IL DIVORZIO INTRODUZIONE Il divorzio è un argomento che

IL DIVORZIO
INTRODUZIONE
Il divorzio è un argomento che suscita sempre nella Chiesa accesi e vivaci dibattiti.
Il motivo è che qualunque sia la tesi che si sostiene, si corre il rischio di essere
criticati e giudicati o troppo modernisti oppure, al contrario, troppo fondamentalisti!
D'altra parte, pur essendo un argomento scabroso, la Chiesa non può evitare di
prendere una posizione coerente con l'insegnamento della Parola di Dio, dal
momento che ormai in quasi tutte le legislazioni è stato introdotto l'istituto del
divorzio, com’è accaduto persino nella cattolicissima Italia con la legge 1/12 /1970,
n. 898.
Spesso evangelizziamo persone sposate che hanno alle spalle un matrimonio fallito,
e quando queste chiedono di far parte delle nostre comunità, sono sì accettate, ma
con riserva.
Chiaramente queste persone vivono una vita cristiana senza gioia, perché si
sentono frustrate sapendo di non avere una buona reputazione tra gli altri credenti e
di non potere, perciò, aspirare a ricoprire alcun incarico nella Chiesa.
Secoli di cattolicesimo fanno sì che quest’argomento sia ancora un tabù per i
credenti italiani.
Non bisognerebbe, invece, avere alcuna riserva nei confronti di queste persone
perché Gesù, al Calvario, si é caricato di tutti nostri peccati ed è morto per salvare
anche i divorziati!
Inoltre, i figli di Dio sono chiamati non ad essere giudici dei fratelli ma restauratori di
rovine...
In ogni modo, lo scopo di questo breve studio è quello di esaminare il pensiero della
Scrittura, trascurando le opinioni personali sull'argomento, e ricordando
l'avvertimento della Parola di Dio: “Avrete cura di mettere in pratica tutte le cose che
vi comando; non vi aggiungerai nulla e nulla toglierai da esse” (Deuteronomio
12:32).
L'INSEGNAMENTO SUL DIVORZIO NEL VECCHIO TESTAMENTO
Nel Libro della Genesi al cap. 2 v. 24 è scritto: “Perciò l'uomo lascerà suo padre e
sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una sola carne”.
Questo passo c’insegna che il matrimonio è un'istituzione divina, stabilita fin dalla
creazione.
Nel piano divino la società umana è organizzata sulla base della famiglia, la cui
cellula è la coppia, perché "non è bene che l’uomo sia solo" (v. 18).
Dio stesso ha benedetto l'unione dell'uomo e della donna, i quali, soprattutto se sono
credenti, devono impegnarsi con tutte le loro forze affinché questo rapporto duri tutta
la vita e sia sempre felice ed appagante per entrambi.
I coniugi devono impegnarsi attivamente per evitare che la loro unione fallisca,
“poiché l'Eterno, il Dio d’Israele, dice che egli odia il divorzio” (Malachia 2:16a).
Gesù precisa ai farisei che lo avevano interrogato sulla questione del divorzio che fu
“per la durezza dei loro cuori” che Mosé ha permesso il ripudio, ma dal principio non
era così (Matteo 19:8).
L'espressione “ma dal principio non era così” indica che- nel pensiero di Dio il
matrimonio è stato istituito indissolubile e, pertanto, il divorzio dovrebbe essere
sempre inammissibile.
Pur tuttavia, attraverso lo studio della Parola di Dio, scopriamo che questa regola
generale ha avuto ed ha tuttora alcune eccezioni.
La prima deroga al principio dell'indissolubilità del matrimonio la troviamo nella legge
di Mosè.
In Deuteronomio 24:1-4 dove, appunto, viene istituita nell'Antico Testamento, la
legislazione che interessa la questione del divorzio, è scritto: “Quando uno prende
uIna donna e la sposa, se poi avviene che essa non gli è più gradita perché ha
trovato in lei qualcosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio, glielo dia in
mano e la mandi via da casa sua; se ella esce da casa sua e va e diviene moglie di
un altro uomo, se quest'ultimo marito la prende in odio, scrive per lei un libello di
ripudio, glielo dà in mano e la manda via da casa sua, o se quest'ultimo marito che
l'aveva presa in moglie viene a morire, il primo marito che l'aveva mandata via non
potrà riprenderla in moglie, dopo che è stata contaminata, perché questo è un
abominio agli occhi dell'Eterno; e tu non macchierai di peccato il paese che l'Eterno,
il tuo Dio, ti dà in eredità".
