comunicato stagione 2014-15

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COMUNICATO STAMPA
La nuova stagione 2014/15 di Teatri di Vita a Bologna
“guarda altrove”
Con le danze di pace tra Russia e Ucraina,
le parole di Elfriede Jelinek rilette da Andrea Adriatico,
il teatro di reportage dalle nostre emergenze...
E ancora: teatro gratis per le scuole con un concorso,
gli artisti a casa degli spettatori,
e l’abbonamento a 49 euro per 18 spettacoli: meno di 3 euro l’uno
Ben 18 appuntamenti di teatro e danza (di cui 8 in “prima nazionale”), che attraversano generi,
stili, linguaggi, suggestioni, nella stagione 2014/15 di Teatri di Vita (via Emilia Ponente 485,
Bologna; www.teatridivita.it; infoline: 051.566330), che prende il via il 25 ottobre con un autunno
dedicato interamente alla danza internazionale. Una panoramica ricca e in parte inedita sullo
spettacolo contemporaneo, oltre le frontiere stesse della contemporaneità. Un invito al pubblico per
unire divertimento e riflessione, anche grazie al basso prezzo dei biglietti, che tocca punte
vantaggiosissime nell’abbonamento complessivo a soli 49 euro: praticamente meno di 3 euro a
spettacolo (oltre a due abbonamenti specifici per la danza e per il teatro, rispettivamente di 29 e 39
euro).
Teatri di Vita lancia inoltre un concorso per le scuole, che consente la visione gratuita per gli
studenti delle scuperiori: gli insegnanti interessati possono accompagnare i loro studenti (che
entreranno gratis) a uno spettacolo, i cui temi saranno poi oggetto di un tema. Alla fine della
stagione sarà premiato il tema migliore.
E inoltre, gli spettatori che vorranno potranno mettere a disposizione una camera della propria casa
per ospitare un artista in programma: un modo per arricchire l’esperienza degli spettacoli e per
sostenere il progetto culturale di Teatri di Vita.
La prima parte della stagione è una vera e propria stagione a sé di danza contemporanea, con 7
spettacoli (di cui 6 in “prima nazionale”) provenienti da 7 diversi paesi.
Si inizia con la collaborazione con il Festival Gender Bender, che prevede 3 coreografi da Canada
(Virginie Brunelle), Belgio (Koen de Preter) e Italia (Enzo Cosimi), che raccontano il corpo, le
identità sessuali, i generi, e oltre.
L’autunno prosegue con la sezione “Danze di pace dal fronte orientale”, nei giorni in cui si
ricordano i 100 anni dall’inizio della Prima Guerra Mondiale (“Niente di nuovo sul fronte
occidentale” è il titolo del romanzo di Remarque su quella tragedia), e nei giorni in cui proprio su
questo fronte orientale si acuiscono le tensioni politiche e militari. Dal fronte orientale arrivano,
duqnue, quattro compagnie per raccontare il senso di smarrimento di fronte alla frantumazione di
una nazione (M.O.S.T. dance project, dall’Ucraina), le attese di fronte alla vita (Olga Pona, dalla
Russia), le relazioni umane (Karakuli Dance Theatre, dalla Bielorussia) e la costruzione
dell’identità e del genere (Karol Tyminski, dalla Polonia).
Il 2015 si aprirà con un’ampia sezione teatrale dedicata al Premio Nobel Elfriede Jelinek, in
collaborazione con il Festival Focus Jelinek. Il nucleo più corposo è rappresentato dal trittico che
Andrea Adriatico dedica alla scrittrice austriaca, e che costituisce anche il maggior impegno
produttivo di Teatri di Vita in questa stagione: “Delirio di una TRANS populista”, “Jackie e le
altre” e “Un pezzo per SPORT” (quest’ultimo debutterà il 23-25 ottobre all’Arena del Sole
nell’ambito del Fetsival VIE), tre tasselli di un discorso sul potere, sulle sue apparenze, i suoi
depistaggi, le sue incarnazioni e reincarnazioni. Un quarto spettacolo è realizzato dal Teatrino
Giullare a partire da un romanzo di Jelinek, “Le amanti”.
Grande attesa per gli irlandesi Brokentalkers, per la prima volta in Italia, che presentano in prima
nazionale l’emozionante “The blue boy”: un potente spettacolo di teatro fisico, visionario e
sconvolgente, che racconta con crudezza e poesia gli abusi subiti dai bambini rinchiusi in istituti
correzionali gestiti da ecclesiastici. Dopo i film “Magdalene” e “Philomena”, questo spettacolo
affonda lo sguardo nel buio delle violenze subite dai giovanissimi ad opera dei preti incaricati della
loro “correzione”.
Il teatro prosegue offrendo suggestioni sulle emergenze della storia o della cronaca senza
dimenticare autori classici reinventati. L’evocazione di Hitler compiuta da Antonio Latella in
“A.H.” si incontra con “Joyce” di Rossella Dassu, dedicata all’antifascista Joyce Lussu.
Shakespeare ritorna riletto da Tim Crouch e dall’Accademia degli Artefatti in “Io Fiordipisello”,
mentre Pirandello rivive con “CIAULAtotheMOON” nel nuovo spettacolo dei nO (Dance first.
Think Later), gruppo rivelazione dell’ultimo Premio Scenario. E dalla Sardegna, Akròama racconta
l’amore tra un uomo maturo e una ragazza in “Storia finta”. Per concludere con lo spettacolo di
contaminazione tra teatro, performance e arti visive, creato in residenza a Teatri di Vita da Luca
Carboni e Gabriel da Costa.
Infine, come ogni anno, Teatri di Vita offre anche una serie di corsi aperti a tutti, condotti anche
quest’anno da Anna Amadori: corso di recitazione di base; corso di teatro per chi ha già avuto
qualche esperienza; corso di dizione e lettura espressiva.
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SCHEDE DEGLI SPETTACOLI
25-26 ottobre
Virginie Brunelle (Canada)
“Complexe des genres”
Coreografia: Virginie Brunelle
Interpreti: Isabelle Arcand, Luc Bouchard-Boissonneault, Sophie Breton, Claudine Hébert, SimoneXavier Lefebvre, Frédéric Taverini
Luci: Alexandre Pilon-Guay
Musiche: Mozart, Schubert, Chopin, Beethoven, Max Richter, Philip Glass, Menomena
in collaborazione con il festival Gender Bender
prima nazionale
L’incontro/scontro tra il maschile e il femminile rappresentato in questa pièce della talentuosa
Virginie Brunelle assume i caratteri di una danza acrobatica, energetica, fortemente fisica,
sensuale, ironica e irriverente. Sulla scena, tre uomini e tre donne si confrontano, si fronteggiano,
si intrecciano, si fondono e si scontrano alla disperata ricerca di un’identità. I corpi, flessuosi,
sembrano a tratti compenetrarsi, a negare ogni differenza di genere preesistente. Che cos’è
maschile e che cosa femminile? L’affermazione del sé non può prescindere dalla relazione con
l’altro, sembra volerci dire Brunelle: ma i protagonisti di Complexe des genres devono confrontarsi
con le rispettive paure e la ricerca ossessiva della perfezione, tentando di superare
l’incomunicabilità tra le persone e tra i sessi, in una tensione continua verso il vero amore e la
libertà dall’ego. Con lo stesso coraggio e la stessa irriverenza, Virginie Brunelle prende in prestito
le forme codificate della danza classica per rielabolarle in un nuovo linguaggio, fino a creare
immagini inedite e di grande forza espressiva.
