INDICE SOMMARIO pag. INTRODUZIONE 3 Capitolo I GLI AMMINISTRATORI DI S.P.A. IN MANO PUBBLICA: INNOVAZIONI AL REGIME GENERALE APPORTATE DA LEGGI SPECIALI 1.1 Ricognizione della disciplina speciale pag. 14 1.2 La nomina pubblica di amministratori pag. 23 1.3 Le tesi pubblicistiche e privatistiche pag. 31 1.4 Cause ostative alla nomina per la carica di pag. 35 amministratore 1.5 Diritto al compenso pag. 45 1.6 Identificazione delle fattispecie rilevanti: art.2389 c.c pag. 47 1.7 I fattori che influiscono sull’entità dei compensi degli pag. 50 amministratori 1.8 Disposizioni della Legge Finanziaria 2007: compensi spettanti agli amministratori di società partecipate da pag. 55 enti locali 1.9 Numero dei componenti amministrazione del consiglio di pag. 66 1 Capitolo II ORIENTAMENTI E GIURISPRUDENZA COMUNITARIA: I RIFLESSI SUL PIANO INTERNO RELATIVI AI POTERI DI NOMINA 2.1 Ruolo degli organi comunitari nell’iter di riforma della pag. 70 disciplina della nomina pubblica alle cariche sociali 2.2 Il novellato art. 2449 c.c.: limiti alla concessione del pag. 77 diritto di nomina 2.3 L’applicazione del principio di proporzionalità nelle pag. 86 società chiuse 2.4 La disciplina delle società aperte pag. 95 Capitolo III FATTISPECIE DI RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI NOMINA PUBBLICA 3.1 Società a partecipazione pubblica, responsabilità e pag. 110 giurisdizione della Corte dei conti 3.2 La responsabilità giurisprudenziale amministrativa nell’evoluzione pag. 114 3.3 Responsabilità civile e responsabilità amministrativa pag. 121 degli organi di gestione 3.4 Riparto di giurisdizione, esclusività di regimi di responsabilità, coesistenza e concorso di giurisdizioni pag. 127 CONCLUSIONI pag. 135 BIBLIOGRAFIA pag. 141 INDICE DELLA GIURISPRUDENZA pag. 151 2 INTRODUZIONE La nomina e la responsabilità degli amministratori delle società a partecipazione pubblica presentano delle peculiarità proprie che suggeriscono uno specifico approfondimento volto ad evidenziarne le distinzioni rispetto alla disciplina societaria comune. La partecipazione dello Stato o di enti pubblici alla società è una vicenda giuridica che mira a soddisfare l’esigenza di coniugare la specificità degli scopi perseguiti dall’ente pubblico con l’opportunità di impiegare strumenti organizzativi previsti dal diritto privato, in modo da assicurare maggiore efficienza all’azione amministrativa. L’interesse a snellire il funzionamento dell’azione amministrativa ha determinato la trasformazione delle modalità di erogazione dei servizi pubblici, culminata nell’avvio di un fenomeno di esternalizzazione, per cui le attività economiche esercitate direttamente dagli enti pubblici sono state progressivamente affidate a società partecipate. Tale processo di trasformazione ha interessato soprattutto la gestione dei servizi pubblici locali, dove l’utilizzo del modello organizzativo societario è stato motivato da due ragioni di opportunità che derivano dall’evoluzione del mercato: quella negativa che consiste nel fatto che la normativa sull’azione della pubblica amministrazione pare 3 inadeguata a regolare l’esercizio di attività economiche e quella positiva invece secondo la quale l’iniziativa economica pubblica deve assumere le stesse forme dell’iniziativa privata, al fine di evitare pregiudizi all’efficienza del mercato. Malgrado si susseguano interventi normativi ed importanti casi giurisprudenziali nazionali e comunitari, la posizione giuridica delle società pubbliche rimane incerta. Le prevalenti criticità del tema in esame riguardano: il disordine regolativo, anche se a tal proposito è più diffusa la critica sull’eccesso di regolamentazione che quella sul suo disordine, una giurisprudenza spesso contraddittoria, il prevalente approccio unitario ad una categoria di soggetti giuridici che non risulta omogenea, la non applicabilità di alcune riforme previste1. Un quadro così complesso ha inevitabilmente complicato il rapporto tra il tema della natura delle società e le regole che disciplinano la relazione tra l’ente pubblico socio e gli amministratori della società partecipata. Si è tradizionalmente affermato che la presenza di un azionista pubblico non dà vita ad una distinta categoria societaria. Ciò è conferma del principio della “ irrilevanza della persona del socio nella organizzazione sociale e, sotto il profilo operativo, che l’ingerenza della mano pubblica nella gestione dell’impresa privata e nel controllo 1 M. P. CHITI, Le carenze della disciplina delle società pubbliche e le linee direttrici per un riordino, in Giornale dir. amm., 2009, 1115. 4 della medesima è priva di profili autoritativi, realizzandosi mediante la normale attività dei suoi organi, all’interno dell’organizzazione sociale e non dall’esterno”2. Si è affermato che le società per azioni con partecipazione dello Stato o di enti pubblici sono “ in tutto private per la forma”3. Conservano la loro qualifica di imprenditori commerciali e sono regolate dalle norme del codice civile, salvo esclusivamente quanto disposto dagli artt. 2449 e 24514 e, sino alla sua recente abrogazione, dall’art.24505. In passato, la domanda più frequente riguardava la natura dell’atto di nomina e di revoca degli 2 In tal senso M. BERTUZZI, Commento sub artt. 2449-2450, in Commentario Lo Cascio, VII, 2003, 213; B. LIBONATI, L’intervento dello Stato nell’attività di impresa, in Riv. dir. comm., 1988. 3 Cfr. F. GALGANO, Le nuove società di capitali e cooperative, in F. GALGANO, R. GENGHINI, IL nuovo diritto societario, I, Padova, 2004, 449, e N. IRTI, Dall’ente pubblico economico alla società per azioni (profilo storico-giuridico), in Le privatizzazioni in Italia, a cura di P. Marchetti, Milano, 1995,36, il quale cita la Relazione del Ministro guardasigilli, in cui si precisa che nei casi degli artt. 2458 e 2459 ( nella vecchia numerazione) “ è lo Stato medesimo che si assoggetta alla legge delle società per azioni per assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici. La disciplina comune della società per azioni deve anche applicarsi alla società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici senza eccezioni, in quanto norme speciali non dispongano diversamente”. Nella medesima Relazione inoltre si legge che “ qualche incertezza è sorta peraltro nella dottrina e nella giurisprudenza per quanto attiene alla posizione degli amministratori e dei sindaci nominati dallo Stato o da enti pubblici. Si è ritenuto pertanto opportuno eliminare ogni dubbio al riguardo con una norma particolare affermante che gli amministratori e i sindaci così nominati hanno gli stessi diritti e gli stessi obblighi di quelli nominati dall’assemblea”. In giurisprudenza , questo principio viene ribadito dal T.A.R. Sicilia Catania, Sez. III, 13-8-2002, n.1446, in Foro amm.- TAR 2002, 2720. 4 Gli artt.2449 e 2451, da interpretarsi come norme speciali o “permissive”(Cfr. G. MINERVINI, Amministratori nominati dallo Stato o da enti pubblici, in Banca borsa, 1954, 712) hanno sostituito ed parte modificato le norme contenute negli artt. 2458-2460 nel testo previgente. Per maggiori approfondimenti cfr. G. Lacava, L’ impresa pubblica, in Trattato di diritto amministrativo, IV, a cura di S. Cassese, Milano, 2003. 5 Norma che aveva sostituito, anche in questo caso con modifiche, l’art. 2459 del testo previgente la riforma del diritto societario. 5 amministratori nominati direttamente dall’ente pubblico e due erano le possibili risposte: natura negoziale o natura provvedimentale, da cui nascevano differenti conseguenze nei rapporti tra ente ed amministratori e tra società ed amministratori. Attualmente, la domanda non può essere posta se non dopo aver proceduto alla riconduzione della società ad un tipo determinato e averne analizzato i parametri sostanziali di funzionamento6. Società statali e società locali, società in house e società che operano sul mercato, società incaricate della gestione di servizi pubblici o di funzioni amministrative e società partecipate per la gestione imprenditoriale di attività meramente economiche non rappresentano soltanto realtà in se differenti, ma determinano regimi distinti delle relazioni tra l’ente e gli amministratori di nomina pubblica. Da un lato, quindi, l’indagine sul funzionamento e la rilevanza ai fini pubblici della società partecipata risente dell’atteggiarsi del rapporto ente-amministratore. Dall’altro, l’analisi e l’interpretazione delle norme sulla nomina e sulla revoca degli amministratori nelle società per azioni da parte degli enti pubblici, non hanno alcun senso se non sono inseriti nel contesto più generale dell’indagine sull’uso amministrativo delle società di capitali. È ovvio, infatti, che neppure in astratto si può ragionare della 6 Sul punto, M. CAMMELLI, M. DUGATO. Studi in tema di società a partecipazione pubblica, Giappichelli, Torino, 2008 6 natura, pubblica o privata, dell’atto di nomina , se non si sia prima chiarito che nello schema della società per azioni può essere introdotto l’interesse pubblico7. Allo stesso modo, per poter risolvere la questione dell’ammissibilità di direttive vincolanti impartite dall’ente socio all’amministratore nominato direttamente, è ancora una volta necessario aver definito se, attraverso la partecipazione in società, all’ente sia consentito di perseguire direttamente i propri fini istituzionali a scapito del fine di lucro, giacché l’eventuale potere di direttiva non potrebbe che essere finalizzato alla soddisfazione di quei fini. In connessione con quanto rilevato, risulta utile ricordare che sino agli inizi degli anni ’90, riguardo la figura della società a partecipazione pubblica esisteva da una parte, una disciplina civilistica che ne riconosceva l’esistenza, senza abbondare nelle deroghe al regime ordinario, dall’altra nei rapporti socio-economici, l’interventismo di Stato aveva più volte utilizzato lo schermo societario per raggiungere i suoi obiettivi. Inoltre era maturata negli 7 Si potrebbe in sostanza ritenere che lo schema della società per azioni si atteggerebbe alla stregua di una struttura – una scatola vuota- flessibile e perciò idonea ad essere utilizzata per molteplici esigenze e, quindi, anche per attuare l’interesse pubblico. Questo carattere multiforme della società per azioni sembrerebbe in effetti confermato dalla riforma del diritto societario introdotta nel 2003, poiché si consente oggi ai soci di adattare i modelli organizzativi della loro impresa, esercitata sotto la forma della società per azioni, alle esigenze che, di volta in volta, essi intendono perseguire. 7 studi la concezione della possibile neutralità dello scopo di lucro della società, per cui, a parte ciò e tranne le deroghe previste nelle leggi speciali relative a società connotate appunto da una legge speciale, il regime del soggetto società a partecipazione pubblica sembrava pressoché interamente quello civilistico8. Non vi era confusione tra amministrazione e società, tra ente pubblico e persona giuridica privata. In questi ultimi anni le cose sono cambiate in quanto il dato rilevante consiste nella palese “contaminazione pubblicistica” del regime giuridico delle società pubbliche9. La dottrina, a tal proposito, ha utilizzato sul piano terminologico espressioni molto significative come quella di società-quasi amministrazione o di impresa dimezzata10. Prova ne è la sottoposizione della società e persino dei suoi amministratori alla giurisdizione della Corte dei Conti per la responsabilità amministrativa, nonché al controllo della stessa Corte sulla gestione finanziaria; applicazione di gravose limitazioni all’attività ed alla proiezione dell’oggetto sociale; previsione di severi limiti ai compensi ed alla composizione numerica degli organi sociali, 8 Si segnala l’interessante contributo di C.IBBA, Le società “legali”, Torino, 1992, il quale evidenzia la distinzione circa le due fasi storiche piuttosto diverse e che hanno contraddistinto il differente rilievo in chiave pubblicistica delle società pubbliche. 9 F. CINTIOLI, Disciplina pubblicistica e corporate governance delle società partecipate da enti pubblici, in Giustamm.it, 2010. 10 Vedi in argomento, G. NAPOLITANO, Le società pubbliche tra vecchie e nuove tipologie, Dir. soc., 2006; M. CLARICH, Società di mercato e quasi amministrazioni, in Dir.amm., 2009; R. URSI, Riflessioni sulla governance delle società in mano pubblica, Dir. amm., 2004. 8 selezione del personale mediante moduli di tipo procedimentale e concorsuale. Ovviamente, non basta essere società pubblica tout court per l’applicazione automatica dei diversi istituti, ma il loro intervento avviene secondo che ricorrano o meno determinati presupposti o “indici pubblicistici”. Bisogna, inoltre, ricordare che vi sono degli interessi di ordine generale assunti dall’ordinamento e tutelati nei confronti della società pubblica; il primo è quell’interesse che solitamente è riferito alla tutela della concorrenza per il mercato e che concerne la selezione dei contraenti compiuta dai soggetti che gravitano nella sfera pubblica; il secondo è l’interesse alla gestione imparziale e soprattutto parsimoniosa delle risorse pubbliche ed al contenimento degli oneri gravanti sulla spesa pubblica; il terzo è l’interesse all’efficienza del servizio pubblico che costituisce spesso proprio il tipo principale di prestazione posta in essere dalle società pubbliche. Alla luce di tutto ciò, non bisogna limitarsi ad un lavoro di mera esegesi ma occorre scegliere un metodo ed un criterio tale da guidare l’analisi e la comprensione dell’assetto attuale. A fronte di tante norme singolari occorre, innanzitutto, chiedersi come queste si pongano rispetto alla disciplina civilistica della società per azioni e, in particolare se esse si pongano ancora come norme di specie rispetto al genus codicistico o 9 se abbiano ormai assunto dimensione di disciplina settoriale, in sé limitata ed autosufficiente. Nel piano di questo lavoro, inoltre, trova spazio il ruolo degli organi comunitari nell’iter di riforma della disciplina della nomina pubblica alle cariche sociali contenuta negli artt. 2449-2450 c.c., sulla quale sono intervenuti significativi provvedimenti di riforma11. La sentenza del 6 dicembre 2007 della Corte di Giustizia ha costituito una tappa fondamentale del percorso di ridefinizione in chiave comunitaria dei poteri speciali, poiché per la prima volta non 11 L’art.2449 c.c.,nella sua versione anteriore alla legge Comunitaria stabiliva che “se lo Stato o enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni, lo statuto può ad essi conferire la facoltà di nominare uno o più amministratori o sindaci ovvero componenti del consiglio di sorveglianza. Gli amministratori e i sindaci o i componenti del consiglio di sorveglianza nominati a norma del comma precedente possono essere revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati. Essi hanno i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall’assemblea. Sono salve le disposizioni delle leggi speciali”. Va evidenziato come la dottrina fosse divisa fra i sostenitori della prospettiva pubblicistica o funzionalistica, da un lato, secondo i quali nel rapporto fra amministrazione nominante ed amministratore nominato prevale la natura pubblicistica, sicché il primo potrebbe impartire al secondo direttive vincolanti, rapporto destinato a prevalere su quello, privatistico, che intercorre fra società ed amministratore; ciò si rifletterebbe anche sull’atto di nomina e di revoca, che, nel silenzio dello statuto, avrebbe quindi natura di atto amministrativo,che non necessita di ratifica o approvazione da parte dell’assemblea (OTTAVIANO, Sull’impiego a fini pubblicistici della società per azioni, in Riv. Soc., 1960, 1043; ROVERSI MONACO, Revoca e responsabilità dell’amministratore nominato dallo Stato, in Riv. Dir. civ., 1960). E dall’altro lato, coloro che escludono la duplicità del rapporto (pubblicistico e privatistico) in capo agli amministratori di nomina pubblica, riguardo ai quali l’unica differenza rispetto a quelli di nomina assembleare riguarda solo la fonte dalla quale discende il proprio incarico e che semmai sono più sensibili agli interessi dell’ente pubblico nominante. Tale sensibilità si traduce nel controllo, esercitabile con la loro presenza all’interno dell’organo amministrativo, sulla correttezza dell’operato e sul perseguimento dell’interesse sociale e conseguentemente dell’interesse pubblico ( CIRENEI, Le società per azioni a partecipazione pubblica, in Tratt. Colombo-Portale,8,Torino,1992; PERICU, sub artt.2449-2450, in Niccolini-Stagno d’Alcontres, Società di capitali. Commentario, Napoli, 2004, II, 1296 s; GOISIS, Contributo allo studio delle società in mano pubblica come persone giuridiche, Milano, 2004, 117 ss). 10 venivano rimessi al giudizio della Corte poteri speciali derivanti da una normativa speciale di settore, ma norme generali di diritto societario di uno Stato membro12. Il nuovo testo dell’art. 2449 c.c. distingue sul piano della disciplina applicabile fra società con partecipazione pubblica che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, cui sono riservati i primi due commi, e società partecipate che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, cui è dedicato l’ultimo comma, e per le quali è dettata anche una specifica disciplina transitoria. Il fenomeno degli amministratori della società in mano pubblica ha generato il susseguirsi di pronunce in numero sempre crescente, soprattutto in materia di responsabilità. Sul punto si è sviluppato in dottrina un ampio ed articolato dibattito che traeva in buona parte le sue premesse dalla profonda evoluzione giurisprudenziale, il quesito che si è posto soprattutto la dottrina si traduce in quello se agli amministratori di tali società si applichino comunque le norme di diritto societario o se dalla presenza della mano pubblica non consegua l’assoggettamento di questi soggetti alle norme proprie della responsabilità amministrativa, e, quindi, alla giurisdizione contabile, profilo questo distintivo rispetto alla disciplina generale. In 12 In argomento v. C. CAVAZZA. Golden share, giurisprudenza comunitaria ed abrogazione dell’art. 2450 c.c., in Le nuove leggi civili commentate, n.5, 2008, 1208. 11 tale contesto è intervenuto di recente il legislatore che con la rozza formulazione dell’art.16 bis della legge n.31 del 200813 che ha determinato diversi problemi applicativi14. L’inquadramento della materia pone una serie di problematiche sia interpretative, sia operative in quanto vengono in rilievo, oltre ad aspetti di natura comunitaria, anche aspetti di natura pubblicistica e privatistica che si intersecano e si sovrappongono, delineando un quadro normativo che stenta a trovare una sua coerenza complessiva. 13 Essa ha convertito il decreto- legge 31 dicembre 2007, n.248 (decreto mille proroghe), recante proroga dei termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria. 14 Cfr.E.F.SCHLITZER, Il regime giuridico della responsabilità degli amministratori e dipendenti delle s.p.a. a partecipazione pubblica e l’art.16 bis del c.d. mille proroghe, e M.A. SANDULLI, “L’art.16bis del decreto mille proroghe sulla responsabilità degli amministratori e dipendenti delle S.p.A. pubbliche: restrizione o ampliamento della giurisdizione della Corte dei conti? in Federalismi.it i quali prevedono, a tal proposito, secondo una comune conclusione un possibile intervento della Corte Costituzionale. 12 CAPITOLO I GLI AMMINISTRATORI DI S.P.A. IN MANO PUBBLICA: INNOVAZIONI AL REGIME GENERALE APPORTATE DA LEGGI SPECIALI SOMMARIO: 1.1 Ricognizione della disciplina speciale – 1.2 La nomina pubblica di amministratori – 1.3 Le tesi pubblicistiche e privatistiche – 1.4 Cause ostative alla nomina per la carica di amministratore – 1.5 Diritto al compenso – 1.6 Identificazione delle fattispecie rilevanti: art.2389 c.c – 1.7 I fattori che influiscono sull’entità dei compensi degli amministratori – 1.8 Disposizioni della Legge Finanziaria 2007: compensi spettanti agli amministratori di società partecipate da enti locali - 1.9 Numero dei componenti del consiglio di amministrazione 13 1.1 Ricognizione della disciplina speciale I recenti interventi normativi vanno delineando una disciplina speciale che al di fuori delle previsioni codicistiche delinea, secondo parte della dottrina, un modello societario proprio degli enti pubblici, per cui strutturano una sorta di “statuto speciale” della società in mano pubblica, avente valenza derogatoria rispetto al corpus delle corrispondenti disposizioni di diritto comune previste dall’ordinamento societario. Ciò ha comportato il delinearsi di tratti di specialità per macrocategorie di società pubbliche quali società a controllo totalitario o maggioritario, società costituite da regioni o enti locali, società non quotate15. L’attuale quadro giuridico delle società in mano pubblica è composto da diverse disposizioni speciali, spesso introdotte senza un disegno organico in risposta a esigenze contingenti perseguendo scopi eterogenei. Le leggi finanziarie per il 2007 e per il 2008 hanno imposto vincoli stringenti all’organizzazione interna e all’operatività delle società a partecipazione pubblica, implicitamente assimilandole alle pubbliche amministrazioni, ciò ha comportato una disparità di 15 M.CLARICH, “Società di mercato e quasi amministrazioni”, relazione al Convegno “ Le società tra Stato e mercato: alcune proposte di razionalizzazione della disciplina” (nt.10). 14 trattamento tra imprese pubbliche e private a svantaggio delle prime. Al contempo, la giurisprudenza16 ha esteso agli amministratori delle società a partecipazione pubblica il regime di responsabilità amministrativa, oggetto di successiva analisi, sottoponendoli alla giurisdizione della Corte dei conti. Tale approccio, pur giustificato da esigenze di controllo della spesa pubblica, limita le esigenze organizzative e di mercato introducendo rigidità e distorsioni lesive dell’efficace gestione dell’impresa17. La l. finanziaria per il 2007, l. 27 dicembre 2006 n.296, contiene numerose novità, oggetto di analisi, in tema di compensi, numero e nomina degli amministratori di società partecipate da enti locali; disposizioni successivamente confermate dalla l. finanziaria 2008, in materia di composizione e spese degli organi delle società pubbliche. 16 Tale orientamento ha iniziato ad affermarsi nel 2003, quando la Cass. ha affermato la competenza della Corte dei Conti anche per i fatti commessi dai dipendenti degli enti pubblici economici nello svolgimento di attività imprenditoriali ( Cass., s. u., ord. 22 dicembre 2003, n.19667). Nel 2004 la Cass. ha dichiarato che la responsabilità amministrativa e la conseguente giurisdizione della Corte dei Conti sussistono anche nei confronti degli amministratori di una società per azioni a partecipazione quasi totalitaria di un ente locale, quando tra la società e l’ente locale si stabilisce un rapporto di servizio (Cass., s. u., sentenza 26 febbraio 2004, n. 3899). Anche la Corte dei Conti si è orientata nel senso di ritenere sussistente la propria giurisdizione per i giudizi di responsabilità amministrativa nei confronti di amministratori e dipendenti di società controllate, anche indirettamente, dalle pubbliche amministrazioni (Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Lombardia, 22 febbraio 2006, n.114 e 5 settembre 2007, n.448). 17 Cfr. ASSONIME, Principi di riordino del quadro giuridico delle società pubbliche, Roma, 2008, in www.assonime.it. 15 Per espressa previsione di legge,al fine di evitare eventuali alterazioni nelle quotazioni dei titoli derivanti da interventi autoritativi sulla struttura e sul funzionamento della governance societaria, vengono escluse dall’applicazione delle disposizioni in disamina le società quotate in borsa, ad eccezione di quelle inerenti le “cause ostative” di cui al comma 734. Il legislatore opera una prima e fondamentale distinzione tra società “a totale partecipazione pubblica” di comuni e province e società denominate “miste”. Un primo gruppo di norme è relativo all’individuazione dei limiti massimi dei compensi attribuibili ai componenti l’organo amministrativo di società partecipate da enti locali18. I compensi massimi attribuibili, lordi annui ed onnicomprensivi, sono individuati assumendo come parametro di riferimento l’indennità 18 La Corte cost., con la sentenza 20 maggio 2008, n.159, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.1, commi 725, 726 e 728 della legge finanziaria 2007 nella parte in cui essi trovano applicazione agli enti locali delle province autonome di Trento e Bolzano , nonché l’illegittimità della disposizione (c. 730) che prevede, a titolo di coordinamento della finanza pubblica, un obbligo per le Regioni e le Province autonome di adeguarsi alla disciplina dei compensi già illustrata relativamente alle società da esse partecipate. Il motivo che rende fondato il ricorso è quello per il quale nella fattispecie lo Stato ha esercitato il proprio potere di coordinamento della finanza pubblica in violazione dei limiti di cui al terzo comma dell’ art.117 della Cost. La norma infatti obbliga il legislatore regionale o provinciale ad adeguare i compensi e il numero massimo degli amministratori delle società partecipate ai principi dei commi da 725 a 735, ossia a disposizioni assai particolareggiate. Vincolando Regioni e Province autonome all’adozione di misure analitiche e di dettaglio la norma ne ha illegittimamente compromesso l’autonomia finanziaria, non limitandosi ad enunciare i soli principi fondamentali della materia. 16 annua lorda del sindaco (se il socio unico è un comune) o del presidente della provincia (se il socio unico è una provincia). Il legislatore non fa nessuna distinzione rispetto alle singole cariche interne all’organo amministrativo, ma è ovvio che l’eventuale differenziazione dei compensi in relazione alla carica rivestita, non potrà superare il tetto massimo stabilito per i singoli membri dell’organo amministrativo, e quindi il limite del 70%. La previsione di “onnicomprensività” della retribuzione trova una parziale deroga nel secondo periodo del comma 725, in virtù del quale è prevista la possibilità di ancorare i compensi degli amministratori ai risultati di efficienza gestionale, conseguiti dalla società. Ne consegue che tale indennità “di risultato”19 è commisurata alla produzione di risultati d’esercizio positivi ed è erogabile solo negli esercizi in cui questi siano stati effettivamente conseguiti. La disposizione ora citata sembra fare riferimento al comma 2 dell’art.2389 c.c., il quale prevede che i compensi degli amministratori 19 La cui eventuale differenziazione, in ragione della carica rivestita e delle diverse competenze e responsabilità attribuite è rimessa alla medesima previsione statutaria o assembleare ed in conformità con quanto previsto dall’2389 c.c. 17 di società per azioni “possono essere costituiti in parte da partecipazione agli utili20”. Va detto, per altro, che questa scelta di limitare i compensi degli amministratori di società partecipate da enti locali non è stata l’impulso di una parte politica. Conferma di ciò è l’intervento effettuato in proposito con la manovra estiva (art.61, c.12, l. n.133/2008), la quale prevede un’ulteriore limitazione, tesa sia a ridurre l’entità del compenso, da 80% a 70% per il presidente, da 70% a 60% per il consigliere di amministrazione, sia a circoscrivere quell’ultima soglia di indeterminatezza che riguardava “ la possibilità di prevedere indennità di risultato solo nel caso di produzione di utili e in misura ragionevole e proporzionata” che ora si precisa va prevista “in misura comunque non superiore al doppio del compenso onnicomprensivo di cui al primo periodo”21. 