FRANCESCO CARDARELLI Commento a CASS. SS.UU., ord. n. 2906 del 10 febbraio 2010 1. I precedenti. Con un revirement non inatteso le SS.UU. della Cassazione hanno stabilito che spetta al giudice amministrativo la giurisdizione in ordine alla sorte del contratto stipulato tra l’amministrazione e il concorrente identificato illegittimamente nell’ambito di una procedura di gara, a seguito dell’annullamento del provvedimento di aggiudicazione. La questione è stata ampiamente arata dalla giurisprudenza delle SS.UU. che aveva reiteratamente affermato (se ne dà atto al punto 2 dell’ordinanza in commento) la spettanza all’AGO della giurisdizione sulla domanda volta a conseguire tanto la dichiarazione di nullità quanto quella di inefficacia o l'annullamento del contratto di appalto, a seguito dell'annullamento della delibera di scelta dell'altro contraente, adottata all'esito di una procedura ad evidenza pubblica. Ciò in forza di tre distinte considerazioni: - la controversia non avrebbe ad oggetto i provvedimenti riguardanti la scelta suddetta, ma il successivo rapporto di esecuzione che si concreta nella stipulