INDICE + TESI

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INDICE SOMMARIO
pag.
INTRODUZIONE
3
Capitolo I
GLI AMMINISTRATORI DI S.P.A. IN MANO PUBBLICA:
INNOVAZIONI AL REGIME GENERALE
APPORTATE DA LEGGI SPECIALI
1.1
Ricognizione della disciplina speciale
pag. 14
1.2
La nomina pubblica di amministratori
pag. 23
1.3
Le tesi pubblicistiche e privatistiche
pag. 31
1.4
Cause ostative alla nomina per la carica di
pag. 35
amministratore
1.5
Diritto al compenso
pag. 45
1.6
Identificazione delle fattispecie rilevanti: art.2389 c.c
pag. 47
1.7
I fattori che influiscono sull’entità dei compensi degli
pag. 50
amministratori
1.8
Disposizioni della Legge Finanziaria 2007: compensi
spettanti agli amministratori di società partecipate da
pag. 55
enti locali
1.9
Numero dei componenti
amministrazione
del
consiglio
di
pag. 66
1
Capitolo II
ORIENTAMENTI E GIURISPRUDENZA COMUNITARIA: I
RIFLESSI SUL PIANO INTERNO RELATIVI
AI POTERI DI NOMINA
2.1
Ruolo degli organi comunitari nell’iter di riforma della
pag. 70
disciplina della nomina pubblica alle cariche sociali
2.2
Il novellato art. 2449 c.c.: limiti alla concessione del
pag. 77
diritto di nomina
2.3
L’applicazione del principio di proporzionalità nelle
pag. 86
società chiuse
2.4
La disciplina delle società aperte
pag. 95
Capitolo III
FATTISPECIE DI RESPONSABILITÀ DEGLI
AMMINISTRATORI DI NOMINA PUBBLICA
3.1
Società a partecipazione pubblica, responsabilità e
pag. 110
giurisdizione della Corte dei conti
3.2
La responsabilità
giurisprudenziale
amministrativa
nell’evoluzione
pag. 114
3.3
Responsabilità civile e responsabilità amministrativa
pag. 121
degli organi di gestione
3.4
Riparto di giurisdizione, esclusività di regimi di
responsabilità, coesistenza e concorso di giurisdizioni pag. 127
CONCLUSIONI
pag. 135
BIBLIOGRAFIA
pag. 141
INDICE DELLA GIURISPRUDENZA
pag. 151
2
INTRODUZIONE
La nomina e la responsabilità degli amministratori delle società a
partecipazione pubblica presentano delle peculiarità proprie che
suggeriscono uno specifico approfondimento volto ad evidenziarne le
distinzioni
rispetto
alla
disciplina
societaria
comune.
La
partecipazione dello Stato o di enti pubblici alla società è una vicenda
giuridica che mira a soddisfare l’esigenza di coniugare la specificità
degli scopi perseguiti dall’ente pubblico con l’opportunità di
impiegare strumenti organizzativi previsti dal diritto privato, in modo
da
assicurare
maggiore
efficienza
all’azione
amministrativa.
L’interesse a snellire il funzionamento dell’azione amministrativa ha
determinato la trasformazione delle modalità di erogazione dei servizi
pubblici, culminata nell’avvio di un fenomeno di esternalizzazione,
per cui le attività economiche esercitate direttamente dagli enti
pubblici sono state progressivamente affidate a società partecipate.
Tale processo di trasformazione ha interessato soprattutto la gestione
dei servizi pubblici locali, dove l’utilizzo del modello organizzativo
societario è stato motivato da due ragioni di opportunità che derivano
dall’evoluzione del mercato: quella negativa che consiste nel fatto che
la normativa sull’azione della pubblica amministrazione pare
3
inadeguata a regolare l’esercizio di attività economiche e quella
positiva invece secondo la quale l’iniziativa economica pubblica deve
assumere le stesse forme dell’iniziativa privata, al fine di evitare
pregiudizi all’efficienza del mercato.
Malgrado si susseguano interventi normativi ed importanti casi
giurisprudenziali nazionali e comunitari, la posizione giuridica delle
società pubbliche rimane incerta. Le prevalenti criticità del tema in
esame riguardano: il disordine regolativo, anche se a tal proposito è
più diffusa la critica sull’eccesso di regolamentazione che quella sul
suo disordine, una giurisprudenza spesso contraddittoria, il prevalente
approccio unitario ad una categoria di soggetti giuridici che non risulta
omogenea, la non applicabilità di alcune riforme previste1. Un quadro
così complesso ha inevitabilmente complicato il rapporto tra il tema
della natura delle società e le regole che disciplinano la relazione tra
l’ente pubblico socio e gli amministratori della società partecipata. Si
è tradizionalmente affermato che la presenza di un azionista pubblico
non dà vita ad una distinta categoria societaria. Ciò è conferma del
principio
della “ irrilevanza della persona del socio nella
organizzazione sociale e, sotto il profilo operativo, che l’ingerenza
della mano pubblica nella gestione dell’impresa privata e nel controllo
1
M. P. CHITI, Le carenze della disciplina delle società pubbliche e le linee direttrici per
un riordino, in Giornale dir. amm., 2009, 1115.
4
della medesima è priva di profili autoritativi, realizzandosi mediante
la normale attività dei suoi organi, all’interno dell’organizzazione
sociale e non dall’esterno”2. Si è affermato che le società per azioni
con partecipazione dello Stato o di enti pubblici sono “ in tutto private
per la forma”3. Conservano la loro qualifica di imprenditori
commerciali e sono regolate dalle norme del codice civile, salvo
esclusivamente quanto disposto dagli artt. 2449 e 24514 e, sino alla
sua recente abrogazione, dall’art.24505. In passato, la domanda più
frequente riguardava la natura dell’atto di nomina e di revoca degli
2
In tal senso M. BERTUZZI, Commento sub artt. 2449-2450, in Commentario Lo
Cascio, VII, 2003, 213; B. LIBONATI, L’intervento dello Stato nell’attività di impresa, in
Riv. dir. comm., 1988.
3
Cfr. F. GALGANO, Le nuove società di capitali e cooperative, in F. GALGANO, R.
GENGHINI, IL nuovo diritto societario, I, Padova, 2004, 449, e N. IRTI, Dall’ente pubblico
economico alla società per azioni (profilo storico-giuridico), in Le privatizzazioni in Italia,
a cura di P. Marchetti, Milano, 1995,36, il quale cita la Relazione del Ministro
guardasigilli, in cui si precisa che nei casi degli artt. 2458 e 2459 ( nella vecchia
numerazione) “ è lo Stato medesimo che si assoggetta alla legge delle società per azioni
per assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilità
realizzatrici. La disciplina comune della società per azioni deve anche applicarsi alla
società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici senza eccezioni, in quanto
norme speciali non dispongano diversamente”. Nella medesima Relazione inoltre si
legge che “ qualche incertezza è sorta peraltro nella dottrina e nella giurisprudenza per
quanto attiene alla posizione degli amministratori e dei sindaci nominati dallo Stato o da
enti pubblici. Si è ritenuto pertanto opportuno eliminare ogni dubbio al riguardo con una
norma particolare affermante che gli amministratori e i sindaci così nominati hanno gli
stessi diritti e gli stessi obblighi di quelli nominati dall’assemblea”. In giurisprudenza ,
questo principio viene ribadito dal T.A.R. Sicilia Catania, Sez. III, 13-8-2002, n.1446, in
Foro amm.- TAR 2002, 2720.
4
Gli artt.2449 e 2451, da interpretarsi come norme speciali o “permissive”(Cfr. G.
MINERVINI, Amministratori nominati dallo Stato o da enti pubblici, in Banca borsa, 1954,
712) hanno sostituito ed parte modificato le norme contenute negli artt. 2458-2460 nel
testo previgente. Per maggiori approfondimenti cfr. G. Lacava, L’ impresa pubblica, in
Trattato di diritto amministrativo, IV, a cura di S. Cassese, Milano, 2003.
5
Norma che aveva sostituito, anche in questo caso con modifiche, l’art. 2459 del
testo previgente la riforma del diritto societario.
5
amministratori nominati direttamente dall’ente pubblico e due erano le
possibili risposte: natura negoziale o natura provvedimentale, da cui
nascevano
differenti
conseguenze
nei
rapporti
tra
ente
ed
amministratori e tra società ed amministratori. Attualmente, la
domanda non può essere posta se non dopo aver proceduto alla
riconduzione della società ad un tipo determinato e averne analizzato
i parametri sostanziali di funzionamento6. Società statali e società
locali, società in house e società che operano sul mercato, società
incaricate della gestione di servizi pubblici o di funzioni
amministrative e società partecipate per la gestione imprenditoriale di
attività meramente economiche non rappresentano soltanto realtà in se
differenti, ma determinano regimi distinti delle relazioni tra l’ente e
gli amministratori di nomina pubblica. Da un lato, quindi, l’indagine
sul funzionamento e la rilevanza ai fini pubblici della società
partecipata risente dell’atteggiarsi del rapporto ente-amministratore.
Dall’altro, l’analisi e l’interpretazione delle norme sulla nomina e
sulla revoca degli amministratori nelle società per azioni da parte degli
enti pubblici, non hanno alcun senso se non sono inseriti nel contesto
più generale dell’indagine sull’uso amministrativo delle società di
capitali. È ovvio, infatti, che neppure in astratto si può ragionare della
6
Sul punto, M. CAMMELLI, M. DUGATO. Studi in tema di società a partecipazione
pubblica, Giappichelli, Torino, 2008
6
natura, pubblica o privata, dell’atto di nomina , se non si sia prima
chiarito che nello schema della società per azioni può essere introdotto
l’interesse pubblico7.
Allo
stesso
modo,
per
poter
risolvere
la
questione
dell’ammissibilità di direttive vincolanti impartite dall’ente socio
all’amministratore nominato direttamente, è ancora una volta
necessario aver definito se, attraverso la partecipazione in società,
all’ente sia consentito di perseguire direttamente i propri fini
istituzionali a scapito del fine di lucro, giacché l’eventuale potere di
direttiva non potrebbe che essere finalizzato alla soddisfazione di quei
fini. In connessione con quanto rilevato, risulta utile ricordare che
sino agli inizi degli anni ’90, riguardo la figura della società a
partecipazione pubblica esisteva da una parte, una disciplina civilistica
che ne riconosceva l’esistenza, senza abbondare nelle deroghe al
regime
ordinario,
dall’altra
nei
rapporti
socio-economici,
l’interventismo di Stato aveva più volte utilizzato lo schermo
societario per raggiungere i suoi obiettivi. Inoltre era maturata negli
7
Si potrebbe in sostanza ritenere che lo schema della società per azioni si
atteggerebbe alla stregua di una struttura – una scatola vuota- flessibile e perciò idonea
ad essere utilizzata per molteplici esigenze e, quindi, anche per attuare l’interesse
pubblico. Questo carattere multiforme della società per azioni sembrerebbe in effetti
confermato dalla riforma del diritto societario introdotta nel 2003, poiché si consente
oggi ai soci di adattare i modelli organizzativi della loro impresa, esercitata sotto la
forma della società per azioni, alle esigenze che, di volta in volta, essi intendono
perseguire.
7
studi la concezione della possibile neutralità dello scopo di lucro della
società, per cui, a parte ciò e tranne le deroghe previste nelle leggi
speciali relative a società connotate appunto da una legge speciale, il
regime del soggetto società a partecipazione pubblica sembrava
pressoché interamente quello civilistico8. Non vi era confusione tra
amministrazione e società, tra ente pubblico e persona giuridica
privata. In questi ultimi anni le cose sono cambiate in quanto il dato
rilevante consiste nella palese “contaminazione pubblicistica” del
regime giuridico delle società pubbliche9. La dottrina, a tal proposito,
ha utilizzato sul piano terminologico espressioni molto significative
come quella di società-quasi amministrazione o di impresa
dimezzata10. Prova ne è la sottoposizione della società e persino dei
suoi amministratori alla giurisdizione della Corte dei Conti per la
responsabilità amministrativa, nonché al controllo della stessa Corte
sulla gestione finanziaria; applicazione di gravose limitazioni
all’attività ed alla proiezione dell’oggetto sociale; previsione di severi
limiti ai compensi ed alla composizione numerica degli organi sociali,
8
Si segnala l’interessante contributo di C.IBBA, Le società “legali”, Torino, 1992, il
quale evidenzia la distinzione circa le due fasi storiche piuttosto diverse e che hanno
contraddistinto il differente rilievo in chiave pubblicistica delle società pubbliche.
9
F. CINTIOLI, Disciplina pubblicistica e corporate governance delle società partecipate
da enti pubblici, in Giustamm.it, 2010.
10
Vedi in argomento, G. NAPOLITANO, Le società pubbliche tra vecchie e nuove
tipologie, Dir. soc., 2006; M. CLARICH, Società di mercato e quasi amministrazioni, in
Dir.amm., 2009; R. URSI, Riflessioni sulla governance delle società in mano pubblica, Dir.
amm., 2004.
8
selezione del personale mediante moduli di tipo procedimentale e
concorsuale. Ovviamente, non basta essere società pubblica tout court
per l’applicazione automatica dei diversi istituti, ma il loro intervento
avviene secondo che ricorrano o meno determinati presupposti o
“indici pubblicistici”.
Bisogna, inoltre, ricordare che vi sono degli interessi di ordine
generale assunti dall’ordinamento e tutelati nei confronti della società
pubblica; il primo è quell’interesse che solitamente è riferito alla tutela
della concorrenza per il mercato e che concerne la selezione dei
contraenti compiuta dai soggetti che gravitano nella sfera pubblica; il
secondo è l’interesse alla gestione imparziale e soprattutto
parsimoniosa delle risorse pubbliche ed al contenimento degli oneri
gravanti sulla spesa pubblica; il terzo è l’interesse all’efficienza del
servizio pubblico che costituisce spesso proprio il tipo principale di
prestazione posta in essere dalle società pubbliche. Alla luce di tutto
ciò, non bisogna limitarsi ad un lavoro di mera esegesi ma occorre
scegliere un metodo ed un criterio tale da guidare l’analisi e la
comprensione dell’assetto attuale. A fronte di tante norme singolari
occorre, innanzitutto, chiedersi come queste si pongano rispetto alla
disciplina civilistica della società per azioni e, in particolare se esse si
pongano ancora come norme di specie rispetto al genus codicistico o
9
se abbiano ormai assunto dimensione di disciplina settoriale, in sé
limitata ed autosufficiente.
Nel piano di questo lavoro, inoltre, trova spazio il ruolo degli
organi comunitari nell’iter di riforma della disciplina della nomina
pubblica alle cariche sociali contenuta negli artt. 2449-2450 c.c., sulla
quale sono intervenuti significativi provvedimenti di riforma11.
La sentenza del 6 dicembre 2007 della Corte di Giustizia ha
costituito una tappa fondamentale del percorso di ridefinizione in
chiave comunitaria dei poteri speciali, poiché per la prima volta non
11
L’art.2449 c.c.,nella sua versione anteriore alla legge Comunitaria stabiliva che “se
lo Stato o enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni, lo statuto può ad
essi conferire la facoltà di nominare uno o più amministratori o sindaci ovvero
componenti del consiglio di sorveglianza. Gli amministratori e i sindaci o i componenti
del consiglio di sorveglianza nominati a norma del comma precedente possono essere
revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati. Essi hanno i diritti e gli obblighi dei
membri nominati dall’assemblea. Sono salve le disposizioni delle leggi speciali”. Va
evidenziato come la dottrina fosse divisa fra i sostenitori della prospettiva pubblicistica o
funzionalistica, da un lato, secondo i quali nel rapporto fra amministrazione nominante
ed amministratore nominato prevale la natura pubblicistica, sicché il primo potrebbe
impartire al secondo direttive vincolanti, rapporto destinato a prevalere su quello,
privatistico, che intercorre fra società ed amministratore; ciò si rifletterebbe anche
sull’atto di nomina e di revoca, che, nel silenzio dello statuto, avrebbe quindi natura di
atto amministrativo,che non necessita di ratifica o approvazione da parte dell’assemblea
(OTTAVIANO, Sull’impiego a fini pubblicistici della società per azioni, in Riv. Soc., 1960,
1043; ROVERSI MONACO, Revoca e responsabilità dell’amministratore nominato dallo
Stato, in Riv. Dir. civ., 1960). E dall’altro lato, coloro che escludono la duplicità del
rapporto (pubblicistico e privatistico) in capo agli amministratori di nomina pubblica,
riguardo ai quali l’unica differenza rispetto a quelli di nomina assembleare riguarda solo
la fonte dalla quale discende il proprio incarico e che semmai sono più sensibili agli
interessi dell’ente pubblico nominante. Tale sensibilità si traduce nel controllo,
esercitabile con la loro presenza all’interno dell’organo amministrativo, sulla correttezza
dell’operato e sul perseguimento dell’interesse sociale e conseguentemente
dell’interesse pubblico ( CIRENEI, Le società per azioni a partecipazione pubblica, in
Tratt. Colombo-Portale,8,Torino,1992; PERICU, sub artt.2449-2450, in Niccolini-Stagno
d’Alcontres, Società di capitali. Commentario, Napoli, 2004, II, 1296 s; GOISIS, Contributo
allo studio delle società in mano pubblica come persone giuridiche, Milano, 2004, 117
ss).
10
venivano rimessi al giudizio della Corte poteri speciali derivanti da
una normativa speciale di settore, ma norme generali di diritto
societario di uno Stato membro12.
Il nuovo testo dell’art. 2449 c.c. distingue sul piano della
disciplina applicabile fra società con partecipazione pubblica che non
fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, cui sono riservati i
primi due commi, e società partecipate che fanno ricorso al mercato
del capitale di rischio, cui è dedicato l’ultimo comma, e per le quali è
dettata anche una specifica disciplina transitoria.
Il fenomeno degli amministratori della società in mano pubblica
ha generato il susseguirsi di pronunce in numero sempre crescente,
soprattutto in materia di responsabilità.
Sul punto si è sviluppato in
dottrina un ampio ed articolato dibattito che traeva in buona parte le
sue premesse dalla profonda evoluzione giurisprudenziale, il quesito
che si è posto soprattutto la dottrina si traduce in quello se agli
amministratori di tali società si applichino comunque le norme di
diritto societario o se dalla presenza della mano pubblica non
consegua l’assoggettamento di questi soggetti
alle norme proprie
della responsabilità amministrativa, e, quindi, alla giurisdizione
contabile, profilo questo distintivo rispetto alla disciplina generale. In
12
In argomento v. C. CAVAZZA. Golden share, giurisprudenza comunitaria ed
abrogazione dell’art. 2450 c.c., in Le nuove leggi civili commentate, n.5, 2008, 1208.
11
tale contesto è intervenuto di recente il legislatore che con la rozza
formulazione dell’art.16 bis della legge n.31 del 200813 che ha
determinato diversi problemi applicativi14. L’inquadramento della
materia pone una serie di problematiche sia interpretative, sia
operative in quanto vengono in rilievo, oltre ad aspetti di natura
comunitaria, anche aspetti di natura pubblicistica e privatistica che si
intersecano e si sovrappongono, delineando un quadro normativo che
stenta a trovare una sua coerenza complessiva.
13
Essa ha convertito il decreto- legge 31 dicembre 2007, n.248 (decreto mille
proroghe), recante proroga dei termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni
urgenti in materia finanziaria.
14
Cfr.E.F.SCHLITZER, Il regime giuridico della responsabilità degli amministratori e
dipendenti delle s.p.a. a partecipazione pubblica e l’art.16 bis del c.d. mille proroghe, e
M.A. SANDULLI, “L’art.16bis del decreto mille proroghe sulla responsabilità degli
amministratori e dipendenti delle S.p.A. pubbliche: restrizione o ampliamento della
giurisdizione della Corte dei conti? in Federalismi.it i quali prevedono, a tal proposito,
secondo una comune conclusione un possibile intervento della Corte Costituzionale.
12
CAPITOLO I
GLI AMMINISTRATORI DI S.P.A. IN MANO PUBBLICA:
INNOVAZIONI AL REGIME GENERALE APPORTATE DA
LEGGI SPECIALI
SOMMARIO: 1.1 Ricognizione della disciplina speciale – 1.2
La nomina pubblica di amministratori – 1.3 Le tesi pubblicistiche e
privatistiche – 1.4 Cause ostative alla nomina per la carica di
amministratore – 1.5 Diritto al compenso – 1.6 Identificazione delle
fattispecie rilevanti: art.2389 c.c – 1.7 I fattori che influiscono
sull’entità dei compensi degli amministratori – 1.8 Disposizioni della
Legge Finanziaria 2007: compensi spettanti agli amministratori di
società partecipate da enti locali - 1.9 Numero dei componenti del
consiglio di amministrazione
13
1.1 Ricognizione della disciplina speciale
I recenti interventi normativi vanno delineando una disciplina speciale
che al di fuori delle previsioni codicistiche delinea, secondo parte
della dottrina, un modello societario proprio degli enti pubblici, per
cui strutturano una sorta di “statuto speciale” della società in mano
pubblica, avente valenza derogatoria rispetto al corpus delle
corrispondenti
disposizioni
di
diritto
comune
previste
dall’ordinamento societario. Ciò ha comportato il delinearsi di tratti di
specialità per macrocategorie di società pubbliche quali società a
controllo totalitario o maggioritario, società costituite da regioni o enti
locali, società non quotate15.
L’attuale quadro giuridico delle società in mano pubblica è
composto da diverse disposizioni speciali, spesso introdotte senza un
disegno organico in risposta a esigenze contingenti perseguendo scopi
eterogenei.
Le leggi finanziarie per il 2007 e per il 2008 hanno imposto
vincoli stringenti all’organizzazione interna e all’operatività delle
società a partecipazione pubblica, implicitamente assimilandole alle
pubbliche amministrazioni, ciò ha comportato una disparità di
15
M.CLARICH, “Società di mercato e quasi amministrazioni”, relazione al Convegno “
Le società tra Stato e mercato: alcune proposte di razionalizzazione della disciplina”
(nt.10).
14
trattamento tra imprese pubbliche e private a svantaggio delle prime.
Al contempo, la giurisprudenza16 ha esteso agli amministratori delle
società a partecipazione pubblica il regime di responsabilità
amministrativa, oggetto di successiva analisi, sottoponendoli alla
giurisdizione della Corte dei conti. Tale approccio, pur giustificato da
esigenze di controllo della spesa pubblica, limita le esigenze
organizzative e di mercato introducendo rigidità e distorsioni lesive
dell’efficace gestione dell’impresa17.
La l. finanziaria per il 2007, l. 27 dicembre 2006 n.296,
contiene numerose novità, oggetto di analisi, in tema di compensi,
numero e nomina degli amministratori di società partecipate da enti
locali; disposizioni successivamente confermate dalla l. finanziaria
2008, in materia di composizione e spese degli organi delle società
pubbliche.
16
Tale orientamento ha iniziato ad affermarsi nel 2003, quando la Cass. ha affermato
la competenza della Corte dei Conti anche per i fatti commessi dai dipendenti degli enti
pubblici economici nello svolgimento di attività imprenditoriali ( Cass., s. u., ord. 22
dicembre 2003, n.19667).
Nel 2004 la Cass. ha dichiarato che la responsabilità amministrativa e la conseguente
giurisdizione della Corte dei Conti sussistono anche nei confronti degli amministratori di
una società per azioni a partecipazione quasi totalitaria di un ente locale, quando tra la
società e l’ente locale si stabilisce un rapporto di servizio (Cass., s. u., sentenza 26
febbraio 2004, n. 3899). Anche la Corte dei Conti si è orientata nel senso di ritenere
sussistente la propria giurisdizione per i giudizi di responsabilità amministrativa nei
confronti di amministratori e dipendenti di società controllate, anche indirettamente,
dalle pubbliche amministrazioni (Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Lombardia, 22
febbraio 2006, n.114 e 5 settembre 2007, n.448).
17
Cfr. ASSONIME, Principi di riordino del quadro giuridico delle società pubbliche,
Roma, 2008, in www.assonime.it.
15
Per espressa previsione di legge,al fine di evitare eventuali
alterazioni nelle quotazioni dei titoli derivanti da interventi autoritativi
sulla struttura e sul funzionamento della governance societaria,
vengono escluse dall’applicazione delle disposizioni in disamina le
società quotate in borsa, ad eccezione di quelle inerenti le “cause
ostative” di cui al comma 734.
Il legislatore opera una prima e fondamentale distinzione tra
società “a totale partecipazione pubblica” di comuni e province e
società denominate “miste”. Un primo gruppo di norme è relativo
all’individuazione dei limiti massimi dei compensi attribuibili ai
componenti l’organo amministrativo di società partecipate da enti
locali18.
I compensi massimi attribuibili, lordi annui ed onnicomprensivi,
sono individuati assumendo come parametro di riferimento l’indennità
18
La Corte cost., con la sentenza 20 maggio 2008, n.159, ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art.1, commi 725, 726 e 728 della legge finanziaria 2007 nella parte in
cui essi trovano applicazione agli enti locali delle province autonome di Trento e Bolzano
, nonché l’illegittimità della disposizione (c. 730) che prevede, a titolo di coordinamento
della finanza pubblica, un obbligo per le Regioni e le Province autonome di adeguarsi alla
disciplina dei compensi già illustrata relativamente alle società da esse partecipate. Il
motivo che rende fondato il ricorso è quello per il quale nella fattispecie lo Stato ha
esercitato il proprio potere di coordinamento della finanza pubblica in violazione dei
limiti di cui al terzo comma dell’ art.117 della Cost. La norma infatti obbliga il legislatore
regionale o provinciale ad adeguare i compensi e il numero massimo degli
amministratori delle società partecipate ai principi dei commi da 725 a 735, ossia a
disposizioni assai particolareggiate.
Vincolando Regioni e Province autonome all’adozione di misure analitiche e di
dettaglio la norma ne ha illegittimamente compromesso l’autonomia finanziaria, non
limitandosi ad enunciare i soli principi fondamentali della materia.
16
annua lorda del sindaco (se il socio unico è un comune) o del
presidente della provincia (se il socio unico è una provincia).
Il legislatore non fa nessuna distinzione rispetto alle singole
cariche interne all’organo amministrativo, ma è ovvio che l’eventuale
differenziazione dei compensi in relazione alla carica rivestita, non
potrà superare il tetto massimo stabilito per i singoli membri
dell’organo amministrativo, e quindi il limite del 70%.
La previsione di “onnicomprensività” della retribuzione trova
una parziale deroga nel secondo periodo del comma 725, in virtù del
quale è prevista la possibilità di ancorare i compensi degli
amministratori ai risultati di efficienza gestionale, conseguiti dalla
società.
Ne consegue che tale indennità “di risultato”19 è commisurata
alla produzione di risultati d’esercizio positivi ed è erogabile solo
negli esercizi in cui questi siano stati effettivamente conseguiti.
La disposizione ora citata sembra fare riferimento al comma 2
dell’art.2389 c.c., il quale prevede che i compensi degli amministratori
19
La cui eventuale differenziazione, in ragione della carica rivestita e delle diverse
competenze e responsabilità attribuite è rimessa alla medesima previsione statutaria o
assembleare ed in conformità con quanto previsto dall’2389 c.c.
17
di società per azioni “possono essere costituiti in parte da
partecipazione agli utili20”.
Va detto, per altro, che questa scelta di limitare i compensi degli
amministratori di società partecipate da enti locali non è stata
l’impulso di una parte politica. Conferma di ciò è l’intervento
effettuato in proposito con la manovra estiva (art.61, c.12, l.
n.133/2008), la quale prevede un’ulteriore limitazione, tesa sia a
ridurre l’entità del compenso, da 80% a 70% per il presidente, da 70%
a 60% per il consigliere di amministrazione, sia a circoscrivere
quell’ultima soglia di indeterminatezza che riguardava “ la possibilità
di prevedere indennità di risultato solo nel caso di produzione di utili e
in misura ragionevole e proporzionata” che ora si precisa va prevista
“in misura comunque non superiore al doppio del compenso
onnicomprensivo di cui al primo periodo”21.
20
Si rinvia alla disamina di C. TESSAROLO, “Gli Amministratori delle società
partecipate dagli Enti Locali: compensi, numero (le disposizioni della Legge Finanziaria
2007)”, in www.dirittodeiservizipubblici.it .
