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IL GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA
di Carlo Pessina
e Lorenzo Pittaluga
Introduzione
Nel diritto processuale civile l'azione esecutiva ha come fondamentale obbiettivo l’attuazione del
cd. “dispositivo” della sentenza emessa dal Giudice.
Dal tenore letterale delle norme relative all'esecuzione forzata si evince che il legislatore ha inteso
concedere numerose garanzie al creditore esecutante, che può aggredire i beni del debitori in vari
modi.
Il giudizio di ottemperanza nasce in ambito amministrativo processuale, proprio quale istituto
attuativo delle pronunce giurisdizionali passate in giudicato che non siano state spontaneamente
eseguite dalla Amministrazione soccombente in giudizio. Esso rappresenta nel contempo strumento
di soddisfazione delle esigenze del contribuente e procedimento satisfattivo (per l’ordinamento)
dell’esigenza di attuazione del diritto sancito nella pronuncia del giudice.
La Corte Costituzionale, in proposito, ha recentemente affermato l'inesistenza di un principio
costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole processuali tra i diversi tipi di
processo (quello civile e quello amministrativo), potendo i rispettivi ordinamenti processuali
differenziarsi sulla base di una scelta razionale del legislatore, derivante dal tipo di configurazione
del processo e delle situazioni sostanziali dedotte in giudizio, naturalmente a condizione che non vi
sia un “vulnus” dei principi fondamentali di garanzia ed effettività della tutela.
Natura e fondamento del giudizio di ottemperanza
Per quanto riguarda la natura ed il fondamento dell’istituto in esame, si era acceso in dottrina un
vivo dibattito, il quale però sembra aver ormai esaurito la sua vena de iure condendo. Alcuni autori,
in particolare, avevano classificato sistematicamente il giudizio di ottemperanza come strumento di
natura amministrativa1, sostenendo quindi la mera eventualità dell'attività esecutiva2.
La dottrina dominante3, tuttavia, ha sostenuto posizioni diverse, ed in particolare la tesi della natura
esclusivamente cognitiva dell’istituto. Ciò in conseguenza del fatto che, valutando il merito per
statuire i provvedimenti all’uopo necessari, il Giudice “dell’esecuzione” avrebbe dovuto
necessariamente accertare l'inesecuzione del giudicato, precisare contestualmente il senso e la
1
Vedi RUSSO, Manuale di diritto tributario, Milano, 1996, pp. 465 e ss.
Così NIGRO, Giustizia Amministrativa, Il Mulino, p. 210.
3
Vedi VIRGA, Diritto Amministrativo, Vol. II, Giuffrè, p. 452 ss.; CASSARINO, Manuale di Diritto Amministrativo,
Giuffrè, p. 564
2
1
portata dello stesso ed individuare, infine, il provvedimento che avrebbe dovuto essere adottato
dall'Amministrazione.
A dare una svolta alla disputa è stato il Consiglio di Stato, che nella sua giurisprudenza (risalente)
ha decretato l’autonomia giurisdizionale dell’istituto4, configurandolo come una giurisdizione
esclusiva, attribuita per materia e non per situazioni soggettive al Giudice tributario.
Gli “interessi (ovvero diritti) in gioco”.
Nel giudizio di ottemperanza si alternano indubbiamente situazioni a carattere pubblicistico e altre a
carattere privatistico. Ciò permette senza problemi di aderire alla tesi secondo cui esso sarebbe una
commistione dei riti amministrativo e civilistico, ma con sostanziali tratti autonomi, dovuti alla sua
riconosciuta specialità.
Proprio per la detta ultima circostanza, occorre tenere in considerazione il potenziale contrasto
dell’Istituto dell’ottemperanza con il disposto costituzionale dell'art. 102 della Costituzione. Tale
articolo vieta espressamente l'istituzione nel nostro ordinamento giuridico delle cd. Giurisdizioni
speciali (rispetto a quella ordinaria), le caratteristiche della quale avrebbe, appunto, quella tributaria
nelle funzioni di Giudice dell’ottemperanza.
