ONDE URAGANI E TSUNAMI ONDE Tutti sanno che i forti venti producono burrasche, ma non è facile comprendere come questo avvenga. Il problema è di semplice esplicazione: quando il vento soffia sulla superficie dell’oceano, l’attrito pone l’acqua nella stessa direzione del vento; e per mezzo della viscosità, o attrito interno il moto viene trasmesso con forza decrescente dalla superficie agli stati successivamente più profondi. Ci si aspetterebbe che un vento costante generasse o accelerasse correnti superficiali anziché onde, invece non è così: la spiegazione è che il vento non è costante, ma “pulsa”; inoltre non scorre liscio sulla superficie dell’acqua ma rimbalza su e giù. Questi movimenti verso l’alto e verso il basso producono una turbolenza di superficie; non appena si creano queste irregolarità superficiali, i venti orizzontali, generalmente predominanti, hanno una migliore presa sull’acqua e trasformano le piccole onde in onde più grandi; e se il vento soffia abbastanza a lungo e impetuoso può generare cavalloni di tremenda furia; per vedere come avviene questo fenomeno basta osservare la superficie del mare o perfino quella di un lago o di uno stagno . Appena si alza una leggera brezza, si osservano sulla superficie dell’acqua minute increspature, generalmente a chiazze distanti tra loro, le quali a prima vista sembrano delle ombre in movimento; se il vento continua, queste chiazze aumentano di estensione e si uniscono, e le increspature si trasformano in onde. Se il vento diventa più forte le onde cominciano a rompersi , e si formano creste spumeggianti. Il passaggio a acque notevolmente agitate può avvenire in dieci o quindici minuti. La forza dell’acqua in movimento è veramente straordinaria; i marosi, a volte riescono persino a piegare le scalette di ferro dei fari; talvolta i cavalloni possono danneggiare fari fino a trenta – sessanta metri sopra il livello del mare. Dalle osservazioni eseguite sia a bordo di navi sia di aerei, è possibile affermare che le altezze delle onde non superano di norma i 7-9 metri (onde di tempesta), raggiungendo valori massimi di 15-18 metri in casi del tutto eccezionali (tsunami); nei mari mediterranei esse sono sempre meno alte che negli oceani . Generalmente la lunghezza dell’onda è di circa di 30 volte l’altezza; le lunghezze massime si aggirano sui 180 – 200 metri, ma sembra che ne siano state osservate anche alcune di circa 600 metri. La velocità di propagazione è strettamente legata a quella del vento, cui tende ad avvicinarsi, senza per altro raggiungerla mai; in media si aggira sui 30-40 km/h, ma può spingersi fino a circa 70 km/h nelle zone oceaniche soggette all’azione degli alisei. Quando una tempesta finisce e il vento “cade”, le onde si appiattiscono in lunghe ondulazioni note collettivamente come mare lungo o mare morto, e singolarmente come onda lunga . Un’onda lunga può viaggiare per molte centinaia di chilometri; a volte stupisce il vedere sopraggiungere, in condizioni di calma perfetta, violenti frangenti sulla spiaggia: è la conseguenza di una tempesta che può essersi scatenata a una distanza di un migliaio di chilometri. Nel grande oceano meridionale tra l’Australia, l’Africa, il Sud–America a nord e L’Antartide a sud, dove i venti spirano di continuo attorno alla terra, l’onda lunga di tipo oceanico si innalza fino ad altezze di 9-12 metri. Queste non sono ordinariamente onde di tempesta, ma semplicemente lunghe ondulazioni, cioè la condizione normale delle superficie del mare a quelle latitudini. Le onde in genere, non hanno una componente di forza diretta in avanti; cioè non trasportano oggetti nella direzione nella quale si muovono; è vero che con forte vento la superficie dell’acqua verrà trascinata in avanti, ma una volta cessato il vento, oggetti sulla superficie, come ad esempio un sughero, un galleggiante di una rete da pesca, o una piccola barca, andranno semplicemente su e giù al passaggio dell’onda. Dovremmo quindi considerare le onde delle semplici ondulazioni e non come agenti capaci di spostare una considerevole massa d’acqua in una qualsiasi direzione. SCALA DI BEAUFORT ED URAGANI Ai tempi della navigazione a vela, il vento era una “manna” per i navigatori perché li trasportava per miglia e miglia sulle superficie oceaniche. Trasportò l’uomo verso terre che altrimenti non avrebbero mai raggiunto, e permise a due navigatori coraggiosi , Ferdinando Magellano e Sir Francio Drake, di effettuare le prime due circumnavigazioni del globo. Ma i venti erano anche un rischio . Venti moderati accorciarono i viaggi oceanici, ma venti contrari li allungarono, e venti forti, mandarono molte navi con i loro equipaggi incontro a morte sicura; è lunghissimo l’elenco delle navi che scomparvero senza lasciare traccia. Nel 1805, un ufficiale della marina britannica , Sir Francis Beaufort , escogitò un sistema per stimare e registrare la velocità dei venti. Il suo sistema noto come la scala di Beaufort, è stato quasi universalmente adottato e, con qualche modifica , è ancora usato per la registrazione del vento, sia in mare che in terra. In origine, la velocità del vento era indicata con un numero compreso tra zero e dodici. Gradi Scala di Beaufort Vento Probabilità di Velocità del vento altezza delle onde in metri 0 Calma minore di 1 1 Bava di vento 1-5 0,1 (0,1) 2 Brezza leggera 6-11 0,2 (0,3) 3 Brezza tesa 12-19 0,6 (1) 4 Vento moderato 20-28 1 (1,5) 5 Vento teso 29-38 2 (2,5) 6 Vento fresco 39-49 3 (4) 7 Vento forte 50-61 4 (5,5) 8 Burrasca 62-74 5,5 (7,5) 9 Burrasca forte 75-88 7 (10) 10 Tempesta 89-102 9 (12,5) 11 Tempesta violenta 103-117 11,5 (15) 12 Uragano oltre 118 14 (17,5) La scala di Beaufort è stata estesa con l’aggiunta dei numeri da 13 a 17, e quest’ultimo valore indica venti da 233 a 251 chilometri all’ora . Questa estensione della scala tuttavia, non prende in considerazione i venti che raggiungono le più alte velocità; infatti, per un marinaio, misurare qualsiasi evento superiore all’uragano è puramente accademico . La più alta velocità del vento attualmente registrata dagli strumenti è di 346 chilometri all’ora. Al di sopra di questa velocità gli strumenti diventano inservibili o vengono divelti, ma i meteorologi ritengono che possono svilupparsi venti sino ad una velocità di 370 chilometri all’ora. Come possiamo notare all’ultimo posto della scala di Beaufort, cioè con la potenza distruttiva maggiore, vengono posti gli uragani. Un uragano è una tempesta violenta che si forma sopra un oceano tropicale con venti che soffiano intorno a un'area centrale di calma chiamata occhio; nell'emisfero Boreale l'aria si muove in cerchio in senso antiorario; nell'emisfero Australe avviene il contrario. Convenzionalmente si definisce uragano: una tempesta in cui la velocità del vento raggiunge almeno i 64 nodi (120 Km/h essendo 1 nodo = 1,852 Km/h). Nel caso di velocità del vento inferiori ai 33 nodi si parla soltanto di depressioni tropicali, mentre se la velocità è superiore a 33 ed inferiore a 64 nodi si hanno le tempeste tropicali. Tali situazioni rappresentano spesso lo stadio iniziale, o finale, di un uragano. I venti più forti prodotti dalla natura si trovano nei tornado, ma sono limitati ad aree piuttosto piccole, aventi un diametro di solito inferiore a un chilometro e mezzo e durate che si misurano in minuti. Negli uragani i venti più forti non superano normalmente i 250 Km/h, ma possono coprire aree con diametri di molte decine di Km e durare diversi giorni. I danni provocati da un solo uragano possono pertanto essere tragicamente elevati perfino in confronto agli effetti di un tornado. Gli uragani hanno luogo in varie parti del mondo e sono chiamati con nomi diversi: le tempeste che si formano nelle regioni occidentali dell'Oceano Pacifico settentrionale e che si abbattono con regolarità sul Giappone sono chiamate tifoni; nella parte settentrionale dell'Oceano Indiano sono conosciute come cicloni; in Australia talvolta si dà loro il nome di willy-willy; in quasi tutte le altre regioni del mondo si usa comunemente la parola " uragano ". A partire dal livello di tempesta tropicale vi è