C. Goldoni e la riforma del teatro - Digilander

C. GOLDONI (1707-1793)
Carlo Goldoni nasce il 26 febbraio 1707 a Venezia; vive un’infanzia movimentata e dal padre
eredita la passione per il teatro e una certa propensione a spendere.
Nel 1712 muore il nonno, lasciando molti debiti e una precaria situazione economica. A Perugia
nell’autunno del 1716 Carlo raggiunge il padre, che lo aveva chiamato presso di sé mosso anche
dalla predisposizione dimostrata dal figlio, e per tre anni viene collocato nel collegio dei gesuiti
dove studia grammatica e retorica.
Stabilitosi a Chioggia, il padre lo porta a vedere le rappresentazioni della compagnia di comici, ma
lo porta anche con sé a visitare i malati, sperando che questa pratica gli potesse servire per
invogliarlo a cominciare gli studi di medicina.
Ma la vita a Chioggia e la medicina non garbano molto al giovane Carlo: la sua nuova “avventura”
comincia nel gennaio del 1723 quando il padre stesso lo conduce a Pavia.
Nel periodo pavese il Goldoni comunque “matura il suo ingegno” leggendo le principali opere del
teatro antico e moderno, soprattutto attraverso la lettura di Molière; e confrontando le messinscene
del comico francese con quelle delle compagnie italiane, sente la inadeguatezza della commedia
dell’arte ed ha la prima idea della riforma del teatro nel solco della tradizione di quello classico e di
quello francese sul piano della rappresentazione scenica.
A ventun anni decide di entrare nei pubblici uffici della Repubblica, prima come semplice aggiunto
nella Cancelleria penale della podesteria di Chioggia (1728-29) e poi quale coadiutore in quella di
Feltre (1729-30).
Dopo avventurose peregrinazioni per l’Emilia e la Lombardia, incontra per caso a Verona il Casali
che recitava in quell’Arena con la compagnia veneziana del teatro di S. Samuele, diretta da
Giuseppe Imer; fatta amicizia col capocomico e tornato con lui a Venezia, si impegna a scrivere per
i teatri di cui era proprietario il nobile Michele Grimani.
Qui comincia propriamente, nell’autunno del 1734, il primo periodo dell’opera artistica del Goldoni
che dura fino alla primavera del 1743: un decennio di preparazione, durante il quale egli saggia le
proprie forze in ogni genere di componimenti teatrali. Il primo trionfo del Goldoni sui teatri
veneziani è proprio la recita del Belisario al S. Samuele il 24 novembre 1734, una recita che dura
per venti giorni fino al 14 dicembre, per essere ripresa alla chiusura del carnevale dell’anno
successivo.
Nel 1736 la compagnia del San Samuele deve trascorrere la primavera a Genova per una serie di
recite al teatro Falcone e il direttore Imer decide di portare con sé anche Goldoni. Proprio a Genova
avviene uno dei fatti più importanti nella vita del nostro autore: in poche settimane si innamora e si
sposa con Nicoletta Conio, giovane figlia diciannovenne d’un notaio, e nell’ottobre la porta con sé a
Venezia.
Sarà un matrimonio felice, sebbene senza figli, d’una felicità uguale e calma e Nicoletta sarà una
sposa fedele e premurosa, che gioisce nell’ombra per i successi del marito. Il matrimonio viene
celebrato il 22 agosto 1736.
Il 1738 è stato il primo anno importante nella vita artistica del Goldoni. Insieme col famoso
“truffaldino” Antonio Sacchi che interpretava la parte di Arlecchino, entra nella compagnia Imer il
“pantalone” Golinetti, che recitava molto bene anche con la faccia scoperta (senza la maschera); è
con essi che il Goldoni tenta una strada nuova per il teatro, nel tentativo di abbandonare la
commedia dell’arte e di improvvisazione, scrivendo le varie scene che gli attori avrebbero dovuto
poi imparare a memoria. Compone, anche se non per intero, la sua prima commedia di carattere,
Mòmolo cortesan (carnevale 1738-39), e porta sulla scena un personaggio vivo quale da tempo il
teatro comico italiano non conosceva, gioviale rappresentante della sana borghesia delle lagune
venete: “Il vero cortesan veneziano è un uomo onesto, servizievole, cortese. È generoso senza
profusione, allegro senza esser stordito, ama le donne senza compromettersi, ama i piaceri senza
rovinarsi, s’interessa a tutto con retta intenzione, preferisce la tranquillità ma non tollera la
prepotenza, è affabile con tutti, amico caldo protettore zelante”.