Tale pericolo, effettivamente, potrebbe riscontrarsi nel caso in cui il Giudice del caso concreto
svolgesse funzioni giurisdizionali come quelle poc'anzi enunciate, riservate ad altri giudici (i.e.
giurisdizione civile) e dovesse, quindi, emanare un provvedimento che normalmente è proprio di
questi ultimi.
Alla base della autonomia giurisdizionale del giudizio tributario, tuttavia, vi è una risalente ma
consolidata giurisprudenza di legittimità5, che non permette all’interprete di avere dubbi in generale
sull’ambito delle funzioni del Giudice dei tributi, ed in particolare sul fatto che, all’occasione, il
detto magistrato, il quale abbia concesso un provvedimento favorevole al contribuente, possa porre
in essere tutti gli atti consequenziali al fine di far rispettare la sua decisione, senza per ciò interferire
con le funzioni di altro giudice.
Invero fanno propendere per l’accoglimento della tesi suesposta ulteriori ragioni di ordine
sistematico, prima fra tutte il dovuto ossequio al fondamentale principio cd. dell’economia
processuale e dell’unità del giudizio, che non si potrebbe certo dire rispettato se una volta ottenuto il
provvedimento cognitivo di accoglimento il contribuente dovesse addirittura mutare (non solo il
Giudice, ma addirittura) giurisdizione per farlo eseguire.
4
Ad. Plen., 14 luglio 1978, n. 23 in Foro It., 1978, III, p. 449; Ad. Plen. 15 marzo 1989, n. 7, in Rass.Trib.,1989, I, pp.
227 ss.
5
Sulla natura giurisdizionale delle Commissioni si sono definitivamente pronunciate la Corte Cost., con sentenza n. 287
del 27 dicembre 1974 e la Corte di Cassazione, con sentenza n. 1472 del 5 marzo 1980.
2
Anche la recente giurisprudenza del Consiglio di Stato6 ha confermato la facoltà, per il contribuente, di
esperire il ricorso per ottemperanza anche avverso le statuizioni delle Commissioni tributarie, segnando
di fatto il momento introduttivo dell'istituto nella disciplina nel contenzioso tributario. Peraltro, una
recente pronuncia del Tar della Campania7, a conferma della giurisprudenza del Consiglio di Stato,
ha puntualizzato che le decisioni del giudice tributario, passate in giudicato, devono essere
opportunamente ottemperate innanzi alle commissioni tributarie. In questo modo il giudice
amministrativo ha dichiarato la propria incompetenza, per difetto di giurisdizione, relativamente al
mancato adempimento del giudicato tributario dell'Amministrazione8.
La tutela del contribuente e la giurisprudenza della Corte Costituzionale.
Il primo comma dell'art. 70, D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, così statuisce: "Salvo quanto
previsto dalle norme del codice di procedura civile per l'esecuzione forzata della sentenza di
condanna costituente titolo esecutivo, la parte che vi ha interesse, può richiedere l'ottemperanza agli
obblighi derivanti dalla sentenza della Commissione Tributaria passata in giudicato mediante
ricorso da depositare in doppio originale alla segreteria della Commissione Tributaria Provinciale,
qualora la sentenza passata in giudicato sia stata da essa pronunciata, e in ogni altro caso alla
segreteria della Commissione tributaria Regionale".
Preliminarmente, è necessario rendere qualche necessaria osservazione relativamente ai requisiti per
la presentazione del ricorso, sulla scorta della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 406 del
16 dicembre 19989, considerato che è necessaria la presenza dei due presupposti
dell'inadempimento dell’Amministrazione e del giudicato (interno ed esterno) per il valido
ottenimento del provvedimento coercitivo.
