omelia nella solennità della natività di san giovanni

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OMELIA NELLA SOLENNITÀ DELLA NATIVITÀ DI SAN GIOVANNI BATTISTA
PATRONO DI FIRENZE
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L’angelo aveva portato a Zaccaria questo annuncio: «Tua moglie Elisabetta ti
darà un figlio, che chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno
per la sua nascita» (Lc 1,13-14).
Tra i molti che si sono rallegrati per questa nascita ci sono i cittadini di Firenze
che hanno scelto Giovanni Battista come loro patrono. Dall’antichità il Battistero di San
Giovanni, il “mio bel San Giovanni” come lo chiama Dante (Inf. XIX,17), è il centro
ideale della città, la custodia dei suoi più alti valori di fede e di civiltà, il legame che
collega l’una all’altra le diverse generazioni.
La solennità che oggi celebriamo ravviva in noi la memoria dei doni straordinari
che hanno reso gloriosa, incomparabile, la storia di questa città e ci muove a ringraziare
Dio per tanti benefici.
Il racconto evangelico della nascita che abbiamo ascoltato è incentrato sul nome
da dare al bambino. “Giovanni è il suo nome”, scrive perentoriamente il padre Zaccaria
sulla tavoletta. Giovanni significa “Jahvè fa grazia, mostra la sua benevolenza”.
Davvero il significato di questo nome si è realizzato nella storia di Firenze! E si
realizzerà ancora nel futuro: lo speriamo vivamente.
Confidando nell’intercessione del santo patrono, invochiamo la benedizione di
Dio perché Firenze possa proseguire il suo cammino storico in piena fedeltà alla sua
singolare vocazione religiosa e civile.
In questa prospettiva di gioia e di speranza rivolgo il mio saluto alle autorità e a
tutti voi qui presenti. Con particolare affetto voglio assicurare la mia e la vostra
vicinanza spirituale ai sacerdoti, diocesani o residenti in diocesi, che celebrano gli
anniversari della loro ordinazione: sei il XXV, nove il L (e tra essi il Proposto del
Capitolo, Mons. Paolo Ristori), nove il LX e sei il LXV.
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Celebrare San Giovanni Battista significa ritrovare motivi di gioia e di speranza,
ma anche lasciarsi interpellare e responsabilizzare dalla sua personalità e dalla sua
predicazione.
Nella I lettura, dal libro di Isaia, abbiamo ascoltato: «Il Signore dal seno materno
mi ha chiamato; fin dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome» (Is 49,1). In
altre parole: Dio mi ha pensato prima che nascessi, mi ha amato, mi ha dato un’identità
personale e una missione da compiere.
Cattedrale – 24 giugno 2003, ore 10.30
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La scienza mette in evidenza che l’embrione è programmato in modo da
contenere il futuro sviluppo con tutte le sue caratteristiche fondamentali. Esso è un
progetto della natura. Ma prima ancora è un progetto di Dio e del suo amore creatore.
«Il Signore dal seno materno mi ha chiamato; fin dal grembo di mia madre ha
pronunziato il mio nome». La relazione con Dio è costitutiva della persona umana.
La scienza dimostra che l’embrione, subito dopo il concepimento, è una vita
nuova, distinta da quella della madre, una vita che si svilupperà senza soluzione di
continuità. Nulla fa pensare che non sia già un individuo della specie umana e che non
abbia dignità di persona. Merita perciò rispetto e tutela fin dal primo istante.
L’aborto, chirurgico o farmacologico che sia, viola il primo dei diritti
fondamentali della persona, che è quello alla vita. La Chiesa non cessa di ricordarlo,
fedele alla consegna ricevuta dall’apostolo Paolo: «Annunzia la parola, insisti in ogni
occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni
magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana
dottrina, ma gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando
di dare ascolto alla verità» (2Tm 4,2-4).
La diffusa tendenza a giustificare e a banalizzare l’aborto non può non
preoccupare una coscienza cristiana. Ognuno è chiamato a impegnarsi, secondo le
proprie possibilità, per creare condizioni più favorevoli all’accoglienza della vita
nascente. Inoltre, per chi non vuole cooperare alla soppressione di essa va rivendicato e
difeso il diritto all’obiezione di coscienza.
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Nella II lettura, dagli Atti degli Apostoli, abbiamo ascoltato una parte del
discorso tenuto dall’apostolo Paolo ad Antiochia di Pisidia durante il suo primo viaggio
missionario. «Dalla discendenza di David, secondo la promessa, Dio trasse per Israele
un Salvatore, Gesù. Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di
penitenza a tutto il popolo di Israele» (At 13,23-24).
Giovanni ha predicato un battesimo di penitenza, cioè di metanoia, di
conversione. Nel Vangelo troviamo alcuni tratti di questa predicazione. Alle folle
Giovanni diceva: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare
faccia altrettanto». Ai pubblicani, esattori delle tasse per conto dell’Impero Romano:
«Non esigete nulla più di quanto vi è stato fissato». E ai soldati romani: «Non
maltrattate e non estorcete niente a nessuno e contentatevi delle vostre paghe» (Lc
3,11.13-14).
Giovanni non chiedeva dunque di cambiare professione, neppure ai pubblicani e
ai soldati, ma di praticare la giustizia e la solidarietà.
Che cosa questo può significare per noi oggi? Quale conversione chiederebbe a
noi Giovanni?
Sicuramente ci metterebbe in guardia contro le tentazioni del consumismo
esasperato. Ci esorterebbe a uno stile sobrio di vita personale e familiare, per poter
condividere generosamente i nostri beni con i poveri.
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Circa il fenomeno migratorio, di cui in questi giorni tanto si parla, ci
domanderebbe di assumere un atteggiamento che sappia conciliare il più possibile la
generosa accoglienza delle persone in stato di necessità con le esigenze della legalità e
dell’ordine pubblico.
Più generalmente, ci stimolerebbe all’impegno culturale, economico e politico
per ridurre il divario tra paesi ricchi e paesi poveri. Ovviamente in un’economia
dinamica come quella di oggi, non si tratta più semplicemente di ridistribuire la
ricchezza, ma di aiutare a produrla, promuovendo l’istruzione e l’acquisizione di nuove
abilità lavorative, favorendo la crescita democratica, orientando la finanza
internazionale a creare opportunità di lavoro, aprendo i mercati ai prodotti dei paesi
poveri.
Praticare la giustizia e la solidarietà nei rapporti tra le persone e tra i popoli:
ecco in sintesi la conversione voluta da Giovanni Battista. Ma la conversione non è solo
questa.
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Il Vangelo riferisce un altro punto significativo della predicazione di Giovanni
Battista, quello che gli costò la vita.
A Erode Antipa, che aveva ripudiato la prima moglie e si era presa la moglie di
suo fratello Filippo ancora vivo, Giovanni rivolgeva con coraggio il severo rimprovero:
«Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello» (Mc 6,18).
Giovanni dunque difende il matrimonio e la famiglia. Considera il rapporto
uomo-donna come un’istituzione di rilievo sociale, regolata dalla legge, e non come un
fatto semplicemente privato.
La famiglia, fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna, è realmente una
forma sociale con funzioni proprie e insostituibili di fondamentale importanza. La
stabilità del rapporto uomo-donna, la generazione dei figli, l’impegno educativo verso
di essi, la mutua assistenza tra tutti i membri della famiglia costituiscono il suo prezioso
contributo al bene della società.
Lo stato di salute delle persone e del tessuto sociale è fortemente condizionato
dalla qualità delle relazioni familiari. L’esperienza attesta che varie forme di disagio,
specialmente giovanile, e di disgregazione sociale si collegano con la crisi della
famiglia. Per non parlare del calo demografico con il conseguente invecchiamento della
popolazione: tra 40 anni si prevede che gli anziani sopra i 65 anni costituiranno metà
della popolazione italiana, mentre attualmente sono un quarto; ciò comporterà
gravissimi problemi umani, sociali, economici.
Data la sua rilevanza per tutta la società, la famiglia ha diritto ad essere tutelata e
sostenuta dalle pubbliche istituzioni. Lo dichiara la Costituzione italiana: «La
repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio» (Art. 29). Lo afferma solennemente la Dichiarazione dei diritti dell’uomo
delle Nazioni Unite: «La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha
il diritto di essere protetta dalla società e dallo stato». E infine lo ribadisce la
Convenzione dei Diritti del Fanciullo del 1989, ratificata in Italia nel 1991: «La
famiglia, unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il
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benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione
e l’assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo educativo
nella collettività».
Il primato della famiglia rispetto ad altre forme di convivenza, soltanto private,
va tutelato sul piano culturale, giuridico, sociale ed economico. Gli va riservata, per dir
così, una corsia preferenziale, un po’ come nella circolazione stradale si fa con le
macchine di servizio pubblico rispetto a quelle di uso privato.
A titolo esemplificativo, particolarmente auspicabili appaiono alcune forme di
sostegno, come facilitazioni per la casa alle giovani coppie, riforme che promuovano le
opportunità di lavoro per i giovani, armonizzazione per quanto possibile delle esigenze
del lavoro con quelle della famiglia, fisco commisurato al reddito familiare
complessivo, consistente alleggerimento della pressione fiscale in base al numero dei
figli a carico, perché le famiglie con figli non siano penalizzate rispetto a quelle senza
figli, parità scolastica che assicuri effettiva libertà di scelta senza oneri aggiuntivi per le
famiglie.
La famiglia non è un residuo del passato, ma è una risorsa fondamentale per il
futuro.
Non posso non esprimere gratitudine alle tante famiglie esemplari, anche della
nostra città, che rendono credibile il mio discorso con la loro testimonianza quotidiana,
e sono motivo di speranza per la Chiesa e per la società civile.
Vorrei anche incoraggiare le Associazioni che perseguono il bene spirituale e
materiale della famiglia e si adoperano perché le siano riconosciuti più ampi diritti di
cittadinanza in ambito locale, nazionale ed europeo.
Infine mi piace ricordare che una parte di rilievo ha la famiglia nella mia lettera
pastorale che in data odierna viene pubblicata, “Evangelizzare oggi: comunità cristiana
e ministeri”. La lettera delinea una prospettiva ampia: la Chiesa inviata a portare il
Vangelo con la vita e la parola; tutti i cristiani chiamati ad evangelizzare in tutti gli
ambienti; necessità di alcuni ministeri specifici cooperatori dei pastori. Ma,
nell’analizzare la situazione attuale con le sue sfide e opportunità, mette in risalto che la
famiglia è l’interlocutore connaturale e privilegiato della parrocchia e va messa al centro
della pastorale ordinaria, in particolare coinvolgendo seriamente i genitori
nell’iniziazione cristiana dei figli.
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Mentre affido alla vostra riflessione queste considerazioni che la solennità di
San Giovanni Battista mi ha suggerito, invoco sulla nostra città quella benevolenza e
grazia del Signore che è indicata dal nome stesso del nostro patrono.
Signore Dio che hai inviato i profeti,
servitori della tua Parola,
ti lodiamo e ti ringraziamo
per la figura e la predicazione di Giovanni Battista.
Accogliendo il suo messaggio,
vogliamo convertirci alla verità, alla giustizia e all’amore.
Vogliamo vivere con gioia alla tua presenza,
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consapevoli che tu sei un Dio di grazia,
benevolo e misericordioso. Amen.
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