qui, ancora, a rassegnare la
discussione ante riforma del 640 bis (v. L.Concas, Profili penali dell’abuso degli ausili finanziari pubblici alle
imprese, in Finanziamento delle imprese e relativa garanzia, a cura del Centro internazionale di Studi Giuridici, 1986,
p. 31 ss.; G.Fiandaca-S.Mazzamuto, Abuso di sovvenzioni e controllo sanzionatorio: spunti problematici e
comparatistici, in “Foro it.”, 1981, V, c. 49 e segg;). In tema erano emersi rilievi sul modello sanzionatorio tedesco
della c.d. Subventionsbetrug del § 264.St. GB, posto a sanzione di comportamenti “tenuti nelle fasi iniziali del
procedimento di concessione rivolti ad alterare le condizioni che legittimano la richiesta di sovvenzione”(v. G.
Sammarco, Truffa, in Encicl.giur., vol. XXXI, Treccani, Roma, c. 8).
Qui fu introdotta la responsabilità attenuata per fatti di colpa grave.
E’ appena il caso di rinviare al tema dell’inattitudine degli artifizi e raggiri nonché alla delicata questione dell’atto di
disposizione che, se trasposto in termini di G.B., comporterebbe, adottandosi modello quale quello italiano, la
reflussione in materia tentata di comportamenti frodatori comportanti automatici arricchimenti con pregiudizio delle
42
Tuttavia, due le vie per costruire la fattispecie di tal fatta; una prima, caratterizzata sostanzialmente
dall’accurata descrizione della condotta frodatoria di falso; una seconda, invece, contraddistinta dal
riferimento a improbabili nozioni quali ‘pericolo’ o ‘idoneità’ lesiva del bilancio, o ‘capacità o
attitudine’ verso accadimenti, anche se eventualmente sanzionabili aliunde con forme più gravi di
aggressione penal-sanzionatoria comunitaria ovvero solamente caratterizzanti forme aggravate
quoad poenam del fatto tipico.
Tali opzioni di secondo tipo comporterebbero per un verso profili generali di incertezza tipici delle
forme “tentate”, per l’altro rilevanti rischi di tipicità caratterizzanti le svariate letture delle forme
aggressive di attentato, sviluppate ad esempio talvolta in senso puramente psicologico (v. Zuccalà
per l’Italia).
Nessun ausilio difatti –a parte la non correttezza di ricercare nel prescritto (per forza) elemento
psicologico ausilio per l’individuazione del fatto tipico- si trae, guardando soprattutto al testo
originario francese (v. pag. 36) del G.B, da “tout acte ou omission intentionnel…” postane
l’evidenza del carattere doloso.
Anche “intentional act” (testo inglese, p.36) non aiuta certo atteso che la mera forma dolosa allude
al fatto di rappresentare “nella sua interezza “20 il fatto, mentre nelle modalità descritte –rilevante è
la coincidenza inglese- non fan alcuna allusione a forme soggettivizzate della condotta. Se si
intende con tale parola ‘mens rea’, si allude a vaga formula “actus non facit reum, nisi mens sit
rea”, posto che altrimenti dovrebbe ricorrersi all’ampio ventaglio come ‘malice’, ‘moral fault’,
‘guilty mind’, ‘criminal intent’ o ‘fraud’ (actual fraud) In equity, essa non richiede ‘dolus malus’,
che è molto di più di ‘intention’ o representation’). Certo il riferimento tradotto è molto di meno,
finanze comunitarie.(per i temi, cfr. per tutti Crespi-Stella-Zuccalà, Commentario breve al codice penale, Cedam,
Padova, 1992,pp.1496 e segg; idem, ma Complemento giurisprudenziale, 1997, p. 160 e segg; G. Lattanzi, Codici
penali annotati con la giurisprudenza e norme complementari, Milano, Giuffrè, XI^ ed. 1984, pp.1065 e
segg;T.Padovani (a cura di), Codice Penale, Milano, Giuffrè, 1997, p.2366 e segg, per il reato c.d. “ad offensività
duplice” ex 640 bis (p. 2385), visto come speciale rispetto all’art. 2 l. 23 dicembre 1986 n. 898 italiana.Il rilievo è
però importante. Sovrapponendosi il 640 bis sul 640 –ci viene da osservare- l’applicazione della specialità
dell’eventuale frode comunitaria sul 640 bis interno, nel caso di anticipazione della punibilità al fatto frodatorio
indipendente dall’evento, da un lato potrebbe comportare una sanzione comunitaria più lieve –anche in caso di colpadi quella del 640 bis in tema di bilancio comunitario per fatti di tentativo sotto il profilo italiano, dall’altro lascerebbe
l’operatività del 640 bis interno per fatti eventualmente sanzionabili di frode comunitaria che non determino
pregiudizio al bilancio comunitario attraverso “contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello
stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte…delle Comunità europee”.
Se così correttamente- non é questa la sede di approfondire un più rigoroso “procedimento per forme autonome di
sanzione differenziata di illecito” che non comporti imprevedibili vie interpretative circa l’individuazione del bene
giuridico assorbente- applicata la specialità, l’osservazione potrà rivelarsi utile al legislatore comunitario al fine di
meglio precisare appunto il destino, nella fattispecie, delle norme interne- Sempre che non si vogliano accogliere le
conseguenze del più generale “assorbimento per materia” da parte del legislatore penale comunitario, la qual cosa
potrebbe comportare profili di disapplicazione interna, ad esempio e nella specie, del 640 bis.
20
Volutamente adottiamo la voce Dolo de La nuova enciclopedia del diritto e dell’economia Garzanti, III^ ed. Milano,
1989, p. 489, di facile consultazione per il giurista non italiano.
43
chiaramente, di diciture quali quelle contenute nel Forgery Act 1913 o nel Theft Act 1968 o,
ancora, di ‘intent to defraud’.21
Ma un’ultima notazione va qui fatta. Non si deve incorrere nell’ errore di pensare che vi sia una via
per “estendere l’effetto della frode ai casi in cui gli interessi…vengono messi in pericolo” (G.B., p.
37). La prima intuitiva é di prescindere dal pregiudizio effettivo di bilancio tramite la condotta di
utilizzo o presentazione di documenti o dichiarazioni false, attivo o omissivo, o mancata
comunicazione specificamente imposta (evento) nella formulazione del fatto principale. Una
seconda, tuttavia, potrebbe essere il riferimento –come sopra, problematico - ad atti ancora diversi
da questi, difficili da tipicizzare con idonei criteri di idoneità relazionale.
Minori, ma analoghi, profili possono sorgere per il testo proposto di corruzione.
La condotta è ben tipicizzata nella prima parte e, secondo la “vista” del giurista italiano, non
dovrebbe dare che i problemi di cui ai ns. 318 e 319 c.p.. II parte, invece, fa’ due riferimenti
problematici: a) ad un comportamento futuro (oggetto di dolo specifico, che non è necessario che
si realizzi) proprio delle “sue funzioni o nell’esercizio di queste” “in modo contrario ai suoi doveri
di ufficio”. Ciò potrebbe comportare, a parte la verifica del contenuto dei ‘doveri’ e dell’ ‘ufficio’
(elemento normativo, con tutti i profili conseguenti in ordine alla proiezione nell’elemento
psicologico) uno spazio di impunità per atti di c.d. corruzione impropria secondo l’ordinamento
italiano, ove la promessa o dazione punti ad un atto conforme ai doveri d’ufficio. Di qui –ancoraproblemi relativi al rapporto di specialità con la norma interna, che punirebbe il fatto a differenza
di quella comunitaria. b) Il riferimento ad un accadimento-atto del funzionario, eventuale ma non
necessario nella sua realizzazione, “che leda o possa ledere gli interessi” porrebbe il p.m. ed il
Giudice nella condizione di effettuare un ragionamento prognostico di pericolosità, ricadendo negli
anticipati profili di infattibilità causalistica latu sensu.
Aggiungo che, ragionando in termini di specialità rigorosa, il fatto illecito della dazione o
promessa rimarrebbe penalmente illecito nell’ordinamento italiano, ad esso semplicemente non
potendosi applicare la sanzione comunitaria. Con esclusione di ogni possibilità di assorbimento,
nel caso in cui detta pericolosità in ogni caso non si ravvisi (a meno di non ricadere nel c.d. reato
impossibile ex art. 49 1 cod.pen. italiano).
Ad esaurimento di queste note, ben ha rimarcato la bontà del Green Book Mezzetti, non ostante le
difficoltà portate dall’elemento di c.d. “antigiuridicità speciale” nella frode (“ritenzione illecita” o
“diminuzione illegittima”) e l’adozione del modello italiano ex art. 316 bis vigente per la
21
Per un enfasi sulle precise distinzioni italiane, F. de Franchis, Law Dictionary, Milano, Giuffrè, 1984.
44
malversazione di fondi illegittimamente ottenuti. Per quanto concerne invece la corruzione, bene è
osservata la bilateralità del delitto che colpisce anche l’istigazione (con i problemi generali di
qualificazione) nel solo caso però previsto di corruzione propria antecedente, come dianzi
osservato.
Qualche dubbio esprimeremmo tuttavia sul connotato asseritamente intenzionalistico del vocabolo
“deliberatamente”, che invero pare riportabile nella nozione di dolo diretto a conoscenza piena.
22.
Richiamo alla dottrina del bene giuridico.
Abbiamo alluso ad alcune future riflessioni sul tema.
Se la fattispecie di riciclaggio proposta in G.B. è bene articolata (molto meglio 22 di quella italiana
Più ottimistico appare il pensiero di E. Mezzetti, Quale giustizia penale per l’Europa? Il “Libro Verde” sulla
tutela penale degli interessi finanziari comunitari e sulla creazione di un Pubblico Ministero Europeo (Relazione
tenuta nel “Seminar on Green Paper and The Public European Prosecutor”, Eurgit, Roma, 18 maggio 2002, altresì in
“Cass.pen.”) per via dell’asserita omogeneizzazione “ a monte” ad opera della Direttiva comunitaria dettagliata del
Consiglio del 1991 (v. anche protocollo 19.6.1997, cit). Se difatti è vero che il testo proposto dal G.B. sul c.d.
riciclaggio ricalca fedelmente il testo dell’art. 1 della Dir. 91/308/CEE del Consiglio delle comunità Europee 10
giugno 1991 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività
illecite (Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. L. 166 del 28 giugno 1991 (su cui si richiama il commento di
An. De Guttry, Commento alla Direttiva 91/308…, in A. de Guttry-F. Pagani, La cooperazione tra gli stati in materia
di confisca dei proventi di reato e lotta al riciclaggio, pp. 583, Padova, Cedam, 1995, p. 293 e segg.); sui problemi
della limitazione ai soli delitti presupposti da stupefacenti e della c.d. base giuridica, espresso riferimento nel
preambolo all’art. 100 A Tratt. Maastricht e 57 prf. 2 1^ e 3^ frase Tratt.Roma, nel fuoco della incompetenza, in
allora, comunitaria in tema penale anche indiretto) a prescindere dalla categorizzazione dei delitti presupposto (per un
ampio panorama storico si rinvia da pag. 116 a pag. 265 della rassegna di O. Cucuzza, Segreto bancario, criminalità
organizzata, riciclaggio, evasione fiscale in Italia, Padova, Cedam, 1995,pp. 617, che rammostra i trends dalla c.d.
Legge Gava-Vassallli 19 marzo 1990, n. 55, attraverso il D.L. n. 2 del 4 gennaio 1991 non convertito e il D.L.
141/1991, la Legge 197/1991 e le finali modifiche della L. n. 356/92 e soprattutto della L. 9 agosto 1993 n. 328 dopo
la Convenzione di Strasburgo), è altresì da rammentare quanto abbiamo osservato in altro lavoro circa le modalità
ampie ed anticipanti la punibilità del lesto italiano, generalizzato quanto a delitti presupposto, con conseguenti
irresolubili aspetti di diffusibilità e frizione col regime concorsuale ed associativo. Oltre comunque al citato volume di
AA.VV.(C.Baroni- G.Bertolini- A. de Guttry- C. Del Ponte- F. De Pasquale- A. Di Martino- W. C. Gilmore-A. Lo
Monaco- E. Marotta-H. Nilsson- F. Pagani-A. Pansa e L. Salazar), La Cooperazione…cit , un lavoro decisamente
monografico merita più di un cenno (M. Zanchetti, Il riciclaggio di denaro proveniente da reato, Milano, Giuffrè,
1997), aggiornato bene alla Legge delega 6 febbario 1996 n. 5 “legge comunitaria per il 1994” già parzialmente
attuata col d.lgt. 30 aprile 1997 n. 125 di riforma dell’art. 3 d.l. 28 giugno 1990 n. 167 conv. Con l. 4 agosto 1990 n.
227. Ancora sul d.l. 143/91 col d.lgs. 153/1997, del d.l. 3 maggio 1991 n. 143 conv. In l. 5 luglio 1991 n. 197;
nonché al d. lgs. 26 maggio 1997 n. 153.
