riforma del titolo v della costituzione-art

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MILANO
FACOLTÁ DI SCIENZE POLITICHE
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
AMMINISTRAZIONI E POLITICHE PUBBLICHE
LA RIFORMA DEL TITOLO V: CONSEGUENZE
ISTITUZIONALI E POLITICHE.
IL CASO DI CORTINA D’AMPEZZO
Tesi di Laurea di: Giovanni Cozzi
Matricola n.: 685012
Relatore: Prof. Nicola Pasini
Correlatore: Prof. Luciano Mario Fasano
Anno Accademico: 2006/2007
Introduzione
3
1 Federalismo, federalismo fiscale e conseguenze per le Regioni a statuto speciale
6
1.1 Il federalismo nella storia
1.2 I diversi tipi di federalismo
1.3 Evoluzione del dibattito politico – istituzionale italiano e proposte di legge
costituzionale
1.4 Proposte di riforma del Titolo V della Costituzione in senso federale che hanno
portato alla Legge Costituzionale n. 3 del 18 Ottobre 2001
1.5 Problematiche di attuazione
a) Legge n. 131 del 5 Giugno 2003
b) L’attuazione degli statuti regionali
c) Priorità nell’attuazione del Titolo V
1.6 Riforma del Titolo V della Costituzione – art. 119 e federalismo fiscale
1.7 La riforma del Titolo V della Costituzione e le Regioni a statuto speciale
1.8 I paradisi fiscali (zone extradoganali)
6
14
2 Le norme di Legge costituzionale e (non) che regolano il passaggio di un comune da
una regione ad un’altra
2.1 Leggi della Costituzione (artt. 5 e 132)
2.2 La norma applicativa della Costituzione (Legge n. 352 del 25 Maggio 1970)
2.3 Profili problematici della Legge 352 e sentenza della Corte Costituzionale n.
334/2004
2.4 Profili problematici del passaggio ad una Regione a statuto speciale: il caso di Noasca
2.5 Profili problematici: la presunta incostituzionalità del quorum ex art. 132 Costituzione
2.6 Il Disegno di Legge Costituzionale del 17 Aprile 2007
3 Comuni che hanno intrapreso l’iniziativa: cronistoria
3.1 I primi casi e gli esiti degli sviluppi parlamentari
3.2 I casi più recenti
16
26
36
36
40
42
44
47
51
53
53
55
57
61
64
66
70
70
73
4 Il caso di Cortina d’Ampezzo
4.1 Storia dell’evoluzione amministrativa e politica del territorio ladino in oggetto
4.2 Tappe cha hanno portato al referendum
4.3 Il passaggio alla Provincia Autonoma di Bolzano: quali privilegi?
4.4 Attori coinvolti
4.5 Le posizioni degli attori e le loro dinamiche di relazione
a) Attori istituzionali
b) Attori non istituzionali
c) Attori politici
4.6 Scenari futuri
74
75
82
88
93
95
97
110
113
114
5 Conclusioni
115
Bibliografia
117
Sitografia
121
2
INTRODUZIONE
Questo lavoro prende in considerazione alcune conseguenze, politiche e costituzionali,
della riforma della Costituzione Repubblicana in senso federalista, avvenuta con
l’approvazione della Legge Costituzionale n. 3 del 2001. Gran parte di questa riforma è
rimasta inattuata per l’incapacità di predisporre adeguati strumenti legislativi:
una situazione in
parte determinata dagli
interessi
politici
variabili
delle
differenti maggioranze parlamentari. Nei casi in cui è stata data attuazione
alla riforma, sono stati poi spesso gli enti locali - comuni, province e
regioni - a non utilizzare pienamente le nuove competenze ad essi assegnate.
In
particolare
previsto
è
rimasto
dall’articolo
totalmente
119
inattuato
della
il
federalismo
Costituzione,
fiscale,
più
volte
all’ordine del giorno nei programmi dei partiti e delle diverse maggioranze
parlamentari.
La
richiesta
delle
regioni
ha
per
oggetto
un’autonomia
impositiva e di gestione che prescinda dalla dipendenza dai trasferimenti
statali,
non
più
sufficienti
per
gli
enti
territoriali.
La
tesi
centrale
di
questo lavoro è che il mancato raggiungimento dell’autonomia fiscale sia
stata
la
causa,
richieste,
da
appartenenza
in
alcune
parte
dei
con
una
zone
d’Italia,
Comuni,
di
confinante,
del
consistente
cambiare
la
seguendo
la
aumento
propria
delle
Regione
procedura
di
prevista
dall'articolo 132 comma 2 della Costituzione. In particolare lo strumento
del
referendum
territori
popolare
confinanti
godono,
oltre
culturali,
di
permanenza
in
con
che
è
le
di
stato
utilizzato
Regioni
statuto
maniera
speciale,
a
favore
delle
consistenti
privilegi
fiscali
riassumibili
loco
tributi
riscossi
dei
tutele
a
in
sul
consistente
che
minoranze
con
territorio
ancora
nei
oggi
linguistiche
una
della
e
maggiore
regione
in
questione. Una sorta di «scorciatoia» dagli esiti incerti, una «possibilità»
per aprirsi una porta verso i territori dove il federalismo fiscale è già un
fatto.
In quest’ottica ho preso in considerazione il caso di Cortina d’Ampezzo e di
3
due comuni del Bellunese ad essa limitrofi (Livinallongo del Colle di Lana e
Colle Santa Lucia). Un territorio ricco, ma che pure ha grossi problemi di
finanziamento da parte della Regione Veneto e dello Stato e che si confronta
quotidianamente
confinante
con
i
privilegi
Provincia
e
Autonoma
le
facilitazioni
di
Bolzano,
di
cui
godono,
cittadini
e
nella
imprese.
Nel primo capitolo, dopo una ricognizione storica sul federalismo americano
ed
europeo,
possibili.
ho
passato
in
Successivamente
ho
rassegna
analizzato
i
diversi
le
tipi
varie
di
federalismo
proposte
italiane
di
riforma federale dello Stato, fino ad arrivare alla Legge Costituzionale n. 3
del 2001, soffermandomi sulle sue priorità e sulle diverse problematiche di
attuazione. Viene quindi preso in considerazione il disegno di legge per
l¹attuazione
del
federalismo
fiscale,
approvato
dal
Consiglio
dei
Ministri
del 28 Giugno 2007 ma non ancora approvato dal parlamento. Al termine del
capitolo
vi
è
un
breve
accenno
alle
zone
extradoganali,
i
cosiddetti
«paradisi fiscali».
Nel secondo capitolo ho svolto un approfondimento giuridico sulle norme costituzionali
e
di
delle
legge
province
ordinaria
da
una
che
regolano
regione
all’altra.
il
passaggio
Ho
poi
dei
Comuni
affrontato
tre
e
profili
problematici emersi nell’applicazione della normativa in vigore e richiamati
dalla giurisprudenza costituzionale: la richiesta delle delibere di appoggio ai Consigli
Comunali, gli statuti speciali e il cambio di regione e l’incostituzionalità del quorum.
Al termine del capitolo mi sono soffermato sul disegno di legge, discusso e non ancora
approvato
alla
I
Commissione
Affari
Costituzionali
della
Camera
dei
Deputati, il cui scopo è disincentivare il ricorso, sempre più frequente, a questo tipo di
procedura.
Nel terzo capitolo sono indicati i diversi comuni che hanno intrapreso, dal
2005
in
indicando
poi,
a
il
percorso
che
punto
per
il
dell’iter
trasferimento
si
da
trovano
una
o
regione
gli
all'altra,
esiti
finali.
Nel quarto capitolo ho analizzato il caso di studio di Cortina d’Ampezzo,
che
viene
Ladini
analizzato
come
fattore
nei
di
suoi
diversi
omogeneità
risvolti:
culturale
tra
la
storica
l’area
in
presenza
oggetto
dei
e
i
territori del vicino Alto Adige; le tappe che hanno portato al referendum
4
svoltosi il 28-29 ottobre 2007; le dinamiche di relazione tra i diversi
attori,
istituzionali
e
politici,
dalla
neutralità
al
confronto
anche
aspro;
i cambiamenti posti in essere nel caso di un effettivo passaggio di Cortina
d’Ampezzo alla Provincia Autonoma di Bolzano.
Uno scenario che ha suscitato interessanti dinamiche di politics locali e ha aperto un
ventaglio di possibili opzioni giuridiche nei confronti dei territori richiedenti, senza
provocare
però
un
significativo
dibattito
sul
palcoscenico
politico
nazionale. Questo è il focus su cui si riflette nell’ultima parte di questo
lavoro.
5
1
FEDERALISMO,
CONSEGUENZE
FEDERALISMO
PER
LE
REGIONI
FISCALE
A
E
STATUTO
SPECIALE
1.1 IL FEDERALISMO NELLA STORIA
Il federalismo è un’organizzazione di Governo che ricomprende diverse specie anche
profondamente diverse tra di loro come federazioni, leghe e confederazioni.
Il federalismo è «un’organizzazione politica che si fonda sulla combinazione di
autogoverno e di governo condiviso e comune. È un patto, foedus, di associazione tra
parti contraenti di cui promuove l’unità e di cui riconosce l’integrità e l’autonomia.
Implica una concezione della società non come totalità organica fondata […] su vincoli
primordiali (clan, tribù, etnia), ma come comunità politica fondata sull’unione
volontaria di individui dotati di uguali diritti per perseguire fini comuni»1.
In una definizione operativa di federalismo di William Riker il federalismo viene
definito come un’organizzazione politica articolata in più livelli di governo
costituzionalmente specificati, ognuno dei quali ha potere di decisione finale su alcune
attività.2
Il federalismo trae la sua origine dal pensiero confederalista: possiamo riscontrare
alcune teorie federaliste in autori come Althusius nella Politica methodice digesta
(1603), come Montesquieu nello Spirito delle leggi (1748) e come Kant nel saggio Sulla
pace perpetua (1795). Questi autori indicano alcuni punti cardine del federalismo nelle
loro concezioni: rispettivamente nel primo è il rispetto del principio di consociazione,
posto a fondamento della politica, nel secondo è la libertà intrinseca a un modello
costituzionale alternativo al dispotismo; nel terzo è la pace perpetua, che solo una
repubblica federale può salvaguardare.
Cit. in: Alberto Martinelli, Terzo rapporto sulle priorità nazionali. Quale federalismo per l’Italia?,
Arnoldo Mondatori Editore, Milano, 1997, pp. 3-4
2
Cfr. W.H. Riker, Federalism: Origin, Operation, Significance, Boston, Little Brown, 1964
1
6
In passato possiamo ritrovare alcuni esempi di federalismo primordiale come nelle
leghe che univano le città-stato greche, le leghe dei comuni italiane e delle città
anseatiche ma il federalismo vero e proprio nasce negli Stati Uniti d’America.
Il moderno federalismo, però, è nato di fatto soltanto con la formazione degli U.S.A. e
con il serrato dibattito ideologico ad essa collegato, intrecciato dai pubblicisti politici
americani A. Hamilton, J. Jay, J. Madison, che nel 1788 diedero mano alla raccolta di
saggi The Federalist, ossia il Commento alla Costituzione degli Stati Uniti d’ America.
Essi partirono da una premessa: ad essi non bastò più il Parlamento come organo di
controllo unico del potere esecutivo e chiesero che lo Stato assumesse una struttura
federale in quanto, solo in tal modo, il cittadino avrebbe goduto di sicure garanzie grazie
alle quali la politica non avrebbe potuto limitare la sua autonomia. Il pensiero politico
federalista nacque pertanto in polemica con la teoria dello Stato sovrano, accentrato e
assoluto e come diretta filiazione delle correnti politiche liberali anglosassoni del XVII
secolo.
Prima della Costituzione del 1787 ogni stato americano era sostanzialmente uno stato
sovrano poi con l’entrata in vigore della Carta Costituzionale si creò un Governo
nazionale con il potere di unire gli stati ma che non sostituì i singoli governi statali, sia
l’uno che l’altro organo ebbero infatti poteri delegati dal popolo.
Il governo federale ha dei poteri definiti ed espressi nella Costituzione (detti anche
poteri "enumerati"), come ad esempio il diritto di imporre le tasse, dichiarare la guerra e
regolare commerci interni ed esteri. Inoltre, può approvare qualsiasi legge con
motivazioni necessarie ed adeguate per l'esecuzione dei propri poteri. I poteri che la
Costituzione non concede al governo federale o che vieta agli stati sono riservati al
popolo o agli stati. I poteri del governo federale sono stati significativamente espansi
dagli emendamenti aggiunti alla Costituzione.
Dunque il primo esempio di Stato Federale nacque a Filadelfia nel 1787. Il Preambolo
della Costituzione degli Stati Uniti d’America recita: «Noi, popolo degli Stati Uniti, allo
scopo di perfezionare ulteriormente la nostra Unione, di garantire la giustizia, di
assicurare la tranquillità all'interno, di provvedere alla comune difesa, di promuovere il
7
benessere generale e di salvaguardare per noi stessi e per i nostri posteri il dono della
libertà, decretiamo e stabiliamo questa Costituzione degli Stati Uniti d'America»3.
La confederazione vigente dal 1781 al 1787 negli anni precedenti sanciva invece che:
«Per questo mezzo i suddetti stati, entrano singolarmente in una salda lega d'amicizia
con gli altri per la difesa comune, per la sicurezza delle proprie libertà ed il mutuo
benessere generale, impegnandosi ad assistersi reciprocamente contro qualsiasi violenza
imposta loro, o qualsiasi attacco portato a tutti o a uno di loro, in nome della religione,
della sovranità, del commercio o di qualsiasi altro pretesto».
Come possiamo notare in entrambe queste formulazioni sono presenti degli obiettivi
ben precisi da raggiungere, la differenza sono i soggetti protagonisti del patto federativo
nel primo caso e confederativo nel secondo caso. Nel primo caso è il popolo, i singoli
individui il soggetto titolare della realizzazione dell’unione insieme ai vari stati, nel
secondo caso sono gli stati i protagonisti, che sono liberi e decidono di unirsi per
raggiungere gli obiettivi in un’ottica di tipo assistenziale.
Il principio federale si basa sul concetto che ogni unità federale, statale o locale se
risponde ad alcuni requisiti rappresenta un vero e proprio Governo con dei poteri propri
e definiti, contrariamente ad una visione più centralista dello Stato presente in Europa
dove come unico centro di potere politico veniva riconosciuto lo Stato centrale.
Nel modello federale il ruolo dello Stato centrale è quello di creare l’unità politica ed
economica e agli stati federati vengono attribuite tutte le competenze residue, di modo
che i cittadini siano governati da due differenti centri di potere, uno di garanzia di unità
nazionale e l’altro più vicino alle loro territorio e alle loro radici. Il federalismo
americano è garantito della presenza di una Costituzione e da un equilibrio retto da un
Presidente eletto direttamente dal popolo e da un meccanismo bicamerale che garantisce
ad una camera la rappresentanza proporzionale degli elettori e all’altra camera una
garanzia di rappresentanza uguale a tutti gli stati, senza riferimento alle loro dimensioni
geografiche e di popolazione.
Accanto al modello federale statunitense possiamo elencare altri esempi di federalismo
come quello svizzero dove nel 1848 nacque uno stato federale sulle ceneri di una
vecchia confederazione.
Cit.. In: Costituzione degli Stati Uniti d’America in
http://www.tuttoamerica.it/storia/costituzione_americana.htm
3
8
Secondo esempio che possiamo citare è il Canada dove il lungo conflitto per il dominio
delle terre del nord delle Americhe si chiuse con il Trattato di Parigi del 1763 che segnò
il passaggio dell'interno territorio alla corona britannica.Nel 1791 la ex colonia francese
fu divisa, con un atto del Parlamento britannico di Westminster, in due province, Upper
e Lower Canada, il primo abitato da inglesi, il secondo da francesi. Queste province, al
pari delle altre colonie britanniche in America, erano governate direttamente dalla
Corona. Solo a partire dal 1948 fu concesso alle Province di formare dei governi nel
vero senso della parola purché questi ultimi siano sostenuti dalle proprie assemblee.
La situazione però restava spesso intricata perché le decisioni venivano prese da accordi
tra le elite delle due comunità e il potere del Governo era sempre più debole fino a
quando nel 1867 il Canada divenne una confederazione con il British North-America
Act, approvato dal Parlamento di Westminster, tramite il quale venivano riconosciute
precise competenze allocate tra le Province e un nuovo centro comunitario. Oggi la
forma di Stato canadese rimane formalmente la stessa della Gran Bretagna, una
monarchia costituzionale,ma la sua organizzazione è certamente di tipo federale
ancorché asimmetrica.
Altro caso di federalismo che citiamo è quello Austriaco, che divenne tale con la
Costituzione entrata in vigore il Primo Ottobre del 1920.
La costituzione definisce l’Austria come uno stato federale e suddivide il proprio
territorio in nove regioni autonome, in ognuna di queste regioni ogni cittadino della
confederazione ha gli stessi diritti che spettano ai cittadini della regione stessa. Per
quanto riguarda la suddivisione delle competenze vengono elencate: le competenze
legislative ed esecutive della federazione, le competenze legislative della federazione ed
esecutive delle regioni e per ultime la competenze della federazione nella legislazione di
principio di competenza regionale e la legislazione complementare.
La funzione legislativa è esercitata dal Consiglio Nazionale che viene eletto da tutta la
popolazione della nazione e dal Consiglio Federale eletto dalle diete regionali, le regioni
sono rappresentate nel Consiglio federale in rapporto al numero degli abitanti della
Federazione che vi risiedono, il Consiglio nazionale e il Consiglio federale si riuniscono
in Assemblea federale in seduta pubblica comune, nella sede del Consiglio nazionale,
per l’elezione del presidente della Federazione e per il suo giuramento, e, inoltre, per
adottare la decisione relativa a una dichiarazione di guerra. La suprema competenza
9
amministrativa della Federazione, ad eccezione di quella spettante al presidente della
Federazione, è affidata al cancelliere federale, al vice-cancelliere e agli altri ministri
federali. Essi costituiscono nel loro complesso il governo federale, sotto la presidenza
del cancelliere.
Quarto esempio di federalismo europeo che prendiamo in considerazione è quello
tedesco. Secondo il diritto costituzionale della Germania viene riconosciuta la qualità di
Stato sovrano non soltanto allo Stato federale bensì anche agli Stati federati
(“Län-der”) che oltre al popolo (che è formato dai cittadini degli Stati federati)
mantengono parziali poteri legislativi, amministrativi e giurisdizionali.
Tali compiti e poteri s’intendono originariamente propri degli Stati membri e non a loro
delegati dallo Stato federale. Conseguentemente, là dove la Costituzione non detta che
un’entità prevalga rispetto all’altra,lo Stato federa-le e gli Stati membri sono equivalenti
e possono concludere convenzioni e trattati tra loro.
L’articolo 30 della Costituzione precisa pertanto che l’adempimento dei compiti statali e
i relativi poteri statali spettano agli Stati federati (“Länder ”) salvo diversa disposizione
costituzionale. Dalla regola generale sembra che i compiti e i poteri attribuiti allo Stato
federale formino soltanto l’eccezione mentre i Länder sono presentati come primari
detentori dei poteri statali. Nel dettaglio però la Costituzione tedesca prevede una
divisione verticale dei poteri tra stato federale (“Bund”) e i Länder e riserva al Bund
gran parte dei compiti e dei poteri con la conseguenza che l’ente federale partecipa
anche in misura maggiore agli introiti fiscali. Secondo l’articolo 50, il bilanciamento
degli interessi si ha tramite la camera dei rappresentanti dei Länder (“Bundesrat”),
l’organo attraverso il quale i Länder collaborano all’attività legislativa ed
amministrativa del Bund e a questioni riguardanti l’Unione Europea.
Nella divisione verticale del potere legislativo tra Bund e Länder si distinguono le
materie in cui: il Bund ha l’esclusiva legislazione, la legislazione dei Länder concorre
con quella prevalente del Bund e al Bund compete l’emanazione di leggi quadro che i
Länder dovranno riempire con leggi applicative.
Ultimo esempio di federalismo europeo che vogliamo citare è quello belga.
Nel corso del 1993, il Belgio è diventato uno Stato Federale attraverso una modifica
della Costituzione.
10
Questo paese rappresenta un modello diverso di federalismo rispetto a quelli
sopraccitati, sono infatti presenti due differenti tipi di poteri federati.
Vi sono tre comunità, che si dividono l'insieme del territorio per l'esercizio di certe
competenze, e ci sono anche tre regioni, che si dividono ugualmente l'insieme del
territorio per l'esercizio di altre competenze.
Le istituzioni presenti in Belgio sono: uno Stato federale con un Governo federale, un
sistema bicamerale e un Capo dello Stato.
Nel nord del paese è presente la comunità fiamminga con un consiglio eletto ed un
Governo, i compiti di questa comunità sono quelli propri delle comunità (cultura,
istruzione e uso delle lingue) e quelli propri delle regioni (gestione del quadro di vita,
economia, lavori pubblici e comunicazioni, controllo delle amministrazioni locali).
Essendo una comunità, quella fiamminga esercita anche alcune competenze a Bruxelles.
Al centro vi è la Regione di Bruxelles che esercita le competenze regionali ed ha un
consiglio eletto e un Governo. Lo stesso valle al sud per la Regione Vallona.
Sempre al sud troviamo la comunità francese che esercita le competenze delle comunità
elencate prima ed ha un’assemblea composta da membri del consiglio regionale vallone
e da membri del consiglio regionale di Bruxelles. Ad est vi è la comunità di lingua
tedesca che esercita le competenze comunitarie e ad alcune competenze ad essa
trasferite dalla Regione vallona.
Tutte queste istituzioni hanno un potere legislativo esclusivo nelle loro competenze.
Se esiste una contraddizione fra una legge federale e un decreta regionale o comunitario,
c’è
stata
un’invasione
di
competenze
che
viene
giudicata
dalla
Corte
Costituzionale(inizialmente chiamata «Cour d’arbitrage») che è incaricata di annullare
gli atti legislativi viziati da incompetenza.
Una delle novità interessanti introdotte con la modifica costituzionale del 1993 è quella
del sistema bicamerale, prime le due camere avevano una composizione ed una
funzione pressoché simile, adesso il ruolo e la composizione del Senato sono
profondamente variate.
Il nuovo Senato è composto da diverse categorie di senatori, facendo sì che tutte le
istituzioni (Stato, comunità, regioni) siano rappresentate. Comprende, oltre a 40 membri
eletti direttamente dalla popolazione, 10 membri del consiglio fiammingo, 10 membri
del consiglio della comunità francese, 1 membro del consiglio della comunità di lingua
11
tedesca, e 10 membri eletti da tutte le categorie precedenti di senatori. Diventa così, non
un'assemblea rappresentativa degli enti federati, come si verifica nella maggior parte dei
senati degli Stati federali (senato americano, consiglio degli Stati svizzero, Bundesrat
tedesco), ma un’assemblea rappresentativa dell'insieme dei poteri pubblici, Stato
federale compreso.
Il Parlamento vota tre tipi di leggi: le leggi speciali che si occupano di tematiche quali
gli statuti delle comunità e delle regioni che devono essere votate da entrambe le camere
dalla maggioranza dei due gruppi linguistici e dalla maggioranza dei due terzi
complessivi di ogni ramo. Vi sono poi le leggi bicamerali, anch’esse devono essere
adottate da entrambe le camere e riguardano le relazioni internazionali e lo statuto delle
giurisdizioni. Da ultimo le leggi ordinarie votate dapprima dalla Camera e poi trasmessa
al Senato che può proporne delle modifiche che verrano discusse alla Camera prima
dell’approvazione da parte del Re.
Tra le competenze regionali, oltre a quelle già citate è interessante parlare delle materie
personalizzabili: si tratta di un insieme di materie nelle quali deve necessariamente
stabilirsi un rapporto diretto fra l'amministrato e il servizio pubblico. Un esempio tipico
è rappresentato dalla salute pubblica: il malato e il medico devono necessariamente
incontrarsi. Questo avviene per garantire che non ci sia nei servizi pubblici disparità di
trattamento sia che stiamo parlando della comunità fiamminga sia di quella francese.
Per quanto riguarda le già citate competenze regionali (gestione del quadro di vita,
economia, lavori pubblici e comunicazioni, controllo delle amministrazioni locali) lo
Stato ha elencato le proprie competenze e ha poi desunto quali fossero le competenze
dell’ente territoriale regione.
La complessità della suddivisione delle competenze potrebbe creare disagi ai cittadini
belgi, ma il modo di risoluzione pacifica dei negoziati attenua notevolmente questo
possibile profilo problematico.
Per concludere possiamo affermare che il federalismo ha un duplice obiettivo: quello di
garantire uguaglianza di diritti e doveri ai cittadini in un contesto di tipo democratico e
quello di permettere il rinforzo del legame con i valori, le culture, la religione e la
tradizioni lavorative presenti nei propri territori.
12
Se così non fosse lo Stato centrale accentrerebbe tutto il potere su di sé con un rischio di
creare delle istituzioni fortemente anti-democratiche. Da qui nasce l’esigenze di creare
dei corpi intermedi che facciano da filo conduttore e da garanti tra lo Stato e il singolo
cittadino.
L’argomento principale a favore dello Stato federale è quello della sua capacità di
mettere insieme l’unione con l’autonomia, favorendo attraverso le istituzioni un’idea di
compromesso e di soluzione pacifica dei conflitti, in una comunità di questo tipo
vengono controllate le diversità presenti in uno stesso territorio.
Il potere politico viene suddiviso per garantire la libertà e unito per garantire uno Stato
centrale forte e garantista. Altro elemento positivo di questa suddivisione è la maggiore
partecipazione dei cittadini alla vita politica, infatti se non venissero assegnati poteri
alle comunità essi rinuncerebbero al loro potere di controllo e di partecipazione ad un
potere centralizzato.
13
1.2 I DIVERSI TIPI DI FEDERALISMO
Negli ultimi decenni il dibatto sui diversi tipi di federalismo esistenti viene poco
affrontato infatti viene dato per scontato che l’unico modo possibile per regolare i
rapporti tra livello federale e livello degli stati membri sia quello della suddivisione
delle competenze.
Questo modello che viene definito dalla letteratura come «duale», esso si distingue bene
sia dallo stato unitario, sia dalla confederazione.
Il modello «cooperativo» prevede la collaborazione di federazione e stati membri sulle
stesse materie ma con differenti ruoli e compiti. Questo tipo di federalismo si realizza
quando è viva le necessità di governare l’economia e correggere i fallimenti del mercato
sviluppando così un’intesa di collaborazione (es. federalismo della Germania Ovest
imposto dalle potenze occupanti, federalismo austriaco, regionalismo spagnole e
regionalismo italiano).
L’evoluzione naturale degli eventi fa nascere un terzo tipo di federalismo definito
«competitivo». Questa terza strada definisce e chiarisce molto meno il ruolo e le
funzioni dei diversi livelli di governo.
La transizione dal primo modello di federalismo descritto agli altri due modelli federali
rappresenta un caso di policy che fa variare la politics. Il cambiamento avviene per
creare qualcosa di diverso, non per realizzare meglio le politiche che già si è in grado di
fare ma per realizzare con modalità differenti più vicine alle esigenze dei cittadini.
Il primo modello di federalismo, quello «duale» viene utilizzato quando gli obiettivi da
raggiungere sono condivisi e i mezzi per arrivarci sono noti a tutti e portano a soluzione
certe. L’unica questione da risolvere è quella di capire a quale livello deve essere
assegnata la competenza nei vari ambiti. È utile che le competenza non venga suddivisa
in tante micro-competenze ma che si basi su grandi aree di responsabilità considerando
le varie economie o diseconomie legate alla scala di produzione della politica.
Il secondo modello di federalismo, definito «cooperativo» viene utilizzato quando è
chiaro l’obiettivo che si vuole raggiungere ma i metodi e i mezzi sono ignoti. Per questo
attraverso la responsabilità condivisa tra centro e periferia e il riparto di competenze e
risorse si cerca di arrivare ad una soluzione.
14
Il processo negoziale tramite il quale si cerca di raggiungere il consenso è lungo e
complesso e questo dovrebbe permettere una maggiore chiarificazione e apprendimento
della situazione.
La terza strada, quella del federalismo «competitivo» viene utilizzata quando c’è
incertezza sulla natura del problema da risolvere e sulle modalità di soluzione.
Attraverso questo metodo sono presenti più centri di elaborazione di decisione, anche in
competizione tra loro. Questi devono essere in grado di mobilitare le risorse
economiche, politiche e conoscitive necessarie all’attuazione di progetti innovativi. La
situazione che si viene a creare è di tipo conflittuale, ma questa ridondanza può portare
alla soluzione dei problemi anche se la strada da percorrere è tortuosa e ignota.
15
1.3
EVOLUZIONE
ISTITUZIONALE
DEL
DIBATTITO
ITALIANO
E
POLITICO-
PROPOSTE
DI
LEGGE COSTITUZIONALE
La storia politico istituzionale Italiana ebbe esperienze di tipo federalistico già a partire
dalla metà dell’800, infatti le proposte per l’unità d’Italia passarono anche attraverso
idee di stato federale. Vincenzo Gioberti propose infatti una federazione tra i regni
peninsulari sotto la guida del Pontefice, ma questa ipotesi fu scartata. Non ebbe migliore
fortuna la proposta regionalista di Giuseppe Mazzini che incontrò la resistenza del
Parlamento che nel 1865 adottò la scelta di un o stato centralizzato sul modello
piemontese riconoscendo come unici livelli amministrativi gerarchicamente inferiori
allo stato le province ed i comuni.
Il dibattito fu interrotto per circa ottanta anni e riprese in sede di Assemblea Costituente
quando fu chiaro che per riconoscere delle competenze regionali era necessario
prospettare un nuovo assetto parlamentare. Maurizio Ambrosini (Democrazia Cristiana)
Presidente del Comitato di Redazione per l’autonomia regionale stabilì che alle regione
dovevano essere attribuite competenze legislative ed una rappresentanza a livello
parlamentare. Le Camere non potevano essere solo dei partiti che senza una
differenziazione all’interno della struttura bicamerale avrebbero assorbito i legittimi
interessi dei territori regionali. Costantino Mortati chiedeva che la regione divenisse un
«centro unitario di interessi organizzati»4 e che le camere non fossero governate solo dai
partiti perché rappresentano solo una piccola parte della popolazione.
