6. Le istituzioni napoleoniche
Le vittorie militari ottenute durante la supremazia giacobina conducono nel 1795 alcune delle
potenze contrarie alla Francia a trattare. Nell’aprile del 1795 a Basilea la Prussia firma la pace; l’iniziativa è
seguita dall’Olanda e dalla Spagna. Inghilterra, Austria e alcuni Stati della Penisola italiana continuano a
contrastare le armate francesi, ottenendo risultati positivi. Le armate impegnate sul fronte del Reno, ritenuto
il più importante in Francia per la definitiva vittoria, non riescono ad avanzare verso Vienna. I generali al
loro comando, Jourdan e Moreau, risultano ripetutamente sconfitti, obbligando a predisporre nuovi piani
strategici che diano particolare importanza alle armate impegnate in Italia.
Qui, nel 1796, il generale Schérer, viene sostituito dal giovane Napoleone Bonaparte che in breve
riesce a capovolgere le sorti della guerra. Il fronte italiano, lungi dall’essere soltanto un diversivo, diviene
infatti la linea principale dell’avanzata antiaustriaca. Napoleone, infatti, firmato con Vittorio Amedeo III di
Savoia l’armistizio di Cherasco, seguito dal trattato di Parigi, grazie al quale Nizza e Savoia passano alla
Francia, punta deciso verso la Lombardia, dove nella battaglia di Lodi sconfigge gli austriaci. Dopo
l’occupazione di Milano, il giovane generale conquista Mantova, punto strategico dal quale minacciare
direttamente Vienna. La sua avanzata, scandita da battaglie vittoriose, è fermata nel 1797 dal trattato di
Campoformio, con il quale si stabiliva che Belgio, Lombardia e i territori alla sinistra del Reno vanno alla
Francia, mentre rimangono nelle mani degli austriaci l’Istria, la Dalmazia e la Repubblica di Venezia,
indipendente fino alla conquista napoleonica.
I territori italiani conquistati, già organizzati nel 1796 in una Confederazione cispadana, nel 1797
formano la Repubblica cisalpina. A partire da questo momento, malgrado Napoleone lasci la Penisola con
non poco sconcerto di coloro che speravano nel suo intervento e gli hanno visto cedere Venezia all’Austria,
l’influenza francese diviene sempre più forte. Il 15 febbraio 1798 viene proclamata la Repubblica romana;
successivamente i francesi occupano il Piemonte e la Toscana. Nel gennaio 1799, dopo che le armate
francesi al comando del generale Championnet hanno preso Napoli, viene proclamata la Repubblica
napoletana, mentre il re e la regina fuggono in Sicilia. Il nuovo regime costituzionale ha fra i suoi sostenitori
diverse persone di cultura illuministica – Mario Pagano, Domenico Cirillo, Francesco Caracciolo, Vincenzio
Russo, Eleonora Fonseca Pimentel – che sperano in un radicale rinnovamento culturale e civile.
Significativamente una delle riforme più importanti, varata il 25 aprile 1799, è costituita dall’abolizione dei
diritti e delle istituzioni feudali.
L’abolizione della feudalità
Il Governo provvisorio considerando che il sostegno e il fondamento di una libera Costituzione è la
sicurezza che hanno gli individui di godere de’ loro diritti naturali e di tutti gli altri beni di cui l’Autore di
ogni esistenza gli ha ricolmi, e che i primi diritti dell’uomo, che sono inalienabili ed imperscrittibili, sono la
libertà, l’eguaglianza e la proprietà; e che perciò niun Cittadino può essere astretto a far quello che la Legge
non prescrive e che niuna distinzione esiste fra loro né di nascita, né di potere ereditario, e che ciascuno
debba godere de’ suoi beni e del prodotto di sue fatighe, come sua proprietà, senzacché altri possa per la di
lui utilità privata toglierne alcuna parte.
Considerando inoltre che tutte le istituzioni della feudalità, immaginate nell’ignoranza e fondate
sull’usurpazione, sono violenze fatte all’umanità e che quindi tutti i dritti giurisdizionali, personali e reali che
esercitavano in così detti Baroni sono contrari ai primi dritti dell’uomo e al libero vivere civile, contro il
quale non possono opporsi né contratti, né prescrizioni, e che nel felice momento della rigenerazione di
questa Repubblica è d’uopo restituire al libero Cittadino ogni suo dritto; stabilisce ed ordina quanto segue:
I.
