Prof. Ezio MAINA
Laboratorio di Fisica Nucleare
I NEUTRINI
S.I.S. 2005/06
Specializzando: Daniele Parola
IL DECADIMENTO NUCLEARE
Un atomo che si trovi in uno stato eccitato ha la possibilità di cambiare
stato portandosi in un altro di energia più bassa ed emettendo l’energia “in
più”, generalmente sotto forma di un fotone. Questo processo ha natura
casuale, nel senso che non possiamo prevedere quando in un singolo
atomo avverrà questo processo, ma possiamo calcolare la probabilità che
ciò avvenga e quindi dopo quanto tempo, in media, possiamo aspettarci
che il processo avvenga.
Anche il nucleo è un sistema quantistico, come quello formato dagli
elettroni atomici, e anche nel nucleo possono avvenire processi analoghi.
Un nucleo può trovarsi in uno stato eccitato ed emettere l’energia in più
sotto forma di radiazione elettromagnetica (fotoni). L’unica differenza
importante è che siccome l’energia nucleare è molto maggiore di quella
elettronica, anche l’energia dei fotoni in gioco è molto maggiore. Per farci
un’idea dell’ordine di grandezza, consideriamo l’energia di legame del
deutone che è circa 0,4 pJ. Usando la relazione di Plance E=hv possiamo
calcolare la frequenza corrispondente, che risulta 6*1020 Hz, mentre quella
della radiazione visibile è soltanto dell’ordine di 6*1014 Hz: un milione di
volte di meno! La radiazione nucleare di questo tipo si dice radiazione 
Oltre a processi di questo tipo, inoltre, i nuclei possono perdere energia in
processi che per gli atomi non sono energeticamente possibili, e cioè
espellendo particelle che – a differenza dei fotoni – sono provviste di
massa e carica. In questo caso la struttura stessa del nucleo viene ad essere
modificata, venendo a cambiare il numero o la natura delle particelle che
lo compongono. I processi fondamentali che possono avvenire sono di due
tipi.
Nel decadimento  un neutrone del nucleo si trasforma in un protone e un
elettrone, e quest’ultimo viene espulso, accompagnato da un’ulteriore
particella, detta neutrino. Il neutrone all’interno di un nucleo decade o
meno (e con diverse probabilità) a seconda dell’intensità dell’interazione
nucleare esistente nel nucleo stesso. Il fenomeno può essere descritto con
un simbolismo analogo a quello delle reazioni chimiche:
n  p+ + e- + v e + energia
dove n è il neutrone, p il protone, e l’elettrone e  è il neutrino.
Le cariche del protone e dell’elettrone sono evidenziate con un segno in
alto a destra; gli altri simboli accanto a quello per il neutrino servono
soltanto a distinguerlo da altri neutrini.
Questo processo è possibile perché la massa del neutrone è maggiore di
quella di protone ed elettrone insieme e quindi, per la relazione di Einstein,
c’è energia in eccesso, sufficiente a espellere l’elettrone. La probabilità che
ciò avvenga effettivamente dipende dal tipo di nucleo: in alcuni non
avviene assolutamente, in altri avviene.
Il secondo tipo di processo possibile è quello di espellere insieme una
coppia di protoni e una di neutroni, cioè un nucleo di 4 He . L’espulsione di
un singolo protone o neutrone non sarebbe possibile per ragioni
energetiche: le particelle isolate hanno energia di legame uguale a zero, e
quindi un nucleo potrebbe espellere una particella isolata solo
trasformandosi in un nucleo di energia media per nucleone nettamente
inferiore, ma in nessun caso ciò avviene.
Si provi, a titolo di esempio, a vedere che cosa succederebbe se un nucleo
di 240 Pb espellesse un protone, trasformandosi di conseguenza in 203Tl (perde
un’unità di massa e una di carica): la massa del 240 Pb è 203,92806 (in unità
di massa atomica), quella del protone è 1,007276 e quella 203Tl è
202,92791: la massa totale finale sarebbe 203,93519, cioè maggiore di
quella iniziale, cosa che non è impossibile, ma richiede un apporto di
energia dall’esterno (si ricordi sempre la relazione di Einstein fra massa ed
energia).