Un primo ambito di discussione nasce in merito all’inadempimento delle sentenze non definitive di
accoglimento (per il contribuente) da parte dell’Amministrazione. Il tema centrale, che rappresenta
6
Cons. Stato, IV sez., 3 ottobre 1990, n. 740, in Giust. civ. 1991, I, p.1083, Id, Ad. Plen., 22 dicembre 1990, n.11, in
Boll. trib., 1991, p.1030. In passato il Consiglio di Stato aveva avuto diversi orientamenti ammettendo il ricorso al
giudizio di ottemperanza per le sentenze non ancora passate in giudicato (Ad. Plen., decisione n.10 del 1969),
ponendosi in contrasto con il diverso orientamento della Suprema Corte (sentenze n.1563 del 1970 e n. 2897 del 1973)
che richiedeva il passaggio in giudicato della sentenza come presupposto necessario per l'ottemperanza. Ma con una
pronuncia successiva (Ad. Plen., decisione n.10 del 1980) pur riconoscendo la esecutività di una sentenza emessa in
primo grado, si uniformava all'orientamento della Cassazione. Consiglio di Stato del 3 ottobre 1990, n. 740.
7
Tar Campania, III sez., decisione 718/1998.
8
Ciò conferma inoltre il dettato del D.L.vo 546/1992, che introduce nel processo tributario l'istituto del giudizio di
ottemperanza, mutuandolo dal processo amministrativo, e attribuendone la competenza alle Commissioni Tributarie
provinciali e regionali.
9
La nozione di giudicato formale, infatti, non corrisponde a quella di esecutività della sentenza: il primo concerne
l'immutabilità della pronuncia, la seconda è espressione del comando contenuto nella sentenza. Nel processo tributario
queste due fattispecie coincidono e dunque la sentenza acquisterà il carattere imperativo solo a seguito del passaggio in
giudicato, vale a dire quando siano trascorsi i termini per impugnarla o quando sia raggiunto l'ultimo grado di giudizio e
sia perciò precluso qualsiasi altro mezzo di impugnazione.
3
al tempo stesso un insormontabile ostacolo per la tutela immediata del contribuente, è proprio
quello del giudicato, quale elemento imprescindibile per la richiesta dell’ottemperanza.
Purtroppo si deve rilevare la mancanza di una norma che consenta alla Commissione Tributaria di
emettere provvedimenti infraprocedimentali, a seguito di istanza di rimborso conseguente alla
condanna dell'Amministrazione, onde assicurare, seppur a titolo provvisorio, il detto rimborso.
Tutto ciò perché l'esecutività della sentenza del giudice tributario dipende dal passaggio in
giudicato10.
In questo modo, avviene sovente che un ricorrente venga riconosciuto vincitore in primo grado, con
un provvedimento però che costituisce niente di più che un rimprovero all'Amministrazione, stante
il suo inadempimento.
In verità non sembra soddisfacente il dettato dell'art. 69, D.L.vo 546/1992, che prevede, in caso di
accoglimento del ricorso del contribuente, il rimborso d'ufficio del tributo corrisposto in eccedenza
rispetto alla statuizione della sentenza. La cronica inottemperanza della P.A. a quest'intimazione
rende evidente la mancata tutela del contribuente.
Si deve, inoltre, rilevare che le deduzioni sopra svolte non sono in linea con le tanto reclamizzate
“trasparenza” e “parità di diritti”, le quali avrebbero dovuto intercorrere fra la Pubblica
Amministrazione ed il contribuente, ed a cui ha cercato di ispirarsi il legislatore nell'introduzione
della legge 241/1990. Evidentemente alla prima è sconosciuto il principio ivi contenuto della
“maggiore partecipazione che deve rivestire il contribuente nell'attività posta in essere
dall'Amministrazione nel procedimento di accertamento dell'imposta”.
La questione si potrebbe derimere “bypassando” il problema, nel senso che pur in difetto di
giudicato, la sentenza tributaria di primo grado è comunque esecutiva, e (come tutti i documenti
comprovanti un credito certo, liquido ed esigibile) giustifica perciò il ricorso alla (veloce) procedura
monitoria di cui agli artt. 633 e segg. C.p.c. con l’ottenimento di un provvedimento che, sebbene
opposto, sarebbe quasi certamente dotato di provvisoria esecutorietà ex art. 642, c.p.c., aprendo le
strada alla soddisfazione per via ordinaria del credito del contribuente nei confronti della P.A.