l'abitudine di assegnare un nome sia alle tempeste che agli uragani per identificarli più facilmente in particolare quando nella stesse regioni insistono più fenomeni dello stesso tipo. In tal modo risultano notevolmente facilitate le comunicazioni e gli avvisi al pubblico da parte dei servizi addetti alla previsione, alla sorveglianza e all'emergenza. Inizialmente i nomi erano esclusivamente femminili, a partire dal 1979 la OMM (Organizzazione Meteorologica Mondiale) e la NWS (US National Weather Service) stabilirono di alternare nomi di donna e di uomo. Soltanto nelle regioni settentrionali dell'Oceano Pacifico non si danno nomi ai cicloni tropicali. Formazione e dissolvimento Il luogo di nascita delle tempeste tropicali si trova sopra gli oceani; come in molti vortici atmosferici, la principale fonte di energia che avvia e mantiene il vortice è il calore latente liberato dalla condensazione del vapore acqueo. La maggioranza degli uragani si forma in certe regioni oceaniche e in certe stagioni dell'anno: in condizioni cioè in cui è massima la temperatura della superficie del mare (almeno 26 C). Le suddette regioni coincidono con la zona delle calme equatoriali o di convergenza intertropicale, dove convergono gli alisei dai due diversi emisferi: sono zone caratterizzate da assenza di venti e da forti riscaldamenti della superficie marina a causa della costante azione della radiazione solare. Il forte riscaldamento degli strati inferiori dell'atmosfera tende a renderli instabili e quindi a favorire la convezione, ossia il movimento verticale verso l'alto dell'aria caldoumida sovrastante la superficie del mare; il raffreddamento di tali masse d'aria produce la condensazione e quindi la liberazione di grandi quantità di calore latente. I moti convettivi creano una convergenza di aria verso la zona in cui essi si manifestano, tuttavia tale situazione non avrebbe una lunga durata nel tempo se non intervenisse l'azione della forza di Coriolis. Tale forza, causata dalla rotazione terrestre, è nulla all'Equatore, ma, ad una distanza di almeno 500 Km da esso, assume un valore sufficiente a produrre la deviazione dell'aria convergente che inizia a muoversi in cerchio, con velocità sempre più elevate man mano che essa si avvicina al centro del vortice. La deviazione è verso destra nell'emisfero nord, per cui l'aria acquista una rotazione antioraria, al contrario, nell'emisfero sud, la deviazione è a sinistra e la rotazione è oraria Una volta innescata la rotazione le uniche forze che praticamente agiscono sono la forza di gradiente e la forza centrifuga, dirette, rispettivamente, verso il centro e verso l'esterno. In meteorologia si dice che tale equilibrio è ciclostrofico. L'azione convergente e rotatoria dell'aria produce un aumento di intensità del moto ascensionale ed una diminuzione sempre più accentuata della pressione nel centro della colonna, con conseguente aumento della forza di gradiente. Le condizioni descritte non sono tuttavia sufficienti perché si formi un uragano, generalmente ciò avviene quando, oltre alla convergenza al suolo, si ha un sistema divergente ad alte quote che determina un'azione aspirante di aria dalle quote più basse e che si va a sovrapporre al moto convettivo di natura termica. Soltanto in tal caso la circolazione dell'aria sarà adatta allo sviluppo di un violento vortice. La fase di sviluppo di un uragano può durare dalle 12 ore fino a diversi giorni, durante tale fase la pressione nel centro della tempesta diminuisce gradualmente ed i venti di solito non raggiungono la forza del vento di uragano e si mantengono intorno ai 60 Km/h. Quando la tempesta si avvicina alla massima intensità i cambiamenti avvengono molto più in fretta: la pressione cade rapidamente, i venti aumentano fino a più di 150 Km/h in una stretta fascia circolare compresa fra i 15 e i 25 Km di distanza dal centro dell'uragano, nubi e pioggia si organizzano in fasce che si avvolgono a spirale intorno al centro di perturbazione. Quando l'uragano raggiunge la maturità, le diminuzioni di pressione