Resta abolita qualunque istituzione e qualificazione feudale, ugualmente, che tutt’i dritti di
feudalità di qualunque natura possano essere. Tutt’i Cittadini per lo innanzi denominati
principi, duchi, baroni, ecc. rientreranno nella classe degli altri Cittadini, né potranno
assumere altra denominazione.
(da L’età rivoluzionaria e napoleonica in Italia 1796-1815,
a cura di C. Capra, Loescher, Torino, 1978)
L’arrivo di un nuovo esercito austro-russo nel Nord Italia fa rifluire verso il fronte di guerra le
armate francesi, che abbandonano Napoli. La Repubblica partenopea tenta di resistere autonomamente al
ritorno del sovrano. Tuttavia lo sforzo è destinato a risultare fallimentare. I rivoluzionari sono
sostanzialmente isolati. I provvedimenti presi hanno lasciato indifferenti contadini e popolani, propensi a
credere alla propaganda borbonica, clericale e nobiliare, che presenta i francesi e i loro sostenitori come
nemici giurati della religione, atei e profanatori di chiese. Incaricato dal sovrano di riconquistare il regno, il
cardinale Fabrizio Ruffo riesce ad arruolare migliaia di contadini, inquadrati nelle bande sanfediste o
esercito della Santa Fede. La notizia della sconfitta francese nel Nord Italia conduce alla resa della
Repubblica partenopea, che soccombe nel giugno del 1799. I promotori del regime rivoluzionario vengono
imprigionati e giustiziati o condannati all’ergastolo.
Qualche anno più tardi, nel 1801, nel Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, Vincenzo Cuoco
analizza con spregiudicatezza le ragioni del crollo della Repubblica , rinvenendone le cause nella distanza fra
colta élite rivoluzionaria e masse contadine e cittadine.
Vincenzo Cuoco
Le ragioni di un fallimento
La rivoluzione di Francia s’intendeva da pochi, da pochissimi si approvava; quasi nessuno la
desiderava, e se vi era taluno che la desiderasse, la desiderava invano, perché una rivoluzione non si può fare
senza il popolo, ed il popolo non si move per raziocinio, ma per bisogno.
I bisogni della nazione napolitana erano diversi da quelli della francese: i raziocini de’ rivoluzionati
era divenuti tanto astrusi e tanto furenti, che non li potea più comprendere. Questo per popolo. Per quella
classe poi che era superiore al popolo, io credo, e fermamente credo, che il maggior numero de’ medesimi
non avrebbe mai approvate le teorie dei rivoluzionari di Francia. [...]
Io forse non fo che pascermi di dolci illusioni. Ma se mai la repubblica si fosse fondata da noi
medesimi; se la Costituzione, diretta dalle idee eterne della giustizia, si fosse fondata sui bisogni e sugli usi
del popolo; se un’autorità, che il popolo credeva legittima e nazionale, invece di parlargli un astruso
linguaggio che esso non intendeva, gli avesse procurato de’ beni reali, e liberato lo avesse da que’ mali che
soffriva; forse allora il popolo, non allarmato all’aspetto di novità contro delle quali avea inteso dir tanto
male, vedendo difese le sue idee ed i suoi costumi, senza soffrire il disagio della guerra e delle dilapidazioni
che porta seco la guerra; forse ... chi sa? ... noi non piangeremmo ora sui miseri avanzi di una patria desolata,
e degna di una sorte migliore.
La nostra rivoluzione, essendo una rivoluzione passiva, l’unico mezzo di condurla a buon fine era
quello di guadagnare l’opinione del popolo. Ma le vedute de’ patrioti, e quelle del popolo non erano le
stesse: essi aveano diverse idee, diversi costumi e finanche due lingue diverse. Quella stessa ammirazione
per gli stranieri, che avea ritardata la nostra coltura ne’ tempi del re, quell’istessa formò nel principio della
nostra repubblica il più grande ostacolo allo stabilimento della libertà. La nazione napolitana si potea
considerare come divisa in due popoli, diversi per due secoli di tempo e per due gradi di clima. Siccome la
parte colta di era formata sopra modelli stranieri, così la coltura diversa da quella di cui abbisognava la
nazione intera, e che potea sperarsi solamente dallo sviluppo delle nostre facoltà. Alcuni erano divenuti
Francesi, altri Inglesi; e coloro che erano rimasti Napolitani, e che componevano il massimo numero, erano
ancora incolti. Così la coltura di pochi non avea giovato alla nazione intera; e questa, a vicenda, quasi
disprezzava una coltura che non l’era utile, e che non intendeva. [...]
