La coscienza

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La coscienza, il Sé
L’analisi dei concetti quali - Sé, coscienza, conoscenza - risulta sempre di difficile
esplicitazione.
Nel caso in questione siamo in oggettiva difficoltà a causa della genesi e
dello sviluppo che tali determinazioni manifestano. Può essere utile allora, partire
da alcune premesse di carattere storico al fine di comprendere il senso che hanno
per noi tali nozioni. In effetti non c’è scienza senza storia della scienza, per cui una
breve disamina ci può aiutare nel processo di comprensione che stiamo mettendo
in atto.
Vediamo: con il termine coscienza, che ha poco a che fare con il significato
di consapevolezza nel senso comune (percezione dei propri stati interni), possiamo
intendere (nella filosofia moderna) il rapporto dell’anima con se stessa, la relazione
intrinseca all’uomo mediante cui possiamo conoscerci in modo immediato e
privilegiato E’ possibile allora giudicarsi in modo sicuro ed infallibile. Risulta
evidente allora che i problemi del giudizio su di sé – l’auto-giudizio morale - ed i
problemi della conoscenza di sé – giudizio teoretico – sono interconnessi. La
determinazione storica di questo concetto è così correlativa con quella di una sfera
d’interiorità come un campo specifico d’indagine.
Un punto assolutamente imprescindibile nella nostra breve storia delle idee è
senz’altro la filosofia di E. Husserl.
Per Husserl la natura della coscienza , se volete l’essere della coscienza, è
considerato un trascendere, letteralmente un andare oltre se stessa verso l’oggetto
che di volta in volta sarà preso in considerazione. Detto in altro modo, la
coscienza è il rapportarsi all’oggetto. Se è così la coscienza non è la relazione ad
una rappresentazione di un oggetto qualsiasi, bensì questo stesso rapportarsi.
Spieghiamoci meglio: quando parliamo di coscienza non intendiamo un rapporto
interno all’anima o qualsivoglia sostanza o cosa che riteniamo sia la mente, al
contrario qui non c’è una cosa che posso chiamare anima o res cogitans ma solo
una relazione agli oggetti originaria. Insomma non possiamo pensare che prima
esista una cosa chiamata coscienza e poi una cosa chiamata realtà. Esiste solo un
continuo rapportarsi alle cose , interne o esterne che siano. Dice Husserl: “La
percezione dell’esperienza vissuta è la visione diretta di qualche cosa che si dà
nella percezione come assoluta e non già come l’identità delle apparenze che
l’adombrano. Un sentimento non appare per adombramenti. Se getto il mio sguardo
su di esso ho qualcosa di assoluto, privo di aspetti che potrebbero presentarsi tanto
in un modo che in un altro”. Ancora; “per quanto la mia corrente di coscienza non
venga afferrata che in ristretta misura, per quanto sia sconosciuta nelle parti già
scorse o ancora a venire, tuttavia, gettando lo sguardo sul suo effettivo presente e
cogliendo me stesso quale puro soggetto di questa vita, necessariamente affermo:
io sono, questo vivere è, io vivo: cogito.” Da ciò deriva che mentre la coscienza per
esistere non ha bisogno di nulla, appunto è assoluta, l’essere delle cose è relativo
alla coscienza, è un essere per la coscienza.
Questo tipo di retroterra culturale è alla base per comprendere il senso del
concetto di Sé che viene utilizzato in psicologia. In particolare se la coscienza è
quanto abbiamo detto, il cognitivismo eredita questo concetto quando parla di
percezione: non esiste infatti un atto della percezione separato dall’oggetto
percepito, la percezione, come aspetto coscienziale, è sempre relazione originaria
al percepito, originario rapportarsi al percepito (esterno od interno che sia). Ecco
allora che io mi percepisco, sono cosciente di, nella misura in cui sono sempre
presso i miei stati interiori. Essere cosciente di – significa la mia originaria relazione
non solo col mondo (coscienza di uno sfondo, una casa, etc.) ma anche con i miei
stati interni, i miei ricordi, le mie sensazioni, i miei umori, i miei sentimenti. Questa
relazione non è una cosa che pensa, ma un andare verso le cose quasi
sbattendoci sempre contro. Ora, sulla base del senso di coscienza appena esposto,
quando dico che sono consapevole di qualcosa intendo che non sono una cosa che
pensa ma, se volete, la funzione del pensare. Non c’è prima un io e poi un mondo
(esterno o interno), la coscienza è già presso le cose, è la presenza stessa delle
cose del mondo (presenza è essere presso l’ente). Se dunque io sono già presso il
mondo e le cose è evidente il continuo scambio di significati che faccio col mondo:
quella cosa che vedo, quel suono che odo, quella parola che mi viene detta, sono
mio patrimonio in quanto sono da sempre legato al mondo e ad Altri come
coscienza di questo o quello. L’interazionismo simbolico è erede di questo originario
legame col mondo.
Ora è necessario aggiungere, come ulteriore debito del cognitivismo, che essere
coscienti ha anche l’ulteriore significato di dare un senso a ciò di cui di è coscienti,
in particolare la coscienza è portatrice di senso unitario (il cognitivismo pensa alla
mente come ad un elaboratore che gestisce i dati in entrata per trasformarli in
uscita). La coscienza non solo è un rapportarsi ai miei stati interni o esterni, ma
conferisce anche senso ed unità a questi stati: ecco perché io sono un io. Senza la
capacità di dare un senso a ciò che posso conoscere di me non ci sarebbe un me o
un io. Io sono dunque quel centro di azioni che la psicologia chiama sé soggetto.
Grazie dunque al conferimento di senso, di origine coscienziale, so (sapio) che
sono un Io in altre parole un sé soggetto centro delle mie azioni e volizioni. A
questo livello io non sono le cose, non sono il mondo che mi circonda ma ancora
(nella fase dei primi mesi) non ri- fletto su di me ma agisco e concupisco il mondo e
le cose. Successivamente ri-fletto su mio io e, necessariamente, in virtù del
meccanismo riflessivo che prevede due poli mi vedo come una cosa tra le altre
non come agente ma come una cosa, come una res extensa. Entrambi questi
meccanismi sono di natura coscienziale perché è nella natura della coscienza
potersi riferire a qualcosa d’altro da sé cioè potersi trascendere. Si potrebbe
obiettare a questo punto che l’Io cioè il Sé, per la psicologia, è la stessa
coscienza.che, quindi, non si è affatto trascesa verso altro…..
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