1. INTRODUZIONE L’AIDS è la sindrome da immunodeficienza acquisita causata dal virus dell’HIV. L’HIV, uccidendo progressivamente le cellule del sistema immunitario, mina le capacità dell’organismo di difendersi da infezioni e tumori definite per questo infezioni opportunistiche. In particolare, durante l’infezione, i CD4+, cellule immunitarie di importanza cruciale, vengono inattivate e uccise (si parla di AIDS quando queste ultime scendono al di sotto di 200/mm3). L’HIV appartiene ad una classe di virus definiti “RETROVIRUS” nei quali la molecola portatrice dell’informazione genetica non è il DNA ma L’RNA. Come tutti i virus, l’HIV può riprodursi solo all’interno della cellula, gestendo i meccanismi cellulari di riproduzione. Tuttavia solo l’HIV e altri retrovirus, una volta all’interno della cellula, utilizzano un enzima chiamato transcrittasi inversa per poter convertire il proprio RNA in DNA, che viene poi incorporato nel genoma della cellula ospite. 1.1 CICLO REPLICATIVO DEL VIRUS HIV L’HIV, come tutti i virus è incapace di replicarsi autonomamente in quanto necessita dell’apparato metabolico di una cellula; il ciclo replicativo dell’HIV viene solitamente suddiviso in varie fasi: ADESIONE : per poter penetrare nella cellula l’HIV deve prima di tutto legarsi ad essa; il virus si può legare a cellule che abbiano sulla loro superficie uno specifico recettore, denominato CD4, al quale aderisce tramite una specifica porzione dell’envelope, costituita da due glicoproteine: la gp120, più esterna e la gp41, situata più internamente. Il primo legame avviene quindi tra la gp120 e il recettore CD4; è necessario però anche un secondo legame, che avviene tra la gp120 ed un corecettore presente sulla superficie della cellula (il principale di questi corecettori è stato denominato CCR5). FUSIONE : una volta avvenuto anche questo secondo legame col corecettore, la gp120 subisce una variazione della propria struttura e una modifica della posizione, permettendo così l’esposizione della gp41 la quale, interagendo con la membrana cellulare, induce la fusione dell’involucro virale con il doppio strato fosfolipidico della membrana citoplasmatica. 1 UNCOATING: una volta penetrato nella cellula il core perde il proprio rivestimento proteico in un processo chiamato uncoating (svestimento); in questo modo si libera la parte centrale del virus che contiene il genoma ad RNA e gli enzimi virali. TRASCRIZIONE INVERSA: la fase di retrotrascrizione avviene ad opera dell’enzima trascrittasi inversa (RT) e consiste nella sintesi di una prima catena di DNA complementare ad una delle due catene di RNA virale. La seconda elica di DNA viene trascritta sullo stampo di DNA neoprodotto soltanto dopo l’azione della porzione RNasica dell’RT: la RNasiH, che scinde parzialmente lo stampo originale di RNA. Al termine della retrotrascrizione, il genoma virale è costituito da una duplice catena di DNA lineare, replica dell’originale genoma ad RNA, associata probabilmente alla proteina di matrice, alla proteina Vpr e all’integrasi: questo complesso ribonucleoproteico prende il nome di complesso di preintegrazione. TRASPORTO E INTEGRAZIONE: il complesso migra così dal citoplasma al nucleo dove il DNA virale viene integrato nel genoma della cellula ospite ad opera dell’enzima integrasi. In seguito il provirus può rimanere confinato per un periodo molto lungo con scarsa produzione di proteine virali o virioni, di conseguenza l’infezione si mantiene latente. TRASCRIZIONE: il DNA integrato, una volta attivato, utilizza le strutture ed i sistemi enzimatici di derivazione cellulare per la trascrizione dell’RNA messaggero e la produzione di proteine strutturali e nuove catene di RNA che andranno a costituire il genoma delle nuove particelle virali. SINTESI: i componenti virali neosintetizzati vengono trasportati verso la superficie della cellula ospite dove vengono assemblati. Subito dopo la loro “costruzione”, le proteine virali non sono ancora in grado di funzionare adeguatamente; è necessario l’intervento di un altro enzima, la Proteasi, il quale agisce modificando la struttura delle proteine in modo da renderli completamente funzionanti. 