Diocesi di Gubbio n° 5 - Ottobre 2007 Bollettino telematico del GRIS (Gruppo di Ricerca e Informazione Socio-religiosa) a cura del diacono Vincenzo Rossi, Parrocchia S. Cristina; per eventuali contatti: e-mail: chiaraefrancesco@hotmail. it tel. 3381534184 Apriamo questo notiziario con la finestra di mons. Ravasi seguendo così l’esempio di un altro più autorevole e ben noto quotidiano cattolico “AVVENIRE”. IL ROSPO NEL POZZO di mons. Gianfranco Ravasi Un rospo che vive in fondo a un pozzo giudica la vastità del cielo sulla base del bordo del pozzo. Leggo che questo è un proverbio mongolo, legato quindi a una cultura remota rispetto alla nostra, eppure testimone di una verità che tutti ci accomuna. Quel rospo che è laggiù nel fondo melmoso di un pozzo immagina il cielo solo coi contorni del bordo che da quel punto di vista riesce a intuire. È una lezione costante: per molte persone il loro angolo di visuale è l'unica possibilità di interpretare tutta la realtà. Nasce, così, una particolare ostinazione che si trasforma in supponenza: si diventa convinti che solo quella è la verità, opponendosi a ogni altra prospettiva. È per questo che la grettezza e la chiusura mentale diventano pericolose. Forse affermano un aspetto genuino della realtà ma ignorano che esso è parziale e che deve confrontarsi con altri punti di vista. Ma chi è così isolato nella sua autosufficienza non vuole uscire dal suo guscio, anzi, teme l'ampiezza degli orizzonti, come è attestato da coloro che ai nostri giorni hanno paura di tutto ciò che è diverso sia a livello etnico o sociale sia a livello religioso o culturale. Essi sono incapaci di dialogare con l'altro perché sospettano di perdere la loro fragile identità fatta di quel piccolo e quieto orizzonte, e non solo perché rigettano sempre e comunque chi è differente da loro. Ecco, allora, la necessità di non relegarsi in un pozzo e di non ridurre il cielo della verità a quel modesto cerchio che sta sopra la nostra testa. L'anima umana è come il vento che passa sopra le frontiere e corre verso i cieli, nella rincorsa dell'infinito. Lo scorso anno, 2006, il17-18 giugno, si è tenuto al “Beniamino Ubaldi” il convegno organizzato dalla CEU, dalla Diocesi di Gubbio e dal GRIS sul tema: “ La metamorfosi del sacro nella società post-moderna. Strumenti e modalità di comunicazione”. Per me sembravano paroloni così difficili e complessi, fuori dal mio linguaggio quotidiano. Eppure ascoltando i vari relatori, grazie anche alla loro competenza, questa sensazione si è dileguata 1 mostrandomi con chiarezza e semplicità con quale veste si presentano di volta in volta gli inganni del relativismo nello scenario di questo mondo che ogni giorno sempre di più cambia e si trasforma. Nella nostra Assemblea Diocesana abbiamo riflettuto e dibattuto sul come annunciare il Vangelo in un mondo che cambia, su come si presentano le nostre parrocchie oggi, sulle diverse realtà presenti nel territorio e sulle difficoltà che incontriamo nella missione. Tra le varie domande del relatore don Valentino Bulgarelli, ce n’erano due che ci chiedevano un discernimento ad intra ed ad extra. A questo proposito credo che il Convegno tenutosi a Gubbio, volendo, sia un utile contributo per tutti, specialmente per chi, come me, non riesce a causa di molti impegni pastorali e familiari a tenersi costantemente al passo con le continue trasformazioni della nostra società. Riflessioni introduttive di S. E. Mons. Giuseppe Chiaretti, Presidente della Conferenza Episcopale Umbra Impegni concomitanti con l’apertura del GRIS mi impediscono di essere presente di persona per portare ai convegnisti e ai relatori il saluto della Conferenza Episcopale Umbra, che soffre per la sua parte “metamorfosi” e “derive” del sacro che non possono non inquietarci. Penso alla fede religiosa cristiana ridotta a religione civile con suoi riti e le sue venerazioni; penso al proliferare di sette e di movimenti alternativi (una settantina ne contava in Umbria la compianta prof.ssa Cecilia Gatto Trocchi), che trovano il loro preteso referente nella figura di san Francesco, la quale ne risulta abbastanza deformata; penso alle liturgie esoteriche e addirittura satanistiche...; e penso soprattutto all’indifferenza dei cristiani cattolici che non hanno coscienza di questo degrado carico di ambiguità e di rischi. Per pudore non parlo della sovrana ignoranza sia degli acculturati che dei politici. Occorre molto lavoro di informazione corretta e puntuale, e un radicamento non emotivo nella fede. Un convegno come quello proposto è perciò opportuno e di fondamentale importanza per il servizio di conoscenza e di discernimento. Ne ringrazio organizzatori e relatori, ed auguro ogni miglior successo. Le derive del sacro, l’esoterismo, lo gnosticismo nella letteratura relatore MARCO FASOL( Docente al Liceo Classico Alle Stimmate di Verona) Il Sacro, un’esigenza insopprimibile Santa Edith Stein, patrona d’Europa, racconta che nella sua prima giovinezza aveva creduto, con il suo orgoglio adolescenziale di studentessa razionalista, di sopprimere o di mettere tra parentesi la domanda sul Sacro, quasi che questa fosse un residuo di un passato superstizioso e fanatico. Aveva quasi vergogna di dirsi religiosa e credente, perché le sembrava che la fede fosse in contrasto con la mentalità razionalista e scientista che vedeva insegnata e inculcata nella scuola. Una vera filosofa, pensava lei, una vera scienziata e fenomenologa, deve lasciarsi alle spalle le tradizioni religiose che sono di ostacolo ad un sapere scientifico ed adulto. Poi, all’Università, Edith Stein ha potuto ascoltare le lezioni di Max Scheler, affascinante e geniale docente di fenomenologia. Le lezioni del Nietzsche cattolico — come era stato definito Scheler — hanno aperto orizzonti nuovi alla giovane studentessa imbevuta di pregiudizi riduzionisti. 2 Max Scheler, infatti, il filosofo tanto studiato ed ammirato da Giovanni Paolo II, aveva scritto che non era possibile sopprimere la domanda di “Sacro” dalla coscienza umana. Perché la nostra coscienza è strutturalmente sensibile ai valori e questi valori le si presentano in una gerarchia che si estende dai valori sensibili (il piacevole e io spiacevole...), a quelli vitali (benessere o malessere...), a quelli psichici e spirituali (il bello, il vero, il giusto...), infine a quelli del Sacro, che riguardano il senso ultimo della nostra vita, il significato di tutto quello che facciamo, il vertice supremo del nostro amore. Come l’uomo non può fare a meno di provare piacevole o spiacevole un sapore o un profumo, così non può fare a meno di ammirare il bello e il bene e non può fare a meno di conferire un senso ultimo a tutto quello che fa. Proprio questo senso ultimo è il Sacro senza del quale nessun essere umano può vivere. L’uomo, diceva Scheler, è naturalmente e sempre un “ens amans” e il suo valore è dato dalla misura del suo amore. Questo amore ha due componenti, che Scheler ha individuato nella tradizione classica di eros ed agape. L’eros indica l’affettività umana naturale, possessiva, che tende al dominio del bene desiderato e posseduto, dominio ben definito dai greci, in particolare da Platone (nel Simposio). L’agape invece costituisce la dimensione dell’amore donativo, discensivo, capace di chinarsi sul più debole e sul più piccolo per innalzarlo ed arricchirlo con la donazione di sé. L’amore agapico è la grande innovazione apportata dal cristianesimo. Ciascuno