C. GOLDONI (1707-1793)
Incoraggiato dal buon esito, prepara per il carnevale dell’anno successivo (1740) un’altra
commedia, Momolo sulla Brenta, ossia il Prodigo, che colpiva un vizio comune nel Settecento, ma
più fatale alla nobiltà veneziana. Meno felice artisticamente riuscirà l’anno dopo il Mercante fallito,
ossia la Bancarotta.
L’idea riformatrice del Goldoni era semplice: occorreva eliminare dalla scena quelle stranezze,
quelle battute grossolane e scurrili, quei concetti espressi chiaramente a sproposito, che molto
spesso servivano agli attori per riprendere il ritmo della rappresentazione interrotto da qualche
difficoltà che interviene naturale quando si recita a braccia seguendo solo un canovaccio. Scrivendo
il testo della commedia non si può più tradire l’intenzione dello scrittore né si possono cambiare
durante la rappresentazione le vicende preparate per formare o condurre l’intreccio. Ma Goldoni si
rende anche conto che questo nuovo “gusto” della commedia, che nasce dalla regolarità dell’azione,
può essere introdotto solo a poco a poco, perché tutti sono troppo abituati al vecchio modo di far
commedia e di “divertirsi” in teatro.
Nascono in questo periodo il melodramma Oronte, la commedia in tre atti La bancarotta, che
riscuote comunque un buon successo di pubblico, La donna di garbo, che verrà recitata solo quattro
anni più tardi, L’Impostore. Fuggito da Venezia dopo essere stato invischiato in una truffa, si sposta
prima a Bologna e poi a Rimini, dove gli viene affidata la direzione degli spettacoli del teatro
durante l’occupazione austriaca, ricominciando a vivere in una certa agiatezza, riprendendosi dallo
smacco della truffa subita. Parte poi per la Toscana, trattenendosi a Firenze per quattro mesi e
vivendo per un po’ anche a Pisa, dove si fa molti amici. È in questo frangente che gli arriva
all’improvviso da Venezia una lettera dell’amico Antonio Sacchi proponendogli il soggetto di una
nuova commedia (Il servitore di due padroni): di giorno lavorava come avvocato e di sera come
commediografo. La commedia riscuote un enorme successo, tanto che gliene viene chiesta un’altra:
nasce il figlio di Arlecchino perduto e ritrovato, che gli dà una grande notorietà anche fuori
dall’Italia, soprattutto in Francia.
Nel settembre, dopo cinque anni di assenza, rivede Venezia. Il 1748 è indubbiamente l’anno più
importante nella vita del Goldoni e nella storia del teatro comico italiano. La sera di S. Stefano, 26
dicembre, i Veneziani che gremivano la platea e i palchi del Sant’Angelo applaudivano al trionfo di
Rosaura (rappresentata dalla signora Teodora Medebac), la Vedova scaltra, circondata dai suoi
quattro cavalieri: commedia fatta veramente di riso senza intrusione di elementi romanzeschi. Nel
febbraio del 1749 altri applausi salutano la Putta onorata, prima commedia goldoniana di costume
popolare, in dialetto.
Cominciava così la straordinaria attività che durerà fino al 1762. Riuscita bene la prova del primo
anno comico, il Goldoni si lega alla compagnia di Girolamo Medebac per quattro anni.
Nell’autunno del 1749, dopo che con successo La putta onorata aveva chiuso l’annata precedente e
aperta quella in corso, per quindici sere di seguito si recita il Cavaliere e la dama, nella quale la
satira, precorrendo il Parini di quasi tre lustri, osava toccare nel vivo, di là dal cicisbeismo, la
nobiltà. Ma non tutto fila via liscio: i teatri a Venezia erano ben sette, e tutti erano in feroce
concorrenza fra loro; è in questo periodo che, in un’atmosfera di concorrenza sfrenata di immagine,
di poetica e di morale, oltre che economica, sorge il suo primo grande nemico, l’abate Piero Chiari,
che negli stessi giorni in cui Goldoni riscuote un grande successo, al teatro San Samuele viene
rappresentata La scuola delle vedove, una specie di parodia della Vedova scaltra, dalla quale
differisce solo nei dialoghi, pieni di “invettive e di insulti” contro Goldoni e gli attori della
compagnia Medebac. A questo attacco Goldoni risponde con un opuscolo di difesa, stampato in
tremila copie (una enormità per i tempi), il Prologo apologetico della vedova scaltra, in forma
dialogata con tre interlocutori, che viene distribuito nei caffè e nei ritrovi di nobili e popolani:
l’effetto è il ritiro dalle scene dell’opera del Chiari per ordine delle autorità.