20 Si rinvia alla disamina di C. TESSAROLO, “Gli Amministratori delle società partecipate dagli Enti Locali: compensi, numero (le disposizioni della Legge Finanziaria 2007)”, in www.dirittodeiservizipubblici.it . 21 D.L. n.112, convertito in l. n.133/2008 che all’art.61, c.12 “all’art.1, c.725, della legge 27 dicembre 2006, n.296, sono apportate le seguenti modificazioni: a) nel primo periodo, le parole:” all’80 per cento” e le parole: “al 70 per cento” sono rispettivamente sostituite dalle seguenti: “ al 70 per cento” ed al 60 per cento”; b) nel secondo periodo, le parole: “ e in misura ragionevole e proporzionata sono sostituite dalle seguenti: “e in misura comunque non superiore al doppio del compenso onnicomprensivo di cui al primo periodo”; c) è aggiunto , infine, il seguente periodo: “Le disposizioni del presente comma si applicano anche alle società controllate, ai sensi dell’art.2359 del codice civile, dalle società indicate nel primo periodo del presente comma”. 18 Da tutto ciò emergono incongruenze e criticità delle disposizioni nazionali laddove si propone di considerare il medesimo tetto per tutte le società controllate dall’ente locale, cioè sia per quelle strategiche e complesse che per quelle che svolgono un’attività più semplice. A tal proposito il governo della Regione siciliana22 ha introdotto relativamente alle società partecipate dalla Regione o da enti pubblici regionali, elementi di differenziazione dei compensi degli amministratori secondo le dimensioni dell’impresa prevedendo di mantenere i compensi spettanti agli amministratori delle società minori entro limiti ancora più bassi di quelli fissati dalla legge 23. Bisogna comunque sottolineare che il capitale sociale, in quanto grandezza solo nominale, risulta inidoneo a sintetizzare le complessità produttive, economiche, strategiche e finanziarie delle società cui si riferisce, per cui la fattispecie in esame necessita di nuovi interventi finalizzati all’individuazione di ulteriori parametri in aggiunta a quello del capitale sociale, attinenti al patrimonio, al numero dei dipendenti, alla composizione quali-quantitativa del portafoglio prodotti/servizi ovvero ancora alla dimensione territoriale della produzione magari 22 Delibera Giunta regionale del 1 ottobre 2007 n.383. La precedente delibera ha previsto che i compensi degli amministratori delle società con capitale sociale inferiore ad euro 750.000 non possono superare i limiti di legge ulteriormente ridotti del 30%. 23 19 misurata da grandezze quali il fatturato, al fine di poter evitare l’elusione delle disposizioni in oggetto. Per quanto riguarda, invece, i compensi dei componenti degli organi delle società partecipate da enti locali la Regione siciliana ha previsto rispetto alle disposizioni nazionali, un ulteriore riduzione del compenso dei componenti del consiglio di amministrazione che non può essere superiore al 40% delle indennità spettanti al sindaco o al presidente della provincia24. Si ritiene, inoltre, che andrebbe in ogni caso vietata la possibilità introducendo un’apposita clausola statutaria, di ricorrere alla previsione di cui all’art.2389, c.3, del cod. civ., che stabilisce che il consiglio di amministrazione possa prevedere compensi aggiuntivi per i consiglieri delegati previo parere di congruità del collegio sindacale25. In tal senso la Corte dei conti26 partendo dall’individuazione di due casi di società partecipate da enti locali che, dopo avere deliberato in assemblea i compensi degli amministratori entro i tetti previsti dai commi 725 e ss., e conferito, in seguito a decisione del consiglio di 24 L. Sicilia 16 dicembre 2008, n. 22. “Composizione delle giunte. Status degli amministratori locali e misure di contenimento della spesa pubblica. Soglia di sbarramento nelle elezioni comunali e provinciali della Regione. Disposizioni varie”. 25 In tal senso, S.POZZOLI, “Compensi degli amministratori di Società pubbliche e trasparenza”, in Azienditalia n. 12/2008. 26 Corte dei Conti, Sez .reg. controllo per la Lombardia, 5 novembre 2008, n.220. 20 amministrazione, un importo assai maggiore all’amministratore delegato , ha giudicato quello dell’ente locale un intento elusivo dei commi 725 e ss. e successive modificazioni della l. finanziaria 2007 e ha chiesto al consiglio comunale di attivarsi di conseguenza27. Di recente nell’ambito del decreto legge n. 78/2010, finalizzato al perseguimento di un generale ridimensionamento della spesa pubblica, sono state inserite alcune previsioni attinenti al regime dei compensi per gli organi di società pubbliche. Il decreto introduce una netta differenziazione fra soggetti, anche aventi forma privatistica, che “ comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche”, in riferimento alle quali si dispone la gratuità delle cariche sociali e società “possedute in misura totalitaria” da amministrazioni pubbliche, in riferimento alle quali dispone una riduzione per i compensi dei membri del consiglio di amministrazione. È stato evidenziato28 se le due fonti normative, ossia la legge 296/2006, che come è noto, ha introdotto in modo organico disposizioni in materia di compensi, e l’art. 6 del decreto in 27 La deliberazione arriva a questa conclusione: “ le società partecipate quanto alla loro struttura sono disciplinate dalle norme di diritto comune, alle quali in linea di principio occorre riferirsi per l’applicazione degli istituti societari. Peraltro, la funzione che dette società svolgono nella organizzazione complessiva dei servizi pubblici che fanno capo agli enti territoriali ha comportato l’interferenza su di un diverso piano di normative pubblicistiche sia per rendere conforme il rapporto tra ente e società ai principi comunitari sia per fissare regole delimitative ai poteri”. 28 R.BIANCHINI, I compensi degli amministratori di società partecipate da enti locali ( brevi note in orine all’art.6, comma 6, del D.L. n. 78/2010), in Giustamm.it, 2010. 21 commento, che al contrario detta una disposizione di portata generale29, siano applicabili in modo cumulativo, oppure se al contrario, le previsioni previste dal decreto legge siano incompatibili con le disposizioni preesistenti. Si prospettano due soluzioni interpretative ossia quella dell’abrogazione delle disposizioni della legge 296/2006 e quella della possibile applicazione simultanea di entrambe le fonti normative. In quest’ultimo caso si verrebbe a determinare una particolare situazione in cui gli amministratori potrebbero vedersi sottoposti ad una serie di riduzioni di compensi rendendo lo scenario relativo alle società partecipate da enti locali ancora più complesso. La presenza di un corpus normativo dedicato in modo specifico alle società partecipate da enti locali, il quale disciplina in modo assai particolareggiato il tema dei compensi per gli amministratori ( e per il presidente della società), conduce a ritenere la specialità delle norme dettate per gli amministratori di società di enti locali e, quindi, l’inapplicabilità del decreto a tali soggetti. Per cui non può che sottolinearsi l’incoerenza della compresenza di due distinte fonti normative che parrebbe destinata a risolversi o nel ritenere implicitamente abrogate le disposizioni di cui 29 Che si muove da un diverso presupposto e cioè quello della riduzione dei compensi per i nuovi consigli di amministrazione, a partire dal prossimo rinnovo delle cariche. 22 alla legge 296/2006, o nel ritenere inapplicabili al settore delle società di enti locali le norme del decreto legge a causa di una preesistente legge speciale. È entrata in vigore il 31 luglio scorso la legge n. 122/2010 di conversione di tale decreto che ha confermato quasi tutti gli stringenti vincoli in materia di società partecipate da enti pubblici. La legge di conversione ha esteso anche alle partecipazioni totalitarie indirette degli enti locali l’obbligo di ridurre del 10% il compenso ai componenti del consiglio di amministrazione e “ degli organi di controllo”( il decreto l’aveva previsto solo per le partecipazioni totalitarie dirette e per il collegio sindacale). Tale riduzione dovrà, essere applicata dal primo rinnovo successivo all’entrata in vigore della legge di conversione. 1.2 La nomina pubblica di amministratori In forza del disposto dell’articolo 2449 c.c. la sussistenza di una partecipazione sociale è indispensabile per l’attribuzione del potere di nomina diretta dei componenti degli organi sociali riconoscibile statutariamente al socio pubblico. Nell’ambito delle società azionarie, in particolare, il diritto speciale di nomina ex artt. 2449-2450 c.c. è 23 divenuto il mezzo per assicurare alla mano pubblica un potere direttoriale che prescinde dalle regole dell’economia capitalista30 , per le quali il controllo deve essere concepito in termini di mera corrispettività alla partecipazione al capitale. Prima dei recentissimi interventi del legislatore di cui si parlerà nel capitolo successivo, uno dei problemi non risolti degli artt. 24492450 c.c. riguardava eventuali limiti “quantitativi” ai poteri di nomina attribuiti allo Stato o all’ente pubblico dalla legge o dallo statuto 31. Né la disciplina stabiliva se, in presenza di una partecipazione, lo Stato o l’ente pubblico, una volta nominati, direttamente o indirettamente, gli amministratori o i sindaci, ai sensi dell’art.2449 c.c., potesse partecipare insieme agli altri soci, alla deliberazione assembleare relativa alla nomina degli altri componenti del consiglio di amministrazione o dell’organo di controllo e quindi se i poteri speciali di nomina potessero cumularsi ai diritti amministrativi commisurati all’entità della partecipazione azionaria. Per quanto riguarda l’incidenza sugli equilibri della società bisogna sottolineare che per un verso, il diritto speciale di nomina ha 30 G. PAGANETTO, Il potere governativo di nomina, Napoli, 1994 L’art.2449 c.c. contemplava la facoltà di nominare” uno o più” amministratori e sindaci e dopo la riforma del diritto societario uno o più componenti del consiglio di sorveglianza, senza chiarire tuttavia, se attraverso lo speciale potere di nomina fosse possibile designare anche la maggioranza o addirittura tutti i componenti degli organi di amministrazione controllo della società. 31 24 legittimato l’azionista pubblico ad esercitare un controllo anche sulle società partecipate in misura minoritaria, sovvertendo il funzionamento del principio maggioritario e la regola della corrispettività tra controllo e rischio32; per altro verso, ha consentito che si decidesse della nomina e della revoca delle cariche sociali al di fuori del contesto assembleare33, favorendo il consolidamento di una relazione fiduciaria con amministratori e sindaci ridotti ad operare alla stregua di una longa manus dell’ente pubblico. Risulta ovvio, senza per questo accedere alle opinioni che teorizzano un dovere per gli amministratori nominati singolarmente di attenersi alle direttive dell’ente pubblico, che il sistema delineato dall’art.2449 c.c. spesso abbia favorito il sorgere di una situazione occulta di direzione dell’attività dei consiglieri di nomina pubblica34. Bisogna sottolineare, comunque, che a seguito della riforma del diritto societario tale deroga, statutaria o normativa, non rappresenta più un 32 F.GALGANO, La società per azioni, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, Padova, 1988, 491 s. 33 F. GALGANO(nt.32) secondo il quale “ La deroga consiste, in questo caso, nel fatto che nomina e revoca, vengono sottratte al dibattito assembleare: scaduto il triennio di carica, l’azionista pubblico provvederà, con proprio atto, alla conferma o alla sostituzione degli amministratori o dei sindaci, senza che la materia venga messa all’ordine del giorno dell’assemblea e senza possibilità, per la minoranza azionaria, di interloquire sulla scelta delle persone”. 34 F. BONELLI, Gli amministratori di società per azioni, Milano,1985, 16 ss., secondo il quale l’eterodirezione è un fenomeno che, pur senza scalfire la formale autonomia decisionale e l’esclusiva competenza gestoria degli amministratori, “ rimane piuttosto diffuso nella prassi”. 25 eccezione in senso assoluto in quanto per un verso, il terzo comma dell’art.147 ter T.U.F. prevede che almeno uno dei componenti del consiglio di amministrazione è espresso dalla lista di minoranza che abbia ottenuto il maggior numero di voti e non sia collegata in alcun modo con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti35. E l’art.148, comma 2, T.U.F. dispone che la Consob stabilisca con regolamento modalità per l’elezione, con voto di lista, di un membro effettivo del collegio sindacale da parte dei soci di minoranza. In tale prospettiva, per le società aperte esiste un sistema che garantisce la possibilità per le minoranze di designare propri rappresenti negli organi di governo delle società per azioni. Per altro verso non rappresenta più un’eccezione la circostanza che, come in precedenza prevedeva l’art.2450 c.c., tale designazione sia attribuita ove previsto dalla legge, anche a soggetti diversi dagli azionisti,in quanto il diritto di designazione di un amministratore può oggi essere assegnato ai titolari di strumenti finanziari ai sensi del quinto comma dell’2351 c.c.36 Un’ulteriore precisazione in ordine al potere di 35 Per maggiori approfondimenti dopo l’introduzione della legge sul risparmio cfr. G. GUIZZI, Il voto di lista per la nomina degli amministratori di minoranza nelle società quotate: spunti per una riflessione, in Corr .Giur. 2007, 1ss; M. VENTORUZZO, La composizione del consiglio di amministrazione delle società quotate dopo il d.lgs. n.303/2006, in Riv. soc., 2007, 205. 36 “ Gli strumenti finanziari di cui agli articoli 2346, sesto comma, possono essere dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati e in particolare può essere ad essi riservata, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente 26 nomina diretta ai sensi dell’art. 2449 c.c. riguarda il sistema dualistico, in relazione al quale si prevede espressamente il potere dello Stato e dell’ente pubblico di nominare membri del consiglio di sorveglianza. La prescrizione, che ad una prima lettura sembrerebbe doversi intendere quale esclusiva del potere di nominare consiglieri di gestione della società, ritenendosi che tale potere spetti soltanto al consiglio di sorveglianza, in realtà va letta unicamente a quella dell’art. 2409-novies, comma 3. Tale norma, che dispone l’attribuzione al consiglio di sorveglianza del potere di nomina dei consiglieri di gestione, fa “salvo quanto disposto dagli articoli 2351, 2449 e 2450”, e presuppone quindi che tali norme ammettano il potere di nomina diretta dei consiglieri di gestione, rispettivamente, in capo ai possessori di strumenti finanziari e allo Stato o agli enti pubblici, in deroga cioè al generale riconoscimento di tale potere al solo consiglio di sorveglianza37. Il sistema relativo alla composizione degli organi delle società a partecipazione pubblica ed alle vicende successive alla loro nomina è stato poi arricchito nel tempo da diversi provvedimenti normativi che hanno determinato profili distintivi rispetto al sistema indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco. Alle persone così nominate si applicano le medesime norme previste per gli altri componenti dell’organo cui partecipano”. 37 La correttezza di tale soluzione è legittimata dall’ampia clausola di equiparazione tra amministratori e consiglieri di gestione di cui agli artt. 2380, comma 3, e 223-septies, comma 1, c.c. 27 di diritto comune. Tra questi interventi merita una nota la disciplina della proroga degli “ organi di amministrazione attiva, consultiva e di controllo” delle “ persone giuridiche a prevalente partecipazione pubblica”, tra cui anche le società a partecipazione pubblica maggioritaria38. Si dispone quindi “per gli organi amministrativi” la possibilità di una proroga limitata a 45 giorni dopo la scadenza, con la conseguenza che durante la proroga si possono compiere i soli “atti di ordinaria amministrazione, nonché gli atti urgenti e indifferibili” e che scaduta la proroga , gli amministratori decadono e gli atti eventualmente compiuti sono considerati nulli39. Era opinione diffusa abusare nella pratica della prorogatio consentendo che organi di enti pubblici operassero per un tempo eccessivamente prolungato, senza che si provvedesse alla sostituzione dei componenti scaduti degli organi, per decorso del termine40. Tale orientamento è cessato con l’intervento della Corte Costituzionale che ha chiarito che l’istituto della prorogatio sine die degli organi pubblici è in contrasto con la Costituzione, in quanto consentirebbe di non procedere al rinnovo 38 Art. 1 d.l. 16 maggio 1994, n. 293, conv. dalla l. 15 luglio 1994, n.444 A. GUACCERO, Alcuni spunti in tema di governance delle società pubbliche dopo la riforma del diritto societario, relazione al Convegno “Le società pubbliche e la riforma del diritto societario”, Palermo, 26-27 febbraio, 2004, in Riv. soc., 2004, secondo il quale la disciplina della limitazione della prorogatio deve limitarsi ai soli organi amministrativi e non di controllo di società, quando di essi facciano parte componenti nominati dallo Stato o da enti pubblici in applicazione dei poteri di cui agli artt. 2449-2450. 40 V. in argomento G. CABRAS, Prorogatio e spoils system per gli amministratori nelle società in mano pubblica, in www.federalismi.it, 2006. 39 28 tempestivo delle cariche, in violazione della riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa41. Diverse le problematiche circa l’applicabilità della legge n.444/1994 alle società e il coordinamento con la disciplina generale del codice. Un’ulteriore disciplina speciale applicabile alla nomina delle cariche sociali nelle società a partecipazione pubblica è quella dello spoil system, di cui all’art.6, comma 1, l. 15 luglio 2002, n.145. Dal punto di vista applicativo esso è relativo alle “nomine degli organi di vertice e dei componenti dei consigli di amministrazione della società controllate o partecipate dallo Stato, conferite dal Governo o dai Ministri nei sei mesi antecedenti la scadenza naturale della legislatura o nel mese antecedente lo scioglimento anticipato di entrambe le Camere”. Per cui è prescritto che la nomina sia conferita dal Governo o dai Ministri, intendendo ancora una volta che si è fuori dal campo di applicazione quando le nomine vengono effettuate attraverso il procedimento assembleare. Si tratta di una norma che dovrebbe consentire al governo subentrante di sostituire le nomine “pubbliche” effettuate prima della scadenza della legislatura con nuove nomine rappresentative del cambiamento politico. 41 Corte cost., sentenza 4 maggio 1992, n.208 29 In questo scenario così complesso si inserisce una sentenza del Tar Campania42 in cui si ribadisce l’orientamento giurisprudenziale, sentenze 1184/2008 e 2252/2008, secondo il quale il potere di nomina di amministratori e sindaci di società a capitale pubblico viene esercitato dal soggetto non nella veste di pubblica amministrazione ma al pari di qualsiasi socio privato. Il percorso evolutivo seguito sul tema dalla giurisprudenza amministrativa in questi ultimi anni è stato sintetizzato da Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, n.1984 del 18 dicembre 200643. Il tema in oggetto riconduce alla presa di posizione della Corte costituzionale, che nella sentenza n.326 del 2008, ha evidenziato la distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica e attività di impresa di enti pubblici44 . Tutto ciò premesso quindi appare dubitabile che una società cui è stata sottratta ex lege, in ragione della qualità di taluni partecipanti, 42 Tar Campania-Napoli, sez. I, 23.12. 2009, n.9341 in Diritto e pratica amministrativa, 1, 2010. 43 In quella sede si è fatto notare che “ Secondo un primo orientamento (Cons. Stato, sez. V, 11 febbraio 2003), recepito dalle sezioni unite della Corte di cassazione (Cass. Sez.Un.15 aprile 2005, n.7799), la giurisdizione spetterebbe al giudice ordinario, in quanto il potere di nomina e quindi revoca di amministratori e sindaci di società a partecipazione statale o di altri enti pubblici contemplato dagli artt. 2449-2450 c.c. è attribuito al soggetto pubblico nella sua veste di socio, risolvendosi nell’esercizio diretto di un potere altrimenti riservato all’assemblea”. 44 La Corte in questa sentenza ha precisato “ la distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica e attività d’impresa di enti pubblici. L’una e l’altra possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse. Nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico in regime di concorrenza”. 30 della libertà di autorganizzarsi in ordine al numero complessivo, ai compensi e alle indennità dei componenti del consiglio di amministrazione possa davvero inquadrarsi nel novero di “ istituti caratterizzati da elementi di matrice pubblicistica, ma che conservano natura privatistica”. 1.3 Le Tesi pubblicistiche e privatistiche Sempre in tema di nomina pubblica, bisogna sottolineare che si tratta di una materia “ di confine” tra privatisti e pubblicisti che ha dato luogo alla corrente interpretativa “funzionalistica” indirizzata a valorizzare l’aspetto pubblicistico della partecipazione del socio pubblico, e a quella “organizzativa” ( o Privatistica) finalizzata ad evidenziare la neutralità della natura giuridica dei soci rispetto alla disciplina societaria che, salvo specifiche deroghe, non si scosta da quella comune45. La divergenza tra i due orientamenti è relativa alla diversa interpretazione del limite tra il potere pubblico di nomina e l’autonomia dell’amministratore nell’esercizio delle sue funzioni. Alla luce di ciò per la teoria funzionalistica l’atto di nomina (e quindi di 45 Per la ricostruzione analitica delle due impostazioni v. A. PERICU, artt. 2449-2450, (nt.11), 1292 ss. 31 revoca) riveste natura extrassembleare di provvedimento amministrativo che non necessita, in assenza di specifiche disposizioni statutarie, di alcuna ratifica o approvazione assembleare46. Una contrapposizione rilevante con il diritto societario è rappresentata dalla ricostruzione in termini pubblicistici del rapporto che si creerebbe tra il nominato e il socio pubblico che ha effettuato la nomina, a cui è consentito impartire direttive vincolanti al nominato sugli obiettivi da perseguire all’interno dell’organo sociale di appartenenza47, legittimando in questo modo il perseguimento di un interesse extrasociale che mal si concilierebbe con quello tipicamente egoistico della società48. Di contro secondo la corrente “organizzativa”, la prevalenza del rapporto pubblicistico su quello privatistico contrasta con il corretto svolgimento dei lavori dell’organo sociale e quindi con il diritto societario in quanto si legittimerebbe la rilevanza causale dell’interesse pubblico, facendo prevalere lo stesso su quello tipico ed istituzionale della società funzionalizzando l’attività della stessa verso gli interessi extrasociali di un solo socio. 46 In argomento, CASELLI, Vicende del rapporto di amministrazione, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, 4, Torino, Utet, 1991, 8 ss; Di CHIO, Società a partecipazione pubblica, in Dig. disc. priv., Sez. comm., Torino, 1996, XIV, 167. 47 ROVERSI MONACO, Revoca e responsabilità dell’amministratore nominato dallo Stato,(nt.11), 269; OTTAVIANO, Sull’impiego a fini pubblici della società per azioni, (nt.11) , 1046 48 I. DEMURO, La nomina delle cariche sociali nella società a partecipazione pubblica dopo le censure della giurisprudenza comunitaria, in Profili attuali di diritto societario europeo, a cura di G. Ferri jr. e M. Stella Richter jr., Milano – Giuffrè, 2010. 32 In questo scenario risulta fondamentale ricostruire la fattispecie tenendo conto degli “interessi” pubblici, che, in ogni caso non potranno prescindere dalle regole e principi societari49. Appare ovvio che gli amministratori di nomina pubblica50 , al pari di quelli di nomina assembleare, rispondano e siano responsabili solo ed esclusivamente dell’interesse sociale, e non siano invece soggetti a due distinti doveri e a due autonome fonti di responsabilità, regolati da regimi diversi. La riforma del diritto societario ha ribadito l’uguaglianza dei diritti e dei doveri in capo ai componenti dello stesso organo e ciò sta a dimostrare l’uguaglianza dei componenti degli organi sociali a prescindere dalla fonte da cui proviene il loro incarico. È evidente come gli amministratori pubblici possano agire anche in funzione degli obiettivi dell’ente, ma in quanto questi siano rilevanti nella comunione di interessi voluta dai soci o prevista per legge e, quindi al pari degli amministratori nominati dall’assemblea51. L’uguaglianza dei componenti dello stesso organo non preclude di ipotizzare che gli amministratori di nomina pubblica siano più 49 In tal senso OPPO, Diritto privato e interessi pubblici, in Scritti Giuridici, VI, Padova, 2000 ,50. 50 Le stesse conclusioni valgono anche per i sindaci e per i componenti del consiglio di sorveglianza. 51 Vedi in tal senso A. PERICU, La giurisdizione sulle controversie in materia di nomina e di revoca di amministratori o sindaci di società ex art. 2449 e 2450, c.c. Brevi note, in Riv. giur. sarda, 2006. 33 “sensibili” agli interessi pubblici, ma ciò rientrerebbe nel tipo di rapporto con i propri fiducianti. Tale considerazione, però, non si traduce in una funzionalizzazione dell’intera attività sociale; questa diversa “sensibilità” potrebbe manifestarsi in una funzione di controllo o, eventualmente, in un mero interesse alla partecipazione all’interno di detti organi, strumentale riguardo all’operato dell’organo di appartenenza nel perseguimento dell’interesse sociale nel quale è assorbito l’interesse pubblico52. Per cui la nomina di un amministratore da parte di un ente pubblico può considerarsi strumentale al perseguimento diretto degli interessi pubblici esclusivamente se è la legge a funzionalizzare l’attività della società,modificandone la rilevanza causale in deroga agli scopi tipici della fattispecie societaria53. Sono molte le considerazioni che inducono oggi a prediligere una lettura dell’art.2449 c.c. in chiave privatistico-organizzativa. La nomina soggettivamente pubblica assume rilevanza privatistica in quanto produce i suoi effetti sul piano societario, 52 In tale senso, OPPO, , secondo il quale “l’interesse di cui è portatrice la partecipazione pubblica….può essere ricondotto alla funzione concreta della società e quindi alla sua causa concreta, o a una sua componente” , consentendo così la confluenza dell’interesse pubblico anche nell’interesse sociale, inteso come interesse di tutti i partecipanti che, in ogni caso, non possono ignorare il senso della partecipazione pubblica. 53 MARASÁ, La società” senza scopo di lucro”, Milano, 1984, 353 ss.; IBBA, La tipologia delle privatizzazioni, in Giur. comm., 2001, I, 464 ss. 34 rispetto al quale gli interessi pubblici si fermano alla previsione legale o statutaria del potere di nomina54. Alla luce di tutto ciò elemento di differenziazione dell’amministratore o del sindaco di nomina “pubblica” rispetto a quello di nomina “privata” è relativo alla fonte e alla procedura della sua nomina e della sua revoca. 1.4 Cause ostative alla nomina per la carica di amministratore La circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 13 luglio 2007 chiarisce come il complessivo articolato di cui ai commi 725 ss. oltre ad essere finalizzato al contenimento dei costi della politica mira a disincentivare le “cattive” gestioni nelle società e negli enti ed organismi in mano pubblica; in particolare,” il comma 734 ha introdotto una causa ostativa per la nomina alla carica di amministratore di un qualsiasi ente a totale o parziale capitale 54 A.PERICU, op.cit., (nt. 11) , il quale ipotizza che gli eventuali vizi dell’atto di nomina e di revoca debbono essere fatti valere davanti al giudice ordinario qualora la nomina diretta sia prevista dallo statuto ( e quindi riconducibile all’ 2449 c.c.) e davanti al giudice amministrativo quando la fonte della nomina soggettivamente pubblica sia la legge. 35 pubblico, in relazione ai risultati di analoghi incarichi svolti in precedenza”55. In forza di tale disposizione, quindi, si configura come speciale causa d’ineleggibilità alla preposizione alla carica di amministratore di parte pubblica, l’aver chiuso in perdita almeno tre esercizi consecutivi su di un periodo continuativo di cinque anni; per cui si introduce un regime speciale di ineleggibilità per gli amministratori delle società a partecipazione pubblica, in aggiunta a quelli previsti dall’art.2382 c.c. La Corte cost. rileva, a tal proposito, come la norma organizzativa in esame sia riferita a tutta la pubblica amministrazione (statale, regionale e locale) illustra quindi il quadro del riparto di competenze : lo Stato ha competenza esclusiva in tema di organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali, nonché l’organizzazione amministrativa degli enti locali presenti nelle regioni a statuto ordinario (art.117 secondo comma 55 La Corte cost., con la sentenza 20 maggio 2008, n.159 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 734 nella parte in cui esso si riferisce alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, in quanto è stata ritenuta fondata la censura riferita alla lesione apportata dal comma 734 alla autonomia organizzativa di Regioni e Province. Tale autonomia è, infatti, garantita non solo dalle loro speciali disposizioni statutarie, ma altresì dall’art.117, quarto comma, della Costituzione. Peraltro, anche ove si volesse accedere all’interpretazione prospettata dall’Avvocatura di Stato, secondo cui il comma 734 atterrebbe alla materia del coordinamento della finanza pubblica, resta non superabile il rilievo, costante nella giurisprudenza di questa Corte, che disposizioni di principio in tema di coordinamento della finanza pubblica possono prescrivere solo criteri ed obiettivi, ma non imporre vincoli precisi e puntuali. 36 lett.g) e p); mentre sull’organizzazione degli enti locali presenti nelle regioni a statuto speciale la competenza spetta alle regioni stesse, infine in merito all’organizzazione delle Regioni e delle Province autonome la competenza appartiene alle Regioni e alle Province stesse. Ciò premesso la Corte dichiara illegittimo il comma 734 relativamente alla lesione apportata all’autonomia organizzativa delle regioni e delle Province autonome, garantita non solo dalle loro speciali disposizioni statutarie, ma altresì dall’art.117, quarto comma, della cost., da intendersi applicabile a tutte le Regioni, ai sensi dell’art.10 della l. cost. n.3 del 2001, il quale riserva alla potestà legislativa residuale regionale la disciplina dell’autonomia dell’organizzazione amministrativa. Diversi, in merito alla disposizione in esame, gli interrogativi circa il coordinamento con il quadro normativo previgente. Il punto di partenza per un’analisi del fenomeno attiene al corretto inquadramento giuridico della fattispecie. Con la l.n.296/2006 si introduce un requisito di professionalità che deve essere posseduto al momento del conferimento del mandato. Il fine di prevedere dei requisiti di professionalità risponde all’esigenza di subordinare la carica di amministratore solo a soggetti in possesso di determinate caratteristiche di esperienza e competenza che non siano smentite da 37 determinati eventi, quali aver svolto negli ultimi anni funzioni di amministratore, direzione o controllo in imprese sottoposte a fallimento, a liquidazione coatta amministrativa o a procedure equiparate; l’adozione di una di tali procedure è considerata,quindi, come sintomo di mala gestio56; ma dai requisiti di professionalità devono essere distinte le situazioni impeditive. Il dato oggettivo considerato nel comma 734, e precisamente l’aver “chiuso in perdita” tre esercizi consecutivi nei cinque anni precedenti, rappresenta una novità rispetto al sistema in quanto si abbandona l’impostazione “personalistica” del requisito di professionalità prevista sia da fonti codicistiche che extracodicistiche. In virtù del riformato art.2387 c.c., gli statuti delle società per azioni potranno richiedere per l’assunzione della carica di amministratore il possesso di speciali requisiti di onorabilità, di professionalità ed indipendenza. La norma indica altresì la possibilità di fare riferimento ai requisiti previsti da “codici di comportamento” redatti da associazioni di categoria e da società di gestione dei mercati regolamentati. 56 F. DI SABATO, Sui requisiti soggettivi degli esponenti bancari: profili di diritto societario, in Banca borsa, 1998, I,56. 38 In tal senso bisogna evidenziare che si tratta di requisiti aggiuntivi rispetto a quelli previsti dall’art.2382 c.c. il quale prevede le cause di ineleggibilità e decadenza dalla nomina ad amministratore; dall’altro canto lo statuto non può limitarsi a previsioni generiche, ma deve precisare i contenuti per ciascun requisito 57 . Pertanto, se lo statuto prescrive tali requisiti, essi s’impongono a tutti gli amministratori, anche quelli la cui nomina per disposizione statutaria spettasse direttamente allo Stato o ad enti pubblici ai sensi dell’art. 2449 c.c. Ovvia risulta l’equiparazione del regime tra amministratori nominati dall’assemblea e amministratori nominati direttamente dal soggetto pubblico. In caso di eventuale difetto dei requisiti si determina l’ineleggibilità/decadenza di cui all’art.2382, al quale rinvia l’art.2387, comma 1, ma la questione più delicata è quella relativa alla via giurisdizionale per fare valere l’illegittimità della nomina. La giurisprudenza del Consiglio di Stato58 ha affermato la spettanza in capo al giudice ordinario della giurisdizione in tema di controversie su nomina e revoca dei componenti di organi sociali, anche quando effettuate in attuazione dei poteri diretti quindi, extra- assembleari 57 V., in tal senso SANDULLI, Commento all’art.2387, in La Riforma delle Società, Tomo I, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino 2003, 436 ss. 58 Cons. St. 13 giugno 2003, n. 3346; Cons. St. 11 febbraio 2003, n.708, in www.giustiziaamministrativa.it 39 poiché è riconosciuta la fonte privatistica del potere speciale in capo al soggetto pubblico. Tale soluzione risulta più rilevante nel contesto di diversificazione delle forme di partecipazione alla società59. Il requisito di professionalità incide sui profili di responsabilità degli amministratori verso la società, in quanto il nuovo testo dell’art.2392 c.c. prevede la valutazione della diligenza dell’amministratore anche alla luce dei parametri di competenza e di esperienza professionale posseduti. In quest’ottica bisogna sottolineare che mentre la professionalità, va considerata in astratto sulla base di titoli genericamente qualificati,la competenza va riscontrata e verificata in concreto60. Risulta necessario, inoltre, che i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione e direzione, non siano coinvolti in situazioni, in genere penali, tali da ledere la loro credibilità. Onorabilità61 e professionalità sono requisiti da tempo previsti da leggi speciali per tutti gli amministratori delle società che svolgono 59 A. GUACCERO, Alcuni spunti in tema di governance delle società pubbliche dopo la riforma del diritto societario, (nt.39), 854. 60 V., in argomento, Di SABATO, Sui requisiti soggettivi, cit. (nt.56) ; MINERVINI G., Gli amministratori di società per azioni, Milano, Giuffrè , 1956. 61 Il requisito di onorabilità richiesto agli amministratori di società di intermediazione finanziaria, di banche, di imprese assicurative, è , al contrario di quanto sopra specificato, definito nel contenuto.“Le cariche di amministratore, sindaco e direttore generale in banche non possono essere ricoperte da coloro che : a) si trovano in una delle condizioni di ineleggibilità o decadenza previste dall’art. 2382 c.c.; b) sono stati 40 particolari attività, come quella bancaria, assicurativa, di investimento e di intermediazione finanziaria62. In realtà, non è del tutto convincente la scelta di introdurre un requisito di professionalità fondato su un impostazione “oggettiva”: cioè l’aver “chiuso in perdita” un determinato numero di esercizi. Va premesso che, non può bastare l’avere svolto determinate attività per un certo tempo, ma occorre anche una valutazione dell’attività svolta, sottoposti a misure di prevenzione disposte dall’autorità giudiziaria ai sensi della l. 27 dicembre 1956, n.1423, o della l. 31 maggio 1965, n.575, e successive modificazioni ed integrazioni, salvi gli effetti della riabilitazione;c) sono stati condannati con sentenza irrevocabile, salvi gli effetti della riabilitazione: 1) a pena detentiva per uno dei reati previsti nelle norme che disciplinano l’attività bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa, e dalle norme in materia di mercati e valori mobiliari, di strumenti di pagamento; 2) alla reclusione per uno dei delitti previsti dal titolo XI del libro V del c.c. e nel regio decreto 16 marzo 1942, n.267; 3) alla reclusione per un tempo non inferiore a un anno per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro l’economia pubblica ovvero per un delitto in materia tributaria; 4) alla reclusione per un tempo non inferiore a due anni per un qualunque delitto non colposo”. 62 Quanto ai requisiti di professionalità per Sim, Sgr e Sicav, è previsto che i consiglieri di amministrazione e sindaci vengano scelti secondo criteri di professionalità e competenza fra persone che abbiano maturato una esperienza complessiva di almeno un triennio (un quinquennio per la carica di presidente del consiglio di amministrazione) attraverso l’esercizio di: a) attività di amministrazione o di controllo ovvero compiti direttivi presso imprese; b) attività professionali in materia attinente al settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo o comunque funzionali all‘attività della Sim, della Sgr, o della Sicav; c) attività d‘insegnamento universitario in materie giuridiche o economiche; d) funzioni amministrative o dirigenziali presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni aventi attinenza con il settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo o presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni che non hanno attinenza con i predetti settori purché le funzioni comportino la gestione di risorse economico-finanziarie( D.M. 11 novembre 1998, n.468); si vedano poi, per la professionalità di soggetti che rivestano ruoli gestori in istituti bancari, gli artt. da 1 a 3 del D.M. 18 marzo 1998, n.161, in relazione all’art.26 D.Lgs. 1 settembre 1993, n.385. 41 che se negativa presuppone una carenza dei requisiti attitudinali; ma ciò non deve però condurre a ritenere che le ricorrenti “chiusure in perdita” si pongono sullo stesso piano del possesso di titoli di studio, esperienze professionali e quant’altro. Da ciò emerge che la fattispecie in oggetto potrebbe essere collocata tra le situazioni impeditive che si distinguono nettamente dai requisiti di professionalità. Ancora, da un raffronto con la disciplina previgente potrebbe emergere che l’intento sia stato quello di intervenire non tanto sul criterio di “professionalità”, quanto su quello di “onorabilità” ai sensi del quale in base all’art.2382 c.c. si considera causa di ineleggibilità lo status di fallito63. Nella circolare, comunque, si ribadisce che si tratti proprio di “professionalità” e non di “onorabilità” per cui si potrebbe ritenere che tale condizione attenga più a “requisiti di capacità professionale” del nominando che non invece a condizioni soggettive, peraltro afferenti a precise declaratorie giudiziali (art.2382); il possesso dei predetti requisiti, infatti, costituisce possesso di specifica capacità giuridica soggettiva all’assunzione della carica, posto da norma di legge speciale ed operante nei confronti dei soli amministratori di nomina 63 V., in proposito, D. FRACCHIA, Una prima lettura del comma 734 della L.27/12/2006, n.296 e della Circolare 13 luglio 2007, in Riv. Soc., n.2/2008. 42 pubblica, o comunque di parte pubblica ai sensi e per gli effetti dell’art.2387 del c.c.. Secondo un recente orientamento64 riguardo alla corretta interpretazione del concetto di “incarichi analoghi”65 del comma in oggetto si ritiene che debba essere fornita un’interpretazione che si estende ai soli incarichi relativi alla sfera della nomina pubblica, indipendentemente dalla natura giuridica (pubblica o privata) dell’ente in cui il soggetto nominato ha operato. Inoltre, appare essere coerente con la stessa ratio ricavabile dalla norma considerare ineleggibili, per difetto di presupposti speciali di professionalità, amministratori che non abbiano dimostrato un’idonea capacità manageriale, rispetto al conseguimento del fondamentale canone “dell’economicità gestionale”, intesa quale capacità di garantire l’integrale copertura dei costi, anche mediante gli eventuali trasferimenti pubblici, oltre alla reintegrazione degli investimenti attuati e la congrua remunerazione del capitale investito66. 64 G.BASSI, l contenimento dei “costi della politica” nelle società degli Enti locali, Maggioli Editore, 2007. 65 Si rammenta che, il comma 734 così prescrive:” non può essere nominato amministratore di ente, istituzione, azienda pubblica chi, avendo ricoperto nei cinque anni precedenti incarichi analoghi, abbia chiuso in perdita tre esercizi consecutivi”. 66 La questione, ben sottolineata da BASSI, Il contenimento, cit.(nt.64), 43. 43 Risulta interessante, inoltre, operare una lettura dell’art.2382 c.c. in ordine ai requisiti ed alle condizioni per la assunzione della carica di amministratore. In particolare la nomina ad amministratore di un soggetto ineleggibile in quanto interdetto, inabilitato o fallito radicalmente è nulla67. Se invece la mancanza anche di uno dei requisiti è successiva si ha decadenza dalla carica, per cui in questo caso non ci si riferisce alla situazione conseguente alla nomina di un soggetto già inidoneo68 ma piuttosto, all’ipotesi in cui dopo la nomina sopravvenga una causa di incapacità determinando l’immediata cessazione della carica69. Ciò considerato, bisogna sottolineare la dissonante compresenza, nel medesimo articolato normativo, di un irrigidimento sul piano della professionalità quale quello che si è esaminato (comma 734), a fronte di quanto previsto dal comma 725, vale a dire una delimitazione dei compensi massimi spettanti agli amministratori, sulla base di parametri estranei sia alla professionalità che ai risultati ottenuti. Conclusivamente, infatti, occorre mettere in luce come l’onerosità della carica rappresenti un incentivo all’intraprendenza dei 67 V., in tal senso, MINERVINI, op. cit (nt. 60) , 93; CASELLI, Vicende, (nt.46), 31. “non si può decadere da una carica che per difetto di capacità non si è mai ricoperta”: così CASELLI, Vicende, cit., (nt.46), 31. 69 BONELLI, nota a Trib. Milano 1 aprile 1976, 909; Trib.Genova, 14 maggio 1960, in Dir. fall., 1960, II, 700. 68 44 manager; tale è certamente la retribuzione sotto forma di partecipazione agli utili o di assegnazione di diritti di opzione, ma tale è pure il compenso in forma fissa, che in ogni caso costituisce un riconoscimento ed un premio per la diligenza che il gerente profonde nell’esercizio della sua funzione. Ciò premesso non sempre l’obiettivo di contenimento della spesa risulta compatibile con il perseguimento di determinati obiettivi. 1.5 Diritto al compenso Diversi orientamenti si sono delineati da parte della dottrina riguardo alla natura giuridica del rapporto di gestione data l’ampiezza e la varietà dei poteri spettanti agli amministratori, nonché la posizione di autonomia rispetto all’organo assembleare. Tuttavia vi è un sostanziale accordo in dottrina70 e in giurisprudenza71 sull’esistenza di 70 ASSOCIAZIONE PREITE, Il diritto della società, a cura di G.Oliveri, G. Presti, F. Vella, Bologna, il Mulino, 2004, 175; G.F. CAMPOBASSO, La riforma delle società di capitali e delle cooperative, Torino, Utet, 2004, 111; F. DI SABATO , Istituzioni di diritto commerciale, Milano, Giuffrè, 2004, 184; B. LIBONATI, L’impresa e la società. Lezioni di diritto commerciale, Milano, Giuffrè, 2004, 250; A. TOFFOLETTO, Amministrazione e controlli, in Diritto delle società di capitali, Milano, Giuffrè, 2004. 71 Anche l’orientamento giurisprudenziale risulta consolidato, limitandosi ad alcune pronunce più recenti: Cass., 3 aprile 1990, n.2679, in Riv. Giur. Lav., 1990, II, 272; Cass., Sez. Un., 14 dicembre 1994, n.10680, in Società, 1995, 638; Cass., 24 febbraio 1997, n.1647, in Giust. Civ. Mass., 1997, 297. Trib. Milano, 6 maggio 1991, in Giur.it., 1991, I, 2, 882 e in Società,1992, 66; Trib. Torino, 21 maggio 1996, ivi 1996, 1315 con commento di A.FIGONE, Legittimità della revoca degli amministratori in forma tacita; Tribunale 45 una presunzione di onerosità della funzione gestoria e di conseguenza dell’acquisizione di un diritto soggettivo dell’amministratore anche nel silenzio dello statuto o in carenza di una deliberazione. Il diritto al compenso nasce in seguito all’accettazione della carica da parte dell’amministratore che, secondo i principi generali, può anche essere tacita e ricavarsi da un comportamento concludente72. La remunerazione può essere determinata sia per tutta la durata dell’incarico che per il singolo esercizio sociale. I referenti normativi in materia sono offerti dagli artt.2364 e 2364 bis c.c. che individuano in linea generale l’organo competente a determinare il compenso, nonché gli artt.2389 e 2409 terdecies c.c. che, unitamente all’art. 2409-noviesdecies c.c. concernono più da vicino la remunerazione spettante ai componenti degli organi investiti dalla gestione in ciascuno dei differenti sistemi di governance; quest’ultima norma (di mero rinvio), dice applicabile al sistema monistico tra l’altro, l’art.2389, di modo che è consequenziale il potere dell’assemblea dei soci di stabilire, anche in questo modello gestuale, il compenso dell’organo amministrativo. Bologna, 4 luglio 2002, in Società, 2003, 1140 con commento di F. COLLIA, Natura del rapporto tra amministratore delegato e società. 72 Cass., 17 novembre 1971, n. 3297, in Foro it., 1972, I, 2974 con nota di R. MARTINELLI considera l’accettazione, pure implicita, elemento perfezionativo del negozio avente ad oggetto il compenso; Cass., 26 gennaio 1976, n.243, ivi, 1976, I, 615. 46 Nessuna di queste prescrizioni, tuttavia, sancisce in maniera esplicita il principio di remunerabilità dell’ufficio. La presunzione di onerosità, per il vero, era individuabile nell’art.2392 secondo cui gli amministratori dovevano rispettare, nell’adempimento dei propri doveri, la diligenza del mandatario. Il fatto che l’art.2392 c.c. richiamasse una regola del mandato ha comportato nel silenzio della legge un rinvio a tale istituto. In seguito alla nuova stesura dell’art.2392 c.c. che assume come parametro normativo di condotta non più la diligenza del mandatario, bensì la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle specifiche competenze degli amministratori il richiamo alla normativa del mandato finirà per limitarsi all’art.1709 c.c. espressione dell’agire per conto altrui. 1.6 Identificazione delle fattispecie rilevanti: art.2389 c.c L’art.2389 c.c definisce in vario modo gli emolumenti spettanti agli amministratori in virtù della carica rivestita, mentre il primo comma dell’articolo è relativo ai compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo, di competenza assembleare, il terzo comma concerne la remunerazione degli amministratori 47 investiti di particolari cariche (Presidenti con deleghe, amministratori delegati) in conformità dello statuto, di competenza consiliare. Secondo il primo comma di tale articolo la retribuzione spettante ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo è stabilita “all’atto della nomina o dall’assemblea”. Evidente risulta la cattiva tecnica redazionale dell’art.2389 c.c. non soltanto perché non si coniuga con la previsione d’ordine generale prevista nell’art.2364 c.c. secondo cui, nelle società per azioni prive del consiglio di sorveglianza, l’assemblea ordinaria determina il compenso degli amministratori, “se non è stabilito nell’atto costitutivo”, ma anche perché coordina in un’unica espressione due elementi non equivalenti quali il tempo della determinazione del compenso e la competenza della stessa. Diverse sono,inoltre, le questioni inerenti alla discrepanza esistente tra le due fattispecie previste dal primo e dal terzo comma dell’art.2389 c.c. È opinione consolidata in dottrina e in giurisprudenza che la volontà del legislatore di aver sancito nel primo comma dell’art.2389 c.c. e prima ancora nell’art.2364 terzo comma c.c. la competenza assembleare in materia di compensi stia nell’intento di evitare che gli 48 amministratori possano autodeterminarsi il compenso al di fuori del controllo dei soci profilandosi una situazione di conflitto di interessi.73 Ma ciò è in contrasto con le disposizioni previste al terzo comma in quanto sembrerebbero assegnare la competenza a determinare la rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche proprio all’organo di appartenenza contraddicendo il fondamento precedente. 73 In dottrina, A. FIORENTINO, Gli organi delle società di capitali, Napoli, Jovene, 1950, 136; O. BOSISIO, Retribuzione degli amministratori e dei sindaci, in Riv. Dott. Comm., 1958, 345; O.G. BIANCHI, Gli amministratori di società di capitali, Padova, Cedam, 1998; D. FRACCHIA, La determinazione dei compensi degli amministratori:le ipotesi patologiche e le prospettive di riforma, in Giur.Piem., 2001, I, 10, il quale ricorda che nell’art.2389 c.c. si desume l’interesse del legislatore per la conoscibilità e la trasparenza delle modalità di determinazione del compenso. In giurisprudenza: Cass., 13 maggio 1960, n.1135, in Giust. Civ., 1960, I, 857, in Giur.It., 1960, I, 1, 1255, in Foro.it., 1960, I, 1334, in Temi nap., 1961, III, 29 ribadisce che il legislatore ha voluto evitare che sia proprio il consiglio di amministrazione a procedere alla determinazione del compenso, “venendosi a creare, in tal modo, un conflitto di interessi tra questi e la società “; Trib. Torino, 28 giugno 1984, sancisce che si ha violazione della competenza esclusiva dell’assemblea e pertanto nullità della relativa deliberazione, qualora la delibera di determinazione del compenso sia stata assunta dal consiglio composto da tutti gli amministratori portatori dell’intero capitale sociale; Trib. Milano, 23 maggio 1991, Giur. It., 1991, I, 2, 545 e in Società, 1992, 67. 49 1.7 I fattori che influiscono sull’entità dei compensi degli amministratori Uno dei problemi più delicati in materia di compensi degli amministratori è relativo all’entità del trattamento economico dato che la normativa codicistica non contiene indicazioni espresse al riguardo. Ciò starebbe a significare che esiste una certa libertà di determinazione che, comunque, non si traduce in una completa autonomia in quanto la società deve essere gestita con criteri razionali avendo cura di contemperare gli interessi dell’amministratore con quello della società. Condizione che non si verifica, ovviamente, tanto se si accede nella misura, quanto se il compenso non appare adeguato. Riguardo al metodo cui ancorare la quantificazione degli emolumenti bisogna sottolineare che la retribuzione variabile, legata ai risultati economici dell’impresa pone in maniera ancora più stringente il problema della correlazione tra remunerazione, attività gestoria e redditività aziendale. Il nesso tra questi tre elementi ha sollevato diversi dubbi. In giurisprudenza si rinvengono pronunce a favore dell’assoluta 50 indifferenza dei compensi dei manager rispetto ai risultati conseguiti e allo stato di salute della società74; a tal proposito, tuttavia, è in atto una nuova tendenza volta ad imporre una più generale condotta etica alle imprese nella prospettiva di legare anche la remunerazione fissa di base agli obiettivi ottenuti e alla perfomance sociale. In assenza di una norma espressa75 sulla metodologia di determinazione della remunerazione, bisogna valutare la questione alla luce della qualificazione che si attribuisce al rapporto intercorrente tra società e amministratori. Le disposizioni da valutare sono: l’art. 1709 c.c. che pone la presunzione di onerosità del mandato76, l’art. 2233 c.c. che disciplina le modalità di determinazione del compenso del professionista intellettuale77, e gli artt. 2099 c.c. e 36 74 Cass., 26 febbraio 2002, n.2769, in cui si afferma che il diritto al compenso spetta all’amministratore “ quale che sia il risultato della sua attività, apprezzabile o non in termini economici, sia esso conforme alle aspettative dei soci, ovvero criticabile”: la pronuncia è corretta se si considera che l’obbligazione gestoria è di mezzi, e non di risultato, ma solleva qualche dubbio in relazione al globale orientamento della nostra giurisprudenza che tende a svalutare la connessione tra attività gestoria e perfomance sociale. 75 F.TUSQUETS TRìAS DE BES, La remuneraciòn, nota che, nel nostro ordinamento, l’assenza di criteri per la determinazione del quantum della retribuzione “ resulta en cierta forma sorprendente, puesto che…….el cargo presume oneroso” 76 App. Milano, 30 gennaio 1973, in Dir. Fall., 1973, II, 165; Trib. Torino, 28 giugno 1984, in Giur. Comm., 1985. ASSOCIAZIONE PREITE, Il diritto della società,(nt.70), 175, pur osservando che l’adozione di tale criteri non è esente da discussioni. 77 Trib. Milano, 22 ottobre 1956, 1306; Trib. Milano, 23 maggio 1991, 67. In dottrina, O. BOSISIO, Retribuzioni, (nt.73), 528; G. CASELLI, Vicende, (nt.46), 60; G. BIANCHI, Gli amministratori, (nt.73), 137. 51 Cost. che concernono la retribuzione del prestatore di lavoro subordinato78. Nonostante tali prescrizioni non trovino immediata applicazione è possibile ricavare, in particolare dall’art.36 Cost., il principio di ordine generale per cui l’attività o l’opera svolte meritano di essere retribuite in proporzione alla qualità e alla quantità del lavoro prestato. Il concetto di proporzionalità, inoltre, risulta sotteso al richiamo che il legislatore compie nell’ art.2233 c.c. “all’importanza dell’opera” e al “decoro della professione”; ed è altresì sotteso nell’art.1709 c.c., laddove si limita a devolvere al giudizio del magistrato la determinazione del compenso del mandatario in assenza di pattuizioni al riguardo. Da ciò si evince, secondo parte della dottrina79 il richiamo al parametro dell’equità come espressione del concetto di proporzionalità. Tale criterio risulta inoltre condivisibile dalla stessa giurisprudenza precisandolo talora in relazione alla particolare qualità 78 G. MINERVINI, Gli amministratori, (nt. 60), 379, il quale partendo dalla premessa che il rapporto di gestione configura un contratto da includersi nella categoria del lavoro in senso lato, osserva che il richiamo alla disciplina del mandato o del lavoro subordinato ci porta a risultati omogenei. 79 V. G. MINERVINI, Il mandato, la commissione, la spedizione, in Trattato di dir. civ. it., diretto da F. Vassalli, VIII, Torino, Utet, 1952, 132; G. BAVETTA, Mandato, in Enc. del dir., XXV, Milano, Giuffrè,1975,351; A. LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione, in Trattato dir .civ. e comm., diretto da A. CICU e F. MESSINEO, XXXII, Milano, Giuffrè, 1984, 146. 52 della prestazione resa80, talvolta in relazione alle peculiari mansioni affidate all’amministratore81, talaltra in relazione all’importanza dell’incarico e dell’impegno che esso comporta82 o ancora in relazione alla dimensione o al giro di affari della società83. Per cui è attraverso la combinazione di questi indicatori di massima, collocati nella situazione del caso concreto, che si può pervenire alla fissazione di un’equa e adeguata retribuzione. Per quanto riguarda la qualità del lavoro, la stessa, è suscettibile di miglioramento in rapporto all’applicazione dell’art.2387 c.c. relativo ai requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza. Da ciò risulta, in particolare, che lo statuto può subordinare la nomina ad amministratore al possesso di speciali requisiti di professionalità. Un altro aspetto, di certo influente, per determinare l’entità dei compensi, è quello della responsabilità. Il rilievo della responsabilità secondo le comuni leggi economiche non può non formare oggetto di valutazione, sia pure sotto forma di stima; il che, conduce ad un “ quid pluris” in un compenso che molto spesso è basato sull’impiego 80 Cass., 26 gennaio 1976, n.243. Trib. Catania, 23 luglio 1965, in Dir. Fall., 1965, II, 943; Trib. di Udine, 4 marzo 1982. 82 Trib. Torino, 28 giugno 1984, si distingue a seconda che l’impegno sia saltuario ovvero continuato o regolare. 83 Trib. Milano, 21 settembre 1989, si sottolinea la rilevanza del complesso delle operazioni sociali. 81 53 di tempo e, eventualmente, sulla qualità del lavoro dell’amministratore. In conclusione, bisogna sottolineare che i parametri principali intorno a cui far ruotare la determinazione del compenso sono rappresentati dai compiti che è chiamato ad eseguire l’amministratore e la situazione della società intesa in senso lato, senza che possa omettere di considerare le diverse variabili che soltanto la contingenza della singola fattispecie può evidenziare. È convinzione radicata, nonostante il silenzio della legge, che in caso di omessa o inadeguata determinazione del compenso da parte dell’organo competente, l’amministratore possa adire l’autorità giudiziaria per ottenere la liquidazione. La possibilità di rivolgersi al giudice è prevista, inoltre,nell’ipotesi in cui l’atto costitutivo non contenga previsioni circa il trattamento economico dei componenti dell’organo amministrativo, nonché nell’ipotesi in cui sorga controversia in ordine alla corretta applicazione dei parametri previsti dallo statuto mentre rimane preclusa nel caso di gratuità dell’incarico. 54 1.8 Disposizioni della Legge finanziaria 2007: compensi spettanti agli amministratori di società partecipate da enti locali In connessione con quanto rilevato bisogna evidenziare l’analisi delle diverse implicazioni del tema del compenso nell’ambito della struttura societaria, in seguito alle misure previste dalla legge Finanziaria 2007 relative al compenso degli amministratori di società partecipate da enti pubblici. A riguardo va subito anticipato che la nuova e speciale disciplina non si presenta particolarmente curata quanto alla tecnica redazionale, infatti è stata oggetto di diverse critiche. Inoltre, presenta un carattere disorganico e frammentario; in particolare, si sono evidenziate problematiche relative ai criteri interpretativi, all’efficacia temporale delle norme, alla gerarchia delle fonti e alla coerenza con i principi generali dell’ordinamento giuridico. La parte della manovra finanziaria che ci interessa analizzare è quella riguardante gli enti locali, in particolare i commi da 725 a 729 dell’art.1 della legge 27 dicembre 2006, n.296 introducono alcune norme sia in materia di compensi agli amministratori di società pubbliche “locali” ovvero partecipate, totalmente o parzialmente, da Comuni o Province (commi 725-728) sia sul numero complessivo dei componenti i relativi consigli di amministrazione (comma 729). 55 Quanto al primo tema, la legge Finanziaria ha distino le società in funzione dei soci (pubblici e privati) che le partecipano. Per cui è possibile parlare di società di società a totale partecipazione di singoli comuni o province; società a totale partecipazione pubblica di una pluralità di enti locali e società a partecipazione mista di enti locali e altri soggetti pubblici e privati. Inoltre la legge ha previsto una esplicita esclusione di applicazione della normativa in esame per le società quotate in borsa (c.729). Come evidenzia la disciplina dei servizi locali, lo strumento associativo è utilizzato in vario modo per assicurare l’intervento pubblico in determinati settori magari con il coinvolgimento del capitale privato. Nell’ipotesi di società interamente posseduta da un solo ente locale (comune o provincia), il comma 725 prevede che “il compenso lordo annuale, onnicomprensivo, attribuito al presidente e ai componenti del consiglio d’amministrazione non può essere superiore, per il presidente all’80%, e per i componenti del consiglio d’amministrazione al 70% delle indennità spettanti, rispettivamente al sindaco e al presidente della provincia ai sensi dell’art.82, del d.lgs. 267/00”. 56 Sotto il profilo soggettivo la regola di onnicomprensività prevista dal comma 725 ha determinato un dibattito riguardo al problema se il tetto ai compensi vada o meno applicato agli amministratori investiti di particolari cariche ai sensi del terzo comma dell’art.2389 c.c. Mentre una prima tesi, ancorata ad un eccessivo formalismo, nega che i limiti in oggetto possano applicarsi anche agli amministratori delegati, osservazioni successive evidenziano come il termine “ onnicomprensivo” debba riferirsi a qualsiasi compenso percepito dal Presidente o dal componente ( provvisto o meno di deleghe) dal consiglio di amministrazione in virtù del rapporto societario84 comprendendo, pertanto, sia quello stabilito “ all’atto della nomina o dall’assemblea” (art.2389 c.c.), sia quello attribuito dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale, agli amministratori “ investiti di particolari cariche in conformità dello statuto”85. La possibilità da parte del consiglio di amministrazione di attribuire un compenso separato agli amministratori di società partecipate da enti locali “investiti di particolari cariche” non è esclusa 84 Risulta, ormai, condiviso in dottrina che, al contrario, non rientrano nel suddetto limite i compensi percepiti dal consigliere in virtù di un separato incarico professionale con la società. 85 C. TESSAROLO, (nt. 20), 5, in www.dirittodeiservizipubblici.it ; 57 ma limitata dal c. 725, nel senso che tale compenso, anche se differenziato rispetto a quello concesso agli altri amministratori, non può essere fissato in misura tale che, complessivamente, ossia tenendo anche conto di quello stabilito “ all’atto della nomina o dall’assemblea”, venga a superare quello massimo determinato in applicazione dei criteri previsti dal medesimo c.725. La previsione di “onnicomprensività” della retribuzione dovuta agli amministratori di società partecipate da enti locali trova una parziale deroga nel secondo periodo del c.725, in virtù del quale è consentito erogare agli amministratori suddetti un compenso ulteriore e aggiuntivo sotto forma di “indennità di risultato” nel caso di produzione di utili e in misura ragionevole e proporzionata. Ne consegue che l’indennità di cui trattasi potrà essere deliberata dall’assemblea dopo l’approvazione del bilancio di esercizio e solo se la società ha realizzato degli utili. La disposizione ora citata sembra fare riferimento al comma 2 dell’art.2389 c.c., il quale prevede che i compensi degli amministratori di società per azioni “possono essere costituiti in tutto o in parte di partecipazione agli utili”. Non sembra, invece, che sia applicabile alle società partecipate dagli enti locali, in considerazione di quanto stabilito dal c.725, l’altra 58 fattispecie disciplinata dal comma 2 dell’art.2389 c.c., ossia quella che prevede la possibilità che gli amministratori di società per azioni vengano retribuiti mediante “ l’attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione” (stock option). Per il caso di società a totale partecipazione pubblica, ma detenuta da due o più enti locali, al presidente e ai componenti del consiglio di amministrazione possono essere riconosciuti rispettivamente non più dell’80 e del 70 per cento dell’indennità spettante al rappresentante legale del socio pubblico con la maggiore quota di partecipazione ovvero, soltanto in caso di parità di quote, a quella di maggiore importo tra le indennità spettanti ai rappresentanti dei soci pubblici. Tra i modelli di società, un’ulteriore forma di gestione dei servizi pubblici locali, a cui la Legge Finanziaria fa riferimento è quella della società a partecipazione mista86, tale modello87 prevede la partecipazione al capitale sociale, non solo degli enti locali, ma anche di altri soci, pubblici o privati, per cui si è introdotta un’ulteriore 86 Per un approfondimento sul tema v. A. DEL DOTTO, Le società miste e l’attività imprenditoriale di diritto comune tra realtà e prospettive, riflessioni a margine della sentenza Con. Stato, sez. IV, n.5204 del 29 settembre 2005, in www.altalex.com 87 Essa rappresenta un modello integrativo delle risorse e delle necessità di garanzia di servizi tipicamente pubblici con le risorse, le capacità e l’organizzazione tipicamente imprenditoriali. 59 distinzione in società a capitale pubblico maggioritario e società a capitale pubblico minoritario. La natura giuridica delle società miste resta un punto estremamente controverso sia in dottrina che in giurisprudenza; si tratta di società a natura pubblica se si offre rilievo alla fase costitutiva del soggetto, nel quale entrano logiche pubblicistiche e valutazioni (politiche) in merito al perseguimento di fini pubblici88, i quali conducono alla creazione della società come modulo organizzativo dell’amministrazione89; si tratta altresì di società privata se si guarda al momento operativo della vita dell’ente, dotato di capacità imprenditoriale a tutti gli effetti, sganciato anche funzionalmente dalla collettività di riferimento90. Mentre per le società a capitale pubblico maggioritario è possibile incrementare le percentuali già previste dal comma 725 nella misura di un punto percentuale ogni cinque punti percentuali di partecipazione di soggetti diversi dagli enti locali, per quelle a capitale pubblico minoritario il meccanismo premiale è raddoppiato in quanto 88 Cons. Stato, sez.V, sentenza 3 settembre 2001, n.4586 per cui “ la società mista a prevalente capitale pubblico costituita o partecipata da un ente locale per lo svolgimento di un pubblico servizio…, pur essendo dotata di capacità imprenditoriale, non può essere considerata a tutti gli effetti come un soggetto privato, vincolato unicamente alle norme statutarie”. 89 Vedi in tal senso, Cons. Stato, Ad. Gen., sentenza 16 maggio 1996, n.90 90 Così Cass., S.U. sentenza 6 maggio 1995, n.4991 60 l’incremento è di due punti ogni cinque punti percentuali di partecipazione di soggetti diversi da enti locali. Un altro aspetto da valutare concerne l’equiparazione, ai fini dell’applicazione dell’incremento dei compensi, tra soci privati e soci pubblici differenti dagli enti locali, scoraggiando la sola partecipazione degli enti locali alle società di capitali e non anche quella di altri soggetti pubblici (Stato, università, aziende sanitarie ed altre amministrazioni pubbliche); da ciò traspare un possibile elemento di irragionevolezza della norma, soprattutto laddove sembra limitare l’esigenza di contenimento della spesa pubblica ai soli enti locali91. Va inoltre sottolineato il possibile effetto controproducente92di una norma che impone limiti, nella determinazione dei compensi agli amministratori, anche alle società a capitale pubblico minoritario in cui sia il socio privato a detenere la maggioranza. Il comma 727 infine dispone, che, in materia di rimborsi spese e indennità di missione, al presidente e ai componenti del consiglio di amministrazione si applica la disciplina di cui all’art.84, d.lgs. 267/00; 91 ANCI, Prime note sui commi della finanziaria 2007 in materia di compensi e numero degli amministratori delle società partecipate, totalmente o parzialmente, da enti locali, in www.anci.it 92 Nell’ipotesi, infatti, in cui il socio privato di maggioranza abbia fissato i compensi degli amministratori in misura inferiore rispetto a quelli massimi previsti dalla legge Finanziaria, può risultare possibile una richiesta di” riallineamento verso l’alto” degli stessi. 61 tale norma sembrerebbe riferirsi alle sole società a totale partecipazione di enti locali, ma una lettura armonica dell’intero complesso normativo rende possibile stenderla anche all’ipotesi di società a partecipazione mista93. Come già anticipato tale disciplina si presenta piuttosto frammentaria, la scelta, poi, di intervenire in materie già coperte in parte da disciplina generale e oggetto di accordi tra soggetti anche privati, solleva dubbi di opportunità per violazione dei principi di ragionevolezza e di libertà di iniziativa economica. In primo luogo, tutti i commi considerati (725-729) fanno riferimento indiscriminato alle società (senza indicare di quale modello) al presidente d’amministrazione”94, e organo ai componenti previsto soltanto del nel “consiglio sistema tradizionale ed in quello monistico. Le norme della Legge Finanziaria sembrano ignorare i tre diversi assetti di governance introdotti con la riforma del diritto 93 Se, ai sensi del comma 728, non vi è differenza riguardo ai compensi tra gli amministratori di società a capitale misto, resta ancora da chiarire come mai questi ultimi dovrebbero godere di un regime differenziato in materia di indennità di missione e rimborso spese. 94 M. CALZONI, “ Le nomine ed i compensi legali; cosa cambia per il Consiglio di Amministrazione con la Legge Finanziaria 2007” , atti dei seminari Confservizi Lombardia del 31 gennaio 2007; nello stesso tempo M. MALENA, “Limiti ed ambiti di applicazione delle norme di cui ai commi dal 725 al 728 e brevi cenni sul comma 729 dell’art.1 della Legge Finanziaria per il 2007” reso all’ Associazione ASSTRA ed a Confservizi il 31 dicembre 2006/30 gennaio 2007, che giunge ad affermare che il legislatore della legge finanziaria si è disinteressato degli organi amministrativi propri dei modelli alternativi. 62 societario, una parte della dottrina, infatti, esclude,basandosi sulla lettera della legge, l’applicabilità delle disposizioni ai componenti del consiglio di gestione, del consiglio di sorveglianza e del comitato per il controllo sulla gestione. Al fine di giungere ad una disciplina uniforme, il codice civile utilizza l’espressione “amministratori” per indicare i componenti del consiglio d’amministrazione nel sistema tradizionale, ma chiarendo all’art.223 septies delle disposizioni attuative che “ se non diversamente disposto, le norme del codice civile, che fanno riferimento agli amministratori e ai sindaci trovano applicazione, in quanto compatibili, anche ai componenti del consiglio di gestione e del consiglio di sorveglianza, per le società che abbiano adottato il sistema dualistico, e ai componenti del consiglio d’amministrazione e ai componenti del comitato per il controllo sulla gestione, per le società che abbiano adottato il sistema monistico”. Tuttavia è stato osservato, da diversi autori, che il principio di applicabilità automatica riguarda le norme del codice civile e non anche quelle di leggi speciali95 e che il suddetto principio di 95 E ciò a maggior ragione ove si consideri che la medesima norma al comma successivo, fa riferimento alle leggi speciali: “ ogni riferimento al collegio sindacale o ai sindaci presente nelle leggi speciali è da intendersi effettuato anche al consiglio di sorveglianza e al comitato per il controllo sulla gestione o ai loro componenti, ove compatibile con la specificità di tale organi” art. 223septies, disposizioni attuative c.c. 63 applicabilità riguarda l’espressione generica di “amministratori" e non anche quella specifica di “componenti del consiglio di amministrazione”. Un’interpretazione delle norme della Legge Finanziaria fondata sull’intenzione del legislatore e sulla relativa omogeneità di funzioni tra i diversi organi, a differenza di un’interpretazione rigorosamente letterale, ci consente di applicare la norma anche ai membri del consiglio di gestione nel caso del sistema dualistico. Qualche incertezza si presenta, invece, in caso di adozione del sistema monistico in quanto ove si applicasse la normativa al consiglio d’amministrazione di tale società, nel caso di limite massimo di tre membri, diverrebbe impossibile la nomina di un comitato di gestione96; una parte della dottrina, a tal proposito, sostiene che il numero dei componenti del comitato di controllo sulla gestione non possa essere inferiore a tre, anche per le società che non facciano ricorso al mercato del capitale di rischio, inoltre il “tetto” ai compensi sarebbe vanificato dal fatto che uno dei tre componenti avrebbe diritto ai maggiori compensi in funzione della particolare carica rivestita. 96 Si fa riferimento, in tal senso, a quella dottrina che sostiene, per diverse ragioni, che il numero dei componenti del comitato di controllo sulla gestione non possa comunque essere inferiore a tre, anche per le società che non facciano ricorso al mercato del capitale di rischio (GREZZI, 2005; COLOMBO, 2003) 64 La disciplina di cui ai commi 725-728, introduce elementi di differenziazione tra i diversi sistemi di governance delle società per azioni, senza alcune ragione ammissibile sul piano del contenimento della spesa pubblica. Come risulta evidente, inoltre, il legislatore ha preso in considerazione con tali disposizioni, la sola ipotesi in cui l’amministrazione delle società partecipate da enti locali sia affidata a più persone, che costituiscono il consiglio di amministrazione. È tuttavia possibile che vi siano società partecipate da enti locali amministrate da una sola persona (amministratore unico); in questo caso la misura del compenso massimo da corrispondere a tale amministratore è quella prevista per il presidente e cioè l’80% delle indennità spettanti al sindaco o al presidente della provincia. In merito alle società controllate, una parte della dottrina, ha osservato che il comma 725 in materia di compensi sembrerebbe riferirsi esclusivamente alle società partecipate direttamente dagli enti locali considerato che il successivo comma 729 riguardo al numero degli amministratori, al contrario fa espressamente riferimento alle partecipazioni indirette. Alla luce di ciò, quindi, si ha l’impressione che la volontà del legislatore sia di penalizzare, per quanto attiene ai compensi, le società 65 partecipate esclusivamente e direttamente dagli Enti locali stessi97 in quanto la norma non porrebbe limiti all’ammontare dei compensi delle partecipate o controllate dalle società degli enti locali. 1.9 Numero dei componenti del consiglio di amministrazione La legge Finanziaria, al fine di contenere la spesa degli enti locali, non solo ha stabilito la misura massima dei compensi spettanti agli amministratori delle società partecipate da tali enti, ma ha altresì determinato , se si tratta di società totalmente partecipate, anche in via indiretta, da enti locali, il numero massimo dei componenti il consiglio di amministrazione e, se si tratta, invece, di società miste, il numero massimo di componenti di detto consiglio che possono essere “designati” dagli enti locali (c. 729). In relazione al “tetto” del numero massimo di amministratori delle società pubbliche totalmente partecipate anche in via indiretta da enti locali, il legislatore ha posto il limite numerico di tre componenti ovvero di cinque nell’ipotesi in cui il capitale sociale, interamente versato, sia superiore a un certo importo, che dovrà essere determinato 97 V. in argomento L. MANASSERO, Legge Finanziaria 2007; disposizioni in materia di Consigli di Amministrazione delle società degli Enti Locali: residue incertezze applicative ed analisi delle diverse posizioni dottrinali circa gli aspetti più controversi, in www.dirittodeiservizipubblici.it, 2007. 66 con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, entro sei mesi dall’entrata in vigore della Legge Finanziaria 200798. La determinazione del numero “massimo” di componenti dei consigli di amministrazione, pertanto, non è, diversamente da quanto avviene per le società disciplinate dal codice civile, nella completa disponibilità dei soci (art.2380-bis, c.4), dipendendo, sia pure in parte, dall’entità del capitale sociale della società; nonostante il criterio dell’entità del capitale sociale serva per individuare il numero massimo dei componenti del consiglio d’amministrazione, sembra chiaro che gli enti locali possano determinare tale numero in misura inferiore a quella massima stabilita dalla Legge Finanziaria o anche non prevedere la costituzione del consiglio d’amministrazione, affidando l’amministrazione della società ad un solo amministratore. Per quanto riguarda, invece, le società a partecipazione mista, il criterio dell’entità del capitale sociale, non risulta applicabile in quanto, in tali società, qualsiasi sia l’entità del capitale sociale, il numero massimo dei componenti designabili dai soci pubblici locali ( ivi comprese anche le Regioni) non può essere superiore a cinque. Il numero dei componenti del consiglio di amministrazione che possono essere designati dagli altri soci è, quindi libero. 98 V. D.P.C.M., 26 giugno 2007. 67 Da ciò si evince che libero è anche il numero complessivo dei componenti del consiglio d’amministrazione delle società miste. Si tratta di una fattispecie alquanto particolare, in quanto si è in presenza di una sorta di patto di “sindacato di voto”, non necessariamente “parasociale” dato che risulta possibile che le relative previsioni siano inserite nello statuto, con il quale i soci della società mista stabiliscono il numero di amministratori che dovranno rispettivamente nominare e si impegnano a votare in assemblea in modo conforme a ciò che è stato oggetto dell’accordo. In connessione con quanto appena rilevato bisogna sottolineare che nel caso in cui lo statuto o eventuali patti parasociali, attualmente esistenti, riservino ai soci pubblici locali la nomina da parte dell’assemblea di un numero di componenti del consiglio di amministrazione di società mista superiore a cinque, la società dovrà, ai sensi del c.729, adeguare lo statuto o i patti parasociali al fine di ricondurre la riserva di nomina a favore dei soci pubblici locali entro il limite massimo fissato dalla Legge Finanziaria. Nel caso in cui, invece, lo statuto e gli eventuali patti parasociali, nulla stabiliscono a riguardo, qualora il numero complessivo dei membri del consiglio di amministrazione sia superiore a cinque, i soci hanno l’obbligo di modificare lo statuto o di 68 stipulare tra loro un patto parasociale allo scopo di stabilire la ripartizione delle nomine degli amministratori della società. La disciplina di cui al comma 729 appare riferibile sia al presidente e ai componenti del consiglio d’amministrazione delle società che adottino il sistema tradizionale ed al presidente e ai componenti del consiglio di gestione delle società che adottino il sistema “dualistico”. Non risulta possibile, per ragioni logiche, un’interpretazione estensiva della disciplina in oggetto in relazione alle società che adottino il sistema monistico. 69 CAPITOLO II ORIENTAMENTI E GIURISPRUDENZA COMUNITARIA: I RIFLESSI SUL PIANO INTERNO RELATIVI AI POTERI DI NOMINA SOMMARIO: 2.1 Ruolo degli organi comunitari nell’iter di riforma della disciplina della nomina pubblica alle cariche sociali – 2.2 Il novellato art. 2449 c.c.: limiti alla concessione del diritto di nomina - 2.3 L’applicazione del principio di proporzionalità nelle società chiuse - 2.4 La disciplina delle società aperte 2.1 Ruolo degli organi comunitari nell’iter di riforma della disciplina della nomina pubblica alle cariche sociali L’interesse alla privatizzazione delle tecniche di organizzazione dell’iniziativa economica pubblica è stato spesso realizzato dando rilievo all’esigenza di riconoscere alla pubblica amministrazione taluni “diritti speciali di controllo” sull’attività sociale. Tenendo conto 70 delle deroghe alla disciplina comune sotto il profilo dell’intrinseca coerenza all’istituto privatistico99 , la previsione di diritti speciali di controllo a favore del soggetto pubblico ha sollevato un problema di compatibilità con le garanzie stabilite dal diritto comunitario a presidio del mercato unico europeo100. Negli ultimi anni, infatti, la giurisprudenza comunitaria ha sviluppato una certa avversità nei confronti dei poteri speciali previsti dagli ordinamenti nazionali in favore dello Stato e degli enti pubblici attraverso i quali si attribuiscono all’esecutivo prerogative d’intervento o di veto sulla struttura proprietaria e sul governo delle imprese; per cui è stato imposto agli Stati di limitare il loro intervento in chiave di “mera regolamentazione” del mercato, in vista dei principi ispiratori della nuova costituzione economica101, fondata sul precetto della libera concorrenza nelle fasi dell’organizzazione e dell’erogazione dei servizi pubblici102. Tali poteri, infatti, sono 99 V. in tale senso P. SPADA, Dalla nozione al tipo della società per azioni, in Riv. dir. civ., 1985, I, 126 il quale avanza riserve sulla natura societaria di alcune figure corporative pubbliche; G. MARASÁ, Le società senza scopo di lucro, (nt.53), 356 ss., il quale evidenzia come, soprattutto per le società di diritto speciale, ha luogo uno scolorimento della causa societaria che ne compromette l’inquadramento nel paradigma tracciato dall’art.2247 c.c. 100 M.T. CIRENEI , Riforma delle società, legislazione speciale e ordinamento comunitario: brevi riflessioni sulla disciplina italiana delle società per azioni a partecipazione pubblica, in Dir. comm. Inter., 2005, 46 ss. 101 Sui profili della nuova costituzione economica v. S. CASSESE, La nuova costituzione economica, Roma-Bari, 2007. 102 V. in argomento T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e interesse del consumatore, in Riv.trim. dir. proc. civ., 1954;F. CAFAGGIO, Il diritto dei contratti nei 71 giudicati incompatibili con il principio di libera circolazione dei capitali in mancanza di ragioni imperative di interesse generale e, in ogni caso, qualora non vi fosse una relazione di proporzionalità tra gli interessi tutelati e l’ampiezza dei diritti speciali. I valori della concorrenza e della libera circolazione dei capitali nel mercato unico europeo sono stati inficiati dall’incompletezza del processo di privatizzazione, il quale non si fonda solo sull’esigenza di parificare il soggetto pubblico ai soggetti privati, ma su un interesse di segno opposto che mira a mantenere una forma di dirigismo politico sulle imprese, anche dopo la trasformazione in “società per azioni”, attraverso l’esercizio di “diritti singolari di controllo”103. Già, alla luce di tali orientamenti, parte della dottrina aveva sollevato dubbi riguardo alla compatibilità degli artt. 2449-2450 c.c. con il diritto comunitario104, questione che è stata affrontata in maniera diretta dalla Ceg con sentenza 6 dicembre 2007 C-463/04 e C-464/04, in seguito ad un ricorso pregiudiziale (rinvio d’interpretazione), ai sensi dell’art. 234 del Trattato , proposto dal mercati regolati:ripensare il rapporto tra parte generale e parte speciale in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008. 