Come scrisse Giuseppe Maranini: «si temeva in modo particolare che la lotta politica, o
meglio la guerra civile già delineatasi fra le forze legate allo stalinismo e i partiti che
almeno a parole si dichiaravano leali alla Costituzione e ai suoi valori liberali, inducesse
gli avversi schieramenti a considerare le regioni come baluardi nei quali arroccarsi»5.
Questo era il pensiero del Partito Comunista e del Partito Socialista che fino a quando
furono nel Governo ebbero questa posizione, non appena ne uscirono nel 1947
iniziarono a vedere l’autonomia regionale come una forte garanzia a livello locale.
4
5
Cit. da: http://www.sintesidialettica.it/leggi_articolo.php?AUTH=76&ID=99
Cit. da: Sofia Ventura, Il federalismo, Il Mulino, Bologna, 2002, p.113
16
Il principale partito di Governo, la Democrazia Cristiana sostenne fortemente il
regionalismo, ma poi attenuò la propria posizione e per questo motivo l’autonomia
riconosciuta alle regioni con l’articolo 117, fu in realtà notevolmente compressa: « La
Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi
fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, semprechè le norme stesse non siano in
contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre regioni: ordinamento degli enti
amministrativi e degli uffici dipendenti dalla regione, circoscrizioni comunali, polizia
locale rurale e urbana, fiere e mercati, beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria e
ospedaliera, istruzione artigiana professionale e assistenza scolastica, musei e
biblioteche di enti locali, urbanistica, turismo e industria alberghiera, tramvie e linee
automobilistiche d’interesse regionale, viabilità acquedotti e lavori pubblici di interesse
regionale, navigazione e porti lacuali, acque minerali e termali, cave e torbiere, caccia,
pesca nelle acque interne, agricoltura e foreste, artigianato, altre materie indicate da
leggi costituzionali. Le leggi della Repubblica possono demandare alla regione il potere
di emanare norme per la loro attuazione»6
Le disposizioni elencate nei principi fondamentali della Costituzione tutelano le
autonomie locali e in particolare l’articolo 5 afferma che: «La Repubblica, una e
indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono
dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi
della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.»7.
La specifica definizione di autonomie locali è riscontrabile nell’articolo 114 del testo
originario della Costituzione dove viene detto che «la Repubblica si riparte in Regioni,
Province e Comuni»8, le regioni vengono poi elencate negli articoli 116, dove vi è
l’elenco delle Regioni a Statuto Speciale e l’articolo 131 dove vi è l’elenco completo di
tutte le Regioni costituite. Alle Regioni a statuto speciale sono state attribuite ampi
poteri di autonomia legislativa ed amministrativa, anche le regioni hanno potestà di
questo tipo ma di minore rilievo. Le competenze delle Regioni sono concorrenti con
quelle dello Stato e sono a questo subordinate. Gli ambiti in cui vengono emanate leggi
regionali sono quelli sopra citati nella versione originaria dell’articolo 117 della
Costituzione Repubblicana. Sulle leggi regionali vi è un controllo di merito e legittimità
6
Cfr.: http://www.camera.it/files/costituzione/Costituzione_testo_completo.doc
Cfr.: ibidem
8
Cfr.: ibidem
7
17
svolto in prima istanza dal Governo e in seconda istanza da parte del Parlamento
Italiano.
Tutte queste previsioni riguardanti la suddivisione regionale dello Stato non furono però
immediatamente attuate con l’entrata in vigore della Costituzione che avvenne il Primo
Gennaio 1948.
Gli anni ’50 evidenziarono una disattenzione forte per il regionalismo in un’ottica di
pluralismo solo partitico e parlamentare e non istituzionale.
A fine anni sessanta tornò in auge il dibattito sul regionalismo e nel 1970 si svolsero le
prime elezioni regionali, nel 1971 vennero approvati gli Statuti regionali e nel 1972.
Un più preciso trasferimento delle potestà legislative ed amministrative alle regioni
avvenne con la legge 22 Luglio 1975 n. 382: «Norme sull’ordinamento regionale e sulla
organizzazione della Pubblica Amministrazione» e con il decreto delegato n. 616 del
1977.
Il sistema politico regionale tardò comunque a decollare e il centralismo dello Stato
italiano fu ancora il protagonista principale del sistema di governo.
Negli anni ’80 il malfunzionamento di tale sistema si evidenziò con alcune mancanze e
lacune della pubblica amministrazione che non permettevano alla Stato di gestire tutti i
compiti ad esso attributi. Il regionalismo non funzionava e le regioni non riuscivano ad
ottenere un ruolo di prim’ordine.
L’agenda politica tornò ad avere tra le sue priorità il regionalismo a cavallo tra la fine
degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta quando anche grazie alla nascita di un
partito politico: La Lega Nord - Lega Lombarda queste tematiche furono riportate al
centro dell’attenzione. La nascita ufficiale di questo partito che negli anni ’80 si chiamò
prima Lega Autonomista Lombarda e poi Lega Lombarda, avvenne con il congresso di
Pieve Emanuele (10 Febbraio 1991) quando oltre al nome nuovo fu nominato anche il
segretario politico: Umberto Bossi.
La Lega Nord partecipò alle elezioni politiche del 1992 e ottenne un consenso pari
all’8,4% che le permise di avere 80 deputati.
Questo successo della lista lombarda è riscontrabile in un fuga degli elettori dai partiti
tradizionali coinvolti nell’operazione “Mani Pulite”, le idee regionaliste e federaliste
della Lega Nord rappresentarono un nuovo orizzonte di distacco e rifiuto dello
statalismo centralista portato avanti dai suddetti partiti.
18
Ideologo dell’idea federale leghista fu Gianfranco Miglio (1918-2001) che espose la sua
idea di Italia federale nel «Decalogo di Assago». Questo decalogo prevedeva che l’Italia
doveva essere suddivisa in tre macroregioni: la Repubblica federale del nord, la
Repubblica federale dell’Etruria e la Repubblica federale del sud andando a formare
assieme alle cinque Regioni a Statuto Speciale un vero e proprio stato federale. A capo
di ogni macro-Regione veniva posto un governatore e una dieta eletta a suffragio dagli
abitanti di ogni macro - regione. Le diete riunite dovevano formare l’Assemblea politica
dell’unione governata da un Primo Ministro eletto da tutta l’unione coadiuvato da un
direttorio composto dai governatori dei tre stati federali. Le competenze dell’unione
avrebbero dovuto essere in campo di difesa, di esteri, di moneta e di programmazione
economica, mentre le competenze residue spettano alle repubbliche federali. Infine il
decalogo prevede che tutti gli enti territoriali, unione e repubbliche federali comprese
non devono eccedere nelle spese il tetto del 50% del prodotto interno lordo dell’unione.
Questa proposta federale di Gianfranco Miglio ebbe però scarso seguito perché la Lega
Nord scelse poi di allearsi con il Centro-Destra alle elezioni politiche del 1994 e pur
mantenendo un’idea di stato federale decise di provare ad andare al Governo. La vittoria
elettorale del Centro-Destra diede vita al primo governo di Silvio Berlusconi che però
venne meno dopo solo un anno proprio perché la Lega non più soddisfatta di questa
alleanza diede la sfiducia al Governo che era in carica.
Alle elezioni politiche del 1996 la Lega Nord non strinse alleanze e presentandosi da
sola ottenne il 10,4% dei consensi con picchi del 20% al nord. La nuova idea del partito
di Umberto Bossi non fu più il semplice federalismo ma addirittura la secessione
dell’Italia settentrionale denominata Padania. La manifestazione di questa indipendenza
culminò il 15 Settembre quando a Venezia Umberto Bossi proclamò ufficialmente
l’indipendenza delle Padania dal resto d’Italia, a seguito di questa provocatoria
proclamazione molti esponenti leghisti lasciarono il partito. Nel 2001 la Lega attenuò la
sua posizione e tornò a schierarsi con il Centro-Destra che vinse le elezioni e andò al
Governo, i consensi del partito del nord scesero al 3,9%. La terza via federalistica
intrapresa dalla Lega fu quella della devolution, per garantire una maggiore autonomia
regionale esclusiva nei campi di sanità, scuola e sicurezza pubblica. La Devolution fu
applicata da Blair in Gran Bretagna, essa diede a Scozia e Galles maggiori forme di
autonomia e un parlamento loro proprio.
19
Queste spinte verso il federalismo introdussero un lento ma significativo passaggio
verso il decentramento dei poteri e delle funzioni alle autonomie locali. Primo esempio
di questa strada di decentramento si ebbe con la legge 25 Marzo 1993 n. 81 riguardante
l’elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Provincia, dei Consigli Comunali e
dei Consigli Provinciali che definisce il numero dei componenti dei vari consigli, le
firme da raccogliere per presentare le candidature, la durata in carica e i compiti dei
sindaci che tra l’altro hanno poteri di nomine nelle varie associazioni e negli incarichi
dirigenziali del proprio ente.
Questa legge è tesa a rafforzare l’autonomia degli enti comunali e in particolare coloro
che li guidano.
A questo punto nacque l’esigenza di controbilanciare quello che sarebbe potuto
diventare uno strapotere dei sindaci da un parte e un potere forte dello stato centrale
dall’altra. La risposta a ciò si ebbe con l’approvazione la legge costituzionale 22
Novembre 1999 n. 1 che sancì l’autonomia statutaria delle regioni e l’elezione diretta
dei Presidenti delle regioni.
La via verso il decentramento proseguì con l’approvazione, durante il primo Governo di
Romano Prodi, della legge delega 15 Marzo 1997, n. 59 cosiddetta legge «Bassanini»
dal nome del suo promotore Franco Bassanini9, che ricopri dal 1996 al 2001 la carica di
Ministro per la Funzione Pubblica e Affari Regionali.
Con il decreto legge di Marzo attuativo della suddetta legge, si aprì una strada
amministrativa al federalismo attraverso il trasferimento di competenze dallo stato
centrale agli enti territoriali: «Sono conferite alle regioni e agli enti locali […]tutte le
funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione
dello sviluppo delle rispettive comunità, nonchè tutte le funzioni e i compiti
amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da qualunque organo
o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti
pubblici»10. Sono esclusi da quanto previsto dalla sopra citata legge le funzioni
riconducibili alle materie elencate nell’articolo 1 comma 3 che rimangono nelle
competenze dello Stato.
Questa legge pur avendo aperto la strada ad una forma di decentramento totalmente
innovativa, spesso non è però stata realizzata a causa del rinvio dei decreti attuativi e a
9
Cfr: http://www.bassanini.eu/index.asp
20
causa della scarsa capacità delle istituzioni regionali di farsi largo e di saper
effettivamente utilizzare questi poteri ad esse assegnati.
Alla legge del 1997 seguirono altre due leggi cosiddette Bassanini: la legge 15 Maggio
1997, n. 27 avente ad oggetto: «Misure urgenti per lo snellimento dell'attività
amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo»11 e la legge 16 Giugno
1998, n. 141 contenente modifiche ed integrazioni delle due leggi precedenti.
Con la Legge Costituzionale 24 Gennaio 1997 fu istituita la terza commissione
bicamerale per le riforme istituzionali presieduta dall’Onorevole Massimo D’Alema, la
commissione decise di articolarsi in 4 comitati: comitato forma di stato, comitato
parlamento e fonti normative, comitato forma di governo e comitato sistema delle
garanzie. Il 30 Giugno 1997 questa commissione ha elaborato un progetto di legge
costituzionale compreso anche quello relativo all’ordinamento federale ma questa legge
costituzionale non ebbe seguito e non divenne legge cosicché non fu intrapresa la strada
per la revisione costituzionale prevista dall’articolo 138 della Costituzione.
Nel 1999 lo stesso Massimo D’Alema diventato Presidente del Consiglio dopo la caduta
del primo Governo presieduto da Romano Prodi, presentò al Parlamento un progetto di
riforma costituzionale sull’ordinamento federale della Repubblica che riprendeva molto
i lavori della Commissione Bicamerale dell’anno 1997. Questa legge Costituzionale
(legge n.3 del 2001)di cui parleremo più avanti, è stata approvata dal Parlamento nel
Gennaio del 2001 ed è divenuta legge grazie all’esito positivo del referendum previsto
dal meccanismo di revisione costituzionale che si è svolto il 7 di Ottobre dello stesso
anno.
L’ultimo tentativo legislativo di riformare la Costituzione per via parlamentare è
avvenuto nel 2005 con l’approvazione in seconda votazione (20 Ottobre alla Camera e
16 Novembre al Senato) ma senza la maggioranza dei due terzi dei membri di ciascuna
camera, di una legge costituzionale recante: «Modifiche alla parte della seconda della
Costituzione» pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 Ottobre 2005.
Questa proposta di legge prevedeva alcune riforme della Costituzione sia per quanto
riguarda la forma di Governo e l’ordinamento delle due camere sia per quanto riguarda
l’ordinamento federale (devolution) della Repubblica.
10
11
Cit. da: legge n. 59 del 15 Marzo 1997 cit. in: http://www.parlamento.it/leggi/97059l.htm
Cit. da: legge n. 127 del 15 Maggio 1997 cit. in: http://www.parlamento.it/leggi/97127l.htm
21
Per quanto riguarda il secondo tema, la proposta prevedeva l’istituzione di un Senato
federale composto da 252 membri eletti a suffragio universale da tutte le regioni, per
garantire a tutti la dovuta rappresentanza territoriale. Ogni Regione ha diritto ad almeno
6 rappresentanti eccezion fatta per il Molise che ha diritto a due rappresentanti e la
Valle D’Aosta che ha diritto ad un solo rappresentante. La ripartizione dei seggi tra le
regioni avviene in base alla popolazione presente sul territorio regionale in base ai dati
dall’ultimo censimento. Alle sedute del Senato federale inoltre possono partecipare
rappresentanti designati dalle stesse assemblee regionali e consigli delle autonomie
locali. Il Senato federale è chiamato ed esprimere il proprio parere e le eventuali
modifiche che saranno poi approvate dalla Camera che è l’organo atto ad esaminare i
disegni di leggi su quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 117 della
Costituzione (materie di competenza esclusiva dello Stato). Per quanto riguarda le
previsioni del terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione è chiamato ad esaminare
i disegni di legge il Senato federale ed è la Camera ad esprimere il proprio parere e a
proporre eventuali modifiche.
Passando ad esaminare le modifiche al titolo V possiamo notare come prima variazione
proposta quella della denominazione che passa da «Le Regioni, le Province, i Comuni»
a «Comuni, Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato».
Proseguendo ad esaminare le modifiche in oggetto vediamo come la proposta per
quanto riguarda l’articolo 116 preveda anche l’approvazione degli statuti speciali da
parte delle regioni stesse o delle province autonome interessate e trascorso il termine di
tre mesi senza che ci sia stata espressione di diniego, le due camere possono adottare
una legge costituzionale. L’ultimo comma, quello a riguardo di ulteriori forme di
autonomia che possono essere attribuite ad altre regioni.
Per quanto riguarda l’articolo 117 vengono fatte numerose modifiche nelle competenze
che tornano nelle disposizioni esclusive dello Stato: norme generali sulla tutela della
salute, la sicurezza sul lavoro, le grandi reti strategiche di trasporto e navigazione,
l’ordinamento della comunicazione, l’ordinamento delle professioni intellettuali,
l’ordinamento sportivo nazionale, la produzione strategica, il trasporto e la distribuzione
nazionali dell’energia.
La proposta in aggiunta al suddetto articolo è il comma quarto che assegna alla
competenza esclusiva delle regioni: l’assistenza e l’organizzazione sanitaria,
22
l’organizzazione scolastica e definizione della parte dei programmi scolastici e
formativi di interesse specifico della regione, la polizia amministrativa regionale e
locale e ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione statale.
In questa modifica possiamo notare come si sviluppi il progetto della Devoluzione,
previsto dal programma di Governo della Legislatura in corso che ha proposto questa
riforma della Costituzione. Vengono infatti chiaramente definiti tre ambiti come
organizzazione della sanità, della scuola con specificità regionale e la polizia
amministrativa nei quali la Regione ha competenza totalmente esclusiva.
Il novellato articolo 118 istituisce la Conferenza Stato-Regioni e qualsivoglia altra
conferenza tra Stato ed enti locali. Gli enti locali debbono inoltre favorire le iniziative
dei cittadini utili all’interesse generale attraverso il principio di sussidiarietà e attraverso
misure fiscali. Nello svolgimento delle funzioni piccoli comuni possono unirsi ed
istituire forme associative riconosciute per lo svolgimento dei propri compiti.
Nell’articolo 122 viene aggiunta la non immediata rieleggibilità del Presidente della
Regione dopo il secondo mandato.
Nell’articolo 123 viene ristabilita l’apposizione del visto da parte del Commissario del
Governo.
Il decreto di scioglimento della Giunta Regionale e del suo presidente firmato dal
Presidente della Repubblica, previsto dall’articolo 126, deve essere adottato solo dopo
un parere consultivo del Senato federale.
Secondo l’articolo 127 una legge regionale che il Governo valuti sia eccedente le
competenze regionali, non deve essere più sollevata davanti alla Corte Costituzionale
ma bensì deve essere inviata alle Camere riunite in seduta Comune che, a maggioranza
assoluta, devono deliberarne l’annullamento che verrà poi confermato dal decreto di
annullamento firmato dal Presidente della Repubblica.
Vengono poi inseriti altri due articoli: il 127 bis che ha in oggetto la possibilità per
Comuni, Province e Città metropolitane di promuovere dinnanzi alla Corte
Costituzionale una questione di legittimità costituzionale avverso leggi dello stato o
leggi regionali che ledano la loro sfera di competenza.
Il 127 ter prevede il coordinamento tra Senato federale e Comuni, Province e Città
Metropolitane, i consigli regionali o delle province autonome possono chiedere ogni
qualvolta lo ritengano i senatori eletti all’interno del loro territorio.
23
Infine l’ultima modifica proposta è quella per l’istituzione delle Città Metropolitane che
deve essere disposta dai comuni interessati, sentite le province e le regioni interessate.
Queste proposte di modifica sono state approvate dal Parlamento ma senza la
maggioranza assoluta dei due terzi e quindi, come previsto dall’articolo 138 della
Costituzione, è stato indetto il referendum.
Il 22 febbraio del 1996 infatti la Cassazione ha dato il via libera alla richiesta del
referendum anti-devolution presentata da quindici Consigli regionali, Sardegna in testa.
Il 14 febbraio invece, sono state depositate, sempre in Cassazione, le firme di 112
senatori e 249 deputati, sempre per chiedere la consultazione referendaria sulle
modifiche apportate alla Costituzione. Il 17 Febbraio sono state invece presentate più di
un milione di firme di cittadini per richiedere la consultazione referendaria, e la
Cassazione ha deliberato sulla correttezza formale delle firme depositate.
E´ sta questa la prima volta che tutti e tre i soggetti "abilitati" a chiedere un referendum,
ovvero cittadini, parlamentari e regioni, si sono mobilitati per impugnare una legge
costituzionale.
Il Consiglio dei Ministri ha fissato la data per il referendum nei giorni 25/26 Giugno
2006.
In attesa del voto si sono creati due opposti schieramenti, uno favorevole
all’approvazione della legge costituzionale ed uno contrario.
Lo schieramento del sì al referendum era composto principalmente da tutti i partiti di
Centro-Destra al Governo durante la XV Legislatura, nella quale la proposta è stata
approvata. Le motivazioni dei sostenitori del SI al referendum, consistono nel fatto che
questa riforma del titolo V avrebbe portato una maggiore responsabilizzazione delle
autonomie regionali, allocando contemporaneamente poteri decisori e poteri di spesa
alle Regioni, riducendo le spese sanitarie che altrimenti avrebbero toccato punte elevate,
comportando un aumento dell'addizionale Irpef in diverse Regioni.
Il Comitato per il No, denominato «Salviamo la Costituzione»12 fondato nei primi mesi
del 2006 era composto da esponenti della minoranza di Centro-Sinistra, da
costituzionalisti come Leopoldo Elia, Presidente Emerito della Corte Costituzionale
nominato Presidente del comitato scientifico e personalità di profilo istituzionale come
12
Cfr.:www.salviamolacostituzione.it
24
l’ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro nominato Presidente del comitato
promotore.
Secondo il comitato per il no a riguardo delle materie di competenza esclusiva dello
stato (elencate nell’articolo 117 comma 2), queste erano state concesse alle regioni e ora
tornano nelle disposizioni dello Stato, togliendo una parte di competenza importante
alle Regioni.
Altra critica fatta dai sostenitori del no riguarda le materie elencate nel 4 comma
dell’articolo 117, non era infatti necessario elencarle in quanto queste rientrano già nella
sfera di competenza regionale, dato che la Costituzione prevede che: «Spetta alle
Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata
alla legislazione dello Stato».
La terza critica riguarda il ritorno della possibilità per il Governo centrale di annullare
qualsiasi atto degli enti locali o qualsiasi legislazione regionale.
I sostenitori del no hanno definito questa riforma un federalismo di «facciata» in quanto
tra l’altro: il federalismo fiscale è stato rinviato, il senato federale ha potere solo nella
materie a legislazione concorrente e non può togliere né dare la fiducia al Governo, le
leggi del Senato federale possono essere modificate dal Governo per conseguire il
proprio programma e infine le commissioni d’inchiesta istituite al Senato non hanno
poteri giudiziari.
Il referendum svoltosi il 25 e 26 Giugno 2006 ha dato esito negativo in quanto i sì alla
proposta di riforma costituzionale sono stati il 38,7% e i no il 61,3%. L’affluenza alle
urne si è attestata al 52,3%.
Questo tentativo fallito è stato l’ultimo progetto di riforma dello Stato in senso federale
intrapreso dal Parlamento Italiano.
25
1.4 PROPOSTE DI RIFORMA DEL TITOLO V DELLA
COSTITUZIONE IN SENSO FEDERALE CHE HANNO
PORTATO ALLE LEGGE COSTITUZIONALE N. 3 DEL
18 OTTOBRE 2001
Con la legge costituzionale n. 3 del 18 Ottobre 2001 viene riformata la parte della
costituzione riguardante il sistema delle autonomie locali e dei rapporti con lo stato; la
riforma comporta la revisione degli articoli 114-133 della Carta Costituzionale.
Attraverso la conferma di alcuni articoli, l’abrogazione di altri e la modifica di altri
ancora, viene cambiato in profondità l’ordinamento istituzionale della Repubblica.
Il dibattito sulla riforma del titolo V della Costituzione cominciò nel Marzo/Aprile del
1999 quando la Commissione Affari Costituzionali iniziò a prendere in esame diversi
disegni di legge di riforma del titolo V della Costituzione.
Il progetto di legge costituzionale del Governo fu presentato il 18 Marzo 1999 dal
Presidente del Consiglio Massimo D’Alema e dal Ministro dell’Interno Giuliano
Amato.
Questo progetto di legge si rifaceva molto ai lavori della commissione bicamerale
interrotti nell’anno 1998. Il presente progetto assegnava alla competenza dello stato
quelle materie di interesse unitario e nazionale e alle regioni la potestà legislativa
generale, le competenze amministrative venivano invece assegnate ai comuni. Un
secondo aspetto interessante riguardava l’autonomia statutaria delle regioni e
l’istituzione del Consiglio delle autonomie locali. Inoltre vi era la previsione della
costituzione di Consigli regionali di giustizia. Il presente disegno di legge governativo
demandava invece ad una decisione per quanto riguarda l’auspicata creazione di una
seconda camera rappresentativa delle autonomie territoriali.
Possiamo mettere in evidenza: la ripartizione della potestà legislativa e amministrativa,
lo schema di finanziamento e i rapporti finanziari tra gli enti, la possibilità di forme di
autonomia differenziata per le ragioni a statuto ordinario, l’abrogazione dei controlli
preventivi sugli atti delle regioni.
L’orientamento federalista si esplica nella versione dell’articolo 117 della Costituzione
dove vengono elencate le materie di esclusiva competenza dello Stato (nel vecchio testo
26
venivano elencate le competenze esclusive delle regioni). Il secondo comma elenca le
materie di competenza concorrente dove però la potestà legislativa è prerogativa
regionale, mentre allo Stato spetta la determinazione dei principi generali. Il comma
successivo prevede la potestà legislativa esclusiva per le regioni riguardo a tutte le
materie non elencate.
Le modifiche proposte quindi si preoccupavano di: parificare dal punto di vista
costituzionale tutti gli enti politici territoriali nei quali si esplica la vita sociale,
economica e culturale della comunità, effettuare l’inversione del riparto di competenze
tra lo stato e le regioni, vietare alle regioni di istituire dazi che ostacolino la libera
circolazione, fissare l’autonomia di entrata e di spesa anche a Comuni, Province e Città
Metropolitane con la previsione di un fondo perequativo per i territori meno abbienti,
togliere qualsiasi ingerenza dello stato centrale nel processi di formazione degli statuti
regionali (approvazione consiglio regionale e referendum), dare la possibilità sia allo
stato che alle regioni di sollevare questioni di legittimità riguardanti la violazione di
competenze e togliere l’apposizione del controllo di legittimità del governo sugli atti
delle regioni.
Ora elenchiamo con le distinzioni del caso i vari progetti presentati e firmati dai vari
partiti politici di maggioranza.
I Democratici di Sinistra hanno presentato il 1° Dicembre 1998 una proposta di legge
costituzionale che ricalcava con minime distinzioni la proposta messa in atto dal
Governo D’Alema.
Il Ppi nella sua proposta formulata il 16 Febbraio 1999 aveva sintetizzato in 5 articoli la
propria proposta di riforma: riparto delle competenze tra esclusive statali e regionali
(tutte quelle non elencate nelle competenze statali), costituzionalizzazione del principio
di sussidiarietà nel conferimento di compiti amministrativi a comuni e province,
previsione delle modalità di formazione degli statuti regionali e delle leggi elettorali
regionali con possibilità di richiesta di referendum popolare richiesto da un quinto dei
consiglieri regionali o da un ventesimo degli elettori di quella regione e possibilità per il
Governo della Repubblica, quando ritenga che una legge approvata dal Consiglio
regionale ecceda la competenza della Regione entro trenta giorni dalla promulgazione,
promuovere la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale. È utile ricordare
che secondo il principio di sussidiarietà le funzioni devono essere attribuite al livello di
27
governo più vicino ai cittadini. Questo principio ha fatto sì che il livello regionale
diventasse il più rilevante dal punto di vista legislativo; al livello comunale spettano
invece le funzioni amministrative.
Il 7 Aprile 1999 il gruppo dei Verdi ha presentato la propria proposta che oltre a
modificare la rubrica del titolo V, riconosceva anch’essa pari dignità costituzionale a
tutti gli enti politici territoriali, riconfermava la particolare autonomia delle regioni a
statuto speciale, definiva le materie di competenza esclusiva dello Stato e di competenza
concorrente, vietava i dazi che ostacolerebbero la libera circolazione all’interno del
territorio nazionale, istituiva l’autonomia finanziaria e il fondo perequativa e sottraeva
all’istituzione degli statuti regionali ogni ingerenza statale.
I Socialisti Democratici Italiani hanno presentato la loro proposta di revisione
costituzionale il 12 Aprile 1999. La proposta innovativa fatta da questo partito di
Centro-Sinistra risiedeva nella necessità che la cooperazione tra regioni non doveva
avvenire per vie partitiche ma per vie istituzionali: da qui la proposta di costituzione di
un Senato federale molto rappresentativo delle autonomie locali. In concreto la proposta
parlava di: elezione diretta del Senato federale congiunta con l’elezione del Consiglio
Regionale, collegamento tra schieramenti nelle due competizioni elettorali, Presidenti
regionali come membri di diritto, decadenza della rappresentanza regionale allo
scioglimento dei Consigli Regionali ed elezione da parte del Senato di quattro membri
della Corte Costituzionale purché questi siano proposti dalle regioni.
Il 9 Settembre 1999 è stato presentato da parte di Rifondazione Comunista un progetto
di riforma costituzionale, le innovazioni più interessanti proposte sono nel campo
dell’autonomia finanziaria: lo Stato dovrebbe destinare una quota erariale alle regioni
secondo criteri stabiliti da leggi statali, ai Comuni, alle città metropolitane e alle
Province dovrebbero essere attribuite quote di tributi spettanti alle regioni in ragione
della capacità contributiva degli abitanti. Lo Stato potrebbe inoltre destinare risorse ad
alcuni enti locali per garantirne lo sviluppo economico e il risollevamento di aree
depresse.
Questo
progetto
definiva
inoltre
le
norme
fondamentali
relative
all’organizzazione dello Statuto regionale. Novità assoluta rispetto alle altre proposte
della maggioranza era quella dell’istituzione della figura del commissario di Governo
nominato dal Consiglio dei Ministri allo scopo di indirizzare e vigilare sull’attività degli
organi periferici dello Stato, di dare pareri e di proporre accordi di programma per la
28
definizione e l’attuazione di interventi nella regione che necessitano il concorso di più
pubbliche amministrazioni. Infine venivano previste tutta una serie di fattispecie aventi
come conseguenza lo scioglimento del Consiglio Regionale con decreto del Presidente
della Repubblica sentito il parere della Conferenza Stato-Regioni.
Passiamo ora ad analizzare le proposte ed i distinguo posti in essere nei progetti di
riforma costituzionale presentati dalla minoranza di Centro-Destra.
La prima proposta è stata quella presentata da Alleanza Nazionale il 16 giugno 1998
ridefiniva l'articolazione della Repubblica, siglava il ruolo della sussidiarietà sociale e
ripartiva compiti e funzioni degli enti, elencava le regioni e permette un'autonomia
differenziata rispetto a quella, riconfermata, di carattere speciale, elencava le
competenze statali e regionali, stabiliva la regolamentazione di eventuali conflitti di
competenza, individuava le caratteristiche degli statuti regionali assegnando loro la
disciplina della forma di governo così come del sistema elettorale e disciplinava le
intese e gli accordi tra Regione e Regione e tra Regione e Stato.
La seconda proposta proveniente dallo schieramento di Centro-Destra che analizziamo è
quella dei Cristiano Democratici Uniti presentata il 24 Giugno 1998. Le proposte erano
solo 2: inserimento del principio di sussidiarietà nell’articolo 5 della Costituzione e
statuizione dei caratteri di sussidiarietà e differenziazione e dei criteri di omogeneità e
ragionevolezza nella titolarità della competenza delle funzioni di comuni, province,
regioni e Stato.
Analizziamo ora la proposta che è stata presentata il 10 Febbraio 1999 dalla Lega Nord.
Anche in questa proposta come in quella del PPI viene più volte citato il principio di
sussidiarietà.
