IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO B) Antifona d`ingresso Della

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IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)
Antifona d'ingresso
Della bontà del Signore è piena la terra;
la sua parola ha creato i cieli. Alleluia. (Sal 33,5-6)
Colletta
Dio onnipotente e misericordioso,
guidaci al possesso della gioia eterna,
perché l’umile gregge dei tuoi fedeli
giunga con sicurezza accanto a te,
dove lo ha preceduto il Cristo, suo pastore.
Oppure:
O Dio, creatore e Padre,
che fai risplendere la gloria del Signore risorto
quando nel suo nome è risanata
l’infermità della condizione umana,
raduna gli uomini dispersi nell’unità di una sola famiglia,
perché aderendo a Cristo buon pastore
gustino la gioia di essere tuoi figli.
PRIMA LETTURA (At 4,8-12)
In nessun altro c’è salvezza.
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro:
«Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo
infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo
d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai
morti, costui vi sta innanzi risanato.
Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo.
In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è
stabilito che noi siamo salvati».
SALMO RESPONSORIALE (Sal 117)
Rit: La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo.
Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nell’uomo.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nei potenti. Rit
Ti rendo grazie, perché mi hai risposto,
perché sei stato la mia salvezza.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
1
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi. Rit
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie,
sei il mio Dio e ti esalto.
Rendete grazie al Signore, perché è buono,
perché il suo amore è per sempre. Rit
SECONDA LETTURA (1Gv 3,1-2)
Vedremo Dio così come egli è.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo
realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo
però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli
è.
Canto al Vangelo (Gv 10,14)
Alleluia, alleluia.
Io sono il buon pastore, dice il Signore,
conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me.
Alleluia.
VANGELO (Gv 10,11-18)
Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.
Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo,
abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli
importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre
conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non
provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e
diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la
toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il
comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Preghiera sulle offerte
O Dio, che in questi santi misteri
compi l’opera della nostra redenzione,
fa’ che questa celebrazione pasquale
sia per noi fonte di perenne letizia.
2
PREFAZIO PASQUALE IV
La restaurazione dell’universo per mezzo del mistero pasquale
È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
proclamare sempre la tua gloria, o Signore,
e soprattutto esaltarti in questo tempo
nel quale Cristo, nostra Pasqua, si è immolato.
In lui, vincitore del peccato e della morte,
l’universo risorge e si rinnova,
e l’uomo ritorna alle sorgenti della vita.
Per questo mistero, nella pienezza della gioia pasquale,
l’umanità esulta su tutta la terra,
e con l’assemblea degli angeli e dei santi
canta l’inno della tua gloria: Santo...
Antifona di comunione
È risorto il buon Pastore, che ha dato la vita per le sue pecorelle,
e per il suo gregge è andato incontro alla morte. Alleluia.
Oppure:
“Io sono il buon pastore e offro la vita per le pecore”,
dice il Signore. Alleluia. (Gv 10,14.15)
Preghiera dopo la comunione
Custodisci benigno, o Dio nostro Padre,
il gregge che hai redento
con il sangue prezioso del tuo Figlio,
e guidalo ai pascoli eterni del cielo.
Lectio
La IV domenica di Pasqua si può considerare la domenica del “buon pastore”. È la giornata
mondiale della vocazioni, di tutti coloro che sono chiamati e vogliono seguire Cristo con un
vocazione pastorale di piena dedizione al Padre. Domina la figura e il discorso del pastore che Gesù
tiene nella cornice del Tempio di Gerusalemme e che si articola su due parabole intrecciate tra loro:
quella della porta dell’ovile e quella del pastore: “Io sono la porta dell’ovile … io sono il buon
pastore” (Gv 10, 7-11). Siamo discepoli del buon pastore: Gesù.
L’affermazione che Gesù è pastore, è evidente nella 1Pt 2, 25: “Eravate erranti come
pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime”. Pastore e custode è
Colui che “portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce” (1Pt 2, 24). Pastore è Colui
che patì, che pagò lasciandoci un esempio perché ne seguiamo le orme (cfr. 1Pt 2, 21). Pastore è
Colui che sa dire ogni giorno: “Eccomi, manda me!” (Is 6, 8).