di noi definisce giorno dopo giorno la sua personalità morale conferendo liberamente a queste due componenti dell’amore umano un peso diverso. E proprio da questo conferimento di importanza all’eros ed all’agape che nasce e si sviluppa la nostra personalità morale. Ora questo amore umano raggiunge la sua meta, il suo compimento, proprio nella dimensione del Sacro, cioè nell’incontro e nella donazione all’Altro, che diventa “maiuscolo” o Sacro proprio in quanto rappresenta lo scopo ultimo della nostra vita. Quindi, prosegue Scheler, non è possibile che l’uomo sopprima il Sacro dalla propria vita, perché sarebbe come sopprimere il proprio amore, il proprio scopo ultimo, il significato del proprio vivere. Ciascuno di noi, lo voglia o no, lo sappia o no, ha il suo Dio, il suo Sacro, che è il Valore supremo per cui vive. San Paolo stesso ci parla di coloro che “hanno il loro ventre come Dio”. Certamente i crapuloni ed edonisti contemporanei di Paolo non pensavano di trovarsi rivestiti di questa categoria teologica. Eppure, pur senza saperlo, avevano anch’essi una dimensione “sacra”, in quanto adoravano il piacere edonistico. Anche chi si dichiara “ateo”, ha in realtà il suo Dio, che sarà di volta in volta, a seconda dei casi, la passione politica, o il sapere scientifico, o il denaro, il potere, il piacere, il successo, ecc. Anche nel nostro linguaggio ordinario diciamo che per noi, ad esempio, la famiglia “è sacra”, ed intendiamo che si tratta di un valore per noi insopprimibile, irrinunciabile, che conferisce un senso alla nostra vita. Edith Stein aveva interiorizzato così bene questa lezione scheleriana da scrivere: “chiunque cerca la verità, cerca Dio, lo sappia o no”. Ed alla luce della spiegazione scheleriana ha reinterpretato i suoi anni giovanili di scetticismo religioso come una forma silenziosa di preghiera: “in quegli anni giovanili di ricerca, il mio studio era la mia preghiera”. Per questo Scheler elaborava una nuova definizione dell’essere umano. L’uomo, secondo lui, non si può più definire un animale razionale, come aveva detto Aristotele, né homo faber, o homo oeconomicus, bensì come “l’essere che cerca Dio”. Perché ciò che ci qualifica come uomini è il conferimento di un senso ultimo alla nostra vita e questo senso ultimo è per ciascuno di noi il “sacro”. Non si può essere uomini senza essere ricercatori di Dio, del Sacro, del valore supremo che riempie di significato la nostra esistenza. Ed allora, concludeva Scheler, il compito del cristiano nel mondo non consiste tanto nel dimostrare che esiste il Sacro, quanto nel frantumare gli idoli, cioè nei frantumare tutte quelle deformazioni di Dio, del Sacro, che imbrattano ed infangano il vero volto di Dio. Perché quando nostro Padre viene cancellato dal cielo, la terra si riempie di idoli. 3 I criteri oggettivi sulle fonti storiche In base ai criteri oggettivi o “laici” delle scienze storiche il popolo cristiano deve anzitutto venire a conoscenza dell’immensa mole dei codici che ci hanno trasmesso i Vangeli lungo i secoli. Dobbiamo sapere infatti che prima dell’invenzione della stampa (1430 circa), tutti i testi venivano trasmessi attraverso gli amanuensi, che copia vano a mano gli scritti, su papiro o pergamene. Tutti i testi dell’antichità ci sono pervenuti grazie a questo lavoro silenzioso e preziosissimo di migliaia di copisti che hanno speso anni ed anni della loro vita per trasmetterci il patrimonio più prezioso. Ora un testo è documentato solidamente in base al numero di manoscritti che ci sono pervenuti. Si pensi che per Orazio, che è l’autore classico con il maggior numero di manoscritti, abbiamo circa 250 codici, cioè 250 copie manoscritte, conservate nelle più importanti