Tutto si può fare, la difficoltà è solo nel modo. Noi possiamo giungere col tempo a quelle idee, alle
quali sarebbe follia voler giugner oggi: impresso una volta il moto, si passa da un avvenimento all’altro, e
l’uomo diventa un essere meramente passivo. Tutto il segreto consiste in saper donde si debba incominciare.
Non si può mai produrre una rivoluzione, a meno che non sia una rivoluzione religiosa, seguendo
idee troppo generali, né seguendo un piano unico. Mille ostacoli tu incontrerai ad ogni passo, che non si
erano preveduti; mille contraddizioni d’interessi, che, non potendosi distruggere, è necessità conciliare. Il
popolo è un fanciullo, e vi fa spesso delle difficoltà alle quali non siete preparato. Molte nostre popolazioni
non amavano l’albero della libertà, che i Francesi piantavano su ogni piazza, perché non intendevano
l’oggetto, e talune, che s’indispettivano per non intenderlo, lo biasimavano come magico; molte, invece
dell’albero, avrebbero voluto un altro emblema. È indifferente che una rivoluzione abbia un emblema o un
altro; ma è necessario che abbia quello che il popolo intende e vuole. In molte popolazioni eravi un male da
riparare, un bene da procurare per poter allettare il popolo: le stesse risorse non vi erano in altre popolazioni;
né potevano la legge o il governo occuparsi di tali oggetti, se non dopo che la rivoluzione era già compiuta.
Le rivoluzioni attive sono sempre più efficaci, perché il popolo si dirige subito da se stesso a ciò che più da
vicino l’interessa. In una rivoluzione passiva conviene che l’agente del governo indovini l’animo del popolo
e gli presenti ciò che desidera, e che da se stesso non saprebbe procacciarsi. Talora il bene generale è in
collisione cogl’interessi de’ potenti.
L’abolizione de’ feudi, per esempio, reca un danno notabile al feudatario; ma, più del feudatario,
sono da temersi coloro che vivono nel feudo. Il popolo trae ordinariamente la sussistenza da costoro;
comprende che, dopo un anno, senza il feudatario vivrebbe meglio, ma senza di lui non può vivere un anno;
il bisogno del momento gli fa trascurare il bene futuro, quantunque maggiore. Il talento del riformatore è
allora quello di rompere i lacci della dipendenza, di conoscer le persone egualmente che le cose, di far
parlare il rispetto, l’amicizia, l’ascendente che taluno, o bene o male, gode talora su di una popolazione.
(da V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799,
Roma-Bari, Laterza, 1976)
Il confronto delle armate francesi con l’esercito della cosiddetta «seconda coalizione», che ha uno
dei suoi punti di forza nelle truppe russe, è impari. Nel 1799, mentre Napoleone si trova in Egitto per
combattere su quel terreno l’Inghilterra, la Francia viene ripetutamente sconfitta in Germania e in Italia.
Anche la situazione interna appare particolarmente effervescente: le elezioni dell’aprile 1799 fanno segnare
un successo delle forze estremiste, giacobini da una parte e monarchici dall’altra, che minacciano il fragile
sistema politico dominato dal Direttorio. Matura così, al ritorno di Napoleone in Francia, nell’autunno dello
stesso anno, un colpo di stato: il 18 brumaio l’Assemblea dei 500 viene sciolta con la forza, mentre il
Direttorio viene reso impotente; il 19 brumaio si costituisce un nuovo organo di governo, il Consolato,
formato dallo stesso Bonaparte, primo console, da Emmanuel Sieyés e Roger Ducos. Viene varata una nuova
costituzione, che entra in vigore il 25 dicembre del 1799 dopo la sua approvazione mediante un referendum.
Il potere esecutivo è concentrato nelle mani del primo console, il quale ha l’iniziativa delle leggi e la facoltà
di nominare consiglieri di Stato, ministri e funzionari nonché il potere di dichiarare la guerra e di stringere
accordi di pace. Gli altri componenti del triumvirato hanno esclusivamente funzione consultiva. Il potere
legislativo è frammentato in quattro assemblee: il Consiglio di Stato, composto da un numero variabile da 30
a 40 di persone scelte dal primo console, che ha il compito di formulare i progetti di legge; il Tribunato,
composto da 100 persone scelte dal Senato che ne rinnova 20 componenti l’anno, che discute i progetti di
legge; il Corpo legislativo, composto da 300 persone, di cui 60 rinnovate ogni anno, scelte all’interno di una
lista di notabili eletti a suffragio universale, che ha la facoltà di approvare o respingere le leggi; il Senato,
composto da 60 persone, 20 delle quali – scelte da uno dei consoli – hanno la facoltà di nominare le restanti
40, che deve giudicare la costituzionalità delle leggi emesse.
La Costituzione del 25 dicembre 1799
Il Consolato
Potere esecutivo
Primo console (iniziativa legislativa; nomina di consiglieri di Stato, ministri e funzionari; potere di dichiarare
guerra e di firmare la pace)
Potere consultivo: Due consoli
Potere legislativo
Consiglio di Stato
Tribunato
(30-40 persone scelte dal Primo console)
(100 persone scelte dal Senato che ne rinnova 20
l’anno)
Formulazione dei progetti di legge
Discussione dei progetti di legge
Corpo legislativo
Senato
(300 persone, di cui 60 rinnovate
(60 persone, 20 delle quali annualmente,
scelte all’interno di una lista
sono scelte da uno dei
di notabili eletti a suffragio universale)
consoli e procedono
alla nomina dei restanti 40)
Approvazione o respingimento delle leggi
Giudizio di costituzionalità
Potere giudiziario
Giudici nominati dal Primo console
Amministrazione periferica
Prefetti, sottoprefetti e sindaci rispettivamente a capo di dipartimenti, circondari e comuni nominati dal
Primo console
Il centralismo voluto da Bonaparte è coronato da una serie di riforme amministrative attraverso le
quali si stabilisce una precisa gerarchia di poteri fra il centro e le diverse periferie. Il potere esecutivo
centrale nomina direttamente prefetto, sottoprefetto e sindaco, rispettivamente a capo di dipartimenti,
circondari e comuni. Anche i magistrati sono funzionari nominati direttamente dal primo console. Nella
pagina seguente, che riporta una relazione al corpo legislativo, il consigliere di stato Pierre Louis Roederer
analizza il ruolo dei prefetti, funzionari che hanno il delicato compito di tradurre nelle periferie le decisioni
dell’autorità centrale.
Pierre Louis Roederer
I prefetti, nuovi funzionari dello Stato
La funzione amministrativa deve essere cosa di un solo uomo; mentre quella giudiziaria deve essere
cosa di molti [...]. L’amministrazione propriamente detta consiste in tre cose.
1.
La funzione di trasmissione delle leggi agli amministrati e delle lamentele degli
amministrati al governo; in altre parole, la sede delle reciproche comunicazioni tra la
volontà pubblica e gli interessi particolari.
2.
L’azione diretta sulle cose e sulle persone private, in tutte le parti sottoposte
all’immediata autorità degli amministratori.
3.
Infine, la procura d’azione nelle parti dell’amministrazione delegate a subordinati.
Procurare l’azione è la funzione principale dell’amministrazione di dipartimento.
Esattamente come per ministri, il numero di cose che deve fare direttamente è minore di
quelle che deve far eseguire all’amministratore sottoposto; e questi a sua volta è mano
obbligato ad agire che a garantire l’azione delle municipalità, le quali pure hanno quali
altrettanto da ordinare che da fare.
La procura d’azione è dunque una parte importante delle funzioni e dell’arte dell’amministrazione, a
tutti i livelli della scala amministrativa.
Ecco un’analisi sintetica delle diversissime funzioni che sono comprese in questa sola parola,
funzioni che finora disgraziatamente sono state distinte solo con queste due parole molto vaghe: ordinare e
sorvegliare.
La prima è quella di spiegare ai magistrati inferiori il senso delle leggi, regolamenti o ordini che
devono essere eseguiti. Questa funzione è l’istruzione.
La seconda è quella di dare ordini speciali che le circostanze di tempo e di luogo possono esigere per
la loro esecuzione. Questa funzione può essere chiamata direzione.
La terza è quella di affrettare e determinare tale esecuzione: è l’impulso.
La quarta è quella di verificarne l’esecuzione: è l’ispezione.
La quinta è di farsi render conto di tale esecuzione, di ricevere i reclami delle persone interessate e le
osservazioni dei preposti. Questa funzione è la sorveglianza.
La sesta è quella di autorizzare o respingere le proposte di interesse pubblico alle quali può
estendersi il potere dell’amministratore: è la stima o valutazione.
La settima è quella di approvare e convalidare oppure di lasciare senza validità gli atti che hanno
bisogno della sua verifica: è il controllo.
L’ottava è quella di richiamare ai loro doveri le autorità inferiori per gli agenti immediati che le
misconoscono o le trascurano: è la censura.
La nona è quella di annullare gli atti contrari alle leggi o agli ordini superiori: è la riforma.
La decima è quella di far riparare le omissioni o le ingiustizie: è la riparazione.
L’undicesima, infine, è quella di sospendere i funzionari incapaci, di destituire o fare destituire i
negligenti, di perseguire per via giudiziaria i prevaricatori: è la correzione o punizione.
Così, istruzione, direzione, impulso, ispezione, sorveglianza, ratifica delle proposte utili, controllo
degli atti sospetti, censura, riforma, riparazione, punizione: ecco le funzioni pertinenti a quella parte
dell’amministrazione che si può chiamare procura d’azione.
(da A. De Bernardi – S. Guarracino, L’operazione storica. L’età moderna,
Milano, Bruno Mondadori, 1992, pp. 1044-1045)
Il ritorno in Italia di Napoleone a capo delle truppe francesi, nella primavera del 1800, cambia le
sorti del conflitto: le armate austriache vengono sconfitte e l’Austria addiviene alla pace di Lunéville nel
1801. Con essa vengono riconfermati gli accordi già sottoscritti a Campoformio: la penisola italiana è
nuovamente sotto la pesantissima influenza francese. Nell’autunno dello stesso anno vengono firmati accordi
di pace con l’Inghilterra, la Russia e la Turchia. Corona l’opera diplomatica napoleonica la pacificazione con
la Chiesa cattolica. In patria i successi sono festeggiati con un plebiscito che conferisce a Napoleone la
nomina di console a vita. Si spiana così la strada all’instaurazione di una nuova monarchia. Nel maggio 1802
viene creata la Legion d’onore, un’onorificenza che crea una sorta di nobiltà di regime. Il 18 maggio 1804
viene varata la Costituzione dell’anno XII, che consacra Napoleone «imperatore dei Francesi», con diritto di
trasmissione del titolo ai propri discendenti ad esclusione delle donne, e che crea nuove forme di distinzione
sociale (i grandi dignitari, i grandi ufficiali, i grandi marescialli dell’impero). Un nuovo plebiscito popolare
sancisce il nuovo ordine costituzionale, riconosciuto anche dalla Chiesa di Roma. Il 2 dicembre 1804 nella
cattedrale di Notre-Dame di Parigi Napoleone prende dalle mani del papa la corona e si cinge il capo da solo,
quasi a ridurre il papa a testimone di un potere che ha ricevuto dal popolo francese. Nel 1808 viene creata
una nobiltà ereditaria imperiale, articolata in principi, duchi, conti, baroni, che a differenza di quella di antico
regime è soggetta ai principi di eguaglianza in materia fiscale e giudiziaria.
Senato-consulto del 18 maggio 1804
Titolo I
Art. 1 – Il Governo della Repubblica è affidato a un Imperatore, che prende il titolo di Imperatore dei
Francesi. – La giustizia è resa in nome dell’imperatore, dagli ufficiali che egli istituisce.
Art. 2 – Napoleone Bonaparte, attuale Primo console della Repubblica, è Imperatore dei Francesi.
Titolo II
Dell’eredità
Art. 3 – La dignità imperiale è ereditaria nella discendenza diretta, naturale e legittima di Napoleone
Bonaparte, di maschio in maschio, per ordine di primogenitura, e ad esclusione perpetua delle donne e della
loro discendenza.
Art. 4 – Napoleone Bonaparte può adottare i figli o nipoti dei suoi fratelli, purché abbiano compiuto
l’età di diciotto anni ed egli stesso non abbia figli maschi al momento dell’adozione.
– I figli adottivi entrano nella linea della sua discendenza diretta. – Se, posteriormente all’adozione,
gli sopravvengono dei figli maschi, i figli adottivi non possono essere chiamati che dopo i
discendenti naturali e legittimi.
– L’adozione è vietata ai successori di Napoleone Bonaparte e ai loro discendenti.
Titolo III
Della famiglia imperiale
Art. 9 – I membri della famiglia imperiale, nell’ordine dell’eredità, portano il titolo di Principi
francesi. – Il figlio maggiore dell’Imperatore porta quello di Principe imperiale.
Art. 10 – Un Senato-consulto regola il modo dell’educazione dei principi francesi.
Art. 11 – Essi sono membri del Senato e del Consiglio di Stato, quando hanno raggiunto il
diciottesimo anno.