21
D.L. n.112, convertito in l. n.133/2008 che all’art.61, c.12 “all’art.1, c.725, della
legge 27 dicembre 2006, n.296, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) nel primo periodo, le parole:” all’80 per cento” e le parole: “al 70 per cento” sono
rispettivamente sostituite dalle seguenti: “ al 70 per cento” ed al 60 per cento”;
b) nel secondo periodo, le parole: “ e in misura ragionevole e proporzionata sono
sostituite dalle seguenti: “e in misura comunque non superiore al doppio del compenso
onnicomprensivo di cui al primo periodo”;
c) è aggiunto , infine, il seguente periodo: “Le disposizioni del presente comma si
applicano anche alle società controllate, ai sensi dell’art.2359 del codice civile, dalle
società indicate nel primo periodo del presente comma”.
18
Da tutto ciò emergono incongruenze e criticità delle
disposizioni nazionali laddove si propone di considerare il medesimo
tetto per tutte le società controllate dall’ente locale, cioè sia per quelle
strategiche e complesse che per quelle che svolgono un’attività più
semplice.
A tal proposito il governo della Regione siciliana22 ha introdotto
relativamente alle società partecipate dalla Regione o da enti pubblici
regionali,
elementi
di
differenziazione
dei
compensi
degli
amministratori secondo le dimensioni dell’impresa prevedendo di
mantenere i compensi spettanti agli amministratori delle società
minori entro limiti ancora più bassi di quelli fissati dalla legge 23.
Bisogna comunque sottolineare che il capitale sociale, in quanto
grandezza solo nominale, risulta inidoneo a sintetizzare le complessità
produttive, economiche, strategiche e finanziarie delle società cui si
riferisce, per cui la fattispecie in esame necessita di nuovi interventi
finalizzati all’individuazione di ulteriori parametri in aggiunta a quello
del capitale sociale, attinenti al patrimonio, al numero dei dipendenti,
alla composizione quali-quantitativa del portafoglio prodotti/servizi
ovvero ancora alla dimensione territoriale della produzione magari
22
Delibera Giunta regionale del 1 ottobre 2007 n.383.
La precedente delibera ha previsto che i compensi degli amministratori delle
società con capitale sociale inferiore ad euro 750.000 non possono superare i limiti di
legge ulteriormente ridotti del 30%.
23
19
misurata da grandezze quali il fatturato, al fine di poter evitare
l’elusione delle disposizioni in oggetto.
Per quanto riguarda, invece, i compensi dei componenti degli
organi delle società partecipate da enti locali la Regione siciliana ha
previsto rispetto alle disposizioni nazionali, un ulteriore riduzione del
compenso dei componenti del consiglio di amministrazione che non
può essere superiore al 40% delle indennità spettanti al sindaco o al
presidente della provincia24.
Si ritiene, inoltre, che andrebbe in ogni caso vietata la
possibilità introducendo un’apposita clausola statutaria, di ricorrere
alla previsione di cui all’art.2389, c.3, del cod. civ., che stabilisce che
il consiglio di amministrazione possa prevedere compensi aggiuntivi
per i consiglieri delegati previo parere di congruità del collegio
sindacale25.
In tal senso la Corte dei conti26 partendo dall’individuazione di
due casi di società partecipate da enti locali che, dopo avere deliberato
in assemblea i compensi degli amministratori entro i tetti previsti dai
commi 725 e ss., e conferito, in seguito a decisione del consiglio di
24
L. Sicilia 16 dicembre 2008, n. 22. “Composizione delle giunte. Status degli
amministratori locali e misure di contenimento della spesa pubblica. Soglia di
sbarramento nelle elezioni comunali e provinciali della Regione. Disposizioni varie”.
25
In tal senso, S.POZZOLI, “Compensi degli amministratori di Società pubbliche e
trasparenza”, in Azienditalia n. 12/2008.
26
Corte dei Conti, Sez .reg. controllo per la Lombardia, 5 novembre 2008, n.220.
20
amministrazione, un importo assai maggiore all’amministratore
delegato , ha giudicato quello dell’ente locale un intento elusivo dei
commi 725 e ss. e successive modificazioni della l. finanziaria 2007 e
ha chiesto al consiglio comunale di attivarsi di conseguenza27.
Di recente nell’ambito del decreto legge n. 78/2010, finalizzato
al perseguimento di un generale ridimensionamento della spesa
pubblica, sono state inserite alcune previsioni attinenti al regime dei
compensi per gli organi di società pubbliche.
Il decreto introduce una netta differenziazione fra soggetti,
anche aventi forma privatistica, che “ comunque ricevono contributi a
carico delle finanze pubbliche”, in riferimento alle quali si dispone la
gratuità delle cariche sociali e società “possedute in misura totalitaria”
da amministrazioni pubbliche, in riferimento alle quali dispone una
riduzione per i compensi dei membri del consiglio di amministrazione.
È stato evidenziato28 se le due fonti normative, ossia la legge
296/2006, che come è noto, ha introdotto in modo organico
disposizioni in materia di compensi, e l’art. 6 del decreto in
27
La deliberazione arriva a questa conclusione: “ le società partecipate quanto alla
loro struttura sono disciplinate dalle norme di diritto comune, alle quali in linea di
principio occorre riferirsi per l’applicazione degli istituti societari. Peraltro, la funzione
che dette società svolgono nella organizzazione complessiva dei servizi pubblici che
fanno capo agli enti territoriali ha comportato l’interferenza su di un diverso piano di
normative pubblicistiche sia per rendere conforme il rapporto tra ente e società ai
principi comunitari sia per fissare regole delimitative ai poteri”.
28
R.BIANCHINI, I compensi degli amministratori di società partecipate da enti locali (
brevi note in orine all’art.6, comma 6, del D.L. n. 78/2010), in Giustamm.it, 2010.
21
commento, che al contrario detta una disposizione di portata
generale29, siano applicabili in modo cumulativo, oppure se al
contrario, le previsioni previste dal decreto legge siano incompatibili
con le disposizioni preesistenti. Si prospettano
due soluzioni
interpretative ossia quella dell’abrogazione delle disposizioni della
legge 296/2006 e quella della possibile applicazione simultanea di
entrambe le fonti normative. In quest’ultimo caso si verrebbe a
determinare una particolare situazione in cui gli amministratori
potrebbero vedersi sottoposti ad una serie di riduzioni di compensi
rendendo lo scenario relativo alle società partecipate da enti locali
ancora più complesso.
La presenza di un corpus normativo dedicato in modo specifico
alle società partecipate da enti locali, il quale disciplina in modo assai
particolareggiato il tema dei compensi per gli amministratori ( e per il
presidente della società), conduce a ritenere la specialità delle norme
dettate per gli amministratori di società di enti locali e, quindi,
l’inapplicabilità del decreto a tali soggetti.
Per
cui
non
può
che
sottolinearsi
l’incoerenza della
compresenza di due distinte fonti normative che parrebbe destinata a
risolversi o nel ritenere implicitamente abrogate le disposizioni di cui
29
Che si muove da un diverso presupposto e cioè quello della riduzione dei compensi
per i nuovi consigli di amministrazione, a partire dal prossimo rinnovo delle cariche.
22
alla legge 296/2006, o nel ritenere inapplicabili al settore delle società
di enti locali le norme del decreto legge a causa di una preesistente
legge speciale.
È entrata in vigore il 31 luglio scorso la legge n. 122/2010 di
conversione di tale decreto che ha confermato quasi tutti gli stringenti
vincoli in materia di società partecipate da enti pubblici.
La legge di conversione ha esteso anche alle partecipazioni
totalitarie indirette degli enti locali l’obbligo di ridurre del 10% il
compenso ai componenti del consiglio di amministrazione e “ degli
organi di controllo”( il decreto l’aveva previsto solo per le
partecipazioni totalitarie dirette e per il collegio sindacale). Tale
riduzione dovrà, essere applicata dal primo rinnovo successivo
all’entrata in vigore della legge di conversione.
1.2 La nomina pubblica di amministratori
In forza del disposto dell’articolo 2449 c.c. la sussistenza di una
partecipazione sociale è indispensabile per l’attribuzione del potere di
nomina diretta dei componenti degli organi sociali riconoscibile
statutariamente al socio pubblico. Nell’ambito delle società azionarie,
in particolare, il diritto speciale di nomina ex artt. 2449-2450 c.c. è
23
divenuto il mezzo per assicurare alla mano pubblica un potere
direttoriale che prescinde dalle regole dell’economia capitalista30 , per
le quali il controllo deve essere concepito in termini di mera
corrispettività alla partecipazione al capitale.
Prima dei recentissimi interventi del legislatore di cui si parlerà
nel capitolo successivo, uno dei problemi non risolti degli artt. 24492450 c.c. riguardava eventuali limiti “quantitativi” ai poteri di nomina
attribuiti allo Stato o all’ente pubblico dalla legge o dallo statuto 31. Né
la disciplina stabiliva se, in presenza di una partecipazione, lo Stato o
l’ente pubblico, una volta nominati, direttamente o indirettamente, gli
amministratori o i sindaci, ai sensi dell’art.2449 c.c., potesse
partecipare insieme agli altri soci, alla deliberazione assembleare
relativa alla nomina degli altri componenti del consiglio di
amministrazione o dell’organo di controllo e quindi se i poteri speciali
di nomina potessero cumularsi ai diritti amministrativi commisurati
all’entità della partecipazione azionaria.
Per quanto riguarda l’incidenza sugli equilibri della società
bisogna sottolineare che per un verso, il diritto speciale di nomina ha
30
G. PAGANETTO, Il potere governativo di nomina, Napoli, 1994
L’art.2449 c.c. contemplava la facoltà di nominare” uno o più” amministratori e
sindaci e dopo la riforma del diritto societario uno o più componenti del consiglio di
sorveglianza, senza chiarire tuttavia, se attraverso lo speciale potere di nomina fosse
possibile designare anche la maggioranza o addirittura tutti i componenti degli organi di
amministrazione controllo della società.
31
24
legittimato l’azionista pubblico ad esercitare un controllo anche sulle
società
partecipate
in
misura
minoritaria,
sovvertendo
il
funzionamento del principio maggioritario e la regola della
corrispettività tra controllo e rischio32; per altro verso, ha consentito
che si decidesse della nomina e della revoca delle cariche sociali al di
fuori del contesto assembleare33, favorendo il consolidamento di una
relazione fiduciaria con amministratori e sindaci ridotti ad operare alla
stregua di una longa manus dell’ente pubblico.
Risulta ovvio, senza per questo accedere alle opinioni che
teorizzano un dovere per gli amministratori nominati singolarmente di
attenersi alle direttive dell’ente pubblico, che il sistema delineato
dall’art.2449 c.c. spesso abbia favorito il sorgere di una situazione
occulta di direzione dell’attività dei consiglieri di nomina pubblica34.
Bisogna sottolineare, comunque, che a seguito della riforma del diritto
societario tale deroga, statutaria o normativa, non rappresenta più un
32
F.GALGANO, La società per azioni, in Trattato di diritto commerciale e di diritto
pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, Padova, 1988, 491 s.
33
F. GALGANO(nt.32) secondo il quale “ La deroga consiste, in questo caso, nel fatto
che nomina e revoca, vengono sottratte al dibattito assembleare: scaduto il triennio di
carica, l’azionista pubblico provvederà, con proprio atto, alla conferma o alla
sostituzione degli amministratori o dei sindaci, senza che la materia venga messa
all’ordine del giorno dell’assemblea e senza possibilità, per la minoranza azionaria, di
interloquire sulla scelta delle persone”.
34
F. BONELLI, Gli amministratori di società per azioni, Milano,1985, 16 ss., secondo il
quale l’eterodirezione è un fenomeno che, pur senza scalfire la formale autonomia
decisionale e l’esclusiva competenza gestoria degli amministratori, “ rimane piuttosto
diffuso nella prassi”.
25
eccezione in senso assoluto in quanto per un verso, il terzo comma
dell’art.147 ter T.U.F. prevede che almeno uno dei componenti del
consiglio di amministrazione è espresso dalla lista di minoranza che
abbia ottenuto il maggior numero di voti e non sia collegata in alcun
modo con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima
per numero di voti35. E l’art.148, comma 2, T.U.F. dispone che la
Consob stabilisca con regolamento modalità per l’elezione, con voto
di lista, di un membro effettivo del collegio sindacale da parte dei soci
di minoranza. In tale prospettiva, per le società aperte esiste un
sistema che garantisce la possibilità per le minoranze di designare
propri rappresenti negli organi di governo delle società per azioni. Per
altro verso non rappresenta più un’eccezione la circostanza che, come
in precedenza prevedeva l’art.2450 c.c., tale designazione sia attribuita
ove previsto dalla legge, anche a soggetti diversi dagli azionisti,in
quanto il diritto di designazione di un amministratore può oggi essere
assegnato ai titolari di strumenti finanziari ai sensi del quinto comma
dell’2351 c.c.36 Un’ulteriore precisazione in ordine al potere di
35
Per maggiori approfondimenti dopo l’introduzione della legge sul risparmio cfr. G.
GUIZZI, Il voto di lista per la nomina degli amministratori di minoranza nelle società
quotate: spunti per una riflessione, in Corr .Giur. 2007, 1ss; M. VENTORUZZO, La
composizione del consiglio di amministrazione delle società quotate dopo il d.lgs.
n.303/2006, in Riv. soc., 2007, 205.
36
“ Gli strumenti finanziari di cui agli articoli 2346, sesto comma, possono essere
dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati e in particolare può essere
ad essi riservata, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente
26
nomina diretta ai sensi dell’art. 2449 c.c. riguarda il sistema dualistico,
in relazione al quale si prevede espressamente il potere dello Stato e
dell’ente pubblico di nominare membri del consiglio di sorveglianza.
La prescrizione, che ad una prima lettura sembrerebbe doversi
intendere quale esclusiva del potere di nominare consiglieri di
gestione della società, ritenendosi che tale potere spetti soltanto al
consiglio di sorveglianza, in realtà va letta unicamente a quella
dell’art.
2409-novies,
comma
3.
Tale
norma,
che
dispone
l’attribuzione al consiglio di sorveglianza del potere di nomina dei
consiglieri di gestione, fa “salvo quanto disposto dagli articoli 2351,
2449 e 2450”, e presuppone quindi che tali norme ammettano il potere
di nomina diretta dei consiglieri di gestione, rispettivamente, in capo
ai possessori di strumenti finanziari e allo Stato o agli enti pubblici, in
deroga cioè al generale riconoscimento di tale potere al solo consiglio
di sorveglianza37. Il sistema relativo alla composizione degli organi
delle società a partecipazione pubblica ed alle vicende successive alla
loro nomina è stato poi arricchito nel tempo da diversi provvedimenti
normativi che hanno determinato profili distintivi rispetto al sistema
indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un
sindaco. Alle persone così nominate si applicano le medesime norme previste per gli altri
componenti dell’organo cui partecipano”.
37
La correttezza di tale soluzione è legittimata dall’ampia clausola di equiparazione
tra amministratori e consiglieri di gestione di cui agli artt. 2380, comma 3, e 223-septies,
comma 1, c.c.
27
di diritto comune. Tra questi interventi merita una nota la disciplina
della proroga degli “ organi di amministrazione attiva, consultiva e di
controllo” delle “ persone giuridiche a prevalente partecipazione
pubblica”, tra cui anche le società a partecipazione pubblica
maggioritaria38. Si dispone quindi “per gli organi amministrativi” la
possibilità di una proroga limitata a 45 giorni dopo la scadenza, con la
conseguenza che durante la proroga si possono compiere i soli “atti di
ordinaria amministrazione, nonché gli atti urgenti e indifferibili” e
che scaduta la proroga , gli amministratori decadono e gli atti
eventualmente compiuti sono considerati nulli39. Era opinione diffusa
abusare nella pratica della prorogatio consentendo che organi di enti
pubblici operassero per un tempo eccessivamente prolungato, senza
che si provvedesse alla sostituzione dei componenti scaduti degli
organi, per decorso del termine40. Tale orientamento è cessato con
l’intervento della Corte Costituzionale che ha chiarito che l’istituto
della prorogatio sine die degli organi pubblici è in contrasto con la
Costituzione, in quanto consentirebbe di non procedere al rinnovo
38
Art. 1 d.l. 16 maggio 1994, n. 293, conv. dalla l. 15 luglio 1994, n.444
A. GUACCERO, Alcuni spunti in tema di governance delle società pubbliche dopo la
riforma del diritto societario, relazione al Convegno “Le società pubbliche e la riforma
del diritto societario”, Palermo, 26-27 febbraio, 2004, in Riv. soc., 2004, secondo il quale
la disciplina della limitazione della prorogatio deve limitarsi ai soli organi amministrativi
e non di controllo di società, quando di essi facciano parte componenti nominati dallo
Stato o da enti pubblici in applicazione dei poteri di cui agli artt. 2449-2450.
40
V. in argomento G. CABRAS, Prorogatio e spoils system per gli amministratori nelle
società in mano pubblica, in www.federalismi.it, 2006.
39
28
tempestivo delle cariche, in violazione della riserva di legge in materia
di organizzazione amministrativa41. Diverse le problematiche circa
l’applicabilità della legge n.444/1994 alle società e il coordinamento
con la disciplina generale del codice.
Un’ulteriore disciplina speciale applicabile alla nomina delle
cariche sociali nelle società a partecipazione pubblica è quella dello
spoil system, di cui all’art.6, comma 1, l. 15 luglio 2002, n.145.
Dal punto di vista applicativo esso è relativo alle “nomine degli
organi di vertice e dei componenti dei consigli di amministrazione
della società controllate o partecipate dallo Stato, conferite dal
Governo o dai Ministri nei sei mesi antecedenti la scadenza naturale
della legislatura o nel mese antecedente lo scioglimento anticipato di
entrambe le Camere”. Per cui è prescritto che la nomina sia conferita
dal Governo o dai Ministri, intendendo ancora una volta che si è fuori
dal campo di applicazione quando le nomine vengono effettuate
attraverso il procedimento assembleare. Si tratta di una norma che
dovrebbe consentire al governo subentrante di sostituire le nomine
“pubbliche” effettuate prima della scadenza della legislatura con
nuove nomine rappresentative del cambiamento politico.
41
Corte cost., sentenza 4 maggio 1992, n.208
29
In questo scenario così complesso si inserisce una sentenza del
Tar Campania42 in cui si ribadisce l’orientamento giurisprudenziale,
sentenze 1184/2008 e 2252/2008, secondo il quale il potere di nomina
di amministratori e sindaci di società a capitale pubblico viene
esercitato dal soggetto non nella veste di pubblica amministrazione ma
al pari di qualsiasi socio privato. Il percorso evolutivo seguito sul tema
dalla giurisprudenza amministrativa in questi ultimi anni è stato
sintetizzato da Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, n.1984 del 18
dicembre 200643. Il tema in oggetto riconduce alla presa di posizione
della Corte costituzionale, che nella sentenza n.326 del 2008, ha
evidenziato la distinzione tra attività amministrativa in forma
privatistica e attività di impresa di enti pubblici44 .
Tutto ciò premesso quindi appare dubitabile che una società cui
è stata sottratta ex lege, in ragione della qualità di taluni partecipanti,
42
Tar Campania-Napoli, sez. I, 23.12. 2009, n.9341 in Diritto e pratica amministrativa,
1, 2010.
43
In quella sede si è fatto notare che “ Secondo un primo orientamento (Cons. Stato,
sez. V, 11 febbraio 2003), recepito dalle sezioni unite della Corte di cassazione (Cass.
Sez.Un.15 aprile 2005, n.7799), la giurisdizione spetterebbe al giudice ordinario, in
quanto il potere di nomina e quindi revoca di amministratori e sindaci di società a
partecipazione statale o di altri enti pubblici contemplato dagli artt. 2449-2450 c.c. è
attribuito al soggetto pubblico nella sua veste di socio, risolvendosi nell’esercizio diretto
di un potere altrimenti riservato all’assemblea”.
44
La Corte in questa sentenza ha precisato “ la distinzione tra attività amministrativa
in forma privatistica e attività d’impresa di enti pubblici. L’una e l’altra possono essere
svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse. Nel
primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da
società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel secondo
caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico in regime di concorrenza”.
30
della libertà di autorganizzarsi in ordine al numero complessivo, ai
compensi e alle indennità dei componenti del consiglio di
amministrazione possa davvero inquadrarsi nel novero di “ istituti
caratterizzati da elementi di matrice pubblicistica, ma che conservano
natura privatistica”.
1.3 Le Tesi pubblicistiche e privatistiche
Sempre in tema di nomina pubblica, bisogna sottolineare che si tratta
di una materia “ di confine” tra privatisti e pubblicisti che ha dato
luogo
alla corrente interpretativa “funzionalistica” indirizzata a
valorizzare l’aspetto pubblicistico della partecipazione del socio
pubblico, e a quella “organizzativa” ( o Privatistica) finalizzata ad
evidenziare la neutralità della natura giuridica dei soci rispetto alla
disciplina societaria che, salvo specifiche deroghe, non si scosta da
quella comune45.
La divergenza tra i due orientamenti è relativa alla diversa
interpretazione del limite tra il potere pubblico di nomina e
l’autonomia dell’amministratore nell’esercizio delle sue funzioni. Alla
luce di ciò per la teoria funzionalistica l’atto di nomina (e quindi di
45
Per la ricostruzione analitica delle due impostazioni v. A. PERICU, artt. 2449-2450,
(nt.11), 1292 ss.
31
revoca)
riveste
natura
extrassembleare
di
provvedimento
amministrativo che non necessita, in assenza di specifiche disposizioni
statutarie, di alcuna ratifica o approvazione assembleare46.
Una contrapposizione rilevante con il diritto societario è
rappresentata dalla ricostruzione in termini pubblicistici del rapporto
che si creerebbe tra il nominato e il socio pubblico che ha effettuato la
nomina, a cui è consentito impartire direttive vincolanti al nominato
sugli obiettivi da perseguire all’interno dell’organo sociale di
appartenenza47, legittimando in questo modo il perseguimento di un
interesse extrasociale che mal si concilierebbe con quello tipicamente
egoistico
della
società48.
Di
contro
secondo
la
corrente
“organizzativa”, la prevalenza del rapporto pubblicistico su quello
privatistico contrasta con il corretto svolgimento dei lavori dell’organo
sociale e quindi con il diritto societario in quanto si legittimerebbe la
rilevanza causale dell’interesse pubblico, facendo prevalere lo stesso
su quello tipico ed istituzionale della società funzionalizzando
l’attività della stessa verso gli interessi extrasociali di un solo socio.
46
In argomento, CASELLI, Vicende del rapporto di amministrazione, in Trattato delle
società per azioni, diretto da Colombo e Portale, 4, Torino, Utet, 1991, 8 ss; Di CHIO,
Società a partecipazione pubblica, in Dig. disc. priv., Sez. comm., Torino, 1996, XIV, 167.
47
ROVERSI MONACO, Revoca e responsabilità dell’amministratore nominato dallo
Stato,(nt.11), 269; OTTAVIANO, Sull’impiego a fini pubblici della società per azioni,
(nt.11) , 1046
48
I. DEMURO, La nomina delle cariche sociali nella società a partecipazione pubblica
dopo le censure della giurisprudenza comunitaria, in Profili attuali di diritto societario
europeo, a cura di G. Ferri jr. e M. Stella Richter jr., Milano – Giuffrè, 2010.
32
In questo scenario risulta fondamentale ricostruire la fattispecie
tenendo conto degli “interessi” pubblici, che, in ogni caso non
potranno prescindere dalle regole e principi societari49.
Appare ovvio che gli amministratori di nomina pubblica50 , al
pari di quelli di nomina assembleare, rispondano e siano responsabili
solo ed esclusivamente dell’interesse sociale, e non siano invece
soggetti a due distinti doveri e a due autonome fonti di responsabilità,
regolati da regimi diversi.
La riforma del diritto societario ha ribadito l’uguaglianza dei
diritti e dei doveri in capo ai componenti dello stesso organo e ciò sta
a dimostrare l’uguaglianza dei componenti degli organi sociali a
prescindere dalla fonte da cui proviene il loro incarico.
È evidente come gli amministratori pubblici possano agire
anche in funzione degli obiettivi dell’ente, ma in quanto questi siano
rilevanti nella comunione di interessi voluta dai soci o prevista per
legge e, quindi al pari degli amministratori nominati dall’assemblea51.
L’uguaglianza dei componenti dello stesso organo non preclude
di ipotizzare che gli amministratori di nomina pubblica siano più
49
In tal senso OPPO, Diritto privato e interessi pubblici, in Scritti Giuridici, VI, Padova,
2000 ,50.
50
Le stesse conclusioni valgono anche per i sindaci e per i componenti del consiglio
di sorveglianza.
51
Vedi in tal senso A. PERICU, La giurisdizione sulle controversie in materia di nomina
e di revoca di amministratori o sindaci di società ex art. 2449 e 2450, c.c. Brevi note, in
Riv. giur. sarda, 2006.
33
“sensibili” agli interessi pubblici, ma ciò rientrerebbe nel tipo di
rapporto con i propri fiducianti. Tale considerazione, però, non si
traduce in una funzionalizzazione dell’intera attività sociale; questa
diversa “sensibilità” potrebbe
manifestarsi in una funzione di
controllo o, eventualmente, in un mero interesse alla partecipazione
all’interno di detti
organi, strumentale riguardo all’operato
dell’organo di appartenenza nel perseguimento dell’interesse sociale
nel quale è assorbito l’interesse pubblico52.
Per cui la nomina di un amministratore da parte di un ente
pubblico può considerarsi strumentale al perseguimento diretto degli
interessi pubblici esclusivamente se è la legge a funzionalizzare
l’attività della società,modificandone la rilevanza causale in deroga
agli scopi tipici della fattispecie societaria53. Sono molte le
considerazioni che inducono oggi a prediligere una lettura
dell’art.2449 c.c. in chiave privatistico-organizzativa.
La
nomina
soggettivamente
pubblica
assume
rilevanza
privatistica in quanto produce i suoi effetti sul piano societario,
52
In tale senso, OPPO, , secondo il quale “l’interesse di cui è portatrice la
partecipazione pubblica….può essere ricondotto alla funzione concreta della società e
quindi alla sua causa concreta, o a una sua componente” , consentendo così la
confluenza dell’interesse pubblico anche nell’interesse sociale, inteso come interesse di
tutti i partecipanti che, in ogni caso, non possono ignorare il senso della partecipazione
pubblica.
53
MARASÁ, La società” senza scopo di lucro”, Milano, 1984, 353 ss.; IBBA, La
tipologia delle privatizzazioni, in Giur. comm., 2001, I, 464 ss.
34
rispetto al quale gli interessi pubblici si fermano alla previsione legale
o statutaria del potere di nomina54.
Alla
luce
di
tutto
ciò
elemento
di
differenziazione
dell’amministratore o del sindaco di nomina “pubblica” rispetto a
quello di nomina “privata” è relativo alla fonte e alla procedura della
sua nomina e della sua revoca.
1.4 Cause ostative alla nomina per la carica di amministratore
La circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 13 luglio
2007 chiarisce come il complessivo articolato di cui ai commi 725 ss.
oltre ad essere finalizzato al contenimento dei costi della politica mira
a disincentivare le “cattive” gestioni nelle società e negli enti ed
organismi in mano pubblica; in particolare,” il comma 734 ha
introdotto una causa ostativa per la nomina alla carica di
amministratore di un qualsiasi ente a totale o parziale capitale
54
A.PERICU, op.cit., (nt. 11) , il quale ipotizza che gli eventuali vizi dell’atto di nomina
e di revoca debbono essere fatti valere davanti al giudice ordinario qualora la nomina
diretta sia prevista dallo statuto ( e quindi riconducibile all’ 2449 c.c.) e davanti al giudice
amministrativo quando la fonte della nomina soggettivamente pubblica sia la legge.
35
pubblico, in relazione ai risultati di analoghi incarichi svolti in
precedenza”55.