Leggiamolo tutto oggi questo capitolo 10 di Giovanni e meditiamolo in continuazione con il
capitolo 9 perché c’è un discorso teologico e letterario che continua.
Gv 10,1: “In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma
vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante”. Questo discorso si rivolge a coloro che nel
capitolo 9 fanno la figura dei ciechi, cioè dei farisei che di fronte al cieco, sono essi stessi ciechi che
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credono e pretendono di vedere. Sono coloro che vogliono entrare nel ‘recinto’ da un’altra parte che
non sia la porta; non vogliono passare per la porta dell’ovile che è Gesù, Porta di salvezza per ogni
uomo, perché si credono già dei salvati per il fatto che sono in regola con la Legge.
Porta e pastore: elementi di spicco nella similitudine. L’unità fra l’immagine della porta e
del pastore è data dal risuonare dell’espressione: “Io sono”.
C’è qualcuno che entra e qualcuno che non entra per la porta. Due sono gli atteggiamenti di fronte a
questo ingresso:
 l’atteggiamento del ladro e del brigante
 l’atteggiamento del pastore
L’atteggiamento del ladro è l’atteggiamento di Giuda (Gv 12, 6), l’atteggiamento del
brigante di Barabba (Gv 18, 40). Ladro e brigante è colui che cerca i propri interessi, che si
appropria dei beni altrui; è colui che si trova inspiegabilmente al posto di un altro; è colui che
pretende di entrare nella vita di Gesù cercando se stesso; è colui che usurpa il posto di Gesù; è colui
che entra nella vicenda di Gesù, come Giuda, a modo suo e con i suoi criteri, i suoi piani, i suoi
interessi. Né ladri, né briganti entrano per la porta; né chi cerca di salvare la propria vita, né chi
camuffa la verità, né chi insudicia la verità degli altri perché la verità non sia libera.
Dal buon pastore siamo chiamati a entrare per la porta e questo comporta “attraversare la
vita di Gesù” e lasciarsi attraversare dalla sua vita, immedesimarsi in Lui, attraversare la sua
passione per arrivare con Lui alla Pasqua. “Tu seguimi!” (Gv 21, 22) - ci ripete il Maestro - e con
Pietro siamo chiamati a dare la vita per amore.
L’ingresso, la porta dell’ovile è del pastore. “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me
sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascoli (Gv 10, 9).
Pastore è colui che prepara l’ovile, conosce le sue pecore prepara i verdi, si prende cura di tutte e di
ciascuna.
Stupendo il passo di Ezechiele cap. 34, 11-23: “ Così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso
cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge
quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse … le radunerò da tutti i luoghi …
io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e le farò riposare … andrò in cerca della pecora
perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita; fascerò quella ferita, curerò quella malata, avrò
cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia … Susciterò per loro un pastore che le
pascerà”.
Come le pascerà? “Io dunque mi misi a pascolare … presi due bastoni: uno lo chiamai benevolenza
e l’altro unione” (Zac 11,7).
vv. 11-13 - Io sono il buon pastore. Questa è la sottolineatura del pastore: buono (il testo greco dice
“il bel pastore”: non si tratta della bellezza fisica, ma il termine vuole esprimere la pienezza del
bene, del bello, del giusto, dell’amore). Il buon/bel pastore è pronto a morire per proteggere il
gregge.
Gesù esercita la sua autorità: Io sono. Si presenta e si dichiara come il buon pastore.
L'immagine del pastore può sembrare sorpassata e non più adatta alla nostra civiltà industriale. Essa
però ha il vantaggio di evidenziare l’elemento importante del rapporto che Gesù vuole avere con
noi: si tratta di un rapporto da vivente a vivente. Subito in opposizione appare la figura del
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mercenario a cui si associa l’immagine del lupo, evocata già da Gesù: “Ecco: io vi mando come
pecore in mezzo a lupi” (Mt 10, 16).
È chiaro che l’elemento decisivo è il confronto fra due atteggiamenti opposti: da una parte c’è il
pastore per il quale il gregge è la vita stessa e ad esso consacra tutto se stesso. Dall’altra c’è la
controfigura del mercenario per il quale il gregge è solo un possesso da sfruttare.
Il gregge che è in mano a mercenari, calcolatori, falsi pastori è votato alla morte. Lo ricorda anche
san Paolo nel suo testamento pastorale: “Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale
lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è
acquistata con il sangue del proprio Figlio. Io so che dopo la mia partenza verranno fra voi lupi
rapaci, che non risparmieranno il gregge …” (At 20, 28-29).
vv. 14-16 - Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me. Tra il pastore e il gregge c’è un
profondo legame di “conoscenza”. Il verbo “conoscere” (risuona qui quattro volte), nel linguaggio
biblico abbraccia un arco vasto di esperienze che vanno dalla comprensione all’amore, dall’affetto
all’azione: è il verbo che indica la relazione profonda d’amore di una coppia. “Conosco le mie
pecore”: tra Gesù e noi intercorre una comunione intensa che non viene infranta dai nostri
sbandamenti e isolamenti; Egli ci conduce, spalanca la porta dell’ovile, la porta del suo Cuore a
tutti, apre orizzonti nuovi, prepara “pascoli verdeggianti” perché tutti abbiano la vita. La salvezza è
per tutti, perché Gesù Cristo ha dato la sua vita per tutti. E questo la Chiesa, ogni cristiano deve
annunciare con gioia e speranza perché questa è la Pasqua del Signore.
vv. 17-18 - Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita … Riprende il tema del dare la
vita. La riunione di tutte le pecore avverrà attraverso la donazione totale di Gesù Cristo: “Quando
sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12.32). È la legge del chicco di grano che deve
cadere a terra, morire nel solco, rimanere solo per produrre molto frutto (cfr Gv 16,21). È la legge
della maternità che genera una nuova vita; è la legge dell’amore autentico che dà la vita per la
persona che ama (Cfr Gv 15,13). Il pastore è innamorato del suo gregge e sente nella sua carne gli
artigli del lupo; esce a perlustrare i burroni perché ogni pecora gli è cara, la conosce e chiama per
nome … “Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una … (Lc 15,4).
Preghiamo per tutte le vocazioni e in particolare per i nostri Pastori e invochiamo il Pastore
dei pastori:
“E Tu, Gesù Cristo,
incarnazione di Dio,
unico pastore buono,
che ti sei fatto nostro compagno di cammino
a causa della nostra infedeltà,
non lasciarci mai soli,
poiché ci smarriremmo nella valle oscura;
ma continua a custodirci e a difenderci dai lupi;
a nutrirci di cibi purissimi
e a portarci tutti a libertà” (Davide Turoldo)
Padri della Chiesa
“E dò la mia vita per le pecore”
È pronto a difendere, in ogni modo, i suoi familiari e parenti, e a correre il rischio per essi e, nello
stesso tempo, afferma, con questa dichiarazione, che egli è veramente il buon pastore.
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Quelli, infatti, che abbandonano le loro pecore ai lupi sono chiamati giustamente timidi e mercenari;
chi, invece, è pronto a difenderle, sì da rischiare anche la morte, è giustamente ritenuto pastore
buono. Quando poi dice: “Io do la mia vita per le pecore”,perché sono un pastore buono, rimprovera
i farisei, e fa capire che essi giungeranno a tal punto di ubriachezza e di follia da volere la morte di
chi non dovrebbe subire tale punizione, ma piuttosto la lode e l’ammirazione, e ricevere il
ringraziamento per tutto quello che ha fatto, e per la diligenza e l’abilità con le quali ha pasciuto il
suo gregge.
E bisogna osservare che Cristo sopportò la morte per noi non a malincuore, anzi si vede che
volentieri va incontro alla morte, sebbene, se non avesse voluto soffrire, facilmente avrebbe potuto
evitare di soffrire.