2 GEMMAZIONE: le proteine virali rivestite della membrana cellulare (“coating”) possono essere rilasciate attraverso una lenta gemmazione che non comporta il danneggiamento della cellula ospite. [1] Ciclo replicativo di HIV LINFOCITI T HELPER, Mø, DC (cellule CD4+) 1.Legame Legame 1. 8. 8.Gemmazione Gemmazione 2.Fusione Fusione 2. 7. 7.Sintesi Sintesi 3.Uncoating Uncoating 3. 4.RT RT 4. 5.Trasporto Trasportonucleare nucleareee 5. integrazione integrazione 6. 6.Trascrizione Trascrizione Figura 1. Ciclo di replicazione dell’HIV 1.2 ATTUALI STRATEGIE TERAPEUTICHE Tra le varie fasi del ciclo vitale del virus, quelle che attualmente risultano essere bersaglio di farmaci sono: l’attacco/fusione dell’HIV alla membrana della cellula ospite, trascrizione (per inibizione selettiva dell’enzima chiave “trascrittasi inversa”) e sintesi delle componenti virali neoformati (per inibizione dell’enzima proteasi). 3 C’è una chiara necessità medica di agenti antiretrovirali con nuovi meccanismi d’azione per trattare i pazienti infettati con il virus dell’HIV che hanno poche o nessuna rimanenti opzioni di trattamento a loro disposizione a causa di infezioni da HIV resistenti alle attuali classi di farmaci antiretrovirali. Gli inibitori dell’enzima Integrasi rappresentano un importante progresso nella ricerca sull’AIDS, mostrando potenti effetti antiretrovirali in studi clinici avanzati. Tuttavia, nonostante i decennali studi in questo campo varie questioni sulle interazioni Enzima-Inibitore sono rimaste senza risposta quali: l’attacco al sito, possibili interazioni con ioni metallici e DNA virale, amminoacidi coinvolti nel legame, farmaco resistenza, conformazioni assunte dall’inibitore nel complesso con l’enzima [2]. La determinazione di tali problemi è fondamentale data l’importanza dell’enzima per l’inserimento di DNA provirale nel genoma della cellula ospite con conseguente retrovirale latenza e persistenza durante la terapia. 4 2. INTEGRASI 2.1 STRUTTURA E DOMINI FUNZIONALI L’integrasi dell’HIV è una proteina del peso di 32 KDa appartenente ad una famiglia di polinucleotidil DNA esterasi-transferasi di cui fanno parte transposasi ed RNAasi, coinvolti nel meccanismo di taglio o trasferimento di materiale genetico. Sono proteine simili nella loro struttura 3D, presentano un core catalitico caratterizzato da una tripletta aminoacidica specifica, in legame di coordinazione con ioni bivalenti [3,4]. L’integrasi è costituita da tre domini strutturali: il dominio ammino-terminale (NTD) stabilizzato da Zn2+, il core catalitico (CCD) caratterizzato dai residui Asp64, Asp116 e Glu152 ed il dominio carbossi-terminale (CTD). La figura 2 mostra le strutture di CCD in associazione con CTD (a) e di NTD con CCD (b). Figura 2. Struttura cristallina dimerica della HIV integrasi; a e b :prospettive laterali che mostrano la triade catalitica acida in rosso nel dominio catalitico dell’integrasi. Le due subunità del dimero sono mostrate in giallo e verde. In figura 3 vediamo la prospettiva frontale delle stesse strutture (dopo una rotazione antioraria di 90° rispettivamente dei riquadri a e b ). La combinazione delle strutture (a con b; c con d) indica il posizionamento di ogni NTD nella cavità tra il CCD ed il CTD nel dimero dell’integrasi intero[5]. La struttura funzionale dell’integrasi è probabilmente tetramerica e perciò coinvolgerebbe un’altra interfaccia dimerica. 