Art. 12 – Non possono sposarsi senza l’autorizzazione dell’imperatore. – Il matrimonio di un
principe francese, fatto senza l’autorizzazione dell’imperatore, comporta la privazione di ogni diritto
all’eredità, tanto per colui che l’ha contratto tanto per i discendenti. – Tuttavia, se non esiste prole da questo
matrimonio ed esso viene a sciogliersi, il principe che lo aveva contratto riacquista i suoi diritti all’eredità.
Art. 13 – Gli atti constatanti la nascita, i matrimoni e i decessi dei membri della famiglia imperiale,
sono trasmessi, dietro un ordine dell’Imperatore, al Senato, che ne ordina la trascrizione sui suoi registri e il
deposito negli archivi.
Art. 14 – Napoleone Bonaparte stabilisce con degli statuti, ai quali i suoi successoti sono tenuti a
conformarsi: – 1) I doveri degli individui di ogni sesso, membri della famiglia imperiale, verso l’Imperatore;
– 2) Un’organizzazione del palazzo imperiale conforme alle dignità del trono e alla grandezza della Nazione.
Titolo V
Delle grandi dignità dell’impero
Art. 32 – Le grandi dignità dell’Impero sono quelle: – di grande-elettore. – D’arcicancelliere
dell’Impero. – D’arcicancelliere di Stato. – D’arcitesoriere. – Di conestabile. – Di grande ammiraglio.
Art. 33 – I titolari delle grandi dignità dell’Impero sono nominati dall’Imperatore. – Godono gli
stessi onori dei principi francesi, e prendono posto immediatamente dopo di essi. – L’epoca della loro
ammissione determina il rango che essi occupano rispettivamente.
Art. 34 – Le grandi dignità dell’Impero sono inamovibili.
Art. 35 – I titolari delle grandi dignità dell’Impero sono senatori e consiglieri di Stato.
Art. 36 – Essi formano il Grande consiglio dell’Imperatore; – Sono membri del Consiglio privato; –
Compongono il Grande consiglio della Legion d’onore; – Gli attuali membri del Grande consiglio della
Legion d’onore conservano, per la durata della loro vita, i loro titoli, le loro funzioni, e prerogative.
Art. 37 – Il Senato e il Consiglio di Stato sono presieduti dall’Imperatore. Quando l’Imperatore non
presiede il Senato o il Consiglio di Stato, egli designa fra i titolari delle grandi dignità dell’Impero chi deve
presiedere.
Art. 38 – Tutti gli atti del Senato e del Corpo legislativo sono resi in nome dell’Imperatore, e
promulgati o pubblicati sotto il sigillo imperiale.
(da A. Saitta, Costituenti e costituzioni della Francia moderna,
Torino, Einaudi, 1952, pp. 204-218)
Le istituzioni politiche poggiano saldamente su un grande monumento giuridico apprestato da
Napoleone: il Codice civile, promulgato il 21 marzo 1804, dopo un lungo periodo di preparazione, iniziato
sin dall’agosto 1800 ed esteso a tutti i paesi che entrarono successivamente a far parte dell’impero
napoleonico. Il decreto imperiale del 16 gennaio 1806 stabilisce che esso sarebbe entrato in vigore nel regno
d’Italia a partire dal successivo 1° aprile. Il Codice mette pienamente in luce un progetto di organizzazione
sociale che va incontro agli interessi dei ceti possidenti e imprenditoriali, da un lato stabilendo un preciso
legame di continuità con l’opera della rivoluzione prima della fase democratico-giacobina, e dall’altro
respingendo ogni principio di «democrazia sociale» e di limitazione della proprietà. Risultano quindi
affermati e difesi quei principi che hanno scardinato l’antico regime: la libertà delle persone, l’uguaglianza
giuridica, l’autonomia dello Stato dalla Chiesa, la libertà di lavoro.
Un netto arretramento nella concezione dell’uguaglianza si ha in relazione ai problemi della
famiglia. Viene molto rafforzata l’autorità del padre sui figli e del marito sulla moglie. La donna viene posta
in una condizione di inferiorità, come i figli naturali rispetto a quelli legittimi: principi che continueranno a
rimanere in vigore per centosettant’anni. Il testo del articolo 214 ritornerà identico nell’articolo 131 del
Codice civile del regno d’Italia del 1852 e ancora nell’articolo 144 del nuovo Codice civile del 1942,
venendo cancellato soltanto nel 1975.