Pertanto, proprio nel fatto che ha sofferto per noi di sua volontà, proprio in questo noteremo il suo
amore per noi e l’immensa sua generosità.
(Cirillo di Alessandria, Commento al Vangelo di Giovanni, VI cap. unico)
Il Buon Pastore
Entriamo dunque per la porta, che il Signore spiegò essere lui stesso, entriamo per giungere
alla meta che egli ci ha prospettato, senza spiegarcelo. Nel passo del Vangelo che è stato letto oggi
non ha detto chi sia il pastore, ma ce lo dice chiaramente nelle parole che seguono: Io sono il buon
pastore (Gv 10, 11). Anche se non l'avesse detto, chi altri se non lui potremmo intendere nelle
parole: Chi entra per la porta è il pastore delle pecore. A lui il portinaio apre e le pecore ascoltano la
sua voce, ed egli chiama le sue pecore per nome e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori
tutte le sue pecore, cammina davanti ad esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce
(Gv 10, 2-4)? Chi altri, infatti, chiama per nome le sue pecore e le conduce fuori, da qui alla vita
eterna, se non colui che conosce i nomi dei predestinati? Per questo disse ai suoi discepoli:
Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti in cielo (Lc 10, 20). E' in questo senso che le chiama
per nome. E chi altri può condurle fuori se non chi rimette i loro peccati, sicché liberate dalle dure
catene possano seguirlo? E chi può andare avanti a loro in modo che esse lo seguano, se non colui
che risorgendo da morte ormai non muore più, e la morte non avrà più su di lui alcun dominio (cf.
Rm 6, 9)? Quando infatti stava qui visibile nella carne mortale, disse: Padre, quelli che mi hai dato,
voglio che dove sono io siano anch'essi con me (Gv 17, 24). Coerentemente egli dice: Io sono la
porta; chi entrerà per me sarà salvo, ed entrerà e uscirà e troverà pascolo (Gv 10, 9). Con questa
dichiarazione egli mostra chiaramente che non solo il pastore, ma anche le pecore entrano per la
porta.
Ma che significa: entrerà e uscirà e troverà pascolo? Entrare nella Chiesa per la porta che è
Cristo è certamente cosa ottima; ma uscire dalla Chiesa nel modo che dice lo stesso Giovanni nella
sua lettera: Sono usciti da noi, ma non erano dei nostri (1 Io 2, 19), non è certamente cosa buona.
Non è possibile quindi che il buon pastore, dicendo entrerà e uscirà e troverà pascolo, voglia
approvare un tal modo di uscire. C'è dunque un modo positivo di entrare, e un modo altrettanto
positivo di uscire attraverso la porta legittima che è Cristo. Ma in che consiste questo uscire
lodevole e gioioso? Si può dire che noi entriamo quando ci raccogliamo nella nostra interiorità per
pensare, e che usciamo quando ci esteriorizziamo mediante l'azione; e poiché, come dice l'Apostolo,
per mezzo della fede Cristo abita nei nostri cuori (cf. Ef 3, 17), entrare per Cristo significa pensare
alla luce della fede, mentre uscire per Cristo significa tradurre la fede in azione davanti agli uomini.