Con la Legge 9 agosto 1993 n. 328, “Ratifica ed esecuzione della convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e
la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l’8 novembre 1990” (G.U. 28 agosto 1990) si era difatti approdati
ad una terza versione della fattispecie, invero ben diversa da quella tratteggiata nel G.B. Da un delitto “a fattispecie
alternativa di attentato e ricettazione qualificata dell’art. 648 bis della l. 191 del 18 maggio 1978 (di Conv. Del d.l. 21
marzo 1978 n. 59) (“..atti o fatti diretti a sostituire..”) si era passati con la l. 55/90 ad un reato di condotta per
“sostituzione” o “reimpiego” (648 ter) con aggiunta fra i delitti presupposto di quelli di stupefacenti ed ora, infine,
accanto alla condotta di “trasferimento” e similari a quella di “altre operazioni….in modo da ostacolare
l’identificazione..”, con adattamento del 648 ter, ed estensione ad ogni delitto non colposo presupposto. Postane
tuttavia la insufficiente tipicizzabilità anche con riferimento alle ampie argomentazioni (da pag. 365 a pag. 373) sul
“pericolo concreto” svolte da Zanchetti, ai fini che ci occupano qui in definitiva vanno ribaditi i rilievi sulla a)
necessità di adottare un diverso paradigma esplicativo in termini di idoneità relazionale per dar senso alla fattispecie
di pericolo (2^ forma) in effetti negletta in giurisprudenza; con la piena approvazione del testo del G.B. e critica di
quello indeterminato della convenzione di Strasburgo, che ha consentito la forma di cui al 648 bis italiano-che si
riverbera anche sul 648 ter;
b) la notazione centrale che, al fine di risolvere i delicati problemi sia di concorso nel reato, sia di rapporti con i reati
presupposti indifferenziati per le fattispecie interne, sia di eventuale apparenza o materialità di concorso fra norme
22
45
che) nella formulazione attuale ripropone, attraverso generica descrizione “..ovvero compie in
relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare…” ex art. 648 bis c.p. it., la duplice forma
complessa della fattispecie- a consumazione anticipata da attentato e a ricettazione “specializzata”)
perché concentrata su di un fatto di “sostituzione” , la discussione sui modi di costruzione e di
manifestazione delle fattispecie di frodi in aggiudicazione di appalti, associazione a delinquere,
abuso di ufficio, rivelazione di un segreto di ufficio per forza di cose dovrà svilupparsi di fronte ad
un testo.
23.
Il percorso delle Associazioni giuridiche sul problema della fattispecie. Contenuti e
riflessioni.
Va segnalato il grande interesse, ai fini della “messa in prova” per ragionamenti astraenti della
componente strutturale del G.B. come se dovesse costituire veicolo di estensione ad altre sfere
(analogamente a quanto accade per la attribuzione di competenze al P.M. e Giudice penale
dell’azione amministrativa di responsabilità degli enti morali: dei segnalati beni “sovranazionali”
(a) o necessitanti una pena comunitaria (b): riconducibili latu sensu alla “pubblica funzione
comunitaria” (corruzione, appropriazione indebita, malversazione, rivelazione-utilizzazione, o
rifiuto, di segreti d’ufficio, ovvero alla “fede pubblica comunitaria”(valuta europea ovvero a forme
di pagamento diverse dal contante23). Mentre altri beni riconducibili alla ‘materia’ criminalità
organizzata (associazioni per delinquere o “altre forme di anticipazione della repressione penale”)
(p. 16, op.cit.) non sarebbero categorizzabili se non come “istituzionali” in contrapposizione
nazionali fra loro e nazionali con la norma comunitaria, il legislatore comunitario integri la disposizione, sia pur ben
strutturata quanto ad elemento oggettivo, con clausole di riserva o di esclusione in ordine alle fattispecie nazionali (si
richiama l’ampia panoramica internazionale- interessante quella svizzera- fatta dall’autore citato, anche sotto il
profilo storico della ricettazione italiana).
23
Sul tema si richiama l’intervento di M. Corradino, La legislazione italiana in tema di protezione dell’Euro e del
sistema finanziario, in “Agon”, n. 36 di luglio-agosto e settembre, pp.14-19).l’Autore rammenta la Raccomandazione
Banca Centrale Europea 7 luglio 1998, la Risoluzione Parlamento Europeo 17 novembre 1998 e la Risoluzione di
Consiglio 28 maggio 1999, seguita dalla Decisione quadro del Consiglio 29 maggio 2000 relativa al rafforzamento
della tutela per mezzo di sanzioni penali o altre contro la falsificazione di monete (coi due regolamenti 28 giugno
2001). La decisione 29 maggio 2000, vincolante ex art. 43 par. 2 lett. B Trattato sull’Unione Europea obbliga a
prevedere determinate ipotesi di reati (cui si rinvia). Si richiama le norme codicistiche italiane, gli artt. 459 e 460 per le
condotte preparatorie nonché il d.l. 22 settembre 2001 n. 409 di estensione della responsabilità amministrativa delle
persone giuridiche per tali reati. Si rassegna ancora il Piano d’azione globale contro la criminalità organizzata del
Consiglio europeo di Amsterdam di giugno 1997 e la Dichiarazione di Banca centrale 1 ottobre 2001. In tema di
riciclaggio, ancora, il D. lgs. 25 settembre 1999 n. 374 di estensione della normativa a varie attività. La legge 26
marzo 2001 n. 128 in materia di sicurezza ha esteso i controlli di p.s. ex art. 16 t.u. di R.D. 18 giugno 1931 n. 773. Il
recepimento della convenzione P.I.F. con L. 300/2000 ha coinciso con la nota sentenza C.Cost. italiana 302 del 19
luglio 2000 in tema di autonomo bene giuridico (sistema dei pagamenti). Bene Corradino, infine, ha rilevato la carenza
di tutela del sistema per la moneta non circolante. La tutela interna ad esempio di cui all’art. 146 T.U. leggi bancarie,
o l’art. 12 L. 197/91 (abuso carta di credito) o la legge 547/1993 sui computers crimes, del pari con i vecchi artt. 615
ter, 614 4° comma c.p. non apparirebbero sufficienti. Dato indiscusso è in ogni caso la legge 39/2002, che riserva le
attività di moneta elettronica, in attuazione delle direttive 46/2000/CE e 28/2000(Ce di modifica a 12/22000 in tema di
accesso all’attività creditizia.
46
appunto a quelli “sovranazionali”(ambiente,leale concorrenza, tutela del consumatore, corretto
funzionamento del mercato finanziario, frodi in appalti). Sul ns. dissenso sulla categorizzabilità di
piani separabili del genere e –soprattutto- sulla24 obiezione al Green Book in quanto mancante di
parte generale completa e costitutiva di un sistema autonomo in ogni caso rinviamo ad altra sede.
Tuttavia, meglio che distinguere generale-speciale è occuparsi della disciplina proposta per le
fattispecie. In seguito osserveremo possibili questioni di frizione per la prescrizione, il concorso di
reati e di persone, la misura della sanzione e le aggravanti, insieme ai delicati temi dell’inizio e
definizione (giudicato) della azione penale, visti insieme (senza tema di confondere sostanza con
procedura o generale con speciale). Le fattispecie difatti sono caratterizzate da un proprio regime
e non si può pretendere che, in quanto comunitarie e da inserirsi o impiantarsi in numerosi contesti
diversificati storicamente e dogmaticamente, possano essere così “generalmente caratterizzate” da
andare a modificare la struttura culturale di detti regimi. Sarà sufficiente, in ciascuna di esse, la
munizione di previsioni sulla pena e il suo funzionamento-applicazione (dalla nascita alla sua
estinzione, ecc.), ove necessarie, che chiaramente includono la prescrizione ed il resto. Ciò fa’
peraltro ogni fattispecie che da sempre interviene in ogni ordinamento, con la differenza che in tali
casi si dà, spesso erroneamente, per scontata la previa general-soluzione codificata (paradigma
monistico-codicistico), degli ‘n’ problemi applicativi indotti.
24.
Il profilo imprevisto del concorso fra responsabilità penal-amministrativa del Green
Book e quella c.d. interna.
Pare utile, secondo la teoria dei beni, accogliere il suggerimento di A. Lanzi 25 in ordine al
necessario spostamento verso una quasi esclusiva concezione economica (persone giuridiche) dei
soggetti rei in ambito comunitario. Le sue riflessioni sul punto 5.4 del G.B. (p. 41), che allude alla
proposta di direttiva 23 maggio 2001, che allude ad una forma di responsabilità penale di futuro
intervento diretto comunitario per “i dirigenti d’impresa o qualsiasi persona che disponga del
potere decisionale o del controllo all’interno dell’impresa…secondo i principi definiti…nazionale,
in caso di frode o corruzione” nonché di riciclaggio (in Italia escluso allo stato) dei “proventi dalle
medesime, ove tali reati siano commessi da una persona soggetta alla loro autorità e per conto
dell’impresa”.
L’attuazione della Procura europea..dovrà riguardare tutte le norme che presidiano la responsabilità penale”. In tal
senso la “legittimità scientifica (e la coerenza giuridica) delle proposte del libro verde” sarebbero, per la dottrina
italiana sul punto, condizionate ad un “sistema penale comunitario”.
Sul medesimo numero di Agon segnaliamo R. Antonini, Ucamp.Italian Antiforgeri Central Office of Means of
Payment.The Main aActivities and its firs statistical reports on counterfeiting of the Euro. Sui preoccupanti aspetti di
disparità di trattamento, coi relativi effetti, C. Denoual, La protection pènale de l’Euro, in “Agon” 36/2002,p.9.
25
Relazione al Convegno 8 giugno 1992 di Como, v.
24
47
Qui sarebbe introdotta (senza domanda specifica del G.B.) una forma di responsabilità senza colpa,
mentre nel capoverso successivo si ragiona al reciproco, ponendo una responsabilità oggettiva in
capo agli enti per frodi corruzioni attive e riciclaggio di direttori, non solo ma anche quando tali
atti siansi verificati a causa della insufficiente vigilanza o controllo dei direttori. Anche a voler dar
ragione al chiaro autore26 (contra la relazione 29 ottobre 2001 di Padova,ns. ripresa in capitolo
successivo) sulla sussistenza di una “responsabilità di strettissimo stampo penale” (p.2, op. cit.),
resta una questione ancora non denunziata in seno alle Comunità scientifiche.
Una volta ammesso il rilievo comunitario della materia, come regolare il rapporto fra norme? Per
Lanzi, - a parte le corrette osservazioni sull’inversione storica fra disciplina nazionale ed
intervento di coordinamento comunitario (p. 3)- non pare divietato, secondo trattati, un intervento
(anche solo amministrativo) comunitario sulla responsabilità delle imprese, o penale sulle persone,
sia pur attraverso criteri di imputazione scissi dal principio di colpevolezza- “tale previsione da noi
non potrebbe esistere”andando ad “incidere sull’art. 27 della Costituzione”.
Non possiamo dar torto all’osservazione, ma sul presupposto del rinvio alla norma sostanziale
interna –caratterizzante il G.B.- ed al fine di escludere un fattibile intervento della norma diretta
comunitaria. In caso differente, il profilo andrebbe risolto applicando istituti interni di specialità in
relazione all’illecito, delle persone fisiche o morali, secondo i criteri.
25.Cenni derivati sul tema del concorso fra illeciti nazionali e/o comunitari.
Bene ha distinto Brunelli , raffrontando le due versioni del C.J. nell’art. 17, fra le teoriche del c.d.
concorso ideale del codice tedesco e dell’italiano Zanardelli da un lato e l’orientamento ispirato al
cumulo materiale del c.p. vigente corretto (cumulo giuridico) dall’altro. Se il tema oggi è il G.B.
che non dispone al riguardo, l’antecedente storico è costituito dal passaggio fra il primiero art. 17
C.J. alla distinzione 2000 fra concorso materiale ed ideale. Gli aumenti di pena graviterebbero
sulla pena edittale fissata in astratto, ma regolata in definitiva dal giudice.
Tuttavia, il problema focale non sta qui. Ma sta piuttosto nel fatto che l’opzione per una soluzione
“general-partista” del C.J. viene fatta in maniera del tutto indipendente dall’applicazione di ogni
forma di ragionamento di specialità. Le n. 12 fattispecie sarebbero collegate, in un presunto
medesimo disegno, unicamente pel fatto di essere poste a tutela di un ordine di beni giuridici, tali
definiti per pura promanazione dalla fonte.
Seconda questione: “la “possibilità di vita” della norma europea negli ordinamenti interni è
26
In senso contrario rinviamo al nostro al ns. Concorso nelle responsabilità e concorso delle responsabilità.(Impresa,
Roma 2004); I reati presupposto delle sanzioni amministrative..., Giur. It. Torino, 2004).
48
rappresentata dall’ipotesi del concorso (materiale o ideale) tra reati europei e reati nazionali”.27
Respingiamo, per ragioni sistemiche, la nozione di microsistema con riferimento al diritto
comunitario, ma apprezziamo il paragone storico con la distruzione del sistema, ad esempio, di
parte generale di diritto penale militare italiano28qualora debba affrontarsi la reazione di un
principio di concorsualità 29regolato in via generale dal C.J. e trapiantato negli ordinamenti interni
–aggiungo io- se originato dalla necessità di regolare un insieme di nuove fattispecie, viste come
collegate, ma di necessità interferenti con la catallassi giuridica di incisione. D’altro lato,
sorgerebbe il profilo della specialità –secondo canoni sostanziali regolativi interni ove non derogati
(é impossibile tutto prevedere) – fra le fattispecie generali su fattispecie speciali del Corpus da un
lato e quelle interne dall’altro, se vengano involti profili di diversificato trattamento, fra
comunitario e nazionale, delle medesime sfere fattuali di illecito.
E come regolare l’eventuale ingresso del reato nazionale nella sfera di “contaggio” dell’art. 17 del
corpus, prima o seconda versione? L’art. 35 –ben osserva Brunelli- comma 2 del 2000 C.J.
raffronterebbe, per risolvere un problema di normazione (non lacuna),
non norme di parte
generale (macro e micro. o viceversa) incompatibili in astratto, ma coesistibili.
Aggiungasi che per diritto interno, se si “pescasse” il solo principio generale dell’art. 17 C.J., a
rigore dovrebbe ricorrersi alla stessa regolazione sanzionatoria in sede di raffronto fra fattispecie
interne “consunte” –in ipotesi- dalle 12 elencate nel Corpus, anche se non sussistessero i rigidi
criteri desumibili dagli artt. 15, 16, 80, 81 e 84 c.p. . l’art. 17 C.J difatti non viene contemplato dal
35 co. 2°, che rinvia solo, per il diritto nazionale, a quelli da 9 a 16.
26. Nucleo di Base. Frode, corruzione, riciclaggio (e altri ipotizzati). Sanzioni. Rilievi critici
sull’elemento psicologico. Osservazioni sul criterio di idoneità nelle forme profilate di c.d.
“pericolo”. Descrizione di fattispecie. Profili esemplificativi di assiologia dei beni o materia da
rafforzare sotto il profilo della tutela comunitaria diretta o sussidiaria (richiamo e sviluppo del
tema già trattato).