Invece il 240 Pb può trasformarsi in 200 Hg espellendo un nucleo di 4 He perché
questo, come abbiamo visto, ha un’alta energia di legame e quindi “si
porta via” poca massa. Data la sua importanza in questi processi, al nucleo
di 4 He viene dato un nome speciale: particella . Rifacciamo i conti: la
massa della particella  ( 4 He ) è 4,00150, quella del 200 Hg è 199,92443 e la
somma fa 203,92593, un po’ meno di quella iniziale del 240 Pb ; quindi il
processo è possibile in modo “spontaneo”, senza apporti esterni di energia.
Quando la particella  è messa fuori dal nucleo, poi, essa se ne allontana
rapidamente a causa dell’interazione colombiana (essa, come tutti i nuclei,
è carica positivamente).
In questi processi abbiamo un nucleo che passa da uno stato a un altro,
espellendo particelle prive di massa ( o dotate di massa e carica (,  e
quindi modificando anche la sua natura. In tutti questi casi si può parlare di
decadimento nucleare per indicare il processo in sé; più specificamente si
parla di decadimento , decadimento  o decadimento  a seconda del tipo
di particella espulsa.
Molto spesso nei decadimenti  e  si ha anche emissione di fotoni (
ma nella nomenclatura si dà la prevalenza al fatto che sia emessa una
particella con massa e carica (, che modifica la natura del nucleo.
L’emissione simultanea di  e non si verifica.
IL DECADIMENTO 
Il decadimento si produce nei nuclei che hanno troppi neutroni o troppo
pochi neutroni per poter essere stabili. L’energia liberata nel decadimento
si può determinare calcolando la differenza tra la massa di quiete del
nucleo di partenza e quella dei prodotti di decadimento. Nel decadimento
A rimane costante mentre Z o aumenta di 1 (decadimento ) o
diminuisce di 1 (decadimento ).
L’esempio più semplice di decadimento è quello del neutrone libero, che
decade trasformandosi in un protone più un elettrone. (Il tempo di
dimezzamento di un neutrone libero è circa 10,8 min.). L’energia di
decadimento è 0,782 MeV, che è la differenza tra l’energia di quiete del
neutrone e e la somma di quella del protone e quella dell’elettrone. Più
generalmente, nel decadimentoun nucleo, detto nucleo progenitore, di
numero di massa A e numero atomico Z decade trasformandosi in un
nucleo, detto nucleo discendente, di numero di massa A e numero atomico
Z’=Z+1, con l’emissione di un elettrone. Se l’energia di decadimento si
ripartisce tra il nucleo discendente e l’elettrone emesso, l’energia
dell’elettrone è determinata unicamente dalla conservazione dell’energia e
della quantità di moto. Però si osserva sperimentalmente che le energie
degli elettroni emessi nel decadimento variano da zero all’energia
massima disponibile. Un tipico spettro delle energie di questi elettroni è
presentato nella figura di sotto.
Per spiegare l’apparente violazione della conservazione dell’energia nel
decadimento nel 1930 W. Pauli ipotizzò che venisse emessa anche una
terza particella, che chiamò Neutrino. Si suppose inizialmente che la massa
del neutrino fosse nulla, poiché l’energia massima degli elettroni emessi è
uguale all’energia totale disponibile per il decadimento. Nel 1948,
misurazioni delle quantità di moto dell’elettrone emesso e del nucleo di
rinculo indicarono che il neutrino era necessario anche per la
conservazione della quantità di moto nel decadimento Il neutrino fu
osservato sperimentalmente per la prima volta nel 1957. Oggi si sa che
esistono almeno tre specie di neutrini, uno (e) associato agli elettroni
(neutrino elettronico), uno () associato ai muoni (neutrino muonico) e
uno () non ancora osservato sperimentalmente, associato alla particella 
(tauone) detto neutrino tauonico. Finora nessuno è riuscito a misurare una
massa dei neutrini (i quali appartengono alla famiglia dei leptoni).
Certamente la massa dei neutrini elettronici, se non è zero, è molto piccola
(almeno 30000 volte minore di quella dell’elettrone); degli altri due
neutrini si sa poco, comunque i risultati delle esperienze sono compatibili
con una massa nulla.
