ALLEGATO II:
ROBERTO ARDIGÒ E LA SCIENZA DELL’EDUCAZIONE
di G. Armenise1
1. L’uomo, il contesto e il giudizio dei contemporanei
Roberto Ardigò (1828-1920) riconosciuto quale filosofo italiano più rappresentativo della corrente
ideologica positivistica, nel corso di oltre un trentennio ha sempre sostenuto la «validità del positivismo
come una concezione generale del mondo, autonoma e autosufficiente, contrapposta radicalmente a
tutte le posizioni metafisiche, idealistiche e spiritualistiche»2.
Del resto, il Positivismo italiano, affermatosi nella seconda metà dell’Ottocento e più precisamente
intorno agli anni ’70, ha contribuito senza dubbio alla realizzazione della nozione di pedagogia anche
come tecnica scientifica e metodologica, e si comprende perché dopo Herbart3, e accanto all’Idealismo,
questa corrente di pensiero rappresenti «uno dei momenti […] più decisivi per la maturazione e l’avvio
a soluzione del problema “critico” della pedagogia»4. Tutti i pedagogisti del Positivismo, da Spencer5, a
Ardigò6, a Gabelli7, nel rendere propri i canoni della filosofia positivista, che finisce con l’interpretare la
pedagogia quale scienza dell’educazione mentre l’educazione come qualsiasi altro evento naturale, di cui
è possibile determinare le leggi, accentuano gli aspetti verificabili del processo educativo. Ma non finisce
qui: insistono sull’importanza dell’intuizione e sul metodo induttivo; sulle lezione di cose,
sull’esperienza, sull’abitudine e sull’acquisizione di abilità.
È evidente che il Positivismo italiano, nello specifico quello ardigoiano, propugni da un lato una
pedagogia scientifica, avente per oggetto il comportamento umano e per metodo una tecnica
d’insegnamento basata sull’osservazione e sull’esperienza diretta, e dall’altro una effettiva riforma del
Cfr. G. ARMENISE, Roberto Ardigò e la scienza della educazione, in R. ARDIGÒ, La scienza delle educazione, a cura di G.
Armenise, Pensa MultiMedia, Lecce 2007, pp. V-XL.
2 M. QUARANTA, Positivismo ed hegelismo in Italia, in L. GEYMONAT (ed.), Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. V:
Dall’Ottocento al Novecento, Garzanti, Milano 1971, p. 589.
3 J. F. Herbart, filosofo e pedagogista tedesco, è riconosciuto da molti come il fondatore della pedagogia scientifica, ma
anche come colui che si è concretamente impegnato nell’affrontare il problema dell’epistemologia pedagogica, al fine di
rispondere agli interrogativi di ordine pratico e teorico inerenti il processo educativo. Tra i numerosi studi su Herbart cfr. B.
BELLERATE, La pedagogia in J. F. Herbart. Studio storico-introduttivo, PAS-Verlag, Zurigo 1970; ID., J. F. Herbart, in Nuove
questioni di Storia della pedagogia, vol. II, La Scuola, Brescia 1977, pp. 473-533; ID., J. F. Herbart e la sua pedagogia. Presentazione
schematica e aggiornata per un insegnamento superiore, in «Orientamenti Pedagogici», 13 (1966), pp. 546-574; di recente la rivista
pedagogica «I problemi della pedagogia», in occasione del 150° anniversario della morte di Herbart, gli ha dedicato un
numero unico grazie alla collaborazione di vari autori e per la cura di R. Pettoello: J. F. Herbart. 1941-1991, numero unico di
pedagogica «I problemi della pedagogia», 38 (1992), 6. Si cfr. anche, per l’aspetto epistemologico della pedagogia
herbartiana, W. BÖHM, Sviluppi della pedagogia tedesca dalla seconda guerra mondiale ad oggi, in «Pedagogia e Vita» (1994), 4, pp. 1123.
4 P. BRAIDO, Introduzione alla pedagogia. Saggio di epistemologia pedagogica, PAS, Torino 1956, p. 55.
5 H. Spencer (1820-1903), noto filosofo positivista inglese, ha goduto nell’ultima decade del secolo scorso di una fortuna
eccezionale; infatti, il principio dell’evoluzione, da Spencer esteso al mondo umano e sociale, viene applicato al metodo
didattico. Ne consegue la nascita della cosiddetta biogenetica (messa a punto dal biologo tedesco E. H. Haeckel), secondo la
quale lo sviluppo dell’individuo ricapitola lo sviluppo della specie. Ciò, in ambito pedagogico, comporta senza dubbio il
favorire di tutte le attività infantili che richiamano all’esperienza dell’uomo primitivo, mentre i programmi educativi,
recependo tali istanze, prestano sempre maggior rilievo ai bisogni del fanciullo e alle fasi di apprendimento dello stesso per
quel che concerne l’adattamento ambientale. È palese, allora, il perché, nel clima positivista e delle “Scuole Nuove”, la sua
pedagogia abbia raggiunto il massimo della fortuna. Sullo Spencer cfr. M.A. TOSCANO, Malgrado la storia. Per una lettura
critica di Herbert Spencer, Feltrinelli, Milano 1980; F. FERRAROTTI, Introduzione, in H. SPENCER, Principi di sociologia, Utet,
Torino 1988. Questo testo risulta dotato di un’accurata nota bio-bibliografica cui si rinvia per ulteriori approfondimenti.
6 Si rinvia alla Nota del Curatore, contenente brevi cenni bio-bibliografici sull’Ardigò, oltre che le indicazioni sul testo oggetto
di cura.
7 A. Gabelli (1830-1891) si sofferma su due momenti del positivismo: uno critico e uno costruttivo; critica il formalismo, il
verbalismo, lo spiritualismo; tende a formare lo strumento “testa” mediante un forte richiamo alla realtà, all’esperienza. In
sostanza, con Gabelli, la scuola sembra saldarsi finalmente con la vita, mentre la cultura si confronta con la realtà e viene
proposta una nuova morale sulla base della quale la stessa religione sembra acquisire una connotazione più impegnata e
meno retorica. Su Gabelli, tra i tanti testi di critica, si ricordano E. CODIGNOLA, Introduzione, in A. GABELLI, L’istruzione
e l’educazione in Italia, La Nuova Italia, 1971; F. V. Lombardi, Aristide Gabelli, La Scuola, Brescia 1973.
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sistema scolastico al fine di preparare le nuove generazioni alla vita moderna (ovviamente legata a
necessità di modernizzazione e di industrializzazione).
Tutti i positivisti8, esaltano la nuova scienza, danno spazio alla psicologia e alla sociologia, però
sono convinti, (con l’eccezione, in parte, di De Dominicis)9, della superiorità della cultura classica ai fini
della formazione della classe dirigente. Ecco, allora, che l’istruzione tecnica e professionale, rimane
subalterna come anche l’istruzione popolare.
A proposito dei gradi di scuola, per Ardigò, la «primaria è caratterizzata dal prevalere del gioco. La
secondaria vede l’esplosione del sentimento e gli adolescenti “preoccupati delle idealità geniali”
manifestare questa loro disposizione con atti di coraggio, benevolenza e sacrificio e con l’entusiasmo
per l’arte. Di qui per l’Ardigò, l’importanza degli studi classici, nei quali egli scorge appunto lo
strumento adatto a coltivare i sentimenti nobili e a coltivare le idealità, ma che non vorrebbe limitati ai
soli autori greci, latini e italiani, sibbene anche alle letterature straniere moderne. L’insegnamento
superiore, infine, viene impartito a giovani nei quali è finalmente sviluppata la forza logica e pertanto
può e deve avere un carattere eminentemente scientifico»10.
Dal momento che non è assolutamente possibile, al tempo del Nostro, far sì che tutti frequentino i
tre gradi di scuola, tanto per motivi economici quanto per il differente livello di abilità individuali,
avviene che la maggior parte degli studenti non riceva una adeguata educazione del raziocinio o del
sentimento.
Per ovviare a tale deficit, si propone «la creazione di scuole complementari con finalità ad un
tempo tecniche e formative. Inoltre a ridurre al minimo l’effetto di questa situazione può contribuire
l’adozione del metodo ciclico. Ogni disciplina insegnata in un corso inferiore dovrebbe essere ripresa
via via nei superiori, naturalmente con un grado maggiore di approfondimento. Non solo: ma anche
all’interno di ogni singolo anno di scuola si dovrebbe adottare un procedimento ciclico, ripetendo più
volte, con progressivo approfondimento ed allargamento, la stessa materia»11.
Per Ardigò, la pedagogia deve essere intesa quale scienza empirica le cui regole si devono ricavare
proprio dall’educazione in atto. Il fatto educativo, quindi, diviene il risultato di un peculiare processo
regolato “intenzionalmente” quale «aiuto dell’arte alla natura, tanto più efficace quanto più si fa tesoro dei
dati dell’antropologia, dell’anatomia, della fisiologia, della psicologia, della logica e dell’etica»12.
In definitiva, partendo dall’assunto che ogni processo evolutivo, sia esso psicologico o, ancora,
legato alla conoscenza in generale, debba essere inteso quale passaggio continuo e naturale dall’indistinto
al distinto, ritiene che, per quanto riguarda l’evoluzione della conoscenza, nello specifico, non esista
l’inconoscibile, ma solo quello che è ignoto e che può essere comunque conosciuto in virtù del progredire
della scienza, la quale può garantire una certa relatività della conoscenza.
A monte di tali premesse Ardigò si impegna nel tracciare dei principi riguardanti il metodo di
insegnamento intuitivo, da imperniare proprio sui sensi e sull’esperimento. Da questo impegno nascono le
sue lezioni di pedagogia, poi raccolte in un volume titolato Scienza dell’educazione (pubblicato per la prima
volta nel 1893), oggetto della nostra riflessione.