103 G. MINERVINI, Contro il diritto speciale delle imprese pubbliche “privatizzate”, in Riv. soc.,1994, per il quale la conservazione di poteri speciali di controllo inficia il processo di privatizzazione, svilendo l’interesse degli investitori alla contendibilità della società; B. LIBONATI, La faticosa “accelerazione” delle privatizzazioni, in Giur. comm., 1995, I, 66; R. COSTI, Privatizzazione e diritto delle società per azioni, in Giur. comm., 1995, I, 77 ss. 104 In tal senso, M.T. CIRENEI (nt.100), 41 ss. 72 T.A. R. della Lombardia con decisione 29 settembre 2004105. La giurisprudenza della Corte di Giustizia si è pronunciata sul potere speciale di nomina attribuibile ai soci pubblici ai sensi dell’art. 2449 c.c. dopo diverse pronunce sui poteri speciali attribuiti dalla golden share nelle società privatizzate106. La sentenza in esame riguarda la compatibilità con l’art.56 del tr. UE di alcune disposizioni dello statuto di A.E.M.( Azienda Elettrica Milanese SpA), introdotte a seguito della sua privatizzazione e della sua successiva quotazione in borsa e sostanzialmente finalizzate a garantire uno stabile controllo della società al Comune di Milano pur in presenza di una partecipazione minoritaria al capitale107. La Ceg è pervenuta alla conclusione che l’art 56 del tr. UE risulta incompatibile con l’art.2449 c.c. in quanto tale norma consente allo Stato o all’Ente pubblico di “godere di un potere di controllo 105 Si veda l’ord. di rimessione del Tar Lombardia 13 ottobre 2004, n. 175. In Foro it., 2005, II, c.34 s. 106 In tal senso si segnalano le sentenze della Corte di giustizia del: 23 maggio 2000, C-58/99, Commissione/Italia, in Raccolta, 2001, I-2345; 4 giugno 2002, C-367/98, Commissione/Portogallo, in Raccolta, 2002, I-4731; 4 giugno 2002, C/503/99, Commissione/Belgio, in Raccolta, 2002, I-4809; 13 maggio 2003, C-463/00, Commissione/Spagna, in Raccolta, 2003, I-4581; 28 giugno 2005, C-174/04, Commissione/Italia, in Raccolta, 2005, I-4933. 107 La Corte, in particolare, si è soffermata su una clausola che ai sensi dell’art.2449 c.c. assegnava un diritto esclusivo a favore del Comune di Milano di procedere alla nomina diretta di un numero di amministratori, proporzionato all’entità della propria partecipazione, nei limiti di un quarto dei membri del consiglio di amministrazione della A.E.M. 73 sproporzionato rispetto alla sua partecipazione nel capitale di detta società”. La Corte parte dal presupposto che l’art.2449 c.c. costituisca una deroga al diritto societario comune in quanto la possibilità di nomina diretta potrebbe essere attribuita solamente ad un socio pubblico e non anche ad un socio privato determinando una sproporzione di poteri del socio pubblico tale da provocare un effetto dissuasivo all’investimento nella società108. Oggetto di censura non è stato tanto il potere speciale di nomina ma solo un utilizzo ingiustificato dello stesso in quanto la deroga al diritto societario comune dovrebbe essere giustificata da un interesse superiore che non pare sussistere nel caso dei poteri speciali introdotti nello statuto dell’AEM 109. L’esame del testo dell’art.2449 evidenziava come la disposizione non sottoponesse affatto l’inserimento di un diritto speciale di nomina nello statuto, a favore dello Stato o dell’ente pubblico, ad alcuna condizione specifica110. 108 Ceg C-483, 4 giugno 2002, Commissione/Francia, in G.U.C.E., Raccolta,2002, I04781. 109 V. I. DEMURO, L’incompatibilità con l’ordinamento comunitario di poteri speciali in capo a soci pubblici, in Giur. comm., 2008 II. 110 Cfr .F.FRACCHIA-M.OCCHIENA, ad avviso dei quali, i privilegi pubblici sono accettabili nella misura in cui le riserve a favore della componente pubblica e la conseguente limitazione alla libera circolazione di capitali si giustifichi sulla scorta dell’idoneità, dell’adeguatezza e della necessarietà della stessa in ragione degli interessi 74 La Corte individua ulteriori punti critici della normativa italiana sia nella mancanza di un limite riguardo al numero degli amministratori che possono essere nominati direttamente dallo Stato o dall’ente pubblico partecipanti al capitale sociale, in quanto ciò si pone in contrasto con il principio comunitario di libera circolazione dei capitali111, sia in ragione del fatto che l’art’2449 c.c. in combinazione con altre disposizioni112, garantiva all’ente nominante in via diretta la possibilità di partecipare all’attività del consiglio di amministrazione con maggiore rilievo rispetto a quanto gli sarebbe stato normalmente concesso dalla sua qualità di azionista113. Per pervenire a questa conclusione la Corte evidenzia che l’art. 56 del Trattato vieta le restrizioni ai movimenti di capitale114 tra gli Stati membri, ed in particolare agli investimenti diretti tra il finanziatore e l’impresa, tali da consentire effettivamente la partecipazione alla gestione dell’impresa o al suo controllo115. pubblici coinvolti. La censura dell’art.2449 c.c. scaturirebbe dal fatto che la norma si innesta in una logica di applicazione generale, non a situazioni eccezionali specificamente previste e tipizzate dalla legge. 111 V., in tal senso, F. G .SCOCA, Il punto sulle c.d. società pubbliche, in Dir.econ., 2005, 256. 112 Nel caso di specie l’art.4, l.n.474/1994 113 Si v. Corte giust. CE, Sez. I, 6 dicembre 2007, nelle cause C-463/04 e C-464/04, punti 28 e 31. 114 Si intendono restrizioni quelle misure nazionali idonee a impedire o a limitare l’acquisizione di azioni nelle imprese interessate o che possono dissuadere gli investitori di altri Stati membri dall’investire nel capitale di queste ultime. Cfr. Ceg, 23 ottobre 2007, Commissione c. Repubblica federale di Germania. 115 Ceg, sentenza 6 dicembre 2007, Federconsumatori. 75 La pronuncia appare ancora più significativa se confrontata con il fatto che la Corte aveva già dichiarato la contrarietà ai principi comunitari dell’art.2450 del c.c.116, che in virtù dell’art.3 comma 1 del d.l. 10/2007 che ha recepito gli orientamenti comunitari in tema di poteri speciali (l’Unione Europea aveva avviato una procedura di infrazione) è stato abrogato. L’intervento del legislatore italiano non stupisce alla luce della giurisprudenza comunitaria, è ovvio infatti che l’art. 2450 c.c. conferiva poteri speciali di nomina alla sola pubblica amministrazione, in assenza di alcuna specifica giustificazione rientrante tra quelle che il diritto comunitario ritiene ammissibili e, dato il presupposto della norma i cui poteri di nomina prescindono dalla partecipazione al capitale, idonei ad attribuire indubbiamente diritti di controllo sproporzionati rispetto all’entità (nulla) della partecipazione117. 116 La norma attribuiva allo Stato o agli enti pubblici il potere di nominare amministratori e componenti degli organi di controllo anche in mancanza di alcuna partecipazione al capitale, a condizione che ciò fosse previsto dalla legge o dallo statuto.. Il riconoscimento di siffatto “potere speciale” risolvendosi in un’alterazione del funzionamento del modello s.p.a. ed in una compressione delle libertà fondamentali riconosciute dal Tratt. U.E. è lecito per la Ceg solo qualora riferibile ad esigenze imperative di interesse generale e nel rispetto dei principi di necessità, adeguatezza e proporzionalità e non discriminazione. 117 Si v. in tal senso la Relazione alla l.47/2007, ove si sottolinea che l’art. 2450 “appare in palese contrasto con la normativa comunitaria, caratterizzato com’è dall’attribuzione a soggetti pubblici della possibilità di ingerirsi nella gestione e nel controllo di società di cui non sono neppure soci”. 76 Con un secondo intervento e precisamente con l’art.13 della l.25 febbraio 2008,n.34118 il legislatore ha profondamente modificato il testo dell’art.2449 c.c. prevedendo una disciplina del tutto innovativa in materia di facoltà di nomina dei componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate dallo Stato o dagli enti pubblici119. 2.2 Il novellato art. 2449 c.c: limiti alla concessione del diritto di nomina Il legislatore con il nuovo art. 2449 c.c. ha inteso allineare l’ordinamento nazionale agli orientamenti comunitari in materia di “poteri speciali”. La nuova formulazione dell’articolo in oggetto prevede esclusivamente nell’ambito delle società per azioni120, una distinzione 118 Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee (l. comunitaria 2007), pubblicata in g.u n.56 del 6 marzo 2008 – Suppl. Ordinario n.54. 119 V., in tal senso, F. GHEZZI- M. VENTORUZZO “ La nuova disciplina delle partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici ne capitale delle società per azioni: fine di un privilegio?” in Riv. soc., 2008 fasc. IV. 120 Come evidenzia I. DEMURO il fatto che l’art.2449 c.c. continui a fare riferimento alle società per azioni “ confermerebbe così l’esclusione dell’applicazione dell’art.2449 c.c. alle società a responsabilità limitata”.Del resto avrebbe poco senso prevedere una disciplina speciale di nomina diretta in quanto si potrebbe raggiungere lo stesso risultato (nomina-revoca diretta) attraverso l’attribuzione di un particolare diritto ai sensi dell’art.2468, comma 3, c.c. 77 tra quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e quelle che non vi fanno ricorso applicando alle due tipologie societarie discipline differenti121 oggetto di analisi nei paragrafi successivi. Tale rilievo traspare dal confronto dei commi primo e quarto dell’art.2449 c.c. Per cui se nelle società chiuse lo statuto può attribuire al socio pubblico la facoltà di nominare uno o più amministratori e sindaci, ovvero componenti del consiglio di sorveglianza, nei limiti che scaturiscono dalla proporzionale partecipazione al capitale sociale, per le società aperte il legislatore si limita a prevedere la facoltà di emettere a norma dell’art. 2346, sesto comma c.c. strumenti finanziari rappresentativi del diritto di nominare un componente indipendente del consiglio di amministrazione, del consiglio di sorveglianza o del collegio sindacale. Bisogna sottolineare l’inesattezza della formula contenuta nel quarto comma dell’art. 2449 c.c. in quanto l’espressione “società che fanno ricorso al capitale di rischio” per individuare le società emittenti strumenti finanziari rappresentativi del diritto speciale di nomina, deve leggersi come “società che fanno ricorso al mercato del 121 Sul punto v. G. MINERVINI, Commento all’art. 2325-bis c.c., in La riforma delle società, a cura di M. SANDULLI- V. SANTORO, Torino, 2003, 2/I, 15 s.; A. BLANDINI, Società quotate e società diffuse: le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, in Trattato di diritto civile del Consiglio nazionale del notariato, diretto da P. PERLINGIERI, Napoli, 2005, 17 ss. 78 capitale di rischio”, ovvero le società che emettono azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in misura rilevante 122. È evidente che un riferimento così generale, da ricomprendere tutte le società, sia stato determinato da una “svista” da parte del legislatore che voleva disciplinare le società “aperte” ai sensi dell’art.2325-bis c.c. La motivazione a differenziare la disciplina tra società “ chiuse” e società “aperte”123 è relativa ad una delle novità più significative contenuta nel provvedimento legislativo di riforma, rappresentata dalla previsione di un limite numerico ai seggi del consiglio di amministrazione o di sorveglianza o del collegio sindacale che lo statuto potrà riservare al potere di nomina del soggetto pubblico124. Le previsioni del novellato art. 2449 c.c. non vanno confuse con le disposizioni contenute nella l. n. 296/2006, già oggetto di analisi, la 122 F. GHEZZI- M. VENTORUZZO (nt. 119), 703. Bisogna sottolineare, comunque, che non mancano “elementi comuni” alla disciplina delle società chiuse e delle società aperte, relativi alla tipologia delle cariche sociali nominabili singolarmente con il diritto speciale di cui all’art.2449 c.c. Sia il primo che il quarto comma dell’articolo in oggetto, prevedendo esclusivamente l’elezione dei componenti del consiglio di amministrazione o di sorveglianza o dei sindaci, non tengono conto della facoltà di optare per i sistemi di amministrazione alternativi a quello tradizionale. La lacuna, però, viene colmata collegando l’art. 2449 c.c. alla norma che presuppone la facoltà di attribuire statutariamente anche il potere singolare di nominare “componenti del consiglio di gestione” nel modello di amministrazione dualistico (art.2409-novies, c.c.), e, nel caso in cui la società avesse adottato il sistema di amministrazione monistico, si prevede l’ estensione della disposizione normativa alla nomina dei “ componenti del comitato per il controllo sulla gestione”. 124 C. PECORARO, Privatizzazione dei diritti speciali di controllo dello Stato e dell’ente pubblico nelle s.p.a.: il nuova art. 2449 c.c., in Riv. Soc., 2009, fasc. V. 123 79 quale all’art.1 comma 729, prevede la riduzione del numero dei componenti del consiglio di amministrazione di società partecipate da enti pubblici locali. Tali provvedimenti legislativi differiscono sostanzialmente per le finalità perseguite in quanto nelle leggi speciali, la limitazione del potere del socio pubblico è motivata da ragioni di contenimento della spesa pubblica, mentre la legge comunitaria si preoccupa di conciliare l’interesse pubblico finalizzato a conservare un potere autoritativo di direzione sulle società privatizzate con l’interesse privato leso da misure nazionali volte ad impedire o a limitare l’acquisizione di azioni nelle imprese o che possano dissuadere gli investitori degli altri Stati membri dall’investire nel capitale di queste ultime. Prima della modifica del testo, l’art. 2449 c.c. non prevedendo alcun limite alla nomina degli organi di amministrazione e controllo della società consentiva ad un azionista pubblico di minoranza di nominare la maggioranza o addirittura tutti i componenti di tali organi125, fattispecie non più possibile con l’introduzione del tetto massimo fondato sul principio della proporzionalità. 125 Sulla questione le soluzioni degli interpreti sono contrastanti:opinione negativa è stata originariamente espressa da MINERVINI, op. cit., (60), 715. Ma, contro, tra gli altri P. ABBADESSA, La nomina diretta di amministratori di società da parte dello stato e di enti pubblici, in Impresa, ambiente ,p.a., 1975, I; F.GALGANO, Il nuovo diritto societario, in Tratt. Galgano, 2003, 451 ss. ed infine per quanto riguarda i sindaci A. PATRONI 80 La precedente formulazione dell’articolo in esame, non fissando limiti quantitativi al numero dei componenti degli organi sociali di nomina pubblica, ne metteva in rilievo la funzione eminentemente organizzativa, la cui applicazione si prestava ad essere modulata in base alla rilevanza dell’interesse pubblico in tale contesto126. Un’eventuale “sproporzione” potrebbe derivare, comunque, dalla mancanza di coordinamento della norma in questione con altre norme “speciali”; a tal proposito, non si è tenuto conto del fatto che al socio pubblico spetterebbero gli ordinari diritti sociali, che cumulati a quelli speciali farebbero venir meno la proporzionalità. Ciò potrebbe essere ancora, oggetto di future censure da parte della Comunità europea, per cui sarebbe stato più opportuno ancorare la facoltà di nomina a dei presupposti oggettivi127. Il recente intervento di modifica dell’art.2449 c.c. non si è limitato a disciplinare i vincoli quantitativi in tema di poteri di nomina. Per un verso, il secondo comma chiarisce che gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi e scadono alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della loro carica. In modo quasi sorprendente il nuovo testo dell’art.2449 c.c. GRIFFI, La presidenza del collegio sindacale in caso di nomina pubblicistica di uno o più sindaci, in Giur. comm., 1984, I, 899 s. 126 A.PERICU, op. cit., (nt. 11) 127 I.DEMURO, Il nuovo art.2449 c.c., in Giur. comm., 2008. 81 non contempla più l’inciso, introdotto dalla riforma del 2003, in forza del quale “sono salve le disposizioni delle leggi speciali”. Più complesso è il contenuto delle disposizioni che si applicano alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, punto che sarà sviluppato successivamente. Per tali società, come già detto, la facoltà di nomina può essere attribuita o attraverso la previsione di strumenti finanziari partecipativi,o in alternativa attraverso la creazione di una particolare categoria di azioni. Nel primo caso è prevista,dunque, l’applicazione del comma 6° dell’art.2346 c.c., per cui si ritiene che l’Ente pubblico non debba necessariamente effettuare nuovi apporti e che possa essere nominato più di un amministratore, in deroga a quanto previsto dall’art.2351c.c., purché in numero proporzionale alla partecipazione al capitale. In questo caso i diritti spettanti ai possessori dei suddetti strumenti finanziari potranno essere i più vari e comprendere anche il diritto di conversione in altri strumenti finanziari, mentre fra i diritti partecipativi è escluso quello di votare nell’assemblea generale degli azionisti. Non si riesce a comprendere come mai in queste società, in cui l’unica deroga al diritto societario comune dovrebbe riguardare la nomina di un certo numero di componenti degli organi sociali, si 82 ribadisca con l’applicazione del 6°comma dell’art.2346 c.c., una cosa già prevista128, cioè non esclusa dalla legge. A ciò si aggiungerebbe la possibilità, su proposta del consiglio di amministrazione all’assemblea, che i diritti previsti dallo statuto a favore dello Stato o degli enti pubblici siano rappresentati da una particolare categoria di azioni. L’intervento modificativo sull’art.2449 c.c. prevede anche una disciplina transitoria, di non facile comprensione ed oggetto di numerose questioni interpretative, che sembrerebbe destinata esclusivamente alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio129. Uno degli aspetti della disciplina transitoria che desta maggiori perplessità è relativo a quella parte in cui si richiede che “i diritti amministrativi” siano rappresentati da strumenti finanziari; 128 I.DEMURO, Il nuovo art.2449 c.c., (nt.127). Dispone l’art.13, c. 2, : “Il consiglio di amministrazione, nelle società che ricorrono al capitale di rischio e nelle quali sia prevista la nomina di amministratori ai sensi dell’art.2449 del codice civile, nel testo vigente anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, adegua lo statuto entro otto mesi da tale data, prevedendo che i diritti amministrativi siano rappresentati da strumenti finanziari, non trasferibili e condizionati alla persistenza della partecipazione dello Stato o dell’ente pubblico, ai sensi dell’art.2346, sesto comma,del codice civile. Scaduto il predetto termine di otto mesi, perdono efficacia le disposizioni statutarie non conformi alle disposizioni dell’art.2449 nella nuova versione. 129 83 l’espressione, infatti, non risulta per niente denotativa, in quanto non dice se si tratti di tutti i diritti amministrativi di cui lo Stato o l’ente pubblico può essere titolare, cioè anche quelli derivanti dal fatto di essere azionista, ovvero solamente di quelli che permettono la nomina diretta. Sembrando assurda la prima soluzione si deve ritenere che lo Stato o l’ente pubblico diverrà contemporaneamente titolare di azioni e di strumenti finanziari emessi ex art.2449 c.c. Nella seconda parte della disciplina transitoria, in maniera non coerente con il contenuto dell’art.2449 c.c., si prevede la perdita di efficacia delle disposizioni non adeguate. Ma dall’esame del riformulato art. 2449 c.c. si ricava che non vi è alcun adeguamento da effettuare in quanto non risulta dalla norma nessun obbligo di adeguamento; per cui non vi è alcuna perdita di efficacia delle disposizioni statutarie non adeguate mancando proprio nel dettato normativo una disposizione a cui adeguarsi130. In connessione con quanto appena rilevato un adeguamento sarebbe stato invece necessario per le società che non ricorrono al mercato del capitale di rischio, al fine di rendere proporzionale il potere di nomina del socio pubblico alla partecipazione al capitale 130 In questo senso DEMURO, op. cit. 84 sociale. Per cui,diversamente a quanto è stato disposto per le società quotate ed in quelle con azioni diffuse, dal secondo comma dell’art.13 l.34/2008, per le società “chiuse” non è prevista nessuna disposizione transitoria volta a consentire l’adeguamento degli statuti al nuovo principio della “proporzionalità”. Per quanto riguarda le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non è previsto nessun richiamo al principio di proporzionalità, in tale prospettiva si pone, quindi, il rischio che si riproponga la sproporzione tra partecipazione e controllo in quanto mentre il problema non dovrebbe porsi qualora il diritto di nomina diretta sia contenuto in strumenti finanziari, che al limite danno diritto a nominare un amministratore indipendente, un componente del consiglio di sorveglianza o un sindaco (art.2351 c.c., 5° comma), lo stesso non può dirsi qualora si scelga l’alternativa delle categorie speciali di azioni, rispetto alle quali non sussiste la limitazione di cui all’art.2351 c.c131. Secondo alcuni autori132il fatto che il primo comma dell’art.2449 c.c., il cui ambito di applicazione è relativo alle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio,consente allo 131 M. C. CORRADI, Il nuovo art.2449 c.c., in Giur.comm. 2008. F.GHEZZI- M. VENTORUZZO, La nuova disciplina delle partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici, (nt. 119) 132 85 statuto la nomina di amministratori e componenti l’organo di controllo proporzionale alla partecipazione al capitale sociale, non esclude tale possibilità per le società aperte. Dall’esame del nuovo testo dell’art.2449 c.c., scaturisce quindi,che la nuova formulazione può essere oggetto di future ed inevitabili censure da parte della Ceg. Sono state, infatti, diverse le occasioni in cui la Corte ha censurato la presenza attiva del pubblico nell’economia che hanno portato quest’ultimo ad intervenire con soluzioni spesso azzardate al fine di sfuggire al vincolo comunitario; i risultati di tali tentativi, non sempre positivi, e spesso destinati ad ulteriori censure, dovrebbero dunque indurre “il legislatore a prendere atto della oramai limitatissima compatibilità tra il ruolo attivo dello Stato e degli enti pubblici nell’attività d’impresa e le regole della concorrenza e del mercato”. 2.3 L’applicazione del principio di proporzionalità nelle società chiuse Come già appena rilevato in relazione alle società chiuse la recente riforma ha mantenuto in capo all’ente pubblico il potere di nomina 86 extra assembleare ma l’ha circoscritto all’applicazione del criterio di proporzionalità. Con la nuova formulazione dell’art.2449 c.c.133 il legislatore recepisce il principio contenuto nella sentenza della Corte di Giustizia (Federconsumatori) di “ non sproporzione nel controllo” attraverso la previsione di un limite al potere di nomina diretta vincolato da un rapporto di “ proporzionalità” rispetto alla partecipazione al capitale. Il legislatore comprime, infatti, la facoltà per l’autonomia statutaria di riconoscere il diritto singolare di nominare un numero di amministratori e sindaci, ovvero componenti del consiglio di sorveglianza ( ma non del consiglio di gestione) entro un limite numerico determinato in funzione del vincolo della proporzionale partecipazione del socio pubblico al capitale sociale. Bisogna sottolineare che rispetto alle previsioni previgenti, l’introduzione del vincolo di proporzionalità ridimensiona le disuguaglianze tra soci privati e soci pubblici. Vanno valutati in tal senso gli effetti sul funzionamento dell’organizzazione determinati da tale vincolo che variano in ragione della consistenza della 133 La sentenza della Corte è del 6 dicembre 2007, l’art. 2449 c.c. è stato modificato dall’art.13, comma 1, della legge 25 febbraio 2008, n.43. 87 partecipazione azionaria detenuta dal socio pubblico, cioè in misura di una partecipazione minoritaria o maggioritaria134. Nel primo caso, il principio di proporzionalità impedisce che la società possa sovvertire il principio generale che affida il controllo ai soci che rappresentano la “maggioranza”135, per cui a differenza del passato il socio pubblico che non detiene una partecipazione tale da permettere la nomina in assemblea della totalità o della maggioranza dei componenti dei consiglieri o dei sindaci, non può più avvalersi del diritto speciale di cui all’art. 2449 c.c. per acquisire il controllo della società136. Nel caso in cui, invece, l’ente pubblico è “ socio di maggioranza” e dispone del controllo a norma dell’art.2359 c.c., potrà esercitare un’influenza dominante nonostante la limitazione prevista dall’art. 2449 c.c. Il potere di nomina diretta non è irrilevante in presenza di una partecipazione maggioritaria, effetti quindi si verificano anche quando il socio pubblico possiede la maggioranza assoluta del capitale sociale, i quali derivano dall’applicazione di una 134 F. GHEZZI-M. VENTORUZZO (nt. 119), 675 F.GALGANO-R.GENGHINI, Il nuovo diritto societario. Le nuove società di capitali e cooperative, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, 2006; F.GALGANO, La forza del numero e la legge della ragione. Storia del principio di maggioranza, Bologna, 2007, il quale evidenzia che “ il governo di una società fra uguali non può essere altrimenti attuato se non sulla base di un mero calcolo aritmetico, che faccia prevalere il maggior numero”. 136 In tal senso, C.PECORARO (nt. 124); F.GHEZZI-M. VENTORUZZO (nt.119). 135 88 disciplina speciale alle vicende che riguardano la nomina e la revoca della maggioranza delle cariche sociali elette a norma dell’art. 2449 c.c. in quanto è soprattutto in questi casi che il vincolo di proporzionalità si traduce in un privilegio per il socio pubblico, tanto che la nomina extrassembleare non sarà contestabile dagli altri soci137 che non potranno ricorrere nell’ipotesi di nomina illegittima, neppure con i mezzi ordinari d’impugnazione; inoltre, venendo meno i poteri di controllo, la minoranza nei casi di mala gestio non è più legittimata a richiedere la revoca dei consiglieri. In connessione con quanto appena rilevato va sottolineato l’orientamento prevalente della dottrina in riferimento al contenuto del secondo comma dell’art.2449 c.c., il quale prevede che “ gli amministratori e i sindaci o i componenti del consiglio di sorveglianza nominati a norma del primo comma possono essere revocati soltanto dagli enti pubblici che li hanno nominati”, tale disposizione è stata infatti ritenuta incompatibile con la previsione di una revoca per giusta causa disposta con deliberazione dell’assemblea, nonché con le disposizioni 137 Sul punto GHEZZI- VENTORUZZO (nt.119) secondo i quali il sistema di nomina diretta sottrae competenze all’assemblea e pone al riparo il soggetto nominante da qualsiasi contestazione circa la nomina da parte della società , giacché i soci, gli amministratori e i sindaci non avranno poteri di reazione e tanto meno di impugnazione della nomina, che appunto non avviene per mezzo di un’impugnazione assembleare. 89 contenute negli artt. 2393, comma quinto, e 2409, comma quarto, c.c138. Infine la previsione del limite della proporzionalità, nell’ipotesi in cui il socio pubblico disponga di una partecipazione di maggioranza relativa sufficiente ad esercitare il controllo di fatto139 produce come effetto il divieto di servirsi dello strumento del diritto amministrativo per trasformare la natura del potere esercitato e passare da un controllo precario, legato a circostanze occasionali, ad un controllo stabile previsto da una clausola statutaria140. Bisogna sottolineare che la proporzione prevista all’art.2449, comma 1, c.c. è relativa esclusivamente agli amministratori che vengono nominati direttamente dal socio pubblico, in quanto la norma non impedirebbe agli enti pubblici e allo Stato di votare in assemblea con le azioni di cui sono titolari. Per cui, se la nomina dei restanti amministratori fosse attribuita con il metodo del voto di lista, tale 138 I quali prevedono rispettivamente la revoca ope legis in ipotesi di esperimento dell’azione di responsabilità deliberata con il voto dei soci che rappresentano una quota qualificata del capitale sociale e la revoca giudiziaria disposta nei casi di gravi irregolarità nella gestione. 