UN MONASTERO INVISIBILE una rete di preghiera nel segreto del mondo UN’ORA SOLA Sussidio di preghiera della Famiglia del Murialdo: Giovani, Amici, Collaboratori, Ex-Allievi, AMA., CLdM, Ist. Secular “São Murialdo”, Murialdine, Giuseppini. aprile 2001, n.60 In preparazione alla prossima festa di Pasqua ti proponiamo una lettura tratta dal breve e simpatico libretto di G.Casoli, Il dolore è amore, Città Nuova, lit.4.500. Sulla croce Gesù ci svela il senso della nostra vita: svuotarci per amore. Percorriamo insieme questo itinerario guidati dalla vita dei santi, che hanno scoperto il segreto della gioia. Ti invitiamo, prima di leggere il brano qui riportato a meditare – leggendolo lentamente – il racconto della passione di Luca, che ascolterai la domenica delle Palme, e che sottolinea la dignità e mitezza di Cristo, esempio perfetto del giusto che soffre senza colpa: Luca, dal c.22,14 al c.23,56. ENTRA NELLA PREGHIERA I SANTI E IL DOLORE La santità è più grande dell'universale esperienza umana: incomincia quando l'esperienza della sofferenza e l'esperienza dell'amore si innestano reciprocamente, per grazia di Dio. Generano così la carità, che non viene dall'uomo ma discende nell'uomo da Dio. Allora si comincia a saper soffrire; allora, come dice la grande mistica santa Gemma Galgani, «il soffrire insegna ad amare». I santi hanno scoperto il segreto del rapporto tra dolore e amore; rapporto misterioso, non del tutte esprimibile in parole, ma a cui certe parole di bellezza misteriosa e profonda, come queste di Chiara Lubich, possono efficacemente introdurre: «condizione di quell'unica gioia, che può nascere in un cuore che segue Cristo, è il dolore», perché «solo nell'estrema povertà dell'anima, che si perde per amore, Iddio fa il suo ingresso trionfale con la pienezza del gaudio». Il dolore, elevato sulla croce, purifica, semplifica non lascia scorie all'amore. Ecco perché un grande esperto del dolore abbracciato «in croce», san Luigi Maria Grignion da Montfort, afferma tranquillamente: «le più grandi grazie e favori celesti ( ... ) sono le croci»; e «Maria madre dei viventi dà ai suoi figli pezzi dell'Albero della vita, ossia della Croce di Gesù». L’«albero della vita» della Genesi e l'«albero del Golgotha» dei Vangeli coincidono nella ri-creazione dell'uomo. La condizione «rinnegare se stessi», fino a ridursi spiritualmente a nulla, è indispensabile e irrinunciabile perché è la chiave della libertà e perciò della gioia. Esigentissima e terribile se la si considera dal punto di vista dell'egoismo, è in realtà la porta aperta sul Regno dei cieli, perché vi passano i poveri in spirito, quelli che hanno veramente un cuore povero e sono divenuti «come bambini» (cf. Lc 18, 17). Altrimenti, ogni residuo attaccamento terreno -anche spirituale! - può essere fatale. San Giovanni della Croce, che è davvero maestro (non per caso dottore della Chiesa) di distacco da ogni piacere, ammonisce con fermezza a non diventare spiritualmente nemici della croce di Cristo perché manca il coraggio di cercare fino in fondo la «nudità di spirito». Si passa a volte gran parte della vita, se non tutta, dopo essersi liberati magari dagli attaccamenti più gravi, senza riuscire a troncare i legami più leggeri, ma ugualmente dannosi perché hanno preso il posto Dio. In Gesù stesso il dolore diventa assolutamente efficace (diventa, cioè, Salvezza universale) solo sulla croce, come intuì profondamente s.Caterina da Siena: «O beata e dolce Maria, tu ci hai donato il fiore del dolce Gesù! E quando produsse il frutto questo dolce fiore? Quando fu innestato in sul legno della santissima croce, però che allora ricevemmo vita perfetta». Un essere umano è un mistero o una noia. Se decide di rinchiudersi nella dimensione naturale dei suoi limiti e della sua debolezza egocentrica, non può essere presto o tardi (esaurito lo slancio della giovinezza), per sé e per gli altri, che una disperata noia o un'indifferente monotonia. Un uomo diventa un inesauribile, fecondo mistero, per sé e per gli altri, se si apre al mistero che è sopra di lui e dentro di lui con l'accettazione umile della propria croce: «prenda la sua croce ... ». Solo se un uomo «prende» la sua croce, smettendo, come prima accadeva nel migliore dei casi, di lasciarsi vivere a carico della Croce, diventa seguace, discepolo, amico, di Gesù Salvatore Crocifisso; speri menta su di sé il mistero che gli dà la vita. Perché, dice il Salmo 4, 2: «Nella