Biblioteche del mondo. Virgilio ha 110 codici, Platone ne ha solo 11, Tacito uno soltanto. E per il Nuovo Testamento? Per il Nuovo Testamento abbiamo ben 5300 manoscritti! Sarebbe una “notizia bomba” in gergo giornalistico. Eppure quasi nessuno la sa! Si devono consultare i testi degli studiosi³ e così il popolo cristiano rimane ignaro ed all’oscuro proprio riguardo alla documentazione scientifica dei testi sacri. Alcuni di questi manoscritti sono antichissimi, come il Papiro 7 Q 5, trovato nella grotta settima di Qumram, o come il Papiro Rylands ed il Papiro Bodmer II che descrivo nel seguente Excursus I. Excursus I. Le scoperte più recenti Il papiro 7Q5 Le ricerche filologiche degli ultimi anni hanno convinto numerosi scienziati che il frammento più antico in assoluto sia il Papiro P 7 Q 5, scoperto a Qumram e studiato da O’ Callaghan dal 1972 in poi. Contiene solo 11 lettere alfabetiche complete ed altre 8 parziali, disposte su 5 righe. Dallo studio di tutte le combinazioni possibili (mediante una ricerca computerizzata su tutte le combinazioni della letteratura greca) risulta che l’unica compatibile è quella di Mc 6, 52-53. La datazione di questo papiro risale al 50 d.C. , in base allo stile paleografico (ornato erodiano), la cui fine viene collocata nel 50 d.C. In ogni caso tutti i manoscritti di Qumram non possono essere posteriori al 68 d.C. , anno in cui la comunità essena venne massacrata dalla legione romana Fretensis, per cui le grotte con i testi vennero sigillate per evitare la distruzione dei codici. La decifrazione proposta da O’ Callaghan è comunque controversa. Papiro Rylands, P 52 Uno dei più antichi documenti manoscritti dei Vangeli, conservato nella John Rylands Library di Manchester. Risale al 125 d.C. Fu ritrovato in Egitto e venne datato in base a criteri paleografici nel 1950 daI prof. Roberts. La datazione venne ulteriormente con fèrmata dai maggiori filologi successivi. Quindi il Vangelo di Giovanni non poteva essere scritto, come dicevano alcuni studiosi, nel 150 o addirittura neI 200 d.C. Si deve anzi supporre che sia stato scritto tra il 90 e il 100, perché per arrivare da Efeso (in cui fu scritto l’originale) all’Egitto si calcola che dovette intercorrere circa una generazione. Il papiro è alto 9 cm e largo 6, contiene 114 lettere greche; è un frammento di un foglio le cui misure erano cm 21 x 20. Papiro Bodmer II, P 66 Il Papiro Bodmer, proveniente dalla Biblioteca Bodmer di Cologny presso Ginevra, venne pubblicato dal prof. Victor Martin dell’Università di Ginevra nel 1956. Contiene quasi per intero il vangelo di Giovanni. La pubblicazione suscitò grande scalpore tra gli studiosi; il papiro risale infatti a non oltre la metà del secondo secolo (circa 150 d.C ). E’ stato datato dal prof. H. Hunger di Vienna nel 1960. Le 104 pagine conservate intere hanno una forma pressoché quadrata (cm 11x14). 4 I criteri di autenticità storica Questi e gli altri 5.300 manoscritti sono conservati in tutte le più importanti Biblioteche del mondo, dal Monastero di Santa Caterina del Sinai, al Monte Athos, ad Atene, a Roma, a Parigi, Londra, San Pietroburgo, Firenze... E, incredibile a dirsi, tutti i manoscritti sono straordinariamente concordanti. Si pensi che il testo del Nuovo Testamento (comprendente 27 libri) è stato suddiviso in circa 7.900 versetti. Di questi versetti, ben 5.000 sono perfettamente identici in tutti e 5.300 i codici manoscritti! E per gli altri 2.900 le varianti sono legate ad errori di trascrizione, a dimenticanze di scarso rilievo. Quindi questa concordanza straordinaria di tutti i manoscritti è una prova importantissima del fatto che il testo che noi leggiamo oggi è veramente quello che è uscito dalle mani degli