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Prof Giovanni Spena
IL PROCESSO COSTITUENTE EUROPEO
La costituzione europea: valori – diritti – cittadinanza
Alexander Langer, deputato europeo tra il 1989 ed il 1994, scrisse:
«dopo la seconda guerra mondiale, che aveva diviso
l’Europa, gli europei iniziarono finalmente a risco
prire le loro comuni radici culturali, la loro apparte
nenza ad un Occidente unitario. Dalle forme di unio
ne economica ... si passò lentamente a considerare
anche forme di unione politica… Ma l’Europa deve
essere un’Europa delle ‘patrie’… oppure essa stessa
una patria ? …Vogliamo veramente un’Europa unita ?
E se non la vogliamo, perché ? E se si, cosa facciamo
per realizzarla ? »
In Alexander Langer, Il viaggiatore leggero. Scritti 1961 – 1995, Palermo, Sellerio
2005, p. 23
Langer gli interrogativi riportati se li pose in uno scritto del 1964, sono stati da me
riportati perché ancora oggi sono i nostri interrogativi. In particolare alla domanda:
‘che cosa facciamo per realizzare un’Europa unita ?’ penso si possa rispondere:
facciamo ad esempio la lezione di stamane – anche la scuola è investita da quella
domanda, anche la scuola ha da fare tanto perché vi siano cittadini europei. Ecco il
mio, in questo quadro, è un piccolo contributo. Altri contributi dovranno seguire, se a
scadenza definita e progettata ancora meglio.
Stamane io non potrò essere esaustivo toccandomi il compito di introdurvi in un
nuovo territorio, cercherò con voi di perimetrarlo, di perlustrarlo in parte, di
identificare in modo chiaro alcuni tratti, poi in un secondo momento si potrà avviare
la colonizzazione, fuori di metafora si potrà essere esaustivi attorno a tutte le
questioni aperte o in svolgimento. In particolare, già nel titolo, della Costituzione
Europea sono indicati solo alcuni tratti, non parlerò infatti di economia, di controllo
della legalità, di sicurezza, di politica estera, sono tutte questioni su cui
eventualmente si potrà tornare.
Proprio perché ho da condurvi in un nuovo territorio è bene che voi fissiate nella
vostra testa alcune coordinate:
9 – maggio – 1950 con la Dichiarazione Schuman v’è l’ideazione della Cee,
seguiranno il 18 aprile 1951 il Trattato di Parigi che istituisce la Ceca e il 27 marzo
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1957 i due Trattati di Roma che istituiscono l’uno la Comunità europea dell’energia
atomica (CEEA) e l’altro la Comunità Economica Europea (CEE). Da questo
momento sino al 1985 si svolge tutto un primo tempo della Comunità Europea, poi
dal 1986 anno dell’Atto unico europeo (17 febbraio 86) inizia un secondo tempo della
Comunità Europea che ha nella fondazione della UE, sostituente la CEE, un primo
punto alto (la firma del Trattato di Mastricht istituente l’UE è del 7 febbraio 1992 –
effettualmente l’UE è operante in data 1 novembre 93) e poi nella Convenzione
Europea elaborante la Costituzione Europea (redatta tra il 28 febbraio 2002 ed il 10
luglio 2003, siglata poi a Roma il 4 ottobre 2003) un secondo punto alto.
Penso che voi primieramente dobbiate distinguere queste due fasi temporali relative
alla Comunità Europea : 1950 – 1985 la prima e dal 1986 la seconda fase nel presente
ancora in svolgimento. E’ evidente che qui io non mi potrò occupare della prima fase,
così pure è evidente che della seconda fase io richiamerò solo alcuni tratti, più
propriamente quelli connessi al processo costituente che ha preso avvio con la
Convenzione per la Carta dei diritti (tale prima Convenzione inizia i suoi lavori nel
dicembre 1999 ed adotta un testo completo nelle sue parti in data 2 ottobre 2000, la
Carta dei diritti viene poi riprodotta nel Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001),
processo costituente che ha nella Convenzione redigente la Carta Costituzionale una
significativa continuità.
Pur polarizzandomi sul secondo tempo della Comunità Europea, preciso qui che
necessariamente devo soffermarmi sull’insieme delle istituzioni europee, la svolta
politica che prende avvio nel decennio novanta (da Maastricht in poi) è preceduta da
una lenta tessitura istituzionale. Senza la cognizione del processo di formazione delle
istituzioni europee non è possibile introdurre alla Costituzione Europea.
