AperAn1-2012

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Fama di santità di don Luca Passi
L’eco di una presenza viva
(Suor Emmarosa Trovò – AperA N. 1-2012)
“Siate santi perché io sono santo” (Lv 19, 1) recita il Levitico, a cui fa eco la prima lettera di Pietro
(1,16). A dire: riconoscete che la pienezza di vita che mi appartiene e che sostiene tutto ciò che
esiste deve essere espressa nella vostra vita, nelle vostre relazioni perché si alimenti e cresca
l’umanità nuova nel segno della fratellanza e convivialità, trasformata dall’amore accolto e
ridonato.
Così la santità di Dio coinvolge il popolo di Israele in forza dell’Alleanza sancita, e ne fa un popolo
chiamato alla santità, chiamato a produrre segni che portino a riconoscere il ‘Dio tre volte santo’
(Is 6,3). A maggior ragione il cristiano è introdotto nello stesso movimento e chiamato ad essere
santo (cfr 1Cor 1,2). Per questo la chiesa è impegnata a dare risalto ai testimoni della santità di Dio
in volti da noi riconoscibili. Essa pone la loro “lampada sopra il moggio”( Mt 5,15) perché la sua
casa sia illuminata e la sua luce divenga visibile ovunque.
E’ il motivo per cui anche a noi sta a cuore dare parola alla fama di santità di don Luca Passi,
perché la chiesa risulti più bella e la fiaccola di lui accesa, segni e accompagni il nostro cammino.
La voce dei biografi e dei contemporanei
Nel 1882 F. Sartori nella “Vita del conte cavaliere Don Luca Passi” (Padova, 1882, p. 122) scrive:
“Nel fondare e diffondere la ‘Pia Opera’ e l’istituto delle Suore Maestre di S. Dorotea, d. Luca non
ebbe altra mira né altro fine che quello di apprestare un mezzo che fosse insieme facile ed efficace
per salvare la gioventù femminile dalla corruzione e dal vizio, procurando ad essa una educazione
cristiana. E in questa come in tutte le altre cose, egli non cercò che il Regno di Dio e la sua
giustizia, essendo schivo affatto da ogni gloria e da ogni onore mondano. Ed appunto per questo gli
era riserbata tanta gloria e tanta copia di benedizioni nelle sue imprese”.
La cronaca dell’istituto di Calcinate (BG), come cita il Sartori, alla notizia della morte di don Luca,
annota: “Era ben giusta cosa, che il Signore finalmente non lasciasse più a lungo gemere su questa
terra quell’anima candida e bella; ed aprisse i celesti suoi tabernacoli a colui, che mai seppe vivere
e respirare in questo mondo, senonchè nel suo caro Dio, sempre operando, ed indefessamente
faticando per la di lui gloria” (Sartori, o. c. p.24). E poco prima, dando voce all’amarezza delle
religiose per la perdita improvvisa definiva “ il reverendissimo Signor don Luca conte Passi uomo
tanto dotto e saggio, d’incomparabile carità e zelo [che lasciò] in tutti la più viva impressione di
straordinaria virtù e santità” (idem).
La superiora generale di allora, M. Agostina Taylor, nel dare relazione alla cognata di don Luca,
contessa Elisabetta Passi della veglia alla salma fatta dalle suore prima delle esequie, non teme di
scrivere: “Io, per dirle il vero, benché continuassi a fargli suffragi, sentiva sempre un impulso di
chiedergli invece grazie” (Dentella, 1933, p.267).
Ancora la cronaca di casa madre: “Al divulgarsi della notizia della sua morte tutti dicevano: è
morto un santo. Si vede che ha fatto del gran bene e non si può descrivere la stima e l’affetto che
tutti avevano” (p.269). Continua il Dentella: “Ciò che torna a gran lode di don Luca Passi è che
non solo le sue figlie ebbero quest’alto concetto del loro Fondatore, sibbene era esso diffuso per
tutta Venezia, anzi ovunque il Passi fosse conosciuto.” (p.270); tanto è vero che suor M. Eletta
Tonioli, superiora di Murano, scrivendo alla contessa Elisabetta Passi, così si esprime: “Terminata
la funzione [esequiale] dovettero aspettare delle ore a trasportarlo al campo santo poiché non
potevano sortire per Venezia pel vento e la pioggia; sembrava che il Signore non volesse far sortire
dalla città quell’uomo di Dio che poco prima avrebbe voluto santificare tutti col suo esempio”
(p.268). E sempre M. Agostina Taylor informa che la salma “avendo inteso dal Padre Guardiano
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che l’arca della famiglia Tiepolo era quasi sott’acqua è stata tumulata in una celletta degli stessi
padri, ove siamo sicure, [dice] ed io sto nella viva fiducia, che verrà un giorno in cui tornerà
ancora fra noi” (p.269).
Chiosa sempre il Dentella: “Queste poche parole ci dicono in compendio il giudizio e la
persuasione di tutta Venezia sul conto del Passi”; persuasione che il prevosto Locatelli, non certo
senza un po’ di enfasi, nell’orazione funebre tenuta in Bergamo conferma: “In mezzo al dolore per
la perdita tutti sentiamo in cuore una calma e pace così serena e soave che ne conforta, perché
crediamo che è morto un santo. E’ morto un santo! Questa è la parola che spontanea suonava sul
labbro di tutti in Venezia, appena l’uomo di Dio era spirato. E’ morto un santo! Questa è la parola,
che quasi eco tutt’ora si ripercuote e ripete su tutte le lingue da un capo all’altro, non pure di
questa nostra diocesi, ma di tutta Italia” (Locatelli, 1867, p. 6).
