Carla o dell’attenzione (L’aula ricevimento parenti è esattamente come ce la aspetteremmo: vuota, con un banco scolastico e due sedie, una di fronte all’altra. Sulle pareti nulla. Al soffitto una lampada al neon. Per terra linoleum. Qualche mobile? Uno scaffale con dei libri? Un poster? Un armadietto? No, assolutamente nulla. La finestra è in profilati di alluminio. Niente tende, solo veneziane che pendono sbilenche con i tiranti incattiviti. Non ci sono sbarre, quindi questa è una scuola. Ci sono un’insegnante e una mamma.) - Signora, Sua figlia non ha particolari problemi, nel senso che potrebbe farcela benissimo, ma ha un atteggiamento, continuo, che credo sia all’origine di tutte le sue difficoltà: non sta mai attenta… - Ecco… - Mai! O apre il diario e si mette a fare i disegnini, o parla con la compagna di banco, o la vedo con la testa da un’altra parte… Signora, tutte le volte che giro lo sguardo verso di lei… niente… non è mai presente. E non è un’impressione mia, eh, perché poi io queste cose le verifico: la interrogo, le chiedo di parlarmi dell’argomento che stavo trattando, niente, il vuoto assoluto… O pensa ai ragazzi, il che, per carità, è normale a questa età, o pensa alle amiche, o sa il Signore a cosa pensa. Certo non pensa a stare attenta… - Oddio, ma Lei glielo dica professoressa, magari la sgridi! - Signora, non è che io posso fare la balia e dirle ogni volta di stare attenta, o andare lì e darle un pizzicotto. Bisogna che la ragazza lo capisca, anche voi a casa fate in modo di farglielo capire, perché così non può andare avanti… Io adesso la prenderò in disparte, le farò un discorso sull’importanza di stare attenti, di concentrarsi. Insomma, la scuola già è decaduta e per questi ragazzi non è più una cosa importante come lo era per noi, e come secondo me dovrebbe essere. Se poi si rinuncia a pretendere anche quel minimo… - Ha ragione professoressa… Guardi, la sgridi! (A casa, Carla e la mamma) - Carla! - Sì? - Ho parlato con l’insegnante di lettere. Dice che non stai attenta, è vero? - Beh, sì… cioè sì, è vero che lo dice, perché lo dice anche a me. Ed è vero che spesso mi distraggo, ma mica lo faccio apposta, anzi a volte mi dico: “Devi stare attenta, devi stare attenta, devi stare attenta”, e proprio mentre dico queste cose comincio a pensare ad altro, mi dimentico e non sto più attenta. Cioè, non lo faccio apposta, è vero che perdo un sacco di spiegazioni, lo so, ma non posso farci niente, non riesco a stare attenta. Se uno non riesce, cosa deve fare? - Mah, Dio mio, uno sforzo di volontà! Cosa vuol dire che non riesci a stare attenta? - Eh, uno sforzo, vorrei vedere te… La testa se ne va, non c’è niente da fare… - Andiamo dal medico! - Io medicine non ne prendo! - Ma allora come si deve fare? - Non lo so, ma ho già abbastanza problemi, non ti ci mettere anche tu, mi passerà… (Carla si chiude in camera sua, le vengono in mente le amiche, pensa che solo loro potrebbero capirla, solo loro l’accettano così com’è. La scuola: luogo di ingiustizie, di sofferenza, con un sacco di imbecilli che ti dicono che basta un po’ di volontà e di attenzione… Stronzi, se una non ha la volontà e l’attenzione, dove le va a prendere? Piange. Nel togliere dallo zainetto i fazzoletti di carta esce un volantino ripiegato di cui si era completamente dimenticata. Lo guarda distratta: “Studiare bene senza averne voglia”, recita il volantino. L’attenzione di Carla è catturata, ora lo rilegge e il suo viso mostra un’espressione intensa e seria.) Fabio o della volontà (Fabio torna a casa dopo una brutta giornata a scuola. Piove, e gli aghi di pino formano sull’asfalto cordoni e barriere che ricordano dighe di castoro. Lungo il tragitto, dà libero sfogo ai suoi pensieri.) Maledetta, maledetta, maledetta scuola di merda! E’ il mio problema, mi rovina la vita, non mi lascia pensare ad altro. I compagni, specialmente i più stronzi, ti guardano e senti che a loro fai pena; la prof ti guarda e senti che le fai schifo. E un altro tre è arrivato. E per quanti sforzi faccia per vedere altro, mi torna sempre davanti agli occhi la pagella del primo quadrimestre… tre sufficienze: religione, educazione fisica e condotta; anzi, in condotta ho sette, che sarebbe anche un bel voto, ma invece è un’altra insufficienza! Merda! Che malattia ho? Sono stupido? Non credo, i miei amici non mi trovano stupido, per niente. Non riesco, non riesco a studiare. Forse è solo una scusa, forse sono solo stupido e mi trovo l’alibi dicendo che non ho voglia di studiare. E di roba da studiare ce n’è una cifra, ce n’è sempre di più, ogni giorno che passa, ogni giorno che le materie vanno avanti, e invece della voglia aumenta solo l’angoscia, merda… Ma come devo fare? Io non ce la faccio… Cristo, non ne posso più! Come fanno? Come fa il Marietti? Oh! In qualunque momento lo interroghino sa sempre tutto! C’è una verifica di matematica e prende sette; c’è un compito di italiano e prende sette. Ma chi è? E ha anche la tipa! Fosse un poveraccio, vabbè, pazienza, ma ha tutto! Come fa! L’ho visto studiare, non si fa problemi. Anzi, non si fa nemmeno molte domande. Io non so mai perché una certa cosa deve essere così, lui dice che è così, punto e basta, si fida del libro. Non è che io non mi fidi del libro, ma non c’è niente che mi sembri proprio ovvio come a lui. Forse dovrei fare così. Forse sono un coglione, perché perdo tempo invece di andare al sodo. E’ che non ho voglia, è la voglia che manca, non c’è niente da fare. Mi hanno dato anche quel volantino oggi a scuola, quello che diceva che si può studiare senza averne voglia… cazzate! Sì, ma oggi studio! La voglia ce l’ho, adesso. Oggi faccio quei tre capitoli di chimica che non ho mai fatto… beh, anche gli altri non è che li so bene, però di quei tre proprio non so niente. Oggi li faccio fuori. Sì, oggi studio. Tanto piove, non c’è neanche da uscire, oggi non va fuori nessuno… Oggi studio. Mangio e poi alle due comincio. Mi faccio un piano di lavoro, un programma, studio dalle due alle otto… Domani li stendo, quei pirla. Domani magari no, ma in tre giorni, se studio così, mi metto abbastanza in pari in chimica e mi faccio interrogare… Allora, cominciamo col dire che io non sono scemo, cara prof, ci resterai male, farai la stronza, ma se studio non puoi darmi un’altra insufficienza! E poi mettiamo il dubbio a tutti gli altri, che pensano che sono pirla. Oggi studio. Va già meglio. Vai Fabio, vai! Oggi sono contento di studiare. (Gli occhi di Fabio si alzano dalla strada, uno squarcio di azzurro compare sopra ai tetti delle case, ha smesso di piovere e si sono riaccesi i colori. Fabio cammina a testa alta, ora, e guarda le chiome degli alberi, poi le immagini di casa: l’ingresso, le scale, l’ascensore, la porta di casa, lo zerbino col disegno di foglie intrecciate. Suona il campanello; gli apre la mamma.) - Ciao. - Ciao, com’è andata? - Niente. - Sempre niente, niente, niente, poi i niente diventano i voti della pagella… C’è una cotoletta e le patate, le ho scaldate nel forno… Oggi ti metti a studiare o hai intenzione di uscire anche oggi? Eh? (Ora Fabio può solo pensare: “Perché l’hai detto? Eh? Perché non taci? Anche oggi se mi metto a studiare mi sento male. Perché hai aperto bocca? Mamma, perché non mi lasci studiare? Perché non vuoi che io studi? Perché non capisci che devi stare zitta! Non devi dirmelo!”. Fabio ha un nodo allo stomaco. Più tardi, a pomeriggio inoltrato, ripensa al volantino che gli hanno dato a scuola.)