La
Lega
Nord
proponeva
di
costituzionalizzare
un
diritto
all’autodeterminazione dei popoli attraverso referendum popolare, l’inversione del
riparto di competenze indicando i compiti esclusivi dello Stato, l’idea che sia la legge
regionale a regolamentare gli accordi della regione (nel limite delle proprie competenze)
con altre regioni, Stati o enti territoriali interni ad altri stati. Dal punto di vista
finanziario la proposta era molto chiara e schietta prevedendo l’intera riscossione del
gettito tributario prodotto nell’ambito geografico della propria regione o del proprio
ente territoriale, veniva previsto un trasferimento alle casse dello Stato non inferiore al
15% per la copertura delle proprie spese e per il fondo di perequazione. La regione
sarebbe dovuta essere responsabile del potere legislativo in campo tributario, senza
29
poter creare debito pubblico e potendo ricorrere all’indebitamento per le sole spese di
investimento.
La proposta riguardava anche l’autonomia delle Regioni secondo i propri statuti
sottoposti a referendum popolare per diventare legge e per ogni loro modifica.
Dal punto di vista delle nomine questa proposta parlava della nomina di un giudice della
Corte Costituzionale.
Da questa proposta fortemente caratterizzata da decentralizzazione e sussidiarietà
passiamo alla proposta messa in atto dal gruppo di Forza Italia il 19 Aprile 1999. Il
progetto partiva dalla modifica del primo articolo della Costituzione da modificare in :
«L’Italia è una Repubblica democratica e federale, fondata sul lavoro». Sussidiarietà,
differenziazione, adeguatezza ed omogeneità sono le caratteristiche che dovrebbero
comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato nello svolgere la titolarità delle
funzioni loro proprie. Anche in questa proposta viene l’inversione del riparto di
competenze tra Stato e regione. Novità assoluta rispetto alle altre proposte è
l’elencazione di cosa deve essere disciplinato dagli statuti regionali: la forma di governo
della regione, i casi di scioglimento anticipato dell’Assemblea regionale, la formazione
delle leggi, l’iniziativa popolare di leggi e la richiesta di referendum, i principi generali
dell’autonomia finanziaria e tributaria, i principi generali della contabilità e del bilancio
regionale; interessante anche la proposta di equilibrio nella rappresentanza elettiva tra i
sessi.
La maggiore differenza tra questa proposta e quella fatta dal Centro Cristiano
Democratico in data 19 Maggio 1999 era per quanto riguardava l’autonomia finanziaria
degli enti locali. Venivano infatti definiti i principi riguardanti l'entità e la ripartizione
tra lo Stato e le regioni dei tributi erariali: responsabilità finanziaria in rapporto alle
funzioni, corrispondenza fra funzioni e risorse, uniformità e unicità di imposizione,
sostenibilità economica e sociale. I comuni, le province e le regioni stabiliscono e
applicano tributi propri, nel progetto venivano elencate le risorse escluse dal computo
dei tributi erariali: quelle destinate al servizio del debito pubblico, quelle per far fronte a
calamità naturali o a esigenze del paese a quelle per istituire il fondo perequativo a cui si
rimanda alla legge che ne definisce i parametri.
30
Altre proposte di legge costituzionale sono arrivate dalle minoranze linguistiche il 22
Aprile 1999.
La proposta di presentata come primo firmatario Zeller della Südtiroler Volkspartei era
una proposta organica di riforma comprendente tutti gli elementi già toccati in parte
dalle altre proposte.
Essa elencava i principi basilari del federalismo ed il suo contenuto minino con l’elenco
delle competenze assegnate alla federazione e le residue alle regioni, richiamava la
posizione di piena soggettività costituzionale della regione parificata a quella della
federazione. Dal punto di vista dell’assemblea legislativa la proposta era quella di due
camere: la Camera dei Deputati con un numero di deputati che passa da 639 a 475 e il
Senato delle Regioni dove i rappresentanti regionali vengono eletti dai Consigli
Regionali stessi, nessuna Regione può avere meno di tre rappresentanti. Dal punto di
vista della legiferazione: per quanto riguarda le leggi federali competenza principale alla
Camera dei Deputati, nelle tematiche che toccano interessi regionali entra in gioco il
Senato Federale Venivano elencate alcune materie con potestà in collaborazione tra
Federazione e Regioni. La sfiducia al Governo Federale può arrivare solo dalla Camera
che tra l’altro designa il Primo Ministro. Nella proposta non manca il riferimento al
federalismo fiscale che garantisca alle Regioni una certa autonomia finanziaria e le
metta in grado di assolvere ai nuovi compiti loro assegnati.
Infine due elementi caratteristici e fortemente innovativi della proposta sono:
l’eliminazione delle province e l’autonomia statuaria dei comuni a quali è conferito
rango costituzionale e la statuizione dell’intangibilità della futura forma federale dello
Stato.
La seconda minoranza che ha presentato un progetto di riforma è l’Union Valdotaine
tramite il primo firmatario Luciano Caveri. Le linee direttrici di questa proposta
costituzionale erano: autodeterminazione dei popoli che si costituiscono in Repubbliche
sovrane le quali si uniscono per costituire la Federazione Italiana, competenze della
Federazione fissate dalla Costituzione federale e quelle non a loro demandate sono di
competenza delle repubbliche. La Federazione si compone di Presidente federale,
Parlamento federale, Governo federale e Tribunale supremo federale, la Camera dei
deputati viene eletta a suffragio universale, il Senato delle Repubbliche è eletto dai
Parlamenti delle Repubbliche.
31
Le ultime due proposte presentate nel dibattito sulla riforma del titolo V della
Costituzione venivano dalla Regione Veneto e dalla regione Toscana.
La prima presentata il 26 Giugno 1998 era atta a modificare un solo articolo della
Costituzione, il 116 in questo modo: «alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto
Adige, al Friuli-Venezia Giulia, alla Valle d'Aosta ed al Veneto, e a tutte le regioni che
lo richiedono, sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo
statuti speciali adottati con leggi costituzionali».
La seconda presentata il 22 Aprile 1999 dalla Regione Toscana si articolava in queste
proposte: definizione dei soggetti che costituiscono la Repubblica nel quale a ciascun
livello territoriale sono assegnati poteri e funzioni costituzionalmente garantiti,
possibilità per altre regioni oltre a quelle a statuto speciale di godere di forme particolari
di autonomia, la chiara ripartizione di competenze, chiarificazione del principio di
sussidiarietà, modalità dell’autonomia finanziaria, contenuti dello statuto regionale e ed
allargamento dell’immunità di Consiglieri regionali, membri della Giunta e Presidente.
Possiamo riscontrare molte convergenze nelle proposte analizzate a partire dalla
condivisione dell’idea che si debba creare un’autonomia finanziaria di entrata e spesa di
Regioni ed enti locali affinché questi possano far fronte alla spese dovute allo
svolgimento delle loro funzioni, anche utilizzando la compartecipazione al gettito
erariale. Collegata a ciò l’idea dell’istituzione di un fondo perequativo per le zone
depresse del paese.
Altro punto in comune alle varie proposte è il mantenimento dello statuto speciale che
secondo alcuni dovrebbe poter essere richiesto anche da altre regioni che al momento
hanno carattere ordinario.
Infine il punto di maggiore convergenza è sicuramente l’inversione del riparto di
competenze tra Stato e regioni, con elenchi delle competenze statali di differente entità.
Nell’Ottobre 1999 è terminato in Commissione Affari Costituzionali l’esame delle varie
proposte presentate e il Comitato ristretto ha presentato un Testo Unificato 13.
Questo testo ricalcava chiaramente il progetto di riforma costituzionale presentato dal
Governo e quello presentato dai Democratici di Sinistra.
13
Cfr. seduta del 13 Ottobre 1999 della I Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati,
Allegato 2
32
L’esame del Testo Unificato iniziò in Aula nel Novembre successivo. La maggioranza
fu completamente favorevole, Rifondazione Comunista fu contraria per paura di un
indebolimento del potere dello stato sociale. Il Centro Destra fu contrario con qualche
distinguo nella Lega Nord in parte favorevole.
Il dibattito in aula rimase fermo per circa un anno e riprese nel Settembre del 2000, nel
frattempo Forza Italia, Lega Nord, Alleanza Nazionale, Centro Cristiano Democratico
Cristiani Democratici uniti si unirono in una nuova alleanza denominata Casa delle
Libertà con un ottimo successo elettorale alle regionali del 2000.
La Lega Nord attenuò notevolmente la propria posizione favorevole alla proposta della
maggioranza e iniziò a farsi portatrice dell’idea della devoluzione14.
Il 26 Settembre il testo ottenne il primo via libera da parte della Camera con voto
favorevole della maggioranza di Centro Sinistra, il voto contrario di Rifondazione
Comunista per il motivo suddetto e l’abbandono dell’aula al momento del voto da parte
dei parlamentari di Centro-Destra.
In Ottobre e in Novembre si aprì invece la discussione nella Commissione Affari
Costituzionali del Senato.
Il 14 Novembre 2000 il testo ottenne l’approvazione al Senato con le stesse posizioni
della Camera, in più Alleanza Nazionale accusò la maggioranza per un possibile rischio
di sbilanciamento a favore degli enti territoriali e la Lega Nord si oppose all’idea di
voler accelerare i tempi vista l’imminente scadenza del mandato del Governo.
Le seconde approvazioni, previste dall’iter di revisione costituzionale (art. 138
Costituzione) non portarono grosse novità e con le delibere del Febbraio 2001 (Camera)
e dell’8 Marzo (Senato) il disegno di legge costituzionale fu approvato.
Una volta approvata la riforma il Centro-Destra raccolse le firme per proporre il
referendum abrogativo previsto dalla procedura dell’articolo 138 della Costituzione, per
evitare di far usare al Centro-Sinistra l’approvazione come elemento vincente della
campagna elettorale e per il convincimento di voler poi portare avanti la riforma
federale dello stato attraverso il meccanismo della devoluzione.
14
Cfr.p.
33
Le elezioni politiche del 2001 hanno registrato la vittoria della Casa delle Libertà che
una volta arrivata al Governo avrebbe dovuto subito scontrarsi con la nuova sfida del
referendum.
La campagna elettorale referendaria non ebbe toni molto accesi e le posizioni furono
chiare fin dall’inizio: La Casa delle Libertà invitò gli elettori a non andare a votare
dichiarando inutile la consultazione, i due partiti centristi Centro Cristiano Democratico
e Unione dei Democratici Cristiani lasciarono libertà di coscienza.
Gli amministratoti locali in generale assunsero una posizione favorevole rispetto a tal
proposta.
Il Centro-Sinistra dal canto suo fece campagna a favore del sì al referendum.
Il 7 di Ottobre del 2001 il referendum ebbe luogo e la Legge Costituzionale n. 3 del
2001 fu approvata con il 64,2% dei voti favorevoli, lasciando al nuovo Governo il
compito della sua attuazione.
Analizziamo ora quali sono i principali provvedimenti presenti nel testo definitivo
approvato dal referendum.
In primo luogo possiamo osservare come il riparto delle competenze sia stato invertito:
vengono elencate le competenze esclusive dello Stato, competenze concorrenti di Stato
e regioni dove lo il primo deve fissare i principi fondamentali. Viene poi detto che le
materie non espressamente previste sono di competenza regionale. Interessante notare
come la legislazione statale e quella regionale siano state messe sullo stesso, infatti
secondo le legge: «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel
rispetto della Costituzione». Le leggi regionali non possono essere più sottoposte al
controllo del Governo e se quest' ultimo le ritiene contrarie alla Costituzione deve
utilizzare lo strumento dell’impugnazione in Corte di Cassazione.
In secondo luogo possiamo notare come la potestà amministrativa venga assegnata ai
Comuni secondo il principio di sussidiarietà che prevede se necessario l’intervento di
enti superiori (città metropolitane, province e regioni) in ruolo d’integrazione.
In terzo luogo analizziamo l’autonomia finanziaria di regioni ed enti locali, essi hanno
risorse autonome e fissano tributi ed entrate proprie, inoltre viene disposta un
compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio.
Infine possiamo notare come in questo provvedimento non sia prevista una camera di
rappresentanza delle entità regionali e locali. Questa mancanza dovrebbe essere
34
parzialmente sopperita dalla presenza di rappresentanti degli enti territoriali nella
Commissione parlamentare per le questioni regionali per la discussione delle leggidelega previste dal nuovo articolo 117 della Costituzione. Nei regolamenti di Camera e
Senato però non è stato previsto nulla a riguardo della costituzione di tale commissione.
Le caratteristiche presenti nel federalismo approvato con questa riforma del Titolo V
corrispondono agli attributi distintivi del federalismo elencati da Arend Lijpart15_
Queste caratteristiche corrispondono agli attributi distintivi del federalismo elencati da
Arend Lijpart16:
1) Una costituzione scritta che specifichi la divisione dei poteri e che garantisca sia al
governo centrale sia ai governi regionali che i poteri loro attribuiti non possano essere
loro sottratti;
2) Poteri dei governi regionali assai maggiori di quelli dei governi regionali negli stati
unitari;
3) Un’assemblea legislativa nel quale una camera rappresenta il popolo nel suo insieme
e l’altra le unità che compongono la federazione, secondo un criterio di rappresentanza
più che proporzionale delle unità più piccole.
Questo terzo un punto è oggetto dei dibattiti attuali a riguardo delle creazione di un
Senato federale o camera della regioni che sia realmente rappresentativo dei governi
regionali e che ne garantisca gli interessi e le peculiarità.
Nel novellato articolo 117 viene poi riconosciuto un livello “superiore” che è quello
proprio dell’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali.
15
A. Lijpart, Consociation and federation: Conceptual and Empirical links, «Canadian journal of
political science», Settembre 1979, pp. 499-515
16
A. Lijpart, Consociation and federation: Conceptual and Empirical links, «Canadian journal of
political science», Settembre 1979, pp. 499-515
35
1.5
PROBLEMATICHE DI ATTUAZIONE
A) LEGGE N. 131 DEL 5 GIUGNO 2003
Dopo l’approvazione della riforma del titolo V, si è aperto un periodo di inerzia e
incertezza in cui spesso si sono realizzati orientamenti legislativi anche in
contraddizione con gli orientamenti previsti dalla riforma del 2001 con visioni che
riportano al centralismo e con le istituzioni locali che vengono considerate come entità
sotto tutela.
L’unica legge approvata in tema di attuazione della riforma del titolo V è stata la legge
n. 131 del 5 Giugno 2003 avente ad oggetto «Disposizioni per l'adeguamento
dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3».
Analizzando quanto previsto da questa disposizione si afferma che fino all’entrata in
vigore della presente legge per quanto riguarda le competenze regionali, le normative
statali vigenti continuano ad applicarsi.
Entro un anno dall’entrata in vigore di questa legge il Governo deve però emanare dei
decreti legislativi ricognitivi dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi
vigenti nelle materie di competenza concorrente si Stato e regioni. Questi decreti legge
devono essere emanati in attesa che il Parlamento emani delle nuove leggi con i principi
fondamentali.
Secondariamente secondo quanto previsto da questa legge il Governo è delegato ad
attuare la lettera p) del secondo comma dell’articolo 117, cioè a definire la legislazione
elettorale, gli organi di Governo e le funzioni fondamentali di comuni, province e città
metropolitane seguendo tutta una serie di criteri di tutela, autonomia e sussidiarietà.
I comuni, le province e le città cetropolitane hanno potestà normativa statutaria e
regolamentare inoltre la disciplina dell’organizzazione 4 dello svolgimento e della
gestione delle funzioni dei comuni, delle province e delle città metropolitane è riservata
alla potestà regolamentare dell’ente locale come indicato dalla legislazione regionale o
statale, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità, secondo le rispettive
competenze.
Per quanto riguarda la formazione delle normative comunitarie, partecipano al processo
di formazione delle stesse anche le regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano,
36
la delegazione del Governo deve essere infatti rappresentata da almeno un
rappresentante delle Regioni a statuto speciale e delle Province Autonome, il capo
delegazione per quanto riguarda le materie di competenza regionale può anche essere un
Presidente di Giunta Regionale o di Provincia Autonoma in base ad un accordo tra tutte
le sopraccitate parti in causa. Le regioni e le Province Autonome sono altresì autorizzate
a proporre ricorso alla Corte di Giustizia Europea per norme comunitarie ritenute
illegittime. Il Governo è tenuto a proporre tale ricorso qualora esso sia richiesto dalla
Conferenza Stato-Regioni a maggioranza assoluta delle regioni e delle Province
autonome.
L’articolo 6 di questa legge di attuazione parla degli accordi internazionali ratificati che
possono essere conclusi da regioni e Province Autonome nell’ambito delle competenze
regionali.
Gli stessi enti sopraccitati possono concludere anche accordi di sviluppo sociale,
economico e culturale con enti territoriali di altri Stati, oltre che accordi applicativi ed
esecutivi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore.
Per ogni tipo di accordo le regioni e le Province Autonome devono darne immediata
comunicazione alla Presidenza del Consiglio (Dipartimento per gli Affari Regionali) e
al Ministero degli Affari Esteri che a loro ne danno comunicazione ai Ministeri
competenti.
L’articolo 7 prevede che le Regioni e lo Stato conferiscano a province, città
metropolitane, regioni e Stato le funzioni amministrative da loro esercitate, nel limite di
quelle che necessitano: unitarietà d’esercizio, buon andamento, efficienza ed efficacia.
È inoltre compito dei suddetti enti territoriali favorire la libera iniziativa dei cittadini per
attività di interesse generale nel rispetto del principio di sussidiarietà.
Il Governo deve presentare, sulla base di accordi raggiunti in sede di Conferenza
Unificata, di concerto con i Ministri dell’Economia e degli Affari Regionali dei decreti
legislativi collegati alla manovra finanziaria per il recepimento dei suddetti accordi utili
allo svolgimento di tali funzioni amministrative.
La Corte dei conti nell’ottica del coordinamento della finanza pubblica verifica il
rispetto degli equilibri di bilancio da parte di comuni, province, città metropolitane e
Regioni, basandosi sul patto di stabilità interno ed sui vincoli che derivano
dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. Le sezioni regionali di controllo della
37
Corte dei conti verificano, il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o
regionali di programmazione.
L’articolo 8 di attuazione della legge n. 3 del 2001 prevede che qualora gli enti
interessati non svolgano i provvedimenti dovuti o necessari secondo i termini ad essi
assegnati da Presidente del Consiglio, Ministro interessato, anche su iniziativa di
Regioni ed enti locali, il Presidente del Consiglio nomina un Commissario secondo i
principi di sussidiarietà e leale collaborazione.
In materia di ricorsi alla Corte Costituzionale, la presente legge di attuazione prevede
qualora una legge regionale ecceda i limiti della propria competenza che sia possibile
sollevare la questione di legittimità costituzionale entro 60 giorni dalla pubblicazione.
Tale questione è sollevata dal Presidente del Consiglio dei Ministri anche su proposta
della Conferenza Stato-Città e Stato-Regioni.
Per quanto riguarda i ricorsi sulle competenze dello Stato: la questione di legittimità
costituzionale, è promossa dal Presidente della Giunta su proposta del Consiglio delle
autonomie locali e previa deliberazione della Giunta Regionale attraverso ricorso diretto
alla Corte costituzionale e notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri entro il
termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della legge che si intende impugnare.
In tema di rappresentanza dello Stato per i rapporti con le autonomie è competente il
Prefetto presente nell’ufficio territoriale del Governo, che ha sede nella Città capoluogo
di regione, i suoi compiti sono: leale collaborazione tra Stato e regione e raccordo tra le
varie rappresentanze dello Stato presenti sul tutto il territorio nazionale, ruolo
informativo nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, coordinamento tra
Stato e regioni, esecuzione provvedimenti riguardanti poteri sostitutivi, verifica dello
scambio di dati sull’attività statale, regionale ed enti locali, l’indizione delle elezioni
regionali e la ripartizione dei seggi fino all’entrata in vigore degli statuti regionali.
La Corte Costituzionale nell’anno 2004 è stata chiamata ad esprimersi su alcuni ricorsi
di legittimità costituzionale a riguardo della legge n. 131 del 2004 della quale abbiamo
prima esposto i caratteri previsti.
Nella Sentenza n. 236 del 200417, la consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 10 comma 6 della sopraccitata legge, nella parte in cui si disciplina per via
unilaterale e mediante il rinvio ad una fonte statale di secondo grado anziché secondo la
17
Cfr. Sentenza Corte Costituzionale n.236/2004 in: http://www.giurcost.org/decisioni/index.html
38
procedura collaborativi prevista e disciplinata dallo Statyuto speciale della Regione
Trentino-Alto Adige, le funzioni dei commissari di Governo alto-atesini.
Un’altra dichiarazione d’illegittimità viene poi riscontrata nella Sentenza n. 280/200418
che ha dichiarato l’incostituzionalità dei commi 5 e 6 dell’articolo 1 della legge in
oggetto.
Il comma 5 contiene una delega accessoria che attribuisce al legislatore delegato, la
possibilità di inserire disposizioni afferenti le medesime materie previste dal comma 4
ma rientranti negli ambiti materiali di pertinenza esclusiva dello Stato come previsto
dall’Articolo 117 comma 2 della Costituzione.
Nella sentenza emerge poi l’incostituzionalità dei criteri direttivi formulati nel comma
6, perché tramite l’espresso riferimento ai «settori organici della materia», alterano
seconda l’interpretazione della Consulta: « il carattere ricognitivo dell’attività delegata
al Governo in favore di forme di attività di tipo selettivo, dal momento che i predetti
criteri direttivi non solo evocano nella terminologia impiegata l’improprio profilo della
ridefinizione delle materie, ma stabiliscono, sia pure in modo assolutamente generico,
anche una serie di "considerazioni prioritarie" nella prevista identificazione dei principi
fondamentali vigenti, tale da configurare una sorta di gerarchia tra di essi. Il citato
comma 6 elenca infatti una serie di criteri direttivi destinati ad indirizzare, a prescindere
dall’ambiguità delle singole previsioni, il Governo nella formazione dei decreti delegati,
che pur dovrebbero essere "meramente ricognitivi", a prendere prioritariamente in
considerazione predeterminati interessi e funzioni. L’oggetto della delega viene così ad
estendersi, in maniera impropria ed indeterminata, ad un’attività di sostanziale riparto
delle
funzioni
e
ridefinizione
delle
materie,
senza
peraltro
un’effettiva
predeterminazione di criteri»19.
Questo intervento priva il legislatore delegato della guida rappresentata dai criteri
direttivi e selettivi che sono stati giudicati incostituzionalmente selettivi proprio per il
carattere solamente ricognitivo della delega, la risultante sembrerebbe quella di
assegnare una delega in bianco agli organi delegati.
18
19
Cfr. Sentenza Corte Costituzionale n.280/2004 in: http://www.giurcost.org/decisioni/index.html
Cit. in Ibidem
39
B) L’ATTUAZIONE DEGLI STATUTI REGIONALI
Altra fase di attuazione del Titolo V della Costituzione è la verifica dello stato di
attuazione dei nuovi Statuti Regionali. A fine 2007 erano dieci le regioni ed essersi
dotate di un nuovo statuto: la Puglia (legge regionale 12 Maggio 2004, n. 7), la Calabria
(l.r. 19 Ottobre 2004, n. 25), il Lazio (legge statutaria 11 Novembre 2004, n. 1), la
Toscana (attuazione 11 Febbraio 2005), le Marche (legge statutaria 8 Marzo 2005, n. 1),
il Piemonte (legge regionale statutaria 4 Marzo 2005, n. 1), l’Emilia-Romagna (legge
regionale 31 Marzo 2005, n. 13), l’Umbria (legge regionale 16 Aprile 2005, n. 21), la
Liguria (legge statutaria 3 Marzo 2005) e Abruzzo (legge regionale 10 Gennaio 2007, n.
1).
Nei casi delle regioni rimanenti le ragioni per la quali non si è ancora provveduto alla
creazione di un nuovo statuto risiedono nella scadenza dei mandati dei Consigli
Regionali e nella fine delle Commissioni per lo statuto che non vengono ripristinate o
che in alcuni casi non sono nemmeno state istituite.
Le regioni “ritardatarie” non sembrano però voler far fronte a questa mancanza, infatti
nei programmi di governo non vi sono chiari ed espliciti riferimenti alla formazione dei
nuovi statuti regionali ma solo sporadici accenni riguardanti l’importanza di tale
tematica.
Una delle ragioni è il frequente abbinamento della riforma dello Statuto con la riforma
della legge elettorale regionale, questo causa spesso l’opposizione delle minoranze e il
conseguente stallo delle riforme.
Un’altra ragione è l’instabilità della durata delle legislature che è spesso irrisoria (anche
inferiore a due anni), questo è dovuto anche allo scioglimento contemporaneo di Giunta
e Consiglio in caso di sfiducia, norma che i nuovi statuti regionali avrebbero potuto
modificare ma che in realtà non hanno modificato.
In terzo luogo i nuovi statuti devono prevedere che l’approvazione dei regolamenti sia
prerogativa delle Giunte regionali e non più dei Consigli, è quindi probabile che questa
diminuzione di poteri abbia causato ritardi in questo senso.
Per ultimo possiamo evidenziare come senza un nuovo statuto i Presidenti delle regioni
possano governare senza i bilanciamenti previsti dai nuovi statuti: non gradimento di
40
assessori, controlli consiliari sulle nomine, limitazione della questione di fiducia sugli
atti di competenza consiliare.
In conclusione possiamo poi affermare che l’elettorato, visti i risultati delle ultime
consultazioni regionali non ha né premiato né condannato le Giunte che si sono spese
per l’attuazione dei suddetti statuti regionali.
Le poche regioni che hanno realizzato un nuovo statuto hanno dovuto poi far fronte al
problema dell’entrata in vigore delle leggi presenti nello statuto e i termini previsti per
la modifica dei regolamenti attuativi degli statuti sono passati invano. Solo in EmiliaRomagna, Toscana e Umbria sono state predisposte delle commissioni per l’attuazione
degli statuti anche se nei programmi di legislatura non sono stati previsti interventi
organici sul tema.
Analizzando nello specifico alcune carte statutarie possiamo rintracciare delle novità
interessanti come: diritto di accesso con meno limiti, motivazione di regolamenti e leggi
regionali, valutazione preventiva di fattibilità sulle leggi e valutazione successiva sulle
politiche pubbliche realizzate, referendum abrogativi con quorum più bassi per evitare
gli sprechi, commissioni per le pari opportunità, garanti dello statuto (attraverso organi
indipendenti), statuto delle opposizioni e rafforzamento del ruolo del consiglio nei
confronti del Presidente.
41
C) PRIORITA’ NELL’ATTUAZIONE DEL TITOLO V
Le questioni più importanti che rimangono ancora aperte per quanto riguarda
l’attuazione del Titolo V della Costituzione sono di fondamentale importanza per lo
sviluppo del decentramento verso gli enti territoriali.
L’attuazione dell’articolo 119 in tema di federalismo fiscale, ruota attorno alla
congruenza tra risorse da incamerare e funzioni da svolgere e attorno allo sviluppo della
perequazione, per garantire livelli essenziali alla prestazioni. La priorità per l’attuazione
è quella della soluzione dei dibattiti politico-istituzionale e della creazione di un tavolo
di verifica tecnica sulle funzioni di un sistema che non deve essere più di finanza
derivata. Nel prossimo paragrafo analizzeremo come sia in fase di discussione un
disegno di legge di attuazione del novellato articolo 119 anche in riferimento alle
Regioni a statuto speciale.
Altra priorità è l’attuazione dell’articolo 117, comma 2, lettera p) relativo alle funzioni
fondamentali, legislazione elettorale e organi di Governo di comuni, province, città
metropolitane.
L’individuazione di alcune strategie comuni tra lo Stato e le Regioni nel percorso del
regionalismo differenziato, senza aprire strade di scontro politico sull’attuazione di
questa previsione ex articolo 116, comma 3. Il fatto che queste strategie si debbano
concludere con un accordo tra lo Stato e le Regioni e con una legge approvata a
maggioranza assoluta dal Parlamento si dovrebbero evitare rischi di scontro.
Altro elemento importante e più volte citato è quello della riforma del sistema delle
conferenze, che devono diventare sede di dibattito sulla cooperazione per la stipula di
accordi e intese.
Una questione altrettanto importante è l’approvazione di alcune leggi quadro, infatti il
comma 3 dell’articolo 117, specifica che nelle materie di competenza concorrente, le
Regioni hanno competenza legislativa, «salvo che per la determinazione dei principi
fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato». Senza queste leggi quadro non è
chiaro se le regioni possano esercitare il loro potere, desumendo i principi fondamentali
dalla legislazione vigente.
42
Sullo sfondo di queste priorità d’attuazione rimane la creazione di una riforma del
Parlamento tramite la sostituzione del Senato con una seconda camera che sia
rappresentativa degli enti territoriali e che crei così un cambiamento nel processo
legislativo. Bisognerebbe a questo punto essere però in grado di capire se la camera di
rappresentanza territoriale sia strettamente necessaria o se i suoi compiti non possano
essere svolti anche da altri organismi e istituzioni, e questo ramo del Parlamento non
serva solo per una semplificazione del sistema politico e della forma di Governo.
43
1.6 RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE ART. 119 E FEDERALISMO FISCALE
La riforma del titolo V della Costituzione prevista dalla legge (artt. 114-133)
riguardante l’autonomia degli enti locali è contenuta nella legge costituzionale n.
3/2001. Questa legge è stata approvata secondo l’iter previsto dall’articolo 138 della
Costituzione20 che tratta la tematica della revisione costituzionale ed è entrata in vigore
l’8 Novembre 2001.
L’articolo 119 si occupa di fiscalità degli enti locali, prevedendo autonomia finanziaria
sia di entrata che di spesa non solo per le regioni ma anche per i comuni, le province e le
città metropolitane che hanno potestà normativa su tutti gli elementi costitutivi dei
tributi regionali in un contesto di certezza, sufficienza delle risorse e programmabilità
delle stesse (1° comma).
Gli enti locali stabiliscono tributi ed entrate propri in armonia con la Costituzione. Tra
le fonti di finanziamento a disposizione delle regioni e degli enti locali previsti dal
nuovo testo possiamo annoverare le «compartecipazioni al gettito di tributi erariali
riferibile al proprio territorio».
In questo ambito il 3° comma prevede che il
coordinamento della finanza pubblica sia inserito tra le materie di competenza
concorrente. Compito dello Stato è quello di definire i principi fondamentali. Le
compartecipazione delle regioni ai tributi erariali è commisurata al gettito dei tributi
erariali nel territorio di riferimento.