autori originari. Non ha senso ipotizzare che alcuni amanuensi abbiano aggiunto o inventato qualcosa, perché sarebbero stati smentiti da tutti gli altri amanuensi sparpagliati in tutta Europa, nord Africa, Asia. Ed ora facciamo un confronto con i manoscritti dei vangeli apocrifi, in particolare dei vangeli gnostici di Nag Hammadi, tanto celebrati da Dan Brown. Si pensi che i vangeli gnostici di Nag Hammadi hanno per lo più solo un codice, spesso frammentario ed incompleto! Evidentemente erano testi isolati, tardivi, di uso circoscritto, con un sottofondo linguistico assolutamente incompatibile con la Palestina del primo secolo. Gli storici definiscono anche altri criteri di autenticità delle fonti storiche: la molteplice attestazione, il racconto di testimoni oculari degli eventi, la compatibilità con il contesto culturale dell’epoca, la coerenza narrativa e consequenziale dei fatti. E’ alla luce di tutti questi criteri scientifici che i quattro vangeli canonici vengono considerati fonti autentiche, attendibili, mentre i vangeli gnostici vengono esclusi come fonti non attendibili in quanto si tratta di testi tardivi, isolati, privi di coerenza narrativa, estranei al contesto linguistico e culturale della Palestina del primo secolo. Si pensi ad esempio che i vangeli gnostici usano termini astratti e filosofici come “emanazione, pleroma, sizigie, arconte...” assolutamente estranei alla lingua ebraica ed aramaica, che è una lingua concreta. Al contrario i vangeli canonici hanno un chiaro sottofondo linguistico semitico. Joachim Jeremias, uno dei massimi studiosi di lingue semitiche, ha contato nei vangeli canonici almeno 26 parole aramaiche ed ha individuato numerose strutture sintattiche tipiche dell’aramaico, Un’ennesima prova che i vangeli canonici sono stati scritti da testimoni oculari della vita di Gesù, da testimoni di madre lingua semitica. Il corpo dei Vangeli canonici è greco, ma l’anima è ebraica ed aramaica. Excursus II sul Vangelo apocrifo di Giuda Il codice del Vangelo di Giuda era in origine un fascicolo di fogli di papiro, rilegati in pelle, composto di almeno 31 fogli, manoscritti (ossia 62 pagine), che misuravano circa 16 x 29 cm. Le fibre del papiro erano pressate in doppio strato, in modo perpendicolare. Il testo era scritto in sahidico, una variante dialettale della lingua copta, con elementi ricollegabili alla lingua dell’Egitto centrale. Il codice era infatti stato trovato in una zona compresa tra il Cairo e Luxor. I trattati erano probabilmente tradotti da un originale greco. A giudicare dallo stile il codice doveva risalire al quarto secolo. Questa tesi venne confermata dalla datazione al radio Carbonio che diede il 280 come data di composizione (con un margine di errore di cinquant’anni: dal 230 al 320). Il Vangelo venne annunciato al mondo degli studiosi dal prof. Kasser come Peuaggelion Niudas. Questo trattato aveva già scatenato l’ira di Sant’Ireneo, che nel 180 d.C. aveva scritto nell’Adversus haereses di un “falso vangelo di Giuda il traditore”. Questo tradimento viene descritto come “misterioso”. 5 Il racconto La prima pagina del codice diceva che Gesù dopo i molti miracoli, aveva iniziato un approfondito dialogo in particolare con Giuda. Secondo un classico modello gnostico. I discepoli stanno pregando con un ringraziamento, Gesù si avvicina loro e ride. “Maestro, perché ridi della nostra preghiera di ringraziamento? Noi facciamo ciò che è giusto.” Affermano i discepoli. Gesù risponde: “Non rido di voi, voi non state facendo questo per vostra volontà, ma perché attraverso la vostra preghiera onorate il vostro dio”. Gesù non si riferisce qui al Dio nel regno dei cieli, ma al signore del mondo materiale. In alcuni testi gnostici