al centro sono relativamente piccole, ma l'area coperta da forti venti e piogge violente aumenta. La regione interessata dai venti d'uragano può estendersi fino a raggiungere un diametro che supera i 300 Km. Gli uragani cominciano a indebolirsi e muoiono quando la fonte di energia, rappresentata dal calore latente di evaporazione, si esaurisce. Tale situazione si verifica quando diminuisce il rifornimento di aria calda e umida con il passaggio della tempesta sulla terraferma oppure con lo spostamento verso latitudini più alte, sopra acque oceaniche più fredde. In molti casi l'uragano si indebolisce fino a diventare una semplice tempesta tropicale, oppure, se ha la possibilità di arrivare a latitudini più elevate, può trasformarsi in un normale ciclone extratropicale. L’occhio L'occhio non è altro che il fulcro attorno al quale ruota tutta la spirale dell'uragano; esso ha in media un diametro di circa 25 Km, ma può raggiungere anche i 65 Km. Esso rappresenta una specie di muro cilindrico, i cui bordi sono formati da uno strato spessissimo di nubi che si estende da vicino al suolo fino a grandi altezze (anche oltre i 15 Km). I principali fenomeni osservati sono: I venti , che di solito sono molto deboli o sono completamente assenti. Le precipitazioni , che sono deboli o assenti La nebulosità , che è molto variabile, spesso il cielo risulta coperto, talvolta ci sono pochissime nubi con rari filamenti di cirri in alto attraverso cui si può vedere il cielo. La temperatura, che al suolo mostra valori uguali o di poco superiori a quelli riscontrati nella regione circostante, mentre alle quote più alte si possono avere differenze di anche 10÷12 C in più. I fenomeni osservati fanno ritenere che dentro l'occhio ci sia un moto di aria verso il basso che impedisce la formazione di nubi e di piogge. Tale moto produce una compressione dell'aria sottostante e quindi è responsabile delle maggiori temperature osservate. Dalle foto dei satelliti l'occhio è spesso uno degli elementi caratteristici di un uragano assieme all'aspetto spiraliforme delle nubi più alte che si irradiano dal centro con un moto contrario a quello che si ha al suolo, nell'emisfero nord la rotazione in quota è oraria. Movimento di un uragano Tutte le tempeste tropicali hanno una caratteristica comune: dopo essersi formate si muovono seguendo percorsi che le portano in direzione del polo.Si può vedere che ogni tanto gli uragani possono deviare dai percorsi gradualmente incurvati, e talvolta subiscono rapidi cambiamenti di direzione, arrivando perfino a descrivere un occhiello intorno a una particolare area: quando ciò accade la durata della tempesta sopra quest'area può essere considerevolmente più lunga di quanto normalmente previsto. Gli uragani giovani nei tropici si muovono abbastanza lentamente raggiungendo una media di 20-25 Km/h. Quando le tempeste si rafforzano e la loro traiettoria comincia a curvarsi, le velocità aumentano. Talvolta gli uragani dell'Atlantico possono raggiungere velocità tra gli 80 e i 100 Km/h quando colpiscono la costa nord-orientale degli Stati Uniti. Molto spesso un vortice si dissolve prima che se ne sviluppi un secondo e di quando in quando se ne forma un secondo quando esiste ancora il primo. La presenza di tre vortici ben sviluppati nello stesso tempo è del tutto eccezionale. Quando gli uragani si spostano sopra grandi aree di terraferma, o sopra masse d'acqua più fredde, si indeboliscono rapidamente. I meteorologi chiamano questo processo riempimento dell'area di bassa pressione. Quando avviene il riempimento le velocità dei venti diminuiscono e la tempesta diventa il cosiddetto ciclone extratropicale, cioè un ciclone con caratteristiche comuni ai cicloni che si verificano fuori delle zone tropicali. Moto ondoso prodotto da un uragano I venti fortissimi presenti in un uragano generano enormi onde che si propagano verso l'esterno in tutte le direzioni; tali onde possono arrivare anche a grandi distanze dal vortice sotto forma di onde lunghe. Nell'emisfero nord, il quadrante più pericoloso è quello