Questo fenomeno fa sì che le regioni con maggiori capacità di imposizione fiscale
nell’ottica della compartecipazione abbiano una maggiore quantità di risorse da
utilizzare nel finanziamento dei servizi pubblici. È evidente, infine, che l’aliquota di
compartecipazione (unica e tale da consentire la copertura del fabbisogno delle regioni
20
“Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna
Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a
maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.Le leggi stesse sono
sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda
un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge
sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.Non si fa
luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a
maggioranza di due terzi dei suoi componenti”
44
economicamente più forti) non consentirà alle regioni economicamente più deboli di
coprire il fabbisogno.
Per evitare che si creino squilibri tra regioni ricche e regioni povere è previsto un fondo
perequativo statale che rispetto al precedente testo parla di flussi perequativi indirizzati
a «territori con minori capacità fiscale per abitante» e non «attribuiti in relazione ai
bisogni delle regioni» andando quindi a coprire disuguaglianze sulle basi imponibili e
non per soddisfare dei bisogni regionali21 (3° comma). È l’operare del “fondo
perequativo senza vincoli di destinazione” che dovrebbe consentire anche a queste
regioni il principio della sufficienza delle risorse.
Le risorse derivanti da diversi tipi di finanziamento consentono agli enti territoriali «di
finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite consento agli enti
territoriali» (4° comma).
Lo Stato può assegnare risorse aggiuntive attraverso interventi speciali indirizzati a
determinate regioni, province, comuni o città metropolitane con finalizzazioni di tipo
solidaristico, economico, sociale riguardanti l’esercizio dei diritti della persona (5°
comma). Contrariamente al fondo perequativo qui lo Stato pone l’attenzione ai
fabbisogni degli enti locali e non sulla capacità di gettito o di reddito. Nell’assegnare
queste risorse aggiuntive è possibile incorrere in alcuni vizi di competenza, infatti lo
stato potrebbe trovarsi nella condizione di scegliere di stanziare risorse aggiuntive in
ambiti di competenza concorrente con le regioni. Una legge dello Stato che stabilisca le
opere da realizzare, le risorse da destinare e la localizzazione di tali opere potrebbe
violare la sfera di competenza regionale.
I suddetti enti locali possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di
investimento (6° comma).
L’articolo 119 non è stato attuato nei cinque anni di governo successivi all’entrata in
vigore del testo e la nuova riforma costituzionale, bocciata dal referendum confermativo
del 25/26 Giugno 2006 prevedeva uno slittamento di ulteriori 3 anni della sua attuazione
e una previsione di 5 anni per il trasferimento di beni e risorse alle regioni e agli enti
locali.
Il 28 Giugno 2007 il Consiglio dei Ministri ha approvato in prima letture un disegno di
legge delega recante le «disposizioni di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione”.
45
Il disegno di legge approvato su proposta dei Ministri dell’economia e delle finanze,
Padoa-Schioppa, dell’interno, Giuliano Amato, per gli affari regionali e le autonomie
locali, Linda Lanzillotta, e per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali,
Vannino Chiti, definisce i principi e i criteri direttivi per la disciplina del sistema di
finanziamento delle istituzioni regionali e locali nel rispetto dell’autonomia finanziaria
di entrata e di spesa garantita a comuni, province, città metropolitane e regioni, nonché
dei principi di solidarietà e di coesione sociale, in maniera da sostituire gradualmente,
per tutti i livelli istituzionali, il criterio della spesa storica. Vengono inoltre dettate
regole per il coordinamento della finanza pubblica, stabiliti criteri per l’istituzione e
l’applicazione di tributi propri da parte degli enti territoriali, disciplinati criteri di riparto
delle risorse da assegnare agli enti locali con finalità perequative e di efficienza delle
amministrazioni, indicati i criteri per l’attribuzione di risorse aggiuntive e, infine,
definiti i criteri di finanziamento di Roma Capitale della Repubblica.
21
Il testo precedente prevedeva che la perequazione fosse orientata verso situazioni critiche presenti in
alcune regioni d’Italia. L’oggetto della perequazione si spost oggi invece verso la persona.
46
1.7
LA
RIFORMA
DEL
TITOLO
V
DELLA
COSTITUZIONE E LE REGIONI A STATUTO SPECIALE
L’articolo 116 della Costituzione prevede che «il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la
Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallèe d’Aoste dispongono di
forme e di condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali
adottati con legge costituzionale. La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita
dalle Province autonome di Trento e Bolzano».
Il legislatore costituzionale del 2001 ha confermato la differenziazione delle Regioni a
statuto speciale, suscitando perplessità da parte della dottrina22, che auspicava una
riforma del titolo V atta a rimettere in discussione le ragioni storiche delle specialità,
che allo stato attuale appaiono più un riconoscimento ad una ragione storica piuttosto
che ad un’esigenza ancora attuale.
Le modifiche al titolo V della Costituzione introdotte con la legge costituzionale n.
3/2001 determinano un problema con la riconfermata particolarità delle Regioni a
Statuto Speciale. L’avvenuto ampliamento delle regioni a statuto ordinario ha
chiaramente l’effetto specifico di ridurre il carattere specifico delle regioni a statuto
speciale, poiché ora anche le regioni godono di autonomia legislativa, finanziaria e
statutaria, ed è oltretutto loro consentito di negoziare con lo stato, come prevede
l’articolo 116 comma 3 della Costituzione, «ulteriori forme e condizioni particolari di
autonomia» creando una sorta di specialità «diffusa».
Seguendo questo sistema si verrebbe a creare un regionalismo dove le autonomie
regionali non devono presentare caratteri di assoluta omogeneità. Questa tipologia si sta
affermando nel sistema spagnolo23.
Così grazie all’art. 116 comma 3, le materie concorrenti hanno la possibilità di diventare
di esclusiva competenza regionale e le materie di competenza statale potrebbero
conoscere uno spazio regionale. La procedura per il trasferimento parte da un’iniziativa
regionale che deve coinvolgere però gli enti territoriali minori, è in altri casi necessario
22
Cfr. M. Luciani, Le Regioni a statuto speciale nella trasformazione del regionalismo italiano in
«Rivista di diritto costituzionale», 1999, pp. 220 ss.
23
Cfr. G. Giuliani, Asimmetria o uniformità? L’esperienza spagnola e le tendenze del regionalismo in
Europa, in «Diritto Pubblico Comparato ed Europeo», 2006, 4, pp. 1530-1534
47
definire un’intesa con lo Stato secondo forme e procedure che devono essere definite
dalla legge statale o regionale.
Questa tendenza alla «specialità diffusa», è una risposta alla crescente esigenza delle
Regioni del nord che auspicano un’autonomia di tipo trasversale nonostante ci sia una
difficoltà oggettiva a superare le specialità delle cinque regioni suddette.
Un profilo problematico potrebbe presentarsi nel caso in cui le regioni acquistino
autonomie in materie per cui sono fissati livelli essenziali per l’intero territorio
nazionale. Infatti qualora una regione si rivelasse incapace di soddisfare le prestazioni
basilari con competenze rafforzate si potrebbe pensare all’aumento di tributi propri o
una sorta di commissariamento o rientro delle competenze a livello statale.
Cronologicamente parlando si può affermare che le regioni del nord auspicano prima
un’attuazione dell’articolo 116 comma 3 per potere definire le ulteriori forme di
autonomia e poi l’attuazione del federalismo fiscale. Le regioni del sud sono invece
maggiormente interessate alla perequazione prevista dall’articolo 119, perchè timorose
che le nuove competenze possano arricchire da subito le regioni settentrionali causando
un notevole squilibrio.
Possiamo quindi affermare che da una gerarchia che metteva al primo posto la
Costituzione repubblicana seguita come ordine di fonti dagli statuti della autonomie
speciali (approvati con legge costituzionale, ma non parificabili alla Costituzione) e dai
regolamenti ordinari, si passa ad un ordine che mette sulla stesso piano la Costituzione
repubblicana e gli Statuti di cui dovrebbero dotarsi le regioni ordinarie.
L’articolo 3 della legge costituzionale della legge n. 3/2001 prescrive l’applicazione alle
Regioni a Statuto Speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano delle nuove
disposizioni nelle parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle
già presenti negli statuti odierni24. L’articolo 10 della stessa Legge costituzionale non ha
però comportato una formale modifica statutaria (la disposizione si apre infatti con
l’espressione “sino all’adeguamento dei rispettivi Statuti...”) e di conseguenza il testo
dello Statuto non può essere diffuso in versione emendata, ma sicuramente una serie di
24
«Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza,
partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono
all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto
delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere
sostitutivo in caso di inadempienza»
48
disposizioni statutarie sono da considerarsi, a tutti gli effetti, modificate, soppresse o
sostituite da quanto previsto agli stessi fini dalla Riforma costituzionale.
Di particolare importanza è il segnale di cambiamento offerto dalla legge cost. n. 2 del
2001 che ha introdotto forme varie di partecipazione della regione interessata alla
modifica della propria “legge fondamentale”, da un lato affidando ad atti della regione
elementi importanti come la forma di governo e la legge elettorale, dall’altro,
ammettendo interventi della regione nel procedimento di approvazione della legge
costituzionale recante il nuovo testo dello Statuto, tramite il riconoscimento alla regione
di essere il proponente del nuovo testo dello statuto. Se invece chi propone è un
membro del parlamento o del Governo nazionale, la Regione ha il potere di dare parere
sul testo approvato in prima lettura dalle camere.
Questo il primo caso di apertura verso l’ente regione, che entra a far parte del
meccanismo di revisione costituzionale (art. 138 Costituzione); in questo modo le
regioni iniziamo ad essere protagoniste dell’autodeterminazione per quanto riguarda il
proprio ordinamento. Questa garanzia è inevitabile visto che il novellato articolo 116
della Costituzione permette che, ulteriori forme di autonomia concernenti il terzo
comma dell’articolo 11725 e del secondo comma alla lettera l)26.
Inoltre, nel nuovo testo dell’articolo 117 è espressamente indicata la partecipazione
delle Regioni a Statuto Speciale e delle province autonome alle decisioni dirette alla
formazione di atti normativi comunitari in materie di loro competenza e la capacità di
provvedere nell’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti
dell’Unione Europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalla legge dello
Stato.
25
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione
europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia
delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale;
professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della
salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti
civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci
pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali
e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende
di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di
legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei
principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
26
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
49
La completa soluzione dei problemi di coerenza tra le nuove competenze legislative
attribuite alle Regioni a Statuto Ordinario e l’apparato normativo antecedente non può
essere realizzata se non con l’emanazione dei nuovi statuti speciali che incorporino la
nuova normativa.
Nella prima versione, invero, era contenuta una disposizione che, sulla scia di quanto
previsto dall’articolo 1, comma 661, della legge n. 296/2006 cit.mirava a garantire il
concorso delle Autonomie speciali al riequilibrio della finanza pubblica complessiva.
Essa prevedeva che ai bilanci delle regioni speciali venisse addebitata una frazione della
spesa per interessi sul debito pubblico corrispondente all’incidenza dei proventi delle
compartecipazioni al gettito tributario di ciascuna regione sul totale del gettito dei tributi
erariali.
A regime, tale addebito avrebbe dovuto tradursi in una riduzione della quota di
compartecipazione al gettito dei tributi erariali. Inoltre, le Regioni speciali con livelli di
reddito pro-capite superiore alla media nazionale erano escluse dal riparto dei fondi
assegnati da leggi dello Stato.
Tale disposizione, molto osteggiata dai rappresentanti delle Autonomie speciali, è stata
successivamente ritirata dal Governo e la definizione delle modalità del concorso delle
stesse agli obiettivi nazionali di finanza pubblica è stata rinviata a successivi accordi
bilaterali.
In particolare, l’articolo 18 prevede che le Regioni a statuto speciale e le Province
Autonome concorrano agli obiettivi di perequazione e solidarietà ed ai diritti e doveri da
essi derivanti, e all’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario,
secondo criteri e modalità stabiliti da norme d’attuazione dei rispettivi Statuti da
definire, con procedure previste dagli Statuti medesimi, entro il termine stabilito per
l’emanazione dei decreti legislativi delegati.
A tal fine, si dovrà tenere conto di questi elementi:
1) Dimensione della finanza di ciascuna regione o provincia rispetto alla finanza
pubblica complessiva.
2) Funzioni da esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri – anche in
considerazione degli svantaggi strutturali permanenti, ove ricorrano, e dei livelli di
reddito pro-capite che caratterizzano i rispettivi territori o parte di essi – rispetto a quelli
50
corrispondentemente sostenuti per le medesime funzioni dallo Stato, dal complesso
delle regioni e degli enti locali.
In questa fase di “adeguamento” degli Statuti costituzionali giunge si torna a riflettere
sul significato attuale delle autonomie speciali “storiche” e comunque della loro
emancipazione dall’incerto meccanismo provvisorio della clausola dell’art. 10 della
legge cost.n.3 del 2001 che prevede: « Sino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le
disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto
speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono
forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite». Per mantenere le proprie
prerogative di autonomie speciali è emersa l’idea di una “sovranità” delle rispettive
entità almeno nel senso della loro esistenza “originaria”,
e comunque preesistente e
indipendente dalla disciplina costituzionale che le ha giuridicamente costituite.
Queste idee sono state esplicitate nella “dichiarazione di Aosta” dai Presidenti delle
Regioni e Province ad autonomia speciale (dicembre 2006), nella quale sono indicati i
«principi cardine» delle rivendicazioni delle autonomie speciali: individualità e
bilateralità dei rapporti di ciascuna di esse con lo Stato, sistema differenziato del regime
degli enti locali, particolare regime finanziario; Nella premessa di questa Dichiarazione
viene messa in evidenza una peculiarità di tipo storico alle autonomie speciali basata su
diversi fattori caratteristici delle regioni: insularità, territorio esclusivamente montano,
frontalierità e minoranza linguistiche o culturali.
Questo pensiero lascia trasparire l’idea che gli ordinamenti speciali rappresentino una
sorta di patto con lo stato e che l’autonomia della regione sarebbe non concessa da un
atto unilaterale dello Stato, ma una condizione originaria, disciplinata da un patto
costituzionale. Queste prese di posizione parificano la fonte giuridica delle autonomie
speciali (la legge costituzionale dello Stato) e i fattori storici che ne hanno motivato
l’adozione.
1.8 I PARADISI FISCALI (ZONE EXTRADOGANALI)
51
Il D.P.R. 633/72 definisce nell'articolo 7 primo comma, lettera a) il confine, ai fini della
territorialità dell'imposta, del territorio italiano: "per Stato o territorio dello Stato si
intende il territorio della Repubblica italiana, con esclusione dei comuni di Livigno e di
Campione d'Italia e delle acque italiane del lago di Lugano". In queste due città i beni in
vendita non sono gravati dall'IVA e/o da altre tasse, imposte e accise. In considerazione
delle imposte sui beni di consumo risulta particolarmente conveniente l'acquisto in tali
zone di alcolici, tabacchi, profumi, zucchero e soprattutto carburanti. Queste zone sono
controllate da delle dogane che permettono di esportare solo determinati quantitativi di
beni per evitare il rischio di contrabbando. Livigno gode di questo speciale status da
oltre 100 anni a causa della sua posizione sfavorevole in mezzo alle montagne. Questo
privilegio fu per Livigno l’occasione di incrementare i propri introiti, il picco massimo
fu toccato negli anni ’70 quando grazie al boom economico Livigno incrementò la
propria economia interna e furono costruti alberghi, case e ristoranti. Attualmente
Livigno è località turistica rinomata.
Campione d’Italia gode invece di questo privilegio perchè è un’exclave 27 perchè pur
facendo parte del territorio italiano è separata dalla madrepatria dal Lago di Lugano. Il
confine di Campione d’Italia è aperto e non vi sono controlli o dogane.
2 LE NORME DI LEGGE COSTITUZIONALE E (NON)
CHE REGOLANO IL PASSAGGIO DI UN COMUNE DA
UNA REGIONE AD UN’ALTRA
52
2.1 LEGGI DELLA COSTITUZIONE (ARTT. 5 e 132)
La Costituzione nei suoi principi generali garantisce e promuove gli enti locali.
Nell’articolo 5 infatti si dice che: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e
promuove le autonomie locali» Le regioni sono gli enti locali più giovani; previste dalla
Costituzione del 1947 vengono effettivamente riconosciute nel 1970. Comuni e
Province erano già esistenti. Per i confini l’Assemblea Costituente si basò su quelli
previsti dalla geografia dell’epoca senza escludere la possibilità di una loro revisione.
In questo articolo non si parla specificatamente della possibilità di cambiare i confini
regionali ma è però ben chiara la volontà dei costituenti di valorizzare le autonomie
locali.
Più specifico su questo tema è l’articolo 132, secondo comma della costituzione
recentemente modificato dalla legge costituzionale n. 3/2001.
La precedente formulazione prevedeva che: «Si può, con referendum e legge della
Repubblica, sentiti i consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne
facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un'altra». Questa
norma non specificava in modo chiaro le modalità per poter realizzare questo tipo di
iniziativa; il novellato articolo 132 specifica invece che: «Si può, con l'approvazione
della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del
Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della
Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne
facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un'altra».
Un elemento comune ad entrambe le formulazioni è il ruolo delle regioni che vengono
soltanto «sentite». La conseguenza è che pur essendo il territorio un elemento
costitutivo delle regioni, non è nella loro disponibilità. Il che costituisce un aspetto
significativo della debolezza istituzionale della loro posizione. Per contro è sempre
necessario il referendum che coerentemente con l’articolo 5 della Costituzione
riconosce alla comunità quello che viene negato all’ente: l’essere cioè ogni variazione
territoriale subordinata al loro consenso. Infine la norma lega comuni, province e
27
Parte di un territorio di uno stato sovrano che giace all’esterno dei confini dello stato
53
regioni perchè la variazione territoriale è legata alle richieste dei comuni e delle
province.
2.2 LA NORMA APPLICATIVA DELLA COSTITUZIONE
(LEGGE 352 DEL 25 MAGGIO 1970)
54
Le norme della legge 25 Marzo 1970 disciplinano le modalità di distacco-aggregazione
di un comune da una regione all’altra.
La parte che riguarda l’argomento qui trattata è regolamentata dal titolo III riguardante
il referendum per la modificazione territoriale delle regioni previsti dall’articolo 132
della Costituzione.
L’articolo 42 disciplina che la richiesta di aggregazione di comuni e province ad altra
regione deve essere corredata di deliberazioni, identiche nell’oggetto da parte di consigli
comunali e provinciali dei comuni o province che richiedono il distacco. Oltre a ciò alla
richiesta devono essere allegate le deliberazioni di appoggio di tanti consigli comunali e
provinciali che rappresentino almeno un terzo della regione dalla quale è proposto il
distacco delle predette province o comuni.
Inoltre deve essere corredata delle deliberazioni, identiche nell’oggetto, rispettivamente
di tanti consigli comunali e provinciali che rappresentino almeno un terzo della
popolazione della regione alla quale si propone che i comuni o le province siano
aggregati.
Queste dichiarazioni che devono avere ad oggetto il medesimo referendum e devono
essere depositate presso la cancelleria della Corte di Cassazione dal delegato effettivo o
dal delegato supplente.
L’articolo 43 prevede che la Corte di Cassazione verifica l’effettiva presenza delle
deliberazioni suddette e la generale coerenza con l’articolo 132 della Costituzione.
L’ordinanza che dichiara la legittimità della proposta di referendum sottoposta viene
comunicata immediatamente al Presidente della Repubblica, al Ministro dell’Interno e
al delegato. L’eventuale dichiarazione d’illegittimità è affissa all’albo della Corte di
Cassazione e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.
L’articolo 43 prevede che il referendum venga indetto con decreto del Presidente della
Repubblica su deliberazione del Consiglio dei Ministri entro tre mesi dalla
dichiarazione di legittimità della richiesta. Il referendum può svolgersi nei tre mesi
successivi ma si può aspettare anche di più per farlo coincidere con altri referendum
previsti dall’articolo 138 della Costituzione28. Il referendum è indotto nel territorio dei
comuni o delle province che vogliono cambiare regione ma può anche essere indetto nei
territori a cui i suddetti comuni/province vogliono aggregarsi.
28
revisione costituzionale
55
Hanno diritto al voto tutti gli iscritti nelle liste elettorali dei comuni compresi nei
territori interessati.
Secondo l’articolo 45 l’ufficio centrale per il referendum costituito preso la Corte di
Cassazione procede alla somma dei risultati. La proposta viene approvata se i voti
attribuiti alla risposta affermativa superano la maggioranza degli elettori iscritti nelle
liste del territorio interessato. Il risultato del referendum viene pubblicizzato a tutti gli
enti interessati e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Nel caso di approvazione della
richiesta referendaria, il ministro dell’interno deve presentare al parlamento, entro 60
giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, un disegno di legge costituzionale
come previsto dall’articolo 132 della Costituzione.
Se la proposta referendaria viene rigettata, questa non può essere rinnovata prima che
siano trascorsi 5 anni.
L’articolo 46 dispone la formula con la quale avviene la promulgazione della legge
ordinaria prevista dall’articolo 132 (2° comma) della Costituzione. La legge approvata
dal parlamento viene promulgata dal Presidente della Repubblica. La legge viene poi
inserita nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica Italiana.
2.3 PROFILI PROBLEMATICI DELLA LEGGE 352 E
SENTENZA
DELLA
CORTE
COSTITUZIONALE
N.
334/2004
56
L’avvio della procedura referendaria si è però reso impossibile a causa della
sopraccitata legge 352 del 25/05/1970.
Questa legge ha considerato come «popolazioni interessate» le intere popolazioni delle
regioni coinvolte nel procedimento di distacco – aggregazione e non solo quelle del
singolo ente proponente. Essa ha impedito per più di trent’anni l’ottenimento del
referendum per il cambio di regione.
I primi due esempi di comuni che hanno richiesto l’aggregazione ad un’altra Regione
sono rinvenibili nella prima metà dello scorso decennio.
Il Comune di Chieuti sito in Provincia di Foggia chiese con deliberazione consigliare
del 10 Dicembre 1990 di poter svolgere il referendum per il passaggio dalla Regione
Puglia alle Regione Molise, all’interno del Comune di Campobasso.
Questa richiesta fu dichiarata illegittima da parte dell’ufficio centrale per il referendum
in quanto non era stata corredata delle deliberazioni «di appoggio» alla richiesta
referendaria degli enti locali delle regioni coinvolte.
Il secondo tentativo è rinvenibile nel 1993 quando il Comune di Gallo Matese, sito in
Provincia di Caserta, con deliberazione consigliare del 19 Agosto 1993 chiese il
distacco dalla Regione Campania e l’aggregazione alla Regione Molise, all’interno della
Provincia di Isernia. L’ufficio centrale per il referendum, dichiarò illegittima questa
richiesta perchè, come nel caso precedente, non era stata corredata dalle deliberazioni di
appoggio degli enti locali delle regioni interessate alla variazione territoriale.
Contemporaneamente l’ufficio centrale dovette rispondere all’intervento ad adiuvandum
nel procedimento sulla legittimità del referendum messa in atto dall’Unione dei Comuni
italiani per cambiare Regione29 e del Comune di Gosaldo (BL). Questo intervento ebbe
lo scopo di rimettere gli atti alla Corte Costituzionale per la palese illegittimità di alcune
norme disciplinanti la legge 352. L’ufficio centrale rispose di non poter accogliere
l’eccezione perchè «pur agendo con forme giurisdizionali, dal punto di vista sostanziale
non ha natura giurisdizionale» pur avendo più volte affermato di essere legittimato a
sollevare questioni di legittimità costituzionale30.
29
http://www.comunichecambianoRegione.org
si vedano: Ufficio centrale ordinanza del 25 maggio 1978, in “Foro Italiano”, 1978, I, 1616, 1618,
1620; 25 settembre e 6 ottobre 1980, id., 1980, I, 2633; 2 dicembre 1980, in “Giurisprudenza
costituzionale”, 1980, I, 1700; 15 dicembre 1980, id., 1980, I, 1674
30
57
Il terzo tentativo di un ente locale di cambiare Regione è quello di San Michele al
Tagliamento sito in Provincia di Venezia per il distacco dalla Regione Veneto e
l’aggregazione alla Regione Friuli-Venezia Giulia all’interno della Provincia di
Pordenone.
L’ufficio centrale per il referendum chiamato a pronunciarsi in merito dichiarava
manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale poiché «la
Costituzione, nel disciplinare l’istituto del referendum, lascia al legislatore ordinario
ampi margini di discrezionalità con riguardo alla regolamentazione del rito di avvio e di
svolgimento delle consultazioni referendarie, sicché le disposizioni da detto legislatore
adottate al riguardo non possono essere sospettate di illegittimità costituzionale quando
non risulti che esse siano suscettibili di importare irragionevoli e non facilmente
superabili ostacoli alla promozione ed al corso delle iniziative referendarie»31 ed
escludendo che la modifica dell’art. 132, c. 2, Cost. intervenuta con la Legge
costituzionale n. 3 del 2001, abbia comportato una abrogazione della dell’articolo 42
della legge 352 del 25/05/1970, per cui «non risultano ravvisabili quella incompatibilità
fra i due testi legislativi ovvero quella integrale nuova regolamentazione di materia
disciplinata da norme precedenti che, a termini dell’art. 15 delle disposizioni sulla legge
in generale, sono richieste affinché possa configurarsi la abrogazione tacita di una
legge», senza minimamente soffermarsi sul concetto di popolazioni interessate al
referendum.
A sostegno di questa tesi l’Ufficio sviluppa 2 elementi che dovrebbero cancellare il
dubbio sulla Ragionevolezza dell’articolo 42:
1) Vengono richieste così tante deliberazioni di entrambe le regioni affinché il
referendum sia fortemente voluto, altrimenti sarebbe un costo inutile.
2) Se la richiesta del referendum è giustificata, non ci dovrebbero essere difficoltà ad
ottenere le deliberazioni di appoggio di entrambe le regioni.
Con questa ordinanza l’ufficio centrale impegnava il Comune entro tre mesi a
presentare le delibere di appoggio, il 29 Gennaio 2003 il delegato consegnò le delibere
di 11 Comuni e 2 Province Del Friuli Venezia Giulia (le province vennero
inspiegabilmente escluse dal conto). L’ufficio centrale dispose che dovevano essere
31
ordinanza del 26 novembre-5 dicembre 2002 (Pres. Trojano, Rel. Paolini),
58
consegnate ancora le delibere di appoggio del territorio della Regione che chiedeva il
distacco.
In data 26 marzo 2003 il delegato del Comune di San Michele al Tagliamento
depositava alla Corte costituzionale il ricorso per conflitto di attribuzione contro il
Parlamento per il mancato adeguamento della Legge n. 352 del 1970 al testo
dell’articolo 132, c. 2 della Costituzione chiedendo alla Consulta di sollevare avanti a sé
la relativa questione di legittimità costituzionale.
In data 14 maggio 2003 il delegato del Comune di San Michele al Tagliamento
depositava nella cancelleria dell’Ufficio centrale per il referendum 58 delibere comunali
e Provinciali della Regione Friuli-Venezia Giulia e 4 delibere comunali della Regione
Veneto, chiedendo una proroga dei termini per l’acquisizione di ulteriori delibere
comunali del Veneto. L’Ufficio centrale per il referendum con l’ordinanza del 28-30
maggio 2003, accoglieva la richiesta e concedeva una proroga inderogabile per il
deposito delle delibere al 30 settembre 2003.
In data 30 settembre 2003 il delegato del Comune di San Michele al Tagliamento
depositava nella cancelleria dell’Ufficio centrale per il referendum 30 delibere
comunali, pari al 3,7% della popolazione della Regione Veneto, e quindi inferiori
ancora al terzo delle popolazioni interessate, chiedendo la sospensione del giudizio sulla
legittimità della richiesta referendaria in attesa della decisione della Corte costituzionale
sull’ammissibilità del conflitto di attribuzione depositato.
Con l’ordinanza del 13-25 Novembre 2003 n. 343, dichiarava inammissibile il conflitto
di attribuzione: «nonostante la pur significativa riforma dell’art. 132, secondo comma,
della Costituzione introdotta dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, l’Ufficio
centrale per il referendum ha ritenuto di affermare la manifesta infondatezza della
proposta questione di legittimità costituzionale»32 prendendo così posizione a favore
dell’illegittimità costituzionale delle norme citate.
Successivamente l’Ufficio centrale per il referendum dichiarava non manifestatamente
infondata le questione di legittimità costituzionale e la rimandava alla Corte
Costituzionale.
32
Cit.in
http://www.cortecostituzionale.it/ita/attivitacorte/pronunceemassime/massime/schedaMS.asp?Comando=
LET&NoMS=28106&TrmT=&TrmL=
59
La Corte Costituzionale, con sentenza 10-17 Novembre 2004, n. 334 dichiarava
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 42, comma 2, della Legge n. 352 del 1970,
circa le deliberazioni di appoggio, ritenendo che tale norma «già appariva non conforme
all’originaria formulazione del capoverso dell’art. 132 Cost. […] in quanto accordava (e
vincolava) l’iniziativa referendaria ad organi non previsti»33. Inoltre, sanciva che il
referendum si riferisce soltanto ai cittadini degli enti locali direttamente coinvolti nel
distacco e non delle due Regioni coinvolte nel procedimento, come prevedeva l’art. 44,
c. 3, II periodo, della Legge n. 352 del 1970.
Non servono più quindi le deliberazioni di appoggio di tanti consigli comunali o
provinciali che rappresentino almeno un terzo del rimanente territorio dal quale i
suddetti comuni o province si vogliono staccare. Parimenti non vengono più richieste le
deliberazioni di appoggio di tanti consigli comunali o provinciali rappresentanti almeno
un terzo del territorio della Regione alla quale comuni o province si vogliono aggregare.
Entrambe le regioni interessate trovano congrua tutela nel parere obbligatorio che esse
devono dare sulla legge dello stato che, a seguito di referendum con esito positivo,
viene proposta dal Governo al Parlamento.