il creatore del mondo era identificato perfino con Satana. I discepoli gli dicono: “Maestro, sei figlio del nostro dio?” Gesù risponde: “In che modo mi conoscete? In verità vi dico nessuna generazione mi conoscerà tra gli uomini”. Nel Vangelo di Giuda si fa la distinzione tra i discendenti della generazione umana e i discendenti di “quella generazione”, la grande generazione di Seth, figlio di Adamo, padre di una stirpe di uomini immortali che avevano stabilito un rapporto esclusivo con Dio. Solo i discendenti di quella generazione conoscono la vera natura di Gesù. I sethiani si consideravano il compimento perfetto di quella razza divina. Secondo Ehrman, uno dei massimi studiosi americani del cristianesimo delle origini, il Vangelo di Giuda apparteneva alla setta dei cainiti, così chiamati dal nome di Caino. I cainiti volevano dimostrare la loro devozione al vero Dio, differenziandosi dalla fede nel Dio dell’Antico Testamento. Essi disprezzavano ogni regola esistente per conquistare la salvezza. Giuda non viene presentato come un traditore, ma come il discepolo prediletto di Gesù, è la persona destinata a compiere il più grande dei sacrifici, consegnare Gesù nelle mani dei suoi carnefici, ma stavolta è Gesù stesso che glielo chiede. Gesù viene presentato in modo diverso: ride per ben quattro volte. Tutto il documento è colmo di amore e di affetto. Giuda è il discepolo preferito da Gesù, a lui dice: “la stella che mostra il cammino è la tua stella”. E Gesù stesso infatti che chiede a Giuda di consegnarlo alle autorità, e nel farlo gli promette che la sua stella risplenderà nei cieli. Come si vede l’autore non vuole contestare il cristianesimo, anzi, lo conferma, solo vuole arricchire la tradizione cristiana proponendo una nuova interpretazione sulla figura di Giuda. Gesù è sceso sulla terra per salvare l’umanità e per adempiere a questa missione chiede a Giuda di diventare lo strumento di salvezza. Come si vede i fatti sono gli stessi rispetto ai vangeli canonici, ma la valutazione morale di Giuda è completamente diversa. “Sei chiamato a sacrificare l’uomo che mi riveste”, gli dice Gesù. L’autore conosce Platone, infatti era stato Platone a scrivere nel Timeo che ogni uomo ha la sua anima e la sua stella. Vediamo infatti che anche Giuda ha la sua stella e Gesù lo esorta a seguirla: “Alza lo sguardo e osserva quella nuvola, e la luce che proviene da lei e dalle stelle intorno. La stella che mostra il cammino è la tua stella”. Giuda alzò lo sguardo e vide la nuvola luminosa e vi entrò dentro”. ⁵ Nel seguito del vangelo, Giuda dice: “So chi sei e da dove provieni. Vieni dal regno immortale di Barbelo”. Barbelo, negli scritti sethiani, come ci dice Meyer, rappresenta la Madre divina di ogni cosa. Sostenere che Gesù proviene da Barbelo equivale a dire che Gesù proviene dal Regno divino dei cieli e che è il Figlio di Dio ⁶. Gesù ritorna il mattino dopo dai suoi discepoli e ride una seconda volta, chiedendosi chi possa raggiungere il luogo e il tempo segreti della santità. E dice che “ognuno ha la propria stella”. Segue una descrizione — per quanto oscura in più punti per il testo incompleto —- di Sophia, simbolo di saggezza, figura chiave nei testi gnostici. Segue una spiegazione da parte di Gesù, con una descrizione della cosmologia gnostica, con gli eoni ed i loro segreti. Per prima cosa viene creato l’universo, poi la terra, poi l’uomo. Saclas, uno degli angeli, considerato stolto, decide di creare l’essere umano. 