5 Figura 3. Struttura cristallina dimerica della HIV integrasi; c e d: prospettive frontali delle strutture Il CCD, che comprende i residui 50-212 organizzati in cinque β-sheet intrecciati a regioni di αeliche (figura 4), forma un dimero in tutte le strutture esaminate ed è strutturalmente simile a quello delle altre integrasi retrovirali (MLV e Avian Sarcoma Virus), alla Tn5 transposasi ed RNAasi [6]. Figura 4. Rappresentazione del dominio catalitico in forma dimerica (codice PDB:1ITG) 6 Questa famiglia di enzimi che processano il DNA contiene una tripletta di amminoacidi caratteristica (motivo DDE) formata, nell’integrasi dell’HIV, dalla triade catalitica D64 (aspartato 64), D116 (aspartato 116) e E152 (glutammato 152). Questi residui sono altamente conservati in tutte le integrasi e le retrotransposasi. La mutazione anche di uno solo di questi tre amminoacidi annulla l’attività enzimatica e la replicazione virale. I due residui D64 e D116 formano un complesso di coordinazione con uno ione bivalente (Mn2+ o Mg2+). Poiché nella struttura cristallina dell’integrasi di ASV è stato osservato un altro metallo bivalente [7] e poiché nella struttura delle altre polinucleotidil transferasi sono presenti due cationi, è stato proposto che possa essere coordinato un secondo metallo (Mn2+ o Mg2+) a livello dei residui D116 ed E152, quando l’integrasi lega il suo DNA substrato [8]. E’ quindi probabile che i metalli coordinino sia l’integrasi che lo scheletro del DNA substrato durante il processo di integrazione. Sebbene il CCD contenga il sito catalitico, in assenza dei domini NTD e CTD, esso non riesce a catalizzare la reazione di integrazione in tutte le sue fasi [9] Il dominio NTD consiste in un ammasso di tre α-eliche e comprende i residui 1-50. Il legame di un atomo di Zn2+ sembra indispensabile alla stabilizzazione della struttura del dominio NTD ed è necessario all’attività integrasica. Singole mutazioni a carico di questi amminoacidi riducono l’attività enzimatica dell’integrasi [10]. Il dominio CTD che comprende i residui 212-288 lega il DNA in modo non specifico [11]. Sebbene la struttura di ciascun dominio sia stata ben determinata, la struttura tridimensionale dell’integrasi non è tuttora disponibile. Studi dimostrano che un oligomero, probabilmente un tetrametro dell’integrasi, è indispensabile per una completa reazione di integrazione, mentre gli altri due siti attivi fungono da supporto strutturale per il tetramero. In particolare la struttura del core catalitico e del dominio N-terminale formano un dimero di dimeri che rappresenta un modello dell’arrangiamento tetramerico dell’integrasi (figura 5) [5,12]. 7 Figura 5: il tetrametro ABCD (codice PDB: 1K6Y) 2.2 MECCANISMO D’AZIONE DELL’INTEGRASI Il processo di integrazione dell’HIV all’interno della cellula ospite mediato dall’integrasi, comprende una serie di eventi molecolari. L’enzima transcrittasi inversa converte l’RNA virale in una doppia elica lineare di DNA con specifiche sequenze LTR (Long Terminal Repeat) alle estremità terminali; queste ultime costituiscono il substrato per l’integrasi dell’HIV. L’enzima integrasi scinde due nucleotidi (GT) dall’estremità 3′-terminale del DNA virale all’interno della sequenza LTR che contiene il motivo CA altamente conservato e produce degli idrossili 3′ reattivi ad entrambe le estremità del DNA virale. Questa fase è denominata 3 ′-processing, avviene nel citoplasma dove l’integrasi rimane associata al DNA virale formando il complesso di preintegrazione (PIC). Il complesso viene poi traslocato attraverso la membrana nucleare per accedere al DNA della cellula ospite mediante un meccanismo ATP dipendente che consiste in un trasporto attivo attraverso i pori nucleari. Nel nucleo ha inizio la seconda fase della reazione chiamata “strand-transfer” in cui l’integrasi catalizza l’associazione tra DNA virale e DNA della cellula ospite. Dal punto di vista chimico avviene un attacco nucleofilo del gruppo 3′-OH terminale, formatosi nel 3′-processing, con concomitante transesterificazione del gruppo 5′-fosfato del DNA cellulare. Infine il processo di integrazione è completato dalla rimozione di un dinucleotide all’estremità 5 ′-terminale del DNA virale e dal legame all’estremità 3′ del DNA cellulare: questa fase è chiamata 5′-processing (figura 6) [13]. 