Virginie Brunelle, canadese, si è imposta sulla scena contemporanea per il carattere crudo ed
emozionale dei suoi spettacoli, per i quali ha ottenuto importanti riconoscimenti: Bourse DavidKilburn (Wallonie- Bruxelles per l’OQWBJ), Bourse RIDEAU 2009 (Festival Vue sur la Relève),
secondo premio al concorso AICC 2010 (Danimarca). Ha fondato la sua compagnia nel 2009, a
Montréal, partecipando ai più importanti festival e rassegne in tutto il mondo.
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29 ottobre
Koen De Preter (Belgio)
“Journey”
Coreografia: Koen de Preter
Interpreti: Alphea Pouget, Koen de Preter
Drammaturgia: Annette van Zwoll
Luci e scenografia: Klaar Vermeulen
Colonna sonora: Koen de Preter, Tom Herteweg
Costumi: Elisabeth Kinn Svensson
Produttori esecutivi: Koen de Preter, Klein Verzeit
Una coproduzione Kunstencentrum Vooruit Gent, C-Mine Culturcentrum Genk e Takt Neerpel
in collaborazione con il festival Gender Bender
prima nazionale
Journey è l’incontro (im)possibile, sulla scena e attraverso la danza, tra due generazioni sulla carta
lontanissime: quella del 33enne Koen De Preter, coreografo e ballerino belga, e quella dell’89enne
Alphea Pouget, ballerina e pedagogista di origine svedese. Oltre mezzo secolo di storia (personale
e collettiva) separa i componenti di questo originalissimo duo, i loro corpi e le loro menti. Che però
– complice una colonna sonora che mescola a sua volta i generi e i secoli – di scena in scena
spingono un po’ più in là i confini sfidando i rispettivi limiti, fino a trovarsi uniti dal comune amore
per la danza. Toccante, leggero, divertente, commovente, Journey è una riflessione sull’età, sulla
forza e la resistenza del corpo, sul tentativo di andare oltre il fossato che separa giovani e anziani.
Sulla scena vediamo tutta l’energia – a tratti selvaggia – di De Preter confrontarsi con la fragilità e
la lentezza – piena di grazia – di Pouget: ma l’apparente contrapposizione si risolve quando i due si
ritrovano a ballare, per la prima volta, insieme e all’unisono: cancellando così ogni differenza, ogni
distanza. Journey nasce dal desiderio di De Preter di superare il tabù della vecchiaia, così poco
rappresentata in scena e nel contesto di una società ossessionata dal mito della giovinezza. Nel 2010
incontra Alphea Pouget in Provenza, e comprende di aver trovato finalmente la persona giusta per
realizzare la sua pièce.
Come ballerino, Koen De Preter ha lavorato con numerose compagnie e coreografi internazionali,
tra cui Raimund Hoghe (Bruxelles/Bruges), Sasha Waltz & Guests (Berlino), Fanny & Alexander
(Ravenna), T.R.A.S.H. (Tilburg), Keren Levi (Groningen) and United-C (Eindhoven). Tra i suoi
lavori figurano Sometimes it’s there (2010) con Ulrika Kinn Svensson e While things can change
(2011) con Maria Ibarretxe.
Alphea Pouget ha studiato danza classica con Léo Staats all’Opéra di Parigi e danza moderna a
Stoccolma con Birgit Akeson. Ha insegnato danza a Parigi, Brema, Cannes, Marsiglia, Berlino e
Amburgo.
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Enzo Cosimi (Italia)
“Welcome to my world”
regia e coreografia Enzo Cosimi
costumi e make up Enzo Cosimi
disegno sonoro a cura di Enzo Cosimi
musiche Chris Watson, John Duncan, Pansonic, Brian Eno
disegno luci Stefano Pirandello
organizzazione Maria Paola Zedda
interpreti Paola Lattanzi, Alice Raffaelli, Francesco Marilungo, Riccardo Olivier
produzione Compagnia Enzo Cosimi, Mibac
in collaborazione con la Scuola Civica d’Arte Paolo Grassi di Milano
in collaborazione con il festival Gender Bender
Che volto avrà la Fine del Mondo? Welcome to my world: ovvero l’Apocalisse secondo Enzo
Cosimi, punta di diamante della coreografia contemporanea italiana. Che anche stavolta colpisce
dritto al cuore con uno spettacolo duro, emozionante, a tratti disturbante. Quattro danzatori, due
uomini e due donne nudi dalla cintola in su, come privati di ogni identità di genere, con segni neri
sulle mani e sul naso; una scena spoglia, ridotta all’essenziale, in cui lo spazio è tagliato da lampi di
luce rossa e modellato di volta in volta da suoni della natura alternati a cupi e vibranti rumori
meccanici, da folate di vento o nubi di fumo, e dai passi e dalle movenze erotiche, tragiche,
scomposte dei protagonisti, alla ricerca faticosa di una nuova armonia. Ogni tentativo di
purificazione attraverso articolati rituali primordiali, come bere il latte da una bottiglia, sembra
destinato a fallire. Di quadro in quadro si compie la drammatica ed eroica ricerca di un nuovo
mondo e di un nuovo sé attraversando dicotomie lancinanti, tra ferite che sanguinano e tentativi di
risorgere come arabe fenici dalle proprie ceneri. Nel finale, i sopravvissuti si raccolgono attorno a
uno dei danzatori che fa ruotare un lungo bastone come fosse un remo o il pennone di una nave:
un’immagine di speranza che rimanda alla Zattera della Medusa di Géricault.
Enzo Cosimi ha studiato danza moderna e balletto classico a Roma con Alfimova Gibson. Si
perfeziona in seguito a Bruxelles al Mudra diretto da Maurice Bejart e a New York approfondendo
la tecnica contemporanea con Merce Cunningham e balletto con Cindy Green, Jocelyn Lorenz e
Maggie Black. Nel 1982 fonda la sua Compagnia formando al proprio stile coreografico un nucleo
di danzatori. Coreografo ospite per il Teatro Alla Scala di Milano e del Teatro Comunale di Firenze,
firma nel tempo con la sua Compagnia produzioni per il Teatro Comunale di Ferrara, Biennale di
Venezia, RED Reggio Emilia danza, Teatro Ponchielli di Cremona, Auditorium – Parco della
Musica di Roma, Festival RomaEuropa, Museodi Arte contemporanea Arken di Copenachen e altre
importanti realtà culturali italiane e internazionali. Collabora con personaggi d’eccezione tra i quali
Miuccia Prada, Luigi Veronesi, Richie Hawtin, Giorgio Cattani, Aldo Tilocca, Louis Bacalov, Aldo
Busi, Luca Spagnoletti, Daniela Dal Cin, Robert Lippok e Fabrizio Plessi con il quale crea Sciame,
primo lavoro di video danza italiano. Nel 2006 firma la regia e la coreografia della Cerimonia di
apertura dei XX Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006, protagonista l’étoile Roberto Bolle e
250 interpreti. Nel marzo 2012 viene riallestito Calore, primo lavoro di Enzo Cosimi all’interno del
Progetto RIC.CI. a cura di Marinella Guatterini. Sempre nel 2012 crea una coreografia per
l’Accademia Nazionale di Danza e per la Scuola Civica Paolo Grassi di Milano.
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7-9 novembre
Karol Tyminski (Polonia)
“Doll House”
coreografia Karol Tymiński
luci Jan Cybis
musica Linda Scott, Vic Damon, RDJ2
produzione Foundation Burdag, Foundation C/U, Open Latitudes (Latitudes Contemporaines- Lille,
Les Halles ‒ Bruxelles, L’Arsenic ‒ Lausanne, Le Manège-Mons/ Maison Folie, Festiwal
Ciało/Umysł), con il sostegno del Culture Programme dell'Unione Europea
prima nazionale
L’asse portante di “Doll House” (dal titolo che riprende il dramma di Ibsen) è l’utopia visionaria
della società americana negli anni 50, in particolare l’icona della donna e i ruoli a lei attribuiti.
