Lettera aperta al Ministro Fioroni
Caro Ministro,
servendosi del decreto Bersani sulle liberalizzazioni, lei ha recentemente introdotto alcuni
provvedimenti che ridisegnano la riforma della scuola approvata nella precedente legislatura.
In particolare ha abolito due degli otto licei Moratti: il Liceo economico e il Liceo tecnologico e
ripristinato gli Istituti tecnici che, opportunamente riformati, dovranno costituire insieme agli Istituti
professionali statali e regionali e agli Istituti per la formazione tecnica superiore, i Poli tecnico
professionali.
I suoi provvedimenti sollevano alcune perplessità, innanzitutto dal punto di vista metodologico.
Non si capisce infatti, come mai una innovazione così importante venga introdotta in maniera quasi
surrettizia, togliendo agli operatori del settore e allo stesso Parlamento ogni possibilità di discuterla,
tanto più che lei ha contemporaneamente deciso di procrastinare la riforma al 2009-2010.
Considerando poi la questione nel merito, le perplessità crescono.
Innanzitutto non si capisce per quale ragione il ripristino degli Istituti tecnici e l’istituzione dei Poli
tecnico professionali sia stata accompagnata dall’abolizione dei Licei economici e tecnologici,
come se i due non potessero convivere, come attualmente accade con la sperimentazioni degli
indirizzi tecnologico ed economico previsti dalla riforma Brocca, attivati in numerosi Istituti tecnici.
Il risultato è che ora il sistema dei licei è ora fortemente sbilanciato verso la formazione umanistica.
Dei sei rimasti infatti ben cinque (classico, linguistico, delle scienze umane, artistico e musicale)
ricadono in tale area, mentre la cultura scientifica è relegata al solo Liceo scientifico (che peraltro è
il più richiesto da studenti e famiglie). In particolare, l’eliminazione del Liceo economico avvalora
la tesi che discipline come il diritto (nelle sue diverse sfaccettature) o l’economia possano svolgere
nella scuola una funzione esclusivamente professionalizzante, mentre è evidente che si tratta di
insegnamenti ad altissimo potenziale formativo, i cui contenuti sono imprescindibili per la
formazione della persona e del cittadino prima ancora che del ragioniere. Perché deve essere
possibile un percorso formativo che assume come proprio cardine lo studio del greco e del latino o
dell’antropologia e della psicologia e non quello del diritto e dell’economia? Va anche ricordato che
economia e ingegneria sono tra le facoltà che oggi offrono ai giovani maggiori sbocchi
professionali. Proprio i percorsi liceali che li preparano specificamente a questi indirizzi dovevano
essere eliminati?
E veniamo agli Istituti tecnici che lei dice di voler valorizzare. Deve essere chiaro che tale processo
non può prescindere dalla caratteristica peculiare di questo ordine di scuola, che ha formato
generazioni di professionisti nel nostro Paese e che risiede nella capacità di coniugare la formazione
di una professionalità elevata (il ragioniere e il perito, particolarmente apprezzati dal sistema
produttivo) con la formazione del soggetto come persona. La riforma dei tecnici richiede senza
dubbio la riduzione del loro orario dalle attuali 36 a non più di 30-32 ore di lezione settimanale.
L’equilibrio tra il tempo dedicato alla formazione culturale generale e quello dedicato alla
formazione professionale non deve però essere stravolto a vantaggio di quest’ultima. I nostri ragazzi
hanno bisogno di conoscere la storia e la letteratura, il diritto e la matematica, hanno bisogno (come
diceva Keynes) “di imparare ad amare il bello e il giusto”, e se non sappiamo aprirli a questi
orizzonti, i pianti per gli sballi del sabato sera sono solo lacrime di coccodrillo. La formazione
professionale prima dei diciotto anni insomma, deve comunque mantenersi entro il quadro di una
più generale formazione della persona, mentre la formazione di una professionalità “fine” può
trovare lo spazio necessario negli Istituti di formazione superiore, previsti dalla sua stessa riforma.
D’altronde, signor Ministro, nemmeno le aziende sanno che farsene di operatori tecnicamente
esperti, ma incapaci di stabilire relazioni adeguate o di compiere scelte che richiedano autonomia di
giudizio.
Prof. Patrizia Maccari
ITC Abba-Ballini Brescia