Prima di entrare nel vivo del nostro discorso appare, tuttavia, opportuno dire qualcosa sull’Ardigò e
sulla sua collocazione nel contesto della più ampia cultura laica e positivistica del nostro Paese,
nonostante la palese crisi del positivismo monistico-evoluzionistico, «vuoi per la caduta dei tratti più
Pasquale Villari, Aristide Gabelli, Pietro Siciliani, Nicola Fornelli, Roberto Ardigò, Saverio Fausto De Dominicis.
Nelle teorizzazioni di questo pedagogista troviamo con un vigore, forse più marcato che nell’Ardigò, un richiamo ai
problemi politico-sociali dell’educazione e una palese apertura verso posizioni politico-pedagogiche più democratiche, che
reclamano un necessario potenziamento della scuola popolare sotto il profilo qualitativo e quantitativo. Su S. De Dominicis
(1846-1930), autore e docente presso l’Università di Pavia, che partendo dall’evoluzionismo e dal determinismo positivistici,
li ha poi sviluppati, secondo una chiave di lettura didattica, oltre che teoretica (con opere significative quali Idee per una
scienza dell’educazione e Scienza comparata dell’educazione - scritte fra il 1908 e il 1913-), cfr. A. M. COLACI, La riflessione pedagogica
di S. De Dominicis, Pensa MultiMedia, Lecce 2003 (testo da me recensito su «I problemi della pedagogia», n. 4-6, 2004, pp. 563568).
10 R. TISATO, Studi sul positivismo pedagogico in Italia, Ed. R .A. D. A.. R., Padova 1967, p. 188.
11 Ivi, p. 189.
12 A. AGAZZI, Problemi e maestri del pensiero e della educazione, vol. III, La Scuola, Brescia, 1965, p. 349.
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ingenuamente scientistici e l’emergenza di una profonda revisione dello statuto epistemologico delle
scienze, vuoi per un generale mutamento di sensibilità culturale»13.
La teoria pedagogica ardigoiana presenta forti limiti rilevati anche dai suoi stessi allievi tra i quali
annoveriamo, tra i tanti, Giovanni Dandolo14, Giovanni Marchesini15, Giuseppe Tarozzi16, Ludovico
Limentani17, Rodolfo Mondolfo18.
Questi autori, hanno dato originale ed autonomo sviluppo alle rispettive teorie pedagogiche, pur
richiamandosi, comunque, alle posizioni del Maestro19 preventivamente mediate attraverso istanze di
libertà e soggettività proprie della nuova temperie culturale, che vede l’avvicendarsi delle filosofie
dell’Idealismo e dello Spiritualismo, molto dure nei confronti di Ardigò (paragonato finanche ad Attila,
da Giovanni Gentile)20.
Marchesini, in particolare, in La Vita e il Pensiero di Roberto Ardigò (Milano, Hoepli, 1907), compie un
quadro generale della dottrina ardigoiana. L’opera si articola in tre parti (definite “libri” dallo stesso
Marchesini): 1ª La vita di Roberto Ardigò (contenente un Indice bibliografico, con note dichiarative del
contenuto delle opere filosofiche); 2ª La dottrina di Roberto Ardigò (a sua volta suddiviso in 5 sezioni21,
seguite, poi, da quattro sezioni concernenti le Note illustrative della dottrina); 3ª Considerazioni critiche.
Marchesini, in parte consapevole della crisi che aveva interessato il filone positivista, si limita a
compiere una mera esposizione “scolastica”22 delle teorizzazioni ardigoiane. Egli tende a sfruttare la
teoria dell’indistinto come strumento per osteggiare criticamente il meccanicismo materialistico, ma
anche, e soprattutto, per esaltarne il carattere “oggettivistico” e “neonaturalistico” dell’opera del
Maestro, dove i fondamenti ideologici del suo sistema risiedevano tanto sul principio della formazione
naturale, quanto su quello della continuità della natura. Manca nel Marchesini un approfondimento
teorico delle tesi ardigoiane che da lui vengono comunque etichettate come “filosofia dell’esperienza”.
A. SAVORELLI, Ardigò nel giudizio dei contemporanei dagli anni Settanta al primo quindicennio del Novecento, in Quaderni. Per la
storia dell’università di Padova, 34, Roberto Ardigò «Una vita interamente dedicata alla scienza, alla scuola» (21 ottobre 1999). Atti, Centro
per la storia dell’Università di Padova/Editrice Antenore, Roma-Padova 2001, p. 73.
14 G. DANDOLO, Per Roberto Ardigò: discorso letto nell’aula magna della Regia Università il giorno 2 febbraio 1908 per invito
dell’Associazione Magistrale di Messina, Crupi & Muglia, Messina 1908. Tra i tanti lavori del Dandolo, degni di menzione sono
ID., La dottrina della memoria nel sensualismo e materialismo francese, Dumolard, Milano 1890; ID. , La dottrina della memoria nella
psicologia inglese da F. Bacone ai tempi nostri criticamente esposta, Borghi, Reggio Emilia, 1891; ID., Appunti di filosofia ad uso dei licei:
psicologia, logica, morale, III ed. nuovamente rifatta coll’aggiunta di un compendio di storia della filosofia, Draghi/Tip.
Prosperini, Padova 1894; ID., L’obiettivo della filosofia e la verità: prelezione a un corso libero di filosofia teoretica letta nell’Università di
Padova il 6 dicembre 1894, Draghi, Padova 1894; ID. Psicologia e logica, Draghi, Padova 1897; ID., Le integrazioni psichiche per la
percezione esterna: note di psicologia gnoseologica, Draghi, Padova 1898.
15 G. MARCHESINI, La crisi del positivismo e il problema filosofico, Bocca, Torino 1898; ID., La vita e il pensiero di Roberto Ardigò,
Hoepli, Milano 1907. Sul Marchesini cfr. Sul pensiero di Giovanni Marchesini (1868-1931), fasc. monografico della «Rivista critica
di storia della filosofia», 37, 1982.
16 G. TAROZZI, Il significato storico e moderno del pensiero di Roberto Ardigò [1908], in Menti e caratteri, III ed., Zanichelli, Bologna
1910.
17 L. LIMENTANI, Roberto Ardigò, Perrella, Firenze 1921. Dello stesso autore cfr., tra gli altri, ID., Giuseppe Ferrari e la scienza
degl’ingegni, Stab. Poligrafico Emiliano, Bologna 1907, in «Rivista di filosofia e di scienze affini», luglio-settembre n. 1-2, a. 9
(1907); ID., Energetica e pedagogia, Formiggini, Modena 1911; ID., Presupposti formali della indagine etica, Formiggini, Genova
1913; ID., La scuola e la guerra, Taddei & figli, Ferrara 1916; ID., Studi sopra le valutazioni della condotta, Taddei & figli, Ferrara
1920; ID., L’educazione pratica della volontà, Società ed. Dante Alighieri, Milano, 1921, in «Rivista pedagogica», a. 14 (1921);
ID., Il positivismo italiano: 1870-1920, Perrella, Napoli 1924; ID., a cura di e Al., la filosofia contemporanea in Italia dal 1870 al
1920, Perrella, Città di Castello (Na), 1928; ID., Rileggendo la morale dei positivisti, IGAP, Milano 1928.
18 R. MONDOLFO, Il pensiero di Roberto Ardigò, Tip. Mondovì, Mantova 1908; ID., Da Ardigò a Gramsci, Nuova Accademia,
Milano 1962. Su Mondolfo cfr. A. SANTUCCI, Eredi del positivismo. Ricerche sulla filosofia italiana tra ‘800 e ‘900, Il Mulino,
Bologna, 1996, pp. 229-269.
19 M. QUARANTA, Positivismo ed hegelismo in Italia, cit., p. 592.
20 G. GENTILE, Recensione, in «La Cultura», s. III, XXVI, 1907, pp. 139-141, poi in Saggi critici, Serie I, Ricciardi, Napoli
1921, pp. 243-250; G. GENTILE, La filosofia in Italia dopo il 1850. I positivisti. 8. Roberto Ardigò, in «La Critica», 7, 1909, pp.
352 ss., poi in Le origini della filosofia contemporanea in Italia, vol. II: I positivisti, Principato, Messina 1921, pp. 241-316, ma nuova
ed. riveduta da V. A. BELLEZZA, Sansoni, Firenze 1957, voll. II, pp. 239-313.
21 Sezione I: I principi fondamentali di metodologia filosofica; Sezione II : La filosofia positiva della natura; Sezione III: Psicologia;
Sezione IV: Etica; Sezione V: Pedagogia.
22 A. SAVORELLI, Ardigò nel giudizio dei contemporanei dagli anni Settanta al primo quindicennio del Novecento, cit., p. 74.
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Tarozzi, da parte sua, si sofferma ad esaminare il concetto di formazione naturale proposto dal
Maestro, mentre Mondolfo rimane sulla stessa linea di pensiero del Marchesini.
Gentile, proprio come Papini23, compie un’aspra critica della dottrina ardigoiana e, in modo
specifico, si sofferma sulla vicenda umana della “conversione”, accusandolo di “insensibilità religiosa” e
di essere seguace di una teologia “laica” in netta contrapposizione a quella cristiana. Dietro
quest’attacco gentiliano e papiniano si scorge una palese critica all’opposizione compiuta da Ardigò nei
confronti della filosofia platonica prekantiana, opposizione non seguita da una immediata e valida
proposta di alternative che portassero al dialogo con la filosofia e la scienza moderna24.