Ma, tolta questa soluzione (non priva invero di problemi), il punto nodale della fattispecie rimane
quello del come ci si deve comportare di fronte al problema da punto di vista giuridico –
sostanziale, e cioè:
-
se si debba riconoscere al giudicato la
sua funzione connaturale, denunciando
l'incostituzionalità della norma;
10
Di fronte a una disposizione che inequivocabilmente limita il ricorso al giudizio di ottemperanza alle sentenze passate
in giudicato (l'art. 70 appunto), sarà difficile ammettere che il giudizio di ottemperanza possa essere proposto più in
generale nei confronti delle sentenze esecutive. Si veda CLARICH, in Diritto e Pratica Tributaria, I, 1997.
4
-
oppure se bisogna ipotizzare che il ricorso per l'adempimento divenga possibile con una
sentenza non ancora passata in giudicato, ancorché esecutiva.
L'interpretazione relativa all'esecutività ex lege delle sentenze emesse in primo grado dal giudice
ordinario, suscettibili di essere eseguite coattivamente perché permeate da un grado di affidabilità
che legittima l'Amministrazione alla riscossione delle somme anche quando non si sia formato un
giudicato, ha creato non pochi problemi di costituzionalità.
Ad una ferma presa di posizione del Consiglio di Stato11 nel rimarcare la differenza tra esecutività e
giudicato della sentenza, è conseguita una richiesta di incostituzionalità delle norme sotto il profilo
della ragionevolezza, evidenziandosi una disparità di trattamento tra Amministrazione e
contribuente, in violazione dell'art. 3 della Costituzione. Non si comprende il motivo, infatti, per cui
una iscrizione a ruolo sia permeata di esecutività (il che costringe il contribuente a versare nel più
breve tempo possibile le somme richieste), e invece una statuizione che condanni l'Amministrazione
alla restituzione delle somme debba invece attendere la certezza conferita dal giudicato12.
E’ palese, in proposito, il conflitto sistematico fra poteri dello Stato (nella specie esecutivo – seppur
di carattere secondario – vs giudiziario) venutosi a creare. La detta disparità di tutela fra cittadino a
Pubblica Amministrazione si risolve, infatti, in una reintroduzione di fatto dell'istituto del cd. “solve
et repete” (per il quale il contribuente cui era contestata la violazione di una noma era tenuto, a pena
di improcedibilità, a pagare la sanzione a essa collegata prima di poter proporre ricorso) aprendosi
così un contrasto con la sentenza della Corte Costituzionale del 31 marzo 1961, n. 21, con la quale
si è reso illegittimo detto istituto in quanto violante gli artt. 3, 24, 113 Cost.13.
La risposta della Consulta, tuttavia, ha lasciato molti dubbi. Nell'orientarsi su altri criteri di giudizio
rispetto alla sua precedente giurisprudenza, essa ha dichiarato con la sentenza 406/1998 infondata la
questione sollevata in merito alla costituzionalità delle suddette norme dal Tar Piemonte 14,
motivando la decisione nel senso che, una sentenza di primo grado, essendo passibile di appello,
può ancora essere riformata all’esito del giudizio di secondo grado, non consentendo quindi il
(valido) ricorso al giudizio di ottemperanza.
La Corte osserva, inoltre, che il contribuente può seguire altre vie giurisdizionali, avvalendosi di
misure di coercizione indiretta quali ad esempio la denuncia alla Procura della Corte dei Conti per il
11
Ad. plen.,23 marzo 1979, n.12; 1° aprile 1980, n.10.
Né è lecito ritenere che i poteri autoritativi dell'Amministrazione, riflesso dello jus imperii, rappresentino una valida
scriminante. Anche la sentenza della Corte di Cassazione del 9 marzo 1981, n.1299, relativamente all'ammissibilità del
ricorso al giudizio di ottemperanza, parla di prospettive di riforma improntate alla costituzione di "equi rapporti" tra il
consociato ed i pubblici poteri.
13
"Spunti sulla tutela cautelare nel processo tributario" di MARINUCCI , in il fisco 16/99.