In questo passo il divorzio non è prescritto come un diritto dei Giudei; non è in
pratica né autorizzato né sancito, ma quello che è stabilito è che, se un uomo ripudia
sua moglie e questa si risposa, il primo marito non può riprenderla in moglie, anche
se il secondo marito morisse.
E' necessario distinguere tra semplice tolleranza e approvazione divina: in questo
passo non vi è nulla che provi che il divorzio fosse approvato da Dio.
Quello che si rileva è che, invece, esso era soltanto tollerato, e lo conferma anche
Gesù nel passo già ricordato, quando dice che “fu per la durezza dei loro cuori” che
Mosè ha permesso che essi ripudiassero le mogli.
La ragione per cui una donna divorziata, che ha sposato un altro uomo, non può
ritornare dal primo marito è che, a causa del suo secondo matrimonio, lei è stata
contaminata.
In condizioni normali la donna il cui marito fosse morto, può sposare liberamente un
altro uomo (I Corinzi 7:39).
Nel caso di divorzio, la donna, vedova di un secondo marito o ripudiata anche da
costui, non può tornare dal primo marito.
Costei potrebbe sposarne anche un terzo, ma assolutamente non può tornare dal
primo marito, perché ciò sarebbe “un abominio agli occhi dell'Eterno” e farebbe
peccare addirittura la Nazione.
La moglie è contaminata perché ha sposato un altro uomo; se non si fosse
risposata, nulla vieterebbe alla donna divorziata di ritornare da suo marito.
In conclusione, ciò che contamina la moglie è l'immoralità sessuale, l'infedeltà
coniugale; si pensi che Mosè infligge la pena di morte agli adulteri (Levitino 20:10;
Deuteronomio 22:22).
Quando la moglie si risposa con un altro uomo, il primo matrimonio è sciolto per
sempre, e la riconciliazione è definita in questo passo “un abominio”.
Il divieto di riconciliarsi a seguito di rimatri-monio con un altro coniuge è un modo
non del tutto esplicito, una restrizione che ha come scopo quello di far riflettere bene
il marito prima di giungere alla decisione di divorziare dalla moglie.
In questo Dio cerca di scoraggiare tale decisione!
Per quanto riguarda, infine, i motivi per i quali il divorzio era concesso, bisogna
considerare che l'espressione del v. 1 “perché ha trovato in lei qualcosa di
vergognoso” ha un significato piuttosto vago, tant’è che l'interpretazione di tale verso
provocò anticamente una violenta disputa tra i rabbini.
La scuola di rabbì Shammai interpretava rigorosamente quest’espressione
chiedendo la presenza di una colpa morale per concedere il divorzio, mentre la
scuola di rabbì Hillel sosteneva che bastasse un qualsiasi motivo, anche futile, come
una minestra scotta o la noia di vedere sempre la stessa faccia!
Ai tempi di Gesù questa seconda interpretazione trovava maggior consenso tra i
Giudei...
L'INSEGNAMENTO SUL DIVORZIO NEL NUOVO TESTAMENTO
Nel Nuovo Testamento l'argomento del divorzio è stato trattato sia dal Signor Gesù
che dall'Apostolo Paolo.
Non si tratta di due pensieri diversi sulla stessa questione, ma dello stesso punto di
vista applicato a due categorie differenti di persone.
Gesù affronta la questione del divorzio sia in occasione del “sermone sul monte”,
che può essere definito il compendio della Dottrina Cristiana, dove tra i tantissimi
argomenti trattati cita anche questo soggetto, sia in maniera più dettagliata in
occasione del suo ministero in Giudea, a seguito di una precisa domanda dei farisei
che cercavano di metterlo in difficoltà con tale argomento scabroso.
Paolo, invece, affronta l'argomento rispondendo a delle precise domande rivoltegli
dai credenti di Corinto.
Pertanto, mentre Gesù considera il caso del matrimonio tra Giudei sottoposti alla
legge di Mosè, Paolo che predicava soprattutto ai Gentili considera anche il caso del
matrimonio tra non Giudei, ed in particolare quello in cui uno dei coniugi è convertito
mentre l'altro no.
Matteo 5:31-32
Questo è il primo passo nel Nuovo Testamento che tratta la questione del divorzio.