Di rilievo pure è quanto scrisse il sacerdote Pietro Balan in un articolo pubblicato nel quotidiano di
Venezia ‘Libertà cattolica’. Fra le altre cose, ricordando l’impegno missionario di don Luca scrive:
“Il suo dire franco, ragionato, stringente, ma al tempo stesso pieno di amore e di dolcezza toccava
il cuore e persuadeva l’intelletto. Uomo di Dio, le sue opere ricevevano sempre dalla grazia divina
quella potenza che l’uomo non può avere per se stesso e che l’eloquenza più forbita mai non ebbe;
il suo aspetto medesimo, il suo stile, i modi del predicare erano prova chiarissima che in lui più che
l’arte parlava l’affetto, e che quanto predicava egli il primo praticava” (p.271).
Le poche testimonianze qui riportate alla lettera concordano in maniera indubitabile nell’associare
alla memoria del Passi il riconoscimento di virtù che delineano il profilo della santità. Essa si radica
in una profonda esperienza interiore ma si manifesta nei gesti e nell’agire dell’ordinario quotidiano
speso nel servizio e nell’indefessa opera del ministero della predicazione e della guida spirituale.
I tratti che la qualificano sono certamente la fede robusta e la carità ardente, virtù che si coniugano
con doti umane che ben descrive don Giulio, sacerdote di Trento, in una lettera ad Antonio
Rosmini: “Il Signor C. Luca Passi […] mi edifica molto colla verità, schiettezza e prudenza del suo
zelo apostolico. Il frutto che si va raccogliendo dalle sue prediche è grande” (Fondo causa, Gruppo
V, n. 615).
Essere santi per essere pienamente uomini
Quale umanità traspare dalla fama di santità di don Luca? La domanda è legittima poiché il santo
non è una figura lontana, rara e di eccezione, ma è l’uomo credente che, lasciandosi rivestire della
santità di Dio in Gesù attraverso la di lui azione salvatrice, ne rivela il volto e ne traduce i gesti e le
azioni.
Don Antonio Rosmini chiama don Luca “robusto agricoltore della vigna del Signore” quando
scrive a don Marco Passi nel 1828 (cfr Fondo Causa, Gruppo V, n. 612).
Anche Gesù definisce il Padre agricoltore (Gv 15,1).
La figura dell’agricoltore è l’immagine di colui che si prende a cuore la vigna, la custodisce , la cura
intervenendo ed agendo, perché gli appartiene, perché instaura con essa un rapporto vitale che si
radica nell’amore e diventa perciò metafora del credente che, in nome del Padre, ripete nella sua
vita i gesti sananti e vivificatori di Gesù per le persone che incontra.
E don Luca fu davvero uomo della cura e custodia di quella porzione di vigna che è stata la chiesa
del suo tempo, nella quale si prodigò per ogni tipologia di persone, ma in particolare rivolse il suo
sguardo amorevole ed il suo intervento costruttivo ai fanciulli, ai giovani, alla donna, dispensando
fiducia, ottimismo, possibilità di futuro; quindi davvero fu uomo della prossimità, dello sguardo
attento al volto dell’altro.
Ma fu insieme uomo della Parola: parola che lenisce, conforta, risana, ricostruisce. La sua profezia
rimanda a porzioni di territorio in cui si crea e alimenta comunità, cioè condivisione di cammini e di
sguardi e dove la fraternità apre all’incontro, al dialogo, all’accoglienza, all’amicizia spirituale
umana e cristiana che sa fare spazio al povero ed al bisognoso.
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In fondo la santità scaturisce dall’incontro con Gesù che risveglia il desiderio di pienezza e riscatta
la paura che nasce dall’esperienza dell’errore, della finitezza, della morte consegnando la certezza
della guarigione del cuore nell’affidamento ad una speranza certa.
Questo don Luca ha vissuto e coltivato personalmente ed ha annunciato, mostrando la chiesa quale
grembo in cui lo Spirito di Gesù risorto rende i credenti partecipi della santità di Dio che Cristo ha
rivelato e donato.
Furono questo impegno e questa passione a forgiare i tratti umani peculiari della sua personalità e
della sua statura sacerdotale, tratti che modellarono l’ardore del fuoco che gli bruciava dentro e
l’instancabilità indomita che lo spinse a calcare tutte le strade dell’Italia del tempo e a incontrare le
più svariate categorie di persone; furono essi a segnare con un sorriso pacificante e benevolo il suo
volto nella buona e cattiva fortuna, nelle fatiche degli imprevisti e nei contrattempi, nei
riconoscimenti e nei contrasti, conferendogli la statura di un’umanità liberata, disponibile e
benevola, interamente donata.
Don Luca, voce di santità che parla ancora
A quanti, consacrati e laici in Italia e fuori: Africa, Madagascar, America Latina, Albania, a cui il
messaggio della testimonianza e della vita di don Luca è pervenuto ed ha rapito il cuore rendendolo
capace di spendersi per il Regno di Dio ancora oggi, la voce della sua santità parla ancora, ed è
invito suadente e forte a stare saldi nella fede, aperti alla speranza e disponibili nella carità; invito a
giocare ogni giorno la carta della propria vita decidendosi per Dio e per l’uomo: il piccolo, il
povero, l’indifeso; e ciò nella normalità ordinaria delle situazioni che a ciascuno sono date, quando
impegnano per il progresso della giustizia, per allargare le strade dell’onestà, per dilatare il calore
della fraternità, per rendere testimonianza a Gesù Cristo.
E’ così che la santità di don Luca chiede di incrociare la santità della vita di donne e uomini, ancora
disposti ad assumere il suo progetto, in nome del vangelo, per creare “nuovi dialoghi, nuova
convivialità e nuova speranza, nuove vicinanze alla scoperta del volto vero dell’altro” (B.
Secondin).
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