In realtà, dietro la retorica e l’ironia di questi due autori, soprattutto nel Gentile, si nota una
profonda e realistica analisi dei problemi della filosofia ardigoiana, estensibile ad altri pensatori
positivisti, ossia la difficoltà di superare quella «contraddizione tra i presupposti fenomenistici ed
epistemologici (prevalenti nella Psicologia), e l’urgenza di una vera e propria “filosofia naturale”»25.
Considerato da Gentile “distruttore” dell’ultima stilla di platonismo esistente nella Filosofia del suo
tempo, Ardigò è presto passato nell’immaginario quale «flagellum Philosophiae»26; e si potrebbe
certamente continuare in suo sfavore rilevandone i limiti dell’approccio empirico-utilitaristico applicato
dallo stesso alle finalità educative; approccio discutibile proprio perché disancorato da ogni genere di
rapporto con scienze quali la metafisica o, ancora, l’antropologia filosofica. Se si aggiunge a questo il
fatto che il limite maggiore della sua teoria sia stato identificato nel fatto che il processo educativo è
sostanzialmente visto dal Nostro quale acquisizione di abitudini, allora, si può dedurre anche che il suo
pensiero pedagogico sia estremamente conservatore e conformistico, mentre le abitudini sembrano
legate al momento sociale, piuttosto che a quello soggettivo27.
Eppure, c’è chi, come W. Büttemeyer, sostiene che il Nostro è stato frainteso per almeno
sessant’anni28, mentre per A. Savorelli «ciò che ha esercitato influsso è stata semmai una certa
“immagine” di lui precocemente costruita»29. Questi, a sostegno della sua tesi pone “due pietre di
confine” al fine di circoscrivere il periodo in cui Ardigò è stato percepito come un “classico”, “pietre”
rappresentate dal francese A. Espinas (La philosophie experimentale en Italie, 1880) e dal danese H.
Höffding (Moderne Philosophen, 1905), i quali attribuiscono all’Ardigò una “dimensione internazionale”30.
Ardigò, proprio come Angiulli31, reputa la filosofia quale “matrice” delle scienze e non quale sintesi
dei risultati di queste ultime. Del resto, per entrambi, la filosofia, se interpretata da un punto di vista
Cfr. G. PAPINI, Il teologo del positivismo (Roberto Ardigò), in «Leonardo», 2, 1904, pp. 10-18.
Cfr. A. SAVORELLI, Ardigò nel giudizio dei contemporanei dagli anni Settanta al primo quindicennio del Novecento, cit., p. 80.
25 Ibidem. Interessante è anche la posizione di G. LOMBARDO RADICE per come emerge dalla sua recensione sullo scritto
ardigoiano La perennità del positivismo, in «La Critica», 3, 1905, pp. 231-233.
26 Cfr. G. GENTILE, Le origini della filosofia contemporanea in Italia, II vol., nuova ed. a cura di V. A. Bellezza, cit. Lo stesso B.
Croce, in una commemorazione tenuta al Senato del 1920, scrisse, facendo eco a tale definizione del Gentile: «Ardigò aiutò a
sgombrare dall’Italia i vecchiumi dell’ontologia e della psicologia razionale» (cfr. A. SAVORELLI, Ardigò nel giudizio dei
contemporanei dagli anni Settanta al primo quindicennio del Novecento, cit., p. 80; B. CROCE, Pagine sparse, II, Ricciardi, Napoli 1943,
pp. 303-304). Per gli interventi crociani del 1912 e 1913 a proposito dell’Ardigò cfr. B. CROCE, Conversazioni critiche. Serie
seconda, Laterza, Bari 1924, pp. 20-25.
27 Tra le principali pubblicazioni apparse in occasione delle ricorrenze ardigoiane dal palese valore documentario cfr. A.
GROPPALI, G. MARCHESINI (a cura di), Nel 70° anniversario di Roberto Ardigò, Bocca, Torino 1898; L’omaggio a Roberto
Ardigò nel suo 80° compleanno, in «Rivista di filosofia e scienze affini», nn. 3-4, a. 10 (1908); Gli studenti di Padova a Roberto
Ardigò, Prosperini, Padova 1913. Particolarmente interessante è poi il lavoro del Genovesi per il quale la riflessione
ardigoiana costituisce l’orizzonte concettuale e il quadro di fondo della concezione della scuola e del metodo di
insegnamento da cui prendono avvio approfondimenti e rielaborazioni da parte di altri positivisti italiani (cfr. G.
GENOVESI, Roberto Ardigò e la scuola nella temperie positivista di fine secolo XIX, «Bollettino CIRSE», n. 37, 2000, p. 2; T.
PIRONI, Roberto Ardigò, il positivismo e l’identità pedagogica del nuovo stato unitario, CLUEB, Bologna, 2000, p. 9).
28 W. BÜTTEMEYER, Il positivismo di Ardigò e l’Italia. Rassegna bibliografica, in I filosofi e la genesi della coscienza culturale della
«Nuova Italia» (1799-1900); stato delle ricerche e prospettive di interpretazione, Atti del Convegno di S. Margherita Ligure 23-25
ottobre 1995, a cura di L. MALUSA, Ist. Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli 1997, p. 313. Del BÜTTEMEYER cfr.
anche Roberto Ardigò e la psicologia moderna, La Nuova Italia, Firenze 1969; ID., Ardigò e Mach, in «Rivista di storia della
filosofia», 46 , 1991, pp. 109-126.
29 A. SAVORELLI, Ardigò nel giudizio dei contemporanei dagli anni Settanta al primo quindicennio del Novecento, cit., p. 62.
30 Cfr. ivi, pp. 62-63.
31 Cfr. A. ANGIULLI, La filosofia e la scuola. Appunti, Anfossi, Napoli 1888, pp. 110 ss.; A. SAVORELLI, Positivismo a Napoli.
La Metafisica critica di Andrea Angiulli, Morano, Napoli 1990, pp. 207 ss.
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metodologico, ha una evidente ricaduta su nodi problematici di ordine palesemente metafisico, che non
possono essere affrontati dalle singole discipline empiriche. È da questo assunto che deriva il contrasto
con “il gruppo principale del positivismo italiano”, che non «ammetteva nemmeno come un’utile
metafora, o come un modo pratico di esprimersi, l’idea di un ambito proprio di problemi “metafisici”
che non potessero risolversi in problemi scientifici»32.
In definitiva, proprio sul nesso “filosofia-scienze”, - ricorda il Savorelli33- si è svolta una
discussione a distanza tra Ardigò e il filone più influente della corrente evoluzionistica, discussione che
ne segna profondamente la reciproca incompatibilità.
E, per meglio dire, - utilizzando ancora delle felici espressioni savorelliane-, Ardigò «rimase
sostanzialmente un estraneo rispetto ad alcuni dei caratteri di fondo della mentalità positivistica quale si
venne affermando in Italia, che possiamo riassumere, alla grossa, come segue: un empirismo
insofferente di ogni approccio gnoseologico-metodologico, un’adesione incondizionata
all’evoluzionismo come principio generale del sapere, un accentuato “riduzionismo” bio-fisiologico in
psicologia, la concezione della filosofia come mera sintesi dei risultati delle scienze»34.
Anche l’ex positivista F. De Sarlo35 compie una critica del Nostro, ma circostanziata ai fondamenti
della psicologia. Nella formazione naturale della conoscenza come della morale, De Sarlo, rifacendosi
sicuramente alla critica di B. Spaventa, scorge «l’introduzione surrettizia di categorie più complesse. E
riecheggiando Angiulli considerava “indistinto” un’espressione meramente verbalistica»36.
Sicuramente condivisibile è l’osservazione savorelliana secondo la quale, se i discepoli dell’Ardigò
avessero raccolto la “sfida” di una critica non preconcetta su alcuni punti specifici, invece di ostinarsi a
presentarne un’immagine “senza incrinature”, forse avrebbero «contribuito a salvaguardarne l’eredità
con maggior successo»37. In linea con l’asserzione cambiana, si può affermare che Ardigò, come Comte,
Spencer, Bain e la Montessori, «guardano a una “pedagogia scientifica”, che affondi le radici nelle leggi
della fisiologia, della teoria dell’evoluzione e della sociologia positiva (non metafisica) e che la traduca in
termini educativi (cioè le applichi ai processi didattici, da un lato, e le ponga alla base della elaborazione
di modelli e ideali formativi, dall’altra), ma anche, almeno in parte, si richiamano ad una
sperimentazione, ad una analisi sperimentale dei processi educativi, che verrà più chiaramente definita,
in anni appena successivi, da Binet o da Decroly»38.
2. “La scienza dell’educazione”: i “capisaldi” della pedagogia scientifica ardigoiana
Nel Positivismo c’è un fondamentale retaggio dell’ideologia illuministica: l’interdizione della
metafisica, dell’apriorismo e, in definitiva, la piena accettazione della cultura e del metodo scientisti. Si
può ben comprendere, allora, perché a dire di S. Cambareri39 il “culto” o la “fede” nella scienza a livello
pedagogico finisca con il tradursi in culto o fede nel valore formativo della scienza sotto il triplice
profilo intellettuale, morale e civile. Da qui, prende le mosse quello slancio ardigoiano che si esplica
oltre la funzione storica avviata da un Mazzini, un Rosmini o un Gioberti. Infatti, è questo il momento
di “riorganizzare” e assumere una “metodologia nuova”, quella “positiva” , appunto, ma che tenesse
costantemente presente il vasto dibattito in atto sulla natura, oltre che sulla consistenza epistemologica
e teleologica di una “scienza dell’educazione”; termine volto a sostituire progressivamente quello di
pedagogia, se interpretata a livello di ricerca educativa o, anche, di preparazione ed aggiornamento degli
insegnamenti40.
Ardigò considera la pedagogia come scienza dell'educazione e, per questo motivo, ritiene che
l'uomo possa acquisire le abitudini di persona civile e, in sostanza, di buon cittadino. Naturalmente, per
A. SAVORELLI, Ardigò nel giudizio dei contemporanei dagli anni Settanta al primo quindicennio del Novecento, cit., p. 71.
Ibidem.
34 Ivi, p. 72.
35 Cfr. F. DE SARLO, Studi sulla filosofia contemporanea, Loescher, Roma 1901, pp. 163-181 ss.; pp. 237-240.
36 A. SAVORELLI, Ardigò nel giudizio dei contemporanei dagli anni Settanta al primo quindicennio del Novecento, cit., p. 77.
37 Cfr. ivi, pp. 77-78.
38 F. CAMBI, Il congegno del discorso pedagogico, CLUEB, Bologna 1986, p. 56.
39 Cfr. S. CAMBARERI, Positivismo e Pedagogia in Italia fra ‘800 e ‘900. G. D. Romagnosi- C. Cattaneo- S. Tommasi – R. Ardigò- A.
Gabelli, C.U.E.C.M., Catania 1988, p. 96.
40 Cfr. ivi, pp. 96-97.
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Ardigò, non tutte le abitudini sono da ritenersi educative e sotto un profilo etico –civile devono essere
considerate positive le attitudini di quelle persone dotate di speciali abilità che siano rispettose del
decoro e nobilitanti sul piano sociale. D’altro canto, il lavoro, la moralità, lo stesso capitale, si
intrecciano con una serie di considerazioni che riguardano senza ombra di dubbio le sensazioni, i
sentimenti, le passioni, l’igiene, ma soprattutto il decoro, appunto, che segue un’impostazione ben
precisa e imperniata su momenti fondamentali identificati proprio nell’attività, nell’esercizio,
nell’abitudine e nell’educazione.
Sotto un profilo prettamente didattico, è opportuno privilegiare sicuramente, come già ribadito,
l'intuizione, il metodo oggettivo, la lezione delle cose o il passaggio dal noto all'ignoto41; eppure, anche
la trasmissione di poche nozioni per volta, ritornando sulle nozioni già spiegate e arricchite, tuttavia, da
continue applicazioni di teorie e casi nuovi, rivaluta sicuramente il metodo educativo. Tra l’altro,
l’attività ludica diviene fondamentale per lo sviluppo fisico e mentale del bambino in formazione, dal
momento che, per il tramite del gioco, si consente all’infante di vedere nuovi oggetti, di toccarli, ma
anche di riconoscerne le singolari proprietà e, addirittura, di compierne una comparazione al fine di
individuarne somiglianze e differenze.
A monte di tali considerazioni, è palese che attraverso il gioco ogni bambino soddisfa le rispettive
esigenze motorie e sensoriali. Ardigò non si limita ad intendere il gioco quale fattore di sviluppo
meramente fisico, ma quale importante strumento di potenziamento delle facoltà intellettuali; e si
capisce perché consideri che impedire al bambino di giocare significherebbe mortificarlo e, anzi,
ucciderlo sotto un profilo morale.
Compito prioritario dell’educatore, in tale frangente, diviene quello di regolare e non reprimere la
naturale avidità del bambino verso le sensazioni e, pertanto, di incentivarne la vivacità con la quale lo
stesso si rapporta alle nuove esigenze che, poi, una volta impresse nella mente per effetto della
ripetizione, costituiranno la base «inconcussa» del suo sapere a venire e di tutta la costruzione mentale
che si formerà in seguito e in maniera graduale nel tempo.
Ardigò difende a spada tratta la spontaneità naturale del bambino ed è questo il motivo per cui
critica al Fröebel il fatto di aver considerato fondamentale per l’educatore “ordinare” l’attività ludica
del bambino, il che equivale a considerare lo stesso come una pianta da allevare artificialmente in una
serra. Appare pertanto appropriata l’osservazione cambareriana per la quale, in tale situazione, Ardigò si
richiama all’intuizione diretta naturale che, poi, non è altro che il sostrato sul quale impiantare
l’intuizione diretta artificiale da intendere proprio come il frutto naturale dei «sensi in relazione alle
cose»42. Certamente condivisibile appare, allora, l’ulteriore affermazione del Cambareri sulla critica
mossa dall’Ardigò ai metodi educativi froebeliani: «[l]a critica a Fröebel nel nome del rispetto della
libertà dello sviluppo, se da una parte si avvicina a quella di ispirazione attivistico-spiritualistica,
dall’altra drasticamente se ne allontana, e non può che essere così, perché preminente risulta in Ardigò
l’esigenza di uno “studio attento e scrupoloso dell’educando per scoprire l’indole sua, gli organismi
psichici in esso già formati e le disposizioni che ne dipendono, allo scopo di applicare ad ognuno gli
stimoli più opportuni al suo retto sviluppo”. Nessuno dubbio che qui egli si inserisce concretamente nel
discorso pedagogico di una didattica individualizzata, che include anche la dimensione delle condizioni
sociali dell’educando e d’età propria di ciascun allievo, e tutto ciò in “clamoroso ma incontrovertibile
contrasto con la critica tradizionale”»43.
Ardigò pone le premesse e, anzi, si rende precursore di una didattica individualizzata da imperniare
proprio sull’osservazione concreta dell’educando; didattica che per il termine “individualizzata” è stata
allora, come anche oggi, oggetto di equivoci e fraintendimenti.
Ardigò ha posto le basi di una didattica individualizzata perché, se è vero che ogni stimolo deve essere
sempre proporzionato alle potenzialità del soggetto, allora, anche la complessità o semplicità delle
Tutte formule di ovvia derivazione spenceriana, “cavallo di battaglia” dei pedagogisti di matrice positivistica, ma bersaglio
preferito degli studiosi di orientamento idealistico o spiritualistico.
42 Cfr. S. CAMBARERI, Positivismo e Pedagogia in Italia fra ‘800 e ‘900. G. D. Romagnosi- C. Cattaneo- S. Tommasi – R. Ardigò- A.
Gabelli, cit., p. 119.
43 Ibidem.
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nozioni trasmesse devono essere commisurate alla recettività dell’individuo in formazione, momento
per momento, secondo naturalezza e senza artificiosità44.
Per Ardigò diventa fondamentale una formazione mentale imperniata sulla spontaneità naturale,
sicuramente “miracolosa”, rispetto ad un processo educativo inspirato ad uno stimolo “uguale per tutti”
perché diretto al conseguimento di un medesimo effetto per tutte le menti. È fermamente contrario
all’imposizione, anche nei giochi, perché è convinto che l’inibizione dell’impulso naturale, in generale,
comprometta il processo di sviluppo mentale secondo la “retta via”45.
Si comprende, a questo punto, l’importanza di avviare una didattica individualizzata e, quindi, un
processo di individualizzazione da imperniare sulla capacità del docente di adattare le caratteristiche
individuali dei discenti, dal momento che le differenze individuali devono essere identificate,
riconosciute e utilizzate per adattare il proprio insegnamento alle esigenze e ai modi di essere di
ciascuno. E qui, a mio modesto parere, c’è una concordanza di veduta con Claparède46, anche se ancora
ad uno stadio embrionale. Solo molto più tardi, come sappiamo, si presterà sempre più attenzione al
superamento di un modello didattico “stereotipato”, ossia proposto in precedenza a tutto il gruppo
classe, in favore di un insegnamento individualizzato ed impostato su procedure metodologiche ad hoc
perché tarate sul soggetto cui sono destinate.
Considerato che, comunque, per far comprendere adeguatamente le nozioni da trasmettere
all’educando, non ci si possa limitare alla sola intuizione diretta naturale, è bene dare l’avvio al processo
di intuizione diretta artificiale, utile per far osservare meglio agli educandi ciò che si è già fatto loro
apprendere nella prima fase di intuizione diretta naturale. In sostanza, Ardigò promuove una sorta di
“intuizione guidata”, sicuramente corrispondente a dei «motivi essenziali di quello che potremmo
definire attivismo maturo, criticamente consapevole»47.
Tra l’altro, «l’affermazione della necessità di ricorrere a forme di intuizione per dir così
“organizzata” si fonda sul rifiuto della pretesa di far ripercorrere dai singoli alunni tutta la strada già
percorsa dall’umanità nel piacere di conquista del sapere»48, anche se poi il Nostro si contraddice
allorché, rivolgendosi agli educatori, esorta gli stessi ad insegnare all’educando «ciò che è già stato
trovato; così egli avrà agio di partire dal punto a cui sono pervenuti gli altri e di servirsi della sua attività
per andare più oltre e per fare così progredire la scienza»49.
Come sottolinea il Tisato, viene contestato all’Ardigò il fatto di essere stato poco chiaro sul nesso
esistente tra processo psicologico di avvicinamento alla scienza e struttura logico-sistematica della
scienza stessa, ma anche fra storia dei processi soggettivi di ricerca e storia delle dottrine 50; comunque,
ai fini della nostra riflessione, di maggior rilievo appare il concetto di lavoro abbreviato, ossia «la
conciliazione fra l’esigenza di fondare l’approfondimento sull’intuizione e quella di inserire il più
rapidamente possibile il discente al punto più avanzato della scienza moderna»51, che ha richiamato
l’attenzione degli addetti ai lavori, e sul quale occorre soffermarci.