Esso è tratto dal “sermone sul monte”, nel quale Gesù non intende abrogare, abolire
la legge dell'Antico Testamento, ma vuole, invece, chiarire il vero significato e lo
scopo dei comandamenti secondo la Sua autorevole interpretazione, in contrasto
con la perversione e la distorsione a cui quella legge è stata soggetta per il
formalismo degli scribi e dei farisei: "E' stato pure detto: Chiunque ripudia la propria
moglie, le dia l'atto del divorzio. Ma io vi dico: Chiunque manda via la propria
moglie, eccetto in caso di fornicazione, la fa essere adultera; e chiunque sposa una
donna ripudiata, commette adulterio".
In questo testo Gesù intende correggere il pensiero errato dei Giudei circa il divorzio.
Dopo aver parafrasato la prescrizione di Deuteronomio 24:1-4 riguardante il libello
del divorzio, Egli afferma il principio secondo cui è sempre peccato ripudiare la
moglie, tranne che in una circostanza.
La fornicazione è l’unico motivo per il quale un uomo può ripudiare sua moglie.
Il termine fornicazione usato da Gesù (in greco pornèia = impudicizia) indica in
generale ogni impurità sessuale e si riferisce quindi a qualsiasi tipo di rapporto
sessuale illecito, commesso - in questo caso - in violazione della fede coniugale.
Lo stesso termine è adoperato da Paolo quando esorta i credenti di Corinto a fuggire
la fornicazione.
In I Corinzi 6:12-20 l’apostolo afferma che dobbiamo tenerci lontano dall’impurità
sessuale per tre motivi:
1) perché il nostro corpo appartiene a Dio, suo Creatore (v. 13);
2) perché si prepara alla gloria della resurrezione (v. 14);
3) perché è membra di Cristo (v. 15).
Proprio perché il nostro corpo è membra di Cristo, non dobbiamo farne membra di
una prostituta.
Quando ci uniamo ad una prostituta, diventiamo un sol corpo con lei (v. 16).
Allo stesso modo, quando il coniuge infedele tradisce la comparte, diventa un sol
corpo con l'amante e dissolve, perciò, il vincolo matrimoniale.
Si deve però precisare che Gesù non dice che il marito in caso di fornicazione è
obbligato a ripudiare sua moglie, ma soltanto che se la ripudia per questo grave
motivo, egli non commette adulterio.
Per ogni altra ragione che non sia la fornicazione, il marito ripudiando la moglie “la fa
essere adultera”, nel senso che qualora la moglie si unisca ad un altro uomo o
comunque sia tentata di farlo, lei diventa per tale motivo “adultera”, ma il primo
marito ne è re-sponsabile avendola ripudiata e, quindi, esposta a tentazioni.
Gesù conosce le debolezze umane e pertanto condanna sia l'adulterio della moglie
che il comportamento del marito, il quale, ripudiandola senza alcun valido motivo, ha
in qualche maniera indotto costei a peccare.
In conclusione, Gesù insegna in questo passo che se non vi è un gravissimo motivo
come quello della fornicazione, il vincolo matrimoniale non può essere considerato
sciolto e, pertanto, i coniugi non sono liberi di risposarsi.
Matteo 19:3-9
"Allora gli si accostarono alcuni farisei per tentarlo, e gli dissero: E' lecito ad un uomo
ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo? Ed egli, rispondendo, disse loro:
Non avete voi letto che chi li creò da principio, li creò maschio e femmina? E disse:
Perciò l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà con la propria moglie, e i due
diverranno una sola carne. E così non sono più due, ma una sola carne: quello
dunque che Dio ha unito insieme, l'uomo non lo separi. Essi gli dissero: Perché
allora Mosè ha ordinato di darle un atto di divorzio e mandarla via? Egli disse loro:
Per la durezza dei vostri cuori Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma
da principio non era così. Or io vi dico che chiunque -manda via la propria moglie,
eccetto in caso di fornicazione, e ne sposa un'altra, commette adulterio; e chi sposa
colei che è stata mandata via, commette adulterio".
In questo passo le dichiarazioni del Signore circa il divorzio furono provocate da una
precisa domanda dei farisei: "E' lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per
qualsiasi motivo?".
Questa domanda è rivolta a Gesù con lo scopo preciso di tentarlo, ma riguarda un
argomento vivacemente discusso in quel periodo tra le scuole rabbiniche di Hillel e
Shammai.
