Roberto Bracco e il Santuario di Pompei

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VINCENZO CAPUTO
ROBERTO BRACCO E IL SANTUARIO DI POMPEI
In una ipotetica ricostruzione delle testimonianze letterarie relative
alla città di Pompei meriterebbero sicuramente una maggiore attenzione le
riflessioni del commediografo Roberto Bracco, il quale fu autore di un
articolo esplicitamente dedicato a Bartolo Longo.1
Lo scritto, intitolato Bartolomeo Longo e il Santuario di Pompei,
presenta l'indicazione della sua prima sede di apparizione con la relativa
data («dalla Nacion di Buenos Aires. 1926», p. 71). Proprio su questa data,
più volte indicata (p. 78, 80, 84), è necessaria una precisazione preliminare.
Nell'incipit dell'articolo Bracco dichiara di trovarsi nel secondo
anniversario della morte di Bartolo Longo, il quale in realtà si spense il 5
ottobre del 1926. Il tempo della scrittura sarebbe, dunque, da posticipare al
1928 rispetto al segnalato 1926, quando fu effettivamente inaugurato il
monumento commemorativo dello scultore Giuseppe Tonnini, a cui si fa
riferimento. A questo elemento si potrebbe aggiungere la segnalazione
bracchiana della biografia di Longo, scritta da Giuseppe Scotto di Pagliara,
la quale fu pubblicata per la prima volta soltanto nel 1927 (Valle di Pompei,
Scuola Tip. Pontificia Per I Figli Dei Carcerati).2 Come ha evidenziato
1 Questo articolo fu riproposto da Bracco in Opere, XXIV, Nell'arte e nella vita, Lanciano, Carabba,
1941, pp. 71-84. Le citazioni, relative a tale scritto, saranno indicate con il solo numero di pagina. Nei tre
volumi pubblicati con il titolo Nell'arte e nella vita (1941-42) lo scrittore, ormai anziano e relegato a
Sorrento, seleziona commemorazioni e articoli già apparsi in precedenza.Per una loro analisi cfr. P.
IACCIO, L’intellettuale intransigente. Il fascismo e Roberto Bracco, Napoli, Guida, 1992, pp. 47-53 e A.
LEZZA, L’edizione delle opere di Bracco, in La casa editrice Carabba e la cultura italiana ed europea tra
Otto e Novecento, a cura di G. Oliva, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 211-30. Sulla parzialità di questa
selezione e sulla necessità di analizzare anche articoli giornalistici non raccolti in volumi si veda G.
OLIVA, Napoli città europea nelle cronache teatrali di Roberto Bracco, in Napoli nell’immaginario
letterario dell’Italia unita, a cura di E. Candela, A. R. Pupino, Napoli, Liguori, 2008, pp. 185-199. Si
veda, per uno studio degli scritti giornalistici giovanili, B. MANFELLOTTO (“Il castigatti dei savii”: la
critica drammatica di R. Bracco su “Il Piccolo” (1886-1887)) e A. ROTONDI (R. Bracco giornalista e
critico teatrale: 1888-1893), in La scrittura che accende la scena scena. Studi e testi teatrali da Bracco a
Troisi, a cura di G. Scognamiglio, Napoli, ESI, 2007, pp. 13-51 e 53-69. Oliva è autore di un saggio sul
complesso rapporto tra Bracco e Pirandello (cfr. G. OLIVA, Pirandello, Bracco e il pre-pirandellismo, in
Pirandello a Napoli (Atti del Convegno di Napoli, 29 novembre – 2 dicembre 2000), a cura di G. Resta,
Roma, Salerno Editrice, 2002, pp. 111-24). Sul Bracco segnaliamo, infine, i recenti A. DI NALLO, Roberto
Bracco e la società teatrale fra Ottocento e Novecento. Lettere inedite a S. Manca, A. Re Riccardi, L.
Rasi, F. Pasta, Lanciano, Rocco Carabba, 2003, A. ROTONDI, Roberto Bracco e gli «-ismi» del suo
tempo. Dal wagnerismo all’Intimismo, Napoli, ESI, 2010 e V. CAPUTO, Letterati sulla scena. Tragedie
dell’anima e La piccola fonte di Roberto Bracco con una nota su Aniello Costagliola, «Rivista di
letteratura teatrale», 3, 2010, pp. 95-106 (in corso di stampa).
2 L'opera fu riedita nel 1929 dalla stessa stamperia ma con l'indicazione topografica di Pompei e nel 1943
con il titolo Bartolo Longo e il santuario di Pompei. Per il riferimento bracchiano alla vita di Longo si
veda p. 74: «E della semplicità più veridica serbano la fisonomia nelle commosse pagine dove li
riassume, illustrando la vita di Bartolo Longo, l'ottimo monsignor Scotto di Pagliara».
Pasquale Iaccio,3 Bracco nel riordinare e selezionare scritti precedenti
spesso non riuscì a determinare con precisione i presupposti cronologici di
quegli stessi scritti.
Al di là di tali precisazioni, il lungo articolo risulta innanzitutto
interessante per il suo valore di “documento” relativo all'evoluzione di
Pompei (nominata per lo più come «Valle di Pompei»). Lo scritto consente
di fornire, inoltre, un'ulteriore testimonianza di quell'interesse continuo che
Bracco mostrò nei confronti delle arti figurative del proprio tempo e di cui
la commedia Una donna (1893) rappresenta una significativa tappa.4
Basterebbe, in questo senso, soffermarsi sull'ecfrasi del citato monumento
realizzato dallo scultore Tonnini, per il quale Bracco crea una precisa
scenografia descrittiva. Al centro di tale descrizione è posto, infatti, il volto
di Bartolo Longo,5 dal quale si parte per segnalare gli altri gruppi scultorei
(le bimbe, il fanciullo, la Madonna e le allegorie) disposti appunto attorno
al focus visivo del descrittore:
Il volto di Bartolo Longo ha una impronta di persuasiva bontà paterna, che accompagna
l'atto di mostrare a due bimbe e a un fanciullo l'immagine della Madonna. In due
nicchie, una a destra, l'altra a sinistra, sono le allegorie della Fede e della Carità. Dietro
il profilo modesto di Bartolo Longo si vede, sopra un plinto, una colonna troncata. È la
muta e inerte larva del disperso paganesimo dell'antica e distrutta Pompei d'oggi. (p. 72)
La storia della nascita del Santuario è, però, anche la storia della
metamorfosi del dipinto che ne ha decretato la fortuna. Alla citata
descrizione segue, infatti, un'analessi esplicativa che si pone l'obiettivo di
fornire al lettore le premesse storiche del mito della Madonna di Pompei.
Servendosi del testo di Scotto di Pagliara, Bracco può dunque
“narrativizzare” la vicenda biografica di Longo, ponendo al centro del
racconto l'immagine della Vergine e segnalando estremi cronologici (prima
e dopo il 1865) e relativi protagonisti (Bartolo Longo, il domenicano
Alberto Radente e una suora). Ritrovato nella bottega di un rigattiere, il
dipinto rappresentante la Madonna del Rosario fu acquistato poco prima
3 Cfr. P. IACCIO, L’intellettuale intransigente, cit., in part. pp. 48-49.
4 Su questo dramma, che ha come protagonista uno “squattrinato” pittore, sia consentito il rinvio al mio
L'esordio di Roberto Bracco: “Una donna” tra teatro, giornalismo e arti figurative, in La scrittura che
accende la scena, cit., pp. 71-97. Andrà visto nel citato vol. anche l'intervento relativo al Don Pietro
Caruso a opera di B. MORICONI (pp. 99-108).
5 Per una ricostruzione dell'attività di Longo rinviamo a Bartolo Longo alle soglie del Duemila. Atti del
Convegno storico (Pompei 13-15 novembre 1998), a cura di F. Barra, Pompei, Pontificio Santuario, 2001,
Bartolo Longo urbanista a Valle di Pompei, 1876-1926, a cura di M. Iuliano e S. G. Federico, Napoli, ESI,
2000 e Bartolo Longo e il suo tempo. Atti del Convegno storico promosso dalla Delegazione Pontificia
per il Santuario di Pompei (Pompei, 24-28 maggio), a cura di F. Volpe, Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 1983.
del 1865 dal Radente («era un quadro brutto, goffo, oltreché logoro e
ammuffito [...] alla bruttezza e alla goffaggine si univa un erroraccio di
agiografia», p. 73),6 per essere poi affidato nel 1865 dallo stesso Radente a
una suora («quando, nel 1865, la bufera politica scacciò dal convento lui
insieme con i suoi compagni, egli non dimenticò lo sgorbio», p. 74). È solo
a questo punto che entra in scena la figura di Longo, il quale chiede al frate
Radente un'immagine della Madonna da porre nella chiesetta della Valle
Pompeiana da lui fatta riparare. Superato l'iniziale scetticismo, Longo
decide di far restaurare e ritoccare il dipinto dapprima a un incompetente e
poi al pittore accademico Federico Maldarelli (1826-1893).7 Il pittore poté
riparare il primo errore agiografico, trasformando la Santa Rosa in una
Santa Caterina da Siena «piuttosto smunta [...] il capo cinto dalle spine, le
mani incise dalle stigmate di Cristo» (p. 76), ma non riuscì a eliminare
l'immagine di San Domenico che riceve la corona dal Bambino Gesù. Con
questi accorgimenti, però, la metamorfosi può comunque dirsi compiuta.
Da territorio di rovine antiche Pompei può divenire territorio di fede
cristiana grazie all'attività del beato Bartolo Longo e alla trasformazione
del dipinto raffigurante la Vergine:
Così trasformato, lo sgorbio venduto per otto carlini dal rigattiere e trasportato in un
carretto pieno di letame da Napoli alla Valle Pompeiana, divenne il fulcro del grandioso
ingranaggio che da mezzo secolo alimenta e diffonde la religione cattolica e ne accresce
il fidente ardore fino al fanatismo e dal fidente ardore trae denaro e denaro e col denaro
compie la più pura e più giudiziosa beneficenza [...]. (pp. 76-77)
L'explicit dello scritto è affidato, invece, a una riflessione sulla
veridicità o meno dei miracoli attribuiti alla Madonna pompeiana. Alla
parte costruens del ragionamento (per chi crede nella nascita divina
dell'Universo nessun miracolo può apparire impossibile), Bracco affianca
infatti una parte destruens. Si insinua nell'argomentazione dello scrittore
partenopeo un dubbio maligno che mina nelle fondamenta tutte le
precedenti, e possibiliste, ipotesi sulla capacità della Vergine di effettuare
6 In questo dipinto San Domenico non riceve il rosario dalla Vergine, ma dal Bambino Gesù. La corona
del rosario, inoltre, è data dalla Vergine a una gioconda Santa Rosa (che sarebbe in realtà dovuta essere
una Santa Caterina da Siena).
7 Al Maldarelli accenna anche Domenico Morelli nei suoi Ricordi: «Guardando anche io il mio quadro
[Gl'Iconoclasti] a posto e quello di Maldarelli, che era accanto, e quelli degli altri intorno, ebbi allora
l’impressione che il mio fosse finito e che gli altri fossero abbozzi sfumati» (D. MORELLI, Ricordi della
Scuola napoletana di Pittura dopo il '40 e Filippo Palizzi, Napoli, Stab. Tipografico della R. Università
A. Tessitore & Figlio, 1901, p. 27). Più esplicito, in senso negativo, è il giudizio presente in una lettera
morelliana indirizzata al cognato Pasquale Villari (cfr. A. VILLARI, Introduzione, in D. MORELLI, Lettere a
Pasquale Villari, a cura e con un'intr. di A. Villari, Napoli, Bibliopolis, 2002, pp. LXXXVII-III).
miracoli:
Assodata, nell'àmbito della credenza cristiana, la possibilità teologica del miracolo,
affermata la libertà perfettamente religiosa dei modi di adorazione che lo precedono e lo
seguono, sono stati davvero miracoli finora quelli della Madonna di Pompei, sanzionati
o no dalla Chiesa?... (p. 83)
La soluzione al quesito risulta davvero significativa. Il problema del
miracolismo è riportato in questa circostanza a una dimensione prettamente
psicologica (e verrebbe voglia di dire “bracchiana”), dal momento che
qualunque miracolo si legittima di per sé per il fatto che le persone lo
ritengono tale. Citando Sant'Agostino e, nel contempo, forzando quella
stessa citazione, lo scrittore partenopeo dichiara che se i devoti credono al
miracolo della Madonna, pur non essendo esso un miracolo, la loro fede di
per sé è il più grande dei miracoli:
Indirettamente, Sant'Agostino tendeva a proporre e a proporsi l'ipotesi d'una specie di
miracolismo psicologico, prescinto dalle realtà esteriori. Il che ci fa intravedere quale
straordinaria conoscenza dell'anima umana fosse nel fondo di quell'oceano che fu la sua
sapienza. (p. 84, nostro il corsivo)
Ancora una volta, quindi, i misteriosi percorsi irrazionali della mente
umana rappresentano il centro delle riflessioni di Roberto Bracco. A
motivare gesti alogici e devozioni miracolistiche ci sono inspiegabili
itinerari psicologici che possono materializzarsi sulla scena in costruite
azioni drammatiche o, come in questo caso, divenire semplicemente
oggetto di una riflessione giornalistica.8
Università degli Studi di Napoli Federico II
8 Mi riferisco, per quanto riguarda la produzione teatrale, al protagonista di uno dei capolavori
bracchiani, Il Piccolo Santo (messo in scena per la prima volta al Teatro Mercadante nel 1912). In tal caso
il sacerdote don Fiorenzo «si distingue per la generosità verso i poveri e per una certa suggestione mistica
che, involontariamente, sembra esercitare su molte persone che vengono in contatto con lui» (A.
STÄUBLE, Tra Ottocento e Novecento. Il teatro di Roberto Bracco, Torino, ILTE, 1959, p. 156, ma per la
sezione dedicata in particolare a quest'opera si vedano le pp. 155-63). L'opera è stata riproposta nel 1994
(cfr. R. BRACCO, Il Piccolo Santo, pref. di M. Giammusso, Napoli, Franco Di Mauro Ed., 1994). Su tale
dramma cfr. A. DE CRESCENZO, ‘Il piccolo santo’ di R. Bracco, in La letteratura italiana a Congresso.
Bilanci e prospettive del decennale (1996-2006). Atti del X Congresso annuale dell’Associazione Degli
Italianisti italiani (Capitolo [Monopoli], 13-16 settembre 2006), a cura di R. Cavalluzzi, W. De Nunzio, G.
Distaso, P. Guaragnella, III, Lecce, Pensa Multimedia, 2008, pp. 1089-1096.
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