Al riguardo, proprio la parola rappresenta un importante strumento applicativo del lavoro
abbreviato. Per mezzo del linguaggio, infatti, è possibile avviare un adeguato processo di
schematizzazione, trasmettere la verità scientifica, presentare delle nozioni per la cui comprensione
particolare si dovrà attendere il momento adatto, in linea con il processo di evoluzione fisica, morale,
intellettuale, sociale e temporale dell’educando e, quindi, quando la capacità di raziocinio dello stesso
sarà più forte.
Su questo aspetto cfr. F. AMERIO, Ardigò, Bocca, Roma 1957, p. 273.
Cfr. R. TISATO, Studi sul positivismo pedagogico in Italia, cit., p. 182.
46 Cfr. E. CLAPARÈDE, L’educazione funzionale, trad. it. di M. Valeri, Bemporad-Marzocco, Firenze 1952. In quest’opera il
Claparède (1873-1940) considera che la scuola, per adempiere alla sua funzione nella maniera più adeguata, deve ispirarsi ad
una concezione funzionale tanto dell’educazione quanto dell’insegnamento. Il fanciullo diviene, pertanto, centro dei
programmi e dei metodi scolastici, mentre l’educazione un progressivo adattamento dei processi mentali a certe determinate
azioni con determinati desideri (cfr. ivi, pp. 156-158).
47 Cfr. R. TISATO, Studi sul positivismo pedagogico in Italia, cit., p. 183.
48 Ivi, p. 184.
49 F. AMERIO, Ardigò, cit., p. 60; cfr. anche R. TISATO, Studi sul positivismo pedagogico in Italia, cit., p. 184.
50 Cfr. ivi, pp. 185 ss.
51 Ivi, p. 186.
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Ardigò sembra consapevole che i bambini di un’estrazione sociale media o superiore possiedano un
codice linguistico più elaborato rispetto ai loro coetanei che, provenienti dal ceto basso, sono portatori
di un codice linguistico ristretto, e, purtroppo, limitato da un punto di vista sintattico e lessicale. Egli
comprende che per provvedere al superamento delle disuguaglianze individuali, si debbano variare
anche i codici linguistici utilizzati nel processo di insegnamento, tenuto conto proprio dei differenti
livelli di complessità lessicale e sintattica posseduta dai singoli allievi. Da un’accurata analisi delle
differenze individuali dei discenti emergono, infatti, non solo diversità in merito alla quantità delle
conoscenze che ciascun allievo riesce ad interiorizzare, ma anche delle difformità rispetto alla modalità
e, quindi, alla capacità di assimilare determinate nozioni.
Da un punto di vista meramente didattico, è bene precisare che l’apporto linguistico resta sempre il
presupposto fondante di un procedimento scientifico volto alla comparazione, alla scoperta di analogie,
finanche al processo di caratterizzazione, nonostante il vero limite di tale procedimento, nell’Ardigò, è
proprio da ascrivere ad una totale assenza di senso problematico, ossia l’elemento caratterizzante di
un’indagine scientifica propriamente detta. Del resto, come fa notare la Pironi, tale tipologia di indagine
viene intesa sostanzialmente quale «organizzazione sistematica da acquisire nei suoi fondamenti certi e
stabili»52.
È fuor di dubbio che Ardigò fosse consapevole del fatto che il procedimento di apprendimento,
una volta avviato per il tramite dell’attività sensoriale, approda ai conseguenti procedimenti di
astrazione e categorizzazione, facendo sicuramente tesoro tanto dell’apporto linguistico quanto
dell’apporto culturale che la civiltà del tempo fosse in grado di offrire.
Ogni argomentazione didattica posta in essere dal Nostro è la deduzione diretta ed immediata di
argomentazioni dal palese impianto biologico, oltre che da discorsi legati all’attività, l’esercizio e, infine,
l’abitudine53; ma, pur abbandonandosi ad ampie digressioni su questioni che, probabilmente,
potrebbero essere affrontate in momenti successivi, riesce, comunque, a portare avanti un discorso
pedagogico lineare anche se non esente da superflue ripetizioni che ne intaccano, purtroppo, la
snellezza e la chiarezza del discorso complessivo.
Alla luce delle sue teorizzazioni filosofiche, Ardigò considera che l’uomo «è immediatamente un ente
naturale, ma perché da ente naturale possa elevarsi ad essere ente naturale umano, e, perciò, sociale e civile,
abbisogna dell’intervento educativo, dell’educazione […]. [L]’uomo è dunque natura ed educazione»54.
Ecco perché diventa fondamentale, a questo punto, tornare, ad esaminare nuovamente il bersaglio
preferito dai critici, ovvero la teoria dell’educazione come acquisizione di abitudini. Del resto, non si
dimentichi che la nozione di abitudine, anche se non sempre dichiarata in modo esplicito, come nel
Nostro, acquista sommo valore per l’intero filone pedagogico positivista.
Ardigò, nello specifico, compie un’aspra critica del concetto di inconoscibile come assoluto e
incondizionato, proposta da Spencer, per opporvi il concetto di inconoscibile da intendere come ciò
che non è ancora noto (ignoto). Tra l’altro, fornisce una chiara definizione del concetto di evoluzione in
termini psichici (e, quindi, come passaggio dall’indistinto al distinto) anzicchè biologici (di evidente
derivazione spenceriana). Si comprende, allora, perché anche sotto il profilo meramente pedagogico
applichi il procedimento evolutivo nei termini di indistinto e distinto, pur rinnovato mediante l’impiego
di “anticipazioni”, ossia dei “simboli” schematici del sapere dei nostri avi e di cui ci si può servire per la
crescita culturale delle nuove generazioni.
Ne deriva, allora, che per Ardigò ogni processo educativo è frutto di una sommatoria di abitudini
acquisite attraverso un esercizio stimolato scientificamente. Il fatto educativo, o meglio, l’essenza dello
stesso, risiede proprio in questa programmatica stimolazione di ordine scientifico. Non prestando
particolare rilievo al fine dell’educazione, solitamente identificato col problema filosofico ed astratto
della perfezione, pone l’accento in modo specifico sull’effetto dell’educazione. L’autore, in definitiva, si
concentra sulla “formazione naturale”: tutto ciò che esiste e che avviene in natura, anche per il tramite
dell’opera “volontaria” dell’uomo che vi interviene.
T. PIRONI, Roberto Ardigò, il positivismo e l’identità pedagogica del nuovo stato unitario, cit., p. 194.
Cfr. R. TISATO, Studi sul positivismo pedagogico in Italia, pp. 175-176.
54 Cfr. S. CAMBARERI, Positivismo e Pedagogia in Italia fra ‘800 e ‘900. G. D. Romagnosi- C. Cattaneo- S. Tommasi – R. Ardigò- A.
Gabelli, cit., p. 98.
52
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Quindi, per Ardigò, l’educazione si esplica come una formazione naturale sottoposta tanto alla
conoscenza scientifica quanto ad una “matrice” (sociale, familiare, ambientale) atta a determinare nella
costituzione psichica e fisiologica del soggetto una formazione “ulteriore” e variabile perché variabile,
appunto, in funzione della variazione della matrice stessa di riferimento. Non si dimentichi, infatti, che
nel processo educativo le matrici possono riguardare anche gli educatori di professione, le istituzioni
speciali e le maestranze professionali.
Se è vero che l’educazione è espressione di una formazione derivata da abitudini acquisite per
intercessione di elementi ambientali, allora, l’adattamento alla realtà, nel suo essere natura, esclude
senza dubbio, ogni sovrastruttura ideale frutto di una concezione motivata da profonde esigenze
culturali. E, quindi, in termini adattivi, l’essere (la natura) dovrebbe escludere il dover essere
(educazione-idealità).
Ad ogni modo, interessante è vedere lo schema del processo educativo elaborato dal Nostro che,
una volta preso atto che la pedagogia è scienza dell’educazione, mentre l’atto educativo un fatto da iscrivere
alla natura, delinea “i quattro momenti” del “fatto” educativo in attività, esercizio, abitudine ed
educazione.
L’educazione viene intesa come la fase finale di una lunga serie di stimolazioni volte a produrre
un’attività, la quale, ripetuta per il tramite dell’esercizio, conduce all’abitudine che, poi, si esplica quale
acquisizione di abilità. Ci troviamo, senza dubbio, dinanzi ad una pedagogia meccanicistica, di chiara
derivazione biologica e sociologica per la quale tra le matrici esterne da lui delineate e che, in generale,
tendono a stimolare il discente verso l’acquisizione di quelle abilità più consone e appropriate alla
rispettiva formazione mentale sotto il profilo scientifico, assumono sempre maggior rilievo la società e
il maestro di scuola.
In tale prospettiva, il fatto di ridurre l’educazione a mera abitudine, comporta la messa in atto di un
automatismo e non la promozione di una libertà responsabile da parte di colui che sceglie in funzione
di un progetto da realizzare. Viene messa in gioco, allora, la libertà di scelta dell’educando o quella
dell’educatore? Una cosa è certa: Ardigò vede il docente come un “maestro di incanti”, che si avvale di
ogni mezzo a sua disposizione (risolvendo la scienza dell’educazione in arte delle tecniche educative)
per procedere alla «formazione naturale» del suo allievo in formazione.
Negri, considera che, in Ardigò, anche nell’automatismo nelle azioni volte alla messa in atto della
«formazione naturale», c’è sempre un margine di libertà55. Tra l’altro, sottolinea la valutazione,
caratteristicamente positiva dell’ambiente sociale, come fattore determinante del processo educativo56.