Ricordiamo che la prima ammetteva come causa valida per il divorzio qualsiasi
motivo, la seconda riconosceva causa valida solo l'adulterio.
A questa domanda Gesù rispose con l'ausilio delle Scritture, affermando che fin dalla
Creazione il matrimonio è indissolubile per sua natura e per ist-ituzione divina, e
quindi non era lecito ripudiare la moglie per qualsiasi ragione.
Questo concetto espresso da Gesù non trovò consenso nei farisei, i quali
interpretando erroneamente Deuteronomio 24 chiesero a Gesù: “Perchè allora Mosè
ha ordinato di darle un atto di divorzio e mandarla via?”.
A questa ulteriore domanda, Gesù precisa che fu per la durezza dei loro cuori, cioè a
causa della loro insubordinazione, che Mosè permise (non comandò) tale pratica.
Gesù usa l'espressione “ha permesso” volendo dire che Mosè tollerava il divorzio ma
non certamente l'approvava o quantomeno lo comandava, come avevano affermato i
farisei.
Questo permesso fu concesso da Mosè, ma al principio non era così, non vi era tale
permesso.
Infatti l'uomo con il divorzio divide un'unione costituita da Dio, separa quindi ciò che
Dio ha unito in modo indissolubile.
Per tale motivo Gesù condanna e divieta il divorzio in maniera decisa; pur tuttavia al
verso 9 considera un’eccezione a tale divieto.
Tale eccezione è la stessa espressa in Matteo 5:32, con la differenza però che essa
è riferita non solo al ripudio, ma anche al caso di un secondo matrimonio del marito
che ha divorziato: chiunque divorzia e si risposa commette adulterio, tranne che nel
caso d’infedeltà coniugale.
In conclusione, in caso di divorzio a seguito dell’infedeltà di uno dei coniugi, il vincolo
matrimoniale è dissolto e, pertanto, è consenti-to in tale caso il rimatrimonio.
Coloro che sostengono la tesi opposta citano altri passi, come ad esempio Marco
10:11 oppure Luca 16:18, dove Gesù non considera alcuna eccezione al principio
dell'indissolubilità del matrimonio.
Ma il fatto che Matteo abbia ricordato in ben due occasioni tale eccezione, è
sufficiente a definire il pensiero di Gesù circa il divorzio.
I Corinzi 7:8-17
“Or a quelli che non sono sposati e alle vedove dico che è bene per loro che se ne
stiano come sto anch'io, ma se non hanno autocontrollo, si sposino, perché è meglio
sposarsi che ardere. Agli sposati invece ordino, non io ma il Signore, che la moglie
non si separi dal marito, e qualora si separasse, rimanga senza maritarsi, o si
riconcili col marito. E il marito non mandi via la moglie. Ma agli altri dico io, non il
Signore: se un fratello ha una moglie non credente, e questa acconsente di abitare
con lui, non la mandi via. Anche la donna che ha un marito non credente, se questi
acconsente di abitare con lei, non lo mandi via, perché il marito non credente è
santificato nella moglie, e la moglie non credente è santificata nel marito, altrimenti i
vostri figli sarebbero immondi; ora invece sono santi. Se il non credente si separa, si
separi pure; in tal caso il fratello o la sorella non sono più obbligati; ma Dio ci ha
chiamati alla pace. Infatti che ne sai tu, moglie, se salverai il marito? Ovvero che ne
sai tu, marito, se salverai la moglie? Negli altri casi, ciascuno continui a vivere nella
condizione che Dio gli ha assegnato e come il Signore lo ha chiamato; e così ordino
in tutte le chiese”.
Il cap. 7 di quest’epistola è stato intitolato: “Risposte alle domande dei Corinzi sul
matrimonio”, perché si è ipotizzato che i credenti di Corinto avessero proposto dei
problemi all'apostolo Paolo, forse indicando già la soluzione da loro adottata.
Paolo risponde dettagliatamente a tutti quei quesiti.
Innanzitutto, gli avevano chiesto se fosse legittimo per dei cristiani sposarsi.
Egli risponde precisando al v. 7 che, sebbene preferisca il celibato per i cristiani, sia
il matrimonio che la verginità sono un dono che viene da Dio.
Dopo tale precisazione, l'apostolo si rivolge a diverse categorie di persone che
convertendosi all'Evangelo, devono fare delle scelte riguardanti, appunto, il
matrimonio.