6 Nella sezione seguente Giuda pone a Gesù la domanda: “Lo spirito umano muore?” Gesù allude alle stelle che porteranno a compimento la salvezza degli spiriti. Il riferimento alle stelle ed alle loro influenze è astronomico ed apocalittico. E dopo questa descrizione Gesù ride una quarta ed ultima volta. Giuda crede che Gesù rida di lui, ma Gesù lo rassicura, con la frase che secondo Ehrman è la frase chiave di tutto il vangelo: “Tu Giuda li supererai tutti, perché tu sacrificherai l’uomo che mi riveste”. Gesù sta chiedendo a Giuda di sacrificarlo. Perché la vita di Gesù su questa terra è solo apparentemente umana. L’uomo fornisce solo un rivestimento allo spirito che sta al suo interno, mentre Gesù è una figura eterna, è parte di Dio nei cieli, è più grande ed è separato dall’uomo, perché è eterno. Le vesti e l’aspetto umano di Gesù sono gabbie che lo imprigionano finché resterà sulla terra. Sono rivestimento provvisorio. E il corpo dell’uomo che sarà sacrificato, non l’anima di Gesù, non Dio stesso. Non si parla di risurrezione, perché il corpo non tornerà in vita, perché è solo lo spirito che tornerà a vivere. La conclusione parla del colloquio tra Giuda e i sommi sacerdoti, ma senza che si parli di denaro del tradimento. Anche se la frase conclusiva è “E Giuda ricevette del denaro e lo consegnò loro”. Non ci sono ripensamenti, né rimorsi di coscienza, né pentimenti o prospettive di suicidio. Giuda ha agito per conto di Gesù, sacrificando l’uomo che lo riveste, in modo che si possa compiere il suo destino. Il credo gnostico e quello cristiano Ehrrnan spiega la differenza fondamentale tra Vangeli canonici e Vangelo di Giuda (e si potrebbe dire altrettanto per tutti i vangeli gnostici): “nei primi vangeli sono la morte e la risurrezione di Gesù che contano per la salvezza. Il suo corpo muore e Dio lo fa risuscitare. La risurrezione del corpo è molto importante. E Gesù nei vangeli di Matteo, Luca e Giovanni appare ai suoi fedeli per mostrare che è ancora vivo, che il suo corpo è ancora vivo. Tutto questo è in contraddizione con ciò che accade nel Vangelo di Giuda, dove non si racconta nulla della morte di Gesù. Perché la sua morte non ha importanza. In particolare non si racconta nulla della risurrezione perché nel Vangelo di Giuda, Gesù non risorgerà. Il corpo non ritornerà in vita, perché per Giuda ciò che conta davvero è che il corpo morirà, mentre lo spirito continuerà a vivere”. In poche parole anche il Vangelo di Giuda come gli altri apocrifi gnostici dimostra l’assoluta incompatibilità culturale con la Palestina dell’epoca di Gesù. Non ha sottofondo semitico, è molto tardivo, non ha consequenzialità narrativa, non ha avuto nessun uso universale. Ci interesserà per conoscere la gnosi, non per conoscere Gesù. L’intervento del relatore Marco Fasol al Convegno di Gubbio contiene anche una parte che riguarda il Codice da Vinci di Dan Brown, ma che ho “tagliato” perché già in un “Camminiamo” dello scorso anno avevo trattato questo argomento con un articolo di Massimo Introvigne del CESNUR ( Centro Studi sulle Nuove Religioni). Nel numero 30 della rivista “Religioni e Sette nel mondo”, dove sono pubblicate tutte le relazioni che hanno costituito l’ossatura del Convegno, l’intervento è completo. Suggerimenti bibliografici: Innanzitutto come già detto sopra: il numero 30 della rivista “Religioni e sette nel mondo”, sul tema “La metamorfosi del Sacro nella società post-moderna”, € 12,00, pp147; da richiedere, se volete, a me direttamente oppure attraverso il c/c postale n°21985403 intestato a: GRIS, via del Monte,5; 40126 Bologna, specificando il nome ed il numero della rivista. Seconda segnalazione : “Attenti al lupo”, Movimenti religiosi alternativi & sètte sataniche; di Roberta Grillo, ed. ARES, € 18,00, pp320. 