Da subito, vale a dire dal Trattato di Roma del 57 istituente la Cee, è insediata la
Commissione Europea con funzione, relativamente alle politiche economiche, di
coordinamento tra i paesi firmatari del Trattato, detiene il monopolio dell’iniziativa
normativa, propone gli atti comunitari o direttive al Consiglio dei ministri, svolge
rappresentanza della CEE all’esterno - successivamente con l’istituzione della UE la
Commissione assume funzione esecutiva e di promozione del processo legislativo,
nel contempo mantiene funzione di rappresentanza della UE; sempre secondo
Trattato CEE del 57 è predisposto il Consiglio dei ministri, composto dai
rappresentanti dei governi degli Stati membri (un ministro per ciascun governo
nazionale), detiene le competenze decisionali fondamentali- successivamente con
l’istituzione dell’Unione Europea verrà ridenominato Consiglio dell’Unione Europea
e svolgerà rilevanti funzioni: eserciterà il potere legislativo insieme al Parlamento
Europeo, concluderà accordi internazionali tra l’UE e uno o più Stati o
organizzazioni internazionali, approverà il bilancio dell’UE insieme al Parlamento
europeo; infine secondo Trattato CEE del 57 è insediato il Parlamento Europeo con
potere consultivo ed i suoi componenti sono designati e non eletti a suffraggio
universale diretto, ciò avverrà a partire dal 1979 stante decisione della Conferenza
intergovernativa di Bruxelles del 20 settembre 1976; nella medesima Conferenza
intergovernativa si stabilisce la durata quinquennale della sua attività – dopo
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l’Istituzione dell’Unione Europea si precisano le sue funzioni: esercita un controllo
democratico su tutte le istituzioni dell’UE, condivide con il Consiglio dell’Unione
Europea il potere legislativo, ed il potere di bilancio dell’UE e può pertanto
concorrere a modificare le spese dell’UE.
Ecco quello disegnato è il triangolo istituzionale della UE. Nel tempo è stata
modificata la geometria, intendo riferirmi al Consiglio Europeo varato nel dicembre
74 (Vertice di Parigi 9 – 10 dicembre). Il Consiglio Europeo riunisce due volte
l’anno (almeno) i capi di stato e di governo dei paesi membri dell’UE, più il
presidente della Commissione, rappresenta il soggetto politico decidente: il dibattito
politico, la decisione politica complessiva è al suo interno che si approntano. Per
questo il Consiglio Europeo pur non disponendo di poteri formali sul piano
legislativo o esecutivo è stato a lungo l’elemento propulsivo della politica comune
europea. Adesso la medesima funzione specifica è stata costituzionalizzata, si veda
l’art I – 21 della Costituzione europea.
Velocemente, da ultimo ricordo altre istituzioni dell’UE: la Corte di giustizia istituita
nel 51 ha come compito quello di garantire che la legislazione dell’UE sia interpretata
e applicata in tutti gli stati membri, sia cioè vigente e circolante ovunque, uguale per
tutti – la Corte dei Conti istituita nel 77 esamina la legittimità e la regolarità delle
entrate e delle spese dell’Unione e accerta la sana gestione del bilancio dell’UE- la
Banca centrale europea istituita nel 98 per introdurre e gestire l’euro, per svolgere
operazioni sui cambi, per attuare la politica monetaria dell’UE
A tal punto ci siamo abbastanza avvicinati ai lavori costituenti della Convenzione
Europea, ci avviciniamo ancora di più orientando la nostra attenzione su un tratto
assai rilevante. La Comunità Europea, ieri CEE oggi UE, a lungo è rimasta fondata su
trattati: ieri il Trattato di Parigi del 18 aprile 51 (CECA) – i Trattati di Roma del 25
marzo 57 (CEEA – CEE) – il Trattato di Bruxelles del 65 (noto come trattato di
‘fusione’ – in breve quanto io ho semplificato parlando delle istituzioni europee
all’altezza del 57, in vero è un processo che si conclude nel 65 col trattato di
Bruxelles – lenta e progressiva è la definizione delle istituzioni europee); oggi l’Atto
unico europeo dell’86 - il Trattato di Mastricht del 92, il Trattato di Amsterdam del
97, il Trattato di Nizza del 2001 , tutti tali trattati sono un'unica e progressiva riforma
dei trattati fondativi della Comunità Europea. Noi diciamo sbrigativamente
Costituzione Europea, in vero l’art. 437 della IV Parte recita: «il presente trattato che
adotta una Costituzione per l’Europa abroga il trattato che istituisce la Comunità
Europea e il trattato sull’UE e … gli atti e trattati che li hanno completati o
modificati…». Due sono le considerazioni da esplicitare. La prima: il testo
costituzionale che stiamo per esaminare (solo inerentemente ad alcuni suoi tratti) ha
una doppia natura, un doppio impianto: da un lato è un Trattato dunque configurato
secondo negoziazione, dall’altro è una Costituzione dunque configurato secondo
normazione, secondo norme fondamentali; non si perda di vista questa origine mista
che è sempre rinvenibile nel testo costituzionale; perché poi tale doppia origine lo si
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può spiegare ricordando che se il testo è stato discusso e redatto da una Convenzione
costituente (tratto normazione), nel contempo è stato discusso e varato dal Consiglio
Europeo e dalla Conferenza intergovernativa di Salonicco (tratto negoziazione).