La famiglia nel Codice Napoleone
Art. 148 – Il figlio che non è giunto all’età di venticinque anni compiti, la figlia che non ha compito
gli anni ventuno, non possono contrarre matrimonio senza il consenso del padre e della madre; in caso che
siano discordi, il consenso del padre è sufficiente [...].
Art. 151 – I figli di famiglia giunti alla maggiore età, determinata dall’articolo 148, sono tenuti prima
di contrarre matrimonio a chiedere con un atto rispettoso e formale il consiglio del padre e della madre loro
[...].
Art. 152 – Dopo la maggiore età determinata dall’articolo 148 fino all’età dei trent’anni compiti per i
maschi, e degli anni venticinque compiti per le femmine, l’atto rispettoso prescritto dall’articolo precedente,
se non sarà susseguito dal consenso per il matrimonio, dovrà rinnovarsi altre due volte di mese in mese, e
scaduto un mese dopo il terzo atto, si potrà procedere alla celebrazione del matrimonio.
Art. 214 – La moglie è obbligata ad abitare col marito, e a seguitarlo ovunque egli crede opportuno
di stabilire la sua residenza [...].
Art. 215 – La moglie non può stare in giudizio senza l’autorizzazione del marito, quand’anche ella
esercitasse pubblicamente la mercatura, o non fosse in comunione o fosse separata di beni [...].
Art. 217 – La donna, ancorché non sia in comunione e sia separata di beni, non può donare, alienare,
ipotecare, acquistare, a titolo gratuito od oneroso, senza che il marito concorra nell’atto, o presti il consenso
per iscritto.
Art. 229 – Potrà il marito domandare il divorzio per causa d’adulterio della moglie.
Art. 230 – Potrà la moglie domandare il divorzio per causa d’adulterio del marito, allorché egli avrà
tenuto la sua concubina nella casa comune.
Art. 375 – Il padre avendo gravi motivi di malcontento per la condotta di un figlio, avrà i seguenti
mezzi di correzione.
Art. 376 – Se il figlio non sarà ancora giunto al principio dell’anno sedicesimo di sua età, il padre
potrà farlo tenere in arresto per un tempo non maggiore di un mese, e a tale effetto il Presidente del tribunale
del circondario dovrà ad istanza del padre rilasciare il decreto d’arresto.
Art. 377 – Dall’incominciamento dell’anno sedicesimo sino alla maggiore età, o alla emancipazione,
il padre potrà soltanto domandare la detenzione del figlio per sei mesi al più.
Art. 378 – Nell’uno e nell’altro caso, non avrà luogo veruna scrittura, o formalità giudiziale: il solo
ordine d’arresto sarà ridotto in scritto, senza esprimere i motivi.
(da Codice di Napoleone il Grande,
Firenze, presso Guglielmo Piatti, 1809, pp. 36-37, 42, 47-51, 79)
Un altro pilastro fondamentale della politica di Napoleone è costituito dall’istruzione. mentre si dà
poca importanza ai percorsi scolastici dei ceti popolari, egli riserva molta cura alla cultura dei futuri
dirigenti. A carico dello Stato viene posta la rete dei «licei», mentre le scuole secondarie private sono
sottoposte al controllo statale. Numerose borse di studio vengono rese disponibili per i figli dei funzionari e
degli ufficiali e per i migliori studenti. Nelle scuole di ogni ordine e grado vengono impartiti insegnamenti
improntati ai principi del regime: laicità dello Stato, scarsa attenzione alla cultura storica e politica, grande
spazio alla tecnologia e alla matematica.
Nel primo decennio dell’Ottocento gran parte dell’Europa, dal Portogallo alla Russia, cade sotto il
dominio napoleonico. La campagna di Russia, nel 1812, segna l’inizio del suo declino militare e politico.
Dopo la sconfitta di Lipsia, tra il 16 e il 19 ottobre 1813, il territorio francese viene invaso dagli eserciti
stranieri. La stessa Parigi capitola il 30 marzo 1814. Napoleone si rifiuta di abdicare; ma il Senato, il 3 aprile,
per salvare la continuità delle istituzioni, dichiara la sua decadenza, in termini che sembrano risuonare a
quelli del Bill of Rights: Napoleone ha violato il patto costituzionale con la Nazione e si è macchiato di colpe
enormi.