Vi sarebbe quindi un nucleo di base di diritto penale speciale nel campo, quale quello disegnato
dalla Convenzione di Bruxelles del 26.07.95 sulla tutela degli interessi finanziari delle comunità
27
D. Brunelli, op.cit., p.5.
Oltre a D. Brunelli-G. Mazzi, Diritto penale militare, Milano, 1998, ci permettiamo di rinviare, perché non fatto in
altra sede di testo ai classici R.Venditti, I reati contro il servizio militare e contro la disciplina militare, Milano,
Giuffrè, 1995, pp.300; e R. Venditti, Il processo penale militare, Milano, Giuffrè, 1997 (pp..164).
29
Sul tema generale richiamiamo F. Coppi, Reato continuato e cosa giudicata, Napoli, 1969; A. Pagliaro,Principi…cit.
Parte generale, ed, Milano, 2000, p. 599; E. Morselli, Il reato continuato nella attual edisciplina legislativa, in
Riv.it.dir.proc.pen., 1977, p.132. F. Ramacci, Corso di Diritto penale, Torino, 2001, p. 504 ss.; M. Papa, Le
qualificazioni giuridiche multiple nel diritto penale, Torino, 1997, p. 252.
28
49
europee, con i relativi protocolli aggiuntivi, ripreso nella proposta di direttiva del 23.05.2001
(l’art. 3 della proposta di direttiva in materia di frode definisce “frode che lede gli interessi
finanziari della comunità europea in materia di spese” qualsiasi l’azione od omissione intenzionale
relativa all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti
cui consegua il percepimento o la ritenzione illecita di fondi provenienti dal bilancio generale delle
comunità europee o dai bilanci gestiti dalle comunità stesse o per loro conto; la mancata
comunicazione di un’informazione in violazione di un obbligo specifico cui consegua lo stesso
effetto; la distruzione di tali fondi per fini diversi da quelli per cui essi sono stati inizialmente
concessi. Il medesimo testo definisce ‘frode’ (l’azione disegnata in termini identici a quelli appena
citati cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale delle comunità
europee) e via dicendo come nella disposizione appena citata.
Questo - come detto - l’art. 3 della proposta di direttiva che ricalca l’art. 1 della convenzione
26.07.1995.
Il Green Book al riguardo, tuttavia, prendendo spunto dal Corpus juris, adotterebbe un'unica
definizione della frode a prescindere dal suo oggetto, sia essa ai danni delle spese o delle risorse
della comunità, estesa, quindi, alla semplice messa in pericolo, così come ai casi di grave
negligenza.
Per quanto riguarda invece la corruzione, ai sensi dell’art. 4 della proposta di direttiva, che
riprende anche qui l’art. 2 del protocollo 27.09.96 aggiunto alla convenzione del 1995, corruzione
passiva sarebbe il “fatto che un funzionario deliberatamente direttamente o tramite un terzo
solleciti o riceva vantaggi di qualsiasi natura per sé o per un terzo o ne accetti la promessa per
compiere o per omettere un atto proprio delle sue funzioni o l’esercizio di queste, in modo
contrario ai suoi doveri di ufficio, che leda o possa ledere gli interessi finanziari delle comunità
europee”.
Sulla corruzione attiva l’art. 4 paragrafo II, riprendendo l’art. 3 del citato protocollo, la definisce
come il “fatto della persona che deliberatamente prometta o dia, direttamente o tramite un terzo, un
vantaggio di qualsiasi natura ad un funzionario, per il funzionario stesso o per un terzo, affinché
questi compia od ometta un atto proprio delle sue funzioni o l’esercizio di queste in modo
contrario ai suoi doveri di ufficio, che leda o possa ledere gli interessi finanziari delle comunità
europee”.
Per entrambi i casi le sanzioni scatterebbero sia per il reato principale che per il complice o
l’istigatore,
50
L’art. 6, riprendendo l’art. 1 del protocollo 19.06.97 relativo alla Convenzione del 1995, per il
riciclaggio di capitali connesso con il provento della frode, quantomeno nei casi più gravi della
corruzione attiva e passiva,
rimanda al concetto di riciclaggio di capitali
della Direttiva
modificata del 10.06.1991.
Commette riciclaggio di capitali chi “intenzionalmente converte o trasferisce beni essendo a
conoscenza del fatto che essi provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale
attività, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi o di aiutare
chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni”,
oppure: occulta o dissimula la reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento,
proprietà dei beni o diritti sugli stessi, essendo a conoscenza del fatto che tali beni provengono da
un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; o ancora: acquista, detiene, utilizza
beni
essendo a conoscenza, al momento delle loro ricezione, che tali beni provengono da
un’attività criminosa o dalla partecipazione a tale attività. Ciò anche ove le attività all’origine dei
beni da riciclare siano ubicate su territori di stati membri o terzi.
Previste anche la partecipazione, l’associazione, il tentativo, l’aiuto, l’istigazione, il consiglio o
l’agevolazione e l’esecuzione quali illeciti.
Per quanto riguarda l’interesse del Green Book per reati comuni connessi, che potrebbero in
astratto ma in futuro rientrare nella competenza
del pubblico ministero europeo, vengono
rammentati la frode in materia di aggiudicazione di appalti, in quanto la truffa risulterebbe poco
efficace, soprattutto in termini di prova del pregiudizio materiale; l’associazione per delinquere,
sotto il profilo dello snellimento della procedura, il nucleo della partecipazione; l’abuso di ufficio come già detto - lesivo degli interessi finanziari comunitari,
pregiudizio agli ultimi
che arrechi intenzionalmente
attraverso l’abuso di poteri conferiti nell’ambito delle mansioni;
rivelazione di un segreto di ufficio da parte di un pubblico agente in violazione di un segreto di
ufficio o di un’informazione ottenuta nell’esercizio delle sue funzioni o grazie alle funzioni,
qualora la rivelazione arrechi pregiudizio o rischi di arrecarne agli interessi finanziari comunitari.
Cenno anche è fatto a un’ipotesi di fattispecie di reato che va al di là di una pretta tutela degli
interessi finanziari comunitari, finalizzata ad una tutela penale della funzione politica europea:
l’abuso di funzione e la rivelazione di segreti di ufficio o il semplice furto di effetti personali
all’interno delle istituzioni, la violazione della protezione dei dati o le forme di favoritismo
nell’applicazione del diritto comunitario.
27. Alcune riflessioni sull’abuso d’ufficio comunitario. Richiamo della questione dei beni
51
tutelabili.
Mi pare imprescindibile, tanto per argomenti normativi tratti dai Trattati quanto per via della c.d.
teoria dei beni protetti dall’Ordinamento comunitario, la tutela della funzione pubblica
comunitaria.
A prescindere dalle modalità tecnologiche di costruzione della eventuale disposizione
incriminatrice, mi sembra non potersi evitare di ricorrere sia a norme di rinvio e parificazione, sia a
norme nuove di incriminazione. a) Le prime potrebbero prevedere criteri di equiparazione dei
funzionari od operatori comunitari di ogni grado e qualifica ai p.u. o incaricati di p.s., con
eventuale estensione a soggetti politici o titolari di organi o istituzioni comunitarie, con una forma
di attrazione alla competenza comunitaria delle fattispecie interne, verso le quali la norma
comunitaria sarebbe configurata come assorbente e speciale rispetto ai fatti (medesimi) variamente
ed eventualmente sanzionati “nazionalmente” (ad es. “non si applica la sanzione nazionale penale
per il fatto di…”). Non si dimentichi che con la legge 27 marzo 2001 n. 97 italiana è stata
modificata la disciplina sugli effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle
pubbliche amministrazioni, del che il Green Book dovrà tener conto, anche per quanto concerne gli
altri paesi, nella fase “processuale” relativa al giudicato e gli effetti delle sentenze, compresa la
nozione di ‘dipendenti delle pubbliche amministrazioni’. Parimenti va rammentato che con la L. 29
settembre 2000 n. 300 sono stati in Italia modificati, per mera estensione ai “membri degli organi
delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee” (con espressione quindi
impropria ma comunque analitica nel testo) “e di stati esteri” il peculato ex 314 e mediante
profitto dell’errore altrui ex 316, la concussione-317 con pene accessorie-317bis, la corruzione per
atto contro o dell’ufficio (318-319) anche aggravata (319) o dell’incaricato di p.s. (320) e infine
l’istigazione ex 322 3° e 4° comma (del p.u. o inc. p.s. che “sollecita…promessa dazione o altra
utilità al privato per fini
di” cui alla corruzione propria o impropria (318 e 319). Da ciò
sostanzialmente immutato è rimasto anche dopo la legge del ’97 lo spazio di illecito occupato dal
323 nuovo testo, su cui il testo comunitario andrebbe ad interferire.
b) Le seconde, invece, dovrebbero, per tali soggetti, prevedere una condotta, attiva od omissiva, di
abuso di ufficio nel senso di sviamento, positivo o negativo, attivo od omissivo, chiaramente
volontario, dei propri atti d’ufficio –previsti o consentiti dalle norme pubblicistiche attributive di
poteri e doveri al soggetto che siano connessi a funzioni del medesimo relativamente all’ufficio
ricoperto- rispetto alla funzione tipica dei poteri e doveri, con effetto di piegamento del fine
istituzionale dei poteri verso un fine diverso, anche pubblico, con l’obiettivo effetto di vantaggio
52
proprio o altrui in alternativa al pregiudizio dell’ufficio (questo tuttavia comporterà rilevanti
questioni tecniche) od al pregiudizio di un terzo, privato o pubblico, stato o ente, morale o
singolare, amministrativo, legislativo, giudiziario, eccetera.
Non è consigliabile alcuna particolare polarizzazione del dolo.
Non va poi rammentato che il P.M. ed il Giudice avranno poi i consueti poteri –che vanno
verificati se da inserirsi nella norma comunitaria- della disapplicazione positiva o negativa dell'atto
amministrativo o civile illegittimo, con svariate difficoltà di determinazione di detta natura anche
in sede comunitaria. Ciò conseguirà dal dover accertare se un atto o fatto amministrativisticamente
rilevante possa dirsi sviato in quanto esistente, o viceversa esistente anche se non formalmente.
Connesso alla questione è altresì prendere chiaramente atto che non si può in norma –o criterio di
attribuzione di competenza- comunitaria farsi alcun riferimento al concetto di “illegittimità ,
illegalità,”…o veriori (ecc.….) in quanto questa sarà unicamente indotta dallo sviamento del
potere, dalla frattura istituzionale della funzione, piegata altrove dal fine di sua istituzione.
Sarei per l’abolizione del reato di omissione o ritardo in atti d’ufficio. Ciò dipende e comporta
tuttavia insieme la soluzione dei rapporti, tenendo conto dei rapporti fra le fattispecie nazionali fra
loro e di tutte queste con quelle comunitarie, fra le varie sfere di illiceità variamente coperte da
abusi, interessi privati o omessi atti d’ufficio (a tacer delle corruzioni) o concussioni o peculati.
Certamente l’abuso30 non dovrà avere natura residuale, ma dovrà andare ad esser ricostruito come
comprensivo delle omissioni o ritardi, ad esempio sanzionate separatamente in Italia.
Dovrà attentamente studiarsi il problema della specialità di questi rispetto a quelli appunto
comunitari “non ricomprendenti” in via autonoma, a livello comunitario, reati nazionali,
applicabili se non assorbiti secondo criteri rigorosi di scelta della sanzione proposti.
Cumulo di qualifiche dell’operatore comunitario costituirà problema rilevantissimo. Concorso
Usiamo, come peraltro il G.B., l’espressione ‘abuso d’Ufficio’, fra il resto rimasta nella versione italiana attuale nella
sola rubrica. 323 originario:”(Abuso di ufficio in casi non preveduti pacificamente dalla legge).Il pubblico ufficiale che,
abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, commette, per recare ad altri un danno o per procurargli un vantaggio,
qualsiasi fatto Abuso di ufficio in casi non preveduti specificamente dalla legge).Il pubblico Ufficiale che, abusando
non preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, è punito con la reclusione fino a due anni o con la
multa da lire centomila a due milioni”. 323 introdotto dall’art. 13 L. 26 aprile 1990 n. 86:”(Abuso di ufficio).Il pubblico
ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio non
patrimoniale o per arrecare ad altri un danno ingiusto, abusa del suo ufficio, è punito, se il fatto non costituisce più
grave reato, con la reclusione fino a due anni.Se il fatto è commesso per procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio
patrimoniale, la pena è della reclusione da due a cinque anni”.
Testo (infelicemente) introdotto con l’art. 1 L. 16 luglio 1997 n. 234: 323 (Abuso d’ufficio). Salvo che il fatto non
costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del
servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse
proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto
vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.(ns.
sottolinea).
30
53
materiale di norme comunitarie per un verso e nazionali per l’altro, o tutte e due? Ne bis in idem?
Dovrà adottarsi anche qui il proposto criterio della “norma estesa di riferimento” sulla sfera
illecita del fatto, per eleggere la sanzione correlativa (risolti i problemi di dolo di qualifica). Un
richiamo ancora sull’abuso di uffIcio31
28. Le definizioni giudiziali comunitarie unificano gli istituti modificando il diritto interno.
Ove tuttavia la Corte di Giustizia ha giurisdizione, indipendentemente dalla trasfusione in legge
comunitaria o
interna dei principi generali a cui abbiamo fatto sommario cenno nel breve
commento alle questioni sostanziali contenute nel GB e per richiamo nel CJ, i principi contenuti
nel diritto comunitario vengono costantemente regolati e precisati dalla perenne attività della Corte
di Giustizia.
Ad esempio, gli artt. 648 e 649 del c.p. italiano
Il primo definisce formalmente il giudicato come quello che caratterizza le sentenze in giudizio
verso le quali non è più ammessa impugnazione che non sia la revisione.
Chiaramente, se l’impugnazione è ammessa, l’irrevocabilità del giudicato vi è qualora sia
inutilmente decorso il termine per l’impugnazione .
Parimenti, il decreto penale di condanna segue la medesima regola.
Corollario del principio è il ne bis in idem (divieto di un secondo giudizio). Se vi sia sentenza o
decreto penale divenuto irrevocabile, il prosciolto o condannato non può essere sottoposto a
procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se diversamente considerato per titolo, grado e
circostanze, salvo alcune precisazioni.
Non é questa la sede per una trattazione dell’attuale abuso di ufficio italiano. La trattazione svolgeremo in separato
lavoro in corso di pubblicazione. Purtuttavia vale la pena di riportare passi rilevanti della teoria dello sviamento di Ivo
Caraccioli, espressa nella situazione ante riforma del ’97. Ad essa pochi elementi integrativi dovrebbero essere annessi,
con riferimento alla pura nomenclatura di cui al sotto riportato punto b), al punto c) relativo al dolo specifico, ora
venuto meno e sostituito dall’evento ingiusto vantaggio patrimoniale alternativo al danno ingiusto. Soprattutto –si é
anticipato – é venuta meno la precisa modalizzazione della condotta di ‘abuso dell’ufficio (reato di mera condotta) con
trasformazione semantica del crimine in reato a forma libera di evento, ove la condotta – curiosamente seguendo
grossomodo la terminologia con cui esso veniva ante ’97 erroneamente ed atipicamente interpretato (“vizi dell’atto
amministrativo”) da certa dottrina – ora é poveramente identificata con la “realizzazione dell’evento vietato, svolgendo
le funzioni in violazione di leggi o regolamenti od obblighi di estensione”. Perciò, togliendo le ricadute - a parte il
discorso sulle omissioni in forma libera e sui nessi causali da svilupparsi – ermeneutiche dovute alla necessaria
verificazione dell’evento (lievemente modificato perché previsto come vantaggio o pregiudizio effettivo e non solo
“mirato” e perché previsto come rilevante in senso non patrimoniale, non più sanzionato – solo se pregiudizievole) ed al
concentrarsi del dolo diretto-effettivo sulla condotta e sull’evento.
Da sviluppare sarà chiaramente – anche in sede comunitaria se non si seguiranno gli accorgimenti offerti sul contenuto
tipico del ‘fatto di sviamento della funzione tipica’ con evento di vantaggio-pregiudizio- il tema dell’oggetto del dolo,
vale adire della condotta, che come descritta ora pare riconducibile ad una pletora di “elementi normativi extrapenali”,
non ben rassegnati ed indistinti.
Resta i ogni modo il nucleo delle riflessioni che facemmo sin dal 1993, benissimo espresse e ri-espresse dal chiaro
Autore nei paragrafi 3,4 e 5, oggi più che mai perfettamente ancorati nel reale –sottolineo ‘reale’ – normativo, anche
dalla da noi sostenuta, in tutta la ricerca, angolazione oggettivistico-funzionale. (I. Caraccioli – (contributo di) M.
Capirossi, cit. supra – in La nuova rassegna, n. 20 del 1994, pp. 2349 e segg.).
31
54
Vi è poi il tema del contenuto degli effetti del giudicato, trattato nell’art. 652 c.p. italiano e,
diversamente, nel regolare i rapporti fra l’accertamento in sede penale e i giudizi civili o
amministrativi o di diversa natura, la sentenza penale irrevocabile ha efficacia di giudicato se
l’accertamento ha stabilito l’insussistenza del fatto, la non commissione del fatto o la sua
commissione per cause di giustificazione. E questo stato si caratterizza per avere altri effetti in altri
giudizi.
Qui apro solo il tema del bis in idem nei processi amministrativi, civili etc. nel contesto
comunitario.
In causa C-187/01 un cittadino turco, residente nei Paesi bassi, gestiva a Erlein una ristorazione.
Dopo due perquisizioni venivano sequestrati chilogrammi di hashish e marijuana. Nei Paesi bassi,
dopo due sequestri, i procedimenti venivano archiviati, avendo l’imputato accettato la proposta del
PM per l’estinzione dell’azione penale prevista dall’art. 74 n. 1 del codice penale olandese,
versando le somme di denaro. Una banca tedesca aveva segnalato delle operazioni sul conto del
medesimo imputato, il quale veniva arrestato in Germania e l’imputato, accusato di spaccio di
stupefacenti nei Paesi Bassi, veniva tratto in giudizio dinanzi al Pretore di Aquisgrana che lo
condannava. Appellata la sentenza, sia dall’imputato che dal PM, il Tribunale di Aquisgrana, con
ordinanza 27 agosto 1997, chiudeva il procedimento penale perché la rinuncia definitiva all’azione
penale da parte delle autorità olandesi avrebbe vincolato le autorità giudiziarie tedesche a norma
dell’art. 54 della Convenzione applicativa dell’Accordo di Schengen, secondo il quale una persona
che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una parte contraente non può essere sottoposta ad
un procedimento penale per medesimi fatti in altra parte contraente, a condizione che, in caso di
condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o,
secondo la legge dello stato contraente di condanna, non possa più essere eseguita.
Si trattava di una transazione proposta dal Pubblico Ministero, secondo una procedura di diritto
olandese equiparabile ad una condanna definitiva ai sensi della versione tedesca dell’art. 54 della
C.A.A.S., nonostante non partecipasse al procedimento il giudice e non vi fosse sentenza. Il PM
impugnava l’ordinanza davanti alla C.A. di Colonia sul presupposto della limitazione alle sentenze
delle disposizioni citate. Il giudice di appello riteneva di sospendere il giudizio in attesa
dell’interpretazione della Corte di Giustizia dell’art. 54 della C.A.A.S.
In un altro caso C- 335/01 un cittadino tedesco aveva inferto lesioni ad una signora e la Procura di
Bonn iniziava il procedimento penale, dove il PM può ottenere un patteggiamento in base all’art.
153bis in combinato disposto con l’art. 153 n. 1 del c.p.p. tedesco. Così, ne conseguiva
l’archiviazione del procedimento penale a fronte del pagamento (il 13.08.1998) della sanzione
concordata.
55
Il medesimo imputato veniva tratto in giudizio per gli stessi fatti in Belgio avanti al tribunale di
primo grado di Furnes, dove la parte offesa si era costituita in giudizio chiedendo il risarcimento
del danno.
Il Tribunale, nuovamente, sospendeva per la opinione pregiudiziale della Corte di Giustizia.
Omettiamo, naturalmente, le tesi contrapposte delle parti e, nella sostanza, la Corte di Giustizia
doveva stabilire sui limiti di applicabilità del principio secondo il quale nessuno può essere
sottoposto a procedimento penale in uno stato membro per i medesimi fatti per i quali è già stato
giudicato e, in particolare, sull’accezione dell’espressione “sentenza definitiva”, per circoscrivere
l’operatività del principio.
La Corte riteneva che deve essere considerato “con sentenza definitiva” anche colui che abbia
precedentemente subito un procedimento del tipo di quello di cui trattavano le cause principali, a
seguito del quale vi era stata definitiva estinzione dell’azione penale.
Sulla mancanza delle forme di una sentenza, per la Corte il punto non inficia l’interpretazione in
assenza di un’espressa disposizione contraria dell’art. 54 CAAS e di un principio di diverso segno
ricavabile dalle disposizioni del Trattato sull’Unione europea, dell’Accordo di Schengen e della
stessa C.A.A.S.
L’interpretazione sistematica conduceva a ritenere che il ne bis in idem sancito dall’art. 54
prescinde dal fatto di una procedura caratterizzata dall’intervento di un giudice (considerazioni
generali sulla fiducia reciproca degli stati e irrilevanza dell’applicazione del diritto dei singoli stati
interni, con proficua applicazione del principio, al di là degli aspetti procedurali, o meramente
formali che, appunto, possono variare negli stati membri interessati).
L’art. 53 contribuisce allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia con libera circolazione delle
persone, richiamato nell’art. 2 primo comma, quarto trattino del Trattato di Amsterdam e nel
primo capoverso del Preambolo del Protocollo sull’integrazione nell’ambito europeo dell’Acquis
di Schengen, di cui fa parte l’art. 54 della C.A.A.S. Così, per poter validamente contribuire alla
realizzazione compiuta dello scopo, il principio deve essere applicabile anche a decisioni che
chiudono definitivamente i procedimenti penali in uno stato membro, adottate senza l’intervento di
un giudice e che non assumano la forma di sentenza, per reati tassativamente elencati e individuati
i quali non presentano particolari gravità e sono puniti con sanzioni limitate, anche al fine di non
operare disparità di trattamento per reati più gravi per i quali è previsto l’intervento di un giudice.32
Per dimostrare l’indifferenza tendenziale della Corte di Giustizia al significato letterale delle
disposizioni, riteniamo che un’interpretazione di questo genere condizionerà anche (in caso di
32
Sul punto (Osservatorio della Corte di Giustizia delle Comunità Europee), Il ne bis in idem di Schengen si estende ai
riti estintivi dell’azione penale anche se privi dell’intervento di un giudice, a cura di S. Riondato in Diritto penale e
processo n. 6/2003 p. 778 e seg.
56
approvazione) la lettura dell’art. 2.50 del Progetto di Costituzione sul cd. divieto del bis in idem,
che fa riferimento alla nozione di sentenza.33
La recente decisione quadro in materia di riciclaggio del 26 giugno 2001 esprime le modalità
transnazionali del fenomeno criminale.
In una prospettiva di questo genere l’individuazione di corretti funzionamenti , ad esempio del
principio del ne bis in idem ovvero del giudicato, anche alla luce delle enfasi unicamente su questi
principi contenute nel processo di costituzione europea, fa sì che il tema del meccanismi comuni di
costruzione dell’illecito si scontri con il formalismo dei principi di cui stiamo trattando.
La contestazione di un fatto come riciclaggio (alludiamo anche al problema della plurisoggettività
e dei concorrenti sul piano transnazionale e dei sottoposti, delle deleghe, su questo reato) pone seri
problemi nell’ipotesi in cui in un altro stato membro possa essere contestata la compartecipazione
nel medesimo fatto ma con riferimento ad un diverso segmento. La prima pronunzia del Giudice
comunitario in materia di spazio penale europea34 supera anche le obiezioni dell’Avvocato
generale relative alla tutela delle parti offese.
Sul punto A. Giarda, Giustizia penale e Costituzione per l’Europa, in Diritto penale e processo n. 2/2004, p. 137 e
seg.
Del nostro avviso è G. de Francesco, Internazionalizzazione del diritto della politica criminale verso un equilibrio di
molteplici sistemi penali, in Diritto penale e processo n. 1/2003, il quale sul Corpus Juris ritiene “perplessità sotto il
profilo sistematico sulla progettata costruzione di una parte generale autonoma per i diritti economici. L’idea di
imbalsamare all’interno di una parte generale europea siffatte regole e discipline sembra allora fuorviante ed
inopportuno”. Interessante, in una prospettiva più ampia, di matrice, diremmo noi, anglosassone, è il fatto che i principi,
anche sulla scorta delle suggestioni promananti dall’introduzione della Carta dei Diritti fondamentali dell’UE, si
pongono al di sopra delle stesse regole proprie della parte generale, in quanto “meta-regole o principi arieggianti quali
trasfusi nelle carte costituzionali, non esigono la traduzione in disciplina vincolante dato che essi giustificano le ragioni
di fondo, le finalità ed i valori sottostanti, con poteri di orientamento affidato alla genericità, alla multiformità di
contenuto e di sviluppi che sono che sono suscettibili di incarnare, per quanto non espressamente codificati né
codificabili”. Nella parte finale tratteremo della costruzione delle fattispecie. Sul punto ci basti ricordare i fenomeni di
aggregazione illecita a base associativa e il riciclaggio, che, ad esempio, sono “l’associazione, un reato preparatorio di
delitti-scopi, centro di smistamento di proventi delittuosi, con organizzazioni strutturate. Il riciclaggio si distacca dalla
logica dei reati accessori divenendo momento dinamico di reimpiego di profitti illegali sino al punto di ritenere
discutibile ed escludendo un intervento penale cumulativo rispetto ai reati presupposto”. Le categorie. Ad esempio il
fenomeno del “crimine transnazionale con riferimento al riciclaggio pone un problema di forme di concorso qualificato
negli illeciti afferenti quali a far rivivere la categoria obsoleta della partecipazione, non solo diretta alla commissione del
reato ma anche attuata post factum e seppure solo in apparenza essendo essa rivolta a collegare un precedente reato ad
altri illeciti in via di realizzazione”. Al nome di organizzazione criminale si è andato sostituendo quello di criminalità
organizzata. Da una prospettiva statica, l’ente criminale, ovvero il consolidamento di pregressi interessi, siamo passati ad
una proiezione dinamica destinata ad immedesimarsi con la stessa fisionomia transnazionale del fenomeno delittuoso,
che acquisisce una dimensione extrastatuale ipotizzata quale modalità di manifestazione tipica delle corrispondenti
fenomenologie criminali. .... e la sopraccitata armonizzazione circa gli stessi reati di cui vengono a costituire veicolo di
trasmissione o diffusione a livello transnazionale, laddove non si ritenga ammissibile la punizione di un’attività di
riciclaggio rispetto a reati che non sono tali in ordinamenti in cui il riciclaggio è stato commesso ma lo sono
nell’ordinamento nel quale i fatti presupposti sono stati perpetrati, fino al punto di rendere tipologicamente uniforme
l’assetto repressivo anche riguardo ai fatti che alle condotte di riciclaggio fanno capo, costituendone illecita premessa.
34
Il principio del ne bis in idem all’attenzione della Corte di Lussemburgo di L. Salazar nei nn. 7 ed 8/2003 di Diritto
penale e processo rispettivamente da pag. 906 a pag. 1040
33
57
Principio “corollato” dalla decisione della Corte di Giustizia è che ciascuno degli stati membri
deve accettare l’applicazione del diritto penale vigente negli altri stati membri anche quando il
ricorso al proprio diritto nazionale potrebbe condurre a soluzioni diverse. Così l’art. 2 Trattato UE
che deve imporre di conservare e sviluppare l’Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia
in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone.
Di fronte alla frammentazione del diritto penale all’interno dell’Unione europea in tanti
ordinamenti diversi, nell’ambito del Terzo pilastro si va delineando l’obiettivo di integrazione
attraverso la concentrazione sul diritto del UE autonomamente interpretato dalla Corte di Giustizia.
Tale riconoscimento sarebbe bastato, sull’idea che le decisioni giudiziali dovrebbero essere
considerate come equivalenti a quelle che avrebbe adottato lo stato interessato, in quanto
conformatisi agli stessi principi e valori.