Seconda considerazione: se la Comunità Europea a lungo è conseguita da
negoziazioni diverse, poi con la Convenzione redigente la Carta dei diritti (la Carta di
Nizza) si è aperto un secondo percorso, quello costituente; i due percorsi sono rimasti
presenti in parallelo sino al Trattato che adotta una Costituzione, si tratta ora di far
prevalere il percorso costituente e lasciar cadere il percorso centrato sui trattati, si
tratta ora di prendere sul serio la Costituzione e dare futuro alla Comunità Europea
attraverso norme fondative non mediante compromessi negoziali, e questo è compito
della socialità europea, dei cittadini europei. E’ un compito, ripeto, per il futuro - su
di esso tornerò ancora.
Entriamo pienamente all’interno del testo costituzionale introducendo un ulteriore
tratto complessivo: la Costituzione Europea non rientra affatto nel canone del
costituzionalismo affermatosi nel moderno. Mi spiego: secondo dottrina
costituzionalistica una Costituzione ha come referente un popolo, che al fine di darsi
delle norme o regole organizzanti il vivere comune in uno Stato, elegge dei propri
rappresentanti alla Costituente. Bene l’art. I – 1 della Costituzione Europea recita: «la
presente costituzione istituisce l’Unione europea, alla quale gli Stati membri
attribuiscono competenze per conseguire i loro obiettivi comuni» - come si vede i
referenti della Costituzione Europea sono gli stati membri dell’U E – è dalla sovranità
degli stati membri che deriva l’Unione tramite la Costituzione – l’Unione non è un
dato politico nuovo (così lo Stato nella dottrina costituzionalistica classica) bensì
l’estensione della sovranità degli Stati membri, la manifestazione in parte di essa. La
Costituzione Europea pone in essere un contesto politico istituzionale inedito, non
identificabile con federalismo (lo stato federale introdotto dalla Costituzione
Americana) e neppure con una Confederazione di stati stante la cessione di quota di
sovranità degli Stati membri.
E’ facile vedere in questo status dell’U E la traccia di Trattato – negoziazione (qui la
negoziazione della quota di sovranità ceduta e per converso la negoziazione
dell’estensione del diritto comunitario europeo, riconosciuto quale preminente). E
tuttavia non si può trascurare altro, altri tratti di diverso segno. La Costituzione
Europea è stata redatta da una Convenzione, è tramite quest’ultima che la
Costituzione Europea trae altra ulteriore e diversa legittimità. Come predisposto dalla
Conferenza intergovernativa di Laeken (dicembre 2001) la Convenzione oltre che dal
Presidente e da due Vicepresidenti è composta da 15 rappresentanti dei Capi di Stato
o di Governo, da 30 membri dei Parlamenti nazionali, da 16 membri del Parlamento
europeo e da 2 rappresentanti della commissione – i paesi candidati all’adesione
partecipano appieno ai lavori della Convenzione secondo medesima modalità. Ora si
faccia attenzione: rappresentanti dei Parlamenti nazionali (sia dei 15 Stati membri sia
dei 10 Stati canditati) così come i 16 rappresentanti del Parlamento europeo sono
eletti dai cittadini di ciascuno stato con suffraggio diretto, dunque, sia pure
indirettamente, cittadini di stati nazionali distinti sono l’altra fonte di legittimità. E
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non si trascuri che la Costituzione Europea investe i cittadini europei – art I – 10
recita: «è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro.
La cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la
sostituisce» indi il medesimo articolo prosegue «i cittadini dell’unione godono dei
diritti e sono soggetti ai doveri previsti nella Costituzione. Essi hanno… il diritto di
presentare petizioni al Parlamento europeo, di ricorrere al mediatore europeo, di
rivolgersi alle istituzioni o agli organi consultivi dell’Unione in una delle lingue della
Costituzione». E’ facile vedere in queste enunciazioni del testo costituzionale il porsi
delle istituzioni dell’U E al servizio dei cittadini europei, ciò avviene non tanto per
via di forma o di diritto (così secondo art. I- 49 e art. III – 335) quanto soprattutto per
il fatto che le istituzioni stesse dell’U E hanno nei cittadini europei una loro fonte di
legittimità. Ancora va sottolineato che nel rintracciare l’altra fonte di legittimità della
Costituzione Europea siamo rinviati a Convenzione, a processo costituente, dunque a
norme introducenti un che di nuovo: qui le procedure presiedenti al rapporto tra
istituzioni europee e cittadini europei.