tribolazione mi hai dilatato»; poiché il dolore abbracciato per amore apre nell'anima spazi prima sconosciuti perché inesistenti, ed è «una grazia che non abbiamo meritato», dice Léon Bloy facendo eco, forse inconsapevolmente, a un padre del deserto, Marco l'Asceta, che nel V secolo afferma: «Nei dolori che non abbiamo cercato sta la misericordia di Dio». In quel tesoro di spiritualità dall'impressionante concretezza, che è la Lettera agli amici della croce, Grignion da Montfort ha parole insuperabili sul prendere la croce, la propria croce; e le accompagna con questa strofetta popolare, tutt'altro che accomodante, e sapientissima: «Una di tra le croci del Calvario - tu devi scegliere sapientemente; - soffrire, o come santo o penitente - o reprobo infelice, è necessario.» La scelta non è tra soffrire e non soffrire, perché la vita stessa è sempre anche sofferenza, è croce; ma tra una sofferenza amante (Gesù), una sofferenza che espia (il ladrone), una sofferenza che odia (l'altro ladrone). Si sceglie unicamente fra tre crocifissioni. Chi tenta di sfuggire in ogni modo la croce, cercando di godersi turisticamente l'esistenza, appesantisce le croci degli altri e prepara pesantissima la propria. Perciò i santi hanno sempre guardato affascinati alla Croce: s.Ignazio di Antiochia, in viaggio verso il martirio romano, scriveva all'inizio del Il secolo «Sono frumento di Dio e devo essere macinato da denti delle fiere per diventare pane di Cristo. Il momento in cui sarò partorito è imminente, giunto là [in Paradiso] sarò veramente un uomo». La croce-vita, invece che morte, anzi, la croce-parto, nascita. Dies natalis, giorno della nascita, era, chiamato l'ultimo giorno terreno dei martiri. Non è un paradosso per un cristiano vero; lo è per uno pseudo-cristianesimo «borghese» che vorrebbe raggiungere il Paradiso in pantofole. Ed è mirando a questo, al primo e più grande e comprensivo di tutti, dolore dei dolori e patria di tutte le sofferenze, che il cristiano impara a dilatare la propria sofferenza sulla misura di tutti i dolori della terra, a cominciare da quello unico, redentivo, di Cristo sulla croce; e così impara a conoscere, conoscendo Cristo, se stesso, i propri reali limiti: «Chi cerca Cristo Signore - dice un Padre del deserto - fissando incessantemente la croce, supera tutti gli ostacoli che gli si oppongono, finché non abbia raggiunto il crocifisso»; e lo raggiunge perché in tal modo supera l'ostacolo principale, la non-conoscenza di se stesso: «In dolcezza e conforto non ti conosci, cristiano! - dice nel XVII secolo il grande mistico Angelus Silesius -. Solo la croce svela chi tu sia nel profondo». Nel nostro tempo una grande, singolare figura di sofferente eroica e luminosa ha rivelato, a livelli inconcepibili di dolore, altezze impensabili di carità e di - si deve proprio scriverlo - gioia. Benedetta Bianchi Porro (1936-1964), studentessa di medicina, diagnosticò a se stessa la malattia che i medici non individuavano, il terribile morbo di Recklingshausen, la neurofibromatosi diffusa. Perse dapprima l'udito, poi l'olfatto, il gusto, la vista e quasi completamente il tatto. Le restava, paralizzata nel suo letto, murata viva nel suo corpo spento, il tatto di una mano, attraverso la quale comunicò in alfabeto muto con il mondo, a lei remoto, negli ultimi undici mesi della sua vita. E cosa comunicò? «lo credo nell'Amore disceso dal cielo, a Gesù Cristo e alla Sua Croce gloriosa. Sì, io credo all'amore!». «Credo ogni volta di non farcela più; ma il Signore che fa grandi cose, mi sostiene pietoso, e io mi trovo sempre ritta ai piedi della croce». Veramente «Dio modella a gran colpi di martello - come scrive Pavel Evdokimov - coloro che ama, perché essi riproducano lentamente il suo volto misterioso». E più filosoficamente, ma con altrettanta radicalità, il persiano Rúmi (musulmano del XII secolo): «E’ nelle abitudini di Dio creare dal nulla. Pertanto, se l'uomo non si fa nulla, con lui Dio nulla può fare». Il dolore, che non deve essere tristezza e perdita ma può essere altissimo e lieto guadagno, è vera chiave di lettura della vita. Dice Simone Weil: «Quelli che hanno il privilegio immenso di partecipare con tutto i loro essere alla croce del Cristo, traversano la porta, passano dal lato dove si trovano i segreti stessi di Dio». Ma occorre procedere con determinazione, con Charles de Foucauld: «Più tutto manca sulla terra, più troviamo ciò che la terra può