La conseguenza è che da questa decisione della CGE dovranno dipendere, qui, i contenuti delle
decisioni dei giudici una volta chiarito in via generale il principio con efficacia erga omnes da
parte della CG, con una sostanziale ri-scrittura addirittura sia degli artt. 648 che 649, 652 a
esempio, del c.p. it., in quanto la questione di principio è idonea a superare l’interpretazione della
norma, nella fattispecie l’art. 54 e seguenti sino al 58 della Convenzione di Schengen del 1990.
Vale la pena ricordare che due giorni dopo la pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia
Europea in commento la repubblica ellenica il 13.2.2003 ha depositato un’iniziativa legislativa
relativa all’adozione da parte del Consiglio di un progetto di decisione quadro sull’ applicazione
del principio del ne bis in idem.
La proposta si occupa anche dell’eventuale situazione di litispendenza di procedimenti in stati
diversi; reca la definizione di ‘sentenza’, ‘litispendenza’ ed ‘idem’.
Il diritto per chiunque avendo commesso un illecito penale sia stato perseguito condannato con
sentenza definitiva in uno stato membro, di non essere perseguito o condannato due volte per lo
stesso reato.
Procedimento da riaprirsi se i fatti sopravvenuti, nuove rivelazioni o vizi fondamentali nella
procedura antecedente inficino la sentenza intervenuta ai sensi della procedura e della legge
penale dello stato del procedimento.
Per la litispendenza: precedenza
allo stato del foro che meglio garantisce la corretta
amministrazione della giustizia, tenuto conto di criteri (luogo
di commissione, cittadinanza,
residenza, dell’autore o delle vittime o luogo dell’arresto). Se le competenze concorrenti, l’autorità
dei diversi stati si consulterebbero per
scegliere lo stato del foro cui dare la precedenza
sospendendo il procedimento negli altri stati membri fino alla sentenza definitiva.
Se sentenza è ogni sentenza definitiva pronunciata da un tribunale penale di uno stato membro a
conclusione di
un procedimento penale e può essere una sentenza di condanna o di
58
proscioglimento, una sentenza che termina definitivamente l’azione penale, conformemente alla
legislazione nazionale di ciascuno stato membro, nonché la mediazione stragiudiziale nell’ambito
del procedimento penale. E’ considerata definitiva ogni sentenza passata in giudicato ai sensi della
legislazione nazionale.
Litispendenza: quando è stata avviata nei confronti di un individuo un’azione penale per un illecito
penale ma non è stata ancora pronunciata una sentenza e la causa risulta pendente dinanzi ad un
tribunale.
Idem, un secondo illecito penale derivante esclusivamente da gli stessi fatti o da fatti
sostanzialmente identici, indipendentemente dalla sua natura giuridica.
Ci basti aver sottolineato il profilo, su cui torneremo nel capitolo conclusivo della necessità di
trovare, da un punto di vista dogmatico, linee strutturali comuni che si coniughino, relativamente
alla fattispecie incriminatrici, con l’origine – quindi l’effetto e la durata temporale dell’illecito e la
sua estensione territoriale, come prevista da criteri comuni che armonizzino i vari principi di
territorialità ed universalità, tipici dei vari paesi – con le nozioni di medesimezza del fatto,
indipendentemente dalla qualificazione giuridica, ai fini del ne bis in idem e del giudicato, e delle
varie cause estintive del reato o della pena e dei meccanismi regolativi dei momenti di disciplina
sanzionatoria, tenuto conto anche dei fatti imputati oggettivamente. Su questi temi, vero
similmente con pronunzie sostanziali, la Corte di Giustizia procederà a profilare integrazioni.
Ricordiamo che ai sensi del n. 7 dell’art. 35 del Trattato UE, la Corte statuisce su ogni
controversia, anche fra stati membri, concernente l’interpretazione e l’applicazione di atti adottati
a norma dell’art. 32 paragrafo 2, ogni qual volta che controversia non possa essere risolta dal
Consiglio entro sei mesi dalla data in cu esso è stato adito da uno sei suoi membri. E’ competente
su ogni
controversia tra stati membri e Commissione concernente l’interpretazione o
l’applicazione delle convenzioni stabilite a norma dell’art. 34 par II lettera D. In concreto, ove in
uno stato membro non venga data attuazione all’interno del proprio ordinamento ad una qualsiasi
decisione-quadro - quale, ad esempio, quella del mandato di arresto europeo – (testo della
decisione pubblicato sulla gazzetta dell’Unione europea 18 luglio 2002, L. 190) esso non sarà
direttamente attaccabile davanti alla Corte sulla base di una procedura di infrazione sul modello
di quella prevista dagli articoli 226 e 277 Trattato CEE. Lo stato verrà a trovarsi nell’impossibilità
di cooperare con gli altri sotto il profilo della consegna delle persone.
29. Ci limitiamo qui a porre sul tappeto una limitazione esterna di ricerca.
Questa sommaria esposizione ci consente di trasferirci al profilo più generale della costruzione
della norma immaginata come una norma di giustizia sopranazionale. Non é questa la sede di
approfondire il tema del bilanciamento fra beni giuridici e dell’assiologia dei beni giuridici
comunitari o sopranazionali Anche a nostro avviso e andando di contrario parere rispetto ad
59
autorevoli autori, non riguarda tanto la prevalenza di certi ordini di interessi (come quello della
tutela delle risorse finanziarie ad esempio delle comunità europee) a scapito di altri, intesi come
gruppi di interessi che in qualche modo sono intitolati, rispetto al titolare- istituzioni-organi
comunitari, (il quale - se fosse vera la teoria, ne potrebbe anche disporre), ma costituiscono dei
momenti di emergenza della necessità di predisporre una tutela efficace proporzionata e necessaria
di beni che sono beni comuni agli ordinamenti giuridici e che non vengono tanto individuati nella
forma di beni che i reati vanno ad aggredire, quanto
piuttosto settori di competenza, vuoi
concorrente, vuoi esclusiva, della Comunità europea e che come tali possono rendere necessario il
presidio della sanzione criminale.
Il tema comunque merita un approfondimento a parte (che peraltro abbiamo svolto in altra sede).
Il momenti di collegamento fra le osservazioni fatte in precedenza e svolte in forma espositiva,
sulla necessità di ricorrere a principi come il giudicato, la circolarità delle prove acquisite, il
riconoscimento delle sentenze, il principio di ne bis in idem, ancorando questi principi tuttavia ad
una ricostruzione comune di cui poi bisogna tenere conto nelle soluzioni normative di carattere
comunitario. Queste per un verso dovranno rinviare ad istituti di diritto sostanziale e processuale
(ove chiaramente non necessariamente ed eccezionalmente derogati a livello comunitario), ma per
altro verso poggeranno su accorgimenti e integrazioni normative di derivazione comunitaria, le
quali possano rendere compatibili o quanto meno non incompatibili le configurazioni degli illeciti
effettuate nei vari paesi.
Un esempio classico è la necessità di stabili limiti al principio di territorialità o di universalità
dell’applicazione della norma interna (che possiamo sinteticamente richiamare ad esempio, per il
diritto italiano, come contenuti agli artt. 7 sino a 12 del codice penale), nonché al principio di
regolazione dell’apparenza di concorso nelle qualificazioni differenti dello stesso fatto (che
costituisce a sua volta un separato argomento di studio).
Come ha mostrato la situazione italiana (e ne abbiamo fatto cenno in precedenza, in un apposito
capitolo) il problema comunitario sarà quello di coordinare il principio della medesimezza del
fatto contestato (cui sono corollari il ne bis in idem e il giudicato e quindi dell’improcedibilità in
caso di proscioglimento o condanna per il medesimo fatto in uno dei paesi membri) con invece
per altro verso l’esistenza di diverse qualificazioni non tanto all’interno della singola nazione,
quanto di diverse qualificazioni sotto il profilo giuridico del medesimo fatto, del medesima
segmento di fatto (di qui il principio dell’assorbimento, o comunque della progressività o della
progressione criminosa o del post factum non punibile) che costituisce invece un profilo di
carattere generale.
In parole semplici, l’ordinamento giuridico comunitario, quando va a qualificare, anche sotto
l’attuale forma proposta dal Green Book, oppure elencando gli elementi di fattispecie,come nel
60
Corpus Juris, e va quindi a ritagliare nell’ambito del punibile una serie di fatti che hanno una
diversa qualificazione, ecco che si pone il problema di evitare un concorso tra norme interne ed
esterne e quindi un problema di regolazione del rapporto.
Questo tipo di rapporto non viene studiato a sufficienza, da un’angolazione puramente
processualistica, quando si danno le regole per l’applicazione del principio del ne bis in idem o
della tutela del giudicato.
30. Primi tentativi e primi problemi.
Come è noto, vi sono almeno due orizzonti il cui esame è indispensabile per giungere ad una idea
di fondo sui meccanismi di compatibilità fra normazione comunitaria in materia penale con
l’assetto inderogabile e strutturale delle integrazioni fra gli ordinamenti giuridici dei vari paesi
membri.
Uno di questi temi è connesso al riconoscimento delle decisioni giudiziarie ed al ravvicinamento
delle norme ed è cristallizzato nel tema della cooperazione giudiziaria in materia penale.
Nel Trattato di Amsterdam l’art. 31 menziona la criminalità organizzata, il terrorismo, il traffico
illecito di stupefacenti come settori in cui adottare norme minime sostanziali.35
Il Consiglio europeo di Tampere ha concentrato l’attenzione per ricercare definizioni di sanzioni
comuni sulla criminalità finanziaria, riciclaggio di denaro, corruzione, falsificazione dell’euro,
traffico di droga, la tratta di esseri umani lo sfruttamento delle donne, lo sfruttamento sessuale dei
minori, la criminalità ad alta tecnologia e la criminalità ambientale.
A tacere delle altre elencazioni della convenzione istitutiva di Europol e della decisione istitutiva
di Eurojust.
Fermi inizialmente al criterio della pura e semplice elencazione, che non ha un tasso giuridico, si è
pensato altresì al modello di reato associativo a dimensione transnazionale, con forte requisito di
L’art. 29 aggiunge, per il riavvicinamento delle normative, la tratta di esseri umani, lo sfruttamento dei minori, il
traffico illecito di armi, la corruzione e la frode. Cogliamo l’occasione della presente nota per ricordare la L. 11 agosto
2003 n. 228 che ha rinovellato gli artt. 600 (riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù), 601 (tratta di persone) e
602 (acquisto e alienazione di schiavi) c.p. Difatti, lo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale del
17.07.1998 a Roma contempla tra i crimini contro l’umanità, all’art. 7, la riduzione in schiavitù (ratifica ed esecutività
L. 12.07.1999 n. 232. La Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale é entrata in vigore il
29.09.2003 (Conf. Internazionale di Palermo 12-16.12.2000). Sugli interessanti rapporti tra le disposizioni e in
particolare sui profili di concorso materiale delle medesime, richiamiamo L. D. Cerqua, Le nuove norme contro il
traffico di persone: profili di carattere sostanziale, in Il Merito, marzo 2004, p. 50 e seg.; altresì A.Peccioli,
Commento – giro di vite contro i trafficanti di esseri umani: le novità della legge sulla tratta di persone, in Riv. Pen e
processo, n. 1/2004, p. 32 e seg.. Ci premeva rammentare al riguardo che si pone un problema di rapporto fra la
qualificazione come crimini contro l’umanità di competenza della Corte internazionale, per gli stessi fatti, e la
parallela e concorrente qualificazione come delitti comuni interni. Mancando a livello convenzionale anche una
regolazione in ordine alla realità o apparenza del concorso tra alcune ipotesi, nonché criteri univoci di distinzione tra
fattispecie autonome e le ipotesi aggravate, sarà da verificare, ai fini del ne bis in idem anche fra i Paesi aderenti alla
Convenzione, il profilo del concorso materiale ad esempio per l’Italia fra le ipotesi del 600 c.p. e per altro verso delle
ipotesi ex 601 e 602 c.p. con i reati di sfruttamento della prostituzione e maltrattamento in famiglia o minaccia,
percosse o lesioni personali. Correlativamente lo stesso discorso vale per il concorso interno fra i reati in riferimento in
rapporto alle diverse discipline sul concorso tipiche dei vari Paesi.
35
61
strutture organizzate e di individuazioni di limitati e specifici scopi di illecito (un modello ispirato
a quello designato dalla convenzione ONU di Palermo del dicembre 2000 contro la criminalità
organizzata transnazionale).
Si è pensato di soddisfare questo modello indicando tipi di reato in cui quel requisito sia elemento
costitutivo di fattispecie. Si è osservato bene36 che ogni reato, che pure abbia una tendenziale
vocazione alla scala internazionale, può avere una dimensione solo nazionale e quindi il suo
carattere transfrontaliero dovrebbe essere requisito esplicito ed autonomo perché esso possa
assumere quel carattere di gravità da richiedere l’elaborazione di norme minime comuni sostanziali
e processuali.
Vi è quindi il dubbio legittimo che il Trattato non possa accontentarsi di enunciare il requisito della
transnazionalità dei reati o tentare già esso di esplicitare in quali elementi quel requisito si debba
tradurre. Gli elementi non potrebbero essere solo processuali (potrebbe dipendere da eventi
puramente occasionali comunque dalla plurisoggettività del medesimo. A tacere delle forme
tentate).
Quindi saremmo per non indicare la transnazionalità come elemento costitutivo del reato (al
limite aggravante, con espressa esclusione della sua valenza “antenorma”).
Anche fissare in questo caso la competenza del PM europeo sarebbe problematico, proprio per la
eventualità della estensione dell’integrazione del reato che potrebbe essere diversamente
qualificato, in quanto ogni paese fissa delle fattispecie, sia pure diverse fra di loro.
Le vicende della sanzione e della pena potrebbero, si è detto, avere una cornice unitaria,
relativamente ai reati identificati come comuni, la prescrizione del reato ed il regime di esecuzione
della pena, che vengono ad incidere sull’estensione temporale delle sanzioni e la cui disparità sul
territorio dell’Unione potrebbero non essere accettabili dove siano individuati interessi comunitari
e potrebbero essere individuati nel Trattato come settori per i quali trovare un solco unitario.