Perciò si legge nel salmo: Esce l'uomo al suo lavoro (Sal 103, 25), e il Signore stesso dice:
Risplendano le vostre opere davanti agli uomini (Mt 5, 16). Ma io preferisco ascoltare la verità
stessa, colui che è il buon pastore e il sapiente maestro. Egli ci ha suggerito in che senso dobbiamo
intendere la sua parola entrerà e uscirà e troverà pascolo, soggiungendo: Il ladro non viene se non
per rubare, uccidere, distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano sovrabbondante
(Gv 10, 10). Mi sembra che abbia inteso dire: perché abbiano la vita entrando, e l'abbiano ancor più
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abbondante uscendo. Non si può infatti uscire per la porta che è Cristo, ed entrare nella vita eterna
dove si vedrà Dio faccia a faccia, se prima, per la medesima porta, che è Cristo, non si entra
nell'ovile della sua Chiesa, attraverso la vita temporale che è la vita di fede. Perciò dice: Io sono
venuto perché abbiano la vita, cioè la fede operante per mezzo della carità (cf. Gal 5, 6), e per
mezzo della quale entrano nell'ovile per vivere, dato che il giusto vive di fede (Rm 1, 17). E
aggiunge: e l'abbiano sovrabbondante coloro che, perseverando sino alla fine, per quella stessa
porta, cioè per mezzo della fede di Cristo, escono, in quanto muoiono da veri fedeli; e avranno una
vita più abbondante là dove il pastore li ha preceduti, e dove non dovranno più morire. Quantunque
neanche qui, entro l'ovile, manchino i pascoli, poiché tanto per chi entra quanto per chi esce viene
detto che troverà pascolo; tuttavia i veri pascoli si troveranno là dove saranno saziati coloro che
hanno fame e sete di giustizia (cf. Mt 5, 6). Quei pascoli che trovò colui al quale fu detto: Oggi sarai
con me in paradiso (Lc 23, 43). Ma in che senso egli sia insieme la porta e il pastore, tanto da
sembrare che egli entri ed esca attraverso se stesso, e inoltre chi sia il portinaio, sarebbe troppo
lungo cercare oggi e trovare, pur con l'aiuto del Signore, la spiegazione.
(Agostino, Omelia 45, 14-15)
La Parola del Papa
Cristo in quanto buon pastore continua questa missione nel mondo attraverso l’opera dei pastori
della Chiesa.
Benedetto XVI nell’omelia pronunciata durante la sua prima messa da papa invece di esporre un
programma ha semplicemente richiamato l’attenzione sui due segni con cui veniva rappresentata
l’assunzione del Ministero Petrino, cioè l’inizio della sua attività di successore di san Pietro: si tratta
del Pallio e dell'anello del pescatore.
"Il primo segno è il Pallio, tessuto in pura lana, che mi viene posto sulle spalle. Questo antichissimo
segno, che i Vescovi di Roma portano fin dal IV secolo, può essere considerato come un'immagine
del giogo di Cristo. Il giogo di Dio è la volontà di Dio, che noi accogliamo.
E questa volontà non è per noi un peso esteriore, che ci opprime. Conoscere ciò che Dio vuole,
conoscere qual è la via della vita, questa è la nostra gioia: la volontà di Dio ci purifica e ci conduce
a noi stessi. In tal modo, non serviamo soltanto Lui ma la salvezza di tutto il mondo, di tutta la
storia.
In realtà - ha continuato il Papa - il simbolismo del Pallio è ancora più concreto: la lana d’agnello
intende rappresentare la pecorella perduta o anche quella malata e quella debole, che il pastore
mette sulle sue spalle e conduce alle acque della vita. L’umanità, noi tutti, è la pecora smarrita che,
nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare
l'umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per
ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità,
porta noi stessi. Egli è il buon pastore, che offre la sua vita per le pecore. Il Pallio dice innanzitutto
che tutti noi siamo portati da Cristo. Ma allo stesso tempo ci invita a portarci l'un l'altro.
La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone
vivano nel deserto. E vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della
fame e della sete, vi è il deserto dell'abbandono, della solitudine, dell'amore distrutto. Vi è il deserto
dell'oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino
dell'uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così
ampi. Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell'edificazione del giardino di Dio, nel
quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione. La
Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre
gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso
Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza."
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Il secondo segno poi, con cui viene rappresentato l’insediamento nel Ministero Petrino, è la
consegna dell’anello del pescatore. Il Papa commentava: "Anche oggi viene detto alla Chiesa e ai
successori degli apostoli di prendere il largo nel mare della storia e di gettare le reti, per conquistare
gli uomini al Vangelo - a Dio, a Cristo, alla vera vita!"
(dal’omelia della Santa Messa per l’inizio del Ministero Petrino del Vescovo di Roma, Benedetto
XVI, 24 aprile 2005)
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