2.4 PROFILI PROBLEMATICI DEL PASSAGGIO AD UNA
REGIONE A STATUTO SPECIALE: IL CASO DI NOASCA
33
Cit.in
«»http://www.cortecostituzionale.it/ita/attivitacorte/pronunceemassime/pronunce/schedaDec.asp?Comand
o=RIC&bVar=true&TrmD=&TrmDF=&TrmDD=&TrmM=&iPagEl=1&iPag=1
60
Il piccolo Comune di Noasca (Torino), sito nella Regione Piemonte ha attivato la
procedura per cambiare Regione ed annettersi alla Regione Valle D’Aosta. Le ragioni
della scelta vengono identificate in motivi di carattere storico ed economico. A fronte di
questa istanza la giunta regionale valdostana ha attivato il canale giurisdizionale, a
tutela della sua integrità territoriale. La giunta regionale ha ritenuto che l’articolo 132
non trova applicazione per quanto riguarda le regioni a statuto speciale. Per questo
motivo ha sollevato un ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti della Corte
Costituzionale avverso alla procedura referendaria del piccolo Comune piemontese,
dichiarando che non spetta allo stato la modifica del territorio della Regione Valle
d’Aosta ma ciò è di competenza dello statuto speciale della Regione in questione.
L’esecutivo della Regione Valle d’Aosta fa rilevare alla Corte che i confini del territorio
regionale sono garantiti dalla legge 26 Febbraio 1948 che prevede che il territorio
comprende «le circoscrizioni dei comuni ad esso appartenenti alla data delle entrata in
vigore della presente legge»34 e rimanda all’elenco dei 74 comuni presente nel D. L.
Lgt. 7 Settembre 1945 n. 545.
La Consulta è stata quindi chiamata ad esprimersi a proposito della legittimità del
referendum dichiarata dall’ufficio centrale per il referendum, della deliberazione del
Consiglio dei ministri che ha approvato il decreto di indizione del suddetto referendum
e del decreto del Presidente della Repubblica di fissazione della data del referendum. La
giunta ha chiesto la sospensione dei suddetti atti impugnati anche perchè il referendum
avrebbe rischiato di essere improduttivo di effetti ed avrebbe causato un impegno
finanziario privo di effetti.
La Consulta ha rigettato la linea interpretativa della giunta valdostana ribadendo che
l’articolo 132 si applica indistintamente a tutte le regioni elencate nell’articolo 131 e
quindi anche a quelle a statuto speciale mediante l’individuazione di «procedure che
coinvolgono tutti i diversi organi e soggetti indicati dalle norme costituzionali come
attori necessari nei differenziati procedimenti».
Tale interpretazione era già stata ribadita dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.
334 del 2004 che aveva confermato l’applicabilità dell’articolo 132 intendendo garantire
il pieno diritto di autodeterminazione delle collettività locali e in particolare al singolo
61
Ente locale direttamente interessato al passaggio che ora è l’unico a doversi pronunciare
attraverso il referendum.
Inoltre la consulta afferma che il procedimento previsto dall’articolo 50 dello statuto
speciale della Valle d’Aosta che tratta il tema della revisione, non può produrre effetti
su due regioni e in questo caso sulla Regione Piemonte.
La Corte si sofferma anche sugli squilibri etnico-linguistici che si potrebbero venire a
creare con un’incontrollata possibilità di aggregazione. La protezione però, secondo la
Corte non si realizza solo con l’ordinamento speciale delle regioni ma con le fonti statali
ordinarie e costituzionali.
Infine circa il presunto diritto di partecipazione del Presidente della Regione Valle
d’Aosta alla seduta del Consiglio dei ministri nel quale è stata approvata l’indizione del
referendum, la Consulta ha dichiarato tale censura infondata in quanto il contenuto è
vincolato a seguito dell’accertamento della legittimità della richiesta referendaria da
parte delle Corte di Cassazione. Per la Costituzione l’unico ente interessato in tale fase
iniziale di distacco/aggregazione è la collettività locale, la Regione è coinvolta in una
fase successiva.
Il referendum presso il Comune di Noasca si è svolto l’8 e 9 Ottobre 2006 dando esito
positivo. Infine il Presidente della Giunta regionale valdostana ha annunciato che
ricorrerà contro la deliberazione del Consiglio dei ministri con cui è stato approvato il
disegno di legge costituzionale da presentare alle camere, perchè questo sarebbe stato
adottato senza aver fatto partecipare il Presidente della Regione Valle D’Aosta alla
seduta e senza aver atteso il parere consultivo della suddetta regione che stava
attendendo la definizione del contenzioso presentato dinnanzi alla Corte Costituzionale.
Altra tematica riguardante l’annessione ad una regione a statuto speciale è quella se sia
o meno necessario il ricorso di una legge costituzionale e non semplicemente ordinaria.
Il tema è stato affrontato per la prima volta in occasione della presentazione del disegno
di legge conseguente al referendum svoltosi presso il Comune di Lamon e riguardante il
passaggio dal Veneto al Trentino-Alto Adige.
Il Governo ha ritenuto necessario procedere alla presentazione di un disegno di legge
costituzionale perchè la questione in oggetto rappresentava una variazione territoriale di
una regione ad autonomia differenziata.
34
Cit. in
62
Abbiamo visto e vedremo quanto siano numerosi i comuni che hanno attivato la
procedura di distacco/aggregazione verso le regioni a statuto speciale e in particolare dal
Veneto al Trentino-Alto Adige, che pur facendo valere ragioni storico-culturali e socioeconomiche, subiscono l’enorme disparità di trattamento rispetto alle vicine Regioni
autonome.
Il Governo ha risposto a questo disagio con la norma dell’articolo 6 comma 7 del
Decreto Legge del 2 Luglio 2007, n. 81 convertito in Legge 3 Agosto 2007, n. 127, che
ha varato il fondo per le aree territoriali svantaggiate confinanti con le regioni a statuto
speciale, con un valore che l’articolo 35 del Decreto Legge 1 Ottobre 2007, n. 159, ha
fissato in 20 milioni di euro per l’anno 2007.
2.5
PROFILI
PROBLEMATICI:
LA
PRESUNTA
INCOSTITUZIONALITA’ DEL QUORUM EX ART. 132
COSTITUZIONE
http://it.wikisource.org/wiki/L.cost._26_febbraio_1948,_n._4,_Statuto_speciale_per_la_Valle_d'Aosta
63
L’articolo 45 della Legge n. 352 del 1970 prevede che il quorum richiesto ai fini della
variazione territoriale è identificabile nel voto favorevole della maggioranza assoluta
degli iscritti alle liste elettorali del comune o dei comuni in cui è indetta la
consultazione. Questo quorum è molto elevato e non riscontrabile in nessun altra
consultazione referendaria, essendo previsto poi da una legge ordinaria è passibile
d’illegittimità costituzionale. Il legislatore ordinario ha infatti ampi margini di
discrezionalità a riguardo delle consultazioni referendarie ma pur dovendo in questo
caso garantire una maggioranza assoluta non può intraprendere iniziative (come il
suddetto quorum) che creino ostacoli alla superabilità del referendum.
La Consulta ha risposto in maniera negativa a questo tipo di ricorso messo in atto dai
Comuni del Portogruarese (interessati alla procedura di distacco-aggregazione) in
particolare con le ordinanze n. 69 del 2006 e n.296 del 2006, argomentando la
mancanza dell’elemento soggettivo in quanto la questione è stata sollevata dal delegato
comunale che non ha poteri nella fase di proclamazione del risultato. Manca anche
l’elemento oggettivo in quanto non c’è stata lesione delle attribuzioni costituzionali.
Tornando alla norma costituzionale questa prevede che il referendum sia approvato
dalla maggioranza delle popolazioni ma non viene assolutamente specificato quale sia il
quorum da utilizzare in tale consultazione refererendaria. Inoltre la Costituzione intende
(ex
art.
5)
garantire
le
autonomie
locali
e
il
decentramento,
favorendo
l’autodeterminazione in ordine ai territori regionali ai quali le popolazioni desiderano
appartenere.
Abbiamo dunque detto che il referendum ha un quorum elevatissimo e questo entra
pienamente in contraddizione con lo spirito di questa consultazione che è stata definita
dalla Corte Costituzionale come «meramente consultiva». Inoltre il ruolo del
referendum è vincolante solo in caso di risultato negativo, che ferma il processo. Il
risultato positivo non è invece vincolante in quanto il tutto è affidato al legislatore
nazionale ed al parere dei due consigli regionali interessati.
Ciò premesso sarà difficile che il Parlamento si discosterà dal parere positivo del corpo
elettorale interessato e dal parere positivo delle regioni interessate.
Per quanto riguarda gli italiani residenti all’estero, il loro diritto di voto è regolato dalla
legge n. 459 del 200135 che prevede espressamente che ci sia la possibilità per questi
35
http://www.camera.it/parlam/leggi/01459l.htm
64
ultimi di votare tramite corrispondenza, nelle consultazioni elettorali e in quelle
referendarie ex articolo 75 della Costituzione36 ed ex articolo 138 della Costituzione37.
Non si fa menzione dell’articolo da noi analizzato, ma essendo i cittadini italiani
residenti all’estero iscritti nelle liste elettorali, questi vanno ad innalzare senza poter
esprimersi il quorum del referendum territoriale.
La questione di costituzionalità del quorum per il referendum di distacco/aggregazione è
stata recentemente sollevata di fronte al Tar del Lazio come ricorso del Comune di San
Michele al Tagliamento, dove ricordiamo che il referendum ha avuto risultato negativo.
Si attendono sviluppi. Altri comuni in cui è stato fatto ricorso per l’incostituzionalità del
quorum sono: Teglio Veneto, Gruaro e Pramaggiore.
2.6 IL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE DEL 17
APRILE 2007
36
Cit. in http://www.quirinale.it/costituzione/costituzione.htm
37
Cit. in p.5
65
Il 17 Aprile 2007 il Governo ha presentato al Parlamento il disegno di legge
costituzionale n. 2523 recante «modificazioni all’articolo 132, secondo comma, della
Costituzione, in tema di distacco ed aggregazione di comuni e province».
L’attuale testo vigente dell’articolo 132 dispone che «Si può, con l'approvazione della
maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del
Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della
Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che province e comuni, che ne
facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un'altra»38.
Il testo attualmente in discussione presso la I Commissione Affari Costituzionali della
Camera è: «Si può con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali interessati,
consentire che province e comuni siano staccati da una regione e aggregati ad un’altra.
La relativa iniziativa è preceduta dalla richiesta della provincia o del comune, previa
approvazione delle rispettive popolazioni secondo le norme dei propri statuti. Per il
passaggio di una provincia ad un’altra regione, la richiesta deve essere inoltre
approvata, mediante referendum, dalla maggioranza delle popolazioni di ciascuna delle
regioni interessate. Per il passaggio di uno o più comuni da una provincia ad un’altra
appartenente a diversa regione la richiesta deve essere invece approvata, mediante
referendum, dalla maggioranza delle popolazioni di ciascuna delle due province
interessate»39.
Le novità introdotte dal nuovo testo sono tre:
1) L’espresso
consenso
della
popolazione
interessata
da
esprimersi
preventivamente alla richiesta della provincia o del comune in questione.
Questo consenso può essere espresso secondo forme diverse previste dagli
statuti degli enti locali senza escludere la possibilità di un’ulteriore e preventivo
referendum. Questo referendum o presunto tale ha efficacia confermativa nei
confronti della deliberazione del consiglio comunale o provinciale.
2) L’ambito territoriale di svolgimento del referendum già previsto dalla
precedente formulazione dell’articolo 132 subisce un allargamento. Sono
chiamati ad esprimersi non solo i cittadini dell’ente locale interessato ma anche
38
Cit. in http://www.quirinale.it/costituzione/costituzione.htm
Cit. in http://www.Regione.emiliaromagna.it/wcm/sederoma/sezioni/i_nostri_focus/Riforma_dello_stato_e_della_pa/distaccocomuniprovin
ce/testo_del_ddl_sul_trasferimento_dei_Comuni.pdf
39
66
altri cittadini: se il referendum è finalizzato al distacco/aggregazione di una
Provincia da una Regione all’altra saranno chiamati al voto tutti i cittadini di
entrambe le Regioni interessate; se l’operazione è volta al passaggio di uno o
più Comuni da una Provincia ad un’altra appartenente ad un’altra Regione,
saranno chiamati a votare i cittadini delle due Province interessate.
3) Ai fini della prosecuzione dell’iter è necessario che ci sia un esito positivo
presso entrambe le Regioni o Province in cui si è svolta la consultazione
A questo disegno di legge è stato allegato il parere della Conferenza unificata StatoRegioni - Città e autonomie locali: Trentino-Alto Adige e Val d’Aosta hanno espresso
parere contrario all’applicabilità del suddetto testo alle regioni a statuto speciale.
L’Associazione Nazionale Comuni Italiani40 ha ritenuto più equilibrata la disciplina
vigente. Le regioni hanno espresso parere favorevole sul testo fatta salva che in caso di
coinvolgimento di regioni a statuto speciale si faccia riferimento agli statuti loro propri.
Con Questo disegno di legge si intende innanzitutto chiarificare quali siano le
«popolazioni interessate» allo svolgimento della consultazione referendaria. La
normativa costituzionale non è mai stata esaustiva nel senso della definizione di chi
siano effettivamente le popolazioni interessate.
Il sistema complesso creato dalla legge di attuazione dell’articolo 132, la legge n. 352
del 1970 prevede che per avviare la procedura referendaria la richiesta debba provenire
da un terzo degli organi consiliari interessati e che il referendum debba essere
sottoposto a tutti i territori regionali delle due regioni interessate. Il risultato di un così
complesso sistema normativo è stato quello di impedire qualsiasi processo di modifica
dei confini regionali, bloccando quindi la geografia regionale a quella stabilita dai
costituenti repubblicani.
La modifica intervenuta con la sentenza della Corte costituzionale n. 334 del 2004 ha
provveduto a specificare che alle prime due fasi del processo in questione (iniziativa e
referendum) partecipino solo le popolazioni direttamente interessate. Dall’altre parte
però si è costituito un bilanciamento istituzionale con il parere obbligatorio delle regioni
e del Parlamento.
40
Cfr. www.anci.it
67
Questa proposta di modifica è atta a specificare ancora meglio quali siano le
popolazioni interessate per evitare che la proposta di distacco/aggregazione sia avvertita
solo dall’ente locale interessato e che si determini quindi uno spreco di risorse
finanziarie per sostenere un processo lungo.
Il disegno di legge costituzionale suddivide il procedimento in tre livelli: la richiesta
dell’ente locale interessato che esprime un giudizio preliminare (livello micro), il
referendum di province e o regioni interessate (livello meso) e il parere dei due consigli
regionali interessate che si accompagna al parere dei due consigli regionali interessati
(livello macro). La sostanza come descritto nell’introduzione del disegno di legge è che
«questa convergenza di volontà-consacrato dalla tornata referendaria - non può che
essere riservato tanto ai soggetti che richiedono per se stessi di essere distaccati e
successivamente aggregati, quanto a quelli che, in ordine alla propria sfera di interessi
(sociali, economici, eccetera), subiscono in ogni caso un profondo e significativo
impatto dal suddetto processo»41.
Il disegno di legge è stato oggetto di esame della I Commissione Affari Costituzionali
della Camera nei mesi di Luglio e Settembre 2007.
Nel dibattito sono emerse posizioni favorevoli sulla proposta di riforma dell’articolo
132 della Costituzione con qualche distinguo.
Il Centro-Destra pur condividendo lo spirito di tale disegno di legge ha auspicato che
questo venga inserito in modo organico in una discussione su tutte le diverse
problematiche connesse al sistema istituzionale della Repubblica.
La Lega Nord ha espresso perplessità dichiarando che una modifica di questo tipo renda
più difficile per gli enti locali organizzarsi autonomamente per quanto riguarda
l’appartenenza ad una Regione piuttosto che ad un’altra.
Una voce unanime emersa dall’esame della commissione è quelle di assegnare un
canale preferenziale alle richieste di distacco/aggregazione già presenti in Parlamento,
magari attraverso un’analisi unificata da parte di entrambi i rami del Parlamento.
L’On. Marco Boato, relatore in commissione, ha dichiarato che presenterà un nuovo
testo unificato che meglio specifichi il disegno di legge costituzionale anche nell’ottica
di una modifica della legge n. 352 del 1970.
41
Cit .in DDL 17/04/2007 N.2523 in http://www.Regione.emiliaromagna.it/wcm/sederoma/sezioni/i_nostri_focus/Riforma_dello_stato_e_della_pa/distaccocomuniprovin
ce/testo_del_ddl_sul_trasferimento_dei_Comuni.pdf
68
L’ultima seduta di esame e rinvio si è svolta il 26 Settembre 200742.
3 I COMUNI CHE HANNO INTRAPRESO L’INIZIATIVA:
CRONISTORIA
42
Sui lavori della Commissione Cfr.:
http://www.camera.it/_dati/lavori/bollet/frsmcdin_wai.asp?AD=1&percboll=/_dati/lavori/bollet/200707/0
717/html/01/|pagpro=INT48n2|all=off|commis=01
69
3.1 I PRIMI CASI E GLI ESITI DEGLI SVILUPPI
PARLAMENTARI
Abbiamo detto in precedenza dei primi comuni che hanno intrapreso la strada verso il
referendum ma hanno trovato ostacoli giuridici. Abbiamo poi descritto il caso di San
Michele al Tagliamento, dove il referendum per il distacco/aggregazione è stato respinto
nel Maggio 2005.
Il primo Comune ad aver realizzato un risultato positivo nel referendum ex articolo 132
della Costituzione è stato quello di Lamon, sito in Provincia di Belluno (Veneto). Il
referendum chiedeva il distacco dal Veneto e l’aggregazione al Trentino Alto-Adige. Il
57.2% degli aventi diritto ha risposto sì al quesito referendario. La seconda tappa è stata
quella della presentazione di uno schema di legge presentato dal Governo Berlusconi
alle due regioni per parere di competenza, le due regioni hanno rifiutato e il Veneto ha
chiesto la presentazione di un nuovo disegno di legge, che trattandosi di regione a
statuto speciale ha avuto il carattere di legge costituzionale. Questo disegno di legge,
presentato dal Governo Prodi è stato discusso in Commissione Affari Costituzionali
unitamente ad un disegno di legge sul tema presentato dall’ Onorevole Marco Boato.
Questo disegno di legge non ha avuto un parere positivo dalla Provincia di Trento e
dalla Regione Trentino-Alto Adige, con motivazione dovuta al fatto che riguardando
una regione a statuto speciale deve prevedere un cambio di statuto approvato con parere
vincolante dal consiglio regionale.
Il secondo Comune ad aver intrapreso questa strada è quello di Cinto Caomaggiore in
Provincia di Venezia (Veneto) il quale ha chiesto di entrare a far parte della Regione
Friuli – Venezia Giulia e in particolare della Provincia di Pordenone. Gli aventi diritto
al voto al referendum svoltosi il 26/27 Marzo 2006 che hanno espresso parere
favorevole sono stati il 59,7%. Il Ministro dell'Interno ha inviato alle Regioni Veneto e
Friuli Venezia Giulia uno schema del disegno costituzionale per il loro parere di
competenza prima di mandarlo in Parlamento. È già stato acquisito il parere favorevole
del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia e si sta attendendo quello del Veneto.
Nel frattempo il Senatore Giuseppe Saro ha presentato in Senato il disegno di legge 43
43
Cit. in http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00230157.pdf
70
per disciplinare il procedimento distacco-aggregazione. Il 6 aprile 2007 il Consiglio dei
Ministri ha approvato il disegno di legge costituzionale44 prescritto dal procedimento
secondo l'articolo 132, comma secondo, ed è stato annunciato nella seduta della Camera
dei Deputati il 17 aprile 2007.
Nella stessa data in cui si è svolto il referendum nel Comune di Cinto Caomaggiore, si
sono svolti altri tre referendum a Gruaro, Pramaggiore e Teglio Veneto. Tutti e tre sono
stati respinti con una percentuale di voti favorevoli inferiore di circa 5 punti alla
maggioranza. Stessa sorte è toccata al Comune di Savignano Irpino che aveva richiesto
il distacco dalla Regione Puglia nel Giugno 2006.
L’ 8 e il 9 Ottobre si è svolto un referendum per il passaggio di Noasca (Torino) dalla
Regione Piemonte alla Regione Valle D’Aosta. Il referendum è passato e
il 17 aprile 2007, il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge
costituzionale45, prescritto dal procedimento secondo l'articolo 132, comma secondo, ed
è stato annunciato nella seduta della Camera dei Deputati.
Nella stessa data si è svolta un’altra consultazione presso il Comune di Sovramonte
(Belluno) che chiedeva il distacco dalla Regione Veneto per annettersi al Trentino –
Alto Adige. Il referendum ha ottenuto una notevole maggioranza di consensi (64.7%).
Il 17 aprile 2007, il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge ordinaria46
prescritto dal procedimento secondo l'articolo 132, comma secondo, ed è stato
annunciato nella seduta della Camera dei Deputati.
Il 17 e 18 Dicembre sette comuni della Valmarecchia (Casteldelci, Maiolo, Novafeltria,
Pennabilli, Sant’Agata Feltria, San Leo e Talamello), siti nella Provincia di Pesaro
Urbino hanno richiesto il passaggio dalla Regione Marche alla Regione EmiliaRomagna. Il referendum è stato approvato e il 17 aprile 2007, il Consiglio dei Ministri
ha approvato il disegno di legge ordinaria47 prescritto dal procedimento secondo
l'articolo 132, comma secondo, annunciato nella seduta della Camera dei Deputati. Nel
frattempo il Senatore Berselli ha presentato un disegno di legge48 per disciplinare il
distacco-aggregazione dei Comuni interessati.
44
Cit. in http://www.camera.it/_dati/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=15PDL0025640
Cit. in http://www.camera.it/_dati/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=15PDL0025680
46
Cit. in http://www.camera.it/_dati/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=15PDL0025630
47
Cit. in http://www.camera.it/_dati/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=15PDL0025650
48
Cit. in http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00253563.pdf
45
71
3.2 I CASI PIU’ RECENTI
72
L’undicesimo Comune ad aver intrapreso la strada del distacco aggregazione è quello di
Carema (Torino), che ha chiesto il distacco dalla Regione Piemonte e l’annessione alla
Regione Val d’Aosta. Il referendum che ha avuto esito positivo è stato seguito dalla
presentazione di un disegno di legge costituzionale49 come prescritto dal procedimento
secondo l'articolo 132, comma secondo, ed è stato annunciato nella seduta della Camera
dei Deputati.
Il 6/7 Maggio 2007 il referendum si è svolto in otto comuni dell’Altopiano di Asiago
(Asiago/Sleghe,
Roana/Robaan,
Rotzo/Rotz,
Gallio/Ghèl,
Enego/Ghenebe,
Foza/Vüsche, Lusiana/Lusaan e Conco/Kunken) che hanno richiesto il distacco dal
Veneto per passare al Trentino – Alto Adige. Il referendum ha avuto una maggioranza
di risposte affermative vicina al 60%. Questi comuni stanno ora attendendo che il
Governo approvi il disegno di legge costituzionale, prescritto dal procedimento secondo
l'articolo 132, comma secondo. Nel frattempo l' On. Fabris ha presentato alla Camera
dei Deputati il disegno di legge50per
disciplinare il distacco-aggregazione
dell'Altopiano.
Due casi più recenti riguardano i comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio (Pesaro
Urbino) che con referendum svoltosi in data 24/25 Giugno 2007 hanno richiesto il
distacco dalla Regione Marche e l’aggregazione alla Regione Emilia – Romagna. In
entrambi i casi le risposte affermative hanno avuto la maggioranza e attualmente i due
comuni stanno attendendo che il Consiglio dei Ministri presenti il disegno di legge. Nel
frattempo il Senatore Berselli ha presentato due disegni di legge51 per disciplinare il
distacco-aggregazione dei comuni.
Un’interessante progetto futuro, in via di definizione, riguarderebbe il passaggio dei
territori del Cilento e del Vallo di Diano dalla Regione Campania alla Regione
Basilicata. L’obiettivo è quello della realizzazione del territorio della «Grande Lucania»
per un ricongiungimento di un territorio che alcune ragioni storiche hanno separato.
4 IL CASO DI CORTINA D’AMPEZZO
49
Cit. in http://www.camera.it/_dati/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=15PDL0029200
Cit. in http://www.camera.it/_dati/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=15PDL0032250
51
Cit. in. http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Ddlpres&leg=15&id=279960 e
http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Ddlpres&leg=15&id=279957
50
73
Cortina d’Ampezzo con 6085 abitanti è il Comune più grande e più conosciuto da un
punto di vista turistico dei tre Comuni che hanno richiesto attraverso la procedura
prevista dall’articolo 132 della Costituzione il passaggio dalla Regione Veneto alla
Provincia Autonoma di Bolzano. Gli altri due Comuni limitrofi sono Livinallongo del
Col di Lana, piccolo centro di 1417 abitanti e distante 21 km da Cortina d’Ampezzo e
Colle Santa Lucia che ha una popolazione di 618 abitanti e dista 17 km da Cortina
d’Ampezzo. I Sindaci dei tre Comuni sono Andrea Franceschi (Cortina), Gianni Pezzei
(Livinallongo del Col di Lana) e Paolo Frena (Colle Santa Lucia).
4.1 STORIA DELL’EVOLUZIONE AMMINISTRATIVA E
POLITICA DEL TERRITORIO LADINO IN OGGETTO
74
I Ladini delle Dolomiti nel corso della storia, soprattutto negli ultimi due secoli,
scoprirono che certamente qualcosa li distingueva, ma era assai di più ciò che li
accomunava e univa: la lingua ladina, una storia movimentata ed una cultura
strettamente affine. In epoca molto antica, prima della conquista del territorio da parte
dei romani, la conca di Ampezzo era abitata dalla tribù dei Paleoveneti. Nell’alto
medioevo durante il dominio Longobardo si formarono le «regole», comunità familiari
che possedevano il territorio collettivamente. I Ladini tra Ortisei ed Ampezzo
disponevano di comunanze politiche già dal medioevo e fino nel pieno dell’era
moderna. Intorno all’anno 1000 il loro territorio era ancora sottomesso al dominio
ecclesiastico: Gardena e Badia con Livinallongo e Fassa ai vescovi di SabionaBressanone, Moena ai vescovi di Trento, Ampezzo ai patriarchi di Aquileia. La
sovranità ecclesiastica restò per i ladini un fattore determinante anche quando i Conti
del Tirolo nel 1250 esautorarono i vescovi: Gardena fu sottomessa ai tirolesi, ma la
curia di Bressanone mantenne l’alta signoria su Torre alla Gadera, Livinallongo e Fassa,
la restante Val Badia restò sottomessa al monastero di Castelbadia in Pusteria fino al
1785. Ampezzo rimase con il Patriarcato di Aquileia fino al 1420, poi passò sotto il
dominio di Venezia. Perdura fino ad oggi ininterrotto lo stretto contatto dei Ladini con
la Chiesa.
Nel 1500 la Contea del Tirolo, che già comprendeva vaste parti del Tirolo austriaco
odierno, del Sudtirolo e del Trentino, raggiunse quell’estensione che doveva conservare
fino al 1918. L’imperatore Massimiliano52, allora già principe del Tirolo, conquistò a
sud la sovranità su Ala, Mori e Brentonico e a nord quella su Kufstein, Kitzbühel e
Rattenberg. Nel 1511 Massimiliano tolse ai Veneziani anche il territorio di Ampezzo.
Gli Ampezzani dovettero rendere omaggio all’imperatore che nonostante, le richieste,
promise di rispettare la loro autonomia e le Regole. Ancora nel 1500 il ladino era molto
più diffuso di oggi: grandi parti del Sudtirolo odierno e del Trentino parlavano ancora
ladino, solo a partire dal 1600 l’uso della lingua si restrinse gradualmente fino ad
arrivare all’attuale estensione.
52
Massimiliano I d'Asburgo (Vienna, 22 marzo 1459 – Wels, 12 gennaio 1519) , figlio dell'Imperatore
Federico III e di Eleonora del Portogallo, fu imperatore austriaco del Sacro Romano Impero.
75
Con l’annessione di Ampezzo tutte le valli ladine erano sottomesse direttamente o
indirettamente (tramite il Principato di Bressanone) alla Contea del Tirolo. Dal 1803,
con la secolarizzazione dei principati vescovili, il Tirolo formò un’area di dominio ben
delimitata con capitale Innsbruck. Il Tirolo era un povero ma significativo territorio
della monarchia asburgica, il baluardo tra nord e sud, una piattaforma nel cuore
dell’Europa. Bressanone rimase la diocesi madre di gran parte dei Ladini. Nel 1789
anche Ampezzo passò con Bressanone, mentre nel 1818 Fassa e Gardena furono
aggregate alla sede vescovile di Trento; Gardena vi restò fino al 1964 e Fassa lo è
tuttora.
L’Austria plurinazionale riconobbe e promosse fondamentalmente la cultura e la lingua
dei suoi popoli. Nei singoli territori valeva la rispettiva lingua locale come lingua
ufficiale e l’insegnamento nella lingua madre era un dato di fatto. Il ladino delle valli
dolomitiche non fu tuttavia valorizzato come lingua propria e i ladini non furono
riconosciuti dalla statistica asburgica come popolazione a se stante. Perciò nelle scuole
fu insegnato l’italiano o il tedesco, il ladino servì però sempre come lingua ausiliaria.
Tuttavia tra i Ladini si sviluppò nel corso del 1800 un nuovo senso di aggregazione.
Esperienze vissute come le guerre del 1809, 1848, 1859, 1866 condotte assieme ai
tirolesi tedeschi ed italiani promossero l’identità ladina all’interno di quell’appartenenza
al Tirolo e agli Asburgo mai messa in discussione. Fallirono anche i tentativi di
tedeschizzare o italianizzare la Ladinia. Il sorgente nazionalismo italiano e tedesco tentò
certamente di costringere i ladini a stare in uno dei campi nazionali. Che ciò non sia
accaduto dà prova della forza d’animo e dell’indipendenza propria dei ladini.
Nella prima guerra mondiale la Ladinia si trovò al centro del fronte dolomitico. Tra il
1915 ed il 1917 numerose case fodome e ampezzane furono distrutte dai
bombardamenti. La Comune, dolorosa esperienza della distruzione come anche il
servizio militare negli Standschützen53 e nell’esercito regolare austriaco unì i ladini.
Oltre 1000 caduti ladini, due volte rispetto alla seconda guerra mondiale,
contraddistinsero la violenza omicida della guerra dolomitica.