Entrati a pieno nel testo costituzionale europeo possiamo leggere il preambolo con
cui prende avvio il testo costituzionale: «ispirandosi alle eredità culturali, religiose e
umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti
inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia,
dell’uguaglianza, e dello Stato di diritto – Convinti che l’Europa, ormai riunificata
dopo esperienze dolorose, intende avanzare sulla via della civiltà, del progresso e
della prosperità per il bene di tutti i suoi abitanti, compresi i più deboli e bisognosi;
che vuole restare un continente aperto alla cultura, al sapere e al progresso sociale;
che desidera approfondire il carattere democratico e trasparente della vita pubblica e
operare a favore della pace, della giustizia e della solidarietà nel mondo - Persuasi
che i popoli d’Europa, pur restando fieri della loro identità e della loro storia
nazionale, sono decisi a superare le antiche divisioni e, uniti in modo sempre più
stretto, a forgiare il loro comune destino – Certi che ‘Unita nella diversità’, l’Europa
offre ai suoi popoli le migliori possibilità di proseguire, nel rispetto dei diritti di
ciascuno e nella consapevolezza delle loro responsabilità nei confronti delle
generazioni future e della Terra, la grande avventura che fa di essa uno spazio
privilegiato della speranza umana..…». In questo preambolo vi sono aspetti da
evidenziare.
Intanto sottolineo l’evidente rinvio alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del
cittadino del 1789, cui si affiancano altrove nel testo costituzionale e l’altro rinvio
alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo – carta ONU 1948 e il terzo riferimento alla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (carta firmata a Roma il 4 novembre 1950 – emendata a Strasburgo in
data 11 maggio 1994). Il tratteggio delle ascendenze nel preambolo è dunque di tutto
rispetto, niente di sorprendente pertanto se, sempre nel preambolo, l’U E viene
indicata quale “spazio privilegiato della speranza umana”, qui non siamo distanti dal
diritto alla felicità con cui si chiude la Costituzione americana. Analogamente di tutto
rispetto pure l’asserzione secondo cui l’Europa mediante la sua costituzione offre la
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possibilità di esercitare responsabilità “nei confronti delle generazioni future e della
Terra”, qui responsabilità è declinata alla Hans Jonas (Il principio responsabilità.
Un’etica per la civiltà tecnologica Einaudi 1990). Sottolineo infine che l’indicata
responsabilità nei confronti della Terra rinvia a frammenti di pensiero del nuovo
tempo a venire.
Poi però nel preambolo a cotanta lucidità si affianca preoccupante smemoratezza, mi
riferisco al secondo periodo (quello iniziante con ‘Convinti che l’Europa…’). Ecco
ciò che non va è la genericità di espressioni quali ‘esperienze dolorose’ o ‘antiche
divisioni’, è un modo reticente per non dire apertis verbis che in Europa vi è stato, nel
corso del novecento, un duro scontro tra il nazismo che voleva imporre un suo ‘nuovo
ordine’ e quanti, secondo culture e motivazioni varie, a questo imbarbarimento si
sono opposti anche perdendo la vita, è una smemoratezza, imposta certo dalla
negoziazione, ma una smemoratezza che non consente futuro. Ancora un compito per
i cittadini europei, quello di superare tale smemoratezza.
Da ultimo, quanto a preambolo, va detto circa il riferimento in esso a eredità
religiose. E’ noto che qui vi è la richiesta di cittadini europei, aderenti a confessioni
cristiane ed ebraiche, di richiamare nel preambolo le radici cristiane dell’Europa. Ora
io non voglio qui entrare nel merito, né larvatus prodeo – per quanto mi riguarda
rinvio all’intervento di Giuliano Amato (Vicepresidente della Convenzione) in
Europa laica e puzzle religioso, Venezia, Marsilio 2005, intervento a cui mi sento
prossimo. Detto ciò qui io vorrei intanto dire in chiaro che la questione specifica
rinvia all’altro tema quello dell’identità europea e dunque vorrei porre delle linee di
approccio a tal tema. Se ragioniamo attorno ad identità europea io penso che
dobbiamo badare a due aspetti: da un lato l’identità europea non può che essere
cercata nella differenza di culture e di esperienze, di apporti e contributi, l’identità
europea non si forgia se non nell’incontro di plurimi tracciati di senso, non credo
nell’unicum escludente o accludente a date condizioni – ricordo che il motto dell’UE
inserito in Costituzione è ‘Unita nella diversità’; ciò da un lato, dall’altro lato, nella
tensione tra passato e futuro il baricentro identitario va individuato nel futuro,
nell’Europa che diviene e costantemente si ridefinisce, non certo in una Europa
immobilizzata in un passato acquietante, non è possibile tale opzione trovandoci a
vivere in una società dislocata sul tempo veloce dell’informatica e della
globalizzazione. Su identità dirò altro dal lato dei valori.