139 Cfr. l’art.2359, comma 1, n. 2, c.c ; fenomeno per il quale in ragione della polverizzazione dei possessi azionari e l’assenteismo degli altri soci consente anche ai soci che rappresentano una quota di minoranza del capitale sociale di controllare di fatto la società. 140 V.C. PECORARO, (nt. 124) 90 sistema potrebbe comunque garantire ai soci pubblici la maggioranza degli amministratori.141 Si è dunque affermato che la norma non è immune da eventuali censure a causa dell’utilizzo congiunto da parte dell’ente pubblico del diritto speciale previsto dall’art.2449 c.c. e della previsione statutaria del voto di lista. In connessione a quanto appena rilevato parte della dottrina142 evidenzia che il dettato normativo non fa alcun riferimento alla limitazione o alla sterilizzazione dei diritti di voto spettanti al socio pubblico nelle deliberazioni di nomina e di revoca dei componenti del consiglio di amministrazione in quanto ciò comporterebbe una disparità di trattamento in capo allo stesso socio143. 141 V. in argomento RUOTOLO-PUGLIELLI Nomina e revoca degli amministratori nelle società a partecipazione pubblica (Il nuovo testo dell’art.2449 c.c.), in Studi e materiali a cura del Consiglio nazionale del notariato, 1, 2009, i quali, al contrario, evidenziano che “ il principio di proporzionalità sancito a livello comunitario abbia una portata generale ed inderogabile” non essendo possibile “interpretare il disposto dell’art.2449 c.c. nel senso che la proporzionalità operi e debba operare solo per i membri di nomina diretta”. Di conseguenza secondo una lettura “rigorosa”, il limite della proporzionalità varrebbe in ogni caso e non solo con riferimento alla nomina extrassembleare. 142 V. GHEZZI- VENTORUZZO (nt. 119); sul punto anche DEMURO, Società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici, in Il nuovo diritto societario, nella dottrina e nella giurisprudenza:2003-2009 Commentario diretto da COTTIMO e altri, Bologna 2009. 143 V. DEMURO (nt.109), il quale ritiene che il socio pubblico non possa essere discriminato rispetto a quello privato, e possa giungere anche a detenere un potere di controllo sproporzionato, se ciò avvenga per mezzo di strumenti di diritto societario disponibili a tutti i soci. 91 Bisogna inoltre sottolineare che la proporzionalità del diritto di nomina diretta è cosa diversa dal “controllo sproporzionato” censurato dalla Corte di Giustizia. Secondo i giudici, infatti, il contrasto con la norma comunitaria non deriva dall’assenza di un vincolo di proporzionalità tra il “ valore della partecipazione” e il “numero di consiglieri o sindaci nominati singolarmente”, bensì dall’affidamento ex ante di poteri speciali che assicurano al socio pubblico di minoranza, a prescindere dalle azioni possedute la facoltà di nominare la maggioranza delle cariche sociali144. Il criterio della proporzionalità rappresenta un criterio debole, perché inadeguato a neutralizzare il controllo sproporzionato esercitato sulla base dell’esercizio congiunto del potere speciale di nomina e il diritto comune di votare in assemblea sull’elezione dei restanti membri del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale. In riferimento all’elasticità del criterio previsto dalla giurisprudenza comunitaria la disciplina poteva essere modellata 144 C. CAVAZZA, Prerogative speciali e società partecipate dai pubblici poteri:il nuovo art. 2449 c.c., in Nuove Leggi civ.,2009. 92 contemperando singoli interessi145 al fine di impedire forme di controllo sproporzionato ma senza pregiudicare il diritto del socio pubblico di esercitare il controllo sulla base delle regole di diritto comune. Per cui partendo dal presupposto che la sentenza non parla di principio di proporzionalità, ma di violazione di principi comunitari attraverso l’applicazione dell’art.2449 c.c. da cui scaturisce un potere di controllo sproporzionato rispetto all’entità della partecipazione, tale scelta legislativa di affidarsi alla previsione del principio di proporzionalità è stata oggetto di censure da parte della dottrina 146 . Ciò presuppone una modifica del dettato normativo tenendo conto del principio previsto dalla Corte di Giustizia, in modo da verificare di volta in volta se il numero complessivo degli amministratori di nomina pubblica, anche se non ecceda il limite della proporzionalità, possa determinare un “controllo sproporzionato”. Dalle incongruenze evidenziate l’introduzione del principio di proporzionalità non rappresenta una tappa risolutiva nell’allineamento 145 Nella sentenza della Corte di giustizia si precisa come gli Stati hanno la facoltà di stabilire il modo attraverso il quale armonizzare la legislazione interna al precetto della libera circolazione dei capitali, bilanciando “ l’interesse sovra-nazionale” alla rimozione degli ostacoli che impediscono la formazione del mercato unico con la protezione degli “interessi generali dello Stato”. 146 Così scrivono F. GHEZZI-M.VENTORUZZO (nt.119), 699, “se è vero che una rappresentanza proporzionale nel consiglio di amministrazione non è certamente sproporzionata, non è detto che una rappresentanza più che proporzionale dia luogo automaticamente ad un potere di controllo sproporzionato”. 93 dell’ordinamento interno agli orientamenti della giurisprudenza comunitaria in tema di “poteri speciali”. Diversi i rilievi critici relativi sia alla fattispecie in cui il socio pubblico detiene una partecipazione di maggioranza del capitale sociale che gli permette di blindare il controllo della società, data l’impossibilità per i soci di minoranza di rimuovere i consiglieri o i sindaci nominati in via exstrassembleare dallo Stato o dall’ente pubblico, sia alla violazione dei principi comunitari tramite l’applicazione congiunta del diritto speciale di nomina previsto all’art.2449 c.c. e la clausola statutaria sull’esercizio del diritto comune di voto in assemblea che sottopone l’elezione dei consiglieri e sindaci al sistema del voto di lista, fenomeno da cui può scaturire un potere di controllo sproporzionato147. In connessione a ciò il dettato normativo previsto all’art.2449 c.c. si rileva lacunoso in quanto il limite di proporzionalità previsto al 147 Nel caso AEM s.p.a., infatti, di cui si è parlato, le regole statutarie riservavano al socio pubblico la nomina diretta di un numero di amministratori proporzionale alla quota di partecipazione, stabilendo in ogni caso un tetto massimo di amministratori eleggibili in sede extrassembleare. Gli amministratori non indicati direttamente dal Comune venivano invece eletti in assemblea con il sistema del voto di lista: dalla prima lista classificata si ricavavano i sei decimi delle cariche eleggibili (quattro amministratori), mentre i restanti consiglieri sarebbero stati sarebbero stati selezionati dalla seconda lista (tre amministratori). Per cui ,quale che fosse stato l’esito della votazione assembleare, per effetto congiunto del diritto speciale di cui all’art. 2449 c.c. e della previsione del sistema del voto di lista, al socio pubblico sarebbe stata assicurata in ogni caso “ex ante” la nomina della “maggioranza” dei consiglieri, anche se l’ipotetica alleanza degli altri soci dovesse rappresentare una quota di capitale maggiore, dunque l’impossibilità per questi ultimi di sovvertire il controllo già esercitato dall’ente pubblico. 94 primo comma riguarda esclusivamente il numero delle cariche sociali nominabili in sede extrassembleare tramite l’esercizio del diritto singolare previsto dallo statuto e non è certo, secondo parte della dottrina148, con l’estensione di tale principio all’esercizio del diritto di voto in assemblea che risulta possibile risolvere il contrasto con la norma comunitaria149. Dalla lettura della sentenza della Corte di Giustizia si ha l’impressione che gli ordinamenti nazionali possono riservare al socio pubblico privilegi amministrativi, l’importante che la previsione di diritti singolari non sottragga del tutto il controllo della società al regime di libera contendibilità150. 2.4 La disciplina delle società aperte Significative novità sono contenute nel quarto comma dell’art. 2449 c.c. relativamente alle società che fanno ricorso al mercato del capitale 148 C. PECORARO, (nt.124), 970; F. GHEZZI-VENTORUZZO, (nt.119) secondo i quali un’interpretazione estensiva del principio di proporzionalità determinerebbe una violazione delle regole di diritto comune ed una disparità di trattamento tra soci privati e pubblici. 149 Non ha aderito a questa impostazione, C. IBBA Sistema dualistico e società a partecipazione pubblica, in Riv.dir. civ., 2008, I, per il quale la mancata estensione del limite della proporzionalità al diritto di voto determina un’alterazione delle regole del diritto comune, provocando contrasti con il diritto comunitario. 150 Cioè, il principio affermato dalla Corte di Giustizia, ove tale” privilegio non risulti determinante per l’affidamento del controllo della società”. 95 di rischio. Disciplina che richiede un’analisi più articolata e caratterizzata da notevoli incertezze sia relative alla legislazione interna che al suo coordinamento con la normativa comunitaria. È previsto quindi che alle società quotate e con azioni diffuse “ si applichino le disposizioni del sesto comma dell’art. 2346 c.c.”, cioè quelle relative alla possibilità di emettere strumenti finanziari dotati di diritti patrimoniali e amministrativi a fronte dell’apporto di prestazioni d’opera e di servizi da parte di soci o di terzi. Questa previsione evidenzia che la volontà del legislatore, nelle società quotate e in quelle con azioni diffuse, è quella di ricondurre i poteri speciali ad istituti di diritto comune, quali gli strumenti finanziari partecipativi e le azioni di categoria. Espressione , che come già detto, sembrerebbe del tutto pleonastica se intesa solo come riconoscimento dell’applicabilità del nuovo strumento nelle società disciplinate dall’art.2449 c.c. e non viene letta nel quadro della disciplina in oggetto in cui pare assumere un preciso significato in funzione della rilevanza organizzativa riconosciuta ai “diritti amministrativi previsti dallo statuto” in favore dei soggetti pubblici sia come possessori di strumenti finanziari che come titolari di una particolare categoria di azioni. 96 La composizione pubblica-privata dell’azionariato induce a ritenere che il socio pubblico già legittimato ad utilizzare gli strumenti di diritto comune a difesa dell’azionista possa chiedere, in occasione dell’emissione di strumenti finanziari o della creazione di una categoria speciale di azioni, l’inserimento nello statuto dei diritti amministrativi ritenuti maggiormente significativi per il governo societario in funzione del suo diverso interesse alla società151. La regola dell’incorporazione in strumenti finanziari o azioni come tecnica per l’attribuzione del potere speciale a norma del quarto comma dell’art.2449 c.c si riflette sulle vicende relative all’acquisto del diritto di nomina da parte dello Stato o dell’ente pubblico designato nello statuto. A differenza di quanto previsto per le società chiuse, quindi, non è sufficiente la previsione statutaria affinché l’ente possa rivendicare la titolarità del diritto, per cui il soggetto pubblico acquisterà il diritto solo al momento della sottoscrizione dello strumento finanziario. È opportuno stabilire in che modo debba qualificarsi la posizione dell’ente pubblico designato dallo statuto come beneficiario del diritto particolare di nomina nella fase che precede il perfezionamento della vicenda acquisitiva, cioè se la 151 F. SANTONASTASO, Le società di diritto speciale, in Trattato di diritto commerciale, diretto da V. BUONOCORE, sez. IV- Tomo 10, Torino, 2009. 97 predeterminazione statutaria crei “ una mera aspettativa” in capo all’ente beneficiario, o una “pretesa” nei confronti della società a sottoscrivere titoli che incorporano il diritto speciale di nomina. In tale ottica, dunque, il soggetto pubblico può legittimamente richiedere alla società l’emissione di titoli rappresentativi del diritto particolare di nomina a condizione che la previsione statutaria sia formulata in modo analitico al fine di predeterminare adeguatamente il contenuto della pretesa azionaria, in caso contrario può rivendicare solamente un’aspettativa152. Per quanto riguarda le modalità di esercizio del diritto rappresentato da strumenti finanziari partecipativi un elemento significativo da valutare è costituito dai rilievi contenuti nell’art. 2449 c.c. dai quali si desume che la nomina singolare disposta dal socio pubblico non è più collegata ad un potere esclusivo di revoca. Il binomio tra nomina e revoca è previsto all’art.2449 c.c. con esclusivo riferimento alle società chiuse e ne è preclusa l’estensione alle società aperte , disciplinate al quarto comma dell’art.2449 c.c.153. Circa il valore da attribuire alla norma che assegnava il potere di revoca 152 Rimane ferma la discrezionalità degli organi sociali di decidere il contenuto del titolo da offrire in sottoscrizione all’ente pubblico per cui in caso di esercizio abusivo di questo potere discrezionale, al soggetto pubblico non rimane che ricorrere al rimedio risarcitorio. 153 Per un approfondimento v. C. PECORARO (nt.124), 992. 98 esclusivamente all’ente pubblico che ha disposto la nomina la dottrina prevalente ha evidenziato che anche in presenza di una giusta causa , la società non avrebbe potuto disporre della revoca dell’amministratore o del sindaco nominato singolarmente dal soggetto pubblico154. Sempre in tale prospettiva il ricorso a strumenti finanziari per il contributo economico di investitori non soci che giustificano, in alcuni casi “ l’estensione dei poteri decisionali ordinariamente spettanti agli azionisti in virtù di una potenziale cogestione” e in altri un’ingerenza caratterizzata solo alla “occasionalità e per la finalizzazione delle prerogative riconosciute alla tutela dell’interesse di classe”155, va considerato con una diversa modulazione dei poteri riconosciuti dall’autonomia assembleare a tutela di un investitore che continua ad essere socio di una società dove la composizione azionaria di cui all’art.2449 c.c. si traduce in un tentativo di un procedimento di legittimazione della componente pubblica all’esercizio di funzioni 154 G. COTTIMO, Diritto Commerciale, volume I, tomo II, Padova, 1987, 616; P. ABBADESSA, La nomina diretta di amministratori di società da parte dello Stato e di enti pubblici, (nt.125); F. ROVERSI MONACO, Revoca e responsabilità… (nt.11), 276. 155 V. M. CIAN, Strumenti finanziari partecipativi e poteri di voice, Milano, 2006. 99 gestorie nella contrapposizione tra interesse di categoria ed interesse sociale156. La scelta di ricondurre la previsione del diritto di nomina alla fattispecie degli strumenti finanziari partecipativi ha una specifica rilevanza nel quadro della disciplina applicabile, per cui il rinvio al sesto comma dell’art. 2346 c.c. ha diverse finalità quali quella di prevedere che per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio vige un limite al potere speciale di nomina diverso dal vincolo di proporzionalità dettato invece per le società chiuse; di identificare l’acquisizione del diritto nella sottoscrizione del titolo che lo incorpora; di privatizzare le modalità di esercizio del diritto di nomina ed infine di prescrivere requisiti di indipendenza per il consigliere o il sindaco nominato dal soggetto pubblico. L’incorporazione del diritto amministrativo del soggetto pubblico in un titolo che costituisce strumento di diritto comune è finalizzato ad assicurare che l’armonizzazione della disciplina interna alle disposizioni comunitarie venga realizzata tenendo conto delle peculiarità delle società aperte157. 156 M. CIAN, (nt. 155), il quale evidenzia che sulla istituzionalizzazione del ruolo dell’esponente di nomina extra-assembleare di “portatore di interessi di gruppo non lo legittimano……all’esercizio dei poteri amministrativi in spregio dell’interesse sociale…” 157 M.COSSU, L’amministrazione nelle s.r.l. a partecipazione pubblica, in Giur. Comm., 2008, I, il quale evidenzia come già da tempo la dottrina ha denunciato l’incompatibilità 100 Una delle questioni sollevate è relativa al fatto che l’art.2449 c.c. non specifica quale sia per le società aperte il limite numerico al diritto di nomina riconosciuto al soggetto pubblico. La dottrina si è posta il quesito se il silenzio normativo avrebbe dovuto essere interpretato mediante l’applicazione estensiva del principio di proporzionalità158, o invece, valorizzando il ricorso alla previsione on contenuta nel sesto comma dell’2346 c.c., attraverso l’identificazione del privilegio del soggetto pubblico con la disciplina comune degli strumenti finanziari partecipativi159. La posizione della dottrina risulta variegata riguardo al numero massimo di cariche sociali che lo statuto può riservare al soggetto pubblico nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio di cui all’art. 2325-bis c.c. Se non mancano autori che negano la possibilità che tale potere possa eccedere la facoltà di nominare ai sensi del quinto comma dell’art.2351c.c. quindi “un solo componente dei poteri speciali concessi al soggetto pubblico con la disciplina speciale prevista per le società aperte. 158 In questo senso, F. GHEZZI-M.VENTORUZZO (nt. 119), i quali prevedono che mentre nella prima tipologia di società, il potere di nomina può essere attribuito direttamente dallo statuto al socio pubblico, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, tale potere deve essere incorporato in strumenti finanziari o speciali categorie di azioni. Non sembra, quindi, che in tali società debba escludersi la possibilità di riconoscere allo Stato o all’ente pubblico azionista una rappresentanza proporzionale negli organi di governance della società; dello stesso orientamento F. SANTONASTASO, (nt. 151). 159 C. CAVAZZA, (nt. 144), il quale distingue a seconda che il diritto particolare di nomina sia stato incorporato in “ strumenti finanziari” oppure in “azioni”. 101 indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco”160, altri risultano favorevoli ad identificare tale limite con l’estensione del principio di proporzionalità. In connessione con quanto rilevato bisogna sottolineare le difficoltà di adeguare l’applicazione del principio di proporzionalità “ alle speciali modalità di partecipazione” del soggetto pubblico alle società aperte in quanto occorre domandarsi se tale criterio debba essere riferito al valore della partecipazione azionaria161, o, al contrario inteso avendo riguardo all’investimento effettuato dallo Stato o dall’ente pubblico ai fini della sottoscrizione di strumenti finanziari partecipativi. 160 V. F. GHEZZI- M.VENTORUZZO (nt. 119), secondo i quali, al contrario, “il rispetto del principio di proporzionalità risulta necessario, ma anche sufficiente in relazione alla libera circolazione dei capitali sia nelle società chiuse, che in quelle aperte. Per cui una disciplina più rigorosa per queste ultime, in base alla quale gli strumenti finanziari partecipativi consentirebbero unicamente l’attribuzione del diritto di nomina di un solo amministratore, non sarebbe giustificabile alla luce dell’attuale quadro comunitario normativo e giurisprudenziale”. In senso opposto pare orientato il contributo di C. PECORARO (nt.124), il quale evidenziando il contenuto della sentenza della Corte di Giustizia che vincola lo Stato ad imporre le garanzie minime al fine di preservare la libera circolazione di capitali, non vi è motivo per censurare la discrezionalità degli stati membri ad adottare misure più rigorose. In questo senso la scelta di equiparare il soggetto pubblico al sottoscrittore di strumenti finanziari partecipativi. È ovvio che l’interesse a limitare l’ingerenza del socio-pubblico venga in rilievo soprattutto nelle società aperte, in cui un controllo precostituito ex ante sul riconoscimento di privilegi speciali disincentiva gli investimenti e rischia di deprezzare il valore delle azioni in circolazione. 161 In tale senso F. GHEZZI-M.VENTORUZZO (nt. 119), i quali pur affermando l’estensione del limite della proporzionalità alla disciplina delle società aperte, ritengono che l’emissione di strumenti finanziari partecipativi non sia subordinata al rispetto di una regola di proporzionalità tra la consistenza dell’apporto e la rilevanza dei diritti rappresentati dal titolo. 102 Nel testo legislativo non si chiarisce però se la sottoscrizione di strumenti finanziari che incorporano il diritto costituisca un mezzo alternativo alla partecipazione azionaria o, se invece, tale sottoscrizione rimanga una condizione necessaria ma non sufficiente per l’attribuzione del diritto speciale162. Secondo alcuni autori la scelta di ricorrere alla tecnica dell’incorporazione in strumenti finanziari partecipativi è una tecnica preordinata alla privatizzazione del diritto speciale concesso allo Stato o agli enti pubblici per cui viene valorizzato il rinvio al sesto comma dell’art.2346 c.c. al fine di sostenere l’applicazione estensiva delle limitazioni stabilite dalla disciplina comune, in modo che i sottoscrittori di strumenti finanziari potranno acquistare la legittimazione a disporre della nomina singolare ai sensi del quarto comma dell’art.2449 c.c. di un solo componente dell’organo amministrativo e di controllo. La trasformazione dell’interesse pubblico nell’esercizio del controllo va correlata, inoltre, al significato che assume il requisito dell’indipendenza del consigliere o del sindaco nominato dal sottoscrittore di strumenti finanziari. La dottrina si divide tra coloro che concepiscono l’indipendenza come condizione di “mera 162 Diverse le difficoltà di applicazione del vincolo della proporzionalità , previsto dal primo comma dell’art.2449 c.c. in funzione della partecipazione del socio pubblico al capitale sociale, qualora s’ipotizzi una partecipazione dello Stato o dell’ente pubblico fondata unicamente sulla sottoscrizione di strumenti finanziari. 103 autonomia dagli azionisti”, da valutare in base al possesso di requisiti soggetivi-professionali163, e quanti, invece, la concepiscono in funzione della rappresentatività dello specifico interesse della categoria164, costituito in questo caso dalle finalità pubbliche perseguite dall’ente. Secondo questo nuovo assetto normativo, quindi, il potere di nominare un consigliere indipendente ai sensi dell’art.2449, comma quarto, c.c presuppone una concezione dell’interesse pubblico a “vigilare” più che a dirigere l’attività della società165. Il rilievo evidenzia, tra l’altro, come la disposizione normativa non subordina la concessione del diritto speciale di nomina ad un investimento proporzionale, tanto che secondo alcuni autori gli strumenti finanziari rappresentativi del potere di nomina potrebbero essere offerti in sottoscrizione al soggetto pubblico anche in presenza di un apporto “irrisorio”166. La previsione di tale disposizione normativa che segna il modo attraverso il quale l’interesse pubblico penetra nell’organizzazione 163 In tal senso, M. L. MONTAGNANI, Commento all’art. 2383 c.c., in Amministratori, a cura di F. GHEZZI, in Commentario alla riforma della società, diretto da P. MARCHETTIL.A BIACHI-F. GHEZZI-M.NOTARI, Milano, 2005. 164 V.F. SANTONASTASO (nt.151), M. CIAN, Gli investitori non azionisti e diritti amministrativi nella nuova s.p.a., in Il nuovo diritto delle società, 2006. 165 Sul punto M.T. CIRENEI (nt.100), 53; I. DEMURO, L’incompatibilità con il diritto comunitario della nomina diretta ex art.2449 c.c, (nt.109) 166 Cfr. F.GHEZZI- M. VENTORUZZO (nt.119), 707 s. 104 pone fine alla disputa sulla natura pubblicistica o privatistica167 del potere speciale di nomina di cui si è già parlato. Va ricordato come nell’ambito della disciplina del comma 6 dell’art.2346 c.c. lo strumento finanziario partecipativo possa essere fornito oltre che di diritti patrimoniali anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti costituendo un mezzo per consentire a coloro che partecipano alla società una rappresentatività all’interno dell’organo amministrativo. La disciplina degli strumenti finanziari partecipativi presenta alcuni problemi di coordinamento al suo interno, posto che se da un lato l’art.2346 comma 6 vi ricollega “diritti patrimoniali o anche amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti”, dall’altro l’art. 2351 c.c. , comma 5, c.c. prevede che essi “….possono essere dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati”. Autorevole dottrina 168 coordina le due disposizioni, anche sulla scorta della Relazione alla riforma169, riconoscendo ai loro possessori 167 Alla luce della qualificazione pubblicistica parte della dottrina ritiene che il potere di nomina e di revoca abbia natura autoritativa, poiché vincolato al perseguimento dell’interesse pubblico; mentre secondo la dottrina prevalente la previsione di poteri speciali di nomina e revoca non interferisce con la causa del contratto sociale. Questo indirizzo interpretativo, senza trascurare la rilevanza accordata all’interesse extrasociale promosso dal soggetto pubblico sul piano dell’organizzazione societaria, si conforma all’autorevole insegnamento per cui l’interesse pubblico non può deformare la natura e l’essenza degli istituti privatistici impiegati per lo svolgimento dell’azione amministrativa: in tal senso OPPO (nt.49) 105 il diritto di voto nella loro assemblea speciale170 in ordine, fra l’altro, alla “nomina di un componente indipendente del consiglio disamministrazione o del consiglio di sorveglianza o del sindaco”. Non può essere invece attribuito ai possessori degli strumenti partecipativi il diritto di voto nell’assemblea degli azionisti, in concorso con gli stessi, e quindi neanche per le deliberazioni che hanno ad oggetto la nomina degli “altri” amministratori171. La ratio della previsione del ricorso agli strumenti finanziari partecipativi è, tuttavia, di difficile comprensione, sembrerebbe che il legislatore abbia inteso incorporare i “particolari diritti” e quindi la nomina diretta degli amministratori in uno strumento che può esser sì dotato di “diritti amministrativi”, ma che si connota, in maniera ordinaria, quale mezzo di finanziamento della società. Dal dettato normativo, non sembrerebbe, peraltro, preclusa la possibilità che tali strumenti siano attribuiti, oltre che allo stato e agli 168 NOTARI, Le categorie speciali di azioni e gli strumenti finanziari partecipativi nella riforma delle società, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi sulla riforma del diritto societario, Milano, 2004, 615 ss. 169 Ove è scritto che “ gli strumenti finanziari in questione possono conferire tutti i diritti partecipativi escluso quello del diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti” 170 In senso contrario BUSI, Assemblea e decisioni dei soci nelle società per azioni e nella società a responsabilità limitata, 873, secondo il quale o si riconduce il potere di nomina “ alla disciplina eccezionale di nomina da parte di terzi, come negli artt. 24492450 c.c., o per non spezzare il principio di unitarietà dell’assemblea, sembra si debba consentire ai titolari di strumenti finanziari l’intervento nell’assemblea generale dei soci”. 171 MAGLIULO, Le categorie di azioni e strumenti finanziari nella nuova s.p.a., Milano, 2004, 78; NOTARI, (nt. 168), 615. 