Anche il regime delle immunità.
Connessi sono i temi
della protezione dei diritti e
dell’ammissibilità delle prove37.
da F. De Leo, La convenzione su futuro dell’Europa e la cooperazione giudiziale in materia penale,in Diritto penale
e processo n. 3/2003, p. 377 e seg.)
37
“L’evoluzione del sistema comunitario in merito alla fissazione di elementi comuni in materia penale si è svolto in
due diversi ambiti. Negli strumenti del Primo pilastro, regolamenti o direttive, vengono indicati obblighi o condotte
vietate, rinviando alle legislazioni nazionali per le sanzioni in caso di violazione. Libertà degli stati di scegliere tra una
sanzione amministrativa o penale, effettuando un’autonoma dosimetria anche in caso di sanzione del medesimo tipo,
con criteri di proporzionalità, effettività e dissuasività, sia pur senza poter garantire omogeneità, che deve costituire il
presupposto di uno spazio unico per evitare il forum shopping, anche in relazione alle attività illecite e criminali. In
secondo luogo, gli strumenti addottati in ambito Terzo pilastro, sul fondamento giuridico dell’art. 4 par. 2 lettera B del
Trattato UE, vincolanti per gli stati membri quanto al risultato, consentono alle autorità nazionali di scegliere forme e
mezzi da utilizzare in quanto non hanno effetti costitutivi, ossia di fonte normativa in senso proprio, nella sfera del
diritto punitivo di ciascuno stato. Hanno limiti: le azioni comuni, approvate per istituire definizioni comuni (come
quella sulla definizione di serious crime del 3 dicembre 1998) sono rimaste puri criteri guida. Con l’approvazione di
decisioni quadro relative a reati specifici, si scindono non contorni, ma anche elementi strutturali delle fattispecie
penali speciali. Se fosse accompagnato da sistema di sanzioni, con minimi comuni denominatori, si potrebbe
36
62
Certamente è da apprezzare il mutuo riconoscimento, come sottolinea A. Cassese 38,
che
acutamente osserva, contro alle obiezioni relative alla disparità di trattamento nell’ambito
intracomunitario che, quando il cittadino commette uno dei trentadue reati in un altro paese
membro dell’Unione, viola l’ordine pubblico di quel paese e lede interessi, beni e valori colà
protetti con un ordinamento penale ed un sistema repressivo proprio di quel paese.
Per converso, il nostro ordinamento, interrogato sul rispetto della articolo 3 della costituzione,
coopererebbe alla punizione all’estero di condotte tenute all’estero e colà considerate come
criminose in virtù di norme incriminatrici specifiche e precise.
Sul principio di doppia incriminazione, tipico dei procedimenti di estradizione che ha solo una
funzione di garanzia e che verrebbe derogato nella fattispecie, è stato sottolineato come l’art. 3
della Convenzione di estradizione dell’UE del 27 settembre 1996 prevede deroghe a tale principio.
Si è suggerito che in ogni caso , se il cittadino o lo straniero possa essere oggetto di mandato di
arresto da eseguire in Italia, solo per reati che siano tassativamente specificati in Italia, baseterebbe
inserire nella legge ordinaria da adottare per dare esecuzione alla decisione – quadro norme penali
che specificano, anche se solo ai fini del mandato di arresto europeo, le fattispecie criminose a cui
dette categorie sono riferibili. Ad esempio, per i reati di razzismo e xenofobia, una proposta del
28.11.2001 della Commissione Europea al Consiglio europeo, su una decisone quadro del
consiglio, contiene all’art. 4 una definizione dei due fenomeni che sembra accettabile e che
potrebbe quindi essere accolta nella legge ordinaria in questione, anche se migliorata nel 2002 dal
Parlamento europeo in un Progetto di parere della Commissione giuridica per il mercato interno
che, si vede (Prog. 11 aprile 2002, art. 4) definisce esattamente i comportamenti punibili.
In questo orientamento definitorio sarebbe più facile il raffronto con le eventuali norme interne,
nell’ipotesi
in cui dette disposizioni vengono immesse direttamente nei singoli ordinamenti,
secondo i criteri interni, i quali farebbero – come suggeriamo noi – uso dei criteri regolativi della
cominciare a parlare di un primo nucleo microsistemico di diritto penale comunitario. C’è poi il costante riferimento
alle liste di reati, con indicazione del solo nomen juris. Ora l’art. 2 della decisione-quadro sul mandato di arresto
europeo per delimitare il campo di applicazione del cd. Euromandato. Nella direttiva 97/2001 in materia di riciclaggio
si è fatto invece riferimento ad elementi naturalistici per accomunare la definizione con un elenco dei reati specifici
presupposto. Oppure si è fatto riferimento al criterio sanzionatorio interno. In ogni caso, vi sono stati dei rinvii
tipologici a reati offensivi dell’interesse dell’Unione, come le frodi comunitarie e la corruzione, reati pertinenti a
forme di criminalità già stabiliti come gravi e rilevanti per l’Unione a prescindere da una loro definizione comunitaria,
in quanto già recepiti in conseguenza di strumenti convenzionali adottati (partecipazione ad un gruppo criminale
organizzato, traffico di stupefacenti), oppure a reati già definiti a livello dell’Unione con l’adozione di decisioniquadro (terrorismo, tratta di persone, falsificazione di monete, protezione dell’ambiente e così via), oppure, ancora,
sotto un quarto profilo , a reati riconosciuti in altri strumenti convenzionali internazionali (ad esempio il crimine
informatico). Qui i reati sono assunti come base comune con il mero nomen juris, a prescindere dagli specifici
elementi strutturali delle fattispecie previste nelle legislazioni nazionali. La decisione-quadro GUCE 18 luglio 2002 n.
190 definisce il mandato di arresto come una decisione giudiziaria emessa da uno stato membro in vista dell’arresto e
della consegna da parte di un altro stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio dell’azione penale o in
funzione di una pena o di una misura di sicurezza, privative della libertà”.
38
“Recepimento da parte italiana della decisione-quadro sul mandato di arresto europeo” in Diritto
penale e processo n. 12/2003, p. 1565 e seg.,
63
specialità ovvero di altri istituti quali quello dell’assorbimento e quindi eluderebbero il problema
della realtà del concorso quando esso appare puramente virtuale.
Medesimo problema, aggiungeremmo noi, concerne la definizione di reati politici, che dovrebbero
essere oggettivamente articolati secondo criteri e nozioni comuni, proprio ai fini delle esecuzioni
dei mandati di arresto, venuta meno la doppia incriminazione. Rimarranno poi sicuramente i
problemi di esame dell’art. 26 della Costituzione sulle decisioni-quadro.
Ora, torniamo al caso in cui viene riconosciuta la validità nello spazio europeo di una decisione
giudiziaria emessa da un’autorità nazionale, appunto l’arresto, oltre i confini territoriali della
competenza dell’autorità stessa, purchè
siano sussistenti, oltre che i presupposti, i prescritti
requisiti minimi di validità, sempre facendo salva la possibilità di controlli.
Il controllo dell’AG sulla lista dei trentadue reati sposta la valutazione sulla ricerca del fatto
addebitato al soggetto, soprattutto nei casi in cui il mandato di arresto non sia collegato
all’esecuzione di una sentenza, al fine di esaminare il rispetto del principio del ne bis in idem o
l’eventualità di una intervenuta amnistia che obbliga lo stato richiesto a non eseguire il mandato.
La medesima valutazione sul fatto sarà necessaria per esercitare la facoltà di non esecuzione
connesse all’intervenuta prescrizione od alla presenza di una competenza concorrente dello stato
richiesto.
La valutazione grava sull’AG, che dovrà interpretare come al punto 8 del Preambolo della
decisione quadro (“dovranno essere applicabili le norme costituzionali dello stato richiesto relative
al giusto processo, alla libertà di associazione di stampa e di espressione dello stato richiesto”).
Ci interessa ora solo il profilo sostanziale.
Il punto 12 del Preambolo è relativo. La valutazione si estenderà ai motivi per i quali risulta
obbligatorio rifiutare l’esecuzione del mandato ex art. 3 dello strumento. Se il reato è coperto da
amnistia nello stato richiesto, se risulta un ne bis in idem o di condanna non più eseguibile per le
leggi dello stato richiedente, se la persona per l’età non può essere considerata penalmente
responsabile (verifica che investe il fatto ed è legata all’esame della sua qualificazione giuridica,
ossia dell’inclusione della lista).
Richiesta di arresto: il fatto dovrà essere descritto ex art. 8 lettera D ed E della decisione quadro,
anche con l’indicazione della natura e della qualificazione giuridica del reato, la descrizione delle
circostanze della commissione del fatto criminoso, compresi il momento, il luogo ed il grado di
partecipazione del ricercato.
Il giudice avrà (difficoltosa) discrezionalità tecnica di verificare alla luce di una dogmatica non
comune (nel senso di comunitaria) se un dato comportamento abbia o meno gli elementi
fondamentali tipici di una delle tipologie criminose indicate,alcune delle quali paiono invero più
delle definizioni criminologiche piuttosto che tipizzazioni di comportamenti delittuosi. Si pensi
64
alla difficoltà39 di affermare che il fatto criminoso rientra effettivamente nella categoria del racket
o della criminalità informatica. L’operazione ermeneutica si dovrà basare su fonti diverse da quelle
usate normalmente dal giudice: non solo il suo codice penale (né la scienza penalistica della sua
nazione), ma anche i codici penali, le elaborazioni dottrinali degli altri paesi, gli eventuali
strumenti internazionali e comunitari dai quali trarre profili di certa riconducibilità del fatto alla
generica figura penalistica.
Si è detto che si è di fronte al via libera per uno sviluppo transnazionale di un’operazione
ermeneutica che mostra evidentemente carattere creativo ed affida una grande responsabilità alla
magistratura degli Stati dell’Unione.
Si parla di fiducia nello jus dicere, “di un diritto penale sostanziale europeo, un nucleo settoriale,
qualificato come diritto penale non minimo, creato con fonti normative compromissorie, di un
diritto penale comunitarizzato”.
Tale percorso deve tenere conto della produzione non più statualistica delle scelte, delle stesse
fonti di produzione penale, ossia della progressiva internazionalizzazione del diritto e della politica
criminale. Rischi di clonazione di una parte generale comune agli stati dell’Unione elaborata
nell’ottica di un continuo confronto tra beni nazionali e beni comunitari.
La prospettiva si intreccia con la possibilità che la giurisprudenza, intesa come risultato
dell’attività dello jus atque juris dicere, venga considerata come se (non) fosse fonte del diritto
penale, nel rispetto del limite dall’art. 7 Carta europea dei diritti umani, che stabilisce il canone
della precisione di qualunque testo normativo in modo che ne sia assicurata la prevedibilità di
applicazione.
I giudici faranno riferimento a schemi linguistici e concettuali elaborati fuori dei confini nazionali
(come qui).
Si porrà pertanto il problema di quali possano essere i limiti alla formalizzazione del linguaggio
legislativo, sia pure a livello transnazionale.
Si è parlato di disciplina penale occulta in relazione alla dimensione transnazionale dei fenomeni
criminali (associazione criminale, riciclaggio, fattispecie in relazione alla quali ci si deve chiedere
se possano essere considerati ancora validi i soli modelli italiani).
L’associazione a delinquere da reato preparatorio dei delitti-scopi è divenuto centro di
smistamento di proventi (delitto di riciclaggio). La presenza nell’art. 648 bis della clausola di
riserva renderebbe discutibile un intervento penale cumulativo rispetto al reato presupposto. Non si
tratta di un comportamento volto a tesaurizzare e quindi consolidare proventi illeciti, e quindi di
un post-factum da considerare assorbito nel reato principiale, ma di una vera e propria condotta
39
E’ stato osservato da E. Rosi, L’elenco dei reati nella decisione sul mandato di arresto europeo: l’UE lancia il
cuore oltre l’ostacolo, in Diritto penale e processo n. 3/2004, p. 377 e seg.
65
diversa, in relazione ala quale c’è un distinto ed autonomo profilo di disvalore per le modalità con
cui i frutti ed i proventi del pregresso illecito vengono assicurati ed occultati.
Ci basti fare riferimento a questo temi (che abbiamo ampiamente studiato in separata sede).
Riteniamo che la formula del rinvio definitorio alla qualificazione giuridica del paese interno non
si conformi alla necessità che il fatto sia accuratamente descritto nell’elenco contenuto ai fini del
mandato di arresto.
In realtà abbiamo parlato di questo problema perché il tema deve essere generalizzato per quanto
riguarda il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziali.
Esistono varie alternative sotto il profilo definitorio, anche perché le fattispecie potrebbero essere
vicine ad altre, qualificate nella medesima maniera, ma diversamente costruite dal punto di vista
delle modalità descrittive della fattispecie a livello interno. Viceversa, potrebbero esserci delle
nomenclature diverse, ma esserci una medesimezza del fatto.
30. Le qualificazioni giuridiche degli stessi segmenti del fatto.
Il profilo della concorrenza di diverse qualificazioni potrebbe costituire elemento che anche in sede
di elencazione tipicizzata di fattispecie potrebbero richiedere la previsione di clausole differenti,
ancorate a qualificazioni interne (‘salvo che il fatto costituisca il reato autonomamente
sanzionato’), oppure a prescindere dalla qualificazione giuridica e dalla diversa sanzione. Sono
tutte espressioni che comunque comportano la necessità di provvedere, per quanto riguarda il
trattamento del fatto per cui si ammette il riconoscimento della decisione a lunga data,
costituiscono profili che richiedono una specifica indicazione anche perché potrebbero occorrere
gli interventi di più paesi e nel raffronto fra le qualificazioni interne potrebbe porsi sia un profilo di
concorrenza alternativa fra diverse qualificazioni di più paesi membri e dall’altra una definizione
comune anche per evitare problemi di incertezza nel caso di diverse nomenclature o diverse
qualificazioni e di apparenza di concorso all’interno di singoli paesi membri in relazione alla
diversa qualificazione di “altri paesi membri”.
Potrebbero ricorrere più paesi per i quali è necessaria una definizione tipica comune a livello di
norma comunitaria.