Prima di riflettere sui valori adottati dall’UE è tempo di chiarire attorno a principi. In
breve quanto a principi, a mio avviso, è nettamente evidente nella Costituzione
Europea la traccia del doppio piano, quello tracciato da Trattato - negoziazione
e quello disegnato da Convenzione – norma, voglio dire che nel testo costituzionale
più forte è il rinvio a principi orientanti negoziazione (es i principi di sussidiarietà, di
proporzionalità, di cooperazione) e meno insistito il rinvio a principi indirizzanti a
norma fondativa (ha tale profilo il principio solidarietà o il principio di uguaglianza o
il principio di parità). Meglio dunque, una volta fatta chiarezza attorno a principi,
soffermarsi sui valori, essi unicamente sorreggono norma.
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Ecco stiamo per imbatterci con i valori, sappiamo già, avendolo in precedenza
ricordato, che essi sono richiamati riattualizzando una nobile tradizione di
dichiarazioni dei diritti. Muoviamo all’incontro.
L’art I- 2 è la migliore apertura che si possa pensare: «l’Unione si fonda sui valori
del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza,
dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone
appartenenti a una minoranza. Questi valori sono comuni agli stati membri in una
società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla
giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini». Vi è, come facilmente si
scorge, una sintesi densa quanto efficace di tratti del passato (la tradizione liberale
introducente lo stato di diritto quale cornice migliore per la coesistenza tra distinti,
così come anche l’uguaglianza quale garante di opportunità per tutti) quanto di tratti
del presente (ad esempio l’osservanza dei diritti delle persone appartenenti a una
minoranza, dunque l’interlocuzione quotidiana in una società multiculturale – o anche
il valore della parità tra donne e uomini, riferimento alla grande trasformazione dei
rapporti tra i sessi introdotta dalle donne tra decennio settanta e decennio ottanta). La
lucidità dell’enunciazione è forte (ma è tolleranza che nella società multiculturale non
funziona), così come è incisiva la determinazione nel volere concretizzare il plesso
dei valori indicati, si pensi al comma dell’art I – 1: «l’Unione è aperta a tutti gli Stati
europei che rispettano i suoi valori e si impegnano a promuoverli congiuntamente».
L’orizzonte dei valori è alto ma nello spazio da esso racchiuso non tutto è alla
medesima altezza: se per un verso nell’art I-3 troviamo l’affermazione alta secondo
cui «l’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la
giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le
generazioni e la tutela del minore» nel medesimo art troviamo affermazioni che no
svettano verso questa altezza, ad es. «l’Unione offre ai suoi cittadini… un mercato
interno nel quale la concorrenza è libera e non è falsata» - oppure l’altra affermazione
«l’Unione si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa basato… su una
economia sociale di mercato fortemente competitiva». Se apprezzo l’estesa
protezione sociale della prima enunciazione , una protezione sociale probabilmente
la più ampia e la più raccordata ai nostri tempi che si conosca, nel contempo,
relativamente alle altre enunciazioni riportate, mi domando perché economia di
mercato è introdotta nella parte della Costituzione riservata ai valori ? Perché
economia di mercato viene proposta quale un valore ? Non posso non pensare che
persino nell’area del testo costituzionale dedicata ai valori negoziazione contenda
righe a normazione. Non posso non pensare a questo non edificante compromesso se
leggo nella chiusa del medesimo art I 3 che «l’Unione promuove la coesione
economica, sociale, e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri». Questa chiusa
non si sottrae all’interpretazione secondo cui i referenti dell’articolo enunciante valori
sono gli Stati in primis, per la parte di valorizzazione dell’economia di mercato e i
cittadini, in subordine, per la parte relativa a protezione sociale. Un pasticcio.
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Scenario analogo si ritrova nel testo costituzionale passando ai diritti e di passata noto
che in contesto comunitario europeo l’area dei diritti è più decisiva dell’area dei
valori, mi riferisco al fatto che la Carta dei diritti del 2001, come ho già sopra
ricordato, avvia il percorso costituente opposto al percorso dei Trattati. Aggiungo
adesso che la Carta dei diritti varata nel 2001 è integralmente inserita in Costituzione
costituendone l’intera seconda parte (su quattro).
Scorro il lato positivo dei diritti enunciati e scorgo una formulazione completa e
precisa dei diritti di ultima generazione. Leggiamo l’art II – 63: «Ogni persona ha
diritto alla propria integrità fisica e psichica – Nell’ambito della medicina e della
biologia devono essere in particolare rispettati: il concorso libero e informato della
persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge; il divieto delle pratiche
eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone; il
divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro; il
divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani» - passo ancora all’articolo II
– 68: «ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la
riguardano. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità
determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento
legittimo previsto dalla legge. Ogni persona ha diritto di accedere ai dati raccolti che
la riguardano e di ottenere la rettifica» - passo infine all’art II – 83: «la parità tra
donne e uomini deve assicurare in tutti i campi, compreso in materia di occupazione,
di lavoro e di retribuzione. Il principio della parità non osta al mantenimento o
all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso
sottorappresentato». A fronte di simili enunciazioni io non posso che complimentarmi
con la Convenzione che ha stilato la Carta dei diritti e con la Convenzione che ha
redatto la Costituzione per avere inserito integralmente in Costituzione il meglio della
cultura dei diritti. Senza alcuno sforzo nelle enunciazioni che ho letto è facile
scorgere un aggiornamento rispetto all’area dei diritti rinvenibile nella nostra
Costituzione; vi trovo un esempio di revisione costituzionale precisante e allargante
per niente allineato alla voga dello stravolgere, voga purtroppo riscuotente successo
nel nostro presente.