I versi 8-9 si riferiscono ai neo-convertiti che non sono sposati, o perché non hanno
mai contratto matrimonio con alcuno, oppure perché sono rimasti vedovi.
A queste persone l'apostolo suggerisce di restare in tale condizione, per servire
meglio il Signore.
Si leggano i versi 32-35 dove Paolo consiglia il celibato quale mezzo di maggiore
consacrazione, perché, essendo liberi dagli impegni di famiglia e dalle
preoccupazioni che questi comportano, esso mette i credenti nella possibilità di
attendere meglio al servizio di Dio.
Ma l'apostolo aggiunge al v. 9 che se non si sentono in grado di mantenere la
propria verginità, se non hanno autocontrollo, è bene per loro che si sposino,
evitando così di fornicare.
I versi 10-11 si riferiscono invece, a quei credenti sposati che decidono di separarsi
per un qualsiasi motivo, compreso quello di consacrarsi a Dio.
Ad essi il comando dell'apostolo, rafforzato dall’espressione “non io, ma il Signore”, è
che i coniugi non devono mai separarsi; essi devono restare una sola carne perché
ciò che Dio ha unito, l'uomo non deve separare.
Questo insegnamento coincide con quello del Signore circa l'istituzione del
matrimonio, e quando Paolo proibisce il rimatrimonio, lo fa per rafforzare il divieto
ai coniugi convertiti di separarsi.
Trattandosi di coniugi credenti, e quindi nati di nuovo, l'apostolo Paolo non considera
in questo passo il caso della fornicazione, come aveva fatto il Signor Gesù
rispondendo ai Farisei e riferendosi, perciò, a coniugi giudei e sottoposti alla legge di
Mosè, ma non nati di nuovo.
Pertanto, la proibizione di un secondo matrimonio (v. 11) va riferita a tutti i casi di
separazione tra coniugi credenti, tranne il caso della fornicazione, previsto
specificamente dal Signore Gesù, cosa che non dovrebbe mai verificarsi tra sposi
nati di nuovo...
I versi 12-16 si riferiscono, poi, ai credenti che hanno il coniuge inconvertito.
In tale caso Paolo indica di sua autorità una soluzione che passerà nel diritto
canonico matrimoniale con il nome di "privilegio paolino".
La soluzione è la seguente: non si deve divorziare se la parte non credente
acconsente ad una coabitazione pacifica, perché grazie alla sua unione con la
comparte cristiana, e formando essi un solo essere, la santità del coniuge convertito
si riflette su quello inconvertito, e i figli che nascono da quest’unione sono anch'essi
santificati.
Si permette, invece, la separazione e si scioglie il vincolo matrimoniale quando il
coniuge non credente non intende coabitare pacificamente: Dio, infatti, vuole la pace
per il cristiano, né in tali casi vi sono fondate speranze di convertire la comparte (v.
16).
In questo caso, quindi, il fratello o la sorella, convertiti alla fede, non sono più
obbligati, diventano in altre parole liberi: possono perciò risposarsi fra credenti, se il
loro matrimonio era stato celebrato prima della conversione.
A conferma di ciò, l’apostolo Paolo, al verso 28, dopo aver suggerito il celibato a chi
è sciolto da un precedente vincolo matrimoniale, dice testualmente: “Tuttavia, anche
se prendi moglie, tu non pecchi”.
Il verso 17, infine, si riferisce a tutti gli altri casi non esaminati in precedenza
dall'apostolo Paolo: l'ordine è di rimanere nella condizione nella quale si è stati
chiamati alla conversione.
Tale ordine può essere riferito anche a quelle coppie neo-convertite alla fede, in cui
uno dei coniugi o entrambi hanno alle spalle un matrimonio fallito per un motivo
qualsiasi: Paolo ordina loro non di separarsi ma, al contrario, di restare insieme.
Pertanto, io ritengo che chi ha la responsabilità della cura pastorale non debba
esortare tali coppie a separarsi, ma deve incoraggiarle ad essere unite nel Signore
e, qualora abbiano dei figli, ad impartire loro un'educazione cristiana, affinché non
commettano da adulti gli stessi errori dei genitori.
CONCLUSIONE
In conclusione, nel Nuovo Testamento si ribadisce l'indissolubilità del matrimonio,
ma sono previste alcune eccezioni a tale regola generale, le quali consentono il
divorzio ed il rimatrimonio.