Di questo periodo è La Famiglia dell’antiquario, ossia la Suocera e la nuora, la prima vera grande
commedia goldoniana, superiore a tutte quelle che l’anno preceduta, benché i diversi elementi che
la compongono, come afferma qualche critico, non si fondano in perfetta unità; ma il Settecento
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circola, sorridendo, nei personaggi, nel dialogo, nell’azione, con qualche nota non sappiamo se di
riso o di pianto, della follia umana. Le novità apportate da Goldoni non sono ben accette:
— l’eliminazione delle maschere,
— l’uso della scrittura integrale dei dialoghi,
— la rappresentazione di caratteri veri e immediatamente tratti dalla natura,
— l’eliminazione di battute pesanti e volgari,
— l’eliminazione di casi assurdi o strani o troppo romanzati,
— l’utilizzo del verisimile come norma generale su cui costruire l’intreccio,
— l’utilizzo di una sola lingua (il veneziano o il toscano).
Dal 1750 in avanti Goldoni lavora a La bottega del caffè, La famiglia dell’antiquario, I pettegolezzi
delle donne.
Nei due ultimi anni del contratto col Medebac, il Goldoni crea, ancora per la sensibile “Rosaura”
Medebac, quella forte scena, di sapore tutto moderno, in cui la Moglie saggia affronta nella sua casa
e confonde la propria rivale. Tra le ultime opere per il Medebac compone la Serva amorosa, che ha
sempre avuto successo, fino ai giorni nostri, nei teatri di tutta Italia; e infine entra nel regno dell’arte
Mirandolina (La Locandiera), rappresentata il 26 dicembre 1752.
Nessun’altra commedia di Goldoni vanta un così grande numero di traduttori. “L’esito della
commedia, scrive lo stesso Goldoni, fu così brillante che la si collocò a pari o addirittura al di
sopra di tutto quanto avevo scritto in quel genere, nel quale l’arte supplisce all’interesse.
Ma intanto il rapporto col Medebac si andava deteriorando per una certa avidità del capocomico.
Per stampare le sue opere, Goldoni allora abbandona tutto e si mette d’accordo col libraio Paperini
di Firenze presso il quale dal 1753 al 1757 usciranno cinquanta commedie in dieci volumi. Medebac
riesce ad ottenere il divieto di vendita nello stato veneziano, ma questo non avrà effetto e le copie
verranno vendute sotto gli occhi di tutti.
Il Goldoni, che aveva annunciato al Medebac di volersi separare da lui alla scadenza del suo
impegno, il 15 febbraio 1752 firma un nuovo contratto per dieci anni, a partire dalla Quaresima del
’53, col patrizio veneziano Vendramin, proprietario del teatro di S. Luca (detto anche di S.
Salvador), a condizioni sicuramente più vantaggiose, insieme alla garanzia della proprietà dei suoi
scritti, obbligandosi a scrivere otto commedie l’anno per il compenso di 600 ducati (l’accordo col
Medebac era di otto commedie per 450 ducati l’anno, dieci comprendendo anche tragicommedie e
canovacci). Nel 1753 grandi mutamenti avvengono nei teatri veneziani. La nuova attività comincia
con la rappresentazione de L’Avaro geloso del 7 ottobre 1753.
Il suo nome era ormai popolare in tutta la pianura del Po, a Genova e in Toscana. L’edizione
Bettinelli di Venezia e la Paperini di Firenze si esauriscono rapidamente; varie ristampe uscirono a
Bologna, a Pesaro, a Napoli, a Torino. A Vienna fin dal ’51 si traduceva e si recitava qualche sua
commedia. Nel ’53 anche i Romani poterono godere le fortunate creazioni. Pubblica testimonianza
di stima gli aveva reso Scipione Maffei; l’epiteto di “Molière italiano” risonava frequente
all’orecchio del Goldoni. Si stamparono poemetti in sua lode, del patrizio Beregan (1754), di Pietro
Verri, (1755), di G. B. Roberti (1755).
Nell’estate 1756 viene invitato a Parma dall’Infante don Filippo, che gli chiede tre commedie
giocose, premiandolo con sovrana munificenza e nominandolo “poeta” al servizio della Corte,
assegnandogli una pensione annua. Il soggiorno a Parma, dove tornerà anche nel 1757, unitamente
al diploma e alla pensione ricevuta, eccitano l’invidia e in qualche caso anche l’ira dei suoi
avversari, facendo perfino correre durante la sua assenza la voce che era morto e ci fu addirittura chi
osò affermare di aver partecipato al suo funerale.