Considerazioni di tipo astrofisica inducono tuttavia a ritenere che essi
possano avere una massa piccolissima ma non proprio nulla. Inoltre ogni
neutrino ha un’antiparticella, denotata rispettivamente con v e  v   v . E’
l’antineutrino elettronico che viene emesso nel decadimento di un
neutrone:
n  p + e + e.
La massa del neutrino elettronico o dell’antineutrino elettronico risulta
essere minore di 4* 10-5 volte la massa dell’elettrone.
Nel decadimento un protone si trasforma in un neutrone con
l’emissione di un positrone (e un neutrino). Un protone libero non può
decadere per emissione di un positrone a causa della conservazione
dell’energia (la somma dell’energia di quiete del neutrone e di quella del
positrone è maggiore dell’energia di quiete del protone), ma, a causa di
effetti dovuti all’energia di legame, un protone all’interno di un nucleo può
decadere.
Un decadimento tipico è
13
7
N

13
6
C
+ ee
Gli elettroni o i positroni emessi nel decadimento  non esistono
all’interno del nucleo: essi vengono creati nel processo di decadimento,
così come i fotoni vengono creati quando un atomo compie una
transazione da uno stato energetico superiore a uno inferiore.
Un esempio importante di decadimento  è quello del carbonio - 14 ( 14C ) o
radiocarbonio, che viene usato nella datazione con il radiocarbonio:
14
C

14
N
+ ee.
Il tempo di dimezzamento per questo decadimento è 5730 a. L’isotopo
radioattivo, o radioisotopo, 14C viene prodotto nella regione superiore
dell’atmosfera in reazioni nucleari causate dai raggi cosmici. Il
comportamento chimico degli atomi di carbonio con nuclei 14C è uguale a
quello degli atomi di carbonio con nuclei 12C ; per esempio, gli atomi con
questi nuclei si combinano con l’ossigeno per formare molecole di
anidride carbonica, CO2. Poiché gli organismi viventi scambiano
continuamente CO2 con l’atmosfera, il rapporto tra 14C e 12C in un
organismo vivente è uguale al rapporto di equilibrio nell’atmosfera, il
quale è circa 1,3*10-12. Un organismo, dopo la morte, non assorbe più 14C
dall’atmosfera e quindi il rapporto tra 14C e 12C decresce continuamente a
causa del decadimento radioattivo di 14C . Il numero di decadimenti di 14C al
minuto e al grammo di carbonio in un organismo vivente si può calcolare
in base al tempo di dimezzamento noto del 14C e al numero di nuclei 14C in
1 g di carbonio. Il risultato è che in un organismo vivente si producono
circa 15,0 decadimenti al minuto e al grammo di carbonio. Usando questo
risultato e il numero misurato di decadimenti al minuto e al grammo di
carbonio in un campione morto di osso o di legno o in un altro oggetto
contenente carbonio, si può determinare l’età del campione.
IL PROBLEMA DEI NEUTRINI SOLARI
Possiamo osservare soltanto lo strato esterno del Sole, la fotosfera, che
emette la luce che rende visibile il Sole. La fotosfera è considerata
generalmente come la superficie del Sole. La quantità di energia raggiante
che giunge dal Sole sull’unità di superficie dell’alta atmosfera nell’unità di
tempo è detta costante solare f. La sua unità di misura nel SI èil watt al
metro quadrato (W/m2) e il suo valore misurato è
f = 1,36*103 W/m2.
Nel caso delle stelle diverse dal Sole, questa grandezza è detta luminosità
apparente. Usando la costante solare, la distanza Terra-Sole 1 u.a. =
1,5*108 Km e la conservazione dell’energia, si può calcolare la luminosità
assoluta (o luminosità intrinseca o, più semplicemente, luminosità) L, che
è la potenza totale irraggiata dal Sole o da qualsiasi altra stella. L’area A di
una sfera di raggio 1 u.a. è:
A=4r2=4(1,5*1011 m)2.
A una distanza pari a questo raggio, ogni metro quadrato di superficie
riceve dal Sole, durante l’unità di tempo, una quantità di energia raggiante
data dalla costante solare. Perciò, la luminosità assoluta del Sole L○ è data
da:
L○=A*f=4(1,5*1011m)2(1,36*103 W/m2)=3,85*1026 W.