Esse sono: 1) il caso dell'infedeltà di uno dei due coniugi; 2) il caso in cui, in un
matrimonio misto, il coniuge cristiano resta libero perché la comparte inconvertita
non accetta di coabitare pacificamente; 3) il caso di una coppia sposata in cui uno
dei coniugi o entrambi sono divorziati ed hanno, quindi, alle spalle un matrimonio
fallito (per un qualsiasi motivo), e si sono convertiti all'Evangelo trovandosi già in tale
condizione.
Nei primi due casi il fratello o la sorella che hanno alle spalle un matrimonio fallito
per tali circostanze, possono passare a seconde nozze; anzi, in quelle nazioni dove
la legislazione lo consenta, è necessario a volte incoraggiare questo secondo
matrimonio in tutti i casi considerati per evitare che vi siano nella Chiesa unioni tra
persone che convivono, pur non essendo legate tra loro dal vincolo matrimoniale.
Ricordiamo che Gesù rimproverò alla Samaritana, che era stata sposata altre cinque
volte, di convivere con un uomo che non era suo marito (Giovanni 4:17-18).
Coloro che respingono tale tesi citano sia Romani 7:1-3 che I Corinzi 7:39.
Per quanto riguarda il primo passo, però, c'è da osservare che l'apostolo Paolo non
tratta espressamente la questione del matrimonio e della separazione, ma cita la
legge dell'indissolubilità del matrimonio solo per portare un esempio. Difatti egli dice
che, come la morte del marito libera la moglie da ogni obbligo verso di lui, così la
morte di Cristo libera il credente dalla schiavitù della legge (v. 4).
E' vero che l'apostolo precisa, in base alla legge dell'indissolubilità del matrimonio,
che se la moglie passa ad un altro uomo mentre il marito vive, sarà chiamata
adultera; ma egli non considera né le conseguenze di tale circostanza per quanto
riguarda il coniuge innocente, né gli altri due casi già citati.
Anche in I Corinzi 7:39 Paolo ribadisce il principio dell'indissolubilità del matrimonio,
e non indica alcun’eccezione a tale principio.
L'aver però ignorato in tali passi l'esistenza di tali eccezioni, non significa che
l'apostolo ha voluto abolire ciò che è stato altrove affermato, ma soltanto che ha
tralasciato di considerare tali casi.
Non è scritturale, quindi, che la Chiesa emargini o, addirittura, espelli chiunque sia
divorziato, come spesso avviene in alcuni ambienti religiosi. Piuttosto, chi ha la
responsabilità della cura pastorale, dovrebbero esaminare caso per caso ed
attivarsi, quando ciò è possibile, per esortare i coniugi a non separarsi, perdonando
le offese e riconciliandosi, perché il divorzio è in tutti i casi, un’esperienza
dolorosissima, che coinvolge anche i figli, ma se esso è inevitabile, ne prenderanno
atto e sicuramente non condanneranno l'eventuale rimatrimonio del coniuge
innocente (in caso di fornicazione) o del coniuge costretto alla separazione (in caso
di matrimonio misto) o del coniuge già divorziato al momento della conversione
all'Evangelo.
Infine, non si può ignorare che molti matrimoni non sono stati voluti da Dio, sia
perché gli sposi non avevano alcun rapporto con la fede, sia perché lontani dalla
grazia ci si sposa per i motivi più svariati.
Vi sono persino persone che, pur di conquistare chi non ricambia i loro sentimenti, si
rivolgono alle scienze occulte: in tali casi non è Dio che ha unito, ma Satana!
Perciò vi sono matrimoni che nascono già in modo sbagliato, ed altri che falliscono in
seguito perché i coniugi non sono sottomessi alla Parola di Dio...
Gesù disse che sono i malati ad avere bisogno del medico, non i sani (Matteo 9:12),
ed è per questo motivo che il mio desiderio è che questo breve studio sia l'occasione
non per alimentare polemiche su un argomento controverso, ma per riflettere su
quello che deve essere il nostro atteggiamento nei confronti di coloro ai quali
predichiamo l'evangelo (=buona novella) della grazia del nostro amato Signor Gesù
Cristo, che è morto per salvare tutti i peccatori che lo riconoscono quale Salvatore e
Signore.
Alla donna adultera Gesù disse “Neppure io ti condanno: và e non peccare più”
(Giovanni 8:11b).
A Lui sia la gloria!
Past. Edoardo Piacentini
Cell. (339)3719387-(349)7555073