Ora, questa è una sede di trattazione lineare degli istituti e, come detto in precedenza, non si è
potuto approfondire il tema dei rapporti fra le qualificazioni del medesimo fatto relative ai singoli
paesi per un verso ed alle istituzioni comunitarie per l’altro.
Tuttavia, gli elementi sommariamente accennati possono condurci ad una capitolazione finale.
In linea generale non è stato sufficientemente studiato, anche attese le codificazioni ottocentesche
che hanno caratterizzato la produzione giuridica sul presupposto della possibilità di normare
dall’alto, in modo accentrato in coincidenza con la formazione e la definizione degli stati unitari
nazionali l’insieme delle situazioni non regolate, che divenivano rilevanti per il diritto sia civile
66
che penale o comunque criminale, attraverso la tendenza alla codificazione. Il fenomeno della
decodificazione che caratterizza la seconda metà del ‘900 è un fenomeno che in qualche modo è
ancora ispirato alla visione normocentrica, al paradigma nazionalistico post-utilistico. Ciò viene
sottolineato dal pensiero anglosassone che ha altresì osservato come esiste uno sviluppo evolutivo
del diritto attraverso le “regole di giusta condotta” che vengono eventualmente rafforzate dal
diritto penale o criminale40.
Il funzionamento dei principi come quello recitato dall’art. 5 del c.p.(ignorantia legis non
exscusat) si rivela solo se si consideri che nella cultura giuridica di un paese, scritta e non scritta, è
ben chiaro al consociato in anticipo se il proprio comportamento è un comportamento sconsigliato
dal contenuto formativo od informativo di una norma giuridica ovvero se è un comportamento
funzionale all’attività, ammessa, di interazione sociale.
La norma funziona e, come tutte le norme che abbiano una loro razionalità, non viene
abbandonata, stante il proprio carattere funzionale all’ordinamento.
Non è quindi ammissibile un rinvio dogmatico all’attività creativa del magistrato, che sarà creativa
ed elaborativa, per quanto riguarda i parametri e gli adeguamenti necessari, ma sicura mente non
per quanto riguarda la formazione della fattispecie.
Ogni soluzione che porti a soglie di imprevedibilità della decisione sull’an e sul quantum
giudiziale è una decisione che va espunta, vieppiù in una situazione complessa come quella delle
relazioni comunitarie con i singoli paesi.
Nel momento in cui anche a livello di “costituenda” europea si dovesse optare per la presa d’atto
delle tradizioni giuridiche dei vari paesi è impensabile, anche dal punto di vista tecnico, trasferirsi
dal neopositivismo giuridico dell’inizio ottocento ad una forma di neopositivismo giuridico eurocostruttivistico che porti in capo alle istituzioni comunitarie l’onere di conoscere tutto il
conoscibile al fine di normare su ogni situazione, anche con le pesanti conseguenze sanzionatorie
criminali. Bisogna sicuramente, dal punto di vista del diritto positivo, prendere atto dell’esistenza
di più canali di emanazione di inputs informativo-normativi posti in relazione fra di loro, posti in
relazioni complesse e non necessariamente in guise verticali. Potrebbero disegnarsi le relazioni fra
questi canali come relazioni di nuove incompatibilità o di coesistibilità e non di reciproca
autorizzabilità.
Pensare ad una norma centrale comunitaria che disegni compiutamente l’insieme degli ambiti
oggettivi del fatto vietato unitamente ai suoi accessori, ricollegandosi a prescritti elementi
psicologici ed a modalità conseguenziali sanzionatorie di trattamento del fatto, con una completa
40
Basti per tutti rinviare a F.A. Hayek, Law, Legislation and Liberty (A new statement of the liberal principles of
Justice and political economy), 1973, 1976, 1979, New paperback Edition, Rotledge & Kegan Paul, London, 1982 in
one–volume. La bibliografia e gli autori in linea sono sterminati. Per un primo commento organico in Italia, M. C.
Capirossi, Sulla conoscibilità della Norma (la fondazione del principio di libertà nel recente pensiero di F. A. Hayek,
Torino, 1985. Sui principi, fondamentale R. Nozick, The Nature of Rationality, Princeton, 1993.
67
regolamentazione che prescinda dalle carature tecniche e dogmatiche dei singoli paesi, è
assolutamente impensabile.
Tuttavia,riteniamo che quando una norma fa riferimento ad un fatto, esso vada individuato (quanto
meno nei suoi aspetti oggettivi). Nella criminalità
transnazionale e nei fatti illeciti che si
sviluppano fra i vari paesi e presso le istituzioni comunitarie si profilano in forme complesse le
eventuali verificazioni e modalità di verificazione di questi fatti.
Consigliabili sarebbero pertanto delle norme di coordinamento onde evitare sovrapposizioni e
duplicazioni di indirizzi, ai fini di individuare un’univoca nozione di fatto anche per quanto
riguarda l’estensione della responsabilità per ragioni di concorso di più persone.
Conosciamo che gli artt. 110 e segg. del c.p.it. comportano un’estensione della punibilità anche in
termini oggettivi, soprattutto nelle ipotesi di fattispecie a forma libera, ma anche
a forma
vincolata, le quali possono essere integrate da diverse modalità. L’estensione della sfera oggettiva
dell’ambito punibile può dipendere dalle azioni che vengono ricollegate ad eventuali concorrenti.
Pertanto, l’ambito dell’eventualità è sia soggettivo che soggettivo per quanto riguarda le
realizzazioni plurisoggettive che possono spostare l’estensione oggettiva temporale dei fatti vietati
oltre confini di uno o più paesi .
I problemi posti dal PME, dal Corpus Juris e dal Green Book in tutte le versioni non possono
prescindere dall’ancoraggio ai concorrenti. I fatti a dimensione extra statuale possono essere a
forma eventuale. Bisogna guardare il fatto anche attraverso le condotte frazionate e concorrenti,
anche non concertanti fra di loro, sempre che vi sia un concorso in un suo segmento (anche
preparatorio) fra uno o più paesi. Ad esempio, qualora un fatto, anche attraverso le condotte
frazionate dei concorrenti pure non concertate fra di loro, sia commesso in un suo segmento
preparatorio fra due diversi paesi, non dovrebbe, ad esempio, applicarsi l’art. 6 del c.p. it.
La creazione di uno spazio di giustizia territoriale dovrebbe comportare degli adattamenti a livello
comunitario, quanto meno per evitare duplicazioni ed ipotesi di concorso apparente ovvero di
qualificazioni ‘virtuali’ dei medesimi fatti, le incertezze di applicazione del ne bis in idem e del
giudicato, una individuazione degli effetti territoriali della regolazione dei medesimi.
Colui che commette un reato nel territorio della comunità europea è punito secondo la legge del
paese in cui il fatto è stato commesso. Il reato si considera commesso nel territorio comunitario
quando l’azione o l’omissione che lo costituisce è ivi avvenuta in tutto od in parte ovvero si è
verificato l’evento conseguenza dell’azione o omissione. E’ evidente che manca qualcosa. Va
stabilito, con riferimento al fatto, in quale paese il fatto di reato deve considerasi commesso. Non
può guardarsi all’evento o alla consumazione perché ciò dipenderebbe dalla ‘qualificazione’
giuridica nazionale. Riferirsi all’inizio dell’attività punibile? Lasciando a quel paese la
determinazione del post factum non punibile?
68
Vediamo quali possono essere gli impatti dogmatici di una tale modificazione attraverso la
sostituzione semantica di un termine ad un atro.
Tutte le questioni che sono in parte irrilevanti, concernenti la competenza territoriale dei tribunali
del singolo paese, si presentano invece in una lezione completamente difforme, stante la diversità
del giudice nazionale e del diritto sostanziale e processuale applicato.
A nostra volta potremmo provare ad invertire i criteri e, ad esempio con l’estensione territoriale,
provare a vedere come nei singoli paesi le parole ‘azione’ ed ‘omissione’ od ‘evento’ mutino di
significato; il vedere come ciascun paese tratta i reati commessi dal cittadino all’estero; come
questi fatti vengono articolati dalle convenzioni.
Le nozioni di pubblico ufficiale, di abuso, di danno allo stato, al cittadino, alla comunità possono
variare da paese a paese.
E’ verosimile che la Corte di Giustizia ovvero i giudici ordinari, operando un sindacato diffuso di
interpretazione delle norme comunitarie, facendo riferimento a precedenti anche di omologhi
organi giudiziali di altri paesi, anticipando o prevenendo le interpretazioni vincolanti erga omnes
della Corte di Giustizia, vadano a precisare e definire con stringhe uniformi e munite di un certo
tasso di imprecisione che caratterizza i principi, per quanto riguarda le parole di concorso,
specialità, successione, obbligazione, i profili della continuità normativa, gli effetti retroattivi della
legge nel tempo, i meccanismi di ultrattività, il regime delle aggravanti, i criteri per stabilire se un
fatto è costitutivo o determina il mutamento di titolo di un reato e quindi se muta la qualificazione
giuridica oppure se determina l’estensione quoad poenam sotto la forma dell’aggravante; il regime
del tentativo che, ad esempio, è diverso tra Spagna ed Italia e la valutazione della causalità o il
regime dell’errore (a tacere di tutte le vicende che modificano in astratto ed in concreto il regime
della sanzione che costituisce parte integrante della fattispecie incriminatrice).
Se è astrattamente conoscibile la normativa comunitaria, non lo è la minima integrazione
imprevedibile tra la norma comunitaria e quella nazionale, anche per quanto riguarda la lettura e
l’applicazione dei principi regolativi dei fenomeni contenuti nelle modalità descrittive delle
fattispecie astratte.
Sarà perciò necessario, per consentire l’ ignorantia legis non excusat, prefigurare legalmente
(regime di pubblicità della legge) i meccanismi astratti di integrazione fra i due ambiti. La
pubblicazione delle statuizioni giudiziali, come avviene per la CG, attuerà il principio di necessaria
pubblicità ai fini della necessaria prevedibilità e prevenibilità ex lege.
Se pertanto si disegna l’illecito come una struttura formale logica, a contenuto normativo, che può
essere ad esempio rappresentata sugli assi delle ascisse e delle ordinate, si vede che, siccome i
singoli ambiti di fenomenologia dell’illecito penale possano presentarsi in tempi diversi e con
modalità diverse, variamente incise, nell’attuale situazione di coesistenza fra ordinamenti nazionali
69
e ordinamento comunitario, da fonti che promanano da autorità diverse, in tempi diversi e con
modalità diverse.
Proviamo a mettere sull’asse delle ascisse il regime spaziale e su quella delle ordinate il modo di
darsi temporale dell’illecito.
Le fonti operano sullo spigolo di congiunzione tra le ordinate e le ascisse e determinano la nascita
di singole aperture di funzionamento sotto il profilo generale ed astratto della norma, fondativi
dell’illecito.
Sostituiamo parzialmente alla parola ‘spaziale’ la parola ‘territoriale’ e vediamo come l’illecito,
che parte appunto dall’incrocio delle due linee, può essere rappresentato da una semiretta che si
estende longitudinalmente rispetto all’asse spaziale e può avere la sua dimensione tale da
attraversare lo spazio di vari paesi.
L’apertura che viene caratterizzata dall’astrazione della norma può essere riempita dalle vicende
pratiche che costituiscono
le fattispecie concrete e che vanno come fatti ad inserirsi nella
fattispecie astratta.
Sull’altro asse il reato può svilupparsi in senso temporale.
Sulla parte del grafico non occupata dalle assi delle ascisse e delle ordinate intervengono le
vicende di fatto che divengono giuridicamente rilevanti, pertinenti alla dimensione temporale
dell’illecito sotto il profilo normativo. Vicende giuridiche come l’estinzione della punibilità, che
sono sottratte alla volontà delle parti, come il verificarsi di un procedimento o di un condanna
(quindi applicabilità del principio del ne bis in idem o del giudicato), il decorso del tempo inteso
come prescrizione o l’intervento di cause di estinzione del reato o della punibilità quali ad
esempio l’amnistia o gli indulti. E via dicendo.
Lungo la semiretta che si sviluppa in questo ambito interferiscono gli elementi soggettivi, cui
abbiamo accennato, relativi alla compartecipazione criminosa.
Su questo piano vanno ad intervenire le diverse normative, i profili dell’applicazione della legge
modificativa nel tempo e quindi tutte le regole, per così dire naturali, che governano lo sviluppo
possibile anche del trattamento giuridico del fatto che può avere i suoi concreti diversi
atteggiamenti.
Da un punto di vista puramente giuridico il grafico può sovrapporsi ad altri grafici per fatti che
possono essere tangenti od identificarsi parzialmente – se non in tutto – con quello ipotetico di cui
stiamo parlando.
I momenti di intersezione a loro volta costituiscono delle situazioni eventuali non governabili
teoreticamente in anticipo, stante la complessità dei singoli sistemi giuridici e richiederanno la
statuizione a livello di principio di meccanismi, di eliminazione dei conflitti o delle false
70
pluriqualificazioni, da parte comunitaria e da parte intracomuntaria, vale a dire da parte dei
singoli ordinamenti giuridici.
Per risolvere il problema sarà opportuno non affidarsi alle estensioni od alle prevalenze di certe
culture settoriali come ad esempio quelle che hanno connotato il principio di specialità nell’ambito
italiano piuttosto che ad altri principi omologhi e comunque differenti, e sarà opportuno, ad
esempio, applicare raffronti, giustapposizioni o sovrapposizioni di questi modelli al fine di
verificare quale é il complesso delle situazioni di vita divietate sia a livello interno che a livello
comunitario, quasi ad individuare una norma ampia di riferimento che disegna, associando insieme
gli ambiti di illecito e distinguendo quindi nei suoi confini esterni gli ambiti del non punibile, così
da individuare il trattamento sanzionatorio previsto.
Le vie suggerite e possibili sono quelle di provvedere a questi accorgimenti attraverso degli istituti
comuni di veicolazione semplificata di concetti generali che vanno poi tradotti ed integrati con
quelli interni, vale a dire istituti comuni di veicolazione semplificata di meccanismi intrastatuali,
meccanismi comunitari che richiamano in modo semplificato, dando pieno credito ai meccanismi
statuali di rilevanza giuridica, oppure viceversa a meccanismi entrostatuali di attribuzione di
rilevanza, codificazioni di altri ordinamenti ovvero dell’ordinamento complesso integrato
comunitario.