8 Figura 6: rappresentazione schematica del meccanismo d’azione dell’integrasi 9 3: INIBITORI DELL’INTEGRASI Gli inibitori dell’integrasi possono essere suddivisi in due classi : inibitori del 3′-processing (3′ P)e inibitori dello strand transfer (INSTI). Studi di docking supportati da evidenze biochimiche dimostrano che i 3′ P inibitori sono selettivi per il sito di legame dell’enzima al DNA virale, gli INSTI occupano interamente la posizione del DNA all’interno dell’enzima [14,15]. Gli inibitori dell’integrasi, in studi clinici, appartengono al gruppo INSTI: tra questi l’ELVITEGRAVIR (GS9137) è in fase II di sperimentazione, mentre il RALTEGRAVIR (MK-0518) ha avuto gia l’approvazione dalla FDA all’immissione in commercio. Chimicamente essi presentano β-idrossi carbonili essenziali per l’interazione con gli ioni metallici e gli aminoacidi D64, D116 e E152 del sito catalitico. Lo studio degli inibitori dell’integrasi non è stato molto semplice in quanto non è nota la struttura cristallina dell’enzima e la natura non specifica del legame con il DNA sia virale che dell’ospite (che forse includeva ulteriori amminoacidi rispetto ai tre D64, D116, E152 del sito catalitico), rappresenta una sfida ancora maggiore per giungere alla struttura di un complesso. Per fare una mappatura del sito di legame del DNA virale all’interno del sito catalitico dell’integrasi lavori precedenti hanno usato la struttura cristallina del primo inibitore co- cristallizzato dell’enzima, 5-CITEP (1-(5-cloroindol-3-il)-3-idrossi-3-(2H-tetrazol-5-il)-propenone) (composto 1 in figura 7) in complesso con CCD-HIV integrasi descritta da Goldgur e collaboratori [16], e la struttura della Tn5 transposasi (enzima analogo) complessata con il DNA [17]. 1 N HO O 3 N Cl 5 1 3 2 NH N 3 4 N H 1 Figura 7: struttura del 5-CITEP: composto 1 10 Intanto la sovrapposizione strutturale dei due enzimi, integrasi e transposasi, vede coinvolti 75 amminoacidi compresi quelli della cavità catalitica e la distanza quadratica media dei tre aminoacidi del core catalitico ( IN: D64, D116 e E152; transposasi: D97, D188 e E326) è di 0,17 Å per entrambi gli enzimi (figura 8) Figura 8: pannello A: sovrapposizione strutturale del core catalitico HIV- IN ( in giallo) con Tn5 transposasi in complesso col DNA (enzima transposasi in verde; DNA in viola). Le triadi catalitiche di IN e Tn5 sono rispettivamente in rosso e nero. Quando la Tn5 transposasi in complesso con il DNA è stata sovrapposta alla struttura del core catalitico dell’integrasi è stato osservato un contatto tra la K159 e il fosfato all’estremità 3′-terminale del nucleotide. Simili contatti sono stati osservati con il fosfato a livello del 3′-processing sito dell’HIV-DNA [18]; questo supporta l’ipotesi che la porzione 3′ terminale del DNA nella transposasi e il DNA-HIV 3′ processato occupano simili posizioni nel sito attivo dei due enzimi. Questa ipotesi è stata supportata dalla ulteriore sovrapposizione del complesso integrasi -composto 1 che vede il contatto dell’anello tetrazolo del composto 1, che come inibitore mima appunto la porzione 3′ terminale del DNA virale, con la K159. Successivamente studi di cross-linking hanno rivelato un ulteriore contatto da parte del composto 1, come anche della porzione 5′-terminale del DNA, con la Q148 (Figura 9). 11 Figura 9: sovrapposizione del complesso Tn5-DNA con HIV-Integrasi in complesso col 5-CITEP (in giallo) L’analisi della struttura di CCD-HIV integrasi studiata da Maignan e collaboratori [19] ha messo in evidenza una ben organizzata triade catalitica e la presenza tra gli amminoacidi D64 e D116 di ioni metallici; è stato possibile ancora rilevare una ulteriore interazione del composto 1 con un altro residuo, la Y143 all’interno del loop flessibile (figura 10) [20]. Figura 10: INTERAZIONE TRA L’INIBITORE 5-CITEP E I RESIDUI DELL’HIV INTEGRASI DESTINATI ALL’INTERAZIONE CON IL DNA: in figura è possibile notare la presenza dei due ioni metallici (in giallo) presenti nella cavità catalitica. I possibili legami ad idrogeno sono indicati con linee tratteggiate. 12 Sulla base della struttura cristallina del complesso tra il composto 1 ed il sito attivo dell’integrasi, sono stati realizzati modelli strutturali per l’interazione di vari inibitori attraverso studi di docking. 