L’11 Novembre 1919 il Consiglio comunale di Cortina deliberò che: «la popolazione
d’Ampezzo ha sempre addimostrato [...] in ogni occasione i leali sentimenti di fedeltà
verso l’alta casa d’Asburgo, in modo speciale in questi anni dell’immane pugna, ove
76
una terza parte della popolazione prese parte attiva per difendere il suolo austriaco e
prova del loro valore lo dimostrano le decorazioni che fregiano il petto di quasi tutti i
soldati ampezzani [...] che il paese addimostrò varie volte [...] il sentimento austriaco,
tenendo inoltre calcolo dell’importo favoloso che il Comune ed i privati d’Ampezzo
sottoscrissero al VII ed VIII prestito di guerra, nel mentre non può dare il voto per
l’avvenire del paese, perché non autorizzata dalla popolazione con plebiscito, la
rappresentanza comunale ritiene che i fatti fin d’ora addimostrati dagli Ampezzani siano
più che sufficienti per addimostrare l’attaccamento del paese verso il Tirolo ed aspetta
fiducioso la sorte che il patrio Governo ha riservato a questa fedelissima popolazione».
Sulla stessa lunghezza d’onda la dichiarazione del 17 Novembre 1919: «la
rappresentanza comunale all’unanimità delibera di chiedere che Ampezzo venga
aggregato amministrativamente all’Alto Adige ed incarica il Sindaco di far conoscere
tale punto di vista al Regio Governo [...]. Se Ampezzo sarà aggregato
amministrativamente all’Alto Adige starà molto meglio economicamente che se verrà
aggregato ad altra Provincia [...]. In ultimo il sindaco fa la proposta che, qualora il
Regio Governo dubitasse che la decisione presa dalla rappresentanza comunale [...] non
sia conforme al desiderio della gran maggioranza del paese, venga convocato un
plebiscito». Il concetto viene ribadito qualche mese più tardi e il 12 Aprile 1920 «Il
Sindaco chiede alla rappresentanza comunale se essa ritiene di riconfermare la
deliberazione 17 Novembre 1919 [...] la medesima, pienamente convinta di interpretare
i sentimenti della gran maggioranza della popolazione, ad unanimità riconferma nel
pieno suo tenore la deliberazione citata ed incarica il sindaco di spedire una copia del
presente verbale alle loro Eccellenze il Ministro Presidente Nitti, al comm. Salata ed
all’On. Credaro, Commissario Generale Civile per la Venezia Tridentina [...] Qualora il
R. Governo ritenesse che questa deliberazione non fosse conforme ai sentimenti della
popolazione d’Ampezzo [...] venga convocato un plebiscito [...] deliberazione presa
unicamente per salvaguardare l’interesse economico-commerciale ed amministrativo del
paese, senza alcuno scopo politico»
Quando nel 1919 il Tirolo del Sud e il Trentino passarono all’Italia, i rappresentanti
politici dei ladini si difesero assiduamente contro la separazione avendo poca fiducia nel
nuovo governo. Con ragione: il regime fascista contemplò le valli dolomitiche come
53
Tiratori scelti
77
primo oggetto dell’italianizzazione, esse ottennero già nel 1921 l’insegnamento nella
pura lingua italiana e furono suddivise tra il 1923/27 in tre province e due regioni:
Livinallongo, Colle Santa Lucia e Ampezzo furono inseriti in Provincia Di Belluno. I
ladini dolomitici annessi al Regno d’Italia con quest’ultima avevano ben pochi legami.
Fino alla prima guerra mondiale l’economia era maggiormente proiettata verso il mondo
di lingua tedesca: l’amministrazione era tirolese, il sistema legislativo e scolastico era
quello austriaco ed ai comuni veniva garantita un’ampia autonomia.
L’annessione
all’Italia significava perciò per i ladini del Sella il contatto con una realtà politica,
culturale ed economica del tutto diversa da quella vissuta sino ad allora, e perciò essi
tentarono di ristabilire con il mondo tedesco-tirolese questo contatto molto sentito,
nonostante essi avessero cominciato a rivendicare una propria particolarità etnico
linguistica nella seconda metà dell’800, con spinte anche autonomistiche.
I Ladini erano considerati dai fascisti non come allogeni, ovvero stranieri come i
sudtirolesi di lingua tedesca, ma come una variante interessante di italiani facile da
assimilare. L’opzione del 193954, alla quale anche i ladini furono obbligati, fu una
reazione all’oppressione fascista. Le ragioni che mossero i Ladini ad optare per la
Germania furono molteplici, ma solo in pochi casi di natura puramente ideologica. Solo
pochi Ladini abbandonarono la loro patria, poiché intuirono presto gli aspetti negativi
dell’opzione e del nazionalsocialismo. Tuttavia l’opzione rimase anche per i Ladini la
più difficile e pesante prova, una minaccia alla loro stessa esistenza come gruppo
linguistico.
Dopo il 1945 crebbe in ogni valle la speranza nell’unione di tutti i ladini dolomitici. Nel
1946 l’associazione «Zent Ladina Dolomites» manifestò in varie occasioni il suo
desiderio di unione. La politica nazionale invece decise di perpetrare la separazione per
indebolire ulteriormente il popolo ladino. Solamente nel 1951 in Provincia di Bolzano
furono finalmente riconosciuti come gruppo linguistico, benché nell’Accordo di Parigi
(Accordo De Gasperi – Gruber) del 1946, testo base delle autonomie di Bolzano e
Trento, non fossero stati menzionati.
Nel Sudtirolo fu fatta
54
La popolazione di madrelingua tedesca e ladina della Provincia di Bolzano, della zona mistilingue della
Provincia di Trento, dell’Ampezzano e della Val Canale furono, furono posti di fronte ad una scelta:
mantenere la cittadinanza italiana, e quindi restare nelle proprie case, ma rinunciando una volta per tutte
ad essere considerati tedeschi; oppure optare per la cittadinanza del Reich, accettando il trasferimento
oltreconfine e la liquidazione dei beni.
78
valere la tutela della lingua madre e della cultura ladina, e, con il secondo statuto di
Autonomia del 1972, anche i ladini residenti nella Provincia di Trento godettero di
sempre maggiore tutela. Ampezzo e Livinallongo, parte della Provincia di Belluno,
rimasero uniti agli altri ladini attraverso il legame ecclesiastico, facendo essi capo alla
Diocesi di Bressanone fino al 1964 quando, subendo il distacco dalla neonata Diocesi di
Bolzano-Bressanone, furono oggetto di un’ulteriore ingiustizia. Nonostante ciò non
mancarono i tentativi di costruire un legame amministrativo con gli altri Ladini: dal
1945 al 1948 Ampezzo e Livinallongo si impegnarono con tutti i mezzi a loro
disposizione a ritornare con la Provincia di Bolzano. Nella discussione in Assemblea
Costituente a proposito del disegno di legge costituzionale sullo Statuto Speciale,
l’Onorevole Luigi Carbonari55 sostenne che la zona ampezzana fu staccata da Trento
contro la volontà della popolazione del luogo per accontentare la gerarchia presente in
Provincia di Belluno, in quel clima ad Ampezzo vennero soppresse la rappresentanza
comunale e il commissariato civile. Secondo Carbonari, gli Ampezzani avevano diritto
al referendum per restituire alla Provincia di Trento un territorio che già gli era
appartenuto. Sempre in questo intervento venne sottolineato come era assurdo affermare
che questo distacco era per tutelare l’italianità della zona di Ampezzo quando anche i
Trentini combatterono per l’Italia. In conclusione chiese la restituzione della zona
ampezzana staccata da Trento. In risposta a questo intervento fu ricordato che per tale
decisione ci si debba rifare all’articolo 132 della Costituzione.
Nel 1947 il Consiglio comunale fece di nuovo un pressante invito al governo con
oggetto il ritorno e non l’annessione alla Regione Tridentina di cui questi territori fecero
parte per oltre 400 anni, l’assemblea deliberò «di chiedere, con la presente, al Ministero
dell’Interno che voglia riaggregare il Comune di Cortina d’Ampezzo alla Venezia
Tridentina o alla istituendo Regione del Trentino Alto Adige con la quale confina e
verso la quale convergono i suoi interessi economici, ristabilendo così la situazione
esistente prima del fascismo e di emanare quanto prima i relativi decreti.
Che il Ministero dell’Interno voglia interpretare la volontà della popolazione del
Comune di Cortina d’Ampezzo con un referendum, qualora la presente deliberazione
fosse ritenuta insufficiente per la dimostrazione del volere della popolazione». Queste
55
Luigi Carbonari (1880-1971) costituente della Democrazia Cristina dal 15 Luglio 1946 al 31 Gennaio
1948.
79
richieste non vennero accettate perchè a Cortina la popolazione autoctona perse potere a
favore degli immigrati, tanto che nel 1952 divenne Sindaco un albergatore milanese,
Mario Rimoldi che riuscì a farsi finanziare dal Governo due milioni e mezzo di lire per
ristabilire l’italinità nei territori dell’ampezzano. L’anno 1956, fu quello delle Olimpiadi
Invernali, le prime in Italia. A seguito di questo evento di richiamo internazionale la
popolazione di Cortina salì da 3500 a 9500 abitanti. Questo evento fu deleterio per la
ladinità di Ampezzo in quanto ci fu un crescente afflusso di immigrati, un’abbandono
del lavoro agricolo e una svendita del territorio, da quel momento in poi i Ladini sono
diventati
una
minoranza
nel
loro
territorio.
Ancora nel 1964, 1973 e 1977 il consiglio comunale di Livinallongo deliberò, purtroppo
senza successo, il ritorno con Bolzano.
È interessante segnalare che nel 1991 il Comune di Cortina d’Ampezzo deliberò a
riguardo di un’esame di proposta d’indizione di un referendum consultivo ai sensi
dell’articolo 41 dello statuto comunale per aggregare Cortina alla Provincia Autonoma
di Bolzano. Il referendum in oggetto non era quello previsto dall’articolo 132 della
Costituzione ma una consultazione prevista dallo statuto comunale, lo scopo era
conoscitivo, si voleva indagare se i cittadini di Cortina erano disposti all’avvio della
procedura referendaria per il distacco/aggregazione responsabilizzandone così quella
che sarebbe stata la scelta. L’altro scopo della seduta del Consiglio Comunale era quello
di impegnare la giunta affinchè predisponesse uno studio accurato per porre in evidenza
gli aspetti positivi e negativi di un’eventuale aggregazione al Trentino-Alto Adige, con
l’impegno successivo di dare ampia diffusione al documento. Una voce unanime
favorevole uscì da questa assemblea eccezion fatta per un consigliere comunale che
sosteneva l’inutilità di una tale inziativa perchè i capi dei partiti in maggioranza al
Governo avevano già espresso parere negativo ad un possibile cambio di Regione,
secondo il consigliere Lacedelli erano infatti altre le tematiche all’ordine del giorno per
Cortina. Al termine della seduta i voti favorevoli alla proposta referendaria furono 17 e
1 solo contrario pertanto il Comune deliberò l’indizione di un referendum consultivo
per verificare se i cittadini volevano l’avvio della procedura ex articolo 132 della
Costituzione. A breve fu anche assegnata ad uno Studio di Merano e ad un docente
dell’Università di Firenze il compito di effettuare uno studio su vantaggi e svantaggi del
passaggio al Trentino-Alto Adige.
80
Fino ad oggi l’Union Generela è il principale punto di riferimento per le comuni
richieste ladine. L’Autonomia promuove l’autocoscienza ladina, tant’ è che i censimenti
dal 1981 in poi dimostrano una costante crescita del gruppo ladino nella Regione
Trentino-Alto Adige. Ampezzo, Livinallongo e Col invece sono i soli comuni
dell’intero territorio ex-austriaco passato all’Italia nel 1919 a non beneficiare
dell’Autonomia, concessa invece all’Alto Adige, Trento e Trieste. Oggi in tutta Europa
è fortemente cresciuta la comprensione per le richieste e per il diritto d’esistenza dei
piccoli gruppi etnici. La riunificazione di tutti i Ladini delle Dolomiti e delle loro
particolari richieste rispecchierebbe questo spirito europeo. La decisione di Ampezzo e
Livinallongo di passare alla Regione del Trentino-Alto Adige sarebbe un primo passo
che apre la via a nuovi sviluppi. L’adeguamento alle autonomie di Bolzano e Trento in
ogni caso sarà graduale.
4.2 TAPPE CHE HANNO PORTATO AL REFERENDUM
La richiesta di indizione di iniziativa referendaria congiunta riguardante il territorio in
questione è stata presentata dall’ Union dei Ladis D’Anpezo56, dall’Union Ladins da
56
Cfr. http://www.dolomiti.org/ita/cortina/cc/ULDA/index.html
81
Fodom57 (Livinallango Del Col di Lana) e da Union Ladin da Col (Colle Santa Lucia) in
data 12/02/07 ai tre Comuni in questione.
Le tre associazione nel comunicato comune considerano che il loro spirito ha sempre
mirato all’unione delle valli ladine che dopo 420 anni di unione sono state separate nel
Gennaio 1923 per volere del regime fascista contro la volontà dei tre Comuni. Viene
ricordato inoltre che in base all’articolo 2 dell’accordo italo-tedesco, approvato a Roma
il 21 Ottobre 1939 dal governo fascista e dal governo tedesco, la zona in oggetto è stata
dichiarata «mistilingue» e dal Settembre 1943 alla fine del secondo conflitto mondiale è
stata unificata alla Provincia di Bolzano. Questa aggregazione è però durata ben poco
perchè alla fine della seconda guerra mondiale i tre Comuni sono stati nuovamente
unificati alla Provincia di Belluno ed alla Regione Veneto. Il 14 Luglio 1946 il
movimento Zent Ladinia Dolomites ha organizzato un grande raduno per chiedere la
riaggregazione del territorio alla Regione Trentino-Alto Adige, richiesta disattesa dalla
firma dall’accordo De Gasperi-Gruber che ha confermato la spartizione.
Successivamente i tre Comuni hanno chiesto per 4 quattro volte (1947, 1964, 1973,
1977) in modo congiunto o separato, l’aggregazione alla Regione Trentino-Alto Adige,
per motivi storici, economici e culturali. Le tre unioni richiedenti sottolineano inoltre la
disparità di trattamento che subiscono i ladini nelle due regioni confinanti.
La richiesta si conclude con la citazione dell’articolo 132 della Costituzione, secondo
comma, della legge n. 352 del 1970 e della sentenza della Corte Costituzionale
n.334/2004 e la richiesta alle Amministrazioni Comunali di indire una consultazione
referendaria congiunta nei tre Comuni per la riunificazione dei rispettivi territori alla
Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, ingiustamente separati a seguito della prima
guerra mondiale e, contro la volontà della popolazione, aggregati alla Regione Veneto.
Il Comune di Cortina d’Ampezzo ha discusso e deliberato a riguardo di tale richiesta
nella seduta straordinaria del Consiglio Comunale del 5 Aprile 2007.
La discussione si è articolata sull’intervento di tre consiglieri: Gianfrancesco Demenego
ha ricordato come già nel 1991 il Consiglio Comunale deliberò a favore di un’iniziativa
di distacco/aggregazione alla Provincia Autonoma di Bolzano ed auspica che a partire
da quel documento si possa effettuare un’analisi costi/benefici conseguenti ad
un’eventuale cambio di regione.
57
Cfr. http://www.ladins.it/ulf/consiglio_ulf.htm
82
Il Consigliere Luciano Dalus ha sostenuto che sia più opportuna un’azione Comune di
tutte le Province italiane per il riconoscimento dei diritti delle minoranze piuttosto che
singole azioni separate. Nonostante ciò ha dato il suo parere positivo all’iniziativa
affinchè i cittadini possano scegliere in modo cosciente.
L’Assessore Paolo Franceschi ha ritenuto invece importante recepire l’istanza dell’
ULDA58 perché rafforza l’esercizio della democrazia, consentendo ai cittadini di
esprimersi. Egli ha aggiunto che la difesa del proprio territorio e della propria identità
passa anche attraverso una attenzione costante ai tentativi di attacco che ci sono stati nel
passato e ci saranno in futuro; a tale proposito ha ricordato, i ricorsi sul PRG da parte di
alcuni privati, le problematiche delle aree rurali e delle zone alberghiere.
Particolare attenzione, continua Franceschi, dovrà essere prestata nella adozione del
P.A.T.59 e nella elaborazione del PTCP60 Provinciale che avrà connessioni importanti
sullo sviluppo degli impianti a fune e sui collegamenti con le valli vicine. L’Assessore
ha poi concluso dicendo che l’autonomia non va solo rivendicata ma costantemente
esercitata, qualunque sia la regione di riferimento.
A seguito della lettura della delibera da parte del Sindaco Giacomo Giacobbi si è svolta
la votazione che ha ottenuto 15 voti favorevoli su 15 consiglieri presenti. Il Consiglio
Comunale di Cortina d’Ampezzo ha così deliberato che avvierà le procedure
tecnico/amministrative affinchè venga indetto un referendum popolare ai sensi
dell’articolo 132 della Costituzione. Il testo che verrà sottoposto in tale consultazione è
il seguente: «Volete che il territorio dei Comuni di Cortina d’Ampezzo, Livinallongo
del Col di Lana e Colle Santa Lucia sia separato dalla Regione Veneto per entrare a far
parte integrante della Regione Trentino Alto Adige? ». Verrà presentata la richiesta di
legittimità all’Ufficio centrale per il referendum e verrà dato atto alla richiesta attraverso
le delibere dei Consigli Comunali interessati, non essendo previsto nessun altro
Unione dei Ladis d’Anpezo
Piano di assetto del territorio. La pianificazione urbanistica comunale si esplica mediante il Piano
Regolatore comunale che si articola in disposizioni strutturali, contenute nel Piano di Assetto del
Territorio (P.A.T.) e in disposizioni operative conenute nel Piano degli Interventi (P.I.).
Il Piano di Assetto del Territorio, in particolare, è lo strumento che ricomprende e coordina i piani
settoriali e di area vasta nonchè rileva i vincoli sovraordinati anche in materia ambientale e paesaggistica.
60
Piano territoriale di coordinamento Provinciale. Il P.T.C.P. è lo strumento di pianificazione che delinea
gli obiettivi e gli elementi fondamentali dell’assetto del territorio Provinciale in coerenza con gli indirizzi
per lo sviluppo socio-economico Provinciale, con riguardo alle prevalenti vocazioni, alle sue
caratteristiche geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche, paesaggistiche ed ambientali.
58
59
83
documento da presentare come previsto dalla sentenza n. 334 del 2004 della Corte
Costituzionale.
Il Consiglio Comunale ha poi nominato due delegati: uno effettivo ed uno supplente,
rispettivamente nelle persone di Bruno Dimai e di Siro Bigontina al fine del deposito,
presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, della richiesta del referendum nonché di
quant'altro sia necessario e utile al buon esito della procedura referendaria.
Il 19 Aprile 2007 il Comune di Livinallongo del Col di Lana ha deliberato anch’esso a
riguardo della suddetta richiesta presentata dalle associazioni ladine prima citate con 12
voti favorevoli su 12 presenti e votanti. Il Comune in questione così come Cortina ha
deliberato
a
riguardo
dell’avvio
delle
procedure
tecnico-amministrative,
dell’approvazione del testo, della trasmissione della richiesta all’Ufficio centrale per il
referendum e della nomina di un delegato effettivo e di uno supplente nelle persone di
Bruno Dimai e di Siro Bigontina.
Il 20 Aprile è stata la volta del Comune di Colle Santa Lucia a deliberare riguardo della
richiesta d’indizione di referendum e l’esito è stato la medesima delibera approvata
dagli altri due consigli comunali all’unanimità.
Nei due mesi successivi è stato ottenuto il via libera da parte della Corte di Cassazione e
sulla «Gazzetta Ufficiale» del 20 Agosto 2007 è pubblicato il decreto del Presidente
della Repubblica sull’indizione del referendum. Gli elettori chiamati alle urne saranno
5195 a Cortina, 1235 a Livinallongo e 404 a Colle Santa Lucia, affinché il referendum
venga approvato saranno necessari 3418 voti favorevoli pari al 50% più uno degli aventi
diritto.
Sull’onda di entusiasmo portata dalla fissazione della data del referendum si registra la
nascita, avvenuta a Luglio di un’associazione denominata «Amisc da Ladinia Unida»61.
Quest’associazione gode dell’appoggio dei sindaci della Val Badia e del sindaco di
Selva di Val Gardena, lo scopo dell’associazione è l’appoggio totale al sostegno del
referendum in oggetto.
L’associazione sostiene come sia di fondamentale importanza auspicare una
riunificazione di tutte la anime ladine che nel periodo fascista hanno subito una
tripartizione e da allora non sono state più riunificate. Gli scopi sono: garantire la
peculiarità linguistica e culturale, coordinare le relazioni tra le varie valli ladine e creare
61
Amici della Ladinia Unita
84
una rete di relazione con i sindaci del territorio in questione e con i vari partiti. La Svp 62
ha già garantito il suo appoggio.
Il cammino verso il referendum è stato segnato da altri eventi da segnalare. Nei primi
giorni di Settembre è emersa la posizione del Sindaco di Belluno e di alcuni giuristi a
proposito di una possibile incostituzionalità del referendum. La critica poggia sul fatto
che il referendum, in base a quanto scritto nell’articolo 132 debba essere svolto in ogni
singolo Comune che deve avere la possibilità di esprimersi. La consultazione in oggetto
è invece intesa da svolgersi nel territorio di tutti e tre i Comuni contemporaneamente,
sommando la popolazione di ogni Comune per il computo finale del quorum e del
conseguente risultato. Questo vizio d’incostituzionalità non è stato rilevato dalla Corte
di Cassazione che ha invece dato il via libera.
Il 12 Ottobre 2007 il Gruppo Progetto Referendum nella persona di Eddy Demenego ha
inviato una lettera aperta al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano intitolata:
«Giustizia per il popolo Ladino delle Dolomiti» perchè «riteniamo che soltanto il
Presidente della Repubblica abbia il potere e la sensibilità di accogliere un così accorato
appello: riunire finalmente la popolazione ladina nella propria unica Provincia di
appartenenza»63. La lettera parte dalla spiegazione delle vicissitudini storiche che hanno
attraversato il popolo dei ladini dal primo conflitto mondiale al 1923 quando il Sud
Tirolo appena passato all’Italia fu diviso in tre Province e due Regioni contrariamente a
quanto previsto dal Trattato di Saint Germain64. Questa fu la fine dell’unità socioculturale, amministrativa e linguistica che durava da molto nel popolo ladino che è
l’ultima popolazione autoctona ancora rimasta. Vengono poi elencati i vari tentativi
falliti che vennero attuati per riunire queste popolazioni al Trentino-Alto Adige. Le
imposizioni del regime fascista e la negazione di ogni libertà non allineata con il
regime.
Nella lettera si legge poi che anche con il ritorno della democrazia dopo la seconda
guerra mondiale non si riuscì a riunificate il territorio ladino all’interno di un’unica
Regione, di tale negazione si vantò il Senatore Paolo Emilio Taviani, vice-segretario
nazionale della Democrazia Cristiana affermando che: «[…] la proposta della
62
Südtiroler Volkspartei
Cit. da Giustizia per il popolo ladino delle Dolomiti, lettera al Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano, Cortina d’Ampezzo , 12 Ottobre 2007 in
http://www.amiscdlaladinia.info/index.php?option=com_content&task=view&id=300&Itemid=2
64
Cfr. http://www.itcbz.it/didattica/archivio/trilinguismo/sgermain.htm
63
85
restituzione di Cortina alla Provincia di Bolzano giunse in aula sostenuta da una larga
parte della DC su iniziativa dei trentini… su questo tema m’intestardii. Misi insieme
una decina di deputati democristiani miei amici che vigilavano in aula e mi avvertivano
al momento dei voti. Insieme votammo con le sinistre e con la destra contro la proposta
democristiana. Cortina rimase così nella Regione veneta»65. Questa presa di posizione è
definita nella lettera come «inqualificabile» e ha segnato nuovamente una condanna alla
divisione del territorio ladino.
La lettera si conclude con l’auspicio che dopo 50 anni questa possibilità sia sfruttata
veramente a pieno e che si possa intraprendere la strada che pur lunga porti alla
riunificazione dei Ladini, la richiesta che viene fatta al Presidente e quella di rendere
giustizia al popolo ladino, che dopo 90 anni di attesa vuole ritornare nella propria
Provincia.
Le successive dinamiche di relazione tra i vari attori coinvolti verranno affrontate più
avanti.
Il 28 e il 29 Ottobre sì è svolto il referendum, il raggiungimento del quorum era già
obiettivo realizzato al termine della prima giornata di consultazione che ha visto la
percentuale di votanti superare di poco il 55%.
Il 29 Ottobre lo scrutinio ha dato il seguente esito: 3.847 voti favorevoli (78,86%) e 989
voti contrari (20,28%). Il referendum è stato dichiarato valido in quanto il numero di
risposte affermative ha superato la metà più uno (3.847 voti) degli aventi diritto al voto
(6.828 iscritti nelle liste elettorali). A Cortina d’Ampezzo i voti favorevoli sono stati
2.788 (76,53%) e i voti contrari 829 (22,76%), a Livinallongo Del Colle di Lana sono
stati espressi 834 voti favorevoli (86,43%) e 119 voti contrari (12,33%) infine a Colle
Santa Lucia le risposte affermative sono state 225 (83,33%) e le risposte negative sono
state 41 (15,19%).
La procedura costituzionale prevede che venga poi presentato un disegno di legge dal
Governo al Parlamento che abbia l’approvazione formale delle due Regioni coinvolte
prima di essere discusso e votato.
Questo disegno di legge non è ancora stato presentato nonostante siano passati più di 60
giorni dall’esito positivo del referendum, l’idea è stata solo abbozzata ed è stato
65
Cit. da Paolo Emilio Taviani, Politica a memoria d’uomo, Il Mulino, Bologna 2002, pp. 283-284
86
predisposto un disegno di legge dal Governo Prodi da cui si potrebbe ripartire con
l’inizio della nuova legislatura che si aprirà nell’Aprile 2008.
4.3 IL PASSAGGIO ALLA PROVINCIA AUTONOMA DI
BOLZANO: QUALI PRIVILEGI?
La Regione Trentino-Alto Adige, essendo come già detto Regione a Statuto speciale
gode di alcuni privilegi specifici e peculiarità in diversi campi.
87
All’interno di questo statuto speciale sono previste condizioni particolari di autonomia
per la Provincia Autonoma di Bolzano, parificabili alle peculiarità delle altre Regioni a
Statuto speciale.
Lo statuto entrato in vigore nel 1972 prevede inoltre alcune disposizioni di tutela nei
confronti delle minoranze linguistiche ladina e tedesca.
Le disposizioni dello statuto sono state emanate in seguito agli accordi presi con il
Trattato di Parigi del 1946 (Trattato De Gasperi-Gruber) e nel pacchetto elaborato negli
anni ’60.
Sono competenze legislative primarie della Provincia Autonoma di Bolzano:
toponomastica (con obbligo di bilinguità), tutela e conservazione del patrimonio
artistico, storico e popolare, usi e costumi locali e culturali, manifestazioni ed attività
artistiche, educative e culturali, urbanistica, usi civici, ordinamento dei masi chiusi e
delle comunità familiari rette da antichi statuti e consuetudini, apicoltura e parchi per la
protezione della flora e della fauna, turismo e industria alberghiera, i portatori alpini e i
maestri con le loro scuole di sci, caccia, pesca, agricoltura, scuola materna ed
addestramento professionale.
Per l’esercizio delle suddette competenze la provincia deve rispettare solo ed
esclusivamente gli obblighi derivanti dalla Costituzione e gli obblighi comunitari ed
internazionali.
Sono competenze legislative di tipo secondario: polizia locale, istruzione elementare e
secondaria, commercio, apprendistato, libretti di lavoro, categorie occupazionali,
costituzione e funzionamento delle commissioni comunali e Provinciali di controllo sul
collocamento, pubblica sicurezza negli spettacoli pubblici, esercizi pubblici, incremento
della produzione industriale, utilizzazione delle acque pubbliche, igiene e sanità
comprese l’assistenza sanitaria ed ospedaliera, attività sportive e ricreative con relativi
impianti ed attrezzature.
Da un punto di vista fiscale, alla Provincia Autonoma di Bolzano vengono attribuiti i
nove decimi dei seguenti tributi riscossi sul territorio: Irpef66, Ires67, l’imposta di
registro e la tassa di circolazione, l’imposta di fabbricazione sulla benzina, sugli oli da
gas per autotrazione e sui gas petroliferi liquefatti per autotrazione.
66
67
Imposta sul reddito delle persone fisiche
Imposta sul reddito delle società
88
Inoltre può godere di sette decimi dell’Iva riscossa sul territorio e di tutte le imposte
statali sull’energia elettrica. In ultimo, dal punto di vista fiscale, lo Statuto prevede una
quota variabile assegnata annualmente al bilancio Provinciale, facente parte delle spese
dello stato per la restante parte del territorio nazionale negli stessi settori di competenza
della Provincia.
Passando poi alla tutela delle minoranze linguistiche esistono specifiche tutele da un
punto di vista istituzionale. Nelle giunte comunali ogni gruppo linguistico ha diritto ad
essere rappresentato se ha almeno due rappresentanti in consiglio comunale. La legge
elettorale Provinciale deve garantire la presenza e la rappresentanza della minoranza
ladina. La composizione della giunta Provinciale deve essere proporzionata alla
presenza numerica all’interno del consiglio Provinciale, la rappresentanza del gruppo
ladino in giunta può essere riconosciuta anche in deroga alla proporzionale68.
Lo statuto garantisce inoltre che i posti dei ruoli delle amministrazioni civili dello stato
vengano coperti in proporzione alla consistenza dei tre gruppi linguistici, quale risulta
dalle dichiarazioni di appartenenza rese in occasione del censimento ufficiale della
popolazione che avviene ogni 10 anni. Questa è la cosiddetta proporzionale. La
proporzione riservata ai singoli gruppi è generalmente commisurata alla loro
consistenza demografica sul territorio di un ente, ossia sul territorio in cui un ente
svolge la sua funzione. A livello Provinciale e per l’ente Provincia la ripartizione
proporzionale corrisponde alla consistenza dei tre gruppi accertata con dichiarazione ed
aggregazione (di chi non è italiano, tedesco o ladino) all’ultimo censimento (2001) che è
la seguente: 69,15% tedeschi, 26,47 % italiani e 4,37 % ladini. Negli otto comuni ladini
la percentuale del gruppo ladino va dal 82 % (Ortisei) al 97 % (La Valle). Le
amministrazioni locali dello stato, la Provincia e talune aziende di servizi (poste,
ferrovie, INPS) seguono la proporzionale Provinciale, i comuni, i comprensori, i vari
consorzi, le aziende seguono la proporzionale commisurata al loro territorio di
appartenenza o di competenza.