106 enti pubblici cui invece sono destinate le speciali categorie di azioni, anche ai soci privati. È previsto, come già detto, il ricorso oltre agli strumenti partecipativi, anche alla creazione di speciali categorie di azioni rilevando la conformità della previsione ai principi comunitari, trattandosi di strumenti privatistici nella disponibilità di tutti i soci, senza discriminazioni in ordine alla natura pubblica o privata. Peraltro, il ricorso alle categorie speciali di azioni è agevolato dal legislatore in quanto l’emissione di azioni rappresentative del diritto di nomina è un’operazione subordinata ad una delibera assembleare assunta con le maggioranze previste per l’assemblea ordinaria, fermo restando il necessario consenso del socio pubblico172 cui la speciale categoria di azioni è destinata173, a differenza di quanto avviene ordinariamente dove la competenza a modificare lo statuto in occasione della variazione del capitale sociale spetta di regola all’assemblea straordinaria. 172 Per un maggiore approfondimento sul punto V. C. PECORARO (nt.124), 1016 ss. L’agevolazione risulta ancora più evidente nella norma transitoria di cui al comma 2 dell’art.13. In esso, infatti, si dispone che “ il consiglio di amministrazione, nelle società che ricorrono al capitale di rischio e nelle quali sia prevista la nomina di amministratori ai sensi dell’art.2449 c.c., nel testo vigente anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, adegua lo statuto entro otto mesi da tale data, prevedendo che i diritti amministrativi siano rappresentati da strumenti finanziari, non trasferibili e condizionati alla persistenza della partecipazione dello stato o dell’ente pubblico, ai sensi dell’art.2346, sesto comma, c.c. Scaduto il predetto termine di otto mesi, perdono efficacia le disposizioni statutarie non conformi alle disposizioni dell’art.2449, come sostituito dal comma 1”. 173 107 Esistono diverse incertezze sulla portata del binomio tra la previsione dell’incorporazione e la regola dell’intrasferibilità, incertezze che hanno un riscontro nella formulazione del secondo comma dell’art. 13 che, nel disciplinare il regime di circolazione del titolo che incorpora il diritto speciale del soggetto pubblico di nominare un componente indipendente dell’organo direttivo o di controllo, si riferisce esclusivamente agli strumenti finanziari partecipativi174. Resta da chiarire, inoltre, il significato che gli strumenti finanziari emessi devono essere, oltre che non trasferibili, “condizionati alla persistenza della partecipazione dello Stato o dell’ente pubblico”. Secondo alcuni autori risulta necessario che i soci pubblici conservino una partecipazione nella società, a prescindere dal suo ammontare, fermo restando che, in caso di riduzione della percentuale di azioni detenute, i poteri di nomina andranno rapportati alla quota posseduta175. È indubbio,come già detto, che il ricorso agli strumenti finanziari rappresenta un’anomalia rispetto alla ordinaria funzione di mezzo di finanziamento della società, tuttavia, il loro utilizzo implica 174 175 Per approfondimenti, v. C. PECORARO, (nt.124), 1002 ss. F. GHEZZI-M. VENTORUZZO (nt.119), 708. 108 che il socio pubblico debba continuare a mantenere la partecipazione al capitale, in quanto, in caso contrario, viene reintrodotto surrettiziamente un sistema analogo a quello previsto dall’abrogato art.2350 c.c. E ciò nonostante che il riferimento alla persistenza della partecipazione dello Stato o dell’ente pubblico al capitale e alla intrasferibilità degli strumenti sia contenuto nella sola norma transitoria. È evidente, tuttavia che per non alterare tale “proporzionalità” con la partecipazione al capitale, le azioni in mano pubblica dovrebbero essere “neutralizzate”, una volta incorporato il diritto nello strumento finanziario partecipativo, ai fini del calcolo dei quorum costitutivi e deliberativi dell’assemblea chiamata ad eleggere gli “altri” amministratori176. Il sistema risulta più agevole, invece, in caso di conversione delle azioni in mano pubblica in azioni di categoria connotandosi nella sostanza analogo a quello delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. 176 E.PUGLIELLI-A. RUOTOLO, Nomina e revoca degli amministratori nelle società a partecipazione pubblica, (nt.141) 109 CAPITOLO III FATTISPECIE DI RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI NOMINA PUBBLICA SOMMARIO: 3.1 Società a partecipazione pubblica, responsabilità e giurisdizione della Corte dei conti – 3.2 La responsabilità amministrativa nell’evoluzione giurisprudenziale - 3.3 Responsabilità civile e responsabilità amministrativa degli organi di gestione – 3.4 Riparto di giurisdizione, esclusività di regimi di responsabilità, coesistenza e concorso di giurisdizioni 3.1 Società a partecipazione pubblica, responsabilità e giurisdizione della Corte dei conti Al fine di appurare se nella società pubblica si stia verificando una incidenza finalistica del regime pubblicistico sul modello di gestione imprenditoriale proviamo ad analizzare alcuni vincoli che sembrano connotare in modo peculiare il rapporto tra socio pubblico e società, 110 tali da assegnare al primo una sorta di speciale potere di indirizzo sulla società. Un’attenzione particolare merita il “controllo” giurisdizionale della Corte dei Conti nelle forme dell’azione di responsabilità amministrativa177; in un primo passaggio il giudice contabile ha esteso il rapporto di servizio che lega il funzionario alla P.A. al collegamento che si instaura tra una società ed una amministrazione-socio. La responsabilità amministrativa, infatti, si è sempre applicata ai dipendenti pubblici sulla base di un presupposto indispensabile: il rapporto di servizio che lega, appunto, il dipendente all’amministrazione pubblica178. L’accostamento ad un rapporto sociale di una parallela relazione di tipo amministrativo-organizzatorio, ha determinato la configurazione di una responsabilità a carico della società, quale soggetto giuridico, per aver causato un danno all’amministrazione 177 Sul tema v. C. IBBA, Azioni ordinarie di responsabilità e azione di responsabilità amministrativa nella società in mano pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica, in Riv.dir. civ., 2006; M. ANTONIONI , Società a partecipazione pubblica e giurisdizione contabile, Milano, Giuffrè, 2008; in particolare sul punto in oggetto R. URSI, Verso la giurisdizione esclusiva del giudice contabile: la responsabilità erariale degli amministratori delle imprese pubbliche, Foro amm. CDS 2004. 178 La responsabilità amministrativa ha natura prevalentemente sanzionatoria e non compensativa, sussiste solo in presenza di colpa grave o di dolo, è commisurata alla gravità della colpa e non del danno e la sanzione può essere graduata mediante l’uso del potere riduttivo. L’ambito di applicazione della responsabilità amministrativa è stato via via esteso sino a ricomprendervi, appunto, anche gli amministratori delle società a partecipazione pubblica attraverso l’individuazione degli elementi costitutivi del rapporto di servizio ben al di là del rapporto intercorrente fra dipendente e amministrazione e la possibilità di sanzionare sia il danno diretto che il danno indiretto. 111 socio179. Nei passaggi successivi, agendo direttamente nei confronti degli amministratori di tali società, il giudice contabile ha in una serie di casi perseguito l’esistenza di un danno cagionato direttamente alla P.A.- socio e in una fase seguente ha esteso la giurisdizione ai danni cagionati direttamente alla società180. In quest’ottica si viene a delineare una concezione opposta a quella dell’interesse sociale, una sovrapposizione all’interno della quale il “pubblico” finisce sempre per prevalere sul “privato”, un’azione della Corte dei conti che sostanzialmente si sostituisce all’azione di responsabilità degli amministratori prevista dal codice civile con evidenti ripercussioni sul piano concreto. Si tratta di un’azione esercitabile d’ufficio da un organo giudiziario esterno alle dinamiche societarie che è più preoccupato al pregiudizio che colpisce le risorse pubbliche e quindi la P.A. rispetto a quello che colpisce la stessa società. Per cui, per alcuni autori, l’interesse prevalente è quello di salvaguardare le casse pubbliche, gli 179 F.CINTIOLI, “Disciplina pubblicistica e corporate governance delle società partecipate da enti pubblici” ,(nt.9). 180 Nel presupposto che anche questo potesse essere un danno erariale, riscontrato sia nei casi di partecipazione pubblica totale, sia nei casi di partecipazione parziale. Cfr. in tal senso, Corte dei Conti, Lombardia, sez. giur., 29 dicembre 2008, n.980, in Foro amm. TAR, 2008, 3500. 112 altri interessi quali quello degli altri soci, quello dei creditori sociali, dei terzi e delle società controllate risultano postergati181. Si è creato un rapporto con l’erario che va al di là di qualsiasi struttura organizzativa o relazione giuridica, chiamando appunto a rispondere di danno erariale non solo la società pubblica nei confronti del socio ma direttamente gli amministratori di tali società182. Circa la natura di tale responsabilità sono state elaborate diverse tesi. In particolare per alcuni si tratta di una responsabilità di natura risarcitoria, per altri, invece, tale responsabilità ha natura sanzionatoria. Proprio l’importanza assegnata all’entità della colpa ai fini dell’addebito, piuttosto che all’entità del danno , ha fatto si che buona parte della dottrina propendesse per la tesi secondo la quale tale responsabilità avrebbe natura sanzionatoria183. 181 In tal senso F.CINTIOLI (nt. 9). L.TORCHIA, La responsabilità amministrativa per le società in partecipazione pubblica, in Giornale dir. amm., 2009. 183 G. MONTEDORO in Società in House e responsabilità; sul punto v. L TORCHIA, Responsabilità civile e responsabilità amministrativa per le società a partecipazione pubblica: una pericolosa sovrapposizione in Servizi pubblici e appalti, n.2, 2006. 182 113 3.2 La responsabilità amministrativa nell’evoluzione giurisprudenziale L’analisi in materia di responsabilità civile e responsabilità amministrativa deve partire, più che dall’esame delle norme, dai recenti orientamenti giurisprudenziali della Cassazione. In una prima fase, si è escluso che la semplice veste formale di società per azioni fosse idonea a trasformare la natura pubblicistica di soggetti che, in mano al controllo maggioritario dell’azionista pubblico, continuano ad essere affidatari di rilevanti interessi pubblici184. In questo contesto per l’identificazione della natura pubblica di un soggetto la forma societaria è sembrata neutra dimostrando la possibilità che anche le società per azioni si presentino come strumenti alternativi alle forme tradizionali, e come articolazioni organizzative dell’ente185. Per cui è stata ribadita la permanenza del controllo della Corte dei conti sulle S.p.A. derivate dalla trasformazione degli enti pubblici " fino a quando lo Stato conservi nella propria disponibilità la gestione economica delle nuove società mediante una partecipazione esclusiva o prevalente al capitale azionario delle stesse”186. In connessione con 184 Cons. Stato, sez. VI, decisione 1 aprile 2000, n.1885, in Foro.it., 2001, III, 71, con nota di FRACCHIA- CARROZZA 185 Cons. Stato, sez. VI, 28 ottobre 1998, n.1478, in Foro.it, 1999, III, 178, con osservazioni di GAROFOLI 186 Corte cost. 28 dicembre 1993, n.466, in Foro.it, 1994, I. 114 questa impostazione l’ambito di giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità amministrativa ha conosciuto un fenomeno di progressiva espansione il cui momento cruciale si è avuto nel 2003. In tale occasione la giurisprudenza ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale quando si configura “un rapporto di servizio tra la società e l’ente territoriale ravvisabile ogni qualvolta si instauri una relazione funzionale caratterizzata dall’inserimento del soggetto esterno nell’iter procedimentale dell’ente pubblico come compartecipe dell’attività a fini pubblici di quest’ultimo”187. Il punto di partenza è stato sottolineato nel momento in cui si è evidenziato che “ la responsabilità amministrativa che ha sempre seguito criteri sostanziali 187 Cass. Sez. Un. 26 febbraio 2004 n. 3899 in cui dopo aver ribadito il principio per cui una società per azioni costituita con capitale maggioritario del comune in vista dello svolgimento di un servizio pubblico ha una relazione funzionale con l’ente territoriale, caratterizzata dall’inserimento della società stessa nell’iter procedimentale dell’ente locale e dal conseguente rapporto di servizio venutosi a creare, ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti nelle controversie in materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale riguardanti gli amministratori e i dipendenti di tali società, decisione, comunque che non è risultata del tutto univoca in quanto il profilo se il danno subito dal comune partecipante alla società fosse diretto o riflesso, rispetto a quello arrecato al patrimonio sociale, è rimasto estraneo al giudizio sui limiti della giurisdizione ; Cass. Sez. Un. Ordinanza 22 dicembre 2003, n. 19667; Cass. Sez. Un. 27 settembre 2006; cfr .sul tema L. TORCHIA, Responsabilità civile e responsabilità amministrativa per le società in partecipazione pubblica: una pericolosa sovrapposizione,(nt.183); l’ordinanza della Suprema Corte n.19667 del 2003 si occupa di giurisdizione solo in materia di responsabilità degli amministratori di enti pubblici economici, fattispecie recessiva a seguito dell’ampliarsi del ricorso da parte della pubblica amministrazione allo srtumento privatistico della società di capitali; cfr. in tal senso D’AURIA, Amministratori e dipendenti di enti economici e società pubbliche: quale “revirement” della Cassazione sulla giurisdizione di responsabilità amministrativa?, in Foro.it., 2005, I. 115 per quanto riguarda il “rapporto di servizio” con una pubblica amministrazione non poteva non seguire criteri sostanziali anche per quanto riguarda la configurazione soggettiva delle pubbliche amministrazioni, applicando il pubblico, la giurisdizione della Corte dei conti, anche a soggetti che sembrerebbero operare nell’ambito del diritto privato, ma che sono in realtà sostanzialmente pubblici”188. In tema di responsabilità per danno erariale è stato rilevato che l’esistenza di un rapporto di servizio, quale presupposto per un addebito di responsabilità al detto titolo, non è quindi, limitato al rapporto organico o al rapporto di pubblico impiego, ma è configurabile anche quando il soggetto, benché estraneo alla pubblica amministrazione venga investito, anche di fatto, dello svolgimento, in modo continuativo, di una determinata attività in favore della P.A., con inserimento nell’organizzazione della medesima e con particolari vincoli ed obblighi finalizzati ad assicurare la rispondenza dell’attività stessa alle esigenze generali189. Si verifica uno spostamento del 188 F. MERUSI, Pubblico e privato nell’istituto della responsabilità amministrativa ovvero la riforma incompiuta, in Dir. amm., 2006, 123. 189 L’orientamento giurisprudenziale che si era andato delineando nel tempo era fondato, quindi, su un approccio di tipo sostanzialistico, volto cioè a tener conto, anziché del criterio soggettivo, di un criterio oggettivo. Il legislatore nazionale sembrava prendere atto di tale orientamento ponendo, con un’apposita normativa una specifica eccezione, laddove stabiliva, ai sensi dell’art. 16-bis del decreto- legge 31 dicembre 2007, n.248(decreto mille proroghe), convertito con modificazioni nella legge 28 dicembre 2008, n. 31, che “ Per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti 116 criterio di rilevanza, per l’individuazione del tipo di responsabilità, dalla natura del soggetto danneggiante alla natura del patrimonio e del soggetto danneggiato per cui diviene cruciale la natura erariale del patrimonio, a volte anche in connessione con la natura pubblica delle attività svolte. Di recente, con sentenza 26806 del 19.12.2009, le Sezioni modificando il Unite della Corte di precedente orientamento, hanno Cassazione190, previsto la giurisdizione della Corte dei Conti in ordine alle azioni di responsabilità degli amministratori e funzionari pubblici, quando gli atti di cattiva gestione procurano danni riferibili direttamente al patrimonio dell’ente, quali ad esempio il danno all’immagine o l’omesso esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori delle partecipate. Quindi, a meno che l’amministratore di una società pubblica abbia recato danno all’ente pubblico-socio pubblici , inferiore al 50%, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario…” Tale legge, quindi, nell’introdurre un’eccezione al principio ormai consolidato secondo il quale la responsabilità di amministratori e dipendenti di società con partecipazione pubblica fosse rimesso al giudica contabile, finiva per confermarlo. 190 La pronuncia può leggersi in Foro.it, 2010, I, 1477 ss., con nota di G. D’AURIA, secondo il quale “non esiste( con eccezioni) la responsabilità erariale per i danni cagionati alle società pubbliche dai loro amministratori”e che la partecipazione totalitaria, di maggioranza o di controllo, di un ente pubblico ad una società non comporta l’automatica instaurazione di un “rapporto di servizio” fra i suoi amministratori e l’ente pubblico e, quindi, la sottoposizione dei primi alla giurisdizione contabile. Il rapporto di mandato che lega gli amministratori alla società non si estende all’ente pubblico che resta un soggetto distinto dalla società ; Giur.it , 2010, 853 ss. con note di CAGNASSO, “Una brusca frenata” da parte delle sezioni unite della Cassazione alla vis espansiva della responsabilità amministrativa-contabile. 117 nell’ambito di un rapporto di servizio instaurato direttamente con esso, la responsabilità per il danno cagionato dall’amministratore al patrimonio della società è regolata dalle norme del diritto societario e non da quelle sulla responsabilità amministrativa. Tale sentenza, così come alcune ordinanze successive,191 sono state apprezzate, da una parte della dottrina, per aver posto un freno alla ormai evidente volontà di estendere l’ambito della responsabilità amministrativa ai gestori degli enti lucrativi. Il limite, infatti, fissa una sorta di linea di demarcazione tra quel danno imputabile agli amministratori oggetto delle ordinarie azioni sociali di responsabilità (art. 2393 ss., c.c.) e quello di cui gli stessi possono rispondere in sede speciale escludendo che questo possa essere considerato prevalente rispetto a quelle del diritto comune192. Se sussistono i presupposti l’azione erariale si pone non come alternativa, ma quale strumento di “accrescimento” delle ragioni patrimoniali della pubblica amministrazione che ha acquistato o ha sottoscritto capitale di rischio193. Il danno attinente al patrimonio della società è un fatto che interessa solo quest’ultima e la relativa cognizione spetta al giudice ordinario mentre il giudice speciale 191 Cass., Sez. Un., 15 gennaio 2010, n. 519, Società, 2010, 803 ss., con nota di GHIGLIONE- BAILO, “Responsabilità degli amministratori delle società a partecipazione pubblica:l’orientamento delle SS. UU”. 192 G. ROMAGNOLI, “La responsabilità degli amministratori di società pubbliche fra diritto amministrativo e diritto commerciale”, Società, 2008. 193 In tal senso v. A. ROSSI, La responsabilità degli amministratori delle società pubbliche, in Giur. comm., 2009, I, 521 ss; Ibba, (nt.177). 118 interviene qualora la condotta dei gestori causi direttamente una “lesione” al patrimonio dell’ente pubblico socio194. In connessione a quanto rilevato quindi, l’appartenenza ad una compagine sociale di una pubblica amministrazione non comporta delle ripercussioni immediate sulla responsabilità “interna” degli amministratori. Secondo parte della dottrina, il nuovo orientamento della Corte se si presenta come una “brusca frenata” all’espansione della responsabilità speciale, non preclude un’eventuale “accelerazione”195. Diversi profili di interessi presenta, inoltre, la pronuncia della Cassazione n.4309/2010, in particolare relativamente all’individuazione del regime di responsabilità, civile o erariale, applicabile agli amministratori di società in mano pubblica, in presenza di atti di mala gestio ad essi imputabili e al conseguente riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice speciale contabile196. La Suprema Corte ribadisce il recente orientamento197 , 194 G. ROMAGNOLI, La responsabilità amministrativa dei componenti degli organi di gestione delle società a partecipazione pubblica. Tra “brusche frenate” e “annunciate accelerazioni”, in Rivista del diritto societario, Giappichelli, 2010. 195 In tal senso, CHITI, Carenze della disciplina delle società pubbliche e linee direttrici per un riordino, (nt.1). 196 Cass. Sez. Un., 23 febbraio 2010, in Società, 11, 2010, con commento di DALFINO. In sintesi gli estremi della vicenda: la società per azioni S.I.V.A., partecipata in via prevalente dall’ente pubblico E.N.C.C. (Ente nazionale cellulosa e carta), svolgente “attività industriale e commerciale inerente al settore della cellulosa, delle paste per carte e delle carte”, veniva dichiarata in stato di insolvenza e sottoposta a liquidazione coatta amministrativa. Il commissario liquidatore promuoveva azione di responsabilità finalizzata al recupero delle perdite e dei mancati guadagni subiti dal patrimonio sociale a causa della cattiva gestione degli amministratori e degli omessi controlli dei sindaci. In 119 secondo il quale tipologia di responsabilità e ambito di giurisdizione vanno definiti in base alla circostanza che le conseguenze dannose della condotta degli amministratori si manifestino direttamente nella sfera patrimoniale del socio pubblico ovvero in quella della società. In particolare, nel primo caso, la strumentalità della partecipazione nella compagine sociale al perseguimento di finalità pubbliche e l’impiego di pubbliche risorse non può non comportare, per gli organi della società, una “peculiare cura nell’evitare comportamenti tali da compromettere la ragione stessa di detta partecipazione sociale dell’ente pubblico o che possano comunque direttamente cagionare un pregiudizio al patrimonio di quest’ultimo”; ne consegue la responsabilità amministrativa e la giurisdizione della Corte dei conti. Nel secondo caso, allorché la condotta dell’amministratore danneggi il patrimonio sociale, vi è “unicamente un danno sofferto da un soggetto privato, in questo caso la società, relativo al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci sia pubblici che privati, i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione ed i cui originari conferimenti restano confusi corso di causa, il socio pubblico prevalente, in qualità di assuntore del concordato fallimentare, subentrava al commissario liquidatore. Successivamente, però lo stesso ente veniva sciolto e gli succedeva, nella posizione sostanziale e processuale, il Ministero dell’economia e delle finanze. 197 Cfr. Cass., sez. un., 19 dicembre 2009, n.26806 120 nell’unico patrimonio sociale”; da ciò scaturisce la responsabilità civile e la giurisdizione del giudice ordinario198. La Cassazione, quindi, nel caso di specie, ha escluso la giurisdizione della Corte dei conti, avendo rilevato una ipotesi di azione sociale di responsabilità, finalizzata alla reintegrazione del patrimonio sociale direttamente leso dalla condotta degli amministratori convenuti in giudizio, e di conseguenza eliminando la possibile sovrapposizione tra le due forme di responsabilità, civile ed amministrativa. 3.3 Responsabilità civile e responsabilità amministrativa degli organi di gestione I diversi orientamenti giurisprudenziali finiscono per produrre in capo agli amministratori di società pubbliche l’imputazione di una doppia responsabilità cioè di quella amministrativa che si va ad aggiungere a quella societaria199. Le due forme di responsabilità hanno ratio e 198 Il p.m. contabile, peraltro, aveva promosso il giudizio di responsabilità amministrativa nei confronti degli amministratori dell’E.N.C.C., facendo valere il danno conseguente al pregiudizio della partecipazione alla società, dovuto al mancato esercizio da parte degli stessi amministratori delle azioni volte a tutelare i diritti del socio pubblico. Cfr. Corte conti, sez. I giur. centr. App., 1 marzo 2001, n.41/A; Corte conti, sez. I giur. reg. Lazio 7 settembre 2001, n. 3463; Corte conti, sez.I giur. centr. App. 3 gennaio2007, n.1/A. 199 Il codice civile prevede azioni per tutelare l’integrità del patrimonio sociale. Gli amministratori sono, quindi, civilmente responsabili del loro operato verso la società (artt. 2392, 2393 e 2393 bis c.c.), verso i creditori sociali (art.2394 c.c.) e verso i singoli 121 caratteristiche completamente diverse200, anche a prescindere dai termini di prescrizione, dalla rilevanza della colpa e dal potere riduttivo. L’azione del procuratore contabile ha presupposti diversi dalle azioni di responsabilità sociale e dei creditori sociali previste dal codice civile. Infatti ,” l’una è obbligatoria, le altre discrezionali, l’una ha finalità essenzialmente sanzionatoria, in quanto non implica necessariamente il ristoro completo del pregiudizio subito dal patrimonio danneggiato dalla cattiva gestione dell’amministratore e dallo omesso controllo dell’organo di vigilanza, le altre hanno scopo ripristinatorio, l’una richiede il dolo o la colpa grave e per le altre è sufficiente anche la colpa lieve”. Elemento essenziale, come già detto, soci o i terzi. In base all’attuale disciplina, gli amministratori incorrono in responsabilità verso la società e sono tenuti al risarcimento dei danni da essa subiti quando non adempiono i doveri ad essi imposti dalla legge o dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Si tratta di una responsabilità in solido, unanimemente qualificata come responsabilità contrattuale per i danni arrecati alla società. L’azione di responsabilità può essere esercitata non solo dall’assemblea, con la maggioranza dei soci, ai sensi dell’art.2393 c.c. ma può anche essere esercitata da una minoranza qualificata dei partecipanti alla società, ai sensi dell’art.2393 bis c.c. Altra distinta forma di responsabilità degli amministratori è quella verso i creditori sociali come conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Inoltre nel caso in cui gli amministratori compiono un atto illecito o producono di un danno diretto al patrimonio del singolo socio o del singolo terzo questi possono chiedere il risarcimento dei danni agli amministratori. 200 V. per un maggiore approfondimento, L. TORCHIA, Responsabilità civile e responsabilità amministrativa....(nt. 183) la quale sottolinea le differenze tra le due tipologie di responsabilità evidenziando come la responsabilità amministrativa ha una finalità diversa dalla responsabilità civile, in quanto volta a tutelare l’amministrazione dai danni provocati risultando accertabile soltanto all’interno del rapporto che appunto lega il dipendente all’amministrazione; in particolare sullo specifico tema della responsabilità amministrativa, v. C. IBBA (nt. 177), 2006, II e l’ampio studio di M. ANTONIONI, (nt.177). 122 della responsabilità amministrativa è invece la sussistenza di un obbligo di servizio fra il soggetto che danneggia e l’amministrazione danneggiata ed essa ricorre solo in presenza di dolo o colpa grave, in questo caso l’addebito è commisurato alla gravità della colpa e non alla gravità del danno per cui ha natura prevalentemente sanzionatoria e non compensativa e può essere graduata mediante l’uso del potere riduttivo. Occorre evidenziare, inoltre, che la responsabilità amministrativa viene accertata mediante un processo regolato da una legge degli anni trenta, in cui prevale l’interesse pubblico e nel quale l’amministrazione non ha diritto di azione ma è rappresentata dal pubblico ministero, la cui azione, come nel giudizio penale si svolge su un piano diverso e non di parità rispetto alle parti. L’ambito di applicazione della responsabilità amministrativa è stato nel tempo esteso agli amministratori di società a partecipazione pubblica seguendo due direttrici quali l’individuazione degli elementi costitutivi del rapporto di servizio al di là del rapporto intercorrente fra dipendente e amministrazione e la possibilità di sanzionare sia il danno diretto che il danno indiretto201, ciò ha comportato una sorta di contaminazione fra l’atipicità della responsabilità extracontrattuale e 201 Quest’ultima possibilità ha una base normativa nell’art.1, comma 4, della legge n. 20/1994, che attribuisce rilevanza anche ai casi in cui il danno non sia subito dall’amministrazione di appartenenza del dipendente responsabile, ma da qualsiasi amministrazione pubblica. 