7 PREFAZIONE di mons. Diego Coletti, Vescovo di Livorno “«Ogni giorno nascono nel mondo nuove sètte», aveva dichiarato l’allora cardinale Ratzinger attuale Pontefice, nell’omelia pronunciata durante l’ultimo solenne pontificale, celebrato prima del Conclave. Un affermazione il cui contenuto egli aveva raccolto dalla segnalazione emersa dalle commissioni episcopali, in particolare da quelle latino-americane. La frase esplicitava un fenomeno allarmante, quello sotto gli occhi di tutti, ormai del frantumarsi, in un ‘epoca confusa e contraddittoria come la nostra, epoca del «pensiero debole», dell’agnosticismo diffuso e della «morte di Dio», del complesso della Fede, in un crescendo anarchico di culti autonomi e auto-referenziali. Di fronte al concrescere di una realtà negativa, inquietante e pericolosa quanto le metastasi di un cancro, addolora e stupisce constatare, rispetto a un così grave rischio, nascosto nelle pieghe di questa multiforme fermentazione, un ‘incomprensibile ritrosia, quando non un ‘indifferenza vera e propria. Duole rilevare che, spesso, coloro che detengono l ‘autorità - talora anche nella Chiesa - non intervengano affatto per mettere in guardia le persone sulla possibilità di cadere vittime nel tranello di questi gruppi, riportandone un grave danno, sia spirituale sia sociale. E a tale proposito che il titolo di questo libro, Attenti al lupo, solo in apparenza scherzoso, sembra invece indovinato. Infatti, se quasi tutti questi movimenti, più o meno «religiosi», si presentano in modi accattivanti, con attrattive gradevoli e suggestive, in realtà essi nascondono al loro interno un nucleo fuorviante, sempre devastante. L’autrice parte da un ‘analisi delle situazioni che conducono le persone ad aderire ai movimenti e alle sètte per poi procedere alla descrizione schematica, sistematica e rigorosa, stesa con un linguaggio accessibile anche ai non specialisti, di un panorama dei più significativi tra questi movimenti, ciascuno dei quali, negli schemi, nei modi e nei contenuti, rappresentativo per tanti altri simili. Tra mille sètte, la forma più terribile e perversa appare quella che implica l‘adesione al satanismo. Se per altri movimenti si può parlare di una parvenza, sia pur mascherata e illusoria, di bene, nelle sètte sataniche vi è invece un totale capovolgimento del bene in male e del male in bene. Qui il male stesso è personificato, servito e adorato come dio e signore, al posto di Dio-Amore. E’ importante che libri come questo trovino ampia diffusione, perché è solo attraverso una maggiore conoscenza di questi fenomeni che si evita di caderne vittime. In particolare i sacerdoti e gli educatori dovrebbero consigliarne la lettura ai fedeli e ai giovani, perché essi possano rafforzare il loro pensiero e avere così sempre nuove armi per difendersi. Spesso, alla base di molte storie di persone che sono divenute preda di queste sètte, vi è la ricerca della felicità a basso prezzo, o di un luogo, di una comunità dove sentirsi amati e accolti e dove magari dimenticare o rimuovere gli errori compiuti in passato e i conseguenti sensi di colpa. Pregio di questo libro di Roberta Grillo è anche la capacità di accostare alle descrizioni storico-dottrinali, suggerimenti, anche pratici, su come si può e si deve intervenire per evitare le trappole, e per aiutare coloro che fossero caduti vittime dell’incantamento a uscirne e a riguadagnare la libertà, le relazioni umane e, con la fede, tutto ciò che era andato perduto.” Concludendo vorrei ringraziare il Signore per i validi strumenti che mette a nostra disposizione per vivere al meglio la missione che Lui stesso ha dato a noi tutti. Rinnovo l’invito per una collaborazione diretta per chi lo desidera, sempre nel contesto e nelle finalità proprie del GRIS. Vi ringrazio dell’attenzione ed augurandovi un fruttuoso anno pastorale vi abbraccio in Cristo diacono Vincenzo Rossi 8