Emergendo da un'analisi critica femminista e oscillante tra la finzione del teatro e la teatralità della
realtà, l'artista si confronta con l'imperativo di perfezionismo, che all'interno della cultura pop
diventa di per sé una icona su scala globale. Il tutto in un vortice di rispecchiamenti e deragliamenti,
che investono l’identità e il genere: un’investigazione sulla libertà umana in una società che cerca
di affibbiare delle forme, influenzando corpo, desideri, emozioni. Tyminski ci risucchia in una
riflessione tutta fisica sul corpo in rapporto alle identità queer, tra maschile e femminile.
Nell’ambito di “Danze di pace dal fronte orientale”: quattro spettacoli di danza dall’Europa
dell’Est, nei giorni in cui si ricordano i 100 anni dall’inizio della Prima Guerra Mondiale (Niente
di nuovo sul fronte occidentale è il titolo del romanzo di Remarque su quella tragedia), e nei giorni
in cui proprio su questo fronte orientale si acuiscono le tensioni politiche e militari.
Karol Tyminski è un performer e coreografo polacco, membro del Centrum w Ruchu, diplomato al
Performing Arts Research and Training Studios (P.A.R.T.S.) di Bruxelles e al Warsaw Ballet
School. I lavori creati da Karol Tyminski sono stati presentati in vari teatri in Polonia e all’estero.
Nelle sue esplorazioni Tyminski si focalizza soprattutto sulle questioni di genere, oscillando nelle
interpretazioni tra maschile e femminile e oltre ogni definizione sessuale. Tyminski ha lavorato, tra
gli altri, con Nigel Charnock, Liat Magnezy, Jennifer Lacy, Kaya Kolodziejczyk, Agneja Seiko, Joe
Alter, Vincent Dunoyer, Bill T. Jones, Eleonore Didier, Fabian Chyle, Jacek Poniedzialek. Come
danzatore si è esibito, tra l’altro, in Polonia, Gran Bretagna, Lituania, Repubblica Ceca, Olanda,
Germania, Belgio, Francia, Usa. La sua attività artistica è stata sostenuta da Unione Europea, Open
Latitude, Stary Browar Nowy Taniec, Ciało/ Umysł Foundation, Ministero della Cultura della
Polonia, Advancing Performing Arts Project, Institute of Music and Dance, Movement Research,
Mica Moca, Adam Mickiewicz Institute, Burdag Foundation.
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20-23 novembre
M.O.S.T. dance project (Ucraina)
“As I became a traitor”
coreografia Anton Ovchinnikov, Anton Safonov
Light designer: Yuri Vagin
Fotografie: Anastasiia Balan
Musica: Airto, Aramaki, Zavoloka
Danzatori: Anna Vinogradova, Alona Perepelytsya, Mariya Bakalo, Mariya Shlyakhova, Tatyana
Rodionova, Anton Safonov, Vladimir Chetverikov
prima nazionale
Anton Ovchinnikov e Anton Safonov sono i coreografi di questo spettacolo, che affronta il tema
del tradimento, che si svilupperà su diversi piani, da quello personale a quello che coinvolge le
relazioni sociali e politiche.
Per lungo tempo tutti noi ci siamo considerati il paese più prosperoso dell’ex Unione Sovietica.
Parlavamo la lingua che volevamo: russo, ucraino, tataro, inglese. Guardavamo la tv, ascoltavamo
la radio, cantando canzoni in lingue diverse. Andavamo in ristoranti, con cucine che
corrispondevano ai nostri gusti.
Non avremmo mai pensato che noi, ucraini, potessimo essere classificati secondo le nostre
preferenze.
E anche se fosse stato così, non avremmo mai pensato che queste preferenze potessero dividerci.
E anche così, nemmeno in un incubo avremmo potuto immaginare che ci saremmo uccisi a vicenda
per questo.
E così li chiamiamo “traditori”. E loro fanno lo stesso con noi.
Riflessioni su cosa sia il tradimento per ciascuno di noi: i partecipanti al progetto sono diventati la
base per questo spettacolo. Naturalmente, per tutti noi c’è una storia dentro, ma non abbiamo
voluto fare il racconto di queste storie. Lo abbiamo deciso dopo averlo visto, e voi dovreste sentire
come noi abbiamo sentito. Fiducia e sospetto, confusione, paura, stress, perdita di confidenza, un
senso di pericolo... E alla fine, capiamo che tutto questo è solo un gioco, giocato da noi contro la
nostra stessa volontà e oltre la nostra comprensione.
Nell’ambito di “Danze di pace dal fronte orientale”: quattro spettacoli di danza dall’Europa
dell’Est, nei giorni in cui si ricordano i 100 anni dall’inizio della Prima Guerra Mondiale (Niente di
nuovo sul fronte occidentale è il titolo del romanzo di Remarque su quella tragedia), e nei giorni in
cui proprio su questo fronte orientale si acuiscono le tensioni politiche e militari.
Anton Ovchinnikov e Anton Safonov hanno dato vita al M.O.S.T. dance project per la creazione
di questo spettacolo.
Anton Ovchinnikov si è diplomato alla Kiev National University of Culture and Arts,
specializzandosi in modern, jazz e danza contemporanea. Dopo gli studi ha girato per l’Europa,
partecipando a numerosi workshops. Nel 2003 ha fondato il Black!Orange Dance Theatre, che
rappresenta la maggior realtà di danza contemporanea in Ucraina. La compagnia gestisce oggi un
teatro e una scuola di danza e dal 2010 organizza il festival Zelyonka-Fest. Inoltre Ovchinnikov
insegna danza all’Università di Kiev.
Anton Safonov, danzatore, coreografo e insegnante. Dal 2010 al 2012 ha guidato una propria
compagnia di danza, “Third Person”.
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4-7 dicembre
Karakuli Dance Theatre (Bielorussia)
“Limited Attraction Liability”
Danzatori: Igor Shugaleev, Alexey Matyshev, Alexander Filippov, Olga Labovkina, Lyudmila
Karankevich
Produzione: Olga Labovkina
Coreografia : Olga Labovkina in collaborazione con gli artisti
prima nazionale
Lo spettacolo affronta la relazione tra uomo e donna da differenti punti di vista, indagando le
differenze di percezione in situazioni e azioni simili, e osservando i molti stadi dello sviluppo della
relazione. Tutti gli eventi tra di loro sono paragonati a un carosello in cui nessuno prende le sue
responsabilità, nessuno conosce la storia e nessuno è assicurato. I personaggi principali sono sotto la
sensibile supervisione di due curiose presenze che rappresentano in qualche modo degli angeli
custodi o il più alto potere del destino. Gli angeli si divertono a interferire costantemente nella
relazione, determinando il corso degli eventi, interrompendo, cambiando i piani, e trovando a loro
volta dei conflitti. I loro conflitti sono una perdita di coscienza…
Nell’ambito di “Danze di pace dal fronte orientale”: quattro spettacoli di danza dall’Europa
dell’Est, nei giorni in cui si ricordano i 100 anni dall’inizio della Prima Guerra Mondiale (Niente
di nuovo sul fronte occidentale è il titolo del romanzo di Remarque su quella tragedia), e nei giorni
in cui proprio su questo fronte orientale si acuiscono le tensioni politiche e militari.