darci di migliore: la croce». Santa Teresa di Lisieux, «la più grande santa dei tempi moderni» (Pio XI), con grande finezza femminile e profondità spirituale «scende» negli abissi della Croce scoprendovi la propria personale vocazione: «La vera croce è il martirio del cuore, l'infinita sofferenza dell'anima». «L’amore mi ha scelta per l'olocausto: me, debole e imperfetta creatura... Sì, perché l'Amore sia pienamente soddisfatto, occorre che Egli si abbassi, che si abbassi fino al nulla e lo trasformi in fuoco». «Vivere d'amore non è fissare quaggiù la tenda sulla cima del Tabor, ma salire al Calvario stretti a Gesù, e guardare la croce come un tesoro! Vivrò un giorno in cielo nella gioia... Qui nel dolore; finché la vita continua voglio vivere d'Amore! ». E’ la scelta del povero per una povertà più grande (che è la ricchezza del Vangelo): «Dove trovare il "povero di spirito"? - dice Teresa -. Bisogna trovarlo tra le anime grandi, ma molto "lontano", cioè nella bassezza, nel nulla». E’ la povertà, cioè il dolore interamente amato, consumato in amore, che genera l'«uomo nuovo», in se stessi e negli altri: «Io vedo che soltanto la sofferenza può generare anime». Questa povertà-che-ama, ci ha spiegato con sovrana intelligenza spirituale la grande Caterina da Siena, è quella che non scenderebbe dalla croce anche se lo potesse, perché così ha veramente scelto di vivere il dolore, il Crocifisso: l'amore «fu quello legame forte, che tenne [Cristo] confitto e chiavellato in croce». E allora possiamo anche dire che accettando per amore quell'ultimo posto sulla terra, che è la Croce, il Cristo ci ha reso possibile la vera, certamente non simulata umiltà, quella che accetta come dono del Padre la Croce stessa; quella che si lascia «cullare» dalla Croce. PREGHIAMO IN UNITÀ - “E molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi”(Mc. 10,31). Maria insegnaci a riconoscere, con umiltà, che è lui che opera grandi cose … Il suo amore scompiglia ogni logica umana, conosce il nostro cuore e ci guarda con occhi diversi, riaccende la speranza per tutti, risolleva, libera, ridona vita nuova. - Domenica 8 aprile: Giornata della Gioventù. Preghiamo perché i giovani si lascino “sedurre” da Te, o Cristo. Tu parli chiaro e non illudi che schierarsi con te ci risolva i problemi del vivere, o risparmi sofferenze, ostacoli, persecuzioni, Tu solo hai parole di vita per ognuno , parole su cui fondare il futuro. - Allora il creato ha ripreso a sperare. Ogni uomo è tornato a gioire, ora il Signore della Vita è con noi. Maria, aiutaci a contemplare la realtà del Cristo Risorto; la speranza vera dilaghi in noi e ci rinnovi continuamente. - Preghiamo per tutti i giovani che il Signore chiama a donare interamente la loro vita a servizio del Vangelo e dei fratelli: li trovi generosi e pronti a rischiare di perdere tutto se stessi per incontrare in Lui una gioia sconfinata. - La formazione armoniosa di bambini, ragazzi, giovani , in qualche modo, è un impegno che riguarda tutti, anche senza essere genitori o insegnanti: per questo Ti preghiamo, o Padre , aiutaci ad essere adulti capaci di testimonianza, di fermezza, di rispetto, di serenità e di fiducia verso di loro. - “Pace è dialogo tra le culture. Dialogare sempre; dialogare con tutti…” (Giovanni Paolo II). Signore, donaci cuori nuovi, cuori fraterni, che si aprano realmente al dialogo e dove la pace possa dimorare. Perché ovunque ci sia pace, Ti preghiamo. - Chiediamo un ricordo nella preghiera per Michele Ricci, papà della signora Anna Cocco, che era il punto di riferimento per la distribuzione del “Monastero”, a Torino, ed è morto nei giorni di Natale. Preghiamo anche per Massimo, reso invalido da una malattia grave, che l’ha costretto a lasciare il lavoro. Ha moglie e due figli in tenera età; per Gilberto, per Stefano e Corrado che in questo momento hanno particolarmente bisogno. SALMO 131(130) Signore, non s’inorgoglisce il mio cuore Signore, non si inorgoglisce il mio cuore – e non si leva con superbia il mio sguardo; – non vado in cerca di cose grandi, – superiori alle mie forze. – io sono tranquillo e sereno – come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, – come un bimbo svezzato è l’anima mia. – Speri Israele nel Signore, – ora e sempre. Se vuoi scriverci, anche per dirci che cosa ti piace o cosa non va: Monastero invisibile – Sc.Apost.s.Giuseppe – via Sombreno 2 – 24030 Valbrembo (BG) Ti leggeremo sempre volentieri!