Il 19 giugno 1760 Voltaire, uno dei massimi esponenti dell’Illuminismo europeo e sicuramente il
più seguito nei circoli culturali parigini, esprime un grande elogio dell’arte e della commedia
goldoniana; l’elogio è l’assegnazione di una specie di diploma di cittadinanza europea, un
C. GOLDONI (1707-1793)
conferimento che segna il riconoscimento della grandezza ormai europea di Goldoni e del teatro
italiano che a Parigi ottiene sempre più frequenti successi al Théatre de la comédie italienne. Poco
dopo Voltaire scrive anche a Goldoni, che viene celebrato come “figlio e pittore della natura
La nuova e ultima stagione veneziana 1761-1762 si apre con la trilogia della Villeggiatura (ottobrenovembre 1761) e continua con il Buon compatriotto (26 dicembre 1761), allegra risurrezione delle
maschere, seguito dal capolavoro Sior Tòdero brontolon (6 gennaio 1762), e poi dalle Baruffe
chiozzotte (gennaio 1762), per chiudersi con Una delle ultime sere di carnovale (febbraio 1762).
Successivamente parte da Venezia nell’aprile, ma sarà una partenza senza ritorno.
Parigi (dove arriva il 26 agosto, dopo un lento viaggio, con due lunghe soste a Parma e a Bologna,
accompagnato dalla moglie e dal nipote Antonio), fin da principio gli piace, lo stordisce, lo seduce:
il suo carattere, la sua modestia, il suo cuore gli fanno conquistare molte simpatie. Le prime
difficoltà le incontra proprio a teatro: i comici non vogliono imparare le commedie scritte e non
hanno molta esperienza per recitare quelle a soggetto; inoltre il pubblico degl’Italiani pretende a
ogni costo il gioco grottesco e buffonesco delle maschere e tutti quegli elementi che da anni ormai a
Venezia erano stati abbandonati.
I successi passeggeri e le beghe del palcoscenico lo amareggiano comunque sempre più
accrescendogli la nostalgia dell’Italia e della sua città. Si propone quindi di ritornare a Venezia
appena finito il proprio impegno; ma viene chiamato alla corte di Versailles (febbraio 1765) come
insegnante di lingua italiana delle figlie di Luigi XV, Adelaide e Luisa, mentre il nipote ottiene un
lusinghiero posto come segretario-interprete nell’ufficio nuovo creato subito dopo l’acquisto della
Corsica.
A Versailles abita per circa quattro anni, ma l’insegnamento non dura più di tre, dopo i quali ottiene
una modesta pensione di tremilaseicento lire francesi.
Il ritorno in Italia viene procrastinato fino ad essere del tutto annullato, anche intanto le condizioni
fisiche sono gradatamente peggiorate. Fin dal 1765 era rimasto cieco dell’occhio sinistro, e
dall’altro ci vedeva poco, mentre l’andamento era diventato lento e faticoso.
Dal febbraio del 1775 alla primavera del 1780 insegnò di nuovo l’italiano a Versailles alle giovani
sorelle di Luigi XVI, prendendo parte alla vita di corte. Nel 1777 da Venezia gli viene chiesta
un’opera buffa: nasce la commedia I Volponi.
Nel 1784 comincia a scrivere le Memorie, in francese, uno dei più piacevoli libri del Settecento,
ridestando nel suo ingegno, insieme coi lontani ricordi, lampi felici d’arte e d’umorismo; l’opera
viene compiuta e stampata nel 1787, a ottant’anni.
La Rivoluzione scuote a un tratto la società nella quale era vissuto e che vive immortale nelle sue
commedie. Il Goldoni vede la povertà avanzarsi; pure, in mezzo alle proprie miserie: il suo nobile
cuore si commoveva delle miserie di qualche amico, maggiori delle sue, e cercava di alleviarle. Nel
luglio del 1792 gli viene tolta improvvisamente la pensione dal governo rivoluzionario;
abbandonato da tutti, in quell’anno terribile per le sorti della Francia, privo d’ogni risorsa per far
fronte ai suoi più impellenti bisogni, s’ammala, languisce in una soffitta della capitale. Soli, durante
la lunga malattia, vagano intorno al suo letto la moglie, il nipote e i gloriosi fantasmi del suo teatro.
All’inizio di Gennaio 1793 gli viene consigliato di rivolgere una supplica ai membri dell’Assemblea
per “ottenere dalla loro bontà e dalla loro giustizia i mezzi di sussistenza per i pochi giorni che
ancora gli restano da vivere assieme alla moglie settuagenaria”.
Il 7 febbraio il deputato Giuseppe Maria Chénier, fratello del poeta, riferisce all’Assemblea il parere
positivo del Comitato all’accoglimento della supplica. Ma Carlo Goldoni era morto il giorno prima,
o moriva forse quel giorno stesso.