Olga Labovkina, dopo aver studiato composizione di forme della danza contemporanea
all’Accademia di Danza Vaganova di San Pietroburgo, ha fondato il Karakuli Dance Theatre. Le
sue creazioni sono state presentate in diversi contesti internazionali, tra cui l’International Festival
of Modern Choreography di Vitebsk, il Golden Mask di Mosca, lo Zawirovania Festival di Varsavia
e lo Zelyonka-fest di Kiev. Come danzatrice e coreografa lavora con artisti e strutture di molti paesi
dell’Europa dell’Est e della Scandinavia: ha collaborato con il coreografo svedese Sybrig Dokter
nella creazione di “Where the water flows uphill”; inoltre ha preso parte come performer e tutor ai
musical “Metro” (Varsavia) e “Prophet” (San Pietroburgo); e sta realizzando progetti per
compagnie di Russia, Bielorussia e Ucraina. Nel 2013 è stata in residenza presso Korzo Production,
una della maggiori compagnie di produzione olandesi di danza contemporanea. Olga Labovkina è
una delle animatrici di AgripinaLab, associazione di perfomer e coreografi impegnati nello sviluppo
della danza contemporanea in Russia e Bielorussia.
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12-14 dicembre
Chelyabinsk Dance Theatre (Russia)
“Horizon and beyond”
coreografia di Olga Pona
prima nazionale
“Waiting”
coreografia di Olga Pona
“Io non sono sicura di avere un messaggio. Voglio mostrare che c’è una bellezza diversa, che non è
definita da immagini romantiche ma dalla stessa vita russa” (Olga Pona). Teatri di Vita presenta
una serata con doppio spettacolo per il Chelyabinsk Contemporary Dance Theatre guidato da
Olga Pona.
Per la sua forma rigorosa Horizon and beyond è molto fisico. Quattro danzatrici – o forse
dovremmo parlare di contorsioniste – si intrecciano, si respingono e attraggono a vicenda, in una
suggestiva miscela di musica da Bach alla contemporanea. I temi di Olga Pona – la vita nella Russia
post-comunista, i caratteri nazionali in un mondo globalizzato, il comportamento radicato e
l’emancipazione – sono solo il punto di partenza di questo spettacolo. Un invito a intraprendere un
viaggio al di là del nostro orizzonte quotidiano, che indica una promessa di illimitatezza.
Con Waiting Olga Pona affronta una classica sindrome russa, l’attesa, l’essere lì nella stanca
aspettativa di un qualche evento, con la mente proiettata in un futuro incerto. Immagini intense e
gesti radicati nella banalità del quotidiano russo, vibranti di rabbia e poesia.
Nell’ambito di “Danze di pace dal fronte orientale”: quattro spettacoli di danza dall’Europa
dell’Est, nei giorni in cui si ricordano i 100 anni dall’inizio della Prima Guerra Mondiale (Niente
di nuovo sul fronte occidentale è il titolo del romanzo di Remarque su quella tragedia), e nei giorni
in cui proprio su questo fronte orientale si acuiscono le tensioni politiche e militari.
Olga Pona è, con pochi altri coreografi, sinonimo di “danza contemporanea” in Russia perché tra le
prime, quando ancora era dominante l’estetica del regime comunista che considerava solo il balletto
e le danze folcloristiche, ad andare alla ricerca di nuovi linguaggi espressivi del corpo. Ottima
studentessa, Olga si trasferisce dalla città natale, Novotroisk, a sud degli Urali, a Chelyabinsk per
seguire gli studi in ingegneria e qui, per la prima volta, la danza entra nella sua vita a pieno titolo.
Dai primi sacrifici, dai primi incontri (tra cui quello, a Mosca, con Merce Cunningham, di cui segue
un workshop), alle prime coreografie, ai premi (tra cui il prestigioso Golden Mask di Mosca) e
residenze internazionali (tra cui il Centro Europeo di Sviluppo della Danza in Olanda).
Chelyabinsk Contemporary Dance Theatre: Europa, Usa, Corea del Sud, Tunisia… sono alcune
delle principali tappe straniere in cui ha danzato la compagnia fondata nel 1992 da Olga e Vladimir
Pona. Fare e continuare a fare danza contemporanea lì non è facile, ma Olga Pona è riuscita ad
avere il sostegno dell’amministrazione cittadina che garantisce alla compagnia un salario e uno
spazio per le prove, permettendo alla maggior parte dei danzatori di sviluppare un percorso costante
in seno alla compagnia.
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9-11 gennaio
Andrea Adriatico / Teatri di Vita
“Delirio di una TRANS populista”
un pezzo dedicato a elfriede jelinek
di andrea adriatico
con eva robin’s
e saverio peschechera, alberto sarti, stefano toffanin...
suono, scene e costumi: andrea barberini
cura: daniela cotti, monica nicoli, saverio peschechera, alberto sarti, rabii sakri
grafica di albertina lipari de fonseca
grazie a anna amadori, stefano casi, giulio maria corbelli, elena di gioia, peraspera festival
una produzione teatri di vita in collaborazione con festival focus jelinek e il sostegno di comune di
bologna – settore cultura; regione emilia romagna – servizio cultura; ministero per i beni e le attività
culturali.
a marcella di folco
in collaborazione con il Festival Focus Jelinek
a nessuno viene veramente in mente di ribellarsi, un’impresa senza speranze.
perlopiù diciamo qualcosa di molto semplice.
da grandi altezze però suona diversamente…
VOTA TRANS è il nuovo slogan di una grottesca politica che riesuma antichi sogni totalitari
“perché tutti siano davvero tutti”. Un comizio schizofrenico che arringa folle sparute di ardenti
fanciulle pronte a immolarsi per la causa.
Delirio di una TRANS populista è un “pezzo” teatrale, Ein Stück, lanciato come il frammento di un
discorso, amoroso e rabbioso al tempo stesso, verso il presente. Con le parole di Elfriede Jelinek
che si trasformano nella voce e nel corpo di Eva Robin’s.
Una rilettura straniante per accarezzare il mondo logorroico della scrittrice austriaca e per sondare
il mondo macerato in cui agiscono i fantasmi, fin troppo realistici, dell’orrore quotidiano in cui
viviamo. In una visione al contempo politica e psicologica, ludicamente camp e vertiginosamente
tragica, dei nostri ingloriosi anni.
Lo spettacolo è la prima tappa del trittico di Andrea Adriatico dedicato a Elfriede Jelinek, che sarà
presentato integralmente tra gennaio e febbraio a Teatri di Vita.
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Andrea Adriatico / Teatri di Vita
“Jackie e le altre”
un altro pezzo dedicato a elfriede jelinek
di andrea adriatico
con anna amadori, olga durano, eva robin’s, selvaggia tegon giacoppo
costumi: angela mele
suono, scene: andrea barberini
cura: daniela cotti, monica nicoli, saverio peschechera, alberto sarti, rabii sakri
grazie a stefano casi, giulio maria corbelli, elena di gioia, andrea cigni
una produzione teatri di vita in collaborazione con fondazione orizzonti d'arte; festival focus jelinek
e il sostegno di comune di bologna – settore cultura; regione emilia romagna – servizio cultura;
ministero per i beni e le attività culturali.
a pina
in collaborazione con il Festival Focus Jelinek
La maestà si vede e non si vede.
Occorre un buon portamento del capo, da imbrigliare e fissare in una foto, come ostaggi di se
stessi.
Come amanti di se stessi.
I personaggi di Elfriede Jelinek (Premio Nobel 2004) non sono altro che corpi che danno parole.
Le loro parole cercano identità, non personificazioni.
Jelinek congela la storia e procura una visione “mitica” dell’esistenza.
Come con Jackie Kennedy Onassis, eroina e metafora del femminile contemporaneo.
O con Jörg Haider, il leader austriaco preda di un delirio populista alla nazione.