14
Ordinanza n.480, emessa il 22 gennaio 1997.
12
5
possibile ed eventuale danno erariale che deriverebbe dalla mancata esecuzione della sentenza, non
rimanendo così leso il suo diritto alla difesa.
Secondo la tesi (criticabile) della Corte, infine, il contribuente non potrebbe ottenere, nel corso
dell’eventuale appello proposto dalla P.A. avverso la sentenza sfavorevole di primo grado,
nemmeno alcuna misura cautelare (nell'ipotesi di inesecuzione della sentenza) da parte del Giudice
adito, per il fatto che il provvedimento conclusivo di primo grado è stata emesso in via definitiva e
sulla base di una completa cognizione dell'intera vicenda.
Un ragionamento siffatto non può essere corretto. Priverebbe, questo sì, il cittadino di ogni difesa
nei confronti dello Stato, lasciandolo di fatto inerme nonostante la ragione. È d’uopo, quindi, che la
giurisprudenza successiva si orienti nel senso della concedibilità del provvedimento interinale,
disiapplicando il disposto della Corte. Tutto ciò in ossequio ad un indirizzo giurisprudenziale già
esistente15, il quale ammette che il giudice in appello conservi il potere di emanare provvedimenti
cautelari per la realizzazione dell'interesse perseguito, qualora il diritto del contribuente sia
minacciato da pregiudizio imminente ed irreparabile16.
In merito, comunque, qualcosa si muove. Una recente sentenza della Corte di legittimità ha esteso il
ricorso al Giudizio di Ottemperanza anche nel caso in cui la sentenza di accoglimento non contenga
un’esplicita condanna dell’Amministrazione Finanziaria. Più precisamente Il ricorso per
l’ottemperanza è ammissibile anche se la sentenza non contiene espressamente perentorie e
dettagliate «istruzioni ad agire». Lo ha affermato la Corte di cassazione, con la sentenza n. 4126 del
1 marzo 2004, secondo la quale si può ricorrere al giudizio di ottemperanza ogni volta che si rileva
l’inerzia della pubblica amministrazione rispetto al giudicato, o un suo comportamento difforme
rispetto all’accertamento di quanto disposto nella sentenza da eseguire. Il ricorso può essere quindi
proposto anche quando la sentenza definitiva non contiene una esplicita condanna
dell’amministrazione inadempiente.
Adempimenti concreti e nomina del commissario ad acta.
Il nuovo processo tributario ha disciplinato, come detto, il giudizio di ottemperanza all’art. 70 del
decreto legislativo n.546/1992.
15
Tar Lazio, sez. I, 17 novembre 1988, 16 ottobre 1988. Ivi è sancito che spetta al giudice che ha emesso la pronuncia
emanare i provvedimenti ritenuti idonei per assicurare l'esecuzione interinale della sentenza di primo grado, costituendo
detta emanazione una fase integrativa del precedente giudizio. Inoltre è fatto obbligo all'Amministrazione soccombente,
di assicurare, nelle more della pronuncia di secondo grado, l'effettività della situazione giuridica del ricorrente come
scolpita dalla pronuncia giudiziale. Tutto ciò considerato che l'esecutività della sentenza di primo grado, ha autorità
piena e vincolante.
16
Corte Cost., sent. n.190 del 1985; Corte Cost., sent. n. 419 del 1995.
6
Oggi, il contribuente, una volta ottenuta una sentenza definitiva di condanna dell’Amministrazione
Finanziaria, può domandare al Giudice competente l’inizio della procedura, di esecuzione della
stessa, secondo quanto previsto dall’art. 70 del D. Lgs. 546/92.
Preliminarmente è necessario precisare che, oltre al requisito del passaggio in giudicato della
sentenza, per avviare il giudizio di ottemperanza occorre che la sentenza da applicare porti la
specifica condanna dell’amministrazione nonchè l’indicazione dell’importo dovuto 17.
E’ pertanto importante richiedere alla Commissione provinciale, già nel ricorso introduttivo, non
solo il riconoscimento del credito tributario ma anche l’emanazione della specifica condanna al
rimborso della somma per capitale, interessi ed eventuali spese di giudizio.