Atto di deposizione di Napoleone Bonaparte
Considerando che, in una monarchia costituzionale, il monarca esiste soltanto in virtù della
Costituzione o del patto sociale; che Napoleone Bonaparte, durante qualche tempo di un governo fermo e
prudente aveva dato alla Nazione argomenti per contare in futuro su atti di saggezza e giustizia, ma che
successivamente egli ha strappato il patto che l’univa al popolo francese, specialmente riscuotendo delle
imposte, stabilendo delle tasse in altro modo che in virtù della legge, contro il tenore esplicito del giuramento
che aveva prestato al suo avvento al trono, conformemente all’art. 53 dell’atto costituzionale del 28 floreale
anno XII; che egli ha commesso questo attentato ai diritti del popolo mentre aggiornava, senza necessità, il
Corpo legislativo e faceva sopprimere come delittuoso un rapporto di questo Corpo, al quale contestava il
suo titolo e la sua parte alla rappresentanza nazionale; che egli ha intrapreso una serie di guerre in violazione
dell’art. 50 dell’atto costituzionale del 22 frimaio anno VIII, che vuole che la dichiarazione di guerra sia
proposta, discussa, decretata e promulgata al pari delle leggi; che egli ha incostituzionalmente emesso
parecchi decreti pronuncianti pena di morte, specialmente i due decreti del 5 marzo scorso, che tendono a far
considerare come nazionale una guerra che non aveva luogo se non nell’interesse della sua smisurata
ambizione; che egli ha violato le leggi costituzionali con i suoi decreti sulle prigioni di stato; che egli ha
annientato la responsabilità dei ministri, confuso tutti i poteri e distrutta l’indipendenza dei corpi giudiziari;
considerando che la libertà della stampa, stabilita e consacrata come uno dei diritti della Nazione, è stata
costantemente sottoposta alla censura arbitraria della sua polizia e che nello stesso tempo si è sempre servito
della stampa per riempire la Francia e l’Europa di fatti inventati, di massime false, di dottrine favorevoli al
dispotismo, e di oltraggi contro i governi stranieri; che atti e rapporti ascoltati dal Senato hanno subito delle
alterazioni nella pubblicazione che ne è stata fatta; considerando che, invece di regnare nella sola mira
dell’interesse, della felicità e della gloria del popolo francese secondo i termini del suo giuramento,
Napoleone ha portato al massimo le sventure della patria con il rifiuto di trattare a delle condizioni che
l’interesse nazionale obbligava ad accettare, e che non compromettevano l’onore francese; con l’abuso che
ha fatto di tutti i messi in uomini e in denaro affidatigli; con l’abbandono dei feriti senza medicine, senza
soccorsi, senza sussistenze; con diverse misure le cui conseguenze erano la rovina delle città, lo
spopolamento delle campagne, la carestia e le malattie contagiose; considerato che, per tutte queste cause, il
governo imperiale stabilito dal Senato-consulto del 28 floreale anno XII ha cessato di esistere e che il voto
manifesto di tutti i Francesi chiama un ordine di cose il cui primo risultato sia il ristabilimento della pace
generale, e che sia pure l’epoca di una riconciliazione solenne tra tutti gli Stati della grande famiglia europea;
il Senato dichiara e decreta quanto segue:
1. – Napoleone Bonaparte è decaduto dal trono, e l’eredità stabilita nella sua famiglia è abolita.
2. – Il popolo francese e l’esercito sono sciolti dal giuramento di fedeltà verso Napoleone
Bonaparte.
3. Il presente decreto sarà trasmesso con un messaggio al Governo provvisorio della Francia,
inviato successivamente a tutti i dipartimenti e agli eserciti, e proclamato immediatamente in
tutti i quartieri della capitale.
(da Lex facit regem. Rex facit legem, a cura di G.G. Floridia, R. Orrù, L.G. Sciannella, A. Ciammariconi,
Fast Edit, Teramo, 2005, p. 209)
Pochi giorni dopo, il 6 aprile, mentre Luigi XVIII, fratello di Luigi XVI, viene richiamato sul trono,
Napoleone abdica senza condizioni. Il trattato di Fontainebleau gli concede la sovranità sull’isola d’Elba,
dove egli si stabilisce all’inizio di maggio. Meno di un anno dopo ha inizio l’avventura dei Cento giorni:
Napoleone sbarca in Francia, trionfalmente accolto dalla popolazione e dai soldati inviati per arrestarne la
marcia verso Parigi. La costituzione della settima coalizione, da parte delle potenze nemiche, che si scontra
con l’esercito napoleonico a Waterloo mette fine a ogni avventuroso progetto: sconfitto Napoleone viene
deportato nella sperduta isola di Sant’Elena, nell’Atlantico, dove morirà il 5 maggio 1821.