123 la natura sanzionatoria della responsabilità amministrativa. Mentre l’atipicità dell’illecito civile è connessa alla natura compensatoria della responsabilità responsabilità aquiliana, amministrativa la natura richiede sanzionatoria della necessariamente una tipizzazione legislativa degli illeciti e delle sanzioni. In mancanza di questa tipizzazione, il giudice contabile dispone di un vuoto che può riempire variando a discrezione i confini e gli elementi del danno erariale202. Tornando all’approccio di tipo “sostanzialistico” che ha sostituito ad un criterio prettamente soggettivo, fondato sulla condizione giuridica pubblica dell’ente, un criterio oggettivo basato su due elementi quali la natura pubblica delle funzioni esercitate e l’origine delle risorse finanziarie utilizzate, la dottrina203 ha posto diversi quesiti sia sul piano del metodo che del merito, alla cui base vi è l’esigenza di assicurare la tutela dell’interesse generale mediante la corretta gestione del denaro pubblico indipendentemente dal modello organizzativo dell’ente. Dopo le recenti pronunce della Corte di 202 L. TORCHIA, La responsabilità amministrativa.. (nt.182), secondo la quale si verrebbe a determinare l’atipicità dell’illecito, alla quale consegue necessariamente l’indeterminatezza del danno subito dalla pubblica amministrazione. 203 L.TORCHIA, (nt.183), la quale evidenzia come sul piano del metodo bisogna intendere il valore da attribuire al criterio della specialità, che varia a seconda la si configuri come un rapporto tra species e genus o che la si intenda come l’esclusione del genus a favore di una regola derogatoria in sé conchiusa. Bisognerebbe dimostrare inoltre come le tante diverse specialità delle società per azioni in partecipazione pubblica possano trasformarsi in una nuova regola generale, secondo la quale vale per i loro amministratori la responsabilità amministrativa e la Giurisdizione della Corte dei conti. 124 Cassazione occorre verificare come risolvere il problema relativo al coordinamento tra la responsabilità amministrativa e quella civilistica di cui si parlerà nel paragrafo successivo. Si tratta di una convivenza assai difficile, come ha dimostrato C. Ibba204, evidenziando che l’adozione della forma societaria determina l’applicazione del diritto societario e che gli amministratori sono, quindi,comunque responsabili verso la società (art.2392 c.c.), verso i creditori sociali (art. 2394 c.c.) e verso i singoli soci o i terzi (art.2395c.c)205. La dottrina si è chiesta se anche i soci e i creditori potranno trovare soddisfazione nel caso in cui gli amministratori dovranno reintegrare, il danno provocato all’erario e si è posta il quesito qualora sia il socio pubblico a far valere le proprie ragioni per ottenere il risarcimento del danno di cui all’art. 2395 c.c., di come coordinare l’azione ordinaria risarcitoria con quella amministrativo-contabile davanti alla Corte dei Conti, poiché in entrambi i casi sussiste un danno al patrimonio dell’ente pubblico socio. Secondo la giurisprudenza recente, il verificarsi di un danno al patrimonio sociale non comporta l’esercizio dell’azione individuale ai sensi dell’ art.2395 c.c. posto per 204 C. IBBA, (nt.177) V. sul punto O. CAGNASSO, “Diritto societario e governance degli organismi partecipati”, secondo il quale ritenere che gli amministratori siano sottratti all’applicazione della responsabilità prevista in materia societaria costituirebbe una soluzione, che condurrebbe ad una grave disparità di trattamento e quindi a profili di incostituzionalità. 205 125 compensare la lesione inferta direttamente al socio da atti compiuti dagli amministratori nell’esercizio delle loro funzioni in quanto si tratta di un danno del tutto diverso206. È ovvio che i risultati delle azioni codicistiche non potranno essere del tutto indifferenti alla presenza di una concorrente pretesa risarcitoria avanzata dall’ente pubblico finanziatore concentrandosi le une e l’altra sui medesimi patrimoni personali degli amministratori accusati di mala gestio207. Inoltre tale concorrenza comporta un aumento del rischio subito dagli amministratori di società “pubbliche”, potenzialmente esposti alla necessità di una difesa su due fronti208 e molto spesso, specie nel caso di quotazione delle azioni delle società pubbliche in un mercato 206 In questo senso,Cass., 22 marzo 2010, n.6870 e Cass., 23 giugno 2010, n.15220 in www.giustizia.it secondo cui: “L’art. 2395c.c. esige, ai fini dell’esercizio dell’azione di responsabilità del socio nei confronti degli amministratori, che il pregiudizio subito dal socio non sia il mero riflesso dei danni eventualmente arrecati al patrimonio sociale, ma gli derivi direttamente come conseguenza immediata del comportamento illecito degli amministratori:pertanto, né l’inattività dell’assemblea, né la perdita di capitale sociale e né l’inadempimento contrattuale posto in essere dall’amministratore integrano, di per sé, i presupposti della disposizione, in quanto la prima inerisce al mero funzionamento degli organi sociali e non comporta necessariamente un danno alla società o al socio, mentre il capitale è un bene della società e non dei soci, i quali dalle perdite subiscono soltanto un danno riflesso a causa della diminuzione di valore della propria partecipazione, ed, infine, il mancato rimborso della somma presa a mutuo dalla società può comportare la responsabilità dell’amministratore soltanto quanto derivi da un illecito doloso o colposo dell’organo nell’inadempimento del mutuo”. 207 Su questo profilo cfr. IBBA, (nt.177) secondo il quale” è difficile credere che gli amministratori possano essere tenuti a risarcire una seconda volta il danno già risarcito pro quota al socio pubblico, dovendosi ammettere, dunque, che essi eccepiscano con successo il già avvenuto risarcimento. Ma ciò equivale a dire che un socio , il socio pubblico, sarebbe legittimato a soddisfarsi prima dei creditori, con una traslazione del rischio d’impresa dal socio pubblico ai creditori sociali che rovescerebbe svariati principi del diritto societario e del diritto privati tout court e nella quale non sarebbe difficile scorgere profili di illegittimità costituzionale”. 208 G. ROMAGNOLI, (nt. 194) 126 regolamentato, la distribuzione di un dividendo e la realizzazione di un lucro oggettivo, impone scelte gestorie più rischiose e diverse da quelle funzionali alla mera conservazione del patrimonio sociale e, quindi, della dotazione pubblica. Risulta innegabile come la disciplina della responsabilità degli amministratori di società di capitali non ha soltanto una funzione ripristinatoria ex post del patrimonio sociale leso in seguito alla gestione degli amministratori anche perché i patrimoni personali degli amministratori risultano spesso insufficienti a coprire l’intero danno, essa svolge, invece, una determinante funzione di incentivo ex ante in modo da scoraggiare atti di mala gestio. 3.4 Riparto di giurisdizione, esclusività di regimi di responsabilità, coesistenza e concorso di giurisdizioni La giurisprudenza, negli anni, ha individuato diversi criteri al fine di determinare il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice contabile in ordine all’azione di responsabilità degli amministratori delle “società pubbliche”, quali la natura dell’attività svolta dalla società, la natura delle risorse utilizzate, la natura del soggetto passivo 127 del danno, la sussistenza di un rapporto di servizio tra il socio pubblico e la società, ecc. I limiti esterni della giurisdizione della Corte dei conti, sono previsti dall’art. 103, comma 2, Cost., secondo cui essa “ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”209. Di recente l’ambito della giurisdizione speciale in materia ha assunto confini meno chiari rispetto al passato, come conseguenza dell’affidamento a soggetti privati della “realizzazione di finalità una volta ritenute di pertinenza esclusiva degli organi pubblici”. A tal proposito bisogna ricordare che la condotta fonte di responsabilità sia idonea a ledere tanto l’integrità del patrimonio sociale quanto quella del patrimonio del singolo socio o di terzi che può essere leso direttamente o indirettamente (come perdita di valore della partecipazione in conseguenza del pregiudizio diretto subito dal patrimonio sociale). In quest’ultimo caso l’esercizio dell’azione del procuratore contabile che mira a far valere la responsabilità 209 Tra le materie espressamente “specificate dalla legge”, con riferimento alla responsabilità per danno erariale vengono rilevati gli artt. 13 e 52 R.D. 12 luglio 1934, n.1214, in base ai quali il giudice contabile giudica sulla responsabilità per danni arrecati all’erario da pubblici funzionari nell’esercizio delle loro funzioni e l’art.1, comma 4, L. 14 gennaio 1994, n.20 che estende il giudizio alla responsabilità amministrativa degli amministratori e dei dipendenti pubblici, anche per danni cagionati ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza, per i fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della legge. 128 dell’amministratore della società partecipata dall’ente pubblico quando questi sia stato direttamente danneggiato dall’azione illegittima, non incontra particolari difficoltà né si pongono contrasti derivanti dalla possibile concorrenza di tale azione con quella civile (art.2395) in quanto l’una e l’altra mirano allo stesso risultato. Non interessa in questo caso indagare sulla natura di detta responsabilità, cioè se essa abbia carattere extracontrattuale o se pur sempre presupponga la violazione di un preesistente obbligo di corretto comportamento dell’amministratore anche nei diretti confronti di ciascun singolo socio. Ciò che risulta certo è che gli organi sociali non possono non tener conto della presenza del socio pubblico nella compagine sociale e della sua funzione strumentale al perseguimento di finalità pubbliche. Si inserisce in questo scenario il danno all’immagine dell’ente pubblico determinato da atti illegittimi posti in essere dagli organi sociali della società partecipata il quale può prodursi immediatamente in capo al socio pubblico per il fatto stesso di essere partecipe di una società in cui quei comportamenti illegittimi si sono manifestati. Risulta ovvia, in questi casi, la giurisdizione della Corte dei conti. Come già detto, ad una conclusione diversa bisogna pervenire nel caso in cui l’azione sia proposta per reagire ad un danno 129 cagionato al patrimonio sociale poiché non solo non è configurabile alcun rapporto di servizio tra l’ente pubblico partecipante e l’amministratore della società partecipata, ma neppure sussiste in questo caso un danno qualificabile come danno erariale, inteso come pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico socio. La corretta e ben nota distinzione tra la personalità giuridica della società di capitali e quella dei singoli soci e l’autonomia patrimoniale dell’una rispetto agli altri non consentono di riferire al patrimonio del socio pubblico il danno che l’illegittimo comportamento degli organi sociali abbia eventualmente arrecato al patrimonio della società che è e che resta privato. Il sistema del diritto societario impone di tener distinti i danni direttamente inferti al patrimonio del socio (o del terzo) da quelli che siano il riflesso dei danni sofferti dalla società anche se bisogna evidenziare che il danno che ricade sul patrimonio sociale è per lo più destinato a riflettersi anche sui soci, incidendo negativamente sulla loro quota di partecipazione. Tale danno non implica un danno erariale ma solamente un danno sofferto da un soggetto privato. Bisogna, inoltre, ricordare che l’esercizio dell’azione di responsabilità, in caso di mala gestio, può essere esercitato da una minoranza qualificata, così da superare l’eventuale inerzia della maggioranza. 130 Di conseguenza il socio pubblico può tutelare egli stesso i propri interessi sociali esercitando egli stesso i propri diritti di socio e quindi esercitare tali azioni. Nel caso in cui si verifica una perdita di valore della partecipazione dell’ente pubblico a causa della sua omissione si configura la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti non dell’amministratore della società partecipata per il danno arrecato al patrimonio sociale, bensì nei confronti del rappresentante dell’ente partecipante. Un’occasione per la “regolazione dei confini” tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione speciale è stata offerta dall’impugnazione di una sentenza del giudice contabile d’appello che confermava la propria giurisdizione sugli amministratori infedeli di una società partecipata indirettamente da un ente pubblico, corrotti da alcuni fornitori210. Parte della dottrina a conclusione di questa vicenda ha definito le coordinate dell’azione del giudice speciale. Dalle note appena tracciate, inoltre, emerge una naturale area di competenza giurisdizionale diversa da quella ordinaria per cui mentre al giudice ordinario spetta la giurisdizione sulle controversie tra amministratori di società di diritto comune a partecipazione pubblica, 210 Per la ricostruzione della vicenda processuale, v. SINISI, “Responsabilità amministrativa di amministratori e dipendenti di s.p.a. a partecipazione pubblica e riparto di giurisdizione: l’intervento risolutivo delle Sezioni Unite della Corte di cassazione” in Foro amm. Cons. Stato, 2010. 131 al giudice contabile compete la giurisdizione sulle questioni che interessano: ogni responsabilità dei gestori di società “quotate” partecipate dall’ente pubblico in misura superiore al 50% del capitale sociale211; la responsabilità dei gestori per i danni inferti direttamente al patrimonio dell’ente pubblico socio, di cui, a titolo esemplificativo, viene indicato quello all’immagine; la responsabilità dei rappresentanti dell’ente socio per il caso di omissione dell’esercizio dei rimedi societari nella misura in cui l’inerzia gravemente colpevole abbia causato una perdita di valore della partecipazione212 ; ogni responsabilità di società a partecipazione pubblica, il cui statuto sia soggetto a regole singolari che, come nel caso della R.A.I. in cui si evidenzia “la natura sostanziale di ente assimilabile a una amministrazione pubblica nonostante l’abito formale che riveste di società per azioni”213. 211 Art. 16-bis, legge 3 agosto 2009, n.102 TENORE, “La giurisdizione della Corte dei conti sulle s.p.a. a partecipazione pubblica” in Foro amm. Cons. Stato, 2010 213 Così Cass., Sez. Un., 22 dicembre 2009, n.27092, Foro it., 2010, I, 1472, in part. 1475, in cui si evidenzia la soggezione alla responsabilità amministrativa degli amministratori della R.A.I. s.p.a. La Suprema Corte conferma, secondo costante giurisprudenza, “che la giurisdizione della Corte dei conti non impedisce l’esercizio dell’ordinaria azione civilistica nei confronti dei componenti del consiglio d’amministrazione della Rai e che la coesistenza delle due azioni non comporta rischi di duplicazione del risarcimento, essendo principio consolidato che giurisdizione civile e giurisdizione contabile sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali per cui il rapporto tra le due azioni si pone in termini di alternatività anziché di esclusività e l’eventuale interferenza che può determinarsi tra l’una e l’altra dà luogo a questioni non di giurisdizione ma di proponibilità della domanda”. 212 132 In questo caso la giurisdizione contabile si esplica nel modo più pieno in quanto si tratta di organizzazioni di diritto singolare il cui statuto evidenzi la loro “sostanza” pubblica. Delineato in via generale il quadro relativo al riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice contabile e ai rapporti tra le due categorie di responsabilità bisogna sottolineare che quanto disposto dall’art. 16 bis, D.L 31 dicembre 2007, n.248 conv. in L.28 febbraio 2008, n.31, che in tema di responsabilità degli amministratori di società quotate partecipate da amministrazioni pubbliche, dispone: “ per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiori al 50%, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori è dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario”214. 214 Per un maggiore approfondimento v. SANTOSUOSSO, Società a partecipazione pubblica e responsabilità degli amministratori, in Riv.dir. soc., 2009, 47 ss., il quale distingue le ipotesi di società quotate con partecipazione dello Stato superiore al 50% e dei gruppi (esclusiva giurisdizione ordinaria); quella delle società aperte non quotate con partecipazione del soggetto pubblico inferiore al 50% (esclusiva giurisdizione ordinaria); quella delle società aperte con partecipazione del soggetto pubblico superiore al 50% (concorso di giurisdizioni); quella delle società chiuse con partecipazione superiore al 50% e sotto “controllo analogo” dello Stato o enti pubblici /esclusiva giurisdizione contabile); quella delle società chiuse con partecipazione pubblica inferiore al 50% (concorso di giurisdizioni). 133 Tale norma se interpretata rigorosamente comporta una notevole estensione della Corte dei conti, riguardante non solo le controversie relative a società quotate con partecipazione pubblica pari o superiore al 50% , ma anche quelle che interessano le società controllate dalle prime, nonché le altre in cui è parte una società con partecipazione pubblica anche non quotata215. Tale interpretazione ha suscitato diverse critiche da parte della dottrina per la possibile compromissione del diritto di difesa e della parità di trattamento dei soci privati. 215 In senso critico ROMAGNOLI, “Gestione e controllo” di Enti. Profili di responsabilità erariale per l’impiego di risorse pubbliche in società, in Danno e resp., 2009, 572 ss. 134 CONCLUSIONI Il quadro che si è cercato di delineare testimonia una forte contaminazione esercitata dal diritto pubblico sulla governance della società in mano pubblica. Bisogna a tal proposito verificare se risulta, in qualche modo, contaminata la causa sociale e se l’interesse del socio pubblico e la sua proiezione finalistica possano influire sul regime giuridico tipico della società tali da determinarne un nuovo tipo216. L’evoluzione continua della disciplina delle società con partecipazione pubblica è scaturita non solo dalla necessità di adeguamento dettata dalle censure comunitarie, ma anche da esigenze di riduzione e razionalizzazione della spesa pubblica. In questa direzione negli ultimi anni si sono registrati interventi del legislatore ed orientamenti giurisprudenziali caratterizzati dalla previsione di diverse limitazioni all’autonomia statutaria e all’attività sociale relativamente ai componenti dell’organo di gestione. Si tratta di disposizioni volte a limitare il numero massimo di componenti del consiglio di amministrazione nelle società totalmente partecipate, nonché il numero massimo di amministratori nominabili dal socio 216 F. CINTIOLI, (nt.9), 22. 135 pubblico locale nelle società miste; a determinare un tetto massimo del compenso lordo annuale, onnicomprensivo, da attribuire al presidente e ai componenti del consiglio di amministrazione rapportato ad una percentuale dell’indennità spettante al sindaco o al presidente della provincia. A questi requisiti quantitativi si devono aggiungere quelli di carattere soggettivo, introdotti dal comma 734 della L.27/12/2006, n.296, che prevedono l’incompatibilità con la carica di amministratore di società con partecipazione pubblica di coloro che “avendo ricoperto nei cinque anni precedenti incarichi analoghi” abbiano “chiuso in perdita tre esercizi consecutivi”. Tali perdite devono interpretarsi217 nel senso di non aver registrato “per tre esercizi consecutivi, un progressivo peggioramento dei conti per ragioni riferibili a non necessitate scelte gestorie”. Per cui, può assumere la carica di amministratore colui che, pur gestendo una società in costante perdita da anni e con un progressivo peggioramento dei conti fisiologico dimostri la propria capacità di gestione. Tali disposizioni rappresentano una presa d’atto di un “sistema” diventato ingestibile al quale si vorrebbe rimediare attraverso una sorta di “moralizzazione normativa”218. 217 218 Ci si riferisce all’art.71, comma1, lett. f), legge 18 giugno 2009, n.69. I. DEMURO, (nt.48), 200. 136 Siamo di fronte ad una frammentazione del regime giuridico delle società pubbliche poiché la disciplina di tali società è composta da norme a volte riferite ad un’unica società come le società di diritto singolare, a volte riferite a gruppi di società quali le società partecipate da regioni ed enti locali, oppure le società di gestione di servizi pubblici locali, e a volte a singole categorie, come ad esempio le società in partecipazione totalitaria o le società in partecipazione mista, maggioritaria o minoritaria. La disciplina speciale relativa alle società a partecipazione pubblica non ha assunto i caratteri di un sistema definito ed autosufficiente, ma continua ad apparire come un insieme di deroghe alla disciplina generale219. Per cui il susseguirsi di interventi legislativi non coordinati e con un grado di approssimazione inevitabile, comporta una notevole incertezza che contribuisce a tenere fuori dal mercato le società in mano pubblica. È ovvio che, al fine di tutelare il mercato, gran parte degli interventi legislativi previsti, vengono applicati alle società “chiuse” e non a quelle aperte. 219 V. L.TORCHIA, La responsabilità amministrativa.. (nt.182), la quale prevede come la natura derogatoria delle norme speciali comporta l’applicazione del rapporto regola/eccezione, in base al quale la portata dell’eccezione è sempre limitata e di stretta interpretazione e la ratio della norma può comportare una differenza, ma non un contrasto con la norma di genere. 137 Alla luce di ciò però non bisogna trascurare il mercato delle società “chiuse” cioè il mercato locale in cui le società strumentali, le società in house e tutte quelle costituite per perseguire un eventuale interesse pubblico rappresentano un ostacolo ad iniziative imprenditoriali private in quanto la situazione attuale comporta una disparità di trattamento tra le due tipologie di società, a favore delle società pubbliche. Bisogna, quindi, trovare un punto di equilibrio tra l’abolizione dei privilegi pubblici che rappresentano ancora una distorsione per lo sviluppo del mercato e l’affidamento all’intervento del soggetto pubblico in alcuni settori dell’economia considerati strategici per la comunità. I rischi verso un coinvolgimento dei privati nella gestione di alcuni settori potrebbero essere attenuati attraverso il riconoscimento di un nuovo ruolo al socio “pubblico” che da gestore si potrebbe trasformare in “controllore” riservandogli , eventualmente, ancora poteri di nomina delle cariche sociali ma circoscrivendoli ad incarichi di controllo come ad esempio il caso dell’amministratore “senza diritto di voto”. I criteri, poi, di cui si è servita la giurisprudenza per determinare l’applicabilità della disciplina generale o della regola speciale hanno spesso seguito strade diverse, anche con riferimento al regime della responsabilità degli amministratori. 138 A tal proposito sono diverse le questioni che restano ancora aperte. In primo luogo, come già detto, appare difficile costruire il rapporto tra la responsabilità amministrativo-contabile e quella civilistica, nonché quello tra l’interesse sociale e quello del socio pubblico. In particolare, relativamente al rapporto tra l’ente pubblico socio e la società, è possibile rilevare come l’esercizio da parte della pubblica amministrazione di forti poteri nei confronti di tali società e il conseguente ridimensionamento dell’autonomia decisionale degli amministratori, determini diverse conseguenze in merito al regime di responsabilità. In connessione con quanto rilevato molti autori si sono posti il quesito fino a che punto possa essere fatta valere la responsabilità degli amministratori per “ mala gestio”, qualora questa sia conseguenza della pedissequa osservanza delle direttive impartite dell’ente pubblico socio in quanto gli amministratori potrebbero trovarsi nella difficoltà di scegliere se assolvere correttamente alla loro funzione, oppure seguire la volontà dell’ente pubblico. Inoltre la stringente disciplina della responsabilità degli amministratori di società “pubbliche” contribuisce a disincentivare l’assunzione di tali incarichi, in un contesto già caratterizzato, per esigenze di contenimento della spesa pubblica, dalla limitazione ex 139 lege dei compensi attribuiti agli amministratori di società a partecipazione pubblica. Alla luce di ciò infatti un bravo gestore, a parità di compenso offerto, preferirà operare con il settore privato, quanto meno per i minori rischi derivanti da una disciplina della responsabilità che non l’espone ad un doppio fronte di azioni e di giurisdizioni. Dall’attuale quadro giuridico delle società pubbliche appena delineato risulta elevato il rischio di incoerenze ed emerge la necessità di un riordino, di un chiarimento sul piano normativo al fine di fondare il sistema su principi chiari e stabili nel tempo. 140 BIBLIOGRAFIA ABBADESSA P., La nomina diretta di amministratori di società da parte dello Stato o di enti pubblici, in impresa, ambiente e P.A.,I, 1975; ANCI, Prime note sui commi delle finanziaria 2007 in materia di compensi e numero degli amministratori delle società partecipate, totalmente o parzialmente, da enti locali, in www.anci.it; ANTONIONI M., Società a partecipazione pubblica e giurisdizione contabile, Milano, Giuffrè, 2008; ASCARELLI T., Teoria della concorrenza e interesse del consumatore, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954; ASSOCIAZIONE PREITE, Il diritto della società, a cura di G. Oliveri, G. 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Civ., I, e in Giur.it., 1960 Sentenza 17 novembre 1971, n.3297, in Foro.it 1972, I Sentenza 26 gennaio 1976, n.243, in Foro.it., 1976 Sentenza 3 aprile 1990, n. 2679, in Riv. giur. lav.,1990, II Sentenza sez. un., 14 dicembre 1994, n.10680, in Società, 1995 Sentenza 24 febbraio 1997, n. 1647, in Giust. Civ. Mass, 1997 Sentenza sez. un. 6 maggio 1995, n.4991 Sentenza 26 febbraio 2002, n.2769 Ord. sez. un. 22 dicembre 2003, n.19667, in Foro.it, 2005 Sentenza sez. un. 26 febbraio 2004, n.3899 Sentenza sez. un. 15 aprile 2005, n.7799, in Federalismi.it, n.37, 2008 Sentenza sez. un. 19 dicembre 2009, n. 26806, in Foro.it, 2010 Sentenza sez. un. 22 dicembre 2009, n. 27092, in Foro.it., 2010 152 Sentenza sez. un. 15 gennaio 2010, n.519, in Società, 2010 Sentenza sez. un. 23 febbraio 2010, n.4309, in Società, 11,2010 Sentenza 22 marzo 2010, n.6870 in www.giustizia.it Sentenza 23 giugno 2010, n.15220 in www.giustizia.it Consiglio di Stato Sentenza 16 maggio 1996, n. 90 Sentenza 28 ottobre 1998, n.1478, (Sez.IV), in Foro.it., 1999, III Sentenza 1 aprile 2000, n.1885, in Foro.it., 2001, III Sentenza 3 settembre 2001, n.4586 Sentenza 11 febbraio 2003, n.707 (sez.V), in www.diritto.it Sentenza 29 settembre 2005, n.5204, (sez.IV) Corte dei conti Sez. I giur. per il Lazio, 1 marzo 2001, n. 41/A Sez. 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