Il difetto di quest’ultima, ben poco peso avrebbe nella fase dell’esecuzione il riconoscimento del
titolo di credito se questo, appunto, non fosse accompagnato dall’obbligo di pagamento a carico
dell’amministrazione.
Il procedimento per esperire il giudizio di ottemperanza si svolge rispettando le seguenti scansioni
temporali:
- redazione del ricorso;
- deposito in doppio originale presso la segreteria della Commissione Tributaria Provinciale qualora la sentenza passata in giudicato sia stata da essa pronunciata, ovvero - in ogni altro caso,
deposito presso la segreteria della Commissione Tributaria Regionale (o sua sezione distaccata).
La proposizione del ricorso deve avvenire solo dopo la scadenza del termine entro il quale è
prescritto dalla legge l’adempimento dell’Ufficio fiscale o dell’Ente locale oppure, in mancanza di
tale termine, dopo trenta giorni dalla messa in mora a mezzo di ufficiale giudiziario.
Il ricorso deve essere indirizzato al Presidente della Commissione con la precisa indicazione, a pena
di inammissibilità, della sentenza passata in giudicato di cui si chiede l’ottemperanza, che deve
essere prodotta in copia unitamente all’originale o copia autentica dell’atto di messa in mora
notificato, se necessario.
Il procedimento in questione ha ottenuto, finalmente, alcuni peculiari chiarimenti da parte
dell’Amministrazione Finanziaria, con la recente circolare 4 febbraio 2003, n. 5/E (emessa
dall’Agenzia delle entrate – direzione centrale normativa e contenzioso, in il Fisco n. 6/2003, fasc.
n. 2, pag. 912) ed in particolare:
 prima di esperire il giudizio di ottemperanza innanzi alla commissione tributaria per ottenere la
concreta esecuzione di una sentenza passata in giudicato (articolo 70 del Dlgs n. 546/1992), il
contribuente deve notificare un atto di messa in mora all'ufficio dell'Agenzia che deve eseguire
17
In tal senso Commissione Tributaria provinciale di Milano, sent. n. 80 del 9 giugno 2003, def. il 18 luglio 2003 (in
“il fisco” n. 44/2003, fasc. 1, pag. 6959).
7
la sentenza. Decorsi almeno trenta giorni da tale notifica, può essere presentato, come già detto,
il ricorso per ottemperanza;
 la commissione tributaria non è tenuta ad assegnare all'ufficio un ulteriore termine per
l'adempimento, perché l'inadempimento dell'ufficio deve considerarsi già consumato alla
scadenza del termine dei trenta giorni dall'avvenuta messa in mora da parte del contribuente.
L'ufficio, anche con il giudizio di ottemperanza in atto, può dar seguito all'adempimento fintanto
che il provvedimento attuativo non sia stato emesso; così facendo, potrebbe favorevolmente
incidere in merito alle spese del giudizio o di quelle per il compenso al commissario ad acta, che
viene corrisposto non per la nomina per l'attività provvedimentale eventualmente svolta;
 contro la sentenza di ottemperanza, è ammesso soltanto il ricorso in Cassazione per
inosservanza delle norme sul procedimento, senza, peraltro, che la sua proposizione incida
sull'immediata esecutività dei provvedimenti del giudice dell'ottemperanza;
 gli uffici dell'Agenzia delle Entrate sono legittimati a effettuare i rimborsi con l'emanazione
dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso (articolo 4 del decreto legge n. 669/1996).
Una volta introdotto il giudizio di ottemperanza, la segreteria della Commissione comunica il
ricorso all’Ufficio fiscale o all’Ente locale obbligato a provvedere, il quale entro venti giorni dalla
citata comunicazione deve trasmettere le proprie osservazioni, allegando la documentazione
dell’eventuale adempimento.
Il Presidente della Commissione, scaduto il termine di cui sopra, assegna il ricorso alla stessa
sezione che ha pronunciato la sentenza e l’udienza di trattazione, in camera di consiglio, deve essere
fissata non oltre novanta giorni, dandone comunicazione alle parti dieci giorni liberi prima, sempre
a cura della segreteria.