destro dove i venti dovuti al moto rotatorio antiorario si sovrappongono al moto dell'uragano. Analogamente, le onde create nel quadrante posteriore destro sono le più violente create da un uragano e possono avere una velocità di propagazione di 1.500 Km al giorno. Quando gli uragani arrivano in vicinanze delle coste, l'azione prolungata dei venti può provocare un rapido aumento del livello del mare, fino ad anche 56 metri sopra la marea normale (Storm Surge); i valori massimi si hanno in corrispondenza del passaggio del minimo depressionario. Le onde, propagandosi sopra il nuovo livello della superficie marina, producono ulteriori innalzamenti del livello delle acque che possono arrivare fino a grandi distanze dalla costa. Danni provocati La più alta percentuale di incidenti mortali e di danni si verifica nelle aree costiere; infatti quando gli uragani passano sopra la costa possono avere la massima intensità. I venti possono soffiare a velocità tanto alte da distruggere le case, strappare le linee dell'alta tensione e trascinare via barche, automobili e qualunque altra cosa non sia pesantissima e solidamente assicurata al suolo. Il pericolo maggiore spesso non è rappresentato dai forti venti, ma dalle inondazioni causate dall'innalzamento del livello del mare a causa del moto ondoso. Un altro pericolo, nelle regioni montuose, è rappresentato dalle piogge torrenziali (anche oltre 500 mm in poche ore) che possono produrre improvvise piene di fiumi con conseguenti inondazioni e straripamenti. Previsioni Prevedere la nascita di un uragano è praticamente impossibile; però, una volta individuata una depressione o una tempesta tropicale, è possibile seguirne il percorso e l'evoluzione, in particolare per verificare se essa può evolvere in un uragano e quali possono essere i suoi successivi spostamenti. La posizione precisa di un uragano non è facile da identificare con le sole misure di pressione atmosferica e di velocità del vento; tali misure sono infatti eseguite in punti situati ad intervalli piuttosto irregolari sulla terraferma e molto distanziati tra loro sull'oceano. Fortunatamente oggi i servizi meteorologici utilizzano anche molti altri strumenti quali i satelliti artificiali, dalle cui foto, applicando particolari metodologie di analisi, è possibile stimare l'intensità degli uragani. Il National Hurricane Center USA possiede anche aeroplani attrezzati per eseguire speciali misure sulle tempeste tropicali. Essi localizzano l'uragano e gli girano intorno e, se le condizioni di volo lo permettono, penetrano nell'occhio e ne determinano la posizione esatta. Avvicinandosi alle coste, l'uragano può essere seguito con dei Radar Doppler anche quando sono distanti 150 Km ed oltre. Allo stato attuale le probabilità che un uragano colpisca di sorpresa sono praticamente nulle, il grosso problema che il meteorologo deve affrontare è la previsione dei suoi futuri spostamenti, affinché le aree minacciate possano ricevere adeguate segnalazioni di pericolo. I meteorologi usano vari schemi per prevedere il futuro percorso di un uragano, tali schemi sono generalmente adattati ai diversi luoghi in cui si possono avere tali fenomeni. Gli uragani seguono frequentemente un percorso regolare, per cui una stima delle possibili posizioni future può essere fatta estrapolando dalle posizioni precedenti. Tal sistema può essere attendibile soltanto per un periodo di qualche ora, diventa inaffidabile sui lunghi periodi di tempo e non dice nulla sui cambiamenti di direzione irregolari. Per eseguire previsioni con due o tre giorni di anticipo è necessario prendere in esame la circolazione dell'aria sopra la maggior parte dell'Emisfero in cui si trova l'uragano. I venti in quota a circa 6.000 m (in corrispondenza delle superficie isobarica di 500 hPa) sono in generale dei buoni indicatori della circolazione generale nella troposfera, questo livello è spesso chiamato livello guida (steering level) in quanto si può considerare che il flusso del vento a questa quota sia quello che "guida" l'uragano. In tutti i