Ardigò, infatti, ribadisce con vigore che proprio dal contesto sociale provengano le stimolazioni più
significative sotto il profilo educativo, anche se non minore importanza ricoprono le stimolazioni
dell’ambiente familiare. Nel riferirsi al contesto sociale, e poi familiare, significative risultano le
osservazioni cambareriane: «[p]roiettato in questo contesto, il termine educazione si precisa come
mezzo primario, attraverso cui una generazione (storica) trasmette all’altra, consapevolmente, la propria
“cultura”, ossia l’insieme delle sue idee, dei suoi comportamenti e delle sue valutazioni»57 […] «e […] la
prosecuzione del trasmesso, caratterizza, a ben guardare, l’educazione. In buona sostanza, la trasmissione,
modificazione e prosecuzione del trasmesso, appunto, delinea una specie di “io ideale” che una
determinata società, in un determinato momento storico del suo sviluppo, tende a riprodurre attraverso
la formazione di un tipo di persona che sembra meglio incorporare la sua scala di valori»58.
Si ricava facilmente che, in Ardigò, tanto la libertà umana quanto la moralità consistono
“nell’identificazione” del soggetto con la società. “Identificazione” interpretata dal Tisato 59 come mero
annullamento del soggetto nella società, mentre dal Cambareri quale «scavalcamento del proprio limite
A. NEGRI, Note, in R. ARDIGÒ, La scienza dell’educazione, a cura di A. Negri, Marzorati editore, Milano 1972, p. 233.
Ibidem.
57 Cfr. S. CAMBARERI, Positivismo e Pedagogia in Italia fra ‘800 e ‘900. G. D. Romagnosi- C. Cattaneo- S. Tommasi – R. Ardigò- A.
Gabelli, cit., p. 101.
58 Ivi, p. 102.
59 Cfr. R. TISATO, Positivismo pedagogico italiano, II vol., UTET, Torino 1976, p. 175.
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egoistico e la proiezione storica dell’individuo, delle sue attività e dei suoi ideali verso la comunità degli
uomini»60.
Flores d’Arcais, da parte sua, osserva che società e natura rappresentano i punti nodali sui quali
Ardigò intende costruire la sua Scienza dell’educazione e che la conseguente teoria dell’educazione, da lui
proposta quale acquisizione di abitudini, chiaramente caratterizzata dal prevalere del momento sociale
su quello individuale, porta la pedagogia del Nostro ad un palese esito di impianto conformistico e
conservatore61.
È chiaro, a questo punto, che il processo educativo debba puntare alla formazione di abilità di
ordine morale ed intellettuale insieme, abilità funzionali al contesto sociale di provenienza; «un contesto
sociale che, pure, esercita nel soggetto un’influenza determinante, poiché “ha campo di esercitare la sua
influenza in scala ben più vasta che non la famiglia e la scuola”»62.
Sostiene con acume la Pironi, dopo aver riportato e condiviso l’osservazione del Flores d’Arcais,
«Nello stesso tempo, in nome di quell’istanza regolativa, valoriale dell’ideale antiegoistico, Ardigò non
manca di criticare la concezione utilitaristica del Mill: torna il motivo antiutilitaristico de La morale dei
positivisti, e lo scopo dell’educazione viene fatto consistere nel dominio delle tendenze egoistiche […].
L’esigenza di trovare un modello etico, inattaccabile da spiritualisti e cattolici, si inserisce all’interno di
una visione solidaristica, scarsamente emancipativa, che si esprime nella volontà di creare uno spirito di
coesione tra tutti i suoi membri, sottovalutando tensioni e contrasti della società italiana di quegli
anni»63.
Ardigò, come del resto anche Herbart, intende l’apprendimento non come sviluppo di qualità
innate ed originarie del soggetto, ma quale processo di formazione e di organizzazione delle esperienze
via via acquisite, tenuto conto di un preciso piano che muti tali esperienze in abilità psichiche,
costitutive della mente e, in fondo, del carattere morale del soggetto in fase di crescita.
Poste tali premesse, è chiaro – e su questo siamo in pieno accordo con le tesi pironiane -, che la
teoria scientifica ardigoiana, relativa al fatto dell’educazione, finisce con l’esplicarsi quale mera
metodologia didattica legittimata da principi offerti dalla fisiologia, la psicologia, l’antropologia o la
morale, che, pur mirando all’interiorizzazione di abiti mentali e operativi costitutivi del carattere, manca
comunque di una concreta consistenza epistemologica. E si può comprendere, in ultima analisi, perché,
anche per la Pironi, la didattica ardigoiana è «intesa solo come metodo d’insegnamento, in esclusivo
supporto ai valori espressi dai sistemi politici e culturali dominanti»64.
In riferimento al metodo di insegnamento, è da notare che il Nostro, dopo una vigorosa presa di
posizione a favore del metodo induttivo sperimentale, si chiede quale sia il metodo più appropriato
all’insegnamento e se, pertanto, sia il caso di escludere dall’attività didattica il metodo deduttivo. Del
resto, nell’insegnamento, potrebbe essere utile sia il metodo deduttivo che quello induttivo. Ed ecco,
che l’Ardigò avverte la necessità di non essere eccessivamente rigorosi nell’esecuzione di un metodo,
essendo quello induttivo da considerare certamente valido ai fini dell’acquisizione delle idee giuste, ma
sostituibile qualora fosse il caso di “rappresentare” o “ripetere” le scienze. Si comprende facilmente,
allora, la ragione perché egli consigli agli insegnanti di seguire il metodo induttivo nelle scuole
elementari, e di utilizzare, qualora se ne presenti l'occasione, il metodo deduttivo per gli ordini della
scuola superiore.
È palese che tanto il metodo induttivo quanto quello deduttivo siano ritenuti essenziali da parte del
Nostro che, comunque, considera opportuno, almeno in una fase iniziale, soffermarsi sull'induzione.
D’altro canto, l’intuizione, a suo dire, rappresenta la mera conoscenza dell’individuale per mezzo dei
Cfr. S. CAMBARERI, Positivismo e Pedagogia in Italia fra ‘800 e ‘900. G. D. Romagnosi- C. Cattaneo- S. Tommasi – R. Ardigò- A.
Gabelli, cit., p. 111.
61 Cfr. G. FLORES d’ARCAIS, Scienza, filosofia e pedagogia nel positivismo dell’Angiulli e dell’Ardigò, in «Rassegne di pedagogia»,
Padova 1951.
62 T. PIRONI, Roberto Ardigò, il positivismo e l’identità pedagogica del nuovo stato unitario, cit., p. 161 (per la cit. contenuta all’interno
della citazione di T. PIRONI si rinvia al testo di R. Ardigò, Scienza dell’educazione, ed. 1903, p. 18).
63 T. PIRONI, Roberto Ardigò, il positivismo e l’identità pedagogica del nuovo stato unitario, cit., pp. 161-162.
64 Ivi, p. 168.
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sensi, o, meglio, della vista65. L’insegnamento, secondo il metodo induttivo, deve fondarsi
essenzialmente su due fasi: parlata e intuitiva.
Mentre il parlato può far sviluppare un interesse superficiale o sfuggevole, non incentivando lo
sforzo all’attenzione, l’intuitivo, invece, presenta dei caratteri differenti. Innanzitutto, può essere a sua
volta classificato in diretto e indiretto (o simbolico). Ne deriva che l’intuizione diretta e naturale possa
incentivare un apprendimento tanto pre-scolastico che extra-scolastico.
Cosa diversa avviene per il metodo intuitivo indiretto (o simbolico) o diretto artificiale visto che comporta
necessariamente un processo di apprendimento “guidato” in ambito esclusivamente scolastico. Ed ecco
che, con Ardigò, l’intuizione diretta naturale si esplica nella sua massima espressione attraverso le
attività ludiche. Infatti, ne La scienza dell’educazione, si sottolinea in più pagine l’importanza del gioco
motorio o sensoriale dei primi anni di vita, oltre che quello della seconda infanzia o fanciullezza, ai fini
dello sviluppo intellettuale e morale dell’educando, che non deve essere assolutamente stimolato
attraverso rigidi schematismi. Aspetto, questo, come già ribadito, che è stato criticato dal Nostro al
metodo froebeliano.
Pur riconoscendo al Froebel il fatto di aver individuato l’importanza educativa dell’attività ludica,
conferma una posizione simile a quella sostenuta dal De Dominicis alcuni anni prima: che i giardini
d’infanzia hanno tradito l’impostazione metodologica froebeliana, visto che la mancanza di spazi verdi
adeguati mortifica la valenza educativa del metodo che finisce, pertanto, col trascurare lo sviluppo
naturale favorendo, invece, l’artificiosità. Diventa importante, in modo specifico per De Dominicis, e in
fondo anche per il Nostro, la metodologia del “fare”, attraverso l’incentivazione del processo di
continuità tra asilo e prime classi elementari66.
Significativa è, poi, la parte dell’opera dedicata alla centralità dell’attenzione nel processo di
apprendimento. In proposito, è bene partire dalla considerazione che l’attenzione è «necessaria per la
perfezione dell’arte, dell’industria, della scienza, dell’abilità in genere. Dal momento che ogni lavoro è un
complesso di più parti, per essere perfetto è necessario che sia eseguito bene in ogni sua parte. E la
perfezione si raggiunge solo con lo studio attento e metodico e, quindi, con l’attenzione»67.
Naturalmente, per far maturare nell’allievo la cosiddetta attenzione volontaria68, occorre incentivare per
primo lo sviluppo dell’attenzione involontaria per il tramite di mezzi fondamentali quali la curiosità,
l’interesse e l’affiatamento, l’isolamento, la varietà e il riposo, la collaborazione, la ripetizione, l’esercizio.