Se si usa il valore della luminosità del Sole che abbiamo calcolato
poc’anzi, l’energia contenuta attualmente nel Sole, calcolata mediante la
termodinamica, verrebbe irraggiata in circa 3*107 a. Poiché la vita esiste
sulla Terra da un intervallo di tempo circa 100 volte tanto, si può
concludere che il Sole irraggia ad una luminosità vicina a quella attuale da
almeno 3*109 a.
La sorgente dell’energia del Sole è la fusione nucleare. Secondo la teoria
attuale, mentre il Sole giovane si contrasse la sua temperatura aumentò.
La temperatura del nucleo finì per raggiungere circa 1,5*107 K, che è tanto
alta quanto basta affinché i nuclei di idrogeno (protoni) presenti nel plasma
abbiano un’energia media sufficiente (circa 1 keV) per fondersi formando
nuclei di elio. Questa reazione, in realtà una catena di reazioni, fu proposta
per la prima volta da H. A. Bethe nel 1938 ed è nota come ciclo (o catena)
protone-protone (vedi figura ). La prima reazione di questa catena è
H + 1H  2H + e+ + e + 1,44 MeV
1
La probabilità che avvenga questa reazione è molto bassa, tranne per quei
protoni che sono nella coda ad alta energia della distribuzione di MaxwellBoltzmann. Ciò impone un limite alla velocità a cui il Sole può produrre
energia e perciò assicura una lunga vita al Sole e alle stelle simili.
Questo limite è detto “collo di bottiglia” nel ciclo della fusione solare.
Dopo che si è formato 2H (deuterio) mediante la reazione 1H + 1H  2H +
e+ + e + 1,44 MeV , diventa probabile la reazione seguente:
H + 1H  3He +  + 5,49 MeV .
2
Essa è seguita dalla reazione
3
He + 3He  4He + 2 1H +  + 12,86 MeV .
Questo processo con cui vengono “bruciati” nuclei di idrogeno per formare
nuclei di elio è rappresentato schematicamente nella figura di sotto.
Sono possibili anche altre reazioni per convertire 3He in 4He, le quali
hanno tutte lo stesso Q totale; le loro velocità, però, differiscono secondo
la composizione e la temperatura dell’interno.
I neutrini prodotti nel ciclo protone-protone fuggono dal nucleo del Sole,
fornendoci gli unici mezzi di cui disponiamo per l’osservazione diretta
dell’interno del Sole. La luminosità assoluta misurata L○ e il Q totale noto
del ciclo protone-protone permettono di calcolare la velocità di reazione
totale. Inoltre, le reazioni alternative per 3He hanno differenti spettri di
energia dei neutrini, permettendo così di determinare il contributo relativo
di ciascuna reazione e di ottenere informazioni sulla composizione e sulla
temperatura del nucleo del Sole. Però, il numero dei neutrini solari che
arrivano sulla Terra è minore della metà del numero previsto dai calcoli
teorici basati sul modello solare standard.
Questa discrepanza è nota come problema dei neutrini solari.
Il problema dei neutrini solari, finora irrisolto, ha parecchie conseguenze,
due delle quali sono particolarmente importanti per i nostri scopi. In primo
luogo, può esserci una grave lacuna nella nostra conoscenza delle proprietà
e del comportamento dei neutrini. In secondo luogo, se la nostra
conoscenza teorica dei neutrini è sostanzialmente precisa, allora c’è un
grave errore nell’attuale modello solare standard. Tale errore avrebbe
ramificazioni di vasta portata per le teorie dell’evoluzione stellare. Per
esempio, Stephen Hawking prospetta la possibilità che una parte
dell’energia emessa dal Sole derivi dall’energia gravitazionale che si libera
quando una massa cade in un piccolo buco nero situato nel centro del Sole.
Ciò significherebbe che l’entità della fusione che si svolge è minore di
quanto indichi la teoria attuale e, quindi, che è minore il numero di neutrini
prodotti.
Riassunto attuali conoscenze delle particelle elementari
Possiamo riconoscere due grandi famiglie di particelle che costituiscono la
materia, i quark e i leptoni.
Sia gli uni che gli altri hanno spin ½, ma naturalmente particelle composte,
formate da alcuni di essi, possono avere spin diverso, sempre multiplo di
(1/2)2. Sia i quark che i leptoni possono essere soggetti all’interazione
elettromagnetica e a quella debole, mentre solo i quark sono anche soggetti
all’interazione forte.
I quark hanno carica elettrica frazionaria (rispetto alla carica elementare e
del protone), che può valere 2/3 e oppure –1/3 e, com’è mostrato qui sotto
I quark interagiscono fra loro con interazione elettromagnetica, debole e
forte, ma nel nucleo l’effetto dell’interazione forte è dominante. Essi non
si osservano individualmente, ma sempre in coppie o in terne, formando
sistemi di quark, detti adroni, di diametro intorno a 10-15 m. I nucleoni
sono adroni: il protone è formato dai quark u, u, d (e quindi ha carica +e) e
il neutrone è formato dai quark u, d, d (e quindi ha carica zero). Vi sono
molti altri adroni instabili, che si formano in seguito a collisioni ad alta
energia fra altre particelle.
La materia ordinaria, comunque, è fatta essenzialmente di nucleoni e
quindi è costituita soltanto dai quark u e d.
I leptoni invece sono particelle che non hanno interazione forte, ma solo
debole e elettromagnetica, anche nell’interazione con i quark. Anch’essi
sono sei, raggruppati in tre coppie; in ciascuna coppia un membro ha
carica zero e l’altro ha carica –e, secondo il seguente schema.
Delle tre particelle cariche il primo è l’elettrone, che ci è già ben noto, e le
altre non sono stabili: la seconda è il muone che ha una massa pari a circa
200 volte quella dell’elettrone e decade in pochi picosecondi.
Le tre particelle di carica nulla, invece, sono neutrini associati
all’elettrone, al muone e al tauone rispettivamente. I neutrini sono
particelle stabili che otre ad avere carica nulla hanno massa nulla, o per lo
meno piccolissima. Avendo carica nulla, i neutrini sono soggetti soltanto
all’interazione debole, e pertanto interagiscono molto debolmente con la
materia (un fascio di neutrini attraversa l’intera Terra pressoché inalterato)
e passarono venticinque anni fra la previsione teorica della loro esistenza e
la loro osservazione sperimentale, per mezzo di una reazione nucleare da
essi indotta. Sono particelle emesse in gran copia in molte reazioni, e si
pensa quindi che l’universo ne sia pieno.
A queste 12 particelle occorre aggiungere le rispettive antiparticelle di cui
ciascuna è dotata, portando a 24 il numero totale (l’antiparticella
dell’elettrone ad esempio si chiama positrone).
Più in generale le antiparticelle differiscono dalle corrispondenti particelle
per il segno di alcune proprietà (come la carica), pur avendo valori identici
per altre proprietà intrinsecamente positive (come la massa, lo spin e il
tempo di dimezzamento se instabili) e possono annichilarsi quando
incontrano particelle opposte liberando due fotoni.
Gli adroni possono essere formati o da tre quark (o da tre antiquark nel
caso degli antiadroni), oppure da un quark e un diverso antiquark. Nel
primo caso si dicono barioni, nel secondo mesoni.
L’iterazione debole è responsabile del decadimento , cioè dell’emissione
di un elettrone (e un neutrino) da un adrone e in ultima analisi da un
nucleo. Alla luce di queste considerazioni possiamo dire che il
decadimento  è descrivibile come il decadimento di un quark d presente
in un neutrone che si trasforma in un u (e quindi il neutrone si trasforma in
un protone) con emissione di un elettrone e di un antineutrino elettronico.
Nelle reazioni fra particelle sono sempre coinvolte le due particelle (o
antiparticelle) appartenenti ad una stessa coppia: in questo caso d e u, e- e
v e (il soprassegno sta a significare che si tratta di un’antiparticella).
La reazione di decadimento del neutrone può quindi essere scritta
n  p + e- + v e
e un neutrone isolato (fuori di un nucleo) decade con una vita media di
circa 900s. Il processo inverso (decadimento con emissione di un
positrone
p  n + ee + ve
non avviene nel protone libero perché esso ha massa (e quindi energia)
minore del neutrone. All’interno di un nucleo entrambi i processi sono
possibili quando, a causa della diversa energia di legame, il nucleo finale
ha massa minore di quello iniziale.