paesi che sono regolarmente colpiti da uragani le autorità si preoccupano di creare un'efficiente rete di prevenzione, fornendo utili informazioni e suggerimenti alla popolazione. TSUNAMI Uno tsunami è costituito da una serie di onde oceaniche generate solitamente (ma non solo) da terremoti il cui epicentro si trova sul fondale marino o nelle immediate vicinanze e che, dopo aver percorso anche migliaia di chilometri attraversando interi oceani, si abbattono come giganteschi muri d'acqua sulle coste, distruggendo tutto ciò che incontrano sul loro cammino. Il termine è di origine giapponese - può essere tradotto letteralmente come "onda del porto" - e la ragione di tale nome appare in modo lampante proprio se consideriamo i terribili effetti che questo evento provova sulle regioni costiere sulle quali si abbatte. Nel passato, talvolta, il termine è stato tradotto con "onde di marea", ma tale traduzione è fuorviante. E' certamente vero che la situazione di alta o bassa marea presente nel momento in cui uno tsunami colpisce può influenzare notevolmente la sua azione, ma si tratta di due fenomeni fisici ben distinti e assolutamente non correlati. Il verificarsi delle maree, inoltre, è un evento completamente prevedibile in quanto dipende dall'azione gravitazionale del nostro satellite, mentre uno tsunami non ha tempi prefissati e scadenze ben precise... A differenza di quanto si verifica per le maree, lo sviluppo di uno tsunami è caratterizzato da un tempo di preavviso molto limitato, e questo non fa che aumentare notevolmente la pericolosità della sua azione. Un altro termine (impiegato soprattutto nella comunità scientifica) con il quale ci si riferiva a questo fenomeno era quello di "onda sismica marina", ma anch'esso non è completamente corretto poichè quella sismica è solamente una delle possibili origini di uno tsunami. visione tridimensionale del fenomeno che consente di comprendere il susseguirsi delle drammatiche fasi finali di uno tsunami. Anche la traduzione con il termine italiano di "maremoto" è, per analogo motivo, parzialmente fuorviante, come suggerisce l'etimologia stessa del termine che richiama espressamente ad un fenomeno di natura sismica ; infatti , l’origine di uno tsunami non va, dunque, ricercata solamente in fenomeni sismici: in generale si può affermare che qualunque causa in grado di perturbare verticalmente una colonna d'acqua sufficientemente grande muovendola dalla sua posizione di equilibrio è in grado di originare uno tsunami; dunque possono a pieno titolo diventare causa di tsunami anche eruzioni vulcaniche, esplosioni, frane e movimenti tettonici sottomarini. A queste cause di origine terrestre ne va aggiunta anche una esterna, costituita dal possibile impatto con oggetti cosmici. Proprio per evitare le possibili inesattezze legate ai diversi termini impiegati per indicare il fenomeno è stato deciso, nel corso di una convegno scientifico internazionale tenutosi nel 1963, di introdurre la parola giapponese "tsunami" quale denominazione ufficiale. Uno tsunami è profondamente differente dal comune moto ondoso che ha la sua origine nell'azione dei venti in mare aperto e come epilogo il ritmico, rilassante - e talvolta poetico infrangersi delle onde sulla battigia delle coste. Nel classico moto ondoso le onde sono caratterizzate da un periodo (intervallo di tempo tra due onde successive) solitamente di 5-20 secondi e da una lunghezza d'onda (distanza tra due creste successive) di circa 100-200 metri; le onde di uno tsunami, invece, hanno un periodo dell'ordine di un'ora e una lunghezza d'onda che può raggiungere anche il valore di alcune centinaia di km. Ma i parametri fisici che più di ogni altro caratterizzano le onde di uno tsunami (chiamate anche "shallow-water waves" - onde d'acqua bassa - in quanto la loro lunghezza d'onda è di gran lunga maggiore della profondità dell'acqua in cui si sviluppano) sono la loro modesta ampiezza (altezza rispetto al piano medio della superficie marina) e l'elevata velocità con la quale si propagano in mare aperto. La