Una terza via è quella di individuare dei meccanismi di correzione reciproca degli istituti di
competenza giudiziale che avrebbero l’effetto di un avvicinamento del significato – una volta che
si voglia ammettere la figura logica e linguistica – cosicché attraverso le statuizioni di principio
eventualmente circolanti anche con il contributo della CG si generi, altresì sotto il profilo dei
formanti operazionali e giurisprudenziali, una sostanziale omologazione e si incrementi il tasso di
prevedibilità del trattamento sanzionatorio.
Un altro modo di ordinazione nomica ancora può essere quello dell’estensione normativa a livello
comunitario delle condotte che vengono descritte
in alternativa, quindi ad esclusione
dell’applicazione delle condotte interne.
Si potrebbe fare ricorso a figure quali ad esempio quella della sostanziale connessione, cioè della
connessione intesa come un fenomeno sostanziale, analogo al reato continuato o ai reati cd.
progressivi, in grado di attrarre nella sfera del rilevante fatti che altrimenti non sarebbero
autonomamente punibili e comunque non sono sovrapponibili sotto
il profilo oggettivo ma
vengono intesi come attratti e quindi non più sanzionati tra i pre-fatti ed i post fatti non punibili in
quanto esecutivi di un medesimo disegno criminoso. Questo potrebbe essere un meccanismo di
sovrapposizione.
Per quanto riguarda i meccanismi di individuazione, vi sono più alternative. Alcune sono già state
esplorate: da una parte le definizioni (ad es. il ‘concorso’) dall’alta una ri-descrizione ( ad esempio
71
nel CJ o nel GB) e quindi una conseguente separazione dalle singole fattispecie, regolata, piuttosto
che quelle sommariamente descritte dell’elencazione di semplici dati strutturali (che pone alcuni
problemi).
Al fine dell’eseguibilità di mandati di arresto o sequestri ovvero del riconoscimento dell’efficacia
di decisioni interne nei casi in cui non vi siano sovrapposizioni, vale a dire si tratti di delitti che
non vengono concepiti come delitti lesivi di beni sopranazionali, una soluzione potrebbe essere
quella del reciproco riconoscimento a tutti gli effetti, sul presupposto che si tratti di illeciti nel
senso di modalità di infrazione in quanto contrastanti con altri ordinamenti o addirittura con
l’ordinamento comunitario in quanto tale.
In questo senso non si potrebbe parlare di compressioni reciproche dei singoli ordinamenti, che
potrebbero conservare la propria potestà punitiva.
Altro modo astratto sarebbe quello del rinvio alle qualificazioni giuridiche del paese con delle
integrazioni (in alto o in basso) di pena, di modo tale da raggiungere determinate soglie di
punibilità (un tribunale della sola pena differenziale?)..
Resta comunque l’opportunità (e questa è la ragione delle presenti osservazioni) di individuare un
insieme strutturale che va dalla nascita della previsione incriminatrice sia sotto il profilo delle
modalità descritte che del trattamento sanzionatorio, sino alla sua evoluzione e fino ancora alla sua
modificazione, con i principi regolativi della medesima e una costruzione organizzata in tal senso
dell’ illecito che deve potere dispiegarsi all’interno dello spazio europeo così come, dal punto di
vista astratto e teorico, si sviluppa all’interno del singolo paese. Il trattamento sanzionatorio potrà
essere tendenzialmente diverso. La via dell’omologazione è sicuramente una via che spetterà al
fulcro giudiziale, ma la cura dei prossimi anni delle istituzioni comunitarie sarà quella di attuare, a
prescindere dalle codificazioni astratte, ontologiche e come tali inaccettabili o dalla natura sia
amministrativa che criminale dell’illecito, forme intelligenti e plurali di soluzione anticipata di
conflitti e alternative giurisdizionali sui fatti.
Mi preme tornare in conclusione sul elencazioni contenute nella decisone quadro del Consiglio UE
del 13 giugno 2002 per manifestare ancora una volta il convincimento che i profili relativi alla
valutazione del giudice richiesto saranno i medesimi profili, nei casi specifici che verranno in
questione, tipici del giudice che dovrà valutare su norma di derivazione comunitaria.
Gualtieri41, nella prospettiva delle garanzie costituzionali del diritto interno ha mosso dei rilievi di
carattere formale che vanno esaminati.
Penso che l’autorità giudiziaria dovrà sempre verificare l’esattezza dell’inquadramento effettuato
dall’autorità dello stato emittente., nella fattispecie indicata nella lista. Se ciò non fosse, si
41
P. Gualtieri, Il mandato di arresto europeo: davvero superato il superabile principio di doppia incriminazione?, in
Dir.pen. e processo, n. 1/2004, p. 115 e segg..
72
arriverebbe al semplice riferimento al reato come vincolato per lo stato di esecuzione anche nel
caso di carenza dei presupposti previsti dalla convenzione.
Va parzialmente accolta l’opinione di Selvaggi 42 (Mandato di arresto europeo alla prova dei fatti
in Cass. pen. 2002, 2983) nel senso che l’art. 9 stabilirebbe una presunzione semplice di
assorbimento in entrambi gli ordinamenti del requisito della doppia incriminazione, che però
sarebbe evincibile, a contrario, esclusa la postulata automaticità, nel senso che il controllo del
giudice dell’esecuzione dovrebbe particolarmente essere pregnante in relazione al contenuto del
provvedimento ed ai motivi di rifiuto dell’esecuzione.
Si è osservato che l’incisiva progressione delle regole dell’art. 31del Trattato UE come modificato
ad Amsterdam o ai piani di azione ministeriali precedenti, ha concentrato l’attenzione sulla non
diretta operatività delle decisioni-quadro negli ordinamenti interni degli stati membri, stante la
necessità di regolamentare
a livello nazionale i principi i fissati dalla costituzione e dalle
disposizioni sul giusto processo.
Il tema è marginale, in quanto la compatibilità costituzionale della normativa riordinata
comunitaria si porrebbe unicamente sotto il profilo della esistenza di norme interne integrate con
quelle comunitarie, in relazione alla cui ricostruzione potrebbero porsi problemi di costituzionalità.
E. Selvaggi.Riferimento nel testo. Più che di presunzione, pensiamo, dato l’ampio passo dell’art. 4 (peraltro non
esente da difetti “casistici”), si tratti puramente e semplicemente di pieno rinvio della Convenzione al diritto penale
interno, che prevede, tramite ora la convenzione, l’esecuzione solo ove esso non sia competente ad attrarre (anche
negativamente sotto il profilo del ne bis in idem o della non procedibilità) la cognizione del reato a sè.
Di maggior pregio tecnico è la decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea 22 luglio 2003 (v. Dir.pen. e
processo, n. 12/2003, p. 1575 e segg.) in materia di sequestro probatorio e blocco dei beni tra Stati dell’UE. Questa,
dopo le definizioni di reati generiche per nomen (art. 3), prevede all’art. 7, in via generale, di non riconoscere il
provvedimento aliunde se i fatti non costituiscono reato solo nell’ipotesi non si tratti dei reati sopra elencati.
Di qui ricaveremmo che la soluzione suggerita da Selvaggi vada rivisitata.
Da una angolazione costituzionale, è stato bene osservato che l’art. 26 Cost. it. Non pone sbarramenti poiché la
decisione quadro è attuata internamente con legge ordinaria (A. Cassese, Il recepimento da parte italiana della
Decisione quadro sul mandato d’arresto europeo, in Dir.pen. e processo n. 12/2003, pp. 1656 e segg.)
Che non vi siano presunzioni di doppia incriminazione superabili dal Giudice nazionale senza violare la legge (salve
teoriche questioni di costituzionalità sui cui è auspicabile la Corte si pronunzi) è già stato ritenuto, interpretando la
decisione quadro, dalla Consiglio di Stato francese 26 settembre 2002.
J. Vogel (Abschaffung der Auslieferung? Kritische Anmerkungen zur Reform des Auslieferungsrechts in der
Europaischen Union, in Juristen Zeitung, 19, 2001, 942), invece, occupandosi dell’omologo caso della modifica
costituzionale tedesca per consentire la „consegna“ di cittadini tedeschi e tedeschi alla giurisdizione internazionale
(Ruanda, ex Jugoslavia, Corte permanente), ha espresso rilievi al problematico adattamento tedesco, che non
consentirebbe - nel quadro dello sviluppo dell’estradizione nell’Unione europea superante l’”estradizione formale” a
favore del riconoscimento reciproco automatico della decisione adottata in un altro stato membro, prefigurato dal citato
mandato d’arresto europeo- una piena verifica dei presupposti costituzionali dell’estradizione. Come è noto, difatti, la
“Legge Fondamentale” tedesca è stata modificata dal 30 novembre 2000 nell’art. 16, che ribadisce il divieto di estradare
ogni tedesco, riservando alla legge la deroga per gli stati membri o le corti internazionali approvate salvo il rispetto dei
diritti fondamentali dello stato di diritto (es. contraddittorio, irretroattività, ne bis in idem, giusto processo, giudice
naturale, colpevolezza, presunzione non colpevolezza etc. conf. v. J.P. Pierini, Estradizione dei nazionali e
cooperazione della Germania con i tribunali internazionali, in Dir.pen. e processo n. 5/2003, pp. 631 e segg.) . Ciò,
sull’improbabile assunto ideologico che queste siano estensioni della giurisdizione tedesca, tendenzialmente impostata
sulla sua vocazione “extraterritoriale”. Sul principio costituzionale interno di tutelare la vita dell’estradando, da altro
punto di vista, v. F. De Sanctis, La deroga del Regno Unito alla Convenzione europea nell’ottica della giurisprudenza
di Strasburgo, ibidem, pp. 641 e segg.
Sui temi, per l’Italia, richiamiamo supra le note sulla L. 2 agosto 2002 n. 181 (conf. S. Zappalà, La cooperazione
dell’Italia con il Tribunale di Arusha, in Dir.pen. e processo n. 19/2002, 1293 e seg.
42
73
Tant’è che i giuristi interni ritengono che le norme di attuazione interne devono prevedere che il
giudice nazionale valuti l’esistenza dei
presupposti di esecuzione del mandato di arresto e
interpretare le disposizione alla luce dei principi di giusto processo pure in riferimento alla
tassatività delle fattispecie incriminatrici, inderogabile presupposto per un efficace espletamento
del diritto di difesa definito inviolabile dalla costituzione e al divieto dell’art. 7 della Convenzione
europea di condannare taluno per azioni o omissioni se, nel momento in cui furono commesse, il
fatto non costituiva reato secondo il diritto interno od internazionale.
Dato che la citazione non riguarda il caso di specie, ci sembra che non si ammissibile una
interpretazione manipolativa delle
norme per renderle compatibili al vaglio costituzionale;
semmai, se si pone un problema di costituzionalità, ne deriverebbe la illegittimità costituzionale
delle norme, ma unicamente di quelle di rango statuale, le quali, tuttavia, se in contrasto con la
norma comunitaria, dovrebbero essere disapplicato.
E’ interessante dunque lo sviluppo di questo ambito di ricerca.
A prescindere dal fatto che secondo taluni le decisioni avrebbero travalicato l’ambito dell’art. 31
lettera E del Trattato, riteniamo di avallare Caianiello (Parere sulla proposta di decisione-quadro
sul mandato di arresto europeo) 43nel ritenere gli effetti della decisione-quadro di tipo sostanziale
direttamente negli ordinamenti interni.
La non necessità che i provvedimenti siano motivati porrebbe dei problemi di costituzionalità
(art. 2 della normativa in esame, rispetto al 13, 104 e 111 Cost.).
Il problema della tipicità e della tassatività sarebbe un problema rilevante.
Il semplice rinvio ad un disvalore non sarebbe significativo, e le fattispecie elencate siano
generiche: ad esempio si è pensato alla qualificazione di omicidio per un fatto riconducibile ad un
aborto, all’eutanasia, consentiti in alcuni stati membri, alla corruzione di privati, non prevista
nell’ordinamento, alla difficoltà di inquadrare la frode
da accordare con la truffa, ai reati
informatici, al diverso trattamento sanzionatorio delle sostanze stupefacenti, al concetto di racket
diverso da quello di estorsione, i vari riferimenti alla criminalità ambientale.
Riteniamo che un preciso rinvio tipologico sul presupposto sostanziale della
doppia
incriminazione, stante il cambiamento tipico delle fattispecie interne dovrebbe eludere il profilo
segnalato dell’eventuale contrasto con i principi di stretta legalità ex art. 25 Cost.
Ci vogliamo definitivamente limitare a segnalare il problema per sottolineare che il rapporto fra il
regime interno delle garanzie costituzionali ed i meccanismi comunitari sarà un rapporto che porrà
una serie di questioni ulteriori.
Dovranno essere elaborate anche norme relative all’interpretazione delle norme interne; pensiamo
che questo verrà fatto dalla Corte di Giustizia.
43
V. Caianiello-G.Vassalli, cit, in Cass.Pen. 2002, 467.
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Se ad esempio le norme interne, integrate con quelle comunitarie, al fine di ricostruire le fattispecie
comunitarie possono essere interpretate correttivamente con riferimento ai parametri interni; ciò
dovrà essere statuito in via generale poiché i singoli ordinamenti hanno differenti articolazioni
giuridiche circa i vincoli all’interpretazione, sia sotto il profilo costituzionale che sotto quello del
diritto o legge ordinaria o dei principi generali dell’ordinamento.
Un altro tema che sorgerà sarà quello di verificare se le norme integrate con fonte comunitaria non
siano oggetto di sindacato nemanco diffuso, di costituzionalità ovvero di interpretazione correttiva
da parte dal giudice, ovvero se debbano essere per così dire attratte dall’ordinamento interno in
modo tale da essere considerate come norme interne, sia pure ad integrazione comunitaria e quindi
debbano essere sottoposte a tutti i controlli di legittimità in senso positivo e negativo da parte
delle autorità giurisdizionali interne.
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