Il collegio, sentite le parti ed acquisita la necessaria documentazione, adotta con sentenza i
provvedimenti indispensabili per 1’ottemperanza e, per questo, se lo ritiene opportuno, può delegare
un proprio componente o un commissario “ad acta” esterno al quale fissa un termine congruo per i
necessari provvedimenti attuativi.
E’ importante puntualizzare, in proposito, che il commissario ad acta non è un organo
amministrativo18, bensì giurisdizionale, e del pari giurisdizionali saranno i suoi atti. Di
conseguenza, chiunque impedirà al commissario ad acta di esercitare le sue funzioni sarà passibile
di sanzioni penali.
Il commissario ad acta, agendo in vece dell’Amministrazione inadempiente, si inserisce, ancorché
in via provvisoria, nell’organizzazione amministrativa ed instaura con quest’ultima, sotto il profilo
18
Altrimenti la Pubblica Amministrazione potrebbe agire in sede di autotutela per annullare gli atti dello stesso
commissario.
8
funzionale, un occasionale rapporto di servizio, dal momento che la sua attività, pur fondandosi
sull’ordine contenuto nella sentenza emanata in sede di ottemperanza, è praticamente la stessa che
avrebbe dovuto essere prestata dall’amministrazione.
Il commissario ad acta, infatti, è organo ausiliario del giudice del l’esecuzione e, come tale, può
procedere direttamente all’adozione di tutti indistintamente gli atti da lui stesso ritenuti in concreto
necessari per raggiungere il fine proprio della sentenza da eseguire.
Egli, in particolare, dovrà:
- inviare un invito all’Amministrazione condannata all’esecuzione, spedito con raccomandata A.R.,
a provvedere spontaneamente all’effettivo pagamento entro e non oltre quindici giorni dal
ricevimento della raccomandata stessa;
- decorso infruttuosamente il suddetto termine, depositare la propria firma alla Banca d’Italia,
Tesoreria Provinciale dello Stato19;
- ritirare successivamente il decreto della Commissione Tributaria in cui sono indicati gli importi da
rimborsare nonché il proprio compenso20;
- con il suddetto decreto, infine, sempre presso l’Amministrazione condannata all’esecuzione,
firmare i provvedimenti autorizzativi del pagamento da inviare alla Banca d’Italia. Nel caso di
rimborso di cartelle esattoriali, invece, l’ordinativo di pagamento deve essere inviato al
concessionario della riscossione, sempre previa firma dello stesso commissario ad acta21.
Una volta concluse le predette operazioni, il Commissario ad Acta dovrà comunicare alle parti
interessate (la P.A. interessata, i creditori e l’ente tenuto alla corresponsione della somma)
l’avvenuta firma degli ordini di pagamento per riscuotere materialmente le somme.
Una volta accertato l’effettivo pagamento delle somme, egli dovrà comunicare alla Commissione
Tributaria competente che tutti i provvedimenti del caso sono stati emanati ed eseguiti, dando di ciò
prova scritta. Dal canto suo il Giudice dichiarerà chiuso il giudizio di ottemperanza con ordinanza,
come previsto dall’art. 70, settimo ed ottavo comma, del Decreto legislativo 546/1992,
autorizzando, se del caso, la comunicazione alla Procura della Corte dei Conti per la valutazione del
danno erariale.
19
A tal proposito è bene chiarire che per il rimborso di tutti i versamenti diretti nonché per le spese di giustizia è
competente al pagamento la Banca d’Italia invece per i rimborsi dei ruoli, è sempre competente il Concessionario della
riscossione.
20
Secondo le disposizioni della Legge 8 luglio 1980 n. 319 e successive modificazioni ed integrazioni.
21
I quali dovranno essere inviati alla Banca d’Italia. Nel caso di rimborso di cartelle esattoriali, invece, l’ordinativo di
pagamento deve essere inviato al concessionario della riscossione, sempre previa firma dello stesso commissario ad
acta.
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