L’enunciare diritti nuovi a fronte di bioetica e di informatizzazione della società è
ancor più apprezzabile se, come avviene nella Costituzione Europea, diritti di vecchia
generazione vengono rilanciati, penso al diritto alla libertà e alla sicurezza, al diritto
di libertà di pensiero, di coscienza e di religione o il diritto di asilo (con esplicito
rinvio alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 51 e al protocollo del 31 gennaio
1967). Dispiace però che nel Preambolo sia espresso un generico auspicio ad “un
futuro di pace” a fronte dell’art 11 della nostra Costituzione che recita: «l’Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo
di risoluzione delle controversie internazionali».
La radiografia dei diritti non appare consolante per altre enunciazioni.
Non posso non evidenziare, ad esempio, che traccia di liberismo forever si rinviene
allorquando nel Preambolo che per sua natura indica gli orientamenti generali facenti
cornice, nel Preambolo ripeto si legge: l’Unione «assicura la libera circolazione delle
persone, dei servizi, delle merci e dei capitali» Viene da chiedere: hanno forza di
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orientamento le enunciazioni inerenti alla nuda vita degli individui o invece la
classica rivendicazione della circolazione delle merci e dei capitali?
Procedo oltre lungo l’aperto versante non positivo. Leggiamo l’art II – 87: «ai
lavoratori o ai loro rappresentanti devono essere garantite, ai livelli appropriati,
l’informazione e la consultazione in tempo utile nei casi e alle condizioni previsti dal
diritto dell’Unione e dalle legislazioni e prassi nazionali». Se si presta attenzione a
questa enunciazione appare evidente come il riferimento al lavoro sia posto dal lato
delle condizioni di lavoro e non dal lato del rapporto individuo – lavoro, meglio dal
lato di vita individua e lavoro. In questo caso siamo distanti dalla riflessione più
avanzata relativa ai lavori nella transizione in atto. Siamo distanti dalla frontiera
lavoristica mi par di capire per concessione agli inglesi sempre preoccupati di non
avere intralci nel loro contesto sociale relativamente alle questioni occupazionali.
Faccio un ultimo esempio non positivo. Leggiamo un comma dell’art II – 74: «la
libertà di creare istituti di insegnamento nel rispetto dei principi democratici, così
come il diritto dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli
secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, sono rispettati
secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio». A fronte di tale
enunciazione sento di dover fare una doppia considerazione. Intanto il rinvio “alle
leggi nazionali” che disciplinano educazione ed istruzione (i termini sono posti
affianco l’uno all’altro come se non veicolassero cose diverse) appare sbilanciato
quasi che l’Unione abbidichi alle proprie direttive, e poi anche rinunciatario quasi che
l’Unione arretri rispetto all’istanza dall’Unione ricorrentemente espressa da Mastricht
in poi relativa a raccordo da ricercare tra architetture ed insegnamenti nelle scuole dei
paesi membri. E poi non posso non esprimere dissenso a fronte di una concezione del
diritto di intervento delle famiglie nella formazione intanto esteso sino alle pedagogie
adottate quasi che si voglia generalizzare l’ideazione degli istituti scolastici a progetto
rigido ed unico e poi una concezione del diritto di intervento delle famiglie nella
formazione tale da togliere ogni spazio di presenza attiva agli interessati, vale a dire
agli alunni.
Parlando di obiettivi, principi, valori, diritti abbiamo scorto luci ed ombre della
Costituzione Europea, manca ancora il riferimento essenziale alla forma di
democrazia che si vuole circoli e si affermi nella comunità europea. Occorre parlarne
perché la forma di democrazia scelta è il luogo in cui si addensano obiettivi, principi,
valori, diritti.