Il nostro raccontare il mito parte da qui, da queste parole, da uno sguardo tagliente sul mondo,
deluso, scanzonato, eppure acuto, che sa di vita.
Parte dalle nostre Jackie.
E dalle altre… in una moltiplicazione, infinita: IO. LEI. L’ALTRA…
Lo spettacolo è la seconda tappa del trittico di Andrea Adriatico dedicato a Elfriede Jelinek, che
sarà presentato integralmente tra gennaio e febbraio a Teatri di Vita.
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6-8 febbraio
Teatrino Giullare
“Le amanti”
dal romanzo di Elfriede Jelinek
Traduzione italiana di Valeria Bazzicalupo
Diretto e interpretato da Giulia Dall'Ongaro ed Enrico Deotti
Scene e mascheramenti Cikuska
Produzione Teatrino Giullare e Festival Focus Jelinek
con il sostegno della Regione Emilia Romagna
Si ringraziano Emilia Romagna Teatro Fondazione e Comune di Sasso Marconi
in collaborazione con il Festival Focus Jelinek
Se qualcuno vive un destino, allora non qui. se qualcuno ha un destino, è un uomo. se qualcuno
riceve un destino, è una donna. disgraziatamente qui la vita passa, solo il lavoro resta. qualche
volta una delle donne cerca di unirsi alla vita che passa e di chiacchierare un po’ con lei. ma
spesso la vita va via in macchina, troppo veloce per la bicicletta, arrivederci!
Protagonista di questa storia è l’Amore, Eros, con le sue angosce, le sue spesso fallaci promesse.
Vengono alla luce due vite, quella di Brigitte, che lavora in una fabbrica di reggiseni, e quella di
Paula che lotta contro i genitori per sfuggire ad una vita senza prospettive.
Il linguaggio originalissimo dell’autrice è irruente e sofisticato, giocato sul filo del paradosso, a
tratti irresistibilmente comico. Un duello teatrale tra Eros e la brutalità in cui la satira prende
come oggetto la crudeltà dei rapporti, l’insensatezza della vita lavorativa e soprattutto la retorica
sull’Amore, che si rivela l’ennesima mistificazione dell’essere umano per non vedere la povertà dei
suoi orizzonti.
Dallo straordinario romanzo di Elfriede Jelinek (Premio Nobel per la letteratura 2004), per la prima
volta adattato per il palcoscenico, Teatrino Giullare crea con leggerezza ironica e soluzioni sceniche
sorprendenti una messa in scena in cui gioca con la condizione delle due donne che si aspettano che
solo dall’amore venga fuori il riscatto di un’esistenza altrimenti insignificante, mettendo a fuoco
un’immagine fosca e tagliente della razza umana.
Fondato e diretto dagli attori e registi Giulia Dall’Ongaro ed Enrico Deotti, Teatrino Giullare ha
come costante della propria ricerca teatrale l’idea di attore artificiale, di esplorazione
dell’espressività tramite il limite fisico ed una originalità che l’ha portato, dal 1995 ad oggi, a
realizzare allestimenti teatrali, mostre e laboratori in tutta Italia e in molti paesi del mondo in tutti i
continenti. Dal 2005 la compagnia è impegnata nel progetto di sperimentazione L’artificio in scena
che ha prodotto gli allestimenti di opere di Beckett, Bernhard, Koltès e Pinter: l’indirizzo è
l’indagine contemporanea di alcune fondamentali opere del Novecento tramite una visione inedita
che sperimenti l’uso di artifici e filtri per ricercare ed esaltare la natura più intima dei testi. La prima
parte del progetto ha vinto il Premio Speciale Ubu 2006 per la profondità d’interpretazione dei
classici contemporanei e ha riscosso un grande interesse di pubblico e critica.
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17-22 febbraio
Andrea Adriatico / Teatri di Vita
“Un pezzo per SPORT”
un’altra visione su Elfriede Jelinek
di Andrea Adriatico
con Alberto Sarti, Andrea Fugaro, Anna Amadori, Carolina Talon Sampieri, Eva Robin’s, Fabrizio
Croci, Francesca Mazza, Gianluca Enria, Olga Durano, Patrizia Bernardi, Saverio Peschechera,
Selvaggia Tegon Giacoppo, Stefano Toffanin
luci, scene e costumi Andrea Barberini
grafica Albertina Lipari De Fonseca
cura Monica Nicoli, Saverio Peschechera, Alberto Sarti
grazie a Stefano Casi, Giulio Maria Corbelli, Elena Di Gioia
una produzione Teatri di Vita
in collaborazione con Emilia Romagna Teatro, Festival Focus Jelinek
il sostegno di Comune di Bologna – settore cultura, Regione Emilia-Romagna – servizio cultura,
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
a Franco
in collaborazione con il Festival Focus Jelinek
io non compaio, al massimo vado e vengo, mi siedo in silenzio, mi rialzo, senza che nessuno se ne
accorga.
in me tu vedi la personificazione del disprezzo che mi colpisce e mi viene incontro; persino nel mio
bell’appartamento immerso nel verde, ma scostante, puoi leggerlo, il disprezzo. lì non ho bisogno
di persone…
Fare sport. Mente, corpo, spirito e ideologia.
Decine di persone in corsa per la forma fisica, per definire la propria immagine. NOI, MASSE.
Non è già questa una visione straordinariamente teatrale? Non ha già di suo la potenza di una storia
umana incredibile, che trascende le lingue, le religioni, le razze, le epoche e in un colpo solo le
abbraccia tutte con un nuovo colpo di classicismo?
Non c’è per esempio tutto il novecento e duemila? L’esaltazione della razza, l’agit prop, le adunate
“fascionaziste”, o l’uomo massa espressionista?
Non ci siamo dentro? Per aderenza o sottrazione ci siamo noi. Interi. Immersi.
Lo sport. Per parlare di vita.
Forse proprio per questo lo sport è tale: mette in movimento un corpo per separarlo, grazie alla
fatica, quanto più possibile dai pensieri. Affaticare le membra per recuperare la lucidità
interiore.
Gli uomini e le donne di quest’opera di Elfriede Jelinek sono appunto pezzi di un discorso sulla
vita, sulla finitezza, sulla corporeità ma allo stesso tempo un pensiero inquieto sul senso primo del
vivere.
Lo spettacolo è la terza tappa del trittico di Andrea Adriatico dedicato a Elfriede Jelinek, che sarà
presentato integralmente tra gennaio e febbraio a Teatri di Vita.
-------------------------------------------------------------------------28 febbraio – 1 marzo
stabilemobile - compagnia Antonio Latella
“A. H.”
drammaturgia Federico Bellini e Antonio Latella
regia Antonio Latella
con Francesco Manetti
elementi scenici e costumi Graziella Pepe
luci Simone De Angelis
assistente alla regia Francesca Giolivo
fonico Giuseppe Stellato
production Brunella Giolivo
management Michele Mele
un ringraziamento speciale a Manetti Italia
produzione stabilemobile - compagnia Antonio Latella
in coproduzione con Centrale Fies
in collaborazione con KanterStrasse/Valdarno Culture
“E se invece di mettere i baffi alla Gioconda li togliessimo a Hitler?”.
Questa domanda non vuole essere una provocazione ma è, nella sua assurdità, il punto
interrogativo da cui partiamo. Volgere lo sguardo da quel quadratino peloso, quella mosca sotto al
naso, maschera dell’orrore di tutto il ‘900, a qualcosa di interiore, di terribilmente intimo, umano.