velocità v di propagazione delle "shallow-water waves" è data dalla formula: in cui d è la profondità dell'acqua in quel punto e g è l'accelerazione di gravità (9.8 m/sec²). Ad esempio, in un oceano caratterizzato da una profondità di 4000 metri (quale può essere l'Oceano Pacifico) un'onda di tsunami si può propagare alla velocità di oltre 710 km/ora: la velocità di un aereo. Si diceva che il secondo aspetto che caratterizza queste onde è la loro ridotta ampiezza, il cui valore è tipicamente dell'ordine di un metro. Questa particolarità fa sì che esse risultino praticamente "invisibili" per qualsiasi imbarcazione che le incroci in mare aperto. Tutto dipende ancora dalla relazione tra la velocità e la profondità dell'acqua vista prima. Avvicinandosi alle coste diminuisce la profondità del mare e dunque anche la velocità delle onde si riduce, ma questo comporta che, dovendo per necessità fisica rimanere costante l'energia, debba aumentare l'ampiezza del moto ondoso, cioè l'altezza delle onde. La massima altezza cui può giungere un'onda di tsunami viene indicata con il termine inglese di "runup" ed il suo valore è mediamente circa dieci volte maggiore dell'altezza dell'onda che lo ha originato, ma è evidente che tutto è legato all'andamento del profilo batimetrico. Molta importanza nel limitare gli effetti devastanti di uno tsunami hanno, infine, la morfologia della costa e la configurazione del terreno (liscio o rugoso, ricco o privo di alberi), elementi in grado di rallentare o meno l'impeto dell'acqua che tende ad addentrarsi nella terraferma anche per centinaia di metri. Vi è anche la possibilità che uno tsunami non si manifesti subito come la classica gigantesca onda che si abbatte sulla costa, ma come un improvviso fenomeno di bassa marea, un repentino ritirarsi delle acque fino a lasciare scoperto il fondale marino per decine di metri prima che, una dopo l'altra, le numerose ondate che costituiscono lo tsunami si abbattano con gigantesca violenza ed elevata velocità su chi, incautamente, si è attardato ad osservare lo strano fenomeno. L’entità finale dell'evento è, evidentemente, legata in modo molto stretto all'energia trasmessa all'oceano dall'evento scatenante: nel caso di terremoto, ad esempio, sarà la sua magnitudine a determinare l'ampiezza iniziale del moto ondoso. Ma hanno la loro importanza anche altre caratteristiche quali la rapidità delle deformazioni del fondo marino, il profilo batimetrico e la profondità del mare nella zona dell'epicentro. In questo disegno possiamo notare le diverse fasi dello tsunami: In mare aperto (1) l'onda è caratterizzata da una limitata ampiezza. Al diminuire della profondità del fondale (2) si innesca il fenomeno del runup (3) ed il muro d'acqua si riversa sulla costa (4) spingendosi nell'entroterra. Quando si parla di tsunami , non si può far altro che pensare all’ultima tragedia , che ha devastat il Sud Est Asiatico il 26 dicembre del 2004. L’epicentro del sisma di 8,9 gradi della scala Richter che ha generato lo tsunami , si trova nell’oceano Indiano , vicino ad Aceh , nel nord dell’isola di Sumatra , in Indonesia . Lo tsunami generato si è spostato per centinaia di chilometri verso ovest , percorrendo circa un settimo della circonferenza della terra , attraversando sei meridiani e colpendo , dopo aver devastato tutto quello che incontrava , dieci diversi Paesi a distanza di poche ore l’uno dall’altro . Ha colpito l’isola tailandese di Phuket , le coste asiatiche , le isole coralline delle Maldive , fino a spegnersi in Africa , contro i porti della Somalia e del Kenya , causando più di 200.000 vittime. L’origine del sisma va ricercata nei movimenti della faglia che divide , a livello di crosta terrestre , la placca indiana da quella eurasiatica. Uno scontro tra questi due blocchi ha prodotto il gigantesco sisma , il quinto più potente mai registrato negli ultimi cento anni. Il fenomeno tellurico ha generato avvallamenti e sollevamenti del fondo del mare i quali si sono trasferiti alla massa d’acqua soprastante , producendo così lo tsunami.