In forza di tale disposizione, quindi, si configura come speciale
causa d’ineleggibilità alla preposizione alla carica di amministratore di
parte pubblica, l’aver chiuso in perdita almeno tre esercizi consecutivi
su di un periodo continuativo di cinque anni;
per cui si introduce un regime speciale di ineleggibilità per gli
amministratori delle società a partecipazione pubblica, in aggiunta a
quelli previsti dall’art.2382 c.c. La Corte cost. rileva, a tal proposito,
come la norma organizzativa in esame sia riferita a tutta la pubblica
amministrazione (statale, regionale e locale) illustra quindi il quadro
del riparto di competenze : lo Stato ha competenza esclusiva in tema
di organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici
nazionali, nonché l’organizzazione amministrativa degli enti locali
presenti nelle regioni a statuto ordinario (art.117 secondo comma
55
La Corte cost., con la sentenza 20 maggio 2008, n.159 ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale del comma 734 nella parte in cui esso si riferisce alle Regioni e alle
Province autonome di Trento e Bolzano, in quanto è stata ritenuta fondata la censura
riferita alla lesione apportata dal comma 734 alla autonomia organizzativa di Regioni e
Province. Tale autonomia è, infatti, garantita non solo dalle loro speciali disposizioni
statutarie, ma altresì dall’art.117, quarto comma, della Costituzione. Peraltro, anche ove
si volesse accedere all’interpretazione prospettata dall’Avvocatura di Stato, secondo cui
il comma 734 atterrebbe alla materia del coordinamento della finanza pubblica, resta
non superabile il rilievo, costante nella giurisprudenza di questa Corte, che disposizioni
di principio in tema di coordinamento della finanza pubblica possono prescrivere solo
criteri ed obiettivi, ma non imporre vincoli precisi e puntuali.
36
lett.g) e p); mentre sull’organizzazione degli enti locali presenti nelle
regioni a statuto speciale la competenza spetta alle regioni stesse,
infine in merito all’organizzazione delle Regioni e delle Province
autonome la competenza appartiene alle Regioni e alle Province
stesse. Ciò premesso la Corte dichiara illegittimo il comma 734
relativamente alla lesione apportata all’autonomia organizzativa delle
regioni e delle Province autonome, garantita non solo dalle loro
speciali disposizioni statutarie, ma altresì dall’art.117, quarto comma,
della cost., da intendersi applicabile a tutte le Regioni, ai sensi
dell’art.10 della l. cost. n.3 del 2001, il quale riserva alla potestà
legislativa
residuale
regionale
la
disciplina
dell’autonomia
dell’organizzazione amministrativa.
Diversi, in merito alla disposizione in esame, gli interrogativi
circa il coordinamento con il quadro normativo previgente. Il punto di
partenza per un’analisi del fenomeno attiene al corretto inquadramento
giuridico della fattispecie. Con la l.n.296/2006 si introduce un
requisito di professionalità che deve essere posseduto al momento del
conferimento del mandato. Il fine di prevedere dei requisiti di
professionalità risponde all’esigenza di subordinare la carica di
amministratore
solo
a
soggetti
in
possesso
di
determinate
caratteristiche di esperienza e competenza che non siano smentite da
37
determinati eventi, quali aver svolto negli ultimi anni funzioni di
amministratore, direzione o controllo in imprese sottoposte a
fallimento, a liquidazione coatta amministrativa o a procedure
equiparate; l’adozione di una di tali procedure è considerata,quindi,
come sintomo di mala gestio56; ma dai requisiti di professionalità
devono essere distinte le situazioni impeditive.
Il dato oggettivo considerato nel comma 734, e precisamente
l’aver “chiuso in perdita” tre esercizi consecutivi nei cinque anni
precedenti, rappresenta una novità rispetto al sistema in quanto si
abbandona
l’impostazione
“personalistica”
del
requisito
di
professionalità prevista sia da fonti codicistiche che extracodicistiche.
In virtù del riformato art.2387 c.c., gli statuti delle società per
azioni potranno richiedere per l’assunzione della carica di
amministratore il possesso di speciali requisiti di onorabilità, di
professionalità ed indipendenza. La norma indica altresì la possibilità
di fare riferimento ai requisiti previsti da “codici di comportamento”
redatti da associazioni di categoria e da società di gestione dei mercati
regolamentati.
56
F. DI SABATO, Sui requisiti soggettivi degli esponenti bancari: profili di diritto
societario, in Banca borsa, 1998, I,56.
38
In tal senso bisogna evidenziare che si tratta di requisiti
aggiuntivi rispetto a quelli previsti dall’art.2382 c.c. il quale prevede
le cause di ineleggibilità e decadenza dalla nomina ad amministratore;
dall’altro canto lo statuto non può limitarsi a previsioni generiche, ma
deve precisare i contenuti per ciascun requisito
57
. Pertanto, se lo
statuto prescrive tali requisiti, essi s’impongono
a tutti gli
amministratori, anche quelli la cui nomina per disposizione statutaria
spettasse direttamente allo Stato o ad enti pubblici ai sensi dell’art.
2449 c.c. Ovvia risulta l’equiparazione del regime tra amministratori
nominati dall’assemblea e amministratori nominati direttamente dal
soggetto pubblico.
In caso di eventuale difetto dei requisiti si determina
l’ineleggibilità/decadenza di cui all’art.2382, al quale rinvia
l’art.2387, comma 1, ma la questione più delicata è quella relativa alla
via giurisdizionale per fare valere l’illegittimità della nomina. La
giurisprudenza del Consiglio di Stato58 ha affermato la spettanza in
capo al giudice ordinario della giurisdizione in tema di controversie su
nomina e revoca dei componenti di organi sociali, anche quando
effettuate in attuazione dei poteri diretti quindi, extra- assembleari
57
V., in tal senso SANDULLI, Commento all’art.2387, in La Riforma delle Società,
Tomo I, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino 2003, 436 ss.
58
Cons. St. 13 giugno 2003, n. 3346; Cons. St. 11 febbraio 2003, n.708, in
www.giustiziaamministrativa.it
39
poiché è riconosciuta la fonte privatistica del potere speciale in capo al
soggetto pubblico.
Tale
soluzione
risulta
più
rilevante
nel
contesto
di
diversificazione delle forme di partecipazione alla società59. Il
requisito di professionalità incide sui profili di responsabilità degli
amministratori verso la società, in quanto il nuovo testo dell’art.2392
c.c. prevede la valutazione della diligenza dell’amministratore anche
alla luce dei parametri di competenza e di esperienza professionale
posseduti. In quest’ottica bisogna sottolineare che mentre la
professionalità, va considerata in astratto sulla base di titoli
genericamente qualificati,la competenza va riscontrata e verificata in
concreto60. Risulta necessario, inoltre, che i soggetti che svolgono
funzioni di amministrazione e direzione, non siano coinvolti in
situazioni, in genere penali, tali da ledere la loro credibilità.
Onorabilità61 e professionalità sono requisiti da tempo previsti
da leggi speciali per tutti gli amministratori delle società che svolgono
59
A. GUACCERO, Alcuni spunti in tema di governance delle società pubbliche dopo la
riforma del diritto societario, (nt.39), 854.
60
V., in argomento, Di SABATO, Sui requisiti soggettivi, cit. (nt.56) ; MINERVINI G., Gli
amministratori di società per azioni, Milano, Giuffrè , 1956.
61
Il requisito di onorabilità richiesto agli amministratori di società di intermediazione
finanziaria, di banche, di imprese assicurative, è , al contrario di quanto sopra
specificato, definito nel contenuto.“Le cariche di amministratore, sindaco e direttore
generale in banche non possono essere ricoperte da coloro che : a) si trovano in una delle
condizioni di ineleggibilità o decadenza previste dall’art. 2382 c.c.; b) sono stati
40
particolari attività, come quella bancaria, assicurativa, di investimento
e di intermediazione finanziaria62.
In realtà, non è del tutto convincente la scelta di introdurre un
requisito di professionalità fondato su un impostazione “oggettiva”:
cioè l’aver “chiuso in perdita” un determinato numero di esercizi. Va
premesso che, non può bastare l’avere svolto determinate attività per
un certo tempo, ma occorre anche una valutazione dell’attività svolta,
sottoposti a misure di prevenzione disposte dall’autorità giudiziaria ai sensi della l. 27
dicembre 1956, n.1423, o della l. 31 maggio 1965, n.575, e successive modificazioni ed
integrazioni, salvi gli effetti della riabilitazione;c) sono stati condannati con sentenza
irrevocabile, salvi gli effetti della riabilitazione: 1) a pena detentiva per uno dei reati
previsti nelle norme che disciplinano l’attività bancaria, finanziaria, mobiliare,
assicurativa, e dalle norme in materia di mercati e valori mobiliari, di strumenti di
pagamento; 2) alla reclusione per uno dei delitti previsti dal titolo XI del libro V del c.c. e
nel regio decreto 16 marzo 1942, n.267; 3) alla reclusione per un tempo non inferiore a
un anno per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica,
contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro l’economia pubblica ovvero per un
delitto in materia tributaria; 4) alla reclusione per un tempo non inferiore a due anni per
un qualunque delitto non colposo”.
62
Quanto ai requisiti di professionalità per Sim, Sgr e Sicav, è previsto che i
consiglieri di amministrazione e sindaci vengano scelti secondo criteri di professionalità
e competenza fra persone che abbiano maturato una esperienza complessiva di almeno
un triennio (un quinquennio per la carica di presidente del consiglio di amministrazione)
attraverso l’esercizio di: a) attività di amministrazione o di controllo ovvero compiti
direttivi presso imprese; b) attività professionali in materia attinente al settore
creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo o comunque funzionali all‘attività della
Sim, della Sgr, o della Sicav; c) attività d‘insegnamento universitario in materie
giuridiche o economiche; d) funzioni amministrative o dirigenziali presso enti pubblici o
pubbliche amministrazioni aventi attinenza con il settore creditizio, finanziario,
mobiliare o assicurativo o presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni che non
hanno attinenza con i predetti settori purché le funzioni comportino la gestione di
risorse economico-finanziarie( D.M. 11 novembre 1998, n.468); si vedano poi, per la
professionalità di soggetti che rivestano ruoli gestori in istituti bancari, gli artt. da 1 a 3
del D.M. 18 marzo 1998, n.161, in relazione all’art.26 D.Lgs. 1 settembre 1993, n.385.
41
che se negativa presuppone una carenza dei requisiti attitudinali; ma
ciò non deve però condurre a ritenere che le ricorrenti “chiusure in
perdita” si pongono sullo stesso piano del possesso di titoli di studio,
esperienze professionali e quant’altro.
Da ciò emerge che la fattispecie in oggetto potrebbe essere
collocata tra le situazioni impeditive che si distinguono nettamente dai
requisiti di professionalità. Ancora, da un raffronto con la disciplina
previgente potrebbe emergere che l’intento sia stato quello di
intervenire non tanto sul criterio di “professionalità”, quanto su quello
di “onorabilità” ai sensi del quale in base all’art.2382 c.c. si considera
causa di ineleggibilità lo status di fallito63.
Nella circolare, comunque, si ribadisce che si tratti proprio di
“professionalità” e non di “onorabilità” per cui si potrebbe ritenere che
tale condizione attenga più a “requisiti di capacità professionale” del
nominando che non invece a condizioni soggettive, peraltro afferenti a
precise declaratorie giudiziali (art.2382); il possesso dei predetti
requisiti, infatti, costituisce possesso di specifica capacità giuridica
soggettiva all’assunzione della carica, posto da norma di legge
speciale ed operante nei confronti dei soli amministratori di nomina
63
V., in proposito, D. FRACCHIA, Una prima lettura del comma 734 della
L.27/12/2006, n.296 e della Circolare 13 luglio 2007, in Riv. Soc., n.2/2008.
42
pubblica, o comunque di parte pubblica ai sensi e per gli effetti
dell’art.2387 del c.c..
Secondo un recente orientamento64 riguardo alla corretta
interpretazione del concetto di “incarichi analoghi”65 del comma in
oggetto si ritiene che debba essere fornita un’interpretazione che si
estende ai soli incarichi relativi alla sfera della nomina pubblica,
indipendentemente dalla natura giuridica (pubblica o privata) dell’ente
in cui il soggetto nominato ha operato.
Inoltre, appare essere coerente con la stessa ratio ricavabile
dalla norma considerare ineleggibili, per difetto di presupposti speciali
di professionalità, amministratori che non abbiano dimostrato
un’idonea capacità manageriale, rispetto al conseguimento del
fondamentale canone “dell’economicità gestionale”, intesa quale
capacità di garantire l’integrale copertura dei costi, anche mediante gli
eventuali trasferimenti pubblici, oltre alla reintegrazione degli
investimenti attuati e la congrua remunerazione del capitale
investito66.
64
G.BASSI, l contenimento dei “costi della politica” nelle società degli Enti locali,
Maggioli Editore, 2007.
65
Si rammenta che, il comma 734 così prescrive:” non può essere nominato
amministratore di ente, istituzione, azienda pubblica chi, avendo ricoperto nei cinque
anni precedenti incarichi analoghi, abbia chiuso in perdita tre esercizi consecutivi”.
66
La questione, ben sottolineata da BASSI, Il contenimento, cit.(nt.64), 43.
43
Risulta interessante, inoltre, operare una lettura dell’art.2382
c.c. in ordine ai requisiti ed alle condizioni per la assunzione della
carica di amministratore. In particolare la nomina ad amministratore di
un soggetto ineleggibile in quanto interdetto, inabilitato o fallito
radicalmente è nulla67.
Se invece la mancanza anche di uno dei requisiti è successiva si
ha decadenza dalla carica, per cui in questo caso non ci si riferisce alla
situazione conseguente alla nomina di un soggetto già inidoneo68 ma
piuttosto, all’ipotesi in cui dopo la nomina sopravvenga una causa di
incapacità determinando l’immediata cessazione della carica69.
Ciò
considerato,
bisogna
sottolineare
la
dissonante
compresenza, nel medesimo articolato normativo, di un irrigidimento
sul piano della professionalità quale quello che si è esaminato (comma
734), a fronte di quanto previsto dal comma 725, vale a dire una
delimitazione dei compensi massimi spettanti agli amministratori,
sulla base di parametri estranei sia alla professionalità che ai risultati
ottenuti. Conclusivamente, infatti, occorre mettere in luce come
l’onerosità della carica rappresenti un incentivo all’intraprendenza dei
67
V., in tal senso, MINERVINI, op. cit (nt. 60) , 93; CASELLI, Vicende, (nt.46), 31.
“non si può decadere da una carica che per difetto di capacità non si è mai
ricoperta”: così CASELLI, Vicende, cit., (nt.46), 31.
69
BONELLI, nota a Trib. Milano 1 aprile 1976, 909; Trib.Genova, 14 maggio 1960, in
Dir. fall., 1960, II, 700.
68
44
manager; tale è certamente la retribuzione sotto forma di
partecipazione agli utili o di assegnazione di diritti di opzione, ma tale
è pure il compenso in forma fissa, che in ogni caso costituisce un
riconoscimento ed un premio per la diligenza che il gerente profonde
nell’esercizio della sua funzione. Ciò premesso non sempre l’obiettivo
di contenimento della spesa risulta compatibile con il perseguimento
di determinati obiettivi.
1.5 Diritto al compenso
Diversi orientamenti si sono delineati da parte della dottrina riguardo
alla natura giuridica del rapporto di gestione data l’ampiezza e la
varietà dei poteri spettanti agli amministratori, nonché la posizione di
autonomia rispetto all’organo assembleare. Tuttavia vi è un
sostanziale accordo in dottrina70 e in giurisprudenza71 sull’esistenza di
70
ASSOCIAZIONE PREITE, Il diritto della società, a cura di G.Oliveri, G. Presti, F. Vella,
Bologna, il Mulino, 2004, 175; G.F. CAMPOBASSO, La riforma delle società di capitali e
delle cooperative, Torino, Utet, 2004, 111; F. DI SABATO , Istituzioni di diritto
commerciale, Milano, Giuffrè, 2004, 184; B. LIBONATI, L’impresa e la società. Lezioni di
diritto commerciale, Milano, Giuffrè, 2004, 250; A. TOFFOLETTO, Amministrazione e
controlli, in Diritto delle società di capitali, Milano, Giuffrè, 2004.
71
Anche l’orientamento giurisprudenziale risulta consolidato, limitandosi ad alcune
pronunce più recenti: Cass., 3 aprile 1990, n.2679, in Riv. Giur. Lav., 1990, II, 272; Cass.,
Sez. Un., 14 dicembre 1994, n.10680, in Società, 1995, 638; Cass., 24 febbraio 1997,
n.1647, in Giust. Civ. Mass., 1997, 297. Trib. Milano, 6 maggio 1991, in Giur.it., 1991, I, 2,
882 e in Società,1992, 66; Trib. Torino, 21 maggio 1996, ivi 1996, 1315 con commento di
A.FIGONE, Legittimità della revoca degli amministratori in forma tacita; Tribunale
45
una presunzione di onerosità della funzione gestoria e di conseguenza
dell’acquisizione di un diritto soggettivo dell’amministratore anche
nel silenzio dello statuto o in carenza di una deliberazione. Il diritto al
compenso nasce in seguito all’accettazione della carica da parte
dell’amministratore che, secondo i principi generali, può anche essere
tacita e ricavarsi da un comportamento concludente72.
La remunerazione può essere determinata sia per tutta la durata
dell’incarico che per il singolo esercizio sociale. I referenti normativi
in materia sono offerti dagli artt.2364 e 2364 bis c.c. che individuano
in linea generale l’organo competente a determinare il compenso,
nonché gli artt.2389 e 2409 terdecies c.c. che, unitamente all’art.
2409-noviesdecies c.c. concernono più da vicino la remunerazione
spettante ai componenti degli organi investiti dalla gestione in
ciascuno dei differenti sistemi di governance; quest’ultima norma (di
mero rinvio), dice applicabile al sistema monistico tra l’altro,
l’art.2389, di modo che è consequenziale il potere dell’assemblea dei
soci di stabilire, anche in questo modello gestuale, il compenso
dell’organo amministrativo.
Bologna, 4 luglio 2002, in Società, 2003, 1140 con commento di F. COLLIA, Natura del
rapporto tra amministratore delegato e società.
72
Cass., 17 novembre 1971, n. 3297, in Foro it., 1972, I, 2974 con nota di R.
MARTINELLI considera l’accettazione, pure implicita, elemento perfezionativo del
negozio avente ad oggetto il compenso; Cass., 26 gennaio 1976, n.243, ivi, 1976, I, 615.
46
Nessuna di queste prescrizioni, tuttavia, sancisce in maniera
esplicita il principio di remunerabilità dell’ufficio. La presunzione di
onerosità, per il vero, era individuabile nell’art.2392 secondo cui gli
amministratori dovevano rispettare, nell’adempimento dei propri
doveri, la diligenza del mandatario. Il fatto che l’art.2392 c.c.
richiamasse una regola del mandato ha comportato nel silenzio della
legge un rinvio a tale istituto.
In seguito alla nuova stesura dell’art.2392 c.c. che assume come
parametro normativo di condotta non più la diligenza del mandatario,
bensì la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle specifiche
competenze degli amministratori il richiamo alla normativa del
mandato finirà per limitarsi all’art.1709 c.c. espressione dell’agire per
conto altrui.
1.6 Identificazione delle fattispecie rilevanti: art.2389 c.c
L’art.2389 c.c definisce in vario modo gli emolumenti spettanti agli
amministratori in virtù della carica rivestita, mentre il primo comma
dell’articolo è relativo ai compensi spettanti ai membri del consiglio di
amministrazione e del comitato esecutivo, di competenza assembleare,
il terzo comma concerne la remunerazione degli amministratori
47
investiti di particolari cariche (Presidenti con deleghe, amministratori
delegati) in conformità dello statuto, di competenza consiliare.
Secondo il primo comma di tale articolo la retribuzione spettante ai
membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo è
stabilita “all’atto della nomina o dall’assemblea”.
Evidente risulta la cattiva tecnica redazionale dell’art.2389 c.c.
non soltanto perché non si coniuga con la previsione d’ordine generale
prevista nell’art.2364 c.c. secondo cui, nelle società per azioni prive
del consiglio di sorveglianza, l’assemblea ordinaria determina il
compenso degli amministratori, “se non è stabilito nell’atto
costitutivo”, ma anche perché coordina in un’unica espressione due
elementi non equivalenti quali il tempo della determinazione del
compenso e la competenza della stessa.
Diverse sono,inoltre, le questioni inerenti alla discrepanza
esistente tra le due fattispecie previste dal primo e dal terzo comma
dell’art.2389 c.c.
È opinione consolidata in dottrina e in giurisprudenza che la
volontà del legislatore di aver sancito nel primo comma dell’art.2389
c.c. e prima ancora nell’art.2364 terzo comma c.c. la competenza
assembleare in materia di compensi stia nell’intento di evitare che gli
48
amministratori possano autodeterminarsi il compenso al di fuori del
controllo dei soci profilandosi una situazione di conflitto di interessi.73
Ma ciò è in contrasto con le disposizioni previste al terzo
comma in quanto sembrerebbero assegnare la competenza a
determinare la rimunerazione degli amministratori investiti di
particolari cariche proprio all’organo di appartenenza contraddicendo
il fondamento precedente.
73
In dottrina, A. FIORENTINO, Gli organi delle società di capitali, Napoli, Jovene,
1950, 136; O. BOSISIO, Retribuzione degli amministratori e dei sindaci, in Riv. Dott.
Comm., 1958, 345; O.G. BIANCHI, Gli amministratori di società di capitali, Padova,
Cedam, 1998; D. FRACCHIA, La determinazione dei compensi degli amministratori:le
ipotesi patologiche e le prospettive di riforma, in Giur.Piem., 2001, I, 10, il quale ricorda
che nell’art.2389 c.c. si desume l’interesse del legislatore per la conoscibilità e la
trasparenza delle modalità di determinazione del compenso. In giurisprudenza: Cass., 13
maggio 1960, n.1135, in Giust. Civ., 1960, I, 857, in Giur.It., 1960, I, 1, 1255, in Foro.it.,
1960, I, 1334, in Temi nap., 1961, III, 29 ribadisce che il legislatore ha voluto evitare che
sia proprio il consiglio di amministrazione a procedere alla determinazione del
compenso, “venendosi a creare, in tal modo, un conflitto di interessi tra questi e la
società “; Trib. Torino, 28 giugno 1984, sancisce che si ha violazione della competenza
esclusiva dell’assemblea e pertanto nullità della relativa deliberazione, qualora la
delibera di determinazione del compenso sia stata assunta dal consiglio composto da
tutti gli amministratori portatori dell’intero capitale sociale; Trib. Milano, 23 maggio
1991, Giur. It., 1991, I, 2, 545 e in Società, 1992, 67.
49
1.7 I fattori che influiscono sull’entità dei compensi degli
amministratori
Uno dei problemi più delicati in materia di compensi degli
amministratori è relativo all’entità del trattamento economico dato che
la normativa codicistica non contiene indicazioni espresse al riguardo.
Ciò starebbe a significare che esiste una certa libertà di
determinazione che, comunque, non si traduce in una completa
autonomia in quanto la società deve essere gestita con criteri razionali
avendo cura di contemperare gli interessi dell’amministratore con
quello della società.
Condizione che non si verifica, ovviamente, tanto se si accede
nella misura, quanto se il compenso non appare adeguato. Riguardo al
metodo cui ancorare la quantificazione degli emolumenti bisogna
sottolineare che la retribuzione variabile, legata ai risultati economici
dell’impresa pone in maniera ancora più stringente il problema della
correlazione tra remunerazione, attività gestoria e redditività
aziendale.
Il nesso tra questi tre elementi ha sollevato diversi dubbi. In
giurisprudenza si rinvengono pronunce a favore dell’assoluta
50
indifferenza dei compensi dei manager rispetto ai risultati conseguiti e
allo stato di salute della società74;
a tal proposito, tuttavia, è in atto una nuova tendenza volta ad
imporre una più generale condotta etica alle imprese nella prospettiva
di legare anche la remunerazione fissa di base agli obiettivi ottenuti e
alla perfomance sociale.
In assenza di una norma espressa75 sulla metodologia di
determinazione della remunerazione, bisogna valutare la questione
alla luce della qualificazione che si attribuisce al rapporto
intercorrente tra società e amministratori. Le disposizioni da valutare
sono: l’art. 1709 c.c. che pone la presunzione di onerosità del
mandato76, l’art. 2233 c.c. che disciplina le modalità di determinazione
del compenso del professionista intellettuale77, e gli artt. 2099 c.c. e 36
74
Cass., 26 febbraio 2002, n.2769, in cui si afferma che il diritto al compenso spetta
all’amministratore “ quale che sia il risultato della sua attività, apprezzabile o non in
termini economici, sia esso conforme alle aspettative dei soci, ovvero criticabile”: la
pronuncia è corretta se si considera che l’obbligazione gestoria è di mezzi, e non di
risultato, ma solleva qualche dubbio in relazione al globale orientamento della nostra
giurisprudenza che tende a svalutare la connessione tra attività gestoria e perfomance
sociale.
75
F.TUSQUETS TRìAS DE BES, La remuneraciòn, nota che, nel nostro ordinamento,
l’assenza di criteri per la determinazione del quantum della retribuzione “ resulta en
cierta forma sorprendente, puesto che…….el cargo presume oneroso”
76
App. Milano, 30 gennaio 1973, in Dir. Fall., 1973, II, 165; Trib. Torino, 28 giugno
1984, in Giur. Comm., 1985. ASSOCIAZIONE PREITE, Il diritto della società,(nt.70), 175,
pur osservando che l’adozione di tale criteri non è esente da discussioni.
77
Trib. Milano, 22 ottobre 1956, 1306; Trib. Milano, 23 maggio 1991, 67. In dottrina,
O. BOSISIO, Retribuzioni, (nt.73), 528; G. CASELLI, Vicende, (nt.46), 60; G. BIANCHI, Gli
amministratori, (nt.73), 137.
51
Cost. che concernono la retribuzione del prestatore di lavoro
subordinato78.
Nonostante tali prescrizioni non trovino immediata applicazione
è possibile ricavare, in particolare dall’art.36 Cost., il principio di
ordine generale per cui l’attività o l’opera svolte meritano di essere
retribuite in proporzione alla qualità e alla quantità del lavoro prestato.
Il concetto di proporzionalità, inoltre, risulta sotteso al richiamo che il
legislatore compie nell’ art.2233 c.c. “all’importanza dell’opera” e al
“decoro della professione”; ed è altresì sotteso nell’art.1709 c.c.,
laddove si limita a devolvere al giudizio del magistrato la
determinazione del compenso del mandatario in assenza di pattuizioni
al riguardo.
Da ciò si evince, secondo parte della dottrina79 il richiamo al
parametro
dell’equità
come
espressione
del
concetto
di
proporzionalità. Tale criterio risulta inoltre condivisibile dalla stessa
giurisprudenza precisandolo talora in relazione alla particolare qualità
78
G. MINERVINI, Gli amministratori, (nt. 60), 379, il quale partendo dalla premessa
che il rapporto di gestione configura un contratto da includersi nella categoria del lavoro
in senso lato, osserva che il richiamo alla disciplina del mandato o del lavoro subordinato
ci porta a risultati omogenei.
79
V. G. MINERVINI, Il mandato, la commissione, la spedizione, in Trattato di dir. civ.
it., diretto da F. Vassalli, VIII, Torino, Utet, 1952, 132; G. BAVETTA, Mandato, in Enc. del
dir., XXV, Milano, Giuffrè,1975,351; A. LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione,
in Trattato dir .civ. e comm., diretto da A. CICU e F. MESSINEO, XXXII, Milano, Giuffrè,
1984, 146.
52
della prestazione resa80, talvolta in relazione alle peculiari mansioni
affidate all’amministratore81, talaltra in relazione all’importanza
dell’incarico e dell’impegno che esso comporta82 o ancora in relazione
alla dimensione o al giro di affari della società83.
Per cui è attraverso la combinazione di questi indicatori di
massima, collocati nella situazione del caso concreto, che si può
pervenire alla fissazione di un’equa e adeguata retribuzione.
Per quanto riguarda la qualità del lavoro, la stessa, è suscettibile
di miglioramento in rapporto all’applicazione dell’art.2387 c.c.
relativo ai requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza.