E, per destare la curiosità è sicuramente utilissimo, a dire del Nostro, il metodo intuitivo. Del resto,
per rendere interessante la lezione e incentivare la curiosità del discente, anche attraverso esperimenti e
oggetti, è importante lasciare un velo di mistero in tutto ciò che si vuol trasmettere. Risulta
fondamentale risvegliare l’attenzione dei ragazzi, ma per farlo ogni docente deve aver ben chiaro
l’obiettivo educativo che vuole raggiungere e il modo attraverso il quale trasmettere determinate
nozioni. Ad esempio, nella scelta del tono giusto di voce a seconda dell’argomento, nell’utilizzo
appropriato di sguardi e gesti, nella dimostrazione pratica dell’utilità di quanto ci si accinge a spiegare.
L’insegnante deve anche essere molto attento nell’alternare le nozioni facili a quelle difficili o nel
riprendere concetti già noti dal momento che i ragazzi prestano maggiore attenzione a quelle nozioni
che già sono loro note. Risulta importante, allora, ripetere più volte e in maniera sempre differente le
cose.
Tra l’altro, il maestro deve far valere la propria autorevolezza, senza essere troppo severo o
concedere troppa confidenza. Ogni docente deve mirare all’obiettivo più difficile: guadagnarsi l’anima
Posizione completamente differente da quella pestalozziana che, invece, si impernia sull’idea di intuizione da considerare
quale strumento attraverso il quale compenetrarsi intimamente nell’oggetto, mediante il riconoscimento della sua struttura
essenziale (cfr. S. CARAMELLA, La pedagogia tedesca in Italia, Armando, Roma 1964, pp. 109-130).
66 Cfr. T. PIRONI, Roberto Ardigò, il positivismo e l’identità pedagogica del nuovo stato unitario, cit., pp. 186. Per le teorie
dedominicisiane al riguardo cfr. «Nuovo educatore», n. 11, 1882, p. 165.
67 R. ARDIGÒ, La scienza dell’educazione. Passi scelti organicamente collegati, a cura di M. Venza, Signorelli, Roma 1977, p. 89.
68 «[L]’attenzione volontaria. Questa si forma con l’esercizio. […] È bene […] che gli scolari, dopo aver appreso una regola, si
esercitino nell’applicazione di essa, col maestro dapprima, da soli dopo. A tal riguardo, ammonisce Ardigò, i ripetitori sono
più deleteri che utili, per due ordini di ragioni: 1) il ragazzo sapendo di non dover svolgere da solo i compiti a casa non sta
attento alla lezione; 2) il risparmio della fatica e dell’esercizio nelle applicazioni non solo impedisce di fissare nella mente le
nozioni già apprese, ma abolisce l’esercizio per mezzo del quale si forma “l’attitudine della attenzione volontaria”» (ivi, p.
91).
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ed il rispetto dell’intera scolaresca, ma soprattutto una viva partecipazione e collaborazione della stessa.
Infatti, la collaborazione degli alunni diviene di capitale importanza per destare l’attenzione verso
nozioni che devono essere trasmesse in maniera “isolata”, ossia una per volta nella loro “nudità”.
Il maestro deve improntare la lezione in maniera che gli alunni credano di suggerire loro stessi le
cose al docente il quale, da parte sua, deve incoraggiare il dibattito e gli interventi, anche se talvolta
questi non risultano pertinenti. Tutti questi accorgimenti serviranno a risvegliare l’interesse e,
conseguentemente, l’attenzione dei ragazzi.
Fondamentale è, poi, la varietà delle argomentazioni da trattare nel processo formativo, unitamente
alla ripetizione per stimolare le menti di coloro che prestano poca attenzione 69. Inoltre, Ardigò incita i
maestri a correggere e a dare un loro giudizio, senza eccedere nelle lodi o nel biasimo, su tutte le attività
scolastiche svolte dai ragazzi affinché questi si sentano spronati nell’essere attenti, studiosi ed ordinati70.
Tutta l’impostazione metodologica ardigoiana punta ad uno specifico obiettivo: avviare un
adeguato processo di formazione morale per la quale ogni soggetto, avvalendosi dell’istruzione quale
organizzazione unitaria di un più ampio processo educativo diretto a formare la ragione ma anche a
valorizzare la sfera sentimentale, interiorizzi l’ideale antiegoistico.
In definitiva, tramite l’esercizio della volontà in formazione ritiene possibile trasformare gli impulsi
originariamente egoistici in vere e proprie abitudini costitutive della mente, abitudini chiaramente
ispirate da virtù disinteressate che consentano al soggetto di favorire la disposizione ad agire
coerentemente, sempre in un determinato modo, senza curarsi degli stimoli contrari.
Resta evidente nel Nostro l’antinomia irrisolta tra reale ed ideale, per cui si comprende, ad esempio,
la proposta, rispondente più ad esigenze ideali che reali, di modificare la struttura del Ginnasio-Liceo,
rafforzandone proprio l’educazione «propriamente detta», ossia quella ispirata da precise «disposizioni
direttive del sentimento e dell’immaginazione» e diretta proprio alla formazione di coloro che dovranno
prendersi cura delle istituzioni.
La sua proposta si fonda su una precisa convinzione: mentre nella scuola primaria il bambino non
sa ancora cogliere il senso delle idealità estetiche, morali e scientifiche, nell’età adolescenziale, invece, si
verifica una peculiare maturazione emotiva ed intellettuale capace di orientarsi al rigore logico e di
informarsi a sentimenti in grado di governare l’istinto egoistico: amore, sacrificio di sé, benevolenza,
coraggio.
È fuor di dubbio, allora, che l’educazione della volontà e, conseguentemente, del carattere debba
essere avviata nell’infanzia e per mezzo dell’insegnamento intuitivo. Ne deriva che l’educazione morale
da promuovere in maniera indiretta, debba puntare allo stimolo dell’esperenzialità del bambino in
formazione, proprio in riferimento alla sfera personale71, ma anche sociale72.
Si ricava facilmente che i sistemi morali cui richiamarsi siano due: quello kantiano e quello
aristotelico, l’uno fondato sulla ragione individuale, l’altro sulla ragione sociale. Ma, il limite in ciò,
rilevato dal Venza, è che all’Ardigò «sfugge tutta la complessità teoretica e deontologica della dottrina
kantiana, come […] anche il senso più profondo della morale aristotelica, colta soltanto alla
superficie»73.
Ed ecco, allora, il motivo per cui la «volontà buona», da «coerente positivista», si identifica con la
morale sociale o, meglio, utilità sociale. L’uomo, si costituirà «essere morale» nel momento in cui la
volontà morale in senso antiegoistigo si risolverà in «abitudine», la «virtù e chiave» dell’intero sistema
etico e pedagogico ardigoiano74. Ed è evidente, a questo punto, che anche la disciplina, da considerare
quale momento centrale della vita scolastica, dovrà essere ben valorizzata dall’insegnante che, per il
Cfr. ivi, pp. 89-91.
Cfr. ivi, p. 91.
71 per quel che concerne l’idea di piacere, dolore, benessere, utile, pericoloso.
72 per quel che concerne l’abitudine ad uno stile di vita “decoroso” improntato ai principi: 1° del rispetto delle cose proprie e
altrui; 2° della correttezza; 3° della gentilezza; 4° dell’autostima; 5° della dignità personale nel proprio modo di pensare ed
agire; 6° della moralità in generale.
73 M. VENZA, La Pedagogia, in R. ARDIGÒ, La scienza dell’educazione. Passi scelti organicamente e collegati, a cura di M. Venza, cit.,
p. XIX.
74 Cfr. ibidem.
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tramite del “buon esempio” deve costruire “l’abito” del bambino in formazione sotto il profilo
dell’abitudine fisica, morale e sociale.
Pertanto, come ribadisce la Pironi, il «soggetto da educare nella società, nella famiglia, nella scuola è
essenzialmente un soggetto posto “sotto tutela” e il quadro formalizzato di procedure, strategie,
pratiche metodologiche, di cui il maestro resta l’unico artefice, per assicurare il più possibile un percorso
educativo unitario e coerente, diventa essenzialmente strumento normativo di conformazione a quei
valori legittimati dalle strutture stabili del potere e della società in atto: gerarchia, dipendenza, sacralità
della patria, etica del sacrificio. Il processo di istruzione educativa deve in fondo corrispondere
all’immagine che la società civile ha di se stessa»75, e questo l’Ardigò l’ha compreso molto bene.
Considerato che la finalità del problema educativo sia quello dell’acquisizione di abilità utili,
decorose e nobilitanti, si deve concordare con E. De Falco quando ritiene che sulle «orme del più netto
positivismo, Ardigò considera la formazione del carattere non come conseguimento di idealità assolute,
definite oggettive, ma come frutto dell’ambiente sociale e delle abitudini nobilitanti che lo giustificano
socialmente e moralmente»76.
Si ricava facilmente che la sua dottrina educativa è priva di valori assoluti capaci di fungere da guida
al fatto educativo. Ecco, allora, che si comprende perché per De Falco la mancanza di valori assoluti,
spinge, nel riferirsi ad Ardigò, a non parlar più di vera educazione. Infatti, secondo quest’ordine di idee,
la scienza pedagogica si ridurrebbe, più che al fatto educativo, a dei «fattori educativi»: da quello
biologico-nervoso a quello psicologico, all’atavismo, all’utilità morale, al determinismo sociale. Ardigò,
partendo da un fondamento fisiopsicologico, considera che l’educazione è scienza, in quanto fondata su
principi scientifici (dalla sensazione all’esercizio, all’ambiente, all’abitudine), ma anche formazione
naturale chiaramente seguita da un processo di integrazione e specificazione frutto di una peculiare
didattica ispirata dal comeniano metodo ciclico di apprendimento77.