Con l’eventuale passaggio di Cortina, Livinallongo e Colle, la dimensione del ceppo
ladino aumenterebbe e questo potrebbe portare un nuovo equilibrio nelle suddivisioni.
In termini di tutela della minoranza ladina possiamo parlare anche del DPR n.574/1988
che prevede che i cittadini di lingua ladina possono utilizzare la loro lingua nei rapporti
68
Cfr. p. 55
89
orali o scritti con i seguenti pubblici uffici: uffici della pubblica amministrazione, enti
locali e uffici scolastici, uffici della Provincia che svolgono funzioni nell’interesse delle
popolazioni ladine, concessionarie di servizi pubblici per i ladini e con i giudici di pace
competenti per le località ladine. Il fatto che le minoranze linguistiche possano usare la
loro lingua nei pubblici uffici presuppone che i dipendenti pubblici dei suddetti uffici
sappiano usare le tre lingue, le conoscenze delle lingue vengono accertate da un esame.
Gli esami che accertano la conoscenza di una lingua tra l’italiano e il tedesco sono
articolati su quattro gradi di difficoltà in base al titolo di studio richiesto per quel
determinato impiego: dottorato (A), maturità (B), licenza media (C), nessun titolo (D).
Tutti gli esami si articolano in una prova orale e in una scritta, tranne per il il livello D
per il quale è richiesta solo la prova orale. La commissione d’esame è composta
pariteticamente da membri di lingua italiana e da membri di lingua tedesca. La
conoscenza della lingua ladina è invece accertata da un solo esame orale, l’esame scritto
viene svolto solo per mansioni elevate, la commissione è composta da quattro membri
del ceppo ladino.
Le disposizioni in uso per quanto riguarda il trilinguismo verranno applicate
gradatamente in base a leggi di attuazione in caso di esito positivo dell’intero processo
di distacco/aggregazione di Cortina d’Ampezzo, Livinallango Del Col di Lana e Colle
Santa Lucia.
Interessante segnalare altri tre privilegi di cui godrebbero i tre Comuni in questione:
contributo Provinciale per l’uso della lingua ladina, è un contributo che viene elargito ai
comuni ladini dell’Alto Adige per compensare il maggior lavoro dovuto all’impiego
anche della lingua ladina. Nel 2007, tale contributo ammontava complessivamente a
200.000,00 € ca. Indennità di trilinguismo per i dipendenti pubblici: tale indennità varia
a seconda della qualifica e della mansione svolta, in ogni caso si tratta di un importo
notevole in aggiunta allo stipendio normale. Per i ladini della Provincia di Bolzano
inoltre operano un Istituto Culturale Ladino, un’Intendenza Scolastica, un Istituto
Pedagogico Ladino, nonché un Museo Provinciale Ladino con budget a parte e
personale Provinciale.
Per quanto riguarda l’amministrazione pubblica il processo di trasformazione della
Regione in due Province Autonome è iniziato con lo statuto del 1972. Recentemente si è
90
compiuto con il trasferimento a questi enti di quasi tutte le funzioni legislative ed
amministrative.
La Regione è un quadro federale delle due province, governato dalle entrambe e dotato
di compiti e mezzi assai limitati, fra cui l’ordinamento dei comuni, il sostentamento
delle minoranze linguistiche e dell’integrazione europea, nonché i giudici di pace.
I due consigli Provinciali vengono eletti ognuno con le proprie leggi elettorali, il
bilancio della Regione raggiunge solo il 10% di quello delle Province. I poteri delle
Province Autonome sono di gran lunga maggiori di quelli delle Regioni a statuto
ordinario e la suddivisione dei poteri con la Regione a statuto speciale è chiara, è invece
in via di definizione la spartizione dei poteri tra Province e Comuni.
Distinguere le competenze Provinciali da quelle comunali e di altri enti locali non è
facile in mancanza di una separazione formale generale e a causa delle numerose
situazioni di concorrenza e promiscuità. La Provincia fa il suo piano generale di
sviluppo e i piani di settore; il Comune approva nel rispetto dei piani Provinciali i suoi
piani urbanistici generali e di attuazione soggetti in buona parte ancora ad approvazione
da parte della Provincia; la Provincia approva e finanzia i maggiori lavori pubblici
comunali;
ovviamente
anche
il
Comune
fa
la
sua
parte
di
iniziativa,
progettazione,esecuzione; taluni istituti sono formalmente autonomi, decidono in
proprio sull’organizzazione e l’attività da svolgere, ma il personale e le finanze vengono
gestite dalla provincia; altri enti viceversa sono Provinciali, ma funzionano come enti
locali autonomi.
Le competenze dei Comuni in Provincia di Bolzano sono all’incirca le stesse degli altri
Comuni d’Italia: anche lì sono state introdotte l’autonomia statutaria, l’elezione del
sindaco, la distribuzione di competenze ecc.
Il finanziamento dei Comuni è basato su ICI, pubblicità, addizionale su IRPEF-IRPEG e
energia (se introdotta), patrimoniali-vendite ed affitti, contributi edilizi, di costruzione
ed urbanizzazione, corrispettivi (tasse) per forniture e servizi (acqua, gas, energia,
rifiuti.). Tutte le altre entrate provengono dal bilancio Provinciale, nel quale debbono
entrare le assegnazioni dello stato (il 90% delle imposte riscosse in Provincia) e
dell’Unione Europea. In base alla legge Provinciale sulla finanza locale ai comuni spetta
un finanziamento adeguato per l’esercizio delle loro funzioni. Il finanziamento effettivo
complessivo e la sua distribuzione fra i comuni ed i comprensori comunali avviene in
91
base ad apposita contrattazione fra il presidente della Provincia ed un’apposita
delegazione dei comuni.
In conclusione possiamo elencare altri tre settori dove il territorio ladino in oggetto
potrebbe godere di vantaggi. Nel campo dell’agricoltura, vista la capacità dell’Alto
Adige di mantenere masi in territori di difficile conformazione territoriale e di
conseguenza la capacità di mantenere comunità anche piccole senza creare squilibri
sociali. Secondo settore è quello dei servizi sociali che sono molto ben distribuiti ed
organizzati. Terzo ed ultimo è quello della cultura popolare utile al mantenimento delle
tradizioni e degli stili senza discriminazioni.
Questi vantaggi sono certamente sostenuti dal fatto che la popolazione della Provincia
di Bolzano conta mezzo milione di unità mentre invece la popolazione della Regione
Veneto è di 4.500.000 abitanti.
4.4 ATTORI COINVOLTI
L’iniziativa referendaria messa in atto a Cortina e tutte le iniziative istituzionali e non
che fanno da contorno e da sostegno hanno coinvolto un numero non indifferente di
attori istituzionali, non-istituzionali e politici.
92
Gli attori istituzionali coinvolti sono: il Sindaco di Cortina d’Ampezzo Andrea
Franceschi, favorevole all’iniziativa ma mai attivo in prima persona per la campagna
referendaria del sì al referendum, attento invece alla tutela del proprio Comune nei
confronti della Regione Veneto e al dialogo con la Provincia Autonoma di Bolzano.
I sindaci dei due Comuni limitrofi coinvolti nel processo di distacco-aggregazione:
Gianni Pezzei (Livinallongo del Colle di Lana) e Paolo Frena (Colle Santa Lucia).
Il Presidente della Provincia di Belluno Sergio Reolon, dimostratosi in più occasioni
contrario alla proposta, il Sindaco della Città di Belluno Antonio Prade che ha
appoggiato la proposta con senso di delegare al popolo la scelta in modo democratico.
I due attori istituzionali maggiormente coinvolti nella vicenda sono stati il Presidente
della Regione Veneto Giancarlo Galan, fervido oppositore della proposta di referendum
con diverse motivazioni e iniziative che vedremo più avanti e il Presidente della
Provincia Autonoma di Bolzano, Luis Durnwalder, che pur dovendo essere interessato
solo passivamente alla questione, ha più volte espresso i suoi pareri e le sue convinzioni
chiaramente e direttamente.
Sono poi intercorsi pareri occasionali sulla questione da parte di alcuni membri del
Governo Prodi: Romano Prodi (Presidente del Consiglio), Rosi Bindi (Ministro per la
famiglia) e Linda Lanzillotta (Ministro degli affari regionali). Al Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano sono poi state indirizzate due lettere.
Gli attori non istituzionali cui facciamo maggiormente riferimento sono per la maggior
parte localizzati nel territorio cosiddetto ladino a cavallo del confine tra Trentino-Alto
Adige e Veneto. L’«Unione de i Ladis d’Anpezo», l’«Union Ladins da Fodom» e
l’«Union Ladign da Col», sono le tre associazioni che che nelle persone dei loro
Presidenti, rispettivamente Elsa Zardini, Cristina Lezuo e Paola Agostani hanno
richiesto l’indizione della consultazione referendaria. Insieme a loro si sono battuti Siro
Bigontina Titoto, coordinatore del Comitato Referendario e Eddy Demenego del
Gruppo Progetto Referendum.
Presente ed attivo a Cortina d’Ampezzo è stato anche il Comitato per il no.
Altro attore non istituzionale che ha sottolineato in più di un’occasione le sue istanze è
stata l’unione delle «Regole d’Ampezzo»69, nella persona del proprio presidente Cinzia
Ghedina, in questa associazione si riuniscono tutti i discendenti delle famiglie storiche
69
Cfr. http://www.regole.it/
93
di Cortina d’Ampezzo con lo scopo di regolamentare il rapporto tra l’uomo e la natura e
un utilizzo lungimirante del territorio finalizzato al benessere della popolazione
Ampezzana.
Anche alcuni autorevoli giornalisti, scrittori e docenti universitari di diritto hanno
espresso il loro parere sulla proposta.
Numerosi attori politici esponenti delle principali correnti partitiche hanno espresso il
loro parere di sostegno o di opposizione al processo in oggetto.
Un’elemento di novità nell’analisi degli attori coinvolti e delle loro posizioni è
riscontrabile nella cabina di regia denominata «Unione dei Comuni referendari»
composta inizialmente dai Comuni di Sovramonte ed Asiago e successivamente da
Cortina d’Ampezzo.
4.5 LE POSIZIONI DEGLI ATTORI E LE LORO
DINAMICHE DI RELAZIONE
Posizione
CONSENSO NON
NEUTRALITÁ
CONSENSO
94
Attori
Sindaco di
ATTORI
ISTITUZIONALI Livinallongo
del Col di
LOCALI
Lana Gianni Pezzei
Sindaco di
Colle Santa
Lucia Paolo Frena
Presidente
della
Provincia
Autonoma di
Bolzano ATTORI
ISTITUZIONALI Luis
Durnwalder
NAZIONALI
Presidente
della
Provincia –
Sergio Reolon
Sindaco di
Cortina
d’Ampezzo Andrea
Franceschi
Presidente
della Regione Sindaco della
Veneto Città di Belluno
Giancarlo
- Antonio Prade
Galan
Presidente del
Consiglio Romano Prodi
Ministro per
gli affari
regionali Linda
Lanzillotta
Presidente della
Repubblica Giorgio
Napolitano
Ministro per
la famiglia Rosi Bindi
Union de i
ATTORI NON
ISTITUZIONALI Ladis
d’Anpezo
Union Ladins
da Fodom
Unione Regole
D’Ampezzo
Comitato dei
perplessi
Union de i
Ladin da Col
95
Coordinatore
del Comitato
Referendario
- Siro
Bigontina
Titoto
Gruppo
Progetto
Referendum Eddy
Demenego
ATTORI
POLITICI
Lega Nord Sen. Sergio
Divina
Forza Italia Sen. Michela
Biancofiore
Udc – Marco da
Rin Zanco
(segretario
Provinciale)
A) ATTORI ISTITUZIONALI
Il Sindaco di Cortina Andrea Franceschi sì è sempre detto convinto che l’iniziativa
referendaria fosse un metodo democratico atto a permettere che i cittadini si esprimano
su un territorio che li riguarda in prima persona. Secondo le previsioni del Sindaco il
quorum sarebbe stato raggiunto con facilità perché «non ci sono ferie e tanti rientrano
dall’estero per essere presenti alle festività del 2 Novembre»70.
70
Cit. da Ezio Danieli, Durnwalder: «Sì a Cortina in Alto Adige», in Alto Adige, 28-06-2007
96
La posizione di Franceschi a riguardo del referendum è arrivata poche ore prima
dell’apertura dei seggi per il referendum, egli ha affermato che: «è difficile credere che
oggi, sette anni dopo il Duemila, in un mondo in cui i confini si allentano e in cui le
porte si aprono sia così determinante, così vitale passare semplicemente da una
Provincia ad un’altra[...] Eppure, “di là”, a pochi chilometri da noi, le cose, per molti
aspetti funzionano davvero diversamente: il problema casa non è […] un problema così
insormontabile come lo è invece a Cortina, la conseguente perdita di residenti non ha
ragione di esistere e i giovani […] Beh, i giovani non hanno motivo di andare via.
Quanto alla Regione Veneto, durante questi mesi ho potuto toccare con mano la
disponibilità e l’attenzione che ha rivolto e rivolge nei confronti di Cortina e delle sue
molteplici problematiche. Comunque vada a finire ritengo che dovremo ringraziare i
promotori di questo referendum, Siro Bigontina ed Elsa Zardini in primis, perché hanno
acceso le luci sul malessere della montagna e non solo su quello di Cortina. Chi non
conosce la nostra realtà è portato a credere che siamo tutti ricchi e che il nostro tenore di
vita sia uguale a quello di chi a Cortina possiede la seconda o la terza casa […] Non è
cosi! Chi ha la fortuna di avere un appartamento di proprietà diventa ricco
esclusivamente nel momento in cui la vende e si trasferisce […] Mi auguro che i politici
di livello istituzionale superiore colgano il messaggio forte che comunque vada sarà
partito da Cortina e si impegnino a realizzare una vera politica di sviluppo socio
economico per la montagna: residenzialità, turismo, viabilità, politiche agricole […]Non
ha senso rimbalzarsi le responsabilità a vicenda e per questo motivo mi rivolgo
direttamente alle massime cariche dello stato, al Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano e al Presidente del Consiglio dei Ministri On. Romano Prodi: ascoltateci e
soprattutto aiutateci! E’ necessario che ognuno di noi faccia la sua parte, lavorando ad
un progetto di ampio respiro, che potrebbe concretizzarsi nella creazione di una grande
Provincia
dolomitica
con
una
sua
specificità
riconosciuta
o
quantomeno
nell’introduzione di un vero federalismo fiscale. I primi a dare un segnale forte dovremo
essere proprio noi, i politici locali, abbandonando definitivamente il tradizionale
campanilismo e iniziando a guardare oltre il nostro singolo orticello: dobbiamo
concentrarci sui veri problemi della nostra gente e iniziare a risolverli lavorando fianco
a fianco. Quanto al voto di domenica prossima l’Amministrazione che ho l’onore di
rappresentare rimarrà super partes, consapevole del fatto che ha il dovere etico di non
97
influenzare i cittadini e che rappresenta tutti, sia coloro che sono per il “si”, sia coloro
che sono per il “no”. Pertanto il messaggio che voglio dare a tutti i miei concittadini è di
andare a votare: recatevi alle urne ed esprimete in maniera chiara la vostra decisione. E’
giusto sfruttare l’opportunità democratica del voto che ci viene offerta ed è auspicabile
che il risultato sia l’espressione della volontà di tutti. Recarsi ai seggi è segno di rispetto
e di senso civico, e sono sicuro che daremo prova anche in questa occasione di grande
maturità.
[…]E’ da noi, dal nostro senso di appartenenza” a Cortina, dalla consapevolezza degli
errori commessi nel passato che si deve ripartire per andare oltre. Indipendentemente
dall’esito delle urne, indipendentemente dalle cifre o dalle percentuali, Cortina deve
dimostrare di essere, ora più che mai, unita. “Unita” nella propria diversità: ampezzani
e cortinesi, cortinesi e ampezzani, tutti vogliamo il bene del nostro paese, tutti crediamo
nel futuro del nostro paese. Ritengo che questo sia il pensiero che sempre, ora domani e
dopo […] domani, ci deve accompagnare e, soprattutto, rassicurare. A partire da lunedì
sera, vada come vada, chi ha veramente a cuore il futuro di Cortina avrà il dovere
morale di lavorare fianco a fianco anche con chi la pensava diversamente da lui»
Franceschi ha quindi ribadito il concetto che è democraticamente corretto che i cittadini
vadano a votare esprimendo la loro idea su queste tematiche che li riguardano da vicino.
Il Sindaco ha quindi sottolineato l’importanza del confronto con la limitrofa Regione a
statuto speciale che ha risolto problemi come quelli del costo della casa che hanno come
conseguenza lo spopolamento della città e la fuga dei giovani. La Regione Veneto è
attenta a questa problematica e il Sindaco ha più volte auspicato di voler portare
all’attenzione delle più alte cariche dello stato, anche grazie al richiamo mediatico che
avrà il referendum, le problematiche di Cortina. Questa opera di sensibilizzazione ha
come scopo quello dell’attuazione del federalismo fiscale e quindi di un maggiore
trasferimento da parte dello Stato alla Regione Veneto in termini economici. Il primo
cittadino di Cortina ha quindi affermato che se si realizzasse questo processo e cioè le
tasse pagate dai cortinesi tornassero indietro attraverso i servizi, i cittadini potrebbero
toccare in modo tangibile l’utilità del pagare le tasse71.
Sull’identità ladina poi il Sindaco ha chiarito che i cortinesi sono attaccati alle tradizioni
culturali ma che tutti vogliono il bene del proprio paese.
71
Cfr. Gli italiani sono avidi?, Otto e Mezzo (LA 7), Puntata del 31/10/2007
98
Il Sindaco di Livinallongo del Col di Lana coinvolto assieme a Cortina nel referendum
del 28/29 Ottobre 2007 ha dichiarato anch’esso, poche ore prima del voto di essere a
favore del sì alla consultazione, egli pur avendo sempre invitato gli elettori ad andare a
votare non aveva mai espresso chiaramente la sua posizione anche se la sua posizione è
sempre stata in contrasto con la Regione Veneto. Le motivazioni vanno in piena
sintonia con le motivazioni che hanno portato le tre associazioni ladine a richiedere la
consultazione anche se i privilegi economici che ci saranno cambiando Regione non
sono da sottovalutare.
Paolo Frena, Sindaco di Colle Santa Lucia è stato il primo a schierarsi apertamente per
il sì al referendum, dichiarando di aver partecipato attivamente alla campagna
referendaria.
Al termine di questo resoconto delle tre principali figure istituzionali dei Comuni
coinvolti possiamo registrare una sostanziale comunità di intenti e di vedute sul
referendum e sulle motivazioni che ne hanno motivato l’indizione, l’unico distinguo è
quello ampiamente motivato e comunque non in opposizione espresso dal Sindaco
Franceschi.
Il Sindaco del capoluogo di Provincia (Belluno), sì è mosso con rispetto per
un’iniziativa di rappresentanza territoriale degli interessi in attesa di quello che sarebbe
successo. È importante secondo Prade che venga utilizzato uno strumento di democrazia
previsto dalla Costituzione e si dice vicino ai sindaci dei Comuni che hanno voluto
intraprendere questa strada in attesa dei futuri sviluppi della questione in sede
parlamentare. Prade ha poi definito riferendosi alla posizione della Provincia di Belluno
a riguardo di Lamon un’«evidente errore politico nel favorire un processo di
disgregazione»72 perché è necessario avere una comunità d’intenti per potere risolvere i
problemi di una Provincia di confine, precaria dal punto di vista socio-economico e con
una scarsa identità comune dovuta alla forza delle tradizioni storiche locali.
Il Presidente della Provincia di Belluno Sergio Reolon, in data 18 Agosto 2007 ha
scritto una lettera al Presidente della Repubblica in cui si dice preoccupato per le
tendenze da lui definite secessionistiche di alcuni comuni veneti ed in particolare in
Provincia di Belluno: Lamon, Sovramonte, Cortina d’Ampezzo, Livinallongo e Colle.
Reolon in particolare nella lettera afferma: «Mi permetto pertanto di richiamare
72
Cit. da: Evidente errore politico nel favorire un processi di disgregazione, Il Gazzettino, 26-08-2007
99
ulteriormente il Suo sguardo sui rischi di disgregazione che oggi gravano sul nostro
futuro politico-economico e sociale e, in particolare, su quello della Provincia di
Belluno maggiormente esposta al malessere derivante da sperequazioni che ormai
toccano tutto il Veneto. Oggi oltre alle popolazioni, alla politica e alle istituzioni è
l'intera società veneta a denunciare come iniqui, perché obsoleti, quei privilegi che
finiscono sia per agevolare la competizione di alcuni territori a scapito di altri, sia per
indebolire i valori fondanti la convivenza civile: giustizia e solidarietà.». Squilibrio,
disparità di trattamento e paura di perdere centri importanti e vitali della Provincia di
Belluno sono i rischi che un’operazione del genere potrebbe causare al territorio veneto
negli intendimenti del Presidente che alla fine della lettera ha chiesto a Napolitano
un’incontro per potere esporre tutti i termini della questione.
La risposta di Napolitano, per mezzo di un suo delegato è stata quella di una
consapevolezza da parte del Presidente della situazione venutasi a creare con tutti i suoi
risvolti istituzionali. Nella risposta è stato anche citato il disegno di legge in discussione
al parlamento per la modifica dell’articolo 132 della Costituzione. Napolitano auspica
infine che si trovino tramite il parlamento adeguate soluzioni per le complesse
problematiche della Provincia di Belluno.
Pochi giorni prima Reolon si era fortemente scontrato con Luis Durnwalder perché
aveva fatto pervenire nelle case dei cortinesi del materiale propagandistico
sull’autonomia speciale di Bolzano, Reolon ha considerato questo gesto come una
volontà di interferire in questioni che non dovrebbero riguardare l’istituzione oltre il
confine della Regione Veneto. Questo gesto è stato definito «di una gravità inaudita,
siamo a tre mesi dal referendum, il presidente della Provincia di Bolzano non può fare
una cosa del genere! Oltre a godere di un trattamento speciale, fonte di grande squilibrio
che provoca il malessere dei cittadini bellunesi, Durnwalder ora interviene a gamba a
tesa»73, Reolon auspica poi «una maggiore sensibilità e correttezza da parte
dell’amministrazione Provinciale di Bolzano»74
La risposta di Durnwalder non si è fatta attendere, secondo l’Altoatesino non c’è stata
nessuna volontà di interferire e il materiale è stato inviato a casa dei cortinesi solo
perché alcuni di loro ne avevano fatto esplicita richiesta.
73
74
Cit. da: Bolzano tifa per i comuni secessionisti, Tribuna di Treviso, 24-07-2007
Cit. da: Ibidem
100
Il Presidente della Provincia Reolon ha poi sollevato un dubbio su un possibile vizio di
forma a riguardo della procedura referendaria che si è svolta nel cortinese: il referendum
è stato indetto nei tre comuni coinvolti in modo unitario, ciò a dire che il quorum per la
validità della consultazione verrà calcolato sulla base degli elettori dei tre Comuni
coinvolti. Secondo Reolon questo tipo di procedura pecca di incostituzionalità in quanto
la Costituzione prevede espressamente che siano i «comuni interessati» presi in modo
singolo. Questa posizione di Reolon è stata anche appoggiata da alcuni giuristi
accademici come Gian Candido De Martin75, che ha considerato che questa iniziativa
esce dalla ratio della legge e che probabilmente in sede di verifica del quesito la Corte di
Cassazione non abbia fatto un necessario approfondimento, pur essendo una
consultazione puramente consultiva e non vincolante. Anche secondo Daniele
Trabucco76 e Innocenzo Megali77 la Costituzione ha previsto che la volontà sia espressa
singolarmente dai comuni, ancorché nel caso in oggetto è notevole lo squilibrio
numerico di cittadini residenti in ciascun Comune. È la volontà degli enti locali presi
singolarmente quella che la legge vuole verificare.
Non è stato dato seguito a questa critica giuridica in quanto la Corte di Cassazione non
ha dichiarato costituzionale la richiesta di referendum e la consultazione è stata indetta.
Alcuni giorni dopo lo svolgimento del referendum il Presidente della Provincia di
Belluno ha affermato che: «le semplificazioni polarizzano le posizioni e non
contribuiscono a costruire soluzioni possibili. Da un lato il presidente del Veneto Galan
si concentra nella contrapposizione con Durnwalder e liquida con derisione l’azione dei
cittadini come “inutile”. Dall’altro il referendum copre un vuoto lasciato dalla politica,
ma è a sua volta una semplificazione, perché non lascia spazio a repliche, è possibile
solo accettarlo o rigettarlo; e c’è spazio al suo interno per aspirazioni totalizzanti che
non lasciano spazio alle ragioni dell’altro e che pietrificano le posizioni […] c’è una
drammatica assenza di cultura di governo di questi territori finora dimostrata da Venezia
e sostanzialmente anche da Roma, che sta producendo risposte ancora parziali e
frammentate, legate all’emergenza. Non mi sorprende il referendum, il cui esito riflette
situazioni di disagio diversificate e malesseri profondi che attraversano l’intera
professore di diritto amministrativo alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Luiss di Roma e
membro del comitato paritetico per le norme di attuazione del Trentino-Alto Adige
76
Assistente in Istituzioni di Diritto Pubblico presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli
Studi di Padova.
77
Avvocato del Foro di Venezia specializzato in Diritto del Lavoro e Diritto Tributario.
75
101
comunità bellunese. Ma sono ancor più preoccupato per le reazioni riduttive e
semplificanti di chi ha la responsabilità maggiore di ricercare risposte nuove ed efficaci
a fenomeni nuovi e complessi. Il risultato del referendum conferma la sfiducia da parte
dei cittadini nella possibilità di costruire un futuro dignitoso in questi territori se restano
le attuali regole, obsolete, anacronistiche e ingiuste. A due anni dal primo referendum di
Lamon siamo ancora lontani dalla capacità di innovare la cultura di governo in grado di
coniugare attenzioni alle specificità all’interno di un quadro nazionale condiviso. In
questo il nostro territorio diventa emblematico di una questione attualissima - quella del
federalismo dei territori - che, ovviamente, non può essere ridotta esclusivamente ai
dispositivi fiscali. Chi ha responsabilità di governo, ad ogni livello del sistema, deve
sapersi mettere all’ascolto di tutte le ragioni presenti».
Reolon in questo intervento afferma ancora una volta la propria posizione contraria
all’iniziativa referendaria, che secondo il suo pensiero è un’iniziativa semplicistica,
riduttiva e molto di là dal venire poi approvata nelle sedi istituzionali opportune.
In questo contesto egli però vuol essere da stimolo verso le istituzioni regionali, in
quanto è fortemente critico sulla strategia del Presidente della Regione Veneto, che è
più preoccupato di combattere la battaglia dialettica con il collega bolzanino
Durnwalder piuttosto che preoccuparsi seriamente della questione in merito al disagio
espresso dai cittadini dei tre comuni dell’Ampezzano. È quindi necessario che ci si
spenda sia a livello regionale che a livello nazionale per un vero federalismo attento alle
specificità dei territori in questione.
Passiamo ora ad analizzare la battaglia dialettica, politica ed istituzionale intercorsa
durante tutto il periodo di campagna referendaria tra il Presidente della Regione Veneto
Giancarlo Galan e il Presidente della Provincia Autonoma di Bolzano Luis Durnwalder.
Alla fine di Giugno non appena arrivato il via libera della Corte di Cassazione allo
svolgimento del referendum il Presidente Altoatesino si è immediatamente detto
favorevole all’annessione dei territori in questione alla Provincia Autonoma da esso
presieduta, adducendo motivazioni storiche e di etnia, contrariamente a quanto verrà poi
sostenuto per il caso del Comune di Lamon dove mancano completamente le ragioni
102
storiche per l’accettazione del passaggio. In quest’ottica Durnwalder ha affermato a
riguardo di Cortina: «E’ la benvenuta, ci lega la storia Benvenuta Cortina. […] Se si
giungerà ad un voto nel nostro consiglio provinciale, io dirò sì[…] Cortina, con
Livinallongo, Col di Lana e Colle Santa Lucia, per 400 anni ha fatto parte del Tirolo e
che vi sono anche legami linguistici con i ladini. Non spingerò comunque in alcuna
direzione perchè un’eventuale annessione comporterebbe conseguenze giuridiche
importanti, dato che l’autonomia dell’Alto Adige ha una base territoriale e visto che,
pertanto, si renderebbe necessaria una riforma con valenza costituzionale»78.
La replica di Galan non si è fatta attendere, egli ha dapprima espresso chiaramente la
propria opposizione a questa idea di distacco proveniente dai territori Veneti
affermando: «Ci opporremo con ogni mezzo a questo tentativo di secessione […]» poi
sposta l’attenzione su una tematica di tipo giuridico: «Chiedo ai Ministri di questo
Governo di verificare se è ammissibile un simile comportamento e se questi continui
inviti alla secessione da Durnwalder rivolti ai cittadini di Cortina rientrino nei patti
firmati a suo tempo tra Italia e Austria»79. In Realtà Galan riferendosi all’accordo De
Gasperi-Gruber, cita la possibilità di una incompatibilità tra la richiesta refererendaria e
l’accordo firmato a Parigi nel 1946, questa incompatibilità non esiste in quanto il
trattato si occupa solo della tutela delle minoranze linguistiche e della suddivisione dei
territori.
Galan solleva poi un altro tema definibile come istituzionale in quanto egli dichiara di
volersi opporre all’antistoricità dei privilegi della Regione a statuto speciale TrentinoAlto Adige, Galan chiama in causa l’Unione Europea ed afferma che: «Porterò i
privilegi dell’Alto Adige davanti alla Corte di giustizia europea […] Mi adopererò
affinché la questione dei privilegi di cui gode l’ Alto Adige siano portati presso la Corte
di Giustizia Europea»80. Questa strada che Galan vuole percorrere viene da subito
fortemente critica da Durnwalder che apostrofa il collega veneto dicendo: «con il suo
annuncio di voler combattere a livello europeo gli statuti speciali in Italia si rende
proprio ridicolo […]. L’amministratore di una Regione grande come il Veneto dovrebbe
conoscere un po’ le leggi. Tutti sanno che la Corte Europea non può modificare le
Costituzioni dei singoli stati […] è invece proprio la Costituzione italiana a prevedere le
78
Cit. da: Ezio Danieli, Durnwalder: «Sì a Cortina in Alto Adige», in «Alto Adige», 28/06/2007.