Non è nostra intenzione mettere in scena la figura di Adolf Hitler, non vogliamo cucire una divisa e
farla indossare ad un attore per portarlo a recitare, a interpretare, a personificare o più
probabilmente a scimmiottare Hitler. Sarebbe una pazzia e un fallimento di intenti, una mancanza
di gusto e altro ancora.
Ci interessa, invece, intraprendere una riflessione sul male. Esiste il male? Certo, per esempio il
cancro, un male terribile di cui tutti abbiamo paura perché uccide e non guarda in faccia a nessuno
(ricco, povero, famoso, buono, cattivo, santo, peccatore, re, operaio, papa o laico…).
Di fronte a un simile male, la domanda non è solo “come sconfiggerlo?” ma soprattutto “perché
nasce?”.
Partiamo da questo interrogativo per confrontarci con il cancro che ha colpito l’Europa, l’ha
infettata, mutata, devastata, uccisa; è entrato nei cuori e nelle menti e si è trasformato in pensiero,
in politica, si è mascherato da ragione, da bene ed ha sterminato senza nessuna pietà, come un
angelo vendicatore. Poi un giorno, dopo anni di guerra, il male è stato sconfitto: il cancro e le sue
metastasi sono state vinte, un coro di voci ha gridato alla vittoria e abbiamo ricominciato a vivere,
a ricostruire e, anche, a dimenticare. Hitler è stato distrutto e sconfitto ma come tutti i grandi mali
non è stato ucciso, si è ucciso per non morire, per custodire l’orrendo segreto della sua nascita.
Come è stato possibile che il cancro Hitler sia entrato nel cuore di milioni di persone? Come è
stato possibile che queste persone abbiano creduto in lui e si siano messe la mosca sotto al naso?
(Antonio Latella)
Antonio Latella è una delle personalità registiche italiane di maggior spicco degli ultimi decenni.
Nel 1998 firma la prima regia e nel 2004 si trasferisce a Berlino. Nel 2006 viene invitato a dirigere
uno dei corsi dell’Ecole des Maîtres. Cura la direzione artistica del Nuovo Teatro Nuovo di Napoli
per la stagione 2010/11 e nel 2011 fonda l’associazione stabilemobile – compagnia Antonio Latella.
I suoi spettacoli sono stati ospitati nei più importanti teatri e festival internazionali.
Tra le messinscene più significative: Romeo e Giulietta (2000, premio Ubu 2001 per il progetto
Shakespeare e oltre), I Negri (2002, premio Girulà come migliore drammaturgia), il trittico Pilade
(2002; ospitato anche a Teatri di Vita), Porcile (2003, premio speciale Vittorio Gassman e premio
Teatro Il Primo) e Bestia da stile (2004) di Pasolini, I Trionfi di Testori (2003), La cena de le ceneri
di Giordano Bruno (2005, premio migliore spettacolo dell’anno dell’Associazione Nazionale Critici
di Teatro). Nel 2004 debutta a Lione nella regia d’opera con Orfeo di Claudio Monteverdi. E
ancora: Studio su Medea (2006, premio Ubu come spettacolo dell’anno), Un tram che si chiama
desiderio (2012, premio Ubu e premio Hystro come miglior regia), il progetto Francamente me ne
infischio (2013, premio Ubu come miglior regia e miglior attrice; ospitato anche a Teatri di Vita), la
trilogia russa Elettra – Oreste – Ifigenia in Tauride (2013, vincitrice di tre categorie nell’ambito del
premio russo Paradise), C’è del pianto in queste lacrime (2013, premio Le Maschere del Teatro
Italiano per scene e costumi). Nel 2013 intraprende un percorso drammaturgico sulla menzogna che
sfocia in A. H., Die Wohlgesinnten da Littell e Il Servitore di due padroni da Goldoni.
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13-15 marzo
Brokentalkers (Irlanda)
“The blue boy”
prima nazionale
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27-29 marzo
Cada Die Teatro / Ca’ Rossa
“Joyce. Vita di Joyce Salvadori Lussu”
Una produzione cada die teatro - Associazione Culturale Ca’ Rossa
Di e con Rossella Dassu
Regia e collaborazione drammaturgica Alessandro Lay
Disegno audio Fabio Fiandrini
Disegno luci Luca Piga
Organizzazione Maurizio Sangirardi
La storia è storia di tutti.
Partendo da questa premessa Joyce Salvadori Lussu attraversa il ventesimo secolo facendosi
portavoce di un disagio dell’essere che non esclude nessuno, né vittime né carnefici, in un
succedersi di eventi in cui le responsabilità dei grandi poteri si intrecciano all’indifferenza di
coloro che osservano.
E’ sull’oggi che ci interroghiamo facendo un salto all’indietro, sul presente di questa piccola Italia
fatta di alleanze farlocche e di ipocrite false promesse, sulle radici di consuetudini sociali e
politiche che hanno perso di vista il buon senso.
Di Joyce Lussu condividiamo lo sguardo indagatore e critico, il bisogno di sentirsi parte integrante
di un mondo che abbatta i confini e che ridia dignità a uomini e donne, a prescindere dalla loro
condizione sociale e geografica.
Il lavoro ripercorre i momenti salienti della biografia di Joyce Lussu, a partire dalle persecuzioni
nazifasciste a Parigi, fino ad arrivare alle soglie della contemporaneità. In uno spazio arredato di
cartoni vuoti, in cui il tempo è scandito da un ambiente sonoro che, attraverso citazioni, spazia tra la
spy story e l’intimismo poetico, l’attrice in scena si sovrappone lentamente ad un’ immagine su cui
imprime progressivamente il suo corpo.
Ciò che resta è un gioco di sguardo.
Joyce Lussu (1912-1998). Donna, madre, scrittrice, traduttrice, ambientalista e antimilitarista,
Joyce Lussu attraversa il ventesimo secolo senza mai perdere di vista la necessità di essere
protagonista degli eventi storici e politici di cui si fa attiva portavoce. Nata nel 1912 da due ricchi
intellettuali marchigiani che rinunciano ai loro privilegi per opporsi al fascismo, cresce
clandestinamente in Svizzera dove si forma in ambienti scolastici internazionali, sostenendo gli
esami di Stato in Italia. L’incontro con Emilio Lussu, compagno e marito con cui condivide la
militanza antifascista, rafforza il suo spirito critico nei confronti dei meccanismi di potere che
sacrificano i più deboli a vantaggio di piccole minoranze. Nel periodo successivo alla guerra fa
parte del Movimento Internazionale per la Pace, attraverso cui entra in contatto con i guerriglieri dei
Paesi del Terzo Mondo con cui condivide momenti di guerriglia e di cui si fa portavoce, attraverso
un insolito lavoro di traduttrice. Nell’ultima fase della vita si ritira nelle Marche, terra d’origine,
dove porta avanti il progetto di riscrivere la storia a partire dal punto di vista di quelle minoranze
che la storiografia istituzionale tende a mettere a tacere.
Rossella Dassu inizia il suo percorso artistico a Cagliari con la compagnia cada die teatro per cui
lavora come attrice in diverse produzioni. Nel 1997 si diploma come attrice al corso di formazione
europea del C.R.S.T. di Pontedera. Dal 1997 vive a Bologna e lavora per la Compagnia
deicalciteatro, vincitrice del Premio Iceberg di Bologna e finalista del Premio Scenario. Fonda
insieme ad altri operatori dello spettacolo l’Associazione Culturale Ca’ Rossa con cui realizza
produzioni teatrali e progetti di formazione nel territorio di Bologna e Provincia. E’ attrice per
Teatri di vita in diversi spettacoli con la regia di Andrea Adriatico. E’ autrice ed interprete di
spettacoli e performance realizzati in collaborazione con realtà artistiche e teatrali del territorio. E’
attrice in diversi film di Tonino De Bernardi che partecipano a Festival nazionali ed internazionali.