Da ciò risulta, in particolare, che lo statuto può subordinare la
nomina ad amministratore al possesso di speciali requisiti di
professionalità.
Un altro aspetto, di certo influente, per determinare l’entità dei
compensi, è quello della responsabilità. Il rilievo della responsabilità
secondo le comuni leggi economiche non può non formare oggetto di
valutazione, sia pure sotto forma di stima; il che, conduce ad un “
quid pluris” in un compenso che molto spesso è basato sull’impiego
80
Cass., 26 gennaio 1976, n.243.
Trib. Catania, 23 luglio 1965, in Dir. Fall., 1965, II, 943; Trib. di Udine, 4 marzo 1982.
82
Trib. Torino, 28 giugno 1984, si distingue a seconda che l’impegno sia saltuario
ovvero continuato o regolare.
83
Trib. Milano, 21 settembre 1989, si sottolinea la rilevanza del complesso delle
operazioni sociali.
81
53
di
tempo
e,
eventualmente,
sulla
qualità
del
lavoro
dell’amministratore.
In conclusione, bisogna sottolineare che i parametri principali
intorno a cui far ruotare la determinazione del compenso sono
rappresentati dai compiti che è chiamato ad eseguire l’amministratore
e la situazione della società intesa in senso lato, senza che possa
omettere di considerare le diverse variabili che soltanto la contingenza
della singola fattispecie può evidenziare. È convinzione radicata,
nonostante il silenzio della legge, che in caso di omessa o inadeguata
determinazione del compenso da parte dell’organo competente,
l’amministratore possa adire l’autorità giudiziaria per ottenere la
liquidazione.
La
possibilità
di
rivolgersi
al
giudice
è
prevista,
inoltre,nell’ipotesi in cui l’atto costitutivo non contenga previsioni
circa
il
trattamento
economico
dei
componenti
dell’organo
amministrativo, nonché nell’ipotesi in cui sorga controversia in ordine
alla corretta applicazione dei parametri previsti dallo statuto mentre
rimane preclusa nel caso di gratuità dell’incarico.
54
1.8 Disposizioni della Legge finanziaria 2007: compensi spettanti
agli amministratori di società partecipate da enti locali
In connessione con quanto rilevato bisogna evidenziare l’analisi delle
diverse implicazioni del tema del compenso nell’ambito della struttura
societaria, in seguito alle misure previste dalla legge Finanziaria 2007
relative al compenso degli amministratori di società partecipate da enti
pubblici.
A riguardo va subito anticipato che la nuova e speciale
disciplina non si presenta particolarmente curata quanto alla tecnica
redazionale, infatti è stata oggetto di diverse critiche. Inoltre, presenta
un carattere disorganico e frammentario; in particolare, si sono
evidenziate problematiche relative ai criteri interpretativi, all’efficacia
temporale delle norme, alla gerarchia delle fonti e alla coerenza con i
principi generali dell’ordinamento giuridico.
La parte della manovra finanziaria che ci interessa analizzare è
quella riguardante gli enti locali, in particolare i commi da 725 a 729
dell’art.1 della legge 27 dicembre 2006, n.296 introducono alcune
norme sia in materia di compensi agli amministratori di società
pubbliche “locali” ovvero partecipate, totalmente o parzialmente, da
Comuni o Province (commi 725-728) sia sul numero complessivo dei
componenti i relativi consigli di amministrazione (comma 729).
55
Quanto al primo tema, la legge Finanziaria ha distino le società
in funzione dei soci (pubblici e privati) che le partecipano.
Per cui è possibile parlare di società di società a totale
partecipazione di singoli comuni o province; società a totale
partecipazione pubblica di una pluralità di enti locali e società a
partecipazione mista di enti locali e altri soggetti pubblici e privati.
Inoltre la legge ha previsto una esplicita esclusione di applicazione
della normativa in esame per le società quotate in borsa (c.729).
Come evidenzia la disciplina dei servizi locali, lo strumento
associativo è utilizzato in vario modo per assicurare l’intervento
pubblico in determinati settori magari con il coinvolgimento del
capitale privato.
Nell’ipotesi di società interamente posseduta da un solo ente
locale (comune o provincia), il comma 725 prevede che “il compenso
lordo annuale, onnicomprensivo, attribuito al presidente e ai
componenti del consiglio d’amministrazione non può essere superiore,
per il presidente all’80%, e per i componenti del consiglio
d’amministrazione al 70% delle indennità spettanti, rispettivamente al
sindaco e al presidente della provincia ai sensi dell’art.82, del d.lgs.
267/00”.
56
Sotto il profilo soggettivo la regola di onnicomprensività
prevista dal comma 725 ha determinato un dibattito riguardo al
problema se il tetto ai compensi vada o meno applicato agli
amministratori investiti di particolari cariche ai sensi del terzo comma
dell’art.2389 c.c.
Mentre una prima tesi, ancorata ad un eccessivo formalismo,
nega che i limiti in oggetto possano applicarsi anche agli
amministratori delegati, osservazioni successive evidenziano come il
termine “ onnicomprensivo” debba riferirsi a qualsiasi compenso
percepito dal Presidente o dal componente ( provvisto o meno di
deleghe) dal consiglio di amministrazione in virtù del rapporto
societario84 comprendendo, pertanto, sia quello stabilito “ all’atto della
nomina o dall’assemblea” (art.2389 c.c.), sia quello attribuito dal
consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale,
agli amministratori “ investiti di particolari cariche in conformità dello
statuto”85.
La possibilità da parte del consiglio di amministrazione di
attribuire un compenso separato agli amministratori di società
partecipate da enti locali “investiti di particolari cariche” non è esclusa
84
Risulta, ormai, condiviso in dottrina che, al contrario, non rientrano nel suddetto
limite i compensi percepiti dal consigliere in virtù di un separato incarico professionale
con la società.
85
C. TESSAROLO, (nt. 20), 5, in www.dirittodeiservizipubblici.it ;
57
ma limitata dal c. 725, nel senso che tale compenso, anche se
differenziato rispetto a quello concesso agli altri amministratori, non
può essere fissato in misura tale che, complessivamente, ossia tenendo
anche conto di quello stabilito “ all’atto della nomina o
dall’assemblea”, venga a superare quello massimo determinato in
applicazione dei criteri previsti dal medesimo c.725.
La previsione di “onnicomprensività” della retribuzione dovuta
agli amministratori di società partecipate da enti locali trova una
parziale deroga nel secondo periodo del c.725, in virtù del quale è
consentito erogare agli amministratori suddetti un compenso ulteriore
e
aggiuntivo sotto forma di “indennità di risultato” nel caso di
produzione di utili e in misura ragionevole e proporzionata.
Ne consegue che l’indennità di cui trattasi potrà essere
deliberata dall’assemblea dopo l’approvazione del bilancio di
esercizio e solo se la società ha realizzato degli utili.
La disposizione ora citata sembra fare riferimento al comma 2
dell’art.2389 c.c., il quale prevede che i compensi degli amministratori
di società per azioni “possono essere costituiti in tutto o in parte di
partecipazione agli utili”.
Non sembra, invece, che sia applicabile alle società partecipate
dagli enti locali, in considerazione di quanto stabilito dal c.725, l’altra
58
fattispecie disciplinata dal comma 2 dell’art.2389 c.c., ossia quella che
prevede la possibilità che gli amministratori di società per azioni
vengano retribuiti mediante “ l’attribuzione del diritto di sottoscrivere
a prezzo predeterminato azioni di futura emissione” (stock option).
Per il caso di società a totale partecipazione pubblica, ma
detenuta da due o più enti locali, al presidente e ai componenti del
consiglio
di
amministrazione
possono
essere
riconosciuti
rispettivamente non più dell’80 e del 70 per cento dell’indennità
spettante al rappresentante legale del socio pubblico con la maggiore
quota di partecipazione ovvero, soltanto in caso di parità di quote, a
quella di maggiore importo tra le indennità spettanti ai rappresentanti
dei soci pubblici.
Tra i modelli di società, un’ulteriore forma di gestione dei
servizi pubblici locali, a cui la Legge Finanziaria fa riferimento è
quella della società a partecipazione mista86, tale modello87 prevede la
partecipazione al capitale sociale, non solo degli enti locali, ma anche
di altri soci, pubblici o privati, per cui si è introdotta un’ulteriore
86
Per un approfondimento sul tema v. A. DEL DOTTO, Le società miste e l’attività
imprenditoriale di diritto comune tra realtà e prospettive, riflessioni a margine della
sentenza Con. Stato, sez. IV, n.5204 del 29 settembre 2005, in www.altalex.com
87
Essa rappresenta un modello integrativo delle risorse e delle necessità di garanzia
di servizi tipicamente pubblici con le risorse, le capacità e l’organizzazione tipicamente
imprenditoriali.
59
distinzione in società a capitale pubblico maggioritario e società a
capitale pubblico minoritario.
La natura giuridica delle società miste resta un punto
estremamente controverso sia in dottrina che in giurisprudenza; si
tratta di società a natura pubblica se si offre rilievo alla fase costitutiva
del soggetto, nel quale entrano logiche pubblicistiche e valutazioni
(politiche) in merito al perseguimento di fini pubblici88, i quali
conducono alla creazione della società come modulo organizzativo
dell’amministrazione89;
si tratta altresì di società privata se si guarda al momento
operativo della vita dell’ente, dotato di capacità imprenditoriale a tutti
gli effetti, sganciato anche funzionalmente dalla collettività di
riferimento90.
Mentre per le società a capitale pubblico maggioritario è
possibile incrementare le percentuali già previste dal comma 725 nella
misura di un punto percentuale ogni cinque punti percentuali di
partecipazione di soggetti diversi dagli enti locali, per quelle a capitale
pubblico minoritario il meccanismo premiale è raddoppiato in quanto
88
Cons. Stato, sez.V, sentenza 3 settembre 2001, n.4586 per cui “ la società mista a
prevalente capitale pubblico costituita o partecipata da un ente locale per lo svolgimento
di un pubblico servizio…, pur essendo dotata di capacità imprenditoriale, non può essere
considerata a tutti gli effetti come un soggetto privato, vincolato unicamente alle norme
statutarie”.
89
Vedi in tal senso, Cons. Stato, Ad. Gen., sentenza 16 maggio 1996, n.90
90
Così Cass., S.U. sentenza 6 maggio 1995, n.4991
60
l’incremento è di due punti ogni cinque punti percentuali di
partecipazione di soggetti diversi da enti locali.
Un altro aspetto da valutare concerne l’equiparazione, ai fini
dell’applicazione dell’incremento dei compensi, tra soci privati e soci
pubblici
differenti
dagli
enti
locali,
scoraggiando
la
sola
partecipazione degli enti locali alle società di capitali e non anche
quella di altri soggetti pubblici (Stato, università, aziende sanitarie ed
altre amministrazioni pubbliche);
da ciò traspare un possibile elemento di irragionevolezza della
norma, soprattutto laddove sembra limitare l’esigenza di contenimento
della spesa pubblica ai soli enti locali91.
Va inoltre sottolineato il possibile effetto controproducente92di
una norma che impone limiti, nella determinazione dei compensi agli
amministratori, anche alle società a capitale pubblico minoritario in
cui sia il socio privato a detenere la maggioranza.
Il comma 727 infine dispone, che, in materia di rimborsi spese e
indennità di missione, al presidente e ai componenti del consiglio di
amministrazione si applica la disciplina di cui all’art.84, d.lgs. 267/00;
91
ANCI, Prime note sui commi della finanziaria 2007 in materia di compensi e numero
degli amministratori delle società partecipate, totalmente o parzialmente, da enti locali,
in www.anci.it
92
Nell’ipotesi, infatti, in cui il socio privato di maggioranza abbia fissato i compensi
degli amministratori in misura inferiore rispetto a quelli massimi previsti dalla legge
Finanziaria, può risultare possibile una richiesta di” riallineamento verso l’alto” degli
stessi.
61
tale norma sembrerebbe riferirsi alle sole società a totale
partecipazione di enti locali, ma una lettura armonica dell’intero
complesso normativo rende possibile stenderla anche all’ipotesi di
società a partecipazione mista93.
Come già anticipato tale disciplina si presenta piuttosto
frammentaria, la scelta, poi, di intervenire in materie già coperte in
parte da disciplina generale e oggetto di accordi tra soggetti anche
privati, solleva dubbi di opportunità per violazione dei principi di
ragionevolezza e di libertà di iniziativa economica.
In primo luogo, tutti i commi considerati (725-729) fanno
riferimento indiscriminato alle società (senza indicare di quale
modello)
al
presidente
d’amministrazione”94,
e
organo
ai
componenti
previsto
soltanto
del
nel
“consiglio
sistema
tradizionale ed in quello monistico.
Le norme della Legge Finanziaria sembrano ignorare i tre
diversi assetti di governance introdotti con la riforma del diritto
93
Se, ai sensi del comma 728, non vi è differenza riguardo ai compensi tra gli
amministratori di società a capitale misto, resta ancora da chiarire come mai questi
ultimi dovrebbero godere di un regime differenziato in materia di indennità di missione
e rimborso spese.
94
M. CALZONI, “ Le nomine ed i compensi legali; cosa cambia per il Consiglio di
Amministrazione con la Legge Finanziaria 2007” , atti dei seminari Confservizi Lombardia
del 31 gennaio 2007; nello stesso tempo M. MALENA, “Limiti ed ambiti di applicazione
delle norme di cui ai commi dal 725 al 728 e brevi cenni sul comma 729 dell’art.1 della
Legge Finanziaria per il 2007” reso all’ Associazione ASSTRA ed a Confservizi il 31
dicembre 2006/30 gennaio 2007, che giunge ad affermare che il legislatore della legge
finanziaria si è disinteressato degli organi amministrativi propri dei modelli alternativi.
62
societario, una parte della dottrina, infatti, esclude,basandosi sulla
lettera della legge, l’applicabilità delle disposizioni ai componenti del
consiglio di gestione, del consiglio di sorveglianza e del comitato per
il controllo sulla gestione.
Al fine di giungere ad una disciplina uniforme, il codice civile
utilizza l’espressione “amministratori” per indicare i componenti del
consiglio d’amministrazione nel sistema tradizionale, ma chiarendo
all’art.223 septies delle disposizioni attuative che “ se non
diversamente disposto, le norme del codice civile, che fanno
riferimento agli amministratori e ai sindaci trovano applicazione, in
quanto compatibili, anche ai componenti del consiglio di gestione e
del consiglio di sorveglianza, per le società che abbiano adottato il
sistema dualistico, e ai componenti del consiglio d’amministrazione e
ai componenti del comitato per il controllo sulla gestione, per le
società che abbiano adottato il sistema monistico”.
Tuttavia è stato osservato, da diversi autori, che il principio di
applicabilità automatica riguarda le norme del codice civile e non
anche quelle di leggi speciali95 e che il suddetto principio di
95
E ciò a maggior ragione ove si consideri che la medesima norma al comma
successivo, fa riferimento alle leggi speciali: “ ogni riferimento al collegio sindacale o ai
sindaci presente nelle leggi speciali è da intendersi effettuato anche al consiglio di
sorveglianza e al comitato per il controllo sulla gestione o ai loro componenti, ove
compatibile con la specificità di tale organi” art. 223septies, disposizioni attuative c.c.
63
applicabilità riguarda l’espressione generica di “amministratori" e non
anche
quella
specifica
di
“componenti
del
consiglio
di
amministrazione”.
Un’interpretazione delle norme della Legge Finanziaria fondata
sull’intenzione del legislatore e sulla relativa omogeneità di funzioni
tra i diversi organi, a differenza di un’interpretazione rigorosamente
letterale, ci consente di applicare la norma anche ai membri del
consiglio di gestione nel caso del sistema dualistico.
Qualche incertezza si presenta, invece, in caso di adozione del
sistema monistico in quanto ove si applicasse la normativa al consiglio
d’amministrazione di tale società, nel caso di limite massimo di tre
membri, diverrebbe impossibile la nomina di un comitato di
gestione96;
una parte della dottrina, a tal proposito, sostiene che il numero
dei componenti del comitato di controllo sulla gestione non possa
essere inferiore a tre, anche per le società che non facciano ricorso al
mercato del capitale di rischio, inoltre il “tetto” ai compensi sarebbe
vanificato dal fatto che uno dei tre componenti avrebbe diritto ai
maggiori compensi in funzione della particolare carica rivestita.
96
Si fa riferimento, in tal senso, a quella dottrina che sostiene, per diverse ragioni,
che il numero dei componenti del comitato di controllo sulla gestione non possa
comunque essere inferiore a tre, anche per le società che non facciano ricorso al
mercato del capitale di rischio (GREZZI, 2005; COLOMBO, 2003)
64
La disciplina di cui ai commi 725-728, introduce elementi di
differenziazione tra i diversi sistemi di governance delle società per
azioni, senza alcune ragione ammissibile sul piano del contenimento
della spesa pubblica. Come risulta evidente, inoltre, il legislatore ha
preso in considerazione con tali disposizioni, la sola ipotesi in cui
l’amministrazione delle società partecipate da enti locali sia affidata a
più persone, che costituiscono il consiglio di amministrazione.
È tuttavia possibile che vi siano società partecipate da enti
locali amministrate da una sola persona (amministratore unico); in
questo caso la misura del compenso massimo da corrispondere a tale
amministratore è quella prevista per il presidente e cioè l’80% delle
indennità spettanti al sindaco o al presidente della provincia.
In merito alle società controllate, una parte della dottrina, ha
osservato che il comma 725 in materia di compensi sembrerebbe
riferirsi esclusivamente alle società partecipate direttamente dagli enti
locali considerato che il successivo comma 729 riguardo al numero
degli amministratori, al contrario fa espressamente riferimento alle
partecipazioni indirette.
Alla luce di ciò, quindi, si ha l’impressione che la volontà del
legislatore sia di penalizzare, per quanto attiene ai compensi, le società
65
partecipate esclusivamente e direttamente dagli Enti locali stessi97 in
quanto la norma non porrebbe limiti all’ammontare dei compensi delle
partecipate o controllate dalle società degli enti locali.
1.9 Numero dei componenti del consiglio di amministrazione
La legge Finanziaria, al fine di contenere la spesa degli enti locali,
non solo ha stabilito la misura massima dei compensi spettanti agli
amministratori delle società partecipate da tali enti, ma ha altresì
determinato , se si tratta di società totalmente partecipate, anche in via
indiretta, da enti locali, il numero massimo dei componenti il consiglio
di amministrazione e, se si tratta, invece, di società miste, il numero
massimo di componenti di detto consiglio che possono essere
“designati” dagli enti locali (c. 729).
In relazione al “tetto” del numero massimo di amministratori
delle società pubbliche totalmente partecipate anche in via indiretta da
enti locali, il legislatore ha posto il limite numerico di tre componenti
ovvero di cinque nell’ipotesi in cui il capitale sociale, interamente
versato, sia superiore a un certo importo, che dovrà essere determinato
97
V. in argomento L. MANASSERO, Legge Finanziaria 2007; disposizioni in materia di
Consigli di Amministrazione delle società degli Enti Locali: residue incertezze applicative
ed analisi delle diverse posizioni dottrinali circa gli aspetti più controversi, in
www.dirittodeiservizipubblici.it, 2007.
66
con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, entro
sei mesi dall’entrata in vigore della Legge Finanziaria 200798.
La determinazione del numero “massimo” di componenti dei
consigli di amministrazione, pertanto, non è, diversamente da quanto
avviene per le società disciplinate dal codice civile, nella completa
disponibilità dei soci (art.2380-bis, c.4), dipendendo, sia pure in parte,
dall’entità del capitale sociale della società; nonostante il criterio
dell’entità del capitale sociale serva per individuare il numero
massimo dei componenti del consiglio d’amministrazione, sembra
chiaro che gli enti locali possano determinare tale numero in misura
inferiore a quella massima stabilita dalla Legge Finanziaria o anche
non prevedere la costituzione del consiglio d’amministrazione,
affidando l’amministrazione della società ad un solo amministratore.
Per quanto riguarda, invece, le società a partecipazione mista, il
criterio dell’entità del capitale sociale, non risulta applicabile in
quanto, in tali società, qualsiasi sia l’entità del capitale sociale, il
numero massimo dei componenti designabili dai soci pubblici locali (
ivi comprese anche le Regioni) non può essere superiore a cinque.
Il numero dei componenti del consiglio di amministrazione che
possono essere designati dagli altri soci è, quindi libero.
98
V. D.P.C.M., 26 giugno 2007.
67
Da ciò si evince che libero è anche il numero complessivo dei
componenti del consiglio d’amministrazione delle società miste.
Si tratta di una fattispecie alquanto particolare, in quanto si è in
presenza di una sorta di patto di “sindacato di voto”, non
necessariamente “parasociale” dato che risulta possibile che le relative
previsioni siano inserite nello statuto, con il quale i soci della società
mista stabiliscono il numero di amministratori che dovranno
rispettivamente nominare e si impegnano a votare in assemblea in
modo conforme a ciò che è stato oggetto dell’accordo.
In connessione con quanto appena rilevato bisogna sottolineare
che nel caso in cui lo statuto o eventuali patti parasociali, attualmente
esistenti, riservino ai soci pubblici locali la nomina da parte
dell’assemblea di un numero di componenti del consiglio di
amministrazione di società mista superiore a cinque, la società dovrà,
ai sensi del c.729, adeguare lo statuto o i patti parasociali al fine di
ricondurre la riserva di nomina a favore dei soci pubblici locali entro il
limite massimo fissato dalla Legge Finanziaria.
Nel caso in cui, invece, lo statuto e gli eventuali patti
parasociali, nulla stabiliscono a riguardo, qualora il numero
complessivo dei membri del consiglio di amministrazione sia
superiore a cinque, i soci hanno l’obbligo di modificare lo statuto o di
68
stipulare tra loro un patto parasociale allo scopo di stabilire la
ripartizione delle nomine degli amministratori della società. La
disciplina di cui al comma 729 appare riferibile sia al presidente e ai
componenti del consiglio d’amministrazione delle società che adottino
il sistema tradizionale ed al presidente e ai componenti del consiglio
di gestione delle società che adottino il sistema “dualistico”.
Non risulta possibile, per ragioni logiche, un’interpretazione
estensiva della disciplina in oggetto in relazione alle società che
adottino il sistema monistico.
69
CAPITOLO II
ORIENTAMENTI E GIURISPRUDENZA COMUNITARIA: I
RIFLESSI SUL PIANO INTERNO RELATIVI AI POTERI DI
NOMINA
SOMMARIO: 2.1 Ruolo degli organi comunitari nell’iter di
riforma della disciplina della nomina pubblica alle cariche sociali –
2.2 Il novellato art. 2449 c.c.: limiti alla concessione del diritto di
nomina - 2.3 L’applicazione del principio di proporzionalità nelle
società chiuse - 2.4 La disciplina delle società aperte
2.1 Ruolo degli organi comunitari nell’iter di riforma della
disciplina della nomina pubblica alle cariche sociali
L’interesse alla privatizzazione delle tecniche di organizzazione
dell’iniziativa economica pubblica è stato spesso realizzato dando
rilievo all’esigenza di riconoscere alla pubblica amministrazione
taluni “diritti speciali di controllo” sull’attività sociale. Tenendo conto
70
delle deroghe alla disciplina comune sotto il profilo dell’intrinseca
coerenza all’istituto privatistico99 , la previsione di diritti speciali di
controllo a favore del soggetto pubblico ha sollevato un problema di
compatibilità con le garanzie stabilite dal diritto comunitario a
presidio del mercato unico europeo100.
Negli ultimi anni, infatti, la giurisprudenza comunitaria ha
sviluppato una certa avversità nei confronti dei poteri speciali previsti
dagli ordinamenti nazionali in favore dello Stato e degli enti pubblici
attraverso
i
quali
si
attribuiscono
all’esecutivo
prerogative
d’intervento o di veto sulla struttura proprietaria e sul governo delle
imprese; per cui è stato imposto agli Stati di limitare il loro intervento
in chiave di “mera regolamentazione” del mercato, in vista dei
principi ispiratori della nuova costituzione economica101, fondata sul
precetto della libera concorrenza nelle fasi dell’organizzazione e
dell’erogazione dei servizi pubblici102. Tali poteri, infatti, sono
99
V. in tale senso P. SPADA, Dalla nozione al tipo della società per azioni, in Riv. dir.
civ., 1985, I, 126 il quale avanza riserve sulla natura societaria di alcune figure
corporative pubbliche; G. MARASÁ, Le società senza scopo di lucro, (nt.53), 356 ss., il
quale evidenzia come, soprattutto per le società di diritto speciale, ha luogo uno
scolorimento della causa societaria che ne compromette l’inquadramento nel paradigma
tracciato dall’art.2247 c.c.
100
M.T. CIRENEI , Riforma delle società, legislazione speciale e ordinamento
comunitario: brevi riflessioni sulla disciplina italiana delle società per azioni a
partecipazione pubblica, in Dir. comm. Inter., 2005, 46 ss.
101
Sui profili della nuova costituzione economica v. S. CASSESE, La nuova costituzione
economica, Roma-Bari, 2007.
102
V. in argomento T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e interesse del
consumatore, in Riv.trim. dir. proc. civ., 1954;F. CAFAGGIO, Il diritto dei contratti nei
71
giudicati incompatibili con il principio di libera circolazione dei
capitali in mancanza di ragioni imperative di interesse generale e, in
ogni caso, qualora non vi fosse una relazione di proporzionalità tra gli
interessi tutelati e l’ampiezza dei diritti speciali. I valori della
concorrenza e della libera circolazione dei capitali nel mercato unico
europeo sono stati inficiati dall’incompletezza del processo di
privatizzazione, il quale non si fonda solo sull’esigenza di parificare il
soggetto pubblico ai soggetti privati, ma su un interesse di segno
opposto che mira a mantenere una forma di dirigismo politico sulle
imprese, anche dopo la trasformazione in “società per azioni”,
attraverso l’esercizio di “diritti singolari di controllo”103.
Già, alla luce di tali orientamenti, parte della dottrina aveva
sollevato dubbi riguardo alla compatibilità degli artt. 2449-2450 c.c.
con il diritto comunitario104, questione che è stata affrontata in
maniera diretta dalla Ceg con sentenza 6 dicembre 2007 C-463/04 e
C-464/04, in seguito ad un
ricorso pregiudiziale (rinvio
d’interpretazione), ai sensi dell’art. 234 del Trattato , proposto dal
mercati regolati:ripensare il rapporto tra parte generale e parte speciale in Riv. trim. dir.
proc. civ., 2008.
103
G. MINERVINI, Contro il diritto speciale delle imprese pubbliche “privatizzate”, in
Riv. soc.,1994, per il quale la conservazione di poteri speciali di controllo inficia il
processo di privatizzazione, svilendo l’interesse degli investitori alla contendibilità della
società; B. LIBONATI, La faticosa “accelerazione” delle privatizzazioni, in Giur. comm.,
1995, I, 66; R. COSTI, Privatizzazione e diritto delle società per azioni, in Giur. comm.,
1995, I, 77 ss.
104
In tal senso, M.T. CIRENEI (nt.100), 41 ss.
72
T.A. R. della Lombardia con decisione 29 settembre 2004105. La
giurisprudenza della Corte di Giustizia si è pronunciata sul potere
speciale di nomina attribuibile ai soci pubblici ai sensi dell’art. 2449
c.c. dopo diverse pronunce sui poteri speciali attribuiti dalla golden
share nelle società privatizzate106. La sentenza in esame riguarda la
compatibilità con l’art.56 del tr. UE di alcune disposizioni dello
statuto di A.E.M.( Azienda Elettrica Milanese SpA), introdotte a
seguito della sua privatizzazione e della sua successiva quotazione in
borsa e sostanzialmente finalizzate a garantire uno stabile controllo
della società al Comune di Milano pur in presenza di una
partecipazione minoritaria al capitale107.
La Ceg è pervenuta alla conclusione che l’art 56 del tr. UE
risulta incompatibile con l’art.2449 c.c. in quanto tale norma consente
allo Stato o all’Ente pubblico di “godere di un potere di controllo
105
Si veda l’ord. di rimessione del Tar Lombardia 13 ottobre 2004, n. 175. In Foro it.,
2005, II, c.34 s.