La costituzione circa forma di democrazia è chiara e netta, due enunciazioni secche
non ammettono dubbi. Vediamole
La prima enunciazione la leggiamo nell’art. I- 46 della prima parte: «Il
funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa. I cittadini sono
direttamente rappresentati, a livello dell’Unione, nel Parlamento europeo. Gli Stati
membri sono rappresentati nel Consiglio europeo dai rispettivi capi di Stato o di
governo e nel Consiglio dai rispettivi governi, a loro volta democraticamente
responsabili dinanzi ai loro parlamenti nazionali o dinanzi ai loro cittadini… I partiti
politici a livello europeo contribuiscono a formare una coscienza politica europea e
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ad esprimere la volontà dei cittadini dell’Unione». Il principio rappresentativo è
nettamente espresso e generalizzato, la democrazia europea è una democrazia
rappresentativa. E’ sicuramente un bene l’opzione per la democrazia rappresentativa
posto che la legittimità della democrazia è per questa via individuata presso i
cittadini, nel contempo è un probabile rischio perché mediante rappresentatività
passa o può passare la paralizzante negoziazione tra governi.
L’Unione del possibile rischio se ne mostra consapevole, lo dimostra nella seconda
enunciazione rinvenibile nell’art. I- 47: «le istituzioni danno ai cittadini e alle
associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la possibilità di far
conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori d’azione
dell’Unione. Le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con
le associazioni rappresentative e la società civile…». L’Unione si apre alla
democrazia partecipativa, dichiara di voler favorire e ricercare un dialogo diretto tra i
cittadini e le istituzioni europee. Ancor di più si dichiara favorevole ad estendere
l’intervento diretto dei cittadini sino alla iniziativa popolare formalizzata, si legge
infatti nell’ultimo comma dell’art I – 47: «cittadini dell’Unione, in un numero di
almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati
membri, possono prendere l’iniziativa d’invitare la Commissione, nell’ambito delle
sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali
tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione
della Costituzione. La legge europea determina le disposizioni relative alle procedure
e alle condizioni necessarie per la presentazione di una iniziativa dei cittadini, incluso
il numero minimo di Stati membri da cui devono provenire». Per me questa
amplissima apertura dell’U E è estremamente importante perché apre alla formazione
di uno spazio pubblico di confronto europeo, ad uno spazio di confronto politico,
istituzionale, economico, culturale che non ha per dimensione uguale oggi nel
mondo. Ritengo che partecipare alla formazione di tale spazio pubblico di confronto
europeo o in prima persona o attraverso reti culturali/professionali o di altra
definizione sia un che di opportuno e necessario. Opportuno per dare vitalità ad una
democrazia partecipativa a sua volta bilanciante e consolidante la democrazia
rappresentativa. Necessario in quanto al bivio in cui ci si trova abbiamo due opzioni
possibili da adottare: proseguire per negoziazioni e quindi rischiare prevedibili
arretramenti nella formazione di uno spazio politico sovranazionale, oppure
procedere per lo sviluppo e potenziamento del processo costituente, in tal caso al
processo costituente secondo Convenzione virtuosamente si potrebbe affiancare un
processo costituente dal basso; sono convinto che tale procedere costituente per linee
parallele possa condurre a soddisfacente consolidamento di uno spazio politico
sovranazionale quanto mai indispensabile nel tempo della globalizzazione.
Giunto a questo punto, in un primo momento, ho pensato fosse utile fare degli esempi
di temi che i cittadini europei possono dibattere in uno spazio politico europeo.
Avevo pensato di soffermarmi brevemente su tre questioni: la prima è la povertà
(utilizzando l’inchiesta di Luciano Monti ‘L’altra Europa. Diario di un viaggio nella
povertà’, Rubettino) che rappresenta il lato d’ombra rispetto ad enunciazioni
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altisonanti ricorrenti nei documenti dell’U E dagli anni novanta ad oggi, si pensi –
come ho sopra ricordato – al Preambolo della Costituzione Europea che indica l’UE
quale ‘spazio privilegiato della speranza umana’; la seconda è la questione del lavoro
attorno alla quale L’U E ha mostrato ricorrente interesse dal rapporto Supiot alla
direttiva Bolkestein, documenti questi da affiancare agli articoli II – 87 e II – 90 della
Costituzione, il primo non soddisfacente ed il secondo indubbiamente apprezzabile;
la terza è la questione della formazione, enunciare il punto di vista dell’U E sulla
formazione dalla Dichiarazione di Lisbona del marzo 2000 (ivi leggiamo: «l’Unione
si è prefissata un nuovo obiettivo strategico per il nuovo decennio: diventare
l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo. In grado
di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e
una maggiore coesione sociale») in avanti (e dunque utilizzando la buona sintesi
rinvenibile in Annarita Bini, ‘Ponti attraverso l’Europa. I progetti educativi
comunitari come scuola di cittadinanza, Tabula fati, Chieti).
Avevo pensato di dedicare spazio a queste questioni, poi però è prevalsa presso di me
un’altra opzione: ho ritenuto fosse più efficace introdurre tre passaggi veloci
introducenti ciascuno ad altri aspetti da approfondire, altrettanto dirimenti per i
cittadini europei.
Il primo passaggio veloce è il seguente: è indispensabile manifestare interesse per
l’UE, è necessario mostrare esser convinti della necessità di un organismo politico
sovranazionale europeo trattandosi di una scelta sollecitata dal tempo presente.