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17-19 aprile
nO (Dance first. Think later)
“CIAULAtotheMOON”
Di: nO (Dance first. Think later)
Ideazione e regia: Elena Gigliotti
Coreografie: Claudia Monti
Interpreti: Giuseppe Amato, Elena Gigliotti
Prodotto da: Ass. Arbalete, Fondazione Campania dei Festival, E 45 Napoli Fringe Festival
Costumi: Giovanna Stinga. Luci: Dario Aita
Questa è la storia di Ciaula che scopre la luna. E di sua madre. Che ha smesso di cullarlo, appena
si è fatta notte. Nell’atmosfera asfissiante di un sud mai deciso, un matrimonio ancora acerbo, va a
finire. E ne rimane il frutto. Un figlio. Mezzo scemo. Che rimane così, mezzo scemo, nella sua vita
scema. Nei suoi ricordi. Scemi. Una donna gli muore nei sogni, nei pensieri, e nei perché. Nelle
fantasie. Nelle sue canzoni stonate. E quando le luci si spengono, si invocano disperate carezze. E
occhi grandi. E amore. E mamma. Che abbandona. E non torna più. Questa è la storia delle nostre
radici. In quanto non raccontiamo altro che vita. Vita vera, vita nostra, vita delle nostre vite, che ci
ha dato la luce. Madri, padri, il sud che ci riempie, che canta di noi. E non poniamo limiti. Nessun
limite al corpo. Nessun limite alla musica che siamo. Nessun limite alla parola che si confonde.
Nessun limite alla mancanza di senso. Una danza di corpi e parole dagli anni 50 al tempo che non
esiste. Dalle canzonette di Claudio Villa, alla musica della lingua. Verso una Verità dalle mille
facce. Che, proprio per questo, non sarà mai Verità.
CIAULAtotheMoon è una storia liberamente ispirata alla novella di Pirandello ”Ciaula scopre la
Luna” e delicatamente combinata all’esperienza di vita di una donna del Sud. Questa donna, è mia
nonna. Attraverso una serie di interviste, filmini rubati, racconti nella notte, abbiamo fuso lingua e
corpo, dando vita a momenti di realismo, in un presente illuminato dalle luci di un vecchio neon, e
momenti “altri”, del passato, più astratti, in cui il corpo riassume i ricordi, e la luce si affievolisce
attraverso il calore di una ribalta “povera”, che regala nostalgia. La musica, è protagonista
quanto gli interpreti. Quanto il corpo. Quanto la parola. Ci è infatti difficile trovare una categoria
teatrale per questa nostra creazione. Amiamo definire CIAULAtotheMoon, un viaggio. Nella stanza
piena di vecchi giocattoli di un bambino abbandonato che bambino più non è. Incubi e sogni fanno
visita. Fino alla fine.
(Elena Gigliotti)
Il gruppo nO (Dance first. Think later) è originariamente formato da giovani attori diplomati
presso la Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova. Dalla frequentazione e dall’esperienza
condivisa negli anni di studio è maturato il desiderio di continuare a incontrarsi e a incontrare altri
artisti per lavorare creativamente sul linguaggio performativo contemporaneo e sulle pratiche del
corpo e della parola anche come occasione di ricerca e crescita personale. Dal 2010 sono stati
realizzati: Ballata della necessità, Non vedo l’ora!, Trenofermo a-Katzelmacher (Segnalazione
Speciale al Premio Scenario 2013 e presentato con successo anche a Teatri di Vita), LapènLapèn.
Uno studio di CIAULAtotheMOON è vincitore alle selezioni del Napoli Fringe Festival 2013,
mentre il corto (vedi qui sotto), è vincitore del concorso “Il reale nell’immateriale”.
Giuseppe Amato si diploma come attore presso la Scuola Recitazione del Teatro Stabile di Genova
nel 2009. Ha lavorato, tra l’altro, per il Teatro Stabile di Genova, il Teatro dell’Archivolto, il Teatro
dell’Elfo (diretto da Elio De Capitani e Ferdinando Bruni). Con The History Boys (regia di De
Capitani e Bruni, 2011-2012) vince il Premio Ubu miglior attore under 30.
Elena Gigliotti si diploma come attrice presso la Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di
Genova nel 2009. Ha lavorato, tra l’altro, per il Teatro Stabile di Genova, il Teatro dell’Archivolto,
il Teatro Eliseo (diretta da Giancarlo Sepe), il Teatro Stabile di Torino (diretta da Valerio Binasco).
Ha co-diretto e interpretato “Trenofermo a-Katzelmacher”, segnalazione speciale al Premio
Scenario.
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8-10 maggio
Accademia degli Artefatti
“Io Fiordipisello”
di Tim Crouch
traduzione Pieraldo Girotto
regia Fabrizio Arcuri
con Matteo Angius e Fabrizio Arcuri
Accademia Degli Artefatti_2013
FIORDIPISELLO è un folletto di Sogno di una notte di mezza estate. Appare due volte nel testo di
Shakespeare, che gli affida una sola battuta: ‘Sono pronto’.
IO FIORDIPISELLO,
- la mia ribellione silenziosa.
‘Avevo qualcosa da dirvi di importante…ecco adesso l’ho dimenticata…tornerà.’
Un personaggio non può dire quello che vuole. E se l’autore non gli fa dire niente, anche se lui
avrebbe un sacco di cose da dire? Tim Crouch da un’altra, unica e ultima, possibilità a Fiordipisello,
rimettendo in gioco il rapporto tra quest’ultimo e Shakespeare.
Ecco allora i sogni dell’ultimo dei folletti per raccontare la storia di un sogno. Quello di una notte
di mezza estate. Il tormento e il divertimento di una condizione fantastica, ma anche così tanto
reale, di chi forse avrebbe qualcosa da dire, se qualcuno gli dicesse cosa. Questa volta a
Fiordipisello non mancano le parole (se non proprio quelle che lo hanno reso il personaggio che è, e
che Fiordipisello prova a ricordare con una nostalgia irriducibile): gli mancano gli attori della storia
di cui è autore ulteriore. Non resta che coinvolgere gli spettatori in un gioco moltiplicato di
legittimità rappresentativa: chi può dire cosa e come? Gli spettatori, invitati inconsapevoli di un
Sogno, diventano ora protagonisti della sua rappresentazione. Tutto è quello che era, ma è già
qualcos’altro di cui non sappiamo ancora nulla.
Quel che resta di una festa (maschere e coriandoli ovunque, cibo, vino e vomito sul pavimento, echi
di musiche lontane) e amori, consumati o inconsumabili, disegnano la vertigine in cui cade
Fiordipisello, nel tentativo ultimo di essere se stesso (o quello che lui crede di essere). Un tentativo
che è quello di tutti, testimoni silenziati di una storia a cui non possiamo rinunciare di partecipare.
Accademia degli Artefatti si forma all’inizio degli anni Novanta. Dopo un periodo di teatro fatto
di immagini e di spazi abitati performativamente, dalla fine degli anni Novanta l’urgenza artistica si
manifesta in una nuova attenzione alla drammaturgia contemporanea e in particolare anglosassone
che, attraverso i testi di Sarah Kane, Martin Crimp, Tim Crouch e Mark Ravenhill, diventa luogo di
costruzione e decostruzione del linguaggio stesso, come specchio e trama del reale e dei suoi
mascheramenti. Da sempre la compagnia ha investito, olre che nella produzione artistica, anche
nella diffusione e organizzazione di festival e rassegne, che fossero luogo di esposizione e di
confronto per realtà emergenti italiane e internazionali: Extra-ordinario a Roma (1996), Crisalide a
Forlì (dal 1997 al 1999), Le notti bianche del Mittelfest (2001). Dal 2006 organizza Short Theatre e
cura la direzione artistica dell’officina culturale AREA06 del Lazio.