106
In tal senso si segnalano le sentenze della Corte di giustizia del: 23 maggio 2000,
C-58/99, Commissione/Italia, in Raccolta, 2001, I-2345; 4 giugno 2002, C-367/98,
Commissione/Portogallo, in Raccolta, 2002, I-4731; 4 giugno 2002, C/503/99,
Commissione/Belgio, in Raccolta, 2002, I-4809; 13 maggio 2003, C-463/00,
Commissione/Spagna, in Raccolta, 2003, I-4581; 28 giugno 2005, C-174/04,
Commissione/Italia, in Raccolta, 2005, I-4933.
107
La Corte, in particolare, si è soffermata su una clausola che ai sensi dell’art.2449
c.c. assegnava un diritto esclusivo a favore del Comune di Milano di procedere alla
nomina diretta di un numero di amministratori, proporzionato all’entità della propria
partecipazione, nei limiti di un quarto dei membri del consiglio di amministrazione della
A.E.M.
73
sproporzionato rispetto alla sua partecipazione nel capitale di detta
società”.
La Corte parte dal presupposto che l’art.2449 c.c. costituisca
una deroga al diritto societario comune in quanto la possibilità di
nomina diretta potrebbe essere attribuita solamente ad un socio
pubblico e non anche ad un socio
privato determinando una
sproporzione di poteri del socio pubblico tale da provocare un effetto
dissuasivo all’investimento nella società108.
Oggetto di censura non è stato tanto il potere speciale di nomina
ma solo un utilizzo ingiustificato dello stesso in quanto la deroga al
diritto societario comune dovrebbe essere giustificata da un interesse
superiore che non pare sussistere nel caso dei poteri speciali introdotti
nello statuto dell’AEM 109.
L’esame
del
testo
dell’art.2449
evidenziava
come
la
disposizione non sottoponesse affatto l’inserimento di un diritto
speciale di nomina nello statuto, a favore dello Stato o dell’ente
pubblico, ad alcuna condizione specifica110.
108
Ceg C-483, 4 giugno 2002, Commissione/Francia, in G.U.C.E., Raccolta,2002, I04781.
109
V. I. DEMURO, L’incompatibilità con l’ordinamento comunitario di poteri speciali in
capo a soci pubblici, in Giur. comm., 2008 II.
110
Cfr .F.FRACCHIA-M.OCCHIENA, ad avviso dei quali, i privilegi pubblici sono
accettabili nella misura in cui le riserve a favore della componente pubblica e la
conseguente limitazione alla libera circolazione di capitali si giustifichi sulla scorta
dell’idoneità, dell’adeguatezza e della necessarietà della stessa in ragione degli interessi
74
La Corte individua ulteriori punti critici della normativa italiana
sia nella mancanza di un limite riguardo al numero degli
amministratori che possono essere nominati direttamente dallo Stato o
dall’ente pubblico partecipanti al capitale sociale, in quanto ciò si
pone in contrasto con il principio comunitario di libera circolazione
dei capitali111, sia in ragione del fatto che l’art’2449 c.c. in
combinazione con altre disposizioni112, garantiva all’ente nominante in
via diretta la possibilità di partecipare all’attività del consiglio di
amministrazione con maggiore rilievo rispetto a quanto gli sarebbe
stato normalmente concesso dalla sua qualità di azionista113.
Per pervenire a questa conclusione la Corte evidenzia che l’art.
56 del Trattato vieta le restrizioni ai movimenti di capitale114 tra gli
Stati membri, ed in particolare agli investimenti diretti tra il
finanziatore e l’impresa, tali da consentire effettivamente la
partecipazione alla gestione dell’impresa o al suo controllo115.
pubblici coinvolti. La censura dell’art.2449 c.c. scaturirebbe dal fatto che la norma si
innesta in una logica
di applicazione generale, non a situazioni eccezionali
specificamente previste e tipizzate dalla legge.
111
V., in tal senso, F. G .SCOCA, Il punto sulle c.d. società pubbliche, in Dir.econ.,
2005, 256.
112
Nel caso di specie l’art.4, l.n.474/1994
113
Si v. Corte giust. CE, Sez. I, 6 dicembre 2007, nelle cause C-463/04 e C-464/04,
punti 28 e 31.
114
Si intendono restrizioni quelle misure nazionali idonee a impedire o a limitare
l’acquisizione di azioni nelle imprese interessate o che possono dissuadere gli investitori
di altri Stati membri dall’investire nel capitale di queste ultime.
Cfr. Ceg, 23 ottobre 2007, Commissione c. Repubblica federale di Germania.
115
Ceg, sentenza 6 dicembre 2007, Federconsumatori.
75
La pronuncia appare ancora più significativa se confrontata con
il fatto che la Corte aveva già dichiarato la contrarietà ai principi
comunitari dell’art.2450 del c.c.116, che in virtù dell’art.3 comma 1 del
d.l. 10/2007 che ha recepito gli orientamenti comunitari in tema di
poteri speciali (l’Unione Europea aveva avviato una procedura di
infrazione) è stato abrogato.
L’intervento del legislatore italiano non stupisce alla luce della
giurisprudenza comunitaria, è ovvio infatti che l’art. 2450 c.c.
conferiva
poteri
speciali
di
nomina
alla
sola
pubblica
amministrazione, in assenza di alcuna specifica giustificazione
rientrante tra quelle che il diritto comunitario ritiene ammissibili e,
dato il presupposto della norma i cui poteri di nomina prescindono
dalla partecipazione al capitale, idonei ad attribuire indubbiamente
diritti di controllo sproporzionati rispetto all’entità (nulla) della
partecipazione117.
116
La norma attribuiva allo Stato o agli enti pubblici il potere di nominare
amministratori e componenti degli organi di controllo anche in mancanza di alcuna
partecipazione al capitale, a condizione che ciò fosse previsto dalla legge o dallo
statuto.. Il riconoscimento di siffatto “potere speciale” risolvendosi in un’alterazione del
funzionamento del modello s.p.a. ed in una compressione delle libertà fondamentali
riconosciute dal Tratt. U.E. è lecito per la Ceg solo qualora riferibile ad esigenze
imperative di interesse generale e nel rispetto dei principi di necessità, adeguatezza e
proporzionalità e non discriminazione.
117
Si v. in tal senso la Relazione alla l.47/2007, ove si sottolinea che l’art. 2450
“appare in palese contrasto con la normativa comunitaria, caratterizzato com’è
dall’attribuzione a soggetti pubblici della possibilità di ingerirsi nella gestione e nel
controllo di società di cui non sono neppure soci”.
76
Con un secondo intervento e precisamente con l’art.13 della l.25
febbraio 2008,n.34118 il legislatore ha profondamente modificato il
testo dell’art.2449 c.c. prevedendo una disciplina del tutto innovativa
in materia di facoltà di nomina dei componenti degli organi di
amministrazione e controllo delle società partecipate dallo Stato o
dagli enti pubblici119.
2.2 Il novellato art. 2449 c.c: limiti alla concessione del diritto di
nomina
Il legislatore con il nuovo art. 2449 c.c. ha inteso allineare
l’ordinamento nazionale agli orientamenti comunitari in materia di
“poteri speciali”.
La nuova formulazione dell’articolo in oggetto prevede
esclusivamente nell’ambito delle società per azioni120, una distinzione
118
Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia
alle Comunità europee (l. comunitaria 2007), pubblicata in g.u n.56 del 6 marzo 2008 –
Suppl. Ordinario n.54.
119
V., in tal senso, F. GHEZZI- M. VENTORUZZO “ La nuova disciplina delle
partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici ne capitale delle società per azioni: fine di
un privilegio?” in Riv. soc., 2008 fasc. IV.
120
Come evidenzia I. DEMURO il fatto che l’art.2449 c.c. continui a fare riferimento
alle società per azioni “ confermerebbe così l’esclusione dell’applicazione dell’art.2449
c.c. alle società a responsabilità limitata”.Del resto avrebbe poco senso prevedere una
disciplina speciale di nomina diretta in quanto si potrebbe raggiungere lo stesso risultato
(nomina-revoca diretta) attraverso l’attribuzione di un particolare diritto ai sensi
dell’art.2468, comma 3, c.c.
77
tra quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e quelle
che non vi fanno ricorso applicando alle due tipologie societarie
discipline differenti121 oggetto di analisi nei paragrafi successivi.
Tale rilievo traspare dal confronto dei commi primo e quarto
dell’art.2449 c.c. Per cui se nelle società chiuse lo statuto può
attribuire al socio pubblico la facoltà di nominare uno o più
amministratori e sindaci, ovvero componenti del consiglio di
sorveglianza, nei limiti che scaturiscono dalla proporzionale
partecipazione al capitale sociale, per le società aperte il legislatore si
limita a prevedere la facoltà di emettere a norma dell’art. 2346, sesto
comma c.c. strumenti finanziari rappresentativi del diritto di nominare
un componente indipendente del consiglio di amministrazione, del
consiglio di sorveglianza o del collegio sindacale.
Bisogna sottolineare l’inesattezza della formula contenuta nel
quarto comma dell’art. 2449 c.c. in quanto l’espressione “società che
fanno ricorso al capitale di rischio”
per individuare le società
emittenti strumenti finanziari rappresentativi del diritto speciale di
nomina, deve leggersi come “società che fanno ricorso al mercato del
121
Sul punto v. G. MINERVINI, Commento all’art. 2325-bis c.c., in La riforma delle
società, a cura di M. SANDULLI- V. SANTORO, Torino, 2003, 2/I, 15 s.; A. BLANDINI,
Società quotate e società diffuse: le società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio, in Trattato di diritto civile del Consiglio nazionale del notariato, diretto da P.
PERLINGIERI, Napoli, 2005, 17 ss.
78
capitale di rischio”, ovvero le società che emettono azioni quotate in
mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in misura rilevante 122. È
evidente che un riferimento così generale, da ricomprendere tutte le
società, sia stato determinato da una “svista” da parte del legislatore
che voleva disciplinare le società “aperte” ai sensi dell’art.2325-bis
c.c.
La motivazione a differenziare la disciplina tra società “ chiuse”
e società “aperte”123 è relativa ad una delle novità più significative
contenuta nel provvedimento legislativo di riforma, rappresentata
dalla previsione di un limite numerico ai seggi del consiglio di
amministrazione o di sorveglianza o del collegio sindacale che lo
statuto potrà riservare al potere di nomina del soggetto pubblico124. Le
previsioni del novellato art. 2449 c.c. non vanno confuse con le
disposizioni contenute nella l. n. 296/2006, già oggetto di analisi, la
122
F. GHEZZI- M. VENTORUZZO (nt. 119), 703.
Bisogna sottolineare, comunque, che non mancano “elementi comuni” alla
disciplina delle società chiuse e delle società aperte, relativi alla tipologia delle cariche
sociali nominabili singolarmente con il diritto speciale di cui all’art.2449 c.c. Sia il primo
che il quarto comma dell’articolo in oggetto, prevedendo esclusivamente l’elezione dei
componenti del consiglio di amministrazione o di sorveglianza o dei sindaci, non
tengono conto della facoltà di optare per i sistemi di amministrazione alternativi a quello
tradizionale. La lacuna, però, viene colmata collegando l’art. 2449 c.c. alla norma che
presuppone la facoltà di attribuire statutariamente anche il potere singolare di
nominare “componenti del consiglio di gestione” nel modello di amministrazione
dualistico (art.2409-novies, c.c.), e, nel caso in cui la società avesse adottato il sistema di
amministrazione monistico, si prevede l’ estensione della disposizione normativa alla
nomina dei “ componenti del comitato per il controllo sulla gestione”.
124
C. PECORARO, Privatizzazione dei diritti speciali di controllo dello Stato e dell’ente
pubblico nelle s.p.a.: il nuova art. 2449 c.c., in Riv. Soc., 2009, fasc. V.
123
79
quale all’art.1 comma 729, prevede la riduzione del numero dei
componenti del consiglio di amministrazione di società partecipate da
enti pubblici locali. Tali provvedimenti legislativi differiscono
sostanzialmente per le finalità perseguite in quanto nelle leggi speciali,
la limitazione del potere del socio pubblico è motivata da ragioni di
contenimento della spesa pubblica, mentre la legge comunitaria si
preoccupa di conciliare l’interesse pubblico finalizzato a conservare
un potere autoritativo di direzione sulle società privatizzate con
l’interesse privato leso da misure nazionali volte ad impedire o a
limitare l’acquisizione di azioni nelle imprese o che possano
dissuadere gli investitori degli altri Stati membri dall’investire nel
capitale di queste ultime.
Prima della modifica del testo, l’art. 2449 c.c. non prevedendo
alcun limite alla nomina degli organi di amministrazione e controllo
della società consentiva ad un azionista pubblico di minoranza di
nominare la maggioranza o addirittura tutti i componenti di tali
organi125, fattispecie non più possibile con l’introduzione del tetto
massimo fondato sul principio della proporzionalità.
125
Sulla questione le soluzioni degli interpreti sono contrastanti:opinione negativa è
stata originariamente espressa da MINERVINI, op. cit., (60), 715. Ma, contro, tra gli altri
P. ABBADESSA, La nomina diretta di amministratori di società da parte dello stato e di
enti pubblici, in Impresa, ambiente ,p.a., 1975, I; F.GALGANO, Il nuovo diritto societario,
in Tratt. Galgano, 2003, 451 ss. ed infine per quanto riguarda i sindaci A. PATRONI
80
La precedente formulazione dell’articolo in esame, non fissando
limiti quantitativi al numero dei componenti degli organi sociali di
nomina pubblica, ne metteva in rilievo la funzione eminentemente
organizzativa, la cui applicazione si prestava ad essere modulata in
base alla rilevanza dell’interesse pubblico in tale contesto126.
Un’eventuale “sproporzione” potrebbe derivare, comunque,
dalla mancanza di coordinamento della norma in questione con altre
norme “speciali”; a tal proposito, non si è tenuto conto del fatto che al
socio pubblico spetterebbero gli ordinari diritti sociali, che cumulati a
quelli speciali farebbero venir meno la proporzionalità. Ciò potrebbe
essere ancora, oggetto di future censure da parte della Comunità
europea, per cui sarebbe stato più opportuno ancorare la facoltà di
nomina a dei presupposti oggettivi127. Il recente intervento di modifica
dell’art.2449 c.c. non si è limitato a disciplinare i vincoli quantitativi
in tema di poteri di nomina. Per un verso, il secondo comma chiarisce
che gli amministratori non possono essere nominati per un periodo
superiore a tre esercizi e scadono alla data dell’assemblea convocata
per l’approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della loro
carica. In modo quasi sorprendente il nuovo testo dell’art.2449 c.c.
GRIFFI, La presidenza del collegio sindacale in caso di nomina pubblicistica di uno o più
sindaci, in Giur. comm., 1984, I, 899 s.
126
A.PERICU, op. cit., (nt. 11)
127
I.DEMURO, Il nuovo art.2449 c.c., in Giur. comm., 2008.
81
non contempla più l’inciso, introdotto dalla riforma del 2003, in forza
del quale “sono salve le disposizioni delle leggi speciali”.
Più complesso è il contenuto delle disposizioni che si applicano
alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, punto
che sarà sviluppato successivamente.
Per tali società, come già detto, la facoltà di nomina può essere
attribuita o attraverso
la previsione di strumenti finanziari
partecipativi,o in alternativa attraverso la creazione di una particolare
categoria di azioni. Nel primo caso è prevista,dunque, l’applicazione
del comma 6° dell’art.2346 c.c., per cui si ritiene che l’Ente pubblico
non debba necessariamente effettuare nuovi apporti e che possa essere
nominato più di un amministratore, in deroga a quanto previsto
dall’art.2351c.c., purché in numero proporzionale alla partecipazione
al capitale. In questo caso i diritti spettanti ai possessori dei suddetti
strumenti finanziari potranno essere i più vari e comprendere anche il
diritto di conversione in altri strumenti finanziari, mentre fra i diritti
partecipativi è escluso quello di votare nell’assemblea generale degli
azionisti.
Non si riesce a comprendere come mai in queste società, in cui
l’unica deroga al diritto societario comune dovrebbe riguardare la
nomina di un certo numero di componenti degli organi sociali, si
82
ribadisca con l’applicazione del 6°comma dell’art.2346 c.c., una cosa
già prevista128, cioè non esclusa dalla legge.
A ciò si aggiungerebbe la possibilità, su proposta del consiglio
di amministrazione all’assemblea, che i diritti previsti dallo statuto a
favore dello Stato o degli enti pubblici siano rappresentati da una
particolare categoria di azioni.
L’intervento modificativo sull’art.2449 c.c. prevede anche una
disciplina transitoria, di non facile comprensione ed oggetto di
numerose
questioni
interpretative,
che
sembrerebbe
destinata
esclusivamente alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio129.
Uno degli aspetti della disciplina transitoria che desta maggiori
perplessità è relativo a quella parte in cui si richiede che “i diritti
amministrativi” siano rappresentati da strumenti finanziari;
128
I.DEMURO, Il nuovo art.2449 c.c., (nt.127).
Dispone l’art.13, c. 2, : “Il consiglio di amministrazione, nelle società che ricorrono
al capitale di rischio e nelle quali sia prevista la nomina di amministratori ai sensi
dell’art.2449 del codice civile, nel testo vigente anteriormente alla data di entrata in
vigore della presente legge, adegua lo statuto entro otto mesi da tale data, prevedendo
che i diritti amministrativi siano rappresentati da strumenti finanziari, non trasferibili e
condizionati alla persistenza della partecipazione dello Stato o dell’ente pubblico, ai sensi
dell’art.2346, sesto comma,del codice civile. Scaduto il predetto termine di otto mesi,
perdono efficacia le disposizioni statutarie non conformi alle disposizioni dell’art.2449
nella nuova versione.
129
83
l’espressione, infatti, non risulta per niente denotativa, in
quanto non dice se si tratti di tutti i diritti amministrativi di cui lo Stato
o l’ente pubblico può essere titolare, cioè anche quelli derivanti dal
fatto di essere azionista, ovvero solamente di quelli che permettono la
nomina diretta.
Sembrando assurda la prima soluzione si deve ritenere che lo
Stato o l’ente pubblico diverrà contemporaneamente titolare di azioni
e di strumenti finanziari emessi ex art.2449 c.c.
Nella seconda parte della disciplina transitoria, in maniera non
coerente con il contenuto dell’art.2449 c.c., si prevede la perdita di
efficacia delle disposizioni non adeguate.
Ma dall’esame del riformulato art. 2449 c.c. si ricava che non
vi è alcun adeguamento da effettuare in quanto non risulta dalla norma
nessun obbligo di adeguamento; per cui non vi è alcuna perdita di
efficacia delle disposizioni statutarie non adeguate mancando proprio
nel dettato normativo una disposizione a cui adeguarsi130.
In connessione con quanto appena rilevato un adeguamento
sarebbe stato invece necessario per le società che non ricorrono al
mercato del capitale di rischio, al fine di rendere proporzionale il
potere di nomina del socio pubblico alla partecipazione al capitale
130
In questo senso DEMURO, op. cit.
84
sociale. Per cui,diversamente a quanto è stato disposto per le società
quotate ed in quelle con azioni diffuse,
dal secondo comma
dell’art.13 l.34/2008, per le società “chiuse” non è prevista nessuna
disposizione transitoria volta a consentire l’adeguamento degli statuti
al nuovo principio della “proporzionalità”.
Per quanto riguarda le società che fanno ricorso al mercato del
capitale di rischio non è previsto nessun richiamo al principio di
proporzionalità, in tale prospettiva si pone, quindi, il rischio che si
riproponga la sproporzione tra partecipazione e controllo in quanto
mentre il problema non dovrebbe porsi qualora il diritto di nomina
diretta sia contenuto in strumenti finanziari, che al limite danno diritto
a nominare un amministratore indipendente, un componente del
consiglio di sorveglianza o un sindaco (art.2351 c.c., 5° comma), lo
stesso non può dirsi qualora si scelga l’alternativa delle categorie
speciali di azioni, rispetto alle quali non sussiste la limitazione di cui
all’art.2351 c.c131.
Secondo alcuni autori132il fatto che il primo comma
dell’art.2449 c.c., il cui ambito di applicazione è relativo alle società
che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio,consente allo
131
M. C. CORRADI, Il nuovo art.2449 c.c., in Giur.comm. 2008.
F.GHEZZI- M. VENTORUZZO, La nuova disciplina delle partecipazioni dello Stato e
degli enti pubblici, (nt. 119)
132
85
statuto la nomina di amministratori e componenti l’organo di controllo
proporzionale alla partecipazione al capitale sociale, non esclude tale
possibilità per le società aperte.
Dall’esame del nuovo testo dell’art.2449 c.c., scaturisce
quindi,che la nuova formulazione può essere oggetto di future ed
inevitabili censure da parte della Ceg. Sono state, infatti, diverse le
occasioni in cui la Corte ha censurato la presenza attiva del pubblico
nell’economia che hanno portato quest’ultimo ad intervenire con
soluzioni spesso azzardate al fine di sfuggire al vincolo comunitario;
i risultati di tali tentativi, non sempre positivi, e spesso destinati
ad ulteriori censure, dovrebbero dunque indurre “il legislatore a
prendere atto della oramai limitatissima compatibilità tra il ruolo
attivo dello Stato e degli enti pubblici nell’attività d’impresa e le
regole della concorrenza e del mercato”.
2.3 L’applicazione del principio di proporzionalità nelle società
chiuse
Come già appena rilevato in relazione alle società chiuse la recente
riforma ha mantenuto in capo all’ente pubblico il potere di nomina
86
extra assembleare ma l’ha circoscritto all’applicazione del criterio di
proporzionalità.
Con la nuova formulazione dell’art.2449 c.c.133 il legislatore
recepisce il principio contenuto nella sentenza della Corte di Giustizia
(Federconsumatori) di “ non sproporzione nel controllo” attraverso la
previsione di un limite al potere di nomina diretta vincolato da un
rapporto di “ proporzionalità” rispetto alla partecipazione al capitale.
Il legislatore comprime, infatti, la facoltà per l’autonomia
statutaria di riconoscere il diritto singolare di nominare un numero di
amministratori e sindaci, ovvero componenti del consiglio di
sorveglianza ( ma non del consiglio di gestione)
entro un limite
numerico determinato in funzione del vincolo della proporzionale
partecipazione del socio pubblico al capitale sociale.
Bisogna sottolineare che rispetto alle previsioni previgenti,
l’introduzione del vincolo di proporzionalità ridimensiona le
disuguaglianze tra soci privati e soci pubblici. Vanno valutati in tal
senso gli effetti sul funzionamento dell’organizzazione determinati da
tale vincolo che variano in ragione della consistenza della
133
La sentenza della Corte è del 6 dicembre 2007, l’art. 2449 c.c. è stato modificato
dall’art.13, comma 1, della legge 25 febbraio 2008, n.43.
87
partecipazione azionaria detenuta dal socio pubblico, cioè in misura di
una partecipazione minoritaria o maggioritaria134.
Nel primo caso, il principio di proporzionalità impedisce che la
società possa sovvertire il principio generale che affida il controllo ai
soci che rappresentano la “maggioranza”135, per cui a differenza del
passato il socio pubblico che non detiene una partecipazione tale da
permettere la nomina in assemblea della totalità o della maggioranza
dei componenti dei consiglieri o dei sindaci, non può più avvalersi del
diritto speciale di cui all’art. 2449 c.c. per acquisire il controllo della
società136.
Nel caso in cui, invece, l’ente pubblico è “ socio di
maggioranza” e dispone del controllo a norma dell’art.2359 c.c., potrà
esercitare un’influenza dominante nonostante la limitazione prevista
dall’art. 2449 c.c. Il potere di nomina diretta non è irrilevante in
presenza di una partecipazione maggioritaria, effetti quindi si
verificano anche quando il socio pubblico possiede la maggioranza
assoluta del capitale sociale, i quali derivano dall’applicazione di una
134
F. GHEZZI-M. VENTORUZZO (nt. 119), 675
F.GALGANO-R.GENGHINI, Il nuovo diritto societario. Le nuove società di capitali e
cooperative, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, 2006;
F.GALGANO, La forza del numero e la legge della ragione. Storia del principio di
maggioranza, Bologna, 2007, il quale evidenzia che “ il governo di una società fra uguali
non può essere altrimenti attuato se non sulla base di un mero calcolo aritmetico, che
faccia prevalere il maggior numero”.
136
In tal senso, C.PECORARO (nt. 124); F.GHEZZI-M. VENTORUZZO (nt.119).
135
88
disciplina speciale alle vicende che riguardano la nomina e la revoca
della maggioranza delle cariche sociali elette a norma dell’art. 2449
c.c. in quanto è soprattutto in questi casi che il vincolo di
proporzionalità si traduce in un privilegio per il socio pubblico, tanto
che la nomina extrassembleare non sarà contestabile dagli altri soci137
che non potranno ricorrere nell’ipotesi di nomina illegittima, neppure
con i mezzi ordinari d’impugnazione; inoltre, venendo meno i poteri
di controllo, la minoranza nei casi di mala gestio non è più legittimata
a richiedere la revoca dei consiglieri. In connessione con quanto
appena rilevato va sottolineato l’orientamento prevalente della
dottrina in riferimento al contenuto del secondo comma dell’art.2449
c.c., il quale prevede che “ gli amministratori e i sindaci
o i
componenti del consiglio di sorveglianza nominati a norma del primo
comma possono essere revocati soltanto dagli enti pubblici che li
hanno
nominati”,
tale
disposizione
è
stata
infatti
ritenuta
incompatibile con la previsione di una revoca per giusta causa
disposta con deliberazione dell’assemblea, nonché con le disposizioni
137
Sul punto GHEZZI- VENTORUZZO (nt.119) secondo i quali il sistema di nomina
diretta sottrae competenze all’assemblea e pone al riparo il soggetto nominante da
qualsiasi contestazione circa la nomina da parte della società , giacché i soci, gli
amministratori e i sindaci non avranno poteri di reazione e tanto meno di impugnazione
della nomina, che appunto non avviene per mezzo di un’impugnazione assembleare.
89
contenute negli artt. 2393, comma quinto, e 2409, comma quarto,
c.c138.
Infine la previsione del limite della proporzionalità, nell’ipotesi
in cui il socio pubblico disponga di una partecipazione di maggioranza
relativa sufficiente ad esercitare il controllo di fatto139 produce come
effetto il divieto di servirsi dello strumento del diritto amministrativo
per trasformare la natura del potere esercitato e passare da un
controllo precario, legato a circostanze occasionali, ad un controllo
stabile previsto da una clausola statutaria140.
Bisogna sottolineare che la proporzione prevista all’art.2449,
comma 1, c.c. è relativa esclusivamente agli amministratori che
vengono nominati direttamente dal socio pubblico, in quanto la norma
non impedirebbe agli enti pubblici e allo Stato di votare in assemblea
con le azioni di cui sono titolari. Per cui, se la nomina dei restanti
amministratori fosse attribuita con il metodo del voto di lista, tale
138
I quali prevedono rispettivamente la revoca ope legis in ipotesi di esperimento
dell’azione di responsabilità deliberata con il voto dei soci che rappresentano una quota
qualificata del capitale sociale e la revoca giudiziaria disposta nei casi di gravi irregolarità
nella gestione.
139
Cfr. l’art.2359, comma 1, n. 2, c.c ; fenomeno per il quale in ragione della
polverizzazione dei possessi azionari e l’assenteismo degli altri soci consente anche ai
soci che rappresentano una quota di minoranza del capitale sociale di controllare di
fatto la società.
140
V.C. PECORARO, (nt. 124)
90
sistema potrebbe comunque garantire ai soci pubblici la maggioranza
degli amministratori.141
Si è dunque affermato che la norma non è immune da eventuali
censure a causa dell’utilizzo congiunto da parte dell’ente pubblico del
diritto speciale previsto dall’art.2449 c.c. e della previsione statutaria
del voto di lista.
In connessione a quanto appena rilevato parte della dottrina142
evidenzia
che il dettato normativo non fa alcun riferimento alla
limitazione o alla sterilizzazione dei diritti di voto spettanti al socio
pubblico nelle deliberazioni di nomina e di revoca dei componenti del
consiglio di amministrazione
in quanto ciò comporterebbe una
disparità di trattamento in capo allo stesso socio143.