Come fa notare il Saloni, è evidente che un’esposizione della pedagogia ardigoiana attraverso la sola
disamina de La scienza dell’educazione, possa esporre l’autore al pericolo di una schematizzazione forse
anche troppo ingenua78, osservazione condivisa anche dal Tisato79.
Questi, infatti, ribadisce la necessità di ricorrere al lume fornito dalle opere filosofiche maggiori per
intendere meglio gli scritti specificamente dedicati al problema educativo80.
Se, ad esempio, guardiamo al concetto di creatività vediamo che il Nostro vi ha dedicato un
interessante articolo del 1901 pubblicato per i tipi del Draghi (Il meccanismo dell’intelligenza e l’ispirazione
geniale), dove vi espone le premesse teoriche sui risultati dell’attività creativa.
Egli, dopo aver spiegato che i risultati di tale attività possono essere «geniali» perché derivanti da
«formazioni eccezionali regolari» o, ancora, «stravaganti o pazzeschi» perché derivanti da «formazioni
eccezionali irregolari», ricorre ai concetti di senso comune, buon gusto, proprio in riferimento al criterio
di distinzione tra regolare e irregolare.
Vi apporta, quindi, una soluzione di ordine meramente sociologico, certamente poco precisa, ma
possibile in tutti gli uomini, sotto il profilo formale. Egli ritiene che la naturale inclinazione verso la
creatività possa essere favorita in colui nel quale è stato incentivato l’esercizio, anche inconscio. Del
resto, come sottolinea acutamente il Tisato, la vera attività creativa appartenente all’età più matura, e
non all’infanzia, può essere facilitata da un processo educativo che metta a disposizione del discente
ricchezza e varietà di stimoli, in un ambiente caratterizzato da ampia libertà81.
Eppure, fa notare ancora lo studioso, il «“declassamento” dello spirito a natura, conseguente
all’identificazione dell’educazione con l’acquisizione di abitudini, implica, secondo la critica tradizionale,
T. PIRONI, Roberto Ardigò, il positivismo e l’identità pedagogica del nuovo stato unitario, cit., p.215.
E. DE FALCO, Introduzione, in R. ARDIGÒ, La scienza dell’educazione, a cura di E. De Falco, ed. Ciranna, Siracusa-Milano
1956, pp. 12-13.
77 Cfr. ivi, p. 15.
78 A. SALONI, Il positivismo e Roberto Ardigò, Armando, Roma 1969, pp. 130-131.
79 R. TISATO, Positivismo pedagogico italiano, II vol., cit., p. 481.
80 Cfr. ibidem.
81 Cfr. ivi, p. 491.
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l’impossibilità, per il positivismo, di fondare non solo l’educazione alla creatività ma anche l’educazione
alla libertà e, in particolare, alla libertà morale»82.
Tra l’altro, come ribadisce il Venza, condividendo solo in parte le tesi di Ugo Spirito, il quale ravvisa
nell’utilità delle azioni divenute abitudini una certa positività sociale, l’abitudine lascerebbe poco spazio
tanto alla novità quanto alla creatività dell’educatore, che finisce con il procedere ad un processo
formativo equiparabile più ad una forma di addestramento o automatismo, che ad una vera scienza
dell’educazione fondata su criteri epistemologici sistemati ed organizzati criticamente, alla luce di un
sapere scientificamente strutturato e filosoficamente fondato83.
Il problema ardigoiano principale resta sempre quello di coniugare la formazione di rette abitudini
con la libertà e l’autonomia individuale, oltre che quello di raccordare lo sviluppo naturale con il
processo formativo.
Per Ardigò, una volta acquisito che ogni processo formativo, sul piano naturale, possa essere
ricondotto ad una inevitabile assunzione di comportamenti sedimentati e certi, avviene il passaggio da
una pedagogia metafisica ed astratta ad una pedagogia intesa come scienza dell'educazione.
Il dato essenziale della ricerca ardigoiana sembra risiedere nel fatto che l’autonomia dell’educazione
non è abbandonata ad uno spontaneismo naturalistico. La libertà, allora, è da considerare non come
fatto naturale, bensì quale acquisto sociale conseguente ad un processo educativo ispirato da idealità
sociali corrispondenti a precise utilità sociali. Allora, la vera libertà dell'uomo risiede nella conciliazione
dell'antinomia esistente tra individuo e società.
Ma ai fini dell’applicazione di una siffatta pedagogia risultano fondamentali, per il Nostro,
l’aderenza all’esperienza spontanea del fanciullo e l’organizzazione razionale del fatto educativo. Si
comprende, allora, perché l’Ardigò, nonostante i “limiti” del suo pensiero, sia stato, poi, etichettato
quale “genio ispiratore” di una nuova fase del Positivismo, quella, cioè, aperta più o meno
implicitamente a correnti quali il Contingentismo o Pragmatismo e addirittura ad un “genuino”
Idealismo84, “messa in atto” dai suoi principali allievi (Giuseppe Tarozzi e Giovanni Marchesini)85.
Interessante appare, ancora una volta, l’annotazione di A. Savorelli86 per il quale Höffding,
sicuramente influenzato dal Marchesini, vede Ardigò appartenere «insieme a Pasquale Villari ed Andrea
Angiulli, ad una corrente “particolare” del positivismo, che per il peso dato all’analisi dell’“esperienza”
si volge ad una critica delle “anciennes formes du positivisme”. L’inserimento di Ardigò in questa triade
di pensatori è un giudizio importante e abbastanza innovativo, perché, pur riecheggiando analoghe
valutazioni di Espinas, viene “dopo” e contrasta apertamente l’assimilazione di Ardigò alla corrente
evoluzionistica del positivismo italiano ed europeo e tende invece a marcare le distanze»87.
Da parte sua, A. Negri considera che «Ardigò vive una vicenda umana e speculativa che merita di
essere percorsa senza adesione appassionata e senza acredine polemica»88. Ed è proprio questo che si è
cercato di fare nel riproporre le pagine di un’opera come La scienza dell’educazione nella quale emergono
alcuni punti di forza del pensiero pedagogico ardigoiano, che presenta anche chiari echi comtiani,
soprattutto considerato che il Nostro intende ogni scoperta scientifica quale frutto dell’interrogazione
umana scaturita dalla meraviglia verso il mondo in generale.
È poi chiaramente espresso il senso dell’educazione quale formazione, prima che come pura e
semplice istruzione e preparazione professionale; e questo è un motivo tipico della riflessione
pedagogica positivistica, anche comtiana. Si ricava facilmente, allora, che agendo ancora il motivo
Ibidem.
Cfr. M. VENZA, La Pedagogia, R. ARDIGÒ, La scienza dell’educazione. Passi scelti organicamente e collegati, a cura di M. Venza,
cit., pp. XIX- XXII.
84 Sulla presentazione di Ardigò quale rappresentante di un «genuino idealismo» cfr. C. RANZOLI, Il moderno idealismo, in
«Rivista di filosofia e di scienze affini», 7, 1905, pp. 646-53.
85 A. SAVORELLI, Ardigò nel giudizio dei contemporanei dagli anni Settanta al primo quindicennio del Novecento, cit., p. 73; E.
GARIN, Cronache di filosofia italiana 1900-1943, Laterza, Bari 1966, p. 81 ss.; N. URBINATI, Determinismo e libertà. Aspetti della
crisi del positivismo italiano negli anni di fine secolo, «Atti e memorie dell’Accademia Toscana di scienze, lettere e arti “La
Colombaria”», n. s. 52, 1987, pp. 227-78.
86 A. SAVORELLI, Ardigò nel giudizio dei contemporanei dagli anni Settanta al primo quindicennio del Novecento, cit., p. 76.
87 Ibidem.
88 A. NEGRI, Introduzione, in R. ARDIGÒ, La scienza dell’educazione, a cura di A. Negri, cit., p. 7.
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dell’educazione come formazione o, meglio, Bildung, la scuola non debba solo preparare
professionalmente, ma anche formare l’uomo e il cittadino.
Educare, vuol dire, sia pure in termini semplicistici, promuovere l’abitudine dei giovani in
formazione a sforzare la loro volontà al fine di fissare le idee forti, ossia le idee sociali. Ed ecco, che in
tutto questo processo, l’azione educativa del maestro diventa essenziale; la sua funzione viene celebrata
con grande forza dall’Ardigò, che non si preoccupa affatto di quelli che Negri definisce «strumenti
della nuova retorica o della persuasione occulta»89.
Forse in Ardigò, ancor più che nei suoi contemporanei, viene delineato con estrema chiarezza, sotto
il profilo teoretico, l’ambito dell’azione-arte educativa. E non si può che condividere l’affermazione
negriana secondo la quale «ad Ardigò non interessa altra scienza dell’educazione che non sia quella
risolubile in arte. La pedagogia è una scienza umana: Ardigò, per questa via, la adegua ad una qualsiasi
scienza naturale: ed anche questo è caratteristico della riflessione positivistica in generale, che aspetta da
ogni scienza le indicazioni efficaci per un’azione sulla natura e sull’uomo»90.
In ultima analisi, non si può non condividere quanto osserva il Negri: «La Scienza dell’educazione può
essere il libro magistrale di cui si è sentito parlare il Marchesini; può essere il libro manchevole di cui si è
sentito parlare il Saloni; ma resta pur sempre il libro che non rinnega l’acquisto di fondo della riflessione
positivistica ardigoiana, che è il concetto di un’apertura continua, di una novità costante dell’ordine»91.
Cfr. A. NEGRI, Note, in R. ARDIGÒ, La scienza dell’educazione, a cura di A. Negri, cit., p. 234.
Ivi, p. 235.
91 A. NEGRI, Introduzione, in R. ARDIGÒ, La scienza dell’educazione, a cura di A. Negri, cit., p. 21.
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