Nel 2005 vince il Premio Ubu per la migliore proposta drammaturgica straniera con “Tre pezzi
facili” di Martin Crimp. La compagnia è vincitrice del Premio della Critica Teatrale 2010.
Fabrizio Arcuri è il fondatore, direttore artistico e regista di tutte le produzioni di Accademia degli
Artefatti. Ha lavorato come regista assistente di Luca Ronconi dal 2005 al 2008. Nel 2011 vince il
Premio Hystrio alla regia. Inoltre dal 2006 è direttore artistico del festival Short Theatre per il
Teatro di Roma, dal 2009 è curatore del festival Prospettiva per lo Stabile di Torino, e attualmente è
co-direttore artistico del Teatro della Tosse di Genova per il triennio 2011-2013
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13-15 marzo
Akròama
“Storiafinta”
di Lelio Lecis
con Simeone Latini, Marion Constantin
spazio scenico e costumi Lelio Lecis
musiche Laurie Anderson
regia Lelio Lecis
assistente alla regia Irene Orrù
direzione tecnica: Lele Dentoni
responsabile di produzione : Stefanie Tost
produzione Akròama
Sospeso fra immedesimazione e distacco, fra passione e straniamento, un uomo (agente di
commercio) solo, guarda il mare e narra a se stesso una storia d’amore: forse la inventa o più
probabilmente la ricorda. L’agente di commercio che ricorda è Simeone Latini in una spiaggia
desolata, la ragazza (frutto di passione) è Marion Constantin, che impersona una giovanissima in
fuga da una famiglia carrieristica americana e approdata in una setta religiosa: I Bambini di Dio. Lei
distribuisce volantini sulla fine del mondo imminente ai semafori, ed è qui che lui la incontra e se
ne innamora perdutamente. Insieme fanno un viaggio, percorrono una Sardegna che scorre
monotona nella cornice del finestrino dell’auto. L’amore negli squallidi alberghetti fuori stagione,
fobie sessuali, l’angoscia e poi, infine la noia. Lei in scena si muove come una bambola Lenci,
gambe aperte e pupille fisse sotto improbabili cappellini.
Uno spettacolo che Lelio Lecis (l’autore) definisce di poesia. Scritto agli inizi degli anni Ottanta
come sceneggiatura cinematografica e destinata in origine a un’opera video, “Storiafinta” può esser
considerato un esempio italiano di quella tendenza che ebbe successo soprattutto attraverso i
romanzi americani “Meno di zero” e “Luci di New York”. Nell’edizione teatrale il testo mantiene
una struttura di sceneggiatura dove vengono recitati sia i dialoghi che le didascalie.
A portare in scena questo spettacolo è Akròama, il teatro stabile d’innovazione della Sardegna che
il pubblico di Teatri di Vita ha già avuto occasione di conoscere, apprezzare e applaudire in passato,
in molti spettacoli.
Akròama nasce nel 1977 fondato da un gruppo di giovanissimi artisti, tra cui Lelio Lecis, Elisabetta
Podda e Rosalba Piras. Nel 1981 è presentato al Festival di Santarcangelo Mariedda, che sarà in
seguito invitato, tra l’altro, ai festival di Edimburgo, Vienna, Londra. Il successivo L’ultimo sogno
di Balloi Caria (presentato anche a Teatri di Vita nella sua ripresa anni dopo) è invitato al Festival
dei Due Mondi di Spoleto e poi a Potsdam dove Lecis vince il premio di drammaturgia
contemporanea: con quest’opera Akròama termina la sua trilogia di ricerca sul dramma popolare e
sul confronto tra cultura sarda tradizionale e contemporanea. Tra i tanti spettacoli prodotti in quel
periodo da Akròama, spiccano Romeo e Giulietta, che partecipa al Festival di Cracovia, La casa
della madre, invitato al Festival di Santarcangelo 1989, e molti altri presentati in molti paesi
stranieri. Dal 1996 al 1998 Akròama lavora a un progetto di ricerca e sperimentazione teatrale che
vede la partecipazione di attori e musicisti dell’Opera di Pechino e attori occidentali, esperienza
unica nel teatro occidentale che partorirà Sguardo occidentale, invitato al Centro Grotowski di
Wroclaw. Negli ultimi anni, Akroòama (che a Cagliari gestisce il Teatro delle Saline), è impegnato
in una ricerca sulla drammaturgia contemporanea.
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29-31 maggio
Carboni-Da Costa
“Blink”
ideato e interpretato da Gabriel da Costa e Luca Carboni
produzione Colectiv Noavae (Bruxelles)
Si ringraziano ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione; Werkstatgalerie Berlino
creato in residenza a Teatri di Vita
prima nazionale
Ho visto una fotografia di me stesso e non mi sono riconosciuto. mi sono domandato: E’ così che
la gente si ricorderà di me? Sul palcoscenico ci sono Luca e Gabriel e si sono fatti questa domanda.
Ci hanno pensato molto. Ci hanno pensato ancora. Questa sera finalmente sono pronti a mostrare il
risultato della loro ricerca.
Blink cerca di mettere in scena il secondo che precede il click. Si dice infatti che la fotografia è
l’attimo, ma quell’attimo avviene prima della fotografia, prima del mezzo fotografico, della
registrazione. La domanda è cosa cerchiamo in quell’attimo.
Blink riguarda la creazione d’immagini e la volontà di controllarle, di colpire l’oblio, il posare, la
vergogna del mettersi in scena. Blink parla dell’istante perfetto, intrappolato all’interno di
un’immagine: quanto l’immagine incide sulla nostra memoria, quanto nell’atto di fermare
quell’istante diveniamo registi della nostra vita futura, influendo sulla concezione di noi stessi e
sulla percezione del nostro passato?
Il lavoro che sarà presentato a Teatri di Vita ha visto un primo studio sotto forma di performance
nel giugno 2014 a Berlino presso la Werkstatgalerie
Gabriel da Costa, franco-portoghese, lavora in Francia, Belgio, Italia e Scozia. Ha lavorato, tra gli
altri, con Emma Dante, ha partecipato alla produzione video Monkeys diretta da Wim Vandekeybus
per la compagnia Ultima Vez. Nel 2010 prende parte a La Nouvelle Ecole des Maitres e partecipa al
laboratorio diretto da Thomas Ostermeier alla Biennale di Venezia. E’ membro della compagnia
Comida, del collettivo internazionale Looking for Michele e professore presso l’Acting Studio di
Lione.
Luca Carboni, nato a Bologna, si diploma nel 2002 presso la scuola del Piccolo Teatro di Miilano.
E’ diretto, tra gli altri, da Luca Ronconi in La Vita è Sogno, Phoenix, Infinities, Amor nello
specchio. Nel 2009 fonda a Bologna l’associazione teatrale Gli Incauti. E’ membro del collettivo
internazionale Looking for Michele. Ha preso parte alle produzioni cinematografiche: Cielo e Terra
di Luca Mazzieri, Agata e la tempesta di Silvio Soldini, Apnea di Roberto Dordit, Magdalen’s Song
di Mauro Campiotti.
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Biglietti
abbonamento totale (17 eventi): euro 49
abbonamento danza (7 eventi): euro 29
abbonamento teatro (10 eventi): euro 39
intero: euro 14
ridotto: euro 13
under30: euro 9
carnet 5 ingressi: euro 60
CON CORTESE PREGHIERA DI PUBBLICAZIONE
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