141
V. in argomento RUOTOLO-PUGLIELLI Nomina e revoca degli amministratori nelle
società a partecipazione pubblica (Il nuovo testo dell’art.2449 c.c.), in Studi e materiali a
cura del Consiglio nazionale del notariato, 1, 2009, i quali, al contrario, evidenziano che
“ il principio di proporzionalità sancito a livello comunitario abbia una portata generale
ed inderogabile” non essendo possibile “interpretare il disposto dell’art.2449 c.c. nel
senso che la proporzionalità operi e debba operare solo per i membri di nomina diretta”.
Di conseguenza secondo una lettura “rigorosa”, il limite della proporzionalità varrebbe
in ogni caso e non solo con riferimento alla nomina extrassembleare.
142
V. GHEZZI- VENTORUZZO (nt. 119); sul punto anche DEMURO, Società con
partecipazione dello Stato o di enti pubblici, in Il nuovo diritto societario, nella dottrina e
nella giurisprudenza:2003-2009 Commentario diretto da COTTIMO e altri, Bologna 2009.
143
V. DEMURO (nt.109), il quale ritiene che il socio pubblico non possa essere
discriminato rispetto a quello privato, e possa giungere anche a detenere un potere di
controllo sproporzionato, se ciò avvenga per mezzo di strumenti di diritto societario
disponibili a tutti i soci.
91
Bisogna inoltre sottolineare che la proporzionalità del diritto di
nomina diretta è cosa diversa dal “controllo sproporzionato” censurato
dalla Corte di Giustizia.
Secondo i giudici, infatti, il contrasto con la norma comunitaria
non deriva dall’assenza di un vincolo di proporzionalità tra il “ valore
della partecipazione” e il “numero di consiglieri o sindaci nominati
singolarmente”, bensì dall’affidamento ex ante di poteri speciali che
assicurano al socio pubblico di minoranza, a prescindere dalle azioni
possedute la facoltà di nominare la maggioranza delle cariche
sociali144.
Il criterio della proporzionalità rappresenta un criterio debole,
perché inadeguato a neutralizzare il controllo sproporzionato
esercitato sulla base dell’esercizio congiunto del potere speciale di
nomina e il diritto comune di votare in assemblea sull’elezione dei
restanti membri del consiglio di amministrazione e del collegio
sindacale.
In
riferimento
all’elasticità
del
criterio
previsto
dalla
giurisprudenza comunitaria la disciplina poteva essere modellata
144
C. CAVAZZA, Prerogative speciali e società partecipate dai pubblici poteri:il nuovo
art. 2449 c.c., in Nuove Leggi civ.,2009.
92
contemperando singoli interessi145 al fine di impedire forme di
controllo sproporzionato ma senza pregiudicare il diritto del socio
pubblico di esercitare il controllo sulla base delle regole di diritto
comune.
Per cui partendo dal presupposto che la sentenza non parla di
principio di proporzionalità, ma di violazione di principi comunitari
attraverso l’applicazione dell’art.2449 c.c. da cui scaturisce un potere
di controllo sproporzionato rispetto all’entità della partecipazione, tale
scelta legislativa di affidarsi alla previsione del principio di
proporzionalità è stata oggetto di censure da parte della dottrina
146
.
Ciò presuppone una modifica del dettato normativo tenendo conto del
principio previsto dalla Corte di Giustizia, in modo da verificare di
volta in volta se il numero complessivo degli amministratori di
nomina pubblica, anche se non ecceda il limite della proporzionalità,
possa determinare un “controllo sproporzionato”.
Dalle incongruenze evidenziate l’introduzione del principio di
proporzionalità non rappresenta una tappa risolutiva nell’allineamento
145
Nella sentenza della Corte di giustizia si precisa come gli Stati hanno la facoltà di
stabilire il modo attraverso il quale armonizzare la legislazione interna al precetto della
libera circolazione dei capitali, bilanciando “ l’interesse sovra-nazionale” alla rimozione
degli ostacoli che impediscono la formazione del mercato unico con la protezione degli
“interessi generali dello Stato”.
146
Così scrivono F. GHEZZI-M.VENTORUZZO (nt.119), 699, “se è vero che una
rappresentanza proporzionale nel consiglio di amministrazione non è certamente
sproporzionata, non è detto che una rappresentanza più che proporzionale dia luogo
automaticamente ad un potere di controllo sproporzionato”.
93
dell’ordinamento interno agli orientamenti della giurisprudenza
comunitaria in tema di “poteri speciali”.
Diversi i rilievi critici relativi sia alla fattispecie in cui il socio
pubblico detiene una partecipazione di maggioranza del capitale
sociale che gli permette di blindare il controllo della società, data
l’impossibilità per i soci di minoranza di rimuovere i consiglieri o i
sindaci nominati in via exstrassembleare dallo Stato o dall’ente
pubblico, sia alla violazione dei principi comunitari tramite
l’applicazione congiunta del diritto speciale di nomina previsto
all’art.2449 c.c. e la clausola statutaria sull’esercizio del diritto
comune di voto in assemblea che sottopone l’elezione dei consiglieri e
sindaci al sistema del voto di lista, fenomeno da cui può scaturire un
potere di controllo sproporzionato147.
In connessione a ciò il dettato normativo previsto all’art.2449
c.c. si rileva lacunoso in quanto il limite di proporzionalità previsto al
147
Nel caso AEM s.p.a., infatti, di cui si è parlato, le regole statutarie riservavano al
socio pubblico la nomina diretta di un numero di amministratori proporzionale alla
quota di partecipazione, stabilendo in ogni caso un tetto massimo di amministratori
eleggibili in sede extrassembleare. Gli amministratori non indicati direttamente dal
Comune venivano invece eletti in assemblea con il sistema del voto di lista: dalla prima
lista classificata si ricavavano i sei decimi delle cariche eleggibili (quattro
amministratori), mentre i restanti consiglieri sarebbero stati sarebbero stati selezionati
dalla seconda lista (tre amministratori). Per cui ,quale che fosse stato l’esito della
votazione assembleare, per effetto congiunto del diritto speciale di cui all’art. 2449 c.c. e
della previsione del sistema del voto di lista, al socio pubblico sarebbe stata assicurata in
ogni caso “ex ante” la nomina della “maggioranza” dei consiglieri, anche se l’ipotetica
alleanza degli altri soci dovesse rappresentare una quota di capitale maggiore, dunque
l’impossibilità per questi ultimi di sovvertire il controllo già esercitato dall’ente pubblico.
94
primo comma riguarda esclusivamente il numero delle cariche sociali
nominabili in sede extrassembleare tramite l’esercizio del diritto
singolare previsto dallo statuto e non è certo, secondo parte della
dottrina148, con l’estensione di tale principio all’esercizio del diritto di
voto in assemblea che risulta possibile risolvere il contrasto con la
norma comunitaria149.
Dalla lettura della sentenza della Corte di Giustizia si ha
l’impressione che gli ordinamenti nazionali possono riservare al socio
pubblico privilegi amministrativi, l’importante che la previsione di
diritti singolari non sottragga del tutto il controllo della società al
regime di libera contendibilità150.
2.4 La disciplina delle società aperte
Significative novità sono contenute nel quarto comma dell’art. 2449
c.c. relativamente alle società che fanno ricorso al mercato del capitale
148
C. PECORARO, (nt.124), 970; F. GHEZZI-VENTORUZZO, (nt.119) secondo i quali
un’interpretazione estensiva del principio di proporzionalità determinerebbe una
violazione delle regole di diritto comune ed una disparità di trattamento tra soci privati e
pubblici.
149
Non ha aderito a questa impostazione, C. IBBA Sistema dualistico e società a
partecipazione pubblica, in Riv.dir. civ., 2008, I, per il quale la mancata estensione del
limite della proporzionalità al diritto di voto determina un’alterazione delle regole del
diritto comune, provocando contrasti con il diritto comunitario.
150
Cioè, il principio affermato dalla Corte di Giustizia, ove tale” privilegio non risulti
determinante per l’affidamento del controllo della società”.
95
di rischio. Disciplina
che richiede un’analisi più articolata e
caratterizzata da notevoli incertezze sia relative alla legislazione
interna che al suo coordinamento con la normativa comunitaria. È
previsto quindi che alle società quotate e con azioni diffuse “ si
applichino le disposizioni del sesto comma dell’art. 2346 c.c.”, cioè
quelle relative alla possibilità di emettere strumenti finanziari dotati di
diritti patrimoniali e amministrativi a fronte dell’apporto di prestazioni
d’opera e di servizi da parte di soci o di terzi.
Questa previsione evidenzia che la volontà del legislatore, nelle
società quotate e in quelle con azioni diffuse, è quella di ricondurre i
poteri speciali ad istituti di diritto comune, quali gli strumenti
finanziari partecipativi e le azioni di categoria.
Espressione , che come già detto, sembrerebbe del tutto
pleonastica se intesa solo come riconoscimento dell’applicabilità del
nuovo strumento nelle società disciplinate dall’art.2449 c.c. e non
viene letta nel quadro della disciplina in oggetto in cui pare assumere
un preciso significato in funzione della rilevanza organizzativa
riconosciuta ai “diritti amministrativi previsti dallo statuto” in favore
dei soggetti pubblici sia come possessori di strumenti finanziari che
come titolari di una particolare categoria di azioni.
96
La composizione pubblica-privata dell’azionariato induce a
ritenere che il socio pubblico già legittimato ad utilizzare gli strumenti
di diritto comune a difesa dell’azionista possa chiedere, in occasione
dell’emissione di strumenti finanziari o della creazione di una
categoria speciale di azioni, l’inserimento nello statuto dei diritti
amministrativi ritenuti maggiormente significativi per il governo
societario in funzione del suo diverso interesse alla società151.
La regola dell’incorporazione in strumenti finanziari o azioni
come tecnica per l’attribuzione del potere speciale a norma del quarto
comma dell’art.2449 c.c si riflette sulle vicende relative all’acquisto
del diritto di nomina da parte dello Stato o dell’ente pubblico
designato nello statuto. A differenza di quanto previsto per le società
chiuse, quindi, non è sufficiente la previsione statutaria affinché l’ente
possa rivendicare la titolarità del diritto, per cui il soggetto pubblico
acquisterà il diritto solo al momento della sottoscrizione dello
strumento finanziario.
È opportuno stabilire in che modo debba qualificarsi la
posizione dell’ente pubblico designato dallo statuto come beneficiario
del diritto particolare di nomina nella fase che precede il
perfezionamento
della
vicenda
acquisitiva,
cioè
se
la
151
F. SANTONASTASO, Le società di diritto speciale, in Trattato di diritto commerciale,
diretto da V. BUONOCORE, sez. IV- Tomo 10, Torino, 2009.
97
predeterminazione statutaria crei “ una mera aspettativa” in capo
all’ente beneficiario, o una “pretesa” nei confronti della società a
sottoscrivere titoli che incorporano il diritto speciale di nomina.
In tale ottica, dunque, il soggetto pubblico può legittimamente
richiedere alla società l’emissione di titoli rappresentativi del diritto
particolare di nomina a condizione che la previsione statutaria sia
formulata in modo analitico al fine di predeterminare adeguatamente il
contenuto della pretesa azionaria, in caso contrario può rivendicare
solamente un’aspettativa152.
Per quanto riguarda le modalità di esercizio del diritto
rappresentato da strumenti finanziari partecipativi un elemento
significativo da valutare è costituito dai rilievi contenuti nell’art. 2449
c.c. dai quali si desume che la nomina singolare disposta dal socio
pubblico non è più collegata ad un potere esclusivo di revoca. Il
binomio tra nomina e revoca è previsto all’art.2449 c.c. con esclusivo
riferimento alle società chiuse e ne è preclusa l’estensione alle società
aperte , disciplinate al quarto comma dell’art.2449 c.c.153. Circa il
valore da attribuire alla norma che assegnava il potere di revoca
152
Rimane ferma la discrezionalità degli organi sociali di decidere il contenuto del
titolo da offrire in sottoscrizione all’ente pubblico per cui in caso di esercizio abusivo di
questo potere discrezionale, al soggetto pubblico non rimane che ricorrere al rimedio
risarcitorio.
153
Per un approfondimento v. C. PECORARO (nt.124), 992.
98
esclusivamente all’ente pubblico che ha disposto la nomina la dottrina
prevalente ha evidenziato che anche in presenza di una giusta causa ,
la
società
non
avrebbe
potuto
disporre
della
revoca
dell’amministratore o del sindaco nominato singolarmente dal
soggetto pubblico154.
Sempre in tale prospettiva il ricorso a strumenti finanziari per il
contributo economico di investitori non soci che giustificano, in alcuni
casi “ l’estensione dei poteri decisionali ordinariamente spettanti agli
azionisti in virtù di una potenziale cogestione” e in altri un’ingerenza
caratterizzata solo alla “occasionalità e per la finalizzazione delle
prerogative riconosciute alla tutela dell’interesse di classe”155, va
considerato con una diversa modulazione dei poteri riconosciuti
dall’autonomia assembleare a tutela di un investitore che continua ad
essere socio di una società dove la composizione azionaria di cui
all’art.2449 c.c. si traduce in un tentativo di un procedimento di
legittimazione della componente pubblica all’esercizio di funzioni
154
G. COTTIMO, Diritto Commerciale, volume I, tomo II, Padova, 1987, 616; P.
ABBADESSA, La nomina diretta di amministratori di società da parte dello Stato e di enti
pubblici, (nt.125); F. ROVERSI MONACO, Revoca e responsabilità… (nt.11), 276.
155
V. M. CIAN, Strumenti finanziari partecipativi e poteri di voice, Milano, 2006.
99
gestorie nella contrapposizione tra interesse di categoria ed interesse
sociale156.
La scelta di ricondurre la previsione del diritto di nomina alla
fattispecie degli strumenti finanziari partecipativi ha una specifica
rilevanza nel quadro della disciplina applicabile, per cui il rinvio al
sesto comma dell’art. 2346 c.c. ha diverse finalità quali quella di
prevedere che per le società che fanno ricorso al mercato del capitale
di rischio vige un limite al potere speciale di nomina diverso dal
vincolo di proporzionalità dettato invece per le società chiuse; di
identificare l’acquisizione del diritto nella sottoscrizione del titolo che
lo incorpora; di privatizzare le modalità di esercizio del diritto di
nomina ed infine di prescrivere requisiti di indipendenza per il
consigliere o il sindaco nominato dal soggetto pubblico.
L’incorporazione del diritto amministrativo del soggetto
pubblico in un titolo che costituisce strumento di diritto comune è
finalizzato ad assicurare che l’armonizzazione della disciplina interna
alle disposizioni comunitarie venga realizzata tenendo conto delle
peculiarità delle società aperte157.
156
M. CIAN, (nt. 155), il quale evidenzia che sulla istituzionalizzazione del ruolo
dell’esponente di nomina extra-assembleare di “portatore di interessi di gruppo non lo
legittimano……all’esercizio dei poteri amministrativi in spregio dell’interesse sociale…”
157
M.COSSU, L’amministrazione nelle s.r.l. a partecipazione pubblica, in Giur. Comm.,
2008, I, il quale evidenzia come già da tempo la dottrina ha denunciato l’incompatibilità
100
Una delle questioni sollevate è relativa al fatto che l’art.2449
c.c. non specifica quale sia per le società aperte il limite numerico al
diritto di nomina riconosciuto al soggetto pubblico.
La dottrina si è posta il quesito se il silenzio normativo avrebbe
dovuto essere interpretato mediante l’applicazione estensiva del
principio di proporzionalità158, o invece, valorizzando il ricorso alla
previsione on contenuta nel sesto comma dell’2346 c.c., attraverso
l’identificazione del privilegio del soggetto pubblico con la disciplina
comune degli strumenti finanziari partecipativi159.
La posizione della dottrina risulta variegata riguardo al numero
massimo di cariche sociali che lo statuto può riservare al soggetto
pubblico nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio di cui all’art. 2325-bis c.c. Se non mancano autori che negano
la possibilità che tale potere possa eccedere la facoltà di nominare ai
sensi del quinto comma dell’art.2351c.c. quindi “un solo componente
dei poteri speciali concessi al soggetto pubblico con la disciplina speciale prevista per le
società aperte.
158
In questo senso, F. GHEZZI-M.VENTORUZZO (nt. 119), i quali prevedono che
mentre nella prima tipologia di società, il potere di nomina può essere attribuito
direttamente dallo statuto al socio pubblico, nelle società che fanno ricorso al mercato
del capitale di rischio, tale potere deve essere incorporato in strumenti finanziari o
speciali categorie di azioni. Non sembra, quindi, che in tali società debba escludersi la
possibilità di riconoscere allo Stato o all’ente pubblico azionista una rappresentanza
proporzionale negli organi di governance della società; dello stesso orientamento F.
SANTONASTASO, (nt. 151).
159
C. CAVAZZA, (nt. 144), il quale distingue a seconda che il diritto particolare di
nomina sia stato incorporato in “ strumenti finanziari” oppure in “azioni”.
101
indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di
sorveglianza o di un sindaco”160, altri risultano favorevoli ad
identificare
tale
limite
con
l’estensione
del
principio
di
proporzionalità.
In connessione con quanto rilevato bisogna sottolineare le
difficoltà di adeguare l’applicazione del principio di proporzionalità “
alle speciali modalità di partecipazione” del soggetto pubblico alle
società aperte in quanto occorre domandarsi se tale criterio debba
essere riferito al valore della partecipazione azionaria161, o, al
contrario inteso avendo riguardo all’investimento effettuato dallo
Stato o dall’ente pubblico ai fini della sottoscrizione di strumenti
finanziari partecipativi.
160
V. F. GHEZZI- M.VENTORUZZO (nt. 119), secondo i quali, al contrario, “il rispetto
del principio di proporzionalità risulta necessario, ma anche sufficiente in relazione alla
libera circolazione dei capitali sia nelle società chiuse, che in quelle aperte. Per cui una
disciplina più rigorosa per queste ultime, in base alla quale gli strumenti finanziari
partecipativi consentirebbero unicamente l’attribuzione del diritto di nomina di un solo
amministratore, non sarebbe giustificabile alla luce dell’attuale quadro comunitario
normativo e giurisprudenziale”. In senso opposto pare orientato il contributo di C.
PECORARO (nt.124), il quale evidenziando il contenuto della sentenza della Corte di
Giustizia che vincola lo Stato ad imporre le garanzie minime al fine di preservare la libera
circolazione di capitali, non vi è motivo per censurare la discrezionalità degli stati
membri ad adottare misure più rigorose. In questo senso la scelta di equiparare il
soggetto pubblico al sottoscrittore di strumenti finanziari partecipativi.
È ovvio che l’interesse a limitare l’ingerenza del socio-pubblico venga in rilievo
soprattutto nelle società aperte, in cui un controllo precostituito ex ante sul
riconoscimento di privilegi speciali disincentiva gli investimenti e rischia di deprezzare il
valore delle azioni in circolazione.
161
In tale senso F. GHEZZI-M.VENTORUZZO (nt. 119), i quali pur affermando
l’estensione del limite della proporzionalità alla disciplina delle società aperte, ritengono
che l’emissione di strumenti finanziari partecipativi non sia subordinata al rispetto di una
regola di proporzionalità tra la consistenza dell’apporto e la rilevanza dei diritti
rappresentati dal titolo.
102
Nel testo legislativo non si chiarisce però se la sottoscrizione di
strumenti finanziari che incorporano il diritto costituisca un mezzo
alternativo
alla
partecipazione
azionaria
o,
se
invece,
tale
sottoscrizione rimanga una condizione necessaria ma non sufficiente
per l’attribuzione del diritto speciale162. Secondo alcuni autori la scelta
di ricorrere alla tecnica dell’incorporazione in strumenti finanziari
partecipativi è una tecnica preordinata alla privatizzazione del diritto
speciale concesso allo Stato o agli enti pubblici per cui viene
valorizzato il rinvio al sesto comma dell’art.2346 c.c. al fine di
sostenere l’applicazione estensiva delle limitazioni stabilite dalla
disciplina comune, in modo che i sottoscrittori di strumenti finanziari
potranno acquistare la legittimazione a disporre della nomina
singolare ai sensi del quarto comma dell’art.2449 c.c. di un solo
componente dell’organo amministrativo e di controllo.
La trasformazione dell’interesse pubblico nell’esercizio del
controllo va correlata, inoltre, al significato che assume il requisito
dell’indipendenza del consigliere o del sindaco nominato dal
sottoscrittore di strumenti finanziari. La dottrina si divide tra coloro
che concepiscono l’indipendenza come condizione di “mera
162
Diverse le difficoltà di applicazione del vincolo della proporzionalità , previsto dal
primo comma dell’art.2449 c.c. in funzione della partecipazione del socio pubblico al
capitale sociale, qualora s’ipotizzi una partecipazione dello Stato o dell’ente pubblico
fondata unicamente sulla sottoscrizione di strumenti finanziari.
103
autonomia dagli azionisti”, da valutare in base al possesso di requisiti
soggetivi-professionali163, e quanti, invece, la concepiscono in
funzione della rappresentatività dello specifico interesse della
categoria164, costituito in questo caso dalle finalità pubbliche
perseguite dall’ente. Secondo questo nuovo assetto normativo, quindi,
il potere di nominare un consigliere indipendente ai sensi
dell’art.2449, comma quarto, c.c presuppone una concezione
dell’interesse pubblico a “vigilare” più che a dirigere l’attività della
società165.
Il rilievo evidenzia, tra l’altro, come la disposizione normativa
non subordina la concessione del diritto speciale di nomina ad un
investimento proporzionale, tanto che secondo alcuni autori gli
strumenti finanziari rappresentativi del potere di nomina potrebbero
essere offerti in sottoscrizione al soggetto pubblico anche in presenza
di un apporto “irrisorio”166.
La previsione di tale disposizione normativa che segna il modo
attraverso il quale l’interesse pubblico penetra nell’organizzazione
163
In tal senso, M. L. MONTAGNANI, Commento all’art. 2383 c.c., in Amministratori, a
cura di F. GHEZZI, in Commentario alla riforma della società, diretto da P. MARCHETTIL.A BIACHI-F. GHEZZI-M.NOTARI, Milano, 2005.
164
V.F. SANTONASTASO (nt.151), M. CIAN, Gli investitori non azionisti e diritti
amministrativi nella nuova s.p.a., in Il nuovo diritto delle società, 2006.
165
Sul punto M.T. CIRENEI (nt.100), 53; I. DEMURO, L’incompatibilità con il diritto
comunitario della nomina diretta ex art.2449 c.c, (nt.109)
166
Cfr. F.GHEZZI- M. VENTORUZZO (nt.119), 707 s.
104
pone fine alla disputa sulla natura pubblicistica o privatistica167 del
potere speciale di nomina di cui si è già parlato.
Va ricordato come nell’ambito della disciplina del comma 6
dell’art.2346 c.c. lo strumento finanziario partecipativo possa essere
fornito oltre che di diritti patrimoniali anche di diritti amministrativi,
escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti costituendo un
mezzo per consentire a coloro che partecipano alla società una
rappresentatività all’interno dell’organo amministrativo.
La disciplina degli strumenti finanziari partecipativi presenta
alcuni problemi di coordinamento al suo interno, posto che se da un
lato l’art.2346 comma 6 vi ricollega “diritti patrimoniali o anche
amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli
azionisti”, dall’altro l’art. 2351 c.c. , comma 5, c.c. prevede che essi
“….possono essere dotati del diritto di voto su argomenti
specificamente indicati”.
Autorevole dottrina 168 coordina le due disposizioni, anche sulla
scorta della Relazione alla riforma169, riconoscendo ai loro possessori
167
Alla luce della qualificazione pubblicistica parte della dottrina ritiene che il potere
di nomina e di revoca abbia natura autoritativa, poiché vincolato al perseguimento
dell’interesse pubblico; mentre secondo la dottrina prevalente la previsione di poteri
speciali di nomina e revoca non interferisce con la causa del contratto sociale. Questo
indirizzo interpretativo, senza trascurare la rilevanza accordata all’interesse extrasociale
promosso dal soggetto pubblico sul piano dell’organizzazione societaria, si conforma
all’autorevole insegnamento per cui l’interesse pubblico non può deformare la natura e
l’essenza degli istituti privatistici impiegati per lo svolgimento dell’azione
amministrativa: in tal senso OPPO (nt.49)
105
il diritto di voto nella loro assemblea speciale170 in ordine, fra l’altro,
alla “nomina di un componente indipendente del consiglio
disamministrazione o del consiglio di sorveglianza o del sindaco”.
Non può essere invece attribuito ai possessori degli strumenti
partecipativi il diritto di voto nell’assemblea degli azionisti, in
concorso con gli stessi, e quindi neanche per le deliberazioni che
hanno ad oggetto la nomina degli “altri” amministratori171.
La ratio della previsione del ricorso agli strumenti finanziari
partecipativi è, tuttavia, di difficile comprensione, sembrerebbe che il
legislatore abbia inteso incorporare i “particolari diritti” e quindi la
nomina diretta degli amministratori in uno strumento che può esser sì
dotato di “diritti amministrativi”, ma che si connota, in maniera
ordinaria, quale mezzo di finanziamento della società.
Dal dettato normativo, non sembrerebbe, peraltro, preclusa la
possibilità che tali strumenti siano attribuiti, oltre che allo stato e agli
168
NOTARI, Le categorie speciali di azioni e gli strumenti finanziari partecipativi nella
riforma delle società, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi sulla riforma del diritto
societario, Milano, 2004, 615 ss.
169
Ove è scritto che “ gli strumenti finanziari in questione possono conferire tutti i
diritti partecipativi escluso quello del diritto di voto nell’assemblea generale degli
azionisti”
170
In senso contrario BUSI, Assemblea e decisioni dei soci nelle società per azioni e
nella società a responsabilità limitata, 873, secondo il quale o si riconduce il potere di
nomina “ alla disciplina eccezionale di nomina da parte di terzi, come negli artt. 24492450 c.c., o per non spezzare il principio di unitarietà dell’assemblea, sembra si debba
consentire ai titolari di strumenti finanziari l’intervento nell’assemblea generale dei
soci”.
171
MAGLIULO, Le categorie di azioni e strumenti finanziari nella nuova s.p.a., Milano,
2004, 78; NOTARI, (nt. 168), 615.
106
enti pubblici cui invece sono destinate le speciali categorie di azioni,
anche ai soci privati.
È previsto, come già detto, il ricorso oltre agli strumenti
partecipativi, anche alla creazione di speciali categorie di azioni
rilevando la conformità della previsione ai principi comunitari,
trattandosi di strumenti privatistici nella disponibilità di tutti i soci,
senza discriminazioni in ordine alla natura pubblica o privata.
Peraltro, il ricorso alle categorie speciali di azioni è agevolato
dal legislatore in quanto l’emissione di azioni rappresentative del
diritto di nomina
è un’operazione subordinata ad una delibera
assembleare assunta con le maggioranze previste per l’assemblea
ordinaria, fermo restando il necessario consenso del socio pubblico172
cui la speciale categoria di azioni è destinata173, a differenza di quanto
avviene ordinariamente dove la competenza a modificare lo statuto in
occasione della variazione del capitale sociale spetta di regola
all’assemblea straordinaria.
172
Per un maggiore approfondimento sul punto V. C. PECORARO (nt.124), 1016 ss.
L’agevolazione risulta ancora più evidente nella norma transitoria di cui al comma
2 dell’art.13. In esso, infatti, si dispone che “ il consiglio di amministrazione, nelle società
che ricorrono al capitale di rischio e nelle quali sia prevista la nomina di amministratori
ai sensi dell’art.2449 c.c., nel testo vigente anteriormente alla data di entrata in vigore
della presente legge, adegua lo statuto entro otto mesi da tale data, prevedendo che i
diritti amministrativi siano rappresentati da strumenti finanziari, non trasferibili e
condizionati alla persistenza della partecipazione dello stato o dell’ente pubblico, ai
sensi dell’art.2346, sesto comma, c.c. Scaduto il predetto termine di otto mesi, perdono
efficacia le disposizioni statutarie non conformi alle disposizioni dell’art.2449, come
sostituito dal comma 1”.