Cit da: ibidem
80
Cit. da: Ezio Danieli, Durnwalder: «Sì a Cortina in Alto Adige», in «Alto Adige», 28/06/2007
79
103
Regioni e Province a statuto speciale e non spetta all'Europa giudicarne la fondatezza.
Per l'Alto Adige ci sono in più contratti internazionali che garantiscono la nostra
autonomia»81, la replica di Galan si è orientata nell’ottica di un ricorso non contro tutte
le Regioni a statuto speciale ma contro i privilegi di cui gode Bolzano.
Analizzando le funzioni della Corte di Giustizia Europea possiamo dare ragione a
Dunwalder in quanto la Corte non ha sicuramente il potere di modificare un’autonomia
prevista dalla Costituzione e non sembra ci siano nemmeno i termini per un ricorso in
quanto i ricorsi di qui si occupa l’organo giurisdizionale europeo sono: inadempimento,
annullamento e carenza.
Galan ha più volte ulteriormente accusato Durnwalder di tenere un comportamento
“irresponsabile” nei confronti della questione referendaria, per le sue continue
istigazioni a favore del passaggio dei comuni in questione sotto il controllo della
Provincia altoatesina. Durnwalder ha replicato affermando che «il collega Galan sa
benissimo che non l’ha voluto nè la Provincia di Bolzano, nè la Svp. La richiesta di
referendum, infatti, è giunta dagli abitanti dei comuni interessati, dunque dai cittadini
della sua Regione. Dal canto nostro non abbiamo mai chiesto un ampliamento del
nostro territorio, ma ci siamo limitati a chiarire che proviamo sentimenti di profonda
amicizia nei confronti dei ladini che risiedono in Provincia di Belluno. Nessuno, inoltre,
ha mai cercato di influenzare le decisioni che queste comunità prenderanno in assoluta
autonomia […]. Dunque parlare di intromissione indebita negli affari veneti, o
addirittura, accusarmi di rubare in casa altrui, è non solo poco corretto, ma
assolutamente privo di senso dal punto di vista politico»82
Il Presidente della Regione Veneto ha poi espresso più volte il proprio malumore a
riguardo dei trasferimenti erariali dovuti allo Stato dalla Regione da lui governata,
infatti egli si oppone a ciò e afferma che: «Noi non accettiamo l’ingiusto principio
secondo il quale chi ha di meno, cioè il Veneto, deve dare di più, che nel caso in
questione significa dare di più alla Provincia di Bolzano»83. Secondo il portavoce del
Presidente Veneto, Gianfranco Miracco in Alto Adige rimangono il 90% dei tributi
riscossi e il Veneto con 900 Milioni di Euro all’anno deve anche tenere in piedi la sanità
e altri servizi delle Regioni meridionali, il Veneto è infatti l’ultima Regione per
81
Cit. da: Statuti speciali, ancora scintille tra Durnwalder e Galan, in «Gazzettino», 07/08/2007
Cit. da: Galan-Durnwalder, veleno e accuse, in «Alto Adige», 11/08/2007
83
Cit. da: Galan: un’ingiustizia i privilegi offerti dall’Alto Adige, in «Alto Adige», 08/08/2007
82
104
trasferimenti erariali provenienti dallo Stato, Miracco auspica quindi che si realizzi
quanto prima l’attuazione del federalismo fiscale per il quale il Veneto si è sempre
battuto.
Galan, alla fine di Agosto ha poi confermato con chiarezza la propria posizione a
riguardo del referendum di Cortina, a cui la Regione Veneto non darà mai il parere
positivo (richiesto dalla procedura costituzionale) auspicando che nemmeno il
Parlamento esprimerà un voto positivo una volta che l’iter porterà la questione in
Parlamento. Ancora una volta esprime poi la convinzione che i cittadini veneti sono ben
consapevoli di ricevere molto meno in servizi rispetto a quello che pagano in tributi, e
da loro potrà quindi partire un segnale forte di svolta verso l’applicazione del
federalismo fiscale previsto dall’articolo 119 della Costituzione.
Nella prima settimana di Ottobre la Commissione speciale competente per le modifiche
dello statuto istituita presso la Provincia di Bolzano, ha dato parere negativo sul
passaggio dei comuni dell’altopiano di Asiago che avevano espresso parere favorevole
alla procedura di distacco-aggregazione.
Durnwalder ne ha approfittato per affermare che: «dal punto di vista storico, i Ladini di
Cortina sono assolutamente i benvenuti, ma ci sono grossi problemi giuridici e
costituzionali, che devono essere risolti. Se ci riescono, devono risolverli loro e non noi.
Noi abbiamo ricevuto questo nostro territorio, con questa nostra autonomia speciale.
Non abbiamo mai fatto richieste di ampliamento territoriale»84. Questa affermazione
segna una piccolo passo indietro rispetto al sostegno incondizionato dato dal Presidente
altoatesino ai comuni dell’Ampezzano e alla criticata campagna fatta da Durnwalder
tramite l’invio di materiale esplicativo sui privilegi della Provincia Autonoma di
Bolzano.
Due settimane prima del referendum Galan è tornato a far sentire la sua voce, plaudendo
al rifiuto da parte del Trentino-Alto Adige di annettere i comuni dell’altopiano di
Asiago e rincara la dose affermando che una simile procedura (art.132 della
“Costituzione”) rappresenta un spreco di soldi e un costo economico e sociale. Il
Presidente non ha poi perso occasione per ricordare che: «se a Durnwalder dico che la
vostra autonomia di sicuro si basa su trattati internazionali, i quali però dovrebbero
84
Cit. da: Marco Dibona, Durnwalder gela il sogno tirolese di Cortina, in «Il Gazzettino», 04/10/2007
105
avere esaurito già da decenni i loro effetti, non per questo si dovrebbe tutelare
quell’autonomia nascondendosi dietro l’equilibrio dei gruppi linguistici»85.
Galan pur avendo una posizione contrapposta a quella di Durnwalder, ha stretto un
accordo di collaborazione con il Presidente della Provincia Autonoma di Trento,
Lorenzo Dellai.
Il giorno dopo l’esito positivo del referendum Durnwalder ha detto che avrebbe
immediatamente attivato i canali per il sì del Consiglio Provinciale di Bolzano. Galan,
ha espresso il suo malcontento per l’esito finale del referendum adducendo ragioni di
carattere storico-politico: «Nel 1943 sono state molto forti le aspettative sudtirolesi per
una annessione al Reich nazista […] tra il 1956 e il 1961, poi l’attività terroristica
sudtirolese si rivolse contro edifici e strutture; dopo ci fu un salto di qualità e ci furono
morti, feriti e molti danni»»86. E per far intendere che il suo non è affatto uno sfogo,
Galan va oltre. «Dichiaro fin d’ora che, in caso di assenso al distacco di Cortina dal
Veneto da parte del consiglio provinciale di Bolzano, mi rivolgerò alla Corte
costituzionale e alla Corte di giustizia europea. Atti già predisposti»87.
La principale preoccupazione di Galan è che la “fuga” di Cortina dal territorio del
Veneto non farebbe altro che aumentare i territori italiani dove esistono privilegi
finanziari che finirebbero per essere sopportati dalla restante fetta della popolazione
veneta e italiana che non gode di questi privilegi.
Il 15 Novembre Galan attacca di nuovo Durnwalder affermando che al Presidente
Altoatesino interessano solo i soldi e la ricchezza di Cortina, è questo il reale motivo
che secondo il pensiero del Veneto lo hanno portato ad esprimersi sempre
favorevolmente al passaggio dei tre comuni del Cortinese.
Egli ricorda poi che non ha abbandonato l’idea di ricorrere presso la Corte di Giustizia
contro i privilegi della Provincia Autonoma di Bolzano, utilizzando in quest’occasione
un’interessante stratagemma, egli solleverà «davanti al commissario europeo alla
85
Cit. da: E adesso Galan tira un sospiro di sollievo, in «Corriere della Alpi», 04/10/2007
Cit. da: Francesco del Mas, «Se Bolzano dirà di sì, andrò alla corte europea», in «Corriere della Alpi»,
30/10/2007
87
Cit. da: Francesco del Mas, «Se Bolzano dirà di sì, andrò alla corte europea», in «Corriere della Alpi»,
30/10/2007
86
106
concorrenza, Neelie Kroes, la scandalo delle aziende che partono avvantaggiate o
svantaggiate a seconda che si trovino 10 chilometri di qua o 10 di là»88.
Il Presidente Veneto ricorda ancora che le motivazioni della richiesta di passaggio non
sono altro che economico-finanziarie:«Tutti sanno che la Regione versa ai ladini
centinaia di migliaia di euro ogni anno. I ladini non si erano mai lamentati. Ora
rivestono di un argomento culturale, la voglia di godere dei privilegi delle Province
autonome. In 13 anni da presidente, mai un ladino che abbia protestato o chiesto
qualcosa. Vogliono andare da un’altra parte perché gli conviene. Ai ladini crederei di
più se avessero detto di voler costituire una provincia autonoma rinunciando ai
privilegi».
L’ultima occasione di scontro tra i due Presidenti è stata nei primi giorni del 2008
quando il Presidente del Consiglio Romano Prodi ha incontrato il Presidente della
Provincia di Bolzano Durnwalder. L’oggetto della discussione è stato il referendum
svoltosi dai ladini, delle ragioni del sì e del no, al termine dell’incontro Durnwalder ha
auspicato di trovare una soluzione condivisa che garantisca sia i comuni referendari di
confine sia la Regione Veneto.
Galan non ha esitato a criticare Durnwalder e l’oggetto del suo incontro con Prodi:
«Come previsto l’esperto in traffico di voti ha incontrato il presidente Prodi per
discutere di questioni che non lo riguardano affatto»89. Le critiche sono arrivate anche al
Presidente Prodi: «Dubito ancor di più che Prodi abbia avvertito l’obbligo politico ed
etico di cogliere l’occasione del pranzo per dire a Durnwalder di farla finita, una volta
per sempre, con la vergognosa benevolenza fin qui mostrata dal presidente altoatesino
nei riguardi di chi ritiene possibile il passaggio di Cortina dal Veneto all’Alto Adige». E
poi una minaccia di Galan: «Fai attenzione, caro presidente Prodi, a non scherzare con il
fuoco. Ricordati piuttosto di quanto c’è scritto nella nostra Costituzione: federalismo
fiscale e autonomia per ogni regione italiana. Dico questo, memore anche dei tanti
ricatti messi in atto nei riguardi del tuo governo dai senatori Svp.»90.
Galan ha quindi evidenziato al Presidente del Consiglio sia una questione di tipo
istituzionale come l’attuazione di quanto previsto dall’Articolo 119 della Costituzione,
sia una questione più strettamente legata a ragioni di carattere politico/partitico.
Cit. da: «Durnwalder non vuole pezzenti ma solo la ricca Cortina», in “Corriere delle Alpi”, 15/11/2007
Cit. da: «Prodi da Durni, Galan furente», in “Corriere delle Alpi”, 02/02/2008
90
Cit. da: «Prodi da Durni, Galan furente», in “Corriere delle Alpi”, 02/02/2008
88
89
107
Romano Prodi ha inoltre incontrato il Sindaco di Livinallongo Gianni Pezzei e al
termine di questo incontro ha sottolineato come i tempi burocratici per la procedura di
distacco/aggregazione siano lunghi ma egli presterà attenzione alla questione.
Tre Ministri del Governo attualmente in carica hanno espresso tre opinioni diverse a
riguardo del referendum.
Il Ministro per gli Affari Regionali Linda Lanzillotta ha affermato che: «Questo
fenomeno dei distacchi rivela un disagio che ha radici nella differenza di risorse di
poteri tra Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale ma non è la risposta
giusta al problema. La risposta non può che essere l’attuazione del Titolo V della
Costituzione per quanto riguarda i poteri e il federalismo fiscale per quanto riguarda le
risorse. Perchè altrimenti le Regioni a statuto speciale si dilaterebbero a dismisura»91.
Ancora una volta notiamo come l’intervento del ministro sia maggiormente collegato ad
una questione di tipo costituzionale, secondo la titolare del dicastero per gli Affari
Regionali l’unico modo di porre freno a tutte le richieste di distacco/aggregazione è
l’attuazione del federalismo fiscale.
Il Ministro della Famiglia Rosi Bindi ha notato come: «Cortina non può non ricordare
che il suo territorio risiede nella valle del Boite e il Trentino (Alto Adige) non può certo
spostare a sud i propri confini. È necessario proseguire sulla strada che questo governo
ha intrapreso e ricordare, che chi oggi chiede lo sciopero fiscale, quando era al governo,
non ha fatto il federalismo fiscale e la Regione deve interrogarsi su come risponde ai
bisogni del proprio territorio. Su sanità, asili nido, prestazioni sociali, cosa ha fatto il
Veneto? Il desiderio di fuga di diversi comuni dipende proprio da questo. Il governo
Galan ha fatto compiere passi indietro alla Regione, non ha mantenuto i patti. Il Nord
Est che conosco ora è attento ai servizi alla persona, alla sanità. Di recente il Governo
ha stanziato un importante finanziamento a sostegno delle politiche sociali, in modo
particolare diretto agli asili nido, strutture di cui c'è necessità».
Il Ministro ha qui chiamato in causa ragioni territoriali rispetto agli originari confini
tracciati dalla Costituzione ed ha puntualmente criticato Galan sulle scelte politicoistituzionali che hanno portato la Regione Veneto sull’orlo di una crisi economica e di
assenza di servizi.
91
Cit. da: Ezio Danieli, Durnwalder: «Sì a Cortina in Alto Adige», in «Alto Adige», 28/06/2007
108
B) ATTORI NON ISTITUZIONALI
Gli attori non istituzionali che hanno avviato la procedura per il distacco dei tre Comuni
di Cortina d’Ampezzo, Livinallongo del Col di Lana e Colle Santa Lucia sono le tre
associazioni ladine dei tre comuni, il Comitato referendario presieduto da Siro
109
Bigontina Titoto. In affiancamento a queste associazioni ha lavorato il Gruppo progetto
referendum presieduto da Eddy Demenego e il Comitato Amisc da Ladinia Unida,
un’associazione che gode dell’appoggio dei sindaci della Val Badia e del sindaco di
Selva di Val Gardena, lo scopo dell’associazione è l’appoggio totale al sostegno del
referendum in oggetto.
Abbiamo già parlato delle motivazioni che hanno portato le tre associazioni comunali
ladine a richiedere il referendum. In questo paragrafo analizzeremo le varie posizioni
delle associazioni a sostegno del referendum e delle loro relazioni con i principali attori
istituzionali.
Il coordinatore del Comitato referendario Siro Bigontina ha duramente criticato il
Presidente della Regione Veneto Galan accusandolo di non aver accettato un’incontro
chiarificatore chiesto dalla popolazioni ladine richiedenti il passaggio alla Provincia
Autonoma di Bolzano. Secondo Bigontina sono false le affermazioni del Presidente
Galan che ha parlato di «furto» di territori veneti messo in atto dal Trentino Alto Adige.
La risposta di Bigontina ha tenuto a sottolineare come la richiesta di passaggio sia stata
messa in atto dai comuni e non dalla Provincia di Bolzano ingiustamente accusata. Non
si tratta poi di furto, negli intendimenti di Bigontina infatti sono le ragioni storiche che
giustificano questo tipo di richiesta.
Le ragioni storiche sono state richiamate anche dal Presidente del Gruppo progetto
Referendum Eddy Demenego che criticando le accuse di secessionismo, parla di un
ritorno verso gli originari confini del territorio ladino tracciati 90 anni orsono.
Demenego ha affermato che: «non siamo mai stati tedeschi, ma solo ladini. Ora siamo
obbligati a votare sì per non svuotare di ogni contenuto la possibilità dataci di far sentire
il nostro disappunto su come la montagna in generale è stata trattata, o meglio
dimenticata dai governi nazionali ma anche locali. Una montagna che spesso è stata solo
oggetto di speculazioni edilizie e dove i proventi di queste attività non sono mai stati
reinvestiti in loco. Attualmente non ci possiamo difendere dalle speculazioni: non ci
sono leggi regionali o statali che ci tutelino, non c’è attenzione e tanto meno
finanziamenti per quei cittadini che non si possono permettere un’abitazione nel paese
in cui sono nati, lavorano e vorrebbero anche vivere»92. Ancora una volta viene quindi
affiancato il riconoscimento storico dei confini al problema della tutela dei diritti degli
110
abitanti nativi nel territorio in questione. Egli ha poi rincarato la dose criticando
fortemente gli incerti che secondo il suo parere non hanno ragione d’essere incerti in
quanto non ci deve essere nostalgia per il Veneto e per la mancanza di leggi infatti ha
ricordato il Presidente del gruppo: «sappiamo tutti che i nostri giovani che si sposano
debbono andarsene da Cortina perché non possono sostenere il costo degli affitti,
figuriamoci poi l’acquistare una casa. E, tanto per dirne una, quanti sono i negozi ancora
in mano ai nostri concittadini, e quante le strutture alberghiere, e quante le aziende?»93
La sopraccitata questione della difficoltà di possedere una casa di proprietà o anche in
affitto a Cortina è supportata dalle cifre, infatti i residenti sono notevolmente in calo, lo.
Dal 1971 al 2007, Cortina ha perso il 27 per cento degli abitanti, Colle Santa Lucia il
33, Livinallongo il 16. In Badia e Gardena (Bolzano) sono invece aumentati ovunque:
dal 15% di Ortisei al 43% di Badia, e ancora 33% in più a Corsara e 21% a Selva di Val
Gardena.
Dopo il rifiuto della Commissione speciale di accettare la richiesta dei Comuni
dell’Altopiano di Asiago nessuna delle associazioni e nessuno dei promotori del
referendum ha abbassato la guardia ricordando ancora una volta la forza delle proprie
motivazioni storiche in netta antitesi con le motivazioni prettamente orientate ad un
privilegio di tipo fiscale.
Il risultato positivo del referendum è stato accolto positivamente dal comitato
referendario che nella persona di Siro Bigontina ha espresso il proprio convincimento
che il primo passo è compiuto e adesso sarà Roma a valutare questo segnale forte
venuto dalle valli ladine. Il coordinatore ha poi voluto mandare un messaggio a Galan:
«ci ha considerati alla stregua di un movimento folcloristico. A questo punto non
saremo certo noi ad andare a cercarlo. Spero che deputati e senatori del Trentino Alto
Adige sostengano la nostra questione»94.
Bigontina nei mesi successivi ha poi richiamato più volte l’attenzione dei Comuni
proponenti il referendum, affinché si impegnino a dar seguito alla volontà espressa dai
92
Cit da: Demenego contro i politici bellunesi che gridano alla secessione, in «Corriere delle Alpi»,
21/09/2007
93
Cit. da: Alessandra Segafreddo, Demenego va in crociata contro gli incerti, in «Corriere delle Alpi»,
30/09/2007
94
Cit. da: Alessandra Segafreddo, Lunedì ho dormito come un ghiro, in «Corriere delle Alpi», 31/10/2007
111
cittadini, il Comune di Cortina ha con questo scopo nominato due rappresentanti che si
occupino di seguire l’iter previsto dall’articolo 132 della Costituzione.
Un attore non istituzionale, in antitesi con i precedenti è il «Comitato dei perplessi» nato
a Cortina alla fine del mese di Agosto, il Presidente Ernesto Majoni ha così presentato
l’iniziativa: «Noi non vogliamo essere contrari a niente e a nessuno. Riconosciamo
l'efficacia del referendum, come strumento di partecipazione popolare, però siamo
convinti che non si può accettare la storia, la cultura, la verità di una parte sola. Noi
vogliamo soltanto informare la gente; sappiamo che tanti hanno voglia e bisogno di
informazione. Vorremmo che tutti venissero a conoscenza di cosa guadagneremmo e di
che cosa dovremmo pagare, nel caso in cui Cortina passasse all'Alto Adige»95.
La nascita di questo comitato ha ottenuto fin da subito l’appoggio del Presidente della
Regione veneto Giancarlo Galan definendola «un’attitività molto responsabile».
I Ladini hanno poi tentato di candidare alle prossime elezioni politiche di Aprile un
proprio rappresentante al Parlamento ma la grandezza della circoscrizione Veneto e
l’impossibilità di avere una propria rappresentanza in uno dei due rami del Parlamento
ha fatto desistere i promotori di tale idea.
C) ATTORI POLITICI
Possiamo fin da subito notare come l’attenzione a questa problematica non sia stata
affrontata in modo organico dai politici nazionali a parte qualche sporadica
95
Cit. da: Marco Dibona, Ecco il fronte dei perplessi, in «Il Gazzettino», 29/08/2007
112
dichiarazione sulla richiesta di distacco/aggregazione messa in atto dai comuni del
cortinese.
Abbiamo già elencato le posizioni dei politici che ricoprono una carica istituzionale.
Il primo intervento da segnalare è quello della deputata di Forza Italia, Michela
Biancofiore che appoggia la richiesta di referendum, perché in caso di esito positivo
porterà una presenza italiana in una regione privilegiata. Seconda la deputata Cortina
deve però prestare molta attenzione in quanto gli enti locali non hanno nessuna
competenza e il potere è tutto nelle mani della Presidenza della Provincia Autonoma.
Posizione di appoggio all’iniziativa cortinese anche da parte della Lega Nord che nella
persona del Senatore Trentino Sergio Divina ha difeso il diritto al riconoscimento della
minoranza etnico linguistica che deve essere tutelata e garantita così come le ispirazioni
di tutta la comunità ladina unita, chi si oppone secondo Divina va contro una storia che
ha profonde radici.
La Lega Nord ha poi portato sul tavolo del Consiglio Regionale le richieste dei Comuni
Ladini del Veneto che per il 2008, secondo l’accordo siglato il 9 Febbraio 2008 porterà
un finanziamento alla comunità ladina pari a 150.000 euro, circa 100.000 euro in più dei
soldi stanziati nel 2007.
Il Segretario Provinciale dell’Udc, Marco da Rin Zanco ha poi espresso il suo parere
favorevole al disagio espresso dal referendum del Cortinese ed auspica che tale disagio
nei confronti della mancanza di politiche fiscali favorevoli al Veneto venga recepito
dalla Regione e primariamente dal Governo nazionale.
Le posizioni del Centro Sinistra sono già state espresse in precedenza e anch’esse pur
con alcuni distinguo sono favorevoli all’iniziativa di passaggio alla Provincia Autonoma
di Bolzano messa in atto dai Comuni in oggetto.
4.6 SCENARI FUTURI
113
L’effettivo passaggio dei tre comuni di cui stiamo discutendo nel presente capitolo avrà
una strada molto complessa.
Il risultato del referendum è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 260 del 8/11/2007.
Secondo quanto previsto dalla Legge n. 352 del 2007, il Ministro dell’Interno deve
presentare al Parlamento un disegno di legge riguardante il cambio di regione, entro
sessanta giorni dalla pubblicazione dell’esito referendario in Gazzetta Ufficiale.
Questo termine è attualmente già stato superato senza nessuna presentazione del
suddetto disegno di legge.
Una volta insediato il nuovo Governo dopo le elezioni del 13 e 14 Aprile l’iter
procedurale previsto dall’articolo 132 della Costituzione dovrà ripartire dal passo
successivo al referendum.
Anche per i comuni dove il disegno di legge è già stato presentato, come ad esempio il
Comune di Lamon che ha anche già acquisito i pareri favorevoli dei Consigli Regionali
di Veneto e Trentino Alto Adige, tutto dovrà ripartire da capo perché nessuno dei due
rami del Parlamento ha approvato il disegno di legge in discussione alla Commissione
Affari Costituzionali della Camera.
Recentemente, il 9 e 10 Marzo scorsi si sono svolti altri quattro referendum per il
distacco/aggregazione: i Comuni di Sappada e Pedemonte hanno richiesto il passaggio
dalla Regione Veneto rispettivamente al Friuli Venezia Giulia e al Trentino Alto Adige
e in entrambi casi l’esito referendario è stato positivo. I Comuni di Mercatino Conca e
Monte Grimano Terme hanno richiesto il passaggio dalle Marche all’Emilia Romagna,
in questo caso il referendum è stato respinto.
4.7 ULTIMI SVILUPPI
114
Il silenzio istituzionale che si è prolungato, fino ad oggi, per quasi 9 mesi ha comportato
un forte malessere tra gli elettori che hanno voluto, in seguito al referendum, dare
credito agli impegni politico-elettorali di sostegno al passaggio.
La questione del Cortinese, è «entrata» ufficialmente in Parlamento a fine Maggio
quando il deputato dell’SVP Karl Zeller ha presentato la proposta di legge C-23, che
rappresenta però solo il primo passaggio in quanto non garantisce nè la
calendarizzazione nei lavori parlamentari né tanto meno una sua discussione.
Il 26 Agosto il Coordinatore del Comitato Referendario Siro Bigontina ha incontrato il
Ministro dell’Interno Roberto Maroni il quale ha garantito il pieno appoggio della Lega
Nord ai secessionisti del Veneto. Il titolare del Dicastero ha inoltre affermato che sarà
sua premura aprire un tavolo di discussione con gli alleati di Governo del Popolo delle
Libertà sul tema.
Secondo Maroni infatti i cittadini dei comuni referendari, in pratica, hanno seguito una
«procedura riconosciuta dalla Costituzione». Per questo, «l’esito del voto non può
essere ignorato o, peggio ancora, smentito».
Il coordinatore del Comitato referendario ha avuto parole positive parlando
dell’incontro con il Ministro: «Era da tempo che volevamo esprimere le nostre
motivazioni, finalmente ci siamo riusciti. Maroni si è dimostrato all’altezza della
situazione. L’ho trovato preparato. Dice di aver pronto il disegno di legge sul distacco».
La recente presentazione della lista “Ladins Dolomites” alle elezioni provinciali di
Bolzano della primavera 2009 rappresenta un’azione politica non indifferente al fine di
porre la questione della riunificazione dei ladini all’interno delle istituzioni.
I rappresentanti di questa neonata formazione politica locale affermano che: «Solo
unendoci potremo riuscire ad ottenere due consiglieri e a far “pesare” così di più
l’opinione dei ladini e far valere i nostri diritti».
Raggruppati sotto il logo «Ladins Dolomites», infatti, vi sono ladini della Val Badia e
della Val Gardena, ma anche ladini che vivono in città.
5. CONCLUSIONI
115
Al termine di questo lavoro possiamo anzitutto affermare che dal punto di vista
legislativo le questioni aperte riguardanti il disegno di legge sull’attuazione del
federalismo fiscale, il disegno di legge per la riforma dell’articolo 132 della
Costituzione e i vari disegni di legge da presentare per il cambio di Regione, sono
rinviati all’esame del prossimo Governo che si insedierà a seguito delle elezioni
politiche che si svolgeranno il 13 e 14 Aprile prossimi.
Alla luce di quanto analizzato si può affermare come il lungo dibattito politico sul
federalismo e la Costituzione Repubblicana abbia portato ad una effettiva modifica della
Costituzione in senso federale che garantisce maggiori poteri alle Regioni, attraverso
l’inversione del riparto delle competenze.
La vera problematica è insita nell’effettiva attuazione delle modifiche costituzionali del
2001. Per quanto riguarda ad esempio l’adozione dello Statuto Regionale, strumento
che indica la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione fondamentale
della regione, solo nella metà delle regioni italiane è stato approvato.
Altra previsione sempre all’ordine del giorno dell’agenda politica è l’attuazione del
federalismo fiscale che assegnerebbe alle regioni autonomia di entrata e di spesa e
garantirebbe le Regioni incapienti attraverso il principio di perequazione.
Come citato nel primo capitolo è stato presentato un disegno di legge delega recante
«Disposizioni di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione» approvato in prima
lettura dal Consiglio dei Ministri del 28 Giugno 2007, ma la cui discussione è
attualmente bloccata.
La mancata attuazione del federalismo fiscale ha causato negli ultimi anni un ricorso
sempre maggiore alla procedura di distacco aggregazione di un comune da una regione
all’altra, prevista dall’articolo 132 della Costituzione, in particolare nei comuni
confinanti con Regioni a statuto speciale.
Gli scenari legati all'art. 132/c. 2
dal punto di vista costituzionale sono
inediti e molto interessanti, a partire dal fatto se e come queste procedure
andranno a buon fine.
In particolare come analizzato nel secondo capitolo sono interessanti le eventuali azioni
intraprendibili davanti alla Corte costituzionale da parte dei Comuni interessati e dei
loro Comitati referendari, qualora i disegni di legge di variazione territoriale non fossero
presentati alle camere o fossero respinti senza motivazione oppure abbandonati,
116
partendo dal presupposto che la Corte ha già riconosciuto in passato l'esistenza di un
diritto all'autodeterminazione delle comunità.
Anche se i referendum non sono vincolanti, la mancata ratifica del distacco a livello
parlamentare
dovrebbe
necessariamente
trovare
delle
valide
motivazioni.
È quindi molto interessante riscontrare come un rifiuto da parte del Parlamento possa
poi essere «impugnato» dinnanzi alla Suprema Corte.
Il caso da me analizzato, riguardante il territorio di Cortina d’Ampezzo, è interessante in
quanto questo è un territorio in cui pur essendoci delle entrate elevate per gli operatori
del turismo vi sono notevoli disagi fiscali nelle politiche per l’affitto o l’acquisto della
casa e per l’apertura di nuove attività. La problematica dei bassi trasferimenti erariali
dello Stato alla Regione Veneto verrebbe in parte risolta con il cambio di regione. Le
motivazioni storiche addotte dai proponenti del referendum sembrano ai più uno
«specchio per le allodole» che una reale motivazione giustificativa della domanda di
cambio regione.
Interessanti sono state le dinamiche di relazione tra gli attori riscontrate nella questione
in oggetto, abbiamo, infatti, notato come le personalità istituzionali e non abbiano
posizioni anche diametralmente opposte a questa iniziativa.
In conclusione possiamo notare come questa procedura costituzionale presupponga un
lungo processo per completarsi. Ad oggi in nessun caso si è arrivati ad un cambio di
regione da parte di un comune o di una provincia, questo è quindi sintomo di un
meccanismo costituzionale pressoché inattuabile nella sostanza.
È, quindi, necessario che le regioni e gli enti locali utilizzino la mobilitazione e si
organizzino per far sì che l’agenda politica nazionale rimetta all’ordine del giorno
l’importantissima questione dell’autonomia impositiva e fiscale delle istituzioni
regionali.
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