Voglio dire che nel presente abbiamo da esplicitare un’opzione, cui non ci si può
sottrarre: preferiamo uno spazio politico sovranazionale europeo, vale a dire l’UE,
che ha legittimità, almeno in parte, presso i cittadini europei, oppure ci attrae di più
un organismo sovranazionale quale il W T O (l’Organizzazione mondiale del
commercio è operativa dal 1995) che è composto dai rappresentanti dei governi dei
paesi membri dell’organizzazione ? Nella misura in cui, quale segno della transizione
in corso, il livello nazionale si contrae ed il livello sovranazionale appare
imprescindibile, è per noi più coinvolgente la dimensione Trattati – negoziazione,
oppure la dimensione Convenzione – processo costituente ? In gioco vi è
l’organizzazione di uno spazio di confronto europeo, impossibile nel primo caso, a
portata di mano nel secondo.
Il secondo passaggio veloce attiene ad Europa – globalizzazione. L’U E nella
Dichiarazione di Laeken del dicembre 2001 asserisce: «al di fuori delle proprie
frontiere, l’Unione Europea è confrontata ad un mondo in rapida mutazione e
globalizzato. Dopo la caduta del muro di Berlino si è pensato per un momento che
saremmo vissuti per lungo tempo in un ordine mondiale stabile e libero da conflitti. I
diritti dell’uomo ne avrebbero costituito il fondamento. Solo pochi anni dopo tale
certezza è tuttavia venuta meno. L’11 settembre ci ha aperto brutalmente gli occhi, le
forze antagoniste non sono scomparse. Il fanatismo religioso, il nazionalismo etnico,
il razzismo, il terrorismo guadagnano terreno. I conflitti regionali, la povertà e il
sottosviluppo continuano a costituire il terreno fertile per il loro propagarsi» - poco
dopo prosegue: «ora che la guerra fredda si è conclusa e viviamo in un pianeta
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globalizzato ma al contempo totalmente frammentato, l’Europa deve assumere le
proprie responsabilità nella gestione della globalizzazione. Il ruolo che essa deve
svolgere è quello di una potenza che si scaglia risolutamente contro qualsiasi forma di
violenza, di terrorismo, di fanatismo, senza chiudere gli occhi di fronte alle
ingiustizie stridenti ovunque nel mondo. Una potenza, insomma, che intende
modificare i rapporti nel mondo in modo tale che non solo i paesi ricchi, bensì anche
quelli poveri possano trarne beneficio. Una potenza che vuole iscrivere la
mondializzazione entro un quadro etico, in altri termini, calarla in un contesto di
solidarietà e di sviluppo sostenibile». Ho lasciato esprimersi direttamente l’U E
perché in quanto dichiara si rinviene la consapevolezza di essere parte di un mondo
globalizzato, perché in quest’ultimo asserisce di voler svolgere un preciso ruolo
equilibratore e più ancora esplicita una visione solidale non esasperatamente
competitiva della globalizzazione, perché traccia una soglia etica densa senz’altro
utile nel definire, in un mondo globalizzato, e identità e cittadinanza sovranazionale.
Il terzo ed ultimo passaggio veloce attiene ad istituzioni europee. La mia riflessione
ha virato verso i temi di un confronto tra cittadini europei e sin qui ne ho indicati
alcuni aventi indubbia rilevanza, tra essi non ho indicato quelli relativi ad equilibri tra
le istituzioni europee, pur essi altrettanto rilevanti. Non li trascuro o dimentico, né
esplicito verso di essi disinteresse anzi sono consapevole che la risoluzione di
problemi di bilanciamento tra istituzioni europee è parte del futuro dell’UE. In breve
mi riferisco al ruolo effettivo che potrà svolgere il previsto presidente del Consiglio
Europeo, ai rapporti tra il presidente del Consiglio Europeo ed il presidente della
Commissione Europea o tra il presidente del Consiglio Europeo ed il Parlamento
Europeo; mi riferisco ancora al ruolo di raccordo che potrebbe svolgere il ministro
degli esteri europeo tra Commissione e Consiglio Europeo essendo membro di
entrambe le istituzioni; mi riferisco infine al potere legiferante del Parlamento
europeo persistendo la facoltà di legiferare condivisa con il Consiglio dell’Unione
Europea. Sono tutti problemi di equilibratura istituzionale niente affatto di poco conto
e verso ciascuno di essi ogni cittadino europeo non può non essere vivamente
interessato.
Come si scorge facilmente i temi su cui organizzare e dispiegare uno spazio di
confronto europeo sono molti, resta da chiedersi se saremo capaci di condurla una
così serrata interlocuzione. Io lo spero.
Prato 22 – ottobre – 2005
NB resto disponibile per indicazioni bibliografiche
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