173
107
Esistono diverse incertezze sulla portata del binomio tra la
previsione dell’incorporazione e la regola dell’intrasferibilità,
incertezze che hanno un riscontro nella formulazione del secondo
comma dell’art. 13 che, nel disciplinare il regime di circolazione del
titolo che incorpora il diritto speciale del soggetto pubblico di
nominare un componente indipendente dell’organo direttivo o di
controllo, si riferisce esclusivamente agli strumenti finanziari
partecipativi174.
Resta da chiarire, inoltre, il significato che gli strumenti
finanziari
emessi devono
essere, oltre che non trasferibili,
“condizionati alla persistenza della partecipazione dello Stato o
dell’ente pubblico”.
Secondo alcuni autori risulta necessario che i soci pubblici
conservino una partecipazione nella società, a prescindere dal suo
ammontare, fermo restando che, in caso di riduzione della percentuale
di azioni detenute, i poteri di nomina andranno rapportati alla quota
posseduta175.
È indubbio,come già detto, che il ricorso agli strumenti
finanziari rappresenta un’anomalia rispetto alla ordinaria funzione di
mezzo di finanziamento della società, tuttavia, il loro utilizzo implica
174
175
Per approfondimenti, v. C. PECORARO, (nt.124), 1002 ss.
F. GHEZZI-M. VENTORUZZO (nt.119), 708.
108
che il socio pubblico debba continuare a mantenere la partecipazione
al capitale, in quanto, in caso contrario, viene reintrodotto
surrettiziamente un sistema analogo a quello previsto dall’abrogato
art.2350 c.c.
E ciò nonostante che il riferimento alla persistenza della
partecipazione dello Stato o dell’ente pubblico al capitale e alla
intrasferibilità degli strumenti sia contenuto nella sola norma
transitoria.
È evidente, tuttavia che per non alterare tale “proporzionalità”
con la partecipazione al capitale, le azioni in mano pubblica
dovrebbero essere “neutralizzate”, una volta incorporato il diritto nello
strumento finanziario partecipativo, ai fini del calcolo dei quorum
costitutivi e deliberativi dell’assemblea chiamata ad eleggere gli
“altri” amministratori176.
Il sistema risulta più agevole, invece, in caso di conversione
delle azioni in mano pubblica in azioni di categoria connotandosi nella
sostanza analogo a quello delle società che non fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio.
176
E.PUGLIELLI-A. RUOTOLO, Nomina e revoca degli amministratori nelle società a
partecipazione pubblica, (nt.141)
109
CAPITOLO III
FATTISPECIE
DI
RESPONSABILITÀ
DEGLI
AMMINISTRATORI DI NOMINA PUBBLICA
SOMMARIO:
3.1
Società
a
partecipazione
pubblica,
responsabilità e giurisdizione della Corte dei conti – 3.2 La
responsabilità amministrativa nell’evoluzione giurisprudenziale - 3.3
Responsabilità civile e responsabilità amministrativa degli organi di
gestione – 3.4 Riparto di giurisdizione, esclusività di regimi di
responsabilità, coesistenza e concorso di giurisdizioni
3.1
Società
a
partecipazione
pubblica,
responsabilità
e
giurisdizione della Corte dei conti
Al fine di appurare se nella società pubblica si stia verificando una
incidenza finalistica del regime pubblicistico sul modello di gestione
imprenditoriale proviamo ad analizzare alcuni vincoli che sembrano
connotare in modo peculiare il rapporto tra socio pubblico e società,
110
tali da assegnare al primo una sorta di speciale potere di indirizzo sulla
società. Un’attenzione particolare merita il “controllo” giurisdizionale
della Corte dei Conti nelle forme dell’azione di responsabilità
amministrativa177; in un primo passaggio il giudice contabile ha esteso
il rapporto di servizio che lega il funzionario alla P.A. al collegamento
che si instaura tra una società ed una amministrazione-socio.
La responsabilità amministrativa, infatti, si è sempre applicata
ai dipendenti pubblici sulla base di un presupposto indispensabile: il
rapporto
di
servizio
che
lega,
appunto,
il
dipendente
all’amministrazione pubblica178.
L’accostamento ad un rapporto sociale di una parallela
relazione di tipo amministrativo-organizzatorio, ha determinato la
configurazione di una responsabilità a carico della società, quale
soggetto giuridico, per aver causato un danno all’amministrazione
177
Sul tema v. C. IBBA, Azioni ordinarie di responsabilità e azione di responsabilità
amministrativa nella società in mano pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica, in
Riv.dir. civ., 2006; M. ANTONIONI , Società a partecipazione pubblica e giurisdizione
contabile, Milano, Giuffrè, 2008; in particolare sul punto in oggetto R. URSI, Verso la
giurisdizione esclusiva del giudice contabile: la responsabilità erariale degli
amministratori delle imprese pubbliche, Foro amm. CDS 2004.
178
La responsabilità amministrativa ha natura prevalentemente sanzionatoria e non
compensativa, sussiste solo in presenza di colpa grave o di dolo, è commisurata alla
gravità della colpa e non del danno e la sanzione può essere graduata mediante l’uso del
potere riduttivo.
L’ambito di applicazione della responsabilità amministrativa è stato via via esteso
sino a ricomprendervi, appunto, anche gli amministratori delle società a partecipazione
pubblica attraverso l’individuazione degli elementi costitutivi del rapporto di servizio
ben al di là del rapporto intercorrente fra dipendente e amministrazione e la possibilità
di sanzionare sia il danno diretto che il danno indiretto.
111
socio179. Nei passaggi successivi, agendo direttamente nei confronti
degli amministratori di tali società, il giudice contabile ha in una serie
di casi perseguito l’esistenza di un danno cagionato direttamente alla
P.A.- socio e in una fase seguente ha esteso la giurisdizione ai danni
cagionati direttamente alla società180. In quest’ottica si viene a
delineare una concezione opposta a quella dell’interesse sociale, una
sovrapposizione all’interno della quale il “pubblico” finisce sempre
per prevalere sul “privato”, un’azione della Corte dei conti che
sostanzialmente si sostituisce all’azione di responsabilità degli
amministratori prevista dal codice civile con evidenti ripercussioni sul
piano concreto.
Si tratta di un’azione esercitabile d’ufficio da un organo
giudiziario esterno alle dinamiche societarie che è più preoccupato al
pregiudizio che colpisce le risorse pubbliche e quindi la P.A. rispetto a
quello che colpisce la stessa società.
Per cui, per alcuni autori,
l’interesse prevalente è quello di salvaguardare le casse pubbliche, gli
179
F.CINTIOLI, “Disciplina pubblicistica e corporate governance delle società
partecipate da enti pubblici” ,(nt.9).
180
Nel presupposto che anche questo potesse essere un danno erariale, riscontrato
sia nei casi di partecipazione pubblica totale, sia nei casi di partecipazione parziale. Cfr.
in tal senso, Corte dei Conti, Lombardia, sez. giur., 29 dicembre 2008, n.980, in Foro
amm. TAR, 2008, 3500.
112
altri interessi quali quello degli altri soci, quello dei creditori sociali,
dei terzi e delle società controllate risultano postergati181.
Si è creato un rapporto con l’erario che va al di là di qualsiasi
struttura organizzativa o relazione giuridica, chiamando appunto a
rispondere di danno erariale non solo la società pubblica nei confronti
del socio ma direttamente gli amministratori di tali società182. Circa la
natura di tale responsabilità sono state elaborate diverse tesi. In
particolare per alcuni si tratta di una responsabilità di natura
risarcitoria,
per
altri,
invece,
tale
responsabilità
ha
natura
sanzionatoria. Proprio l’importanza assegnata all’entità della colpa ai
fini dell’addebito, piuttosto che all’entità del danno , ha fatto si che
buona parte della dottrina propendesse per la tesi secondo la quale tale
responsabilità avrebbe natura sanzionatoria183.
181
In tal senso F.CINTIOLI (nt. 9).
L.TORCHIA, La responsabilità amministrativa per le società in partecipazione
pubblica, in Giornale dir. amm., 2009.
183
G. MONTEDORO in Società in House e responsabilità; sul punto v. L TORCHIA,
Responsabilità civile e responsabilità amministrativa per le società a partecipazione
pubblica: una pericolosa sovrapposizione in Servizi pubblici e appalti, n.2, 2006.
182
113
3.2
La
responsabilità
amministrativa
nell’evoluzione
giurisprudenziale
L’analisi in materia di responsabilità civile e responsabilità
amministrativa deve partire, più che dall’esame delle norme, dai
recenti orientamenti giurisprudenziali della Cassazione. In una prima
fase, si è escluso che la semplice veste formale di società per azioni
fosse idonea a trasformare la natura pubblicistica di soggetti che, in
mano al controllo maggioritario dell’azionista pubblico, continuano ad
essere affidatari di rilevanti interessi pubblici184. In questo contesto per
l’identificazione della natura pubblica di un soggetto la forma
societaria è sembrata neutra dimostrando la possibilità che anche le
società per azioni si presentino come strumenti alternativi alle forme
tradizionali, e come articolazioni organizzative dell’ente185. Per cui è
stata ribadita la permanenza del controllo della Corte dei conti sulle
S.p.A. derivate dalla trasformazione degli enti pubblici " fino a
quando lo Stato conservi nella propria disponibilità la gestione
economica delle nuove società mediante una partecipazione esclusiva
o prevalente al capitale azionario delle stesse”186. In connessione con
184
Cons. Stato, sez. VI, decisione 1 aprile 2000, n.1885, in Foro.it., 2001, III, 71, con
nota di FRACCHIA- CARROZZA
185
Cons. Stato, sez. VI, 28 ottobre 1998, n.1478, in Foro.it, 1999, III, 178, con
osservazioni di GAROFOLI
186
Corte cost. 28 dicembre 1993, n.466, in Foro.it, 1994, I.
114
questa impostazione l’ambito di giurisdizione della Corte dei Conti in
materia di responsabilità amministrativa ha conosciuto un fenomeno
di progressiva espansione il cui momento cruciale si è avuto nel 2003.
In tale occasione la giurisprudenza ha riconosciuto la giurisdizione
della Corte dei Conti in materia di responsabilità patrimoniale per
danno erariale quando si configura “un rapporto di servizio tra la
società e l’ente territoriale ravvisabile ogni qualvolta si instauri una
relazione funzionale
caratterizzata dall’inserimento del soggetto
esterno nell’iter procedimentale dell’ente pubblico come compartecipe
dell’attività a fini pubblici di quest’ultimo”187. Il punto di partenza è
stato sottolineato nel momento in cui si è evidenziato che “ la
responsabilità amministrativa che ha sempre seguito criteri sostanziali
187
Cass. Sez. Un. 26 febbraio 2004 n. 3899 in cui dopo aver ribadito il principio per cui
una società per azioni costituita con capitale maggioritario del comune in vista dello
svolgimento di un servizio pubblico ha una relazione funzionale con l’ente territoriale,
caratterizzata dall’inserimento della società stessa nell’iter procedimentale dell’ente
locale e dal conseguente rapporto di servizio venutosi a creare, ha riconosciuto la
giurisdizione della Corte dei conti nelle controversie in materia di responsabilità
patrimoniale per danno erariale riguardanti gli amministratori e i dipendenti di tali
società, decisione, comunque che non è risultata del tutto univoca in quanto il profilo se
il danno subito dal comune partecipante alla società fosse diretto o riflesso, rispetto a
quello arrecato al patrimonio sociale, è rimasto estraneo al giudizio sui limiti della
giurisdizione ; Cass. Sez. Un. Ordinanza 22 dicembre 2003, n. 19667; Cass. Sez. Un. 27
settembre 2006; cfr .sul tema L. TORCHIA, Responsabilità civile e responsabilità
amministrativa per le società in partecipazione pubblica: una pericolosa
sovrapposizione,(nt.183); l’ordinanza della Suprema Corte n.19667 del 2003 si occupa di
giurisdizione solo in materia di responsabilità degli amministratori di enti pubblici
economici, fattispecie recessiva a seguito dell’ampliarsi del ricorso da parte della
pubblica amministrazione allo srtumento privatistico della società di capitali; cfr. in tal
senso D’AURIA, Amministratori e dipendenti di enti economici e società pubbliche: quale
“revirement” della Cassazione sulla giurisdizione di responsabilità amministrativa?, in
Foro.it., 2005, I.
115
per quanto riguarda il “rapporto di servizio” con una pubblica
amministrazione non poteva non seguire criteri sostanziali anche per
quanto riguarda la configurazione soggettiva delle pubbliche
amministrazioni, applicando il pubblico, la giurisdizione della Corte
dei conti, anche a soggetti che sembrerebbero operare nell’ambito del
diritto privato, ma che sono in realtà sostanzialmente pubblici”188. In
tema di responsabilità per danno erariale è stato rilevato che
l’esistenza di un rapporto di servizio, quale presupposto per un
addebito di responsabilità al detto titolo, non è quindi, limitato al
rapporto organico o al rapporto di pubblico impiego, ma è
configurabile anche quando il soggetto, benché estraneo alla pubblica
amministrazione venga investito, anche di fatto, dello svolgimento, in
modo continuativo, di una determinata attività in favore della P.A.,
con inserimento nell’organizzazione della medesima e con particolari
vincoli ed obblighi finalizzati ad assicurare la rispondenza dell’attività
stessa alle esigenze generali189. Si verifica uno spostamento del
188
F. MERUSI, Pubblico e privato nell’istituto della responsabilità amministrativa
ovvero la riforma incompiuta, in Dir. amm., 2006, 123.
189
L’orientamento giurisprudenziale che si era andato delineando nel tempo era
fondato, quindi, su un approccio di tipo sostanzialistico, volto cioè a tener conto, anziché
del criterio soggettivo, di un criterio oggettivo. Il legislatore nazionale sembrava
prendere atto di tale orientamento ponendo, con un’apposita normativa una specifica
eccezione, laddove stabiliva, ai sensi dell’art. 16-bis del decreto- legge 31 dicembre
2007, n.248(decreto mille proroghe), convertito con modificazioni nella legge 28
dicembre 2008, n. 31, che “ Per le società con azioni quotate in mercati regolamentati,
con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti
116
criterio di rilevanza, per l’individuazione del tipo di responsabilità,
dalla natura del soggetto danneggiante alla natura del patrimonio e del
soggetto danneggiato per cui diviene cruciale la natura erariale
del patrimonio, a volte anche in connessione con la natura
pubblica delle attività svolte. Di recente, con sentenza 26806 del
19.12.2009, le Sezioni
modificando
il
Unite della Corte di
precedente
orientamento,
hanno
Cassazione190,
previsto
la
giurisdizione della Corte dei Conti in ordine alle azioni di
responsabilità degli amministratori e funzionari pubblici, quando gli
atti di cattiva gestione procurano danni riferibili direttamente al
patrimonio dell’ente, quali ad esempio il danno all’immagine o
l’omesso esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli
amministratori delle partecipate. Quindi, a meno che l’amministratore
di una società pubblica abbia recato danno all’ente pubblico-socio
pubblici , inferiore al 50%, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli
amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative
controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario…”
Tale legge, quindi, nell’introdurre un’eccezione al principio ormai consolidato secondo il
quale la responsabilità di amministratori e dipendenti di società con partecipazione
pubblica fosse rimesso al giudica contabile, finiva per confermarlo.
190
La pronuncia può leggersi in Foro.it, 2010, I, 1477 ss., con nota di G. D’AURIA,
secondo il quale “non esiste( con eccezioni) la responsabilità erariale per i danni
cagionati alle società pubbliche dai loro amministratori”e che la partecipazione
totalitaria, di maggioranza o di controllo, di un ente pubblico ad una società non
comporta l’automatica instaurazione di un “rapporto di servizio” fra i suoi
amministratori e l’ente pubblico e, quindi, la sottoposizione dei primi alla giurisdizione
contabile. Il rapporto di mandato che lega gli amministratori alla società non si estende
all’ente pubblico che resta un soggetto distinto dalla società ; Giur.it , 2010, 853 ss. con
note di CAGNASSO, “Una brusca frenata” da parte delle sezioni unite della Cassazione
alla vis espansiva della responsabilità amministrativa-contabile.
117
nell’ambito di un rapporto di servizio instaurato direttamente con esso,
la responsabilità per il danno cagionato dall’amministratore al
patrimonio della società è regolata dalle norme del diritto societario e
non da quelle sulla responsabilità amministrativa. Tale sentenza, così
come alcune ordinanze successive,191 sono state apprezzate, da una
parte della dottrina, per aver posto un freno alla ormai evidente
volontà di estendere l’ambito della responsabilità amministrativa ai
gestori degli enti lucrativi. Il limite, infatti, fissa una sorta di linea di
demarcazione tra quel danno imputabile agli amministratori oggetto
delle ordinarie azioni sociali di responsabilità (art. 2393 ss., c.c.) e
quello di cui gli stessi possono rispondere in sede speciale escludendo
che questo possa essere considerato prevalente rispetto a quelle del
diritto comune192. Se sussistono i presupposti l’azione erariale si pone
non come alternativa, ma quale strumento di “accrescimento” delle
ragioni patrimoniali della pubblica amministrazione che ha acquistato
o ha sottoscritto capitale di rischio193. Il danno attinente al patrimonio
della società è un fatto che interessa solo quest’ultima e la relativa
cognizione spetta al giudice ordinario mentre il giudice speciale
191
Cass., Sez. Un., 15 gennaio 2010, n. 519, Società, 2010, 803 ss., con nota di
GHIGLIONE- BAILO, “Responsabilità degli amministratori delle società a partecipazione
pubblica:l’orientamento delle SS. UU”.
192
G. ROMAGNOLI, “La responsabilità degli amministratori di società pubbliche fra
diritto amministrativo e diritto commerciale”, Società, 2008.
193
In tal senso v. A. ROSSI, La responsabilità degli amministratori delle società
pubbliche, in Giur. comm., 2009, I, 521 ss; Ibba, (nt.177).
118
interviene qualora la condotta dei gestori causi direttamente una
“lesione” al patrimonio dell’ente pubblico socio194. In connessione a
quanto rilevato quindi, l’appartenenza ad una compagine sociale di
una pubblica amministrazione non comporta delle ripercussioni
immediate sulla responsabilità “interna” degli amministratori.
Secondo parte della dottrina, il nuovo orientamento della Corte se si
presenta come una “brusca frenata” all’espansione della responsabilità
speciale, non preclude un’eventuale “accelerazione”195.
Diversi profili di interessi presenta, inoltre, la pronuncia della
Cassazione
n.4309/2010,
in
particolare
relativamente
all’individuazione del regime di responsabilità, civile o erariale,
applicabile agli amministratori di società in mano pubblica, in
presenza di atti di mala gestio ad essi imputabili e al conseguente
riparto di giurisdizione tra
giudice ordinario e giudice speciale
contabile196. La Suprema Corte ribadisce il recente orientamento197 ,
194
G. ROMAGNOLI, La responsabilità amministrativa dei componenti degli organi di
gestione delle società a partecipazione pubblica. Tra “brusche frenate” e “annunciate
accelerazioni”, in Rivista del diritto societario, Giappichelli, 2010.
195
In tal senso, CHITI, Carenze della disciplina delle società pubbliche e linee direttrici
per un riordino, (nt.1).
196
Cass. Sez. Un., 23 febbraio 2010, in Società, 11, 2010, con commento di DALFINO.
In sintesi gli estremi della vicenda: la società per azioni S.I.V.A., partecipata in via
prevalente dall’ente pubblico E.N.C.C. (Ente nazionale cellulosa e carta), svolgente
“attività industriale e commerciale inerente al settore della cellulosa, delle paste per
carte e delle carte”, veniva dichiarata in stato di insolvenza e sottoposta a liquidazione
coatta amministrativa. Il commissario liquidatore promuoveva azione di responsabilità
finalizzata al recupero delle perdite e dei mancati guadagni subiti dal patrimonio sociale
a causa della cattiva gestione degli amministratori e degli omessi controlli dei sindaci. In
119
secondo il quale tipologia di responsabilità e ambito di giurisdizione
vanno definiti in base alla circostanza che le conseguenze dannose
della condotta degli amministratori si manifestino direttamente nella
sfera patrimoniale del socio pubblico ovvero in quella della società. In
particolare, nel primo caso, la strumentalità della partecipazione nella
compagine sociale al perseguimento di finalità pubbliche e l’impiego
di pubbliche risorse non può non comportare, per gli organi della
società, una “peculiare cura nell’evitare comportamenti tali da
compromettere la ragione stessa di detta partecipazione sociale
dell’ente pubblico o che possano comunque direttamente cagionare un
pregiudizio al patrimonio di quest’ultimo”; ne consegue la
responsabilità amministrativa e la giurisdizione della Corte dei conti.
Nel secondo caso, allorché la condotta dell’amministratore danneggi il
patrimonio sociale, vi è “unicamente un danno sofferto da un soggetto
privato, in questo caso la società, relativo al patrimonio appartenente
soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci sia pubblici che
privati, i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di
partecipazione ed i cui originari conferimenti restano confusi
corso di causa, il socio pubblico prevalente, in qualità di assuntore del concordato
fallimentare, subentrava al commissario liquidatore. Successivamente, però lo stesso
ente veniva sciolto e gli succedeva, nella posizione sostanziale e processuale, il Ministero
dell’economia e delle finanze.
197
Cfr. Cass., sez. un., 19 dicembre 2009, n.26806
120
nell’unico patrimonio sociale”; da ciò scaturisce la responsabilità
civile e la giurisdizione del giudice ordinario198.
La Cassazione,
quindi, nel caso di specie, ha escluso la giurisdizione della Corte dei
conti, avendo rilevato una ipotesi di azione sociale di responsabilità,
finalizzata alla reintegrazione del patrimonio sociale direttamente leso
dalla condotta degli amministratori convenuti in giudizio, e di
conseguenza eliminando la possibile sovrapposizione tra le due forme
di responsabilità, civile ed amministrativa.
3.3 Responsabilità civile e responsabilità amministrativa degli
organi di gestione
I diversi orientamenti giurisprudenziali finiscono per produrre in capo
agli amministratori di società pubbliche l’imputazione di una doppia
responsabilità cioè di quella amministrativa che si va ad aggiungere a
quella societaria199. Le due forme di responsabilità hanno ratio e
198
Il p.m. contabile, peraltro, aveva promosso il giudizio di responsabilità
amministrativa nei confronti degli amministratori dell’E.N.C.C., facendo valere il danno
conseguente al pregiudizio della partecipazione alla società, dovuto al mancato esercizio
da parte degli stessi amministratori delle azioni volte a tutelare i diritti del socio
pubblico. Cfr. Corte conti, sez. I giur. centr. App., 1 marzo 2001, n.41/A; Corte conti, sez.
I giur. reg. Lazio 7 settembre 2001, n. 3463; Corte conti, sez.I giur. centr. App. 3
gennaio2007, n.1/A.
199
Il codice civile prevede azioni per tutelare l’integrità del patrimonio sociale. Gli
amministratori sono, quindi, civilmente responsabili del loro operato verso la società
(artt. 2392, 2393 e 2393 bis c.c.), verso i creditori sociali (art.2394 c.c.) e verso i singoli
121
caratteristiche completamente diverse200,
anche a prescindere dai
termini di prescrizione, dalla rilevanza della colpa e dal potere
riduttivo. L’azione del procuratore contabile ha presupposti diversi
dalle azioni di responsabilità sociale e dei creditori sociali previste dal
codice civile. Infatti ,” l’una è obbligatoria, le altre discrezionali, l’una
ha finalità essenzialmente sanzionatoria, in quanto non implica
necessariamente il ristoro completo del pregiudizio subito dal
patrimonio danneggiato dalla cattiva gestione dell’amministratore e
dallo omesso controllo dell’organo di vigilanza, le altre hanno scopo
ripristinatorio, l’una richiede il dolo o la colpa grave e per le altre è
sufficiente anche la colpa lieve”. Elemento essenziale, come già detto,
soci o i terzi. In base all’attuale disciplina, gli amministratori incorrono in responsabilità
verso la società e sono tenuti al risarcimento dei danni da essa subiti quando non
adempiono i doveri ad essi imposti dalla legge o dallo statuto con la diligenza richiesta
dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Si tratta di una
responsabilità in solido, unanimemente qualificata come responsabilità contrattuale per
i danni arrecati alla società. L’azione di responsabilità può essere esercitata non solo
dall’assemblea, con la maggioranza dei soci, ai sensi dell’art.2393 c.c. ma può anche
essere esercitata da una minoranza qualificata dei partecipanti alla società, ai sensi
dell’art.2393 bis c.c. Altra distinta forma di responsabilità degli amministratori è quella
verso i creditori sociali come conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla
conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.
Inoltre nel caso in cui gli amministratori compiono un atto illecito o producono di un
danno diretto al patrimonio del singolo socio o del singolo terzo questi possono chiedere
il risarcimento dei danni agli amministratori.
200
V. per un maggiore approfondimento, L. TORCHIA, Responsabilità civile e
responsabilità amministrativa....(nt. 183) la quale sottolinea le differenze tra le due
tipologie di responsabilità evidenziando come la responsabilità amministrativa ha una
finalità diversa dalla responsabilità civile, in quanto volta a tutelare l’amministrazione
dai danni provocati risultando accertabile soltanto all’interno del rapporto che appunto
lega il dipendente all’amministrazione; in particolare sullo specifico tema della
responsabilità amministrativa, v. C. IBBA (nt. 177), 2006, II e l’ampio studio di M.
ANTONIONI, (nt.177).
122
della responsabilità amministrativa è invece la sussistenza di un
obbligo di servizio fra il soggetto che danneggia e l’amministrazione
danneggiata ed essa ricorre solo in presenza di dolo o colpa grave, in
questo caso l’addebito è commisurato alla gravità della colpa e non
alla gravità del danno per cui ha natura prevalentemente sanzionatoria
e non compensativa e può essere graduata mediante l’uso del potere
riduttivo.
Occorre
evidenziare,
inoltre,
che la
responsabilità
amministrativa viene accertata mediante un processo regolato da una
legge degli anni trenta, in cui prevale l’interesse pubblico e nel quale
l’amministrazione non ha diritto di azione ma è rappresentata dal
pubblico ministero, la cui azione, come nel giudizio penale si svolge
su un piano diverso e non di parità rispetto alle parti. L’ambito di
applicazione della responsabilità amministrativa è stato nel tempo
esteso agli amministratori di società a partecipazione pubblica
seguendo due direttrici quali l’individuazione degli elementi
costitutivi del rapporto di servizio al di là del rapporto intercorrente
fra dipendente e amministrazione e la possibilità di sanzionare sia il
danno diretto che il danno indiretto201, ciò ha comportato una sorta di
contaminazione fra l’atipicità della responsabilità extracontrattuale e
201
Quest’ultima possibilità ha una base normativa nell’art.1, comma 4, della legge n.
20/1994, che attribuisce rilevanza anche ai casi in cui il danno non sia subito
dall’amministrazione di appartenenza del dipendente responsabile, ma da qualsiasi
amministrazione pubblica.
123
la natura sanzionatoria della responsabilità amministrativa. Mentre
l’atipicità dell’illecito civile è connessa alla natura compensatoria
della
responsabilità
responsabilità
aquiliana,
amministrativa
la
natura
richiede
sanzionatoria
della
necessariamente
una
tipizzazione legislativa degli illeciti e delle sanzioni. In mancanza di
questa tipizzazione, il giudice contabile dispone di un vuoto che può
riempire variando a discrezione i confini e gli elementi del danno
erariale202. Tornando all’approccio di tipo “sostanzialistico” che ha
sostituito ad un criterio prettamente soggettivo, fondato sulla
condizione giuridica pubblica dell’ente, un criterio oggettivo basato
su due elementi quali la natura pubblica delle funzioni esercitate e
l’origine delle risorse finanziarie utilizzate, la dottrina203 ha posto
diversi quesiti sia sul piano del metodo che del merito, alla cui base vi
è l’esigenza di assicurare la tutela dell’interesse generale mediante la
corretta gestione del denaro pubblico indipendentemente dal modello
organizzativo dell’ente. Dopo le recenti pronunce della Corte di
202
L. TORCHIA, La responsabilità amministrativa.. (nt.182), secondo la quale si
verrebbe a determinare l’atipicità dell’illecito, alla quale consegue necessariamente
l’indeterminatezza del danno subito dalla pubblica amministrazione.