3.1 I DICHETOACIDI I dichetoacidi (DKA) sono la prima classe di inibitori dell’integrasi dotati di effetto antiretrovirale in vitro. La struttura generale dei DKA è molto simile a quella del composto 1: l’anello tetrazolico del composto 1 infatti, è sostituito con un gruppo carbossilico nei DKA (figura 11). Figura 11: (a) struttura del 5-CITEP (composto 1); (b) struttura dei DKA (composto 2) Nonostante ciò, i due composti hanno diversa attività inibitoria; in presenza di Mg2+ il composto 2 inibisce prevalentemente la reazione di strand transfer, a differenza del composto 1 che blocca prevalentemente la fase di 3′ processing [21]. Di questa classe di inibitori, il primo a mostrare gli effetti antiretrovirali in vitro è stato l’L731,988 (4-[1-[(4-fluorofenil) metil] pirrol 2-il] -2-idrossi-4-ossobut-3-enoico acido) [22]. OH O N O OH F Figura 12: struttura di L-731,988 (composto 3) 13 Il composto 3 presenta un’ottima ricognizione con l’enzima; è possibile infatti notare in figura 13, l’inserimento del composto all’interno della cavità catalitica caratterizzata dagli amminoacidi D64, D116 e E152 e l’interazione con gli ioni metallici posti tra D64 e D116. Notiamo ancora legami ad idrogeno tra i gruppi carbossilici del composto e i residui N155 e T66. In accordo con tali dati si è dimostrato che, mutazioni a carico di T66 e N155 comportano resistenza ai dicheto acidi [22]. Gli esperimenti di docking sono stati condotti in presenza di Adenina (in arancio) che segna la parte terminale del DNA virale 3′-processato, con la quale sono state valutate interazioni π-π con l’anello pirrolico; questo per valutare la possibile azione inibitoria su un enzima legato al proprio ligando. Figura 13: gli ioni metallici sono presentati in giallo; gli amminoacidi responsabili della resistenza farmacologica sono presentati in grigio. I legami ad idrogeno sono tratteggiati in bianco, i legami di coordinazione con i metalli, tratteggiati in giallo. 14 L’analogo dicheto acido tra i primi INSTI ad entrare in studi clinici è S-1360 (1-[5[(4fluorofenil)metil] furan-2-il]3-idrossi-3-(2H-1,2,4 triazol-3-il)prop-2-en-1-one) [3,14]. F O N NH N O OH Figura 14: struttura di S-1360 (composto 4) Diversamente dal composto 3, i gruppi funzionali del composto 4 mostrano preferenza per il metallo tra D64 e E152, come si può vedere in figura 15. Notiamo interazioni π-π tra l’adenina in arancio e l’anello furanico; legami ad idrogeno tra T66 ed il gruppo carbossilico e T66 e l’azoto del ciclo pirrolico, mutazioni a carico di tale amminoacido, sono causa di resistenza [23]. Figura 15: gli ioni metallici sono presentati in giallo; gli amminoacidi responsabili della resistenza farmacologia sono presentati in grigio. I legami ad idrogeno sono tratteggiati in bianco, i legami di coordinazione con i metalli, tratteggiati in giallo. 15 3.2 NAFTIRIDINE CARBOSSIAMIDI Una importante classe di INSTI sono le 8-idrossi-1,6, naftiridine carbossiamidi. L 870,812 e L870,810 sono i primi INSTI a produrre i primi effetti antiretrovirali nelle scimmie e negli esseri umani [3]. N N O O F N H N N O OH Figura 16: struttura del composto L-870,812 CIS (composto 5) O S O F N N H N N O OH Figura 17: struttura del composto L-870,810 (composto 6) Entrambi i composti si inseriscono perfettamente nella tasca catalitica. Gli ioni metallici coinvolti nell’interazione sono quelli posti tra gli amminoacidi D64 e D116. Il composto 5, come si può vedere dalla figura 18, crea legami ad idrogeno con N155 tanto che mutazioni a carico di tale amminoacido determinano resistenza [24]. In tale composto è possibile una rotazione del gruppo carbossiamidico 16 (notato infatti nel complesso con l’enzima), ma l’ottimale interazione si ha con la conformazione cis [25]. Figura 18: rappresentazione dell’interazione tra l’enzima Integrasi e composto 5 Con il composto 6, in figura 19, è possibile valutare l’analoga interazione con N155 e interazioni di Van-der-Waals tra la porzione solfonammidica e l’amminoacido F121 la cui mutazione è la principale causa di resistenza [26]. Interazioni di Van-der-Waals sono ancora possibili tra N155 e E92, interazioni forse non secondarie vista la possibilità di resistenza indotta dalla mutazioni di questi amminoacidi [26]. Figura 19: rappresentazione dell’interazione tra l’enzima Integrasi e composto 6 17 3.3 ELVITEGRAVIR Un nuovo modello farmacoforico descritto da alcuni ricercatori giapponesi è mostrato dall’ELVITEGRAVIR (GS-9137), un 6-[(3 cloro-2-fluorofenil)metil]-1-[(2S)-1-idrossi-3- metilbutan-2-il]-7-metossi-4-ossochinolina-3-acido carbossilico in fase II di sperimentazione clinica ( composto 7 in figura 20) [27, 28]. OH O N O Cl F O OH Figura 20: struttura di ELVITEGRAVIR (composto 7) Il miglior docking pone il gruppo carbossilico nella giusta posizione per l’interazione con il metallo tra D64 e E152 e il gruppo idrossilico dell’isobutile, per l’interazione con l’altro metallo. E’ possibile notare come il sostituente isobutile è orientato verso E92 con il quale sono possibili legami ad idrogeno (figura 21). Mutazioni a carico di E92 sono causa di resistenza [29]. Figura 21: rappresentazione dell’interazione tra enzima Integrasi e il composto 7 18 3.4 DIIDROSSI PIRIMIDINE CARBOSSIAMIDI Le diidrossipirimidine carbossiamidi sono una nuova e selettiva classe di inibitori dell’integrasi. Di queste fa parte il RALTEGRAVIR /MK-0518 [30] (composto 8 in figura 22) che la FDA ha autorizzato all’immissione in commercio con il nome commerciale “ISENTRESS”. Si somministra per os alla dose di 400 mg due volte al dì e non presenta particolari controindicazioni. Gli eventi avversi più rilevanti sono: diarrea, nausea e cefalea e studi preclinici indicano che non è metabolizzato dal citocromo P 450. Raltegravir in combinazione con altri agenti retrovirali è indicato per il trattamento di pazienti adulti già trattati per infezioni HIV e che hanno sviluppato una resistenza ai vari agenti antivirali usati. F N H N O O NH N N N O O OH Figura 22: struttura di RALTEGRAVIR (composto 8) Il composto si inserisce nella tasca catalitica. La figura 23 indica la posizione dei metalli (sfere nere). Da studi di resistenza si è potuto valutare come mutazioni a carico di N155, Q148 e Y143 riducono l’attività inibitoria del complesso. Figura 23: rappresentazione dell’interazione tra Raltegravir e gli ioni metallici (sfere nere) 19 3.4.1 SAR: CARBOSSAMIDI I primi studi di SAR delle carbossiamidi sono riportati in tabella 1. La sostituzione del gruppo benzilico con un metil-cicloesano aboliscono completamente l’attività, sottolineando l’importanza della porzione aromatica in questa parte della molecola. Variazioni della distanza tra l’amide e il benzile producono i seguenti risultati: l’aggiunta di un metilene porta a guadagnare in potenza, mentre l’accorciarsi della distanza produce indebolimento dell’attività. Tabella 1: La tabella riporta i valori di IC50 (50% inhibitory concentration) relativi alle iniziali sostituzioni nella posizione R Sforzi puntati a sostituire il fenile con un eterociclo sono riportati in tabella 2. I componenti polari eterocicli erano completamente inattivi. Tabella 2: Valori di IC50 relativi alle sostituzioni con componenti polari eterocicli nella posizione R2 20 Per investigare sullo spazio disponibile della porzione aromatica “benzilamide” sono stati usati una grande varietà di sostituenti. Sostituenti nelle posizioni orto e meta generalmente sono stati tollerati, ma non hanno condotto a miglioramenti significativi. Più studiate sono state le sostituzioni in para, dove gruppi ingombranti scemavano completamente l’attività inibitoria. Gli alogeni, invece, ne potenziavano l’attività [31]. Tabella 3: Valori di IC50 relativi alle sostituzioni nella posizione R3 21 4: BIBLIOGRAFIA 1. Nisole S and Saib A. Early steps of retrovirus replicative cycle. Retrovirology, 2004, 1, 9. 2. Sharkey M Triques K Kuritzkes DR Stevenson M. In vivo evidence for instability of episomal human immunodeficiency virus type I cDNA. J virol, 2005, 8, 5203-5210. 3. Savarino A A. 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