Siva, l’induismo e la magia di Sergio De Carli Il mondo degli adoratori del dio Siva è estremamente complesso e caratterizzato dalla presenza di numerosi gruppi e correnti filosofiche, dato che religione e filosofie sono – da sempre in India – difficilmente separabili. La riflessione che si è sviluppata all’interno dello sivaismo ha raggiunto livelli filosofici molto elevati. Alcuni testi si sono posti come nuova rivelazione, capace di sostituire i percorsi ascetici proposti dai Veda antichi (caratterizzati da rigore accentuato e quindi da grandi difficoltà per l’uomo <<normale>>) con nuove modalità spirituali più abbordabili (e accettabili) dalla persona del nostro tempo. Lo sivaismo settentrionale e lo yoga Lo sivaismo settentrionale (detto Trika, perché riconosce tre realtà: la divinità Siva, la personificazione divina femminile e le anime individuali) venne fondato tra l’VIII e il IX secolo. Secondo la parola potente di Siva, la realtà è suono lungo quattro livelli: 1. il Verbo come realtà assoluta nel silenzio vuoto; 2. il Verbo che diventa contemplante, scoprendosi in dialogo con altro, per cui suono, significato e oggetto si identificano; 3. il suono come pensiero che media tra la realtà e il suo significato; 4. la voce articolata che consente di distinguere l’oggetto, il significato e il suono che lo qualifica e caratterizza. A questi quattro livelli corrispondono quattro stati di coscienza che, praticati, costituiscono il centro delle discipline yoga: veglia (caratterizzata da una relazione solo mentale con gli oggetti della realtà, senza però riuscire a coglierli concretamente), il sonno (nel quale si sogna), il sonno profondo (che apre a un mondo indipendente dalla volontà), la catalessi (che è condizione di morte apparente). Siva è presente in ogni cosa perché è realtà assoluta, luce e consapevolezza, coscienza luminosa di se stessa, causa materiale ed efficiente del mondo stesso. Tutto nasce e si ricompone in Siva. Altre correnti sivaite dal Sud dell’India Un’altra scuola di pensiero, ancora sivaita, distingue invece la dottrina dal rituale, dall’ascesi e dalla condotta, e culmina con la dottrina dell’unità assoluta del reale in tre enti differenti ed eterni: il Signore, cioè Siva; le anime, cioè il gregge; e il Legame, cioè il rapporto con ciò che è non spirituale, contingente, e quindi legato al Samsara, al ciclo delle morti e delle rinascite. È noto che secondo il pensiero indiano la vita è caratterizzata dalla nascita, cui segue la morte e poi una nuova nascita (reincarnazione) e poi ancora la morte: sino a che si giunge alla liberazione finale. Questa prospettiva si concretizza in tre macchie, tre errori: l’identificazione con un individuo particolare; il ritenersi autore delle proprie azioni; prendere per reale il mondo che è invece illusoria proiezione soggettiva. La liberazione delle anime non porta, a differenza del sistema precedente, allo scioglimento dell’anima individuale nella personalità di Siva, bensì stabilisce un’unione con il dio solo sul piano della presenza, consentendo così un rapporto di devozione verso di lui. Questa devozione, insieme a particolari forme di yoga, conduce alla liberazione (a volte anche mentre dura ancora la vita terrena). I poeti tamil (popolazione dell’India sud-orientale e dell’isola di Sri Lanka) hanno cantato spesso i modi e gli atteggiamenti di questa devozione. Se nella prima prospettiva si ha il passaggio dall’io assoluto all’io presente concretamente nella storia, nella seconda la dialettica suono-luce si fa creazione. Sempre in questa seconda prospettiva è presente anche un atteggiamento contro le caste che porta a pensare che lo sivaismo si sia diffuso dal Sud verso il Nord dell’India. La magia indiana Altre sette, probabilmente più antiche, rimandano a rituali e riflessioni legate al mondo sciamanico, magico. Una di esse, caratterizzata dagli abiti rossi indossati dai suoi aderenti, veniva individuata anche dall’uso di cospargere il corpo intero di cenere. Una pratica magica, inoltre, prevedeva poi che gli adulti si rivoltassero ancora nella cenere più volte al giorno. A queste indicazioni si attengono ancora oggi alcuni sciamani di un’area che dalla Corea giunge sino alla Lapponia e al Turkestan, coprendo quindi un territorio molto vasto. Si tratta, evidentemente, di sette estremiste, che però testimoniano l’origine molto antica dello sivaismo insieme ai legami con la magia. Un’altra setta, teoricamente contraria alla divisione in caste, rifiuta anche la subordinazione sociale della donna. Di fatto, però, poi, si ritrova divisa in quattro classi ulteriormente articolate al loro interno. Un’altra setta ancora, è caratterizzata dalla pratica di una specie di <<battesimo>> – detto <<degli Otto Colori>> – che attribuisce al bambino altrettante corazze contro gli influssi negativi o maligni. Chi vi aderisce si pone un punto bianco sulla fronte. Induismo e Occidente Possiamo concludere rilevando come nell’induismo la religione si fonda, si mescoli, con la riflessione filosofica e con la pratica e il pensiero magico. Se è vero che, soprattutto quest’ultima caratteristica, è indice di una origine molto antica, è possibile comprendere – almeno in parte – le ragioni del successo della mentalità orientali in Occidente. La <<logica>> del rimando a domande che la società occidentale ritiene essere importanti per la vita: non si spiegherebbe altrimenti il dato – documentato da numerose ricerche, anche recenti – secondo il quale un italiano su cinque si reca da un mago almeno una volta l’anno. La magia, quindi, come ponte tra uomo moderno occidentale, che affida alla tecnica la sua vita, e pensiero estremo-orientale, che affonda le sue origini nel mondo magico, come fu in passato per lo stesso Occidente: basti pensare alla magia egizia che è recuperata ancora oggi da alcuni filoni magici diffusi in Europa e in America. Sul fatto che poi funzioni, cioè che indichi risposte ricche di senso alle domande cui facevo cenno, osservando l’Occidente stesso… sorgono quantità enormi di dubbi.