203
L.TORCHIA, (nt.183), la quale evidenzia come sul piano del metodo bisogna
intendere il valore da attribuire al criterio della specialità, che varia a seconda la si
configuri come un rapporto tra species e genus o che la si intenda come l’esclusione del
genus a favore di una regola derogatoria in sé conchiusa. Bisognerebbe dimostrare
inoltre come le tante diverse specialità delle società per azioni in partecipazione
pubblica possano trasformarsi in una nuova regola generale, secondo la quale vale per i
loro amministratori la responsabilità amministrativa e la Giurisdizione della Corte dei
conti.
124
Cassazione occorre verificare come risolvere il problema relativo al
coordinamento tra la responsabilità amministrativa e quella civilistica
di cui si parlerà nel paragrafo successivo. Si tratta di una convivenza
assai difficile, come ha dimostrato C. Ibba204, evidenziando che
l’adozione della forma societaria determina l’applicazione del diritto
societario
e
che
gli
amministratori
sono,
quindi,comunque
responsabili verso la società (art.2392 c.c.), verso i creditori sociali
(art. 2394 c.c.) e verso i singoli soci o i terzi (art.2395c.c)205. La
dottrina si è chiesta se anche i soci e i creditori potranno trovare
soddisfazione nel caso in cui gli amministratori dovranno reintegrare,
il danno provocato all’erario e si è posta il quesito qualora sia il socio
pubblico a far valere le proprie ragioni per ottenere il risarcimento del
danno di cui all’art. 2395 c.c., di come coordinare l’azione ordinaria
risarcitoria con quella amministrativo-contabile davanti alla Corte dei
Conti, poiché in entrambi i casi sussiste un danno al patrimonio
dell’ente pubblico socio. Secondo la giurisprudenza recente, il
verificarsi di un danno al patrimonio sociale non comporta l’esercizio
dell’azione individuale ai sensi dell’ art.2395 c.c. posto per
204
C. IBBA, (nt.177)
V. sul punto O. CAGNASSO, “Diritto societario e governance degli organismi
partecipati”,
secondo il quale ritenere che gli amministratori siano sottratti
all’applicazione della responsabilità prevista in materia societaria costituirebbe una
soluzione, che condurrebbe ad una grave disparità di trattamento e quindi a profili di
incostituzionalità.
205
125
compensare la lesione inferta direttamente al socio da atti compiuti
dagli amministratori nell’esercizio delle loro funzioni in quanto si
tratta di un danno del tutto diverso206. È ovvio che i risultati delle
azioni codicistiche non potranno essere del tutto indifferenti alla
presenza di una concorrente pretesa risarcitoria avanzata dall’ente
pubblico finanziatore concentrandosi le une e l’altra sui medesimi
patrimoni personali degli amministratori accusati di mala gestio207.
Inoltre tale concorrenza comporta un aumento del rischio subito dagli
amministratori di società “pubbliche”, potenzialmente esposti alla
necessità di una difesa su due fronti208 e molto spesso, specie nel caso
di quotazione delle azioni delle società pubbliche in un mercato
206
In questo senso,Cass., 22 marzo 2010, n.6870 e Cass., 23 giugno 2010, n.15220 in
www.giustizia.it secondo cui: “L’art. 2395c.c. esige, ai fini dell’esercizio dell’azione di
responsabilità del socio nei confronti degli amministratori, che il pregiudizio subito dal
socio non sia il mero riflesso dei danni eventualmente arrecati al patrimonio sociale, ma
gli derivi direttamente come conseguenza immediata del comportamento illecito degli
amministratori:pertanto, né l’inattività dell’assemblea, né la perdita di capitale sociale e
né l’inadempimento contrattuale posto in essere dall’amministratore integrano, di per
sé, i presupposti della disposizione, in quanto la prima inerisce al mero funzionamento
degli organi sociali e non comporta necessariamente un danno alla società o al socio,
mentre il capitale è un bene della società e non dei soci, i quali dalle perdite subiscono
soltanto un danno riflesso a causa della diminuzione di valore della propria
partecipazione, ed, infine, il mancato rimborso della somma presa a mutuo dalla società
può comportare la responsabilità dell’amministratore soltanto quanto derivi da un
illecito doloso o colposo dell’organo nell’inadempimento del mutuo”.
207
Su questo profilo cfr. IBBA, (nt.177) secondo il quale” è difficile credere che gli
amministratori possano essere tenuti a risarcire una seconda volta il danno già risarcito
pro quota al socio pubblico, dovendosi ammettere, dunque, che essi eccepiscano con
successo il già avvenuto risarcimento. Ma ciò equivale a dire che un socio , il socio
pubblico, sarebbe legittimato a soddisfarsi prima dei creditori, con una traslazione del
rischio d’impresa dal socio pubblico ai creditori sociali che rovescerebbe svariati principi
del diritto societario e del diritto privati tout court e nella quale non sarebbe difficile
scorgere profili di illegittimità costituzionale”.
208
G. ROMAGNOLI, (nt. 194)
126
regolamentato, la distribuzione di un dividendo e la realizzazione di
un lucro oggettivo, impone scelte gestorie più rischiose e diverse da
quelle funzionali alla mera conservazione del patrimonio sociale e,
quindi, della dotazione pubblica. Risulta innegabile come la disciplina
della responsabilità degli amministratori di società di capitali non ha
soltanto una funzione ripristinatoria ex post del patrimonio sociale
leso in seguito alla gestione degli amministratori anche perché i
patrimoni personali degli amministratori risultano spesso insufficienti
a coprire l’intero danno, essa svolge, invece, una determinante
funzione di incentivo ex ante in modo da scoraggiare atti di mala
gestio.
3.4 Riparto di giurisdizione, esclusività di regimi di responsabilità,
coesistenza e concorso di giurisdizioni
La giurisprudenza, negli anni, ha individuato diversi criteri al fine di
determinare il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice
contabile in ordine all’azione di responsabilità degli amministratori
delle “società pubbliche”, quali la natura dell’attività svolta dalla
società, la natura delle risorse utilizzate, la natura del soggetto passivo
127
del danno, la
sussistenza di un rapporto di servizio tra il socio
pubblico e la società, ecc.
I limiti esterni della giurisdizione della Corte dei conti, sono
previsti dall’art. 103, comma 2, Cost., secondo cui essa “ha
giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre
specificate dalla legge”209. Di recente l’ambito della giurisdizione
speciale in materia ha assunto confini meno chiari rispetto al passato,
come
conseguenza
dell’affidamento
a
soggetti
privati
della
“realizzazione di finalità una volta ritenute di pertinenza esclusiva
degli organi pubblici”.
A tal proposito bisogna
ricordare che la condotta fonte di
responsabilità sia idonea a ledere tanto l’integrità del patrimonio
sociale quanto quella del patrimonio del singolo socio o di terzi che
può essere leso direttamente o indirettamente (come perdita di valore
della partecipazione in conseguenza del pregiudizio diretto subito dal
patrimonio sociale). In quest’ultimo caso l’esercizio dell’azione del
procuratore contabile
che mira a far valere la responsabilità
209
Tra le materie espressamente “specificate dalla legge”, con riferimento alla
responsabilità per danno erariale vengono rilevati gli artt. 13 e 52 R.D. 12 luglio 1934,
n.1214, in base ai quali il giudice contabile giudica sulla responsabilità per danni arrecati
all’erario da pubblici funzionari nell’esercizio delle loro funzioni e l’art.1, comma 4, L. 14
gennaio 1994, n.20 che estende il giudizio alla responsabilità amministrativa degli
amministratori e dei dipendenti pubblici, anche per danni cagionati ad amministrazioni o
enti pubblici diversi da quelli di appartenenza, per i fatti commessi successivamente alla
data di entrata in vigore della legge.
128
dell’amministratore della società partecipata dall’ente pubblico
quando questi sia stato direttamente danneggiato dall’azione
illegittima, non incontra particolari difficoltà né si pongono contrasti
derivanti dalla possibile concorrenza di tale azione con quella civile
(art.2395) in quanto l’una e l’altra mirano allo stesso risultato. Non
interessa in questo caso indagare sulla natura di detta responsabilità,
cioè se essa abbia carattere extracontrattuale o se pur sempre
presupponga la violazione di un preesistente obbligo di corretto
comportamento dell’amministratore anche nei diretti confronti di
ciascun singolo socio.
Ciò che risulta certo è che gli organi sociali non possono non
tener conto della presenza del socio pubblico nella compagine sociale
e della sua funzione strumentale al perseguimento di finalità
pubbliche. Si inserisce in questo scenario il danno all’immagine
dell’ente pubblico determinato da atti illegittimi posti in essere dagli
organi sociali della società partecipata il quale può prodursi
immediatamente in capo al socio pubblico per il fatto stesso di essere
partecipe di una società in cui quei comportamenti illegittimi si sono
manifestati. Risulta ovvia, in questi casi, la giurisdizione della Corte
dei conti. Come già detto, ad una conclusione diversa bisogna
pervenire nel caso in cui l’azione sia proposta per reagire ad un danno
129
cagionato al patrimonio sociale poiché non solo non è configurabile
alcun rapporto di servizio tra l’ente pubblico partecipante e
l’amministratore della società partecipata, ma neppure sussiste in
questo caso un danno qualificabile come danno erariale, inteso come
pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro
ente pubblico socio. La corretta e ben nota distinzione tra la
personalità giuridica della società di capitali e quella dei singoli soci e
l’autonomia patrimoniale dell’una rispetto agli altri non consentono di
riferire al patrimonio del socio pubblico il danno che l’illegittimo
comportamento degli organi sociali abbia eventualmente arrecato al
patrimonio della società che è e che resta privato.
Il sistema del diritto societario impone di tener distinti i danni
direttamente inferti al patrimonio del socio (o del terzo) da quelli che
siano il riflesso dei danni sofferti dalla società anche se bisogna
evidenziare che il danno che ricade sul patrimonio sociale è per lo più
destinato a riflettersi anche sui soci, incidendo negativamente sulla
loro quota di partecipazione. Tale danno non implica un danno
erariale ma solamente un danno sofferto da un soggetto privato.
Bisogna, inoltre, ricordare che l’esercizio dell’azione di responsabilità,
in caso di mala gestio, può essere esercitato da una minoranza
qualificata, così da superare l’eventuale inerzia della maggioranza.
130
Di conseguenza il socio pubblico può tutelare egli stesso i
propri interessi sociali esercitando egli stesso i propri diritti di socio e
quindi esercitare tali azioni. Nel caso in cui si verifica una perdita di
valore della partecipazione dell’ente pubblico a causa della sua
omissione si configura la giurisdizione della Corte dei conti nei
confronti non dell’amministratore della società partecipata per il
danno arrecato al patrimonio sociale, bensì nei confronti del
rappresentante dell’ente partecipante.
Un’occasione per la “regolazione dei confini” tra giurisdizione
ordinaria e giurisdizione speciale è stata offerta dall’impugnazione di
una sentenza del giudice contabile d’appello che confermava la
propria giurisdizione sugli amministratori infedeli di una società
partecipata indirettamente da un ente pubblico, corrotti da alcuni
fornitori210. Parte della dottrina a conclusione di questa vicenda ha
definito le coordinate dell’azione del giudice speciale.
Dalle note appena tracciate, inoltre, emerge una naturale area di
competenza giurisdizionale diversa da quella ordinaria per cui mentre
al giudice ordinario spetta la giurisdizione sulle controversie tra
amministratori di società di diritto comune a partecipazione pubblica,
210
Per la ricostruzione della vicenda processuale, v. SINISI, “Responsabilità
amministrativa di amministratori e dipendenti di s.p.a. a partecipazione pubblica e
riparto di giurisdizione: l’intervento risolutivo delle Sezioni Unite della Corte di
cassazione” in Foro amm. Cons. Stato, 2010.
131
al giudice contabile compete la giurisdizione sulle questioni che
interessano: ogni responsabilità dei gestori di società “quotate”
partecipate dall’ente pubblico in misura superiore al 50% del capitale
sociale211; la responsabilità dei gestori per i danni inferti direttamente
al patrimonio dell’ente pubblico socio, di cui, a titolo esemplificativo,
viene
indicato
quello
all’immagine;
la
responsabilità
dei
rappresentanti dell’ente socio per il caso di omissione dell’esercizio
dei rimedi societari nella misura in cui l’inerzia gravemente colpevole
abbia causato una perdita di valore della partecipazione212 ; ogni
responsabilità di società a partecipazione pubblica, il cui statuto sia
soggetto a regole singolari che, come nel caso della R.A.I. in cui si
evidenzia “la natura sostanziale di ente assimilabile a una
amministrazione pubblica nonostante l’abito formale che riveste di
società per azioni”213.
211
Art. 16-bis, legge 3 agosto 2009, n.102
TENORE, “La giurisdizione della Corte dei conti sulle s.p.a. a partecipazione
pubblica” in Foro amm. Cons. Stato, 2010
213
Così Cass., Sez. Un., 22 dicembre 2009, n.27092, Foro it., 2010, I, 1472, in part.
1475, in cui si evidenzia la soggezione alla responsabilità amministrativa degli
amministratori della R.A.I. s.p.a. La Suprema Corte conferma, secondo costante
giurisprudenza, “che la giurisdizione della Corte dei conti non impedisce l’esercizio
dell’ordinaria azione civilistica nei confronti dei componenti del consiglio
d’amministrazione della Rai e che la coesistenza delle due azioni non comporta rischi di
duplicazione del risarcimento, essendo principio consolidato che giurisdizione civile e
giurisdizione contabile sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali per
cui il rapporto tra le due azioni si pone in termini di alternatività anziché di esclusività e
l’eventuale interferenza che può determinarsi tra l’una e l’altra dà luogo a questioni non
di giurisdizione ma di proponibilità della domanda”.
212
132
In questo caso la giurisdizione contabile si esplica nel modo più
pieno in quanto si tratta di organizzazioni di diritto singolare il cui
statuto evidenzi la loro “sostanza” pubblica.
Delineato in via generale il quadro relativo al riparto di
giurisdizione tra giudice ordinario e giudice contabile e ai rapporti tra
le due categorie di responsabilità bisogna sottolineare che quanto
disposto dall’art. 16 bis, D.L 31 dicembre 2007, n.248 conv. in L.28
febbraio 2008, n.31, che in tema di responsabilità degli amministratori
di società quotate partecipate da amministrazioni pubbliche, dispone:
“ per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con
partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o
di enti pubblici, inferiori al 50%, nonché per le loro controllate, la
responsabilità degli amministratori è dei dipendenti è regolata dalle
norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute
esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario”214.
214
Per un maggiore approfondimento v. SANTOSUOSSO, Società a partecipazione
pubblica e responsabilità degli amministratori, in Riv.dir. soc., 2009, 47 ss., il quale
distingue le ipotesi di società quotate con partecipazione dello Stato superiore al 50% e
dei gruppi (esclusiva giurisdizione ordinaria); quella delle società aperte non quotate con
partecipazione del soggetto pubblico inferiore al 50% (esclusiva giurisdizione ordinaria);
quella delle società aperte con partecipazione del soggetto pubblico superiore al 50%
(concorso di giurisdizioni); quella delle società chiuse con partecipazione superiore al
50% e sotto “controllo analogo” dello Stato o enti pubblici /esclusiva giurisdizione
contabile); quella delle società chiuse con partecipazione pubblica inferiore al 50%
(concorso di giurisdizioni).
133
Tale norma se interpretata rigorosamente comporta una
notevole estensione della Corte dei conti, riguardante non solo le
controversie relative a società quotate con partecipazione pubblica
pari o superiore al 50% , ma anche quelle che interessano le società
controllate dalle prime, nonché le altre in cui è parte una società con
partecipazione pubblica anche non quotata215.
Tale interpretazione ha suscitato diverse critiche da parte della
dottrina per la possibile compromissione del diritto di difesa e della
parità di trattamento dei soci privati.
215
In senso critico ROMAGNOLI, “Gestione e controllo” di Enti. Profili di responsabilità
erariale per l’impiego di risorse pubbliche in società, in Danno e resp., 2009, 572 ss.
134
CONCLUSIONI
Il quadro che si è cercato di delineare testimonia una forte
contaminazione esercitata dal diritto pubblico sulla governance della
società in mano pubblica. Bisogna a tal proposito verificare se risulta,
in qualche modo, contaminata la causa sociale e se l’interesse del
socio pubblico e la sua proiezione finalistica possano influire sul
regime giuridico tipico della società tali da determinarne un nuovo
tipo216.
L’evoluzione continua della disciplina delle società con
partecipazione pubblica è scaturita non solo dalla necessità di
adeguamento dettata dalle censure comunitarie, ma anche da esigenze
di riduzione e razionalizzazione della spesa pubblica. In questa
direzione negli ultimi anni si sono registrati interventi del legislatore
ed orientamenti giurisprudenziali caratterizzati dalla previsione di
diverse limitazioni all’autonomia statutaria e all’attività sociale
relativamente ai componenti dell’organo di gestione. Si tratta di
disposizioni volte a limitare il numero massimo di componenti del
consiglio di amministrazione nelle società totalmente partecipate,
nonché il numero massimo di amministratori nominabili dal socio
216
F. CINTIOLI, (nt.9), 22.
135
pubblico locale nelle società miste; a determinare un tetto massimo del
compenso lordo annuale, onnicomprensivo, da attribuire al presidente
e ai componenti del consiglio di amministrazione rapportato ad una
percentuale dell’indennità spettante al sindaco o al presidente della
provincia. A questi requisiti quantitativi si devono aggiungere quelli di
carattere soggettivo, introdotti dal comma 734 della L.27/12/2006,
n.296, che prevedono l’incompatibilità con la carica di amministratore
di società con partecipazione pubblica di coloro che “avendo ricoperto
nei cinque anni precedenti incarichi analoghi” abbiano “chiuso in
perdita tre esercizi consecutivi”.
Tali perdite devono interpretarsi217 nel senso di non aver
registrato “per tre esercizi consecutivi, un progressivo peggioramento
dei conti per ragioni riferibili a non necessitate scelte gestorie”. Per
cui, può assumere la carica di amministratore colui che, pur gestendo
una società in costante perdita da anni e con un progressivo
peggioramento dei conti fisiologico dimostri la propria capacità di
gestione. Tali disposizioni rappresentano una presa d’atto di un
“sistema” diventato ingestibile al quale si vorrebbe rimediare
attraverso una sorta di “moralizzazione normativa”218.
217
218
Ci si riferisce all’art.71, comma1, lett. f), legge 18 giugno 2009, n.69.
I. DEMURO, (nt.48), 200.
136
Siamo di fronte ad una frammentazione del regime giuridico
delle società pubbliche poiché la disciplina di tali società è composta
da norme a volte riferite ad un’unica società come le società di diritto
singolare, a volte riferite a gruppi di società quali le società partecipate
da regioni ed enti locali, oppure le società di gestione di servizi
pubblici locali, e a volte a singole categorie, come ad esempio le
società in partecipazione totalitaria o le società in partecipazione
mista, maggioritaria o minoritaria.
La disciplina speciale relativa alle società a partecipazione
pubblica non ha assunto i caratteri di un sistema definito ed
autosufficiente, ma continua ad apparire come un insieme di deroghe
alla disciplina generale219. Per cui
il susseguirsi di interventi
legislativi non coordinati e con un grado di approssimazione
inevitabile, comporta una notevole incertezza che contribuisce a
tenere fuori dal mercato le società in mano pubblica. È ovvio che, al
fine di tutelare il mercato, gran parte degli interventi legislativi
previsti, vengono applicati alle società “chiuse” e non a quelle aperte.
219
V. L.TORCHIA, La responsabilità amministrativa.. (nt.182), la quale prevede come
la natura derogatoria delle norme speciali comporta l’applicazione del rapporto
regola/eccezione, in base al quale la portata dell’eccezione è sempre limitata e di
stretta interpretazione e la ratio della norma può comportare una differenza, ma non un
contrasto con la norma di genere.
137
Alla luce di ciò però non bisogna trascurare il mercato delle
società “chiuse” cioè il mercato locale in cui le società strumentali, le
società in house e tutte quelle costituite per perseguire un eventuale
interesse
pubblico rappresentano un ostacolo ad iniziative
imprenditoriali private in quanto la situazione attuale comporta una
disparità di trattamento tra le due tipologie di società, a favore delle
società pubbliche. Bisogna, quindi, trovare un punto di equilibrio tra
l’abolizione dei privilegi pubblici
che rappresentano ancora una
distorsione per lo sviluppo del mercato e l’affidamento all’intervento
del soggetto pubblico in alcuni settori dell’economia considerati
strategici per la comunità.
I rischi verso un coinvolgimento dei privati nella gestione di
alcuni settori potrebbero essere attenuati attraverso il riconoscimento
di un nuovo ruolo al socio “pubblico” che da gestore si potrebbe
trasformare in “controllore” riservandogli , eventualmente, ancora
poteri di nomina delle cariche sociali ma circoscrivendoli ad incarichi
di controllo come ad esempio il caso dell’amministratore “senza
diritto di voto”. I criteri, poi, di cui si è servita la giurisprudenza per
determinare l’applicabilità della disciplina generale o della regola
speciale hanno spesso seguito strade diverse, anche con riferimento al
regime della responsabilità degli amministratori.
138
A tal proposito sono diverse le questioni che restano ancora
aperte. In primo luogo, come già detto, appare difficile costruire il
rapporto tra la responsabilità amministrativo-contabile e quella
civilistica, nonché quello tra l’interesse sociale e quello del socio
pubblico. In particolare, relativamente al rapporto tra l’ente pubblico
socio e la società, è possibile rilevare come l’esercizio da parte della
pubblica amministrazione di forti poteri nei confronti di tali società e
il conseguente ridimensionamento dell’autonomia decisionale degli
amministratori, determini diverse conseguenze in merito al regime di
responsabilità. In connessione con quanto rilevato molti autori si sono
posti il quesito fino a che punto possa essere fatta valere la
responsabilità degli amministratori per “ mala gestio”, qualora questa
sia conseguenza della pedissequa osservanza delle direttive impartite
dell’ente pubblico socio in quanto gli amministratori potrebbero
trovarsi nella difficoltà di scegliere se assolvere correttamente alla
loro funzione, oppure seguire la volontà dell’ente pubblico.
Inoltre la stringente disciplina della responsabilità degli
amministratori di società “pubbliche” contribuisce a disincentivare
l’assunzione di tali incarichi, in un contesto già caratterizzato, per
esigenze di contenimento della spesa pubblica, dalla limitazione ex
139
lege dei compensi attribuiti agli amministratori di società a
partecipazione pubblica.
Alla luce di ciò infatti un bravo gestore, a parità di compenso
offerto, preferirà operare con il settore privato, quanto meno per i
minori rischi derivanti da una disciplina della responsabilità che non
l’espone ad un doppio fronte di azioni e di giurisdizioni. Dall’attuale
quadro giuridico delle società pubbliche appena delineato risulta
elevato il rischio di incoerenze ed emerge la necessità di un riordino,
di un chiarimento sul piano normativo al fine di fondare il sistema su
principi chiari e stabili nel tempo.
140
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INDICE DELLA GIURISPRUDENZA
Corte di giustizia
 Causa C-58/99, del 23 maggio 2000, Commissione/ Italia, in Racc.,
2001, I-2345;
 Causa C-367/98, Commissione/Portogallo, in Racc., 2002, I-4731
 Causa C-483/99, del 4 giugno 2002, Commissione/Francia in Racc.,
2002, I-04781;
 Causa C/503/99, del 4 giugno 2002, Commissione Belgio, in Racc.,
2002, I-4809;
 Causa C-98/01, del 13 maggio 2003, Comm./Spagna, in Racc., 2003,
I-4581;
 Causa C-174/04, del 28 giugno 2005, Comm./Italia, in Racc., 2005, I4933;
 Causa C-112/05 del 23 ottobre 2007, in http:// www.curia.europa.eu
 Cause C-463/04 e C-464/04, del 6 dicembre 2007 in Riv.it. dir.
pubbl. comunit. e in Foro.it, 2008;
151
Corte Costituzionale
 Sentenza 4 maggio 1992, n.208
 Sentenza 28 dicembre 1993, n.466, in Foro.it, 1994, I
 Sentenza 20 maggio 2008,n.159
 Sentenza 30 luglio 2008, n.326, in Federalismi.it
Corte di Cassazione
 Sentenza 13 maggio 1960, n.1135, in Giust. Civ., I, e in Giur.it., 1960
 Sentenza 17 novembre 1971, n.3297, in Foro.it 1972, I
 Sentenza 26 gennaio 1976, n.243, in Foro.it., 1976
 Sentenza 3 aprile 1990, n. 2679, in Riv. giur. lav.,1990, II
 Sentenza sez. un., 14 dicembre 1994, n.10680, in Società, 1995
 Sentenza 24 febbraio 1997, n. 1647, in Giust. Civ. Mass, 1997
 Sentenza sez. un. 6 maggio 1995, n.4991
 Sentenza 26 febbraio 2002, n.2769
 Ord. sez. un. 22 dicembre 2003, n.19667, in Foro.it, 2005
 Sentenza sez. un. 26 febbraio 2004, n.3899
 Sentenza sez. un. 15 aprile 2005, n.7799, in Federalismi.it, n.37, 2008
 Sentenza sez. un. 19 dicembre 2009, n. 26806, in Foro.it, 2010
 Sentenza sez. un. 22 dicembre 2009, n. 27092, in Foro.it., 2010
152
 Sentenza sez. un. 15 gennaio 2010, n.519, in Società, 2010
 Sentenza sez. un. 23 febbraio 2010, n.4309, in Società, 11,2010
 Sentenza 22 marzo 2010, n.6870 in www.giustizia.it
 Sentenza 23 giugno 2010, n.15220 in www.giustizia.it
Consiglio di Stato
 Sentenza 16 maggio 1996, n. 90
 Sentenza 28 ottobre 1998, n.1478, (Sez.IV), in Foro.it., 1999, III
 Sentenza 1 aprile 2000, n.1885, in Foro.it., 2001, III
 Sentenza 3 settembre 2001, n.4586
 Sentenza 11 febbraio 2003, n.707 (sez.V), in www.diritto.it
 Sentenza 29 settembre 2005, n.5204, (sez.IV)
Corte dei conti
 Sez. I giur. per il Lazio, 1 marzo 2001, n. 41/A
 Sez. I giur. per il Lazio, 7 settembre 2001, n.3463
 Sez. giur. per la Lombardia, 22 febbraio 2006, n.114
 Sez. I giur. per il Lazio, 3 gennaio 2007, n.1/A
 Sez. giur. per la Lombardia, 5 settembre 2007, n.448
 Sez. contr. reg. per la Lombardia, 5 novembre 2008, n.220
153
 Sez. giur. per la Lombardia, 29 dicembre 2008, n.980, in Foro amm.
TAR, 2008
Corte d’Appello - Tribunali
- Trib. Milano 22 ottobre 1956, 1306
 Trib. Genova 14 maggio 1960, in Dir. fall., 1960
 Trib. Catania 23 luglio 1965, in Dir. fall., 1965, II
 App. Milano 30 Gennaio 1973, in Dir. fall., 1973, II
 Trb. Milano 1 aprile 1976, in Dir. fall
 Trib. Udine 4 marzo 1982
 Trib. Torino 28 giugno 1984, in Giur. comm., 1985
 Trib. Milano 21 settembre 1989
 Trib. Milano 6 maggio 1991, in Giur.it., 1991
 Trib. Milano 23 maggio 1991, n.67
 Tib. Torino 21 maggio 1996
 Trib. Bologna, 4 luglio 2002, in Società, 2003
154
TAR
 Tar Sicilia Catania, Sez. III, 13-8-2002, n.1446, in Foro amm. –TAR
2002.
 Tar Campania- Napoli, sez. I, 23 dicembre 2009, n.9341 in diritto e
pratica amministrativa, 2010
 Tar Lombardia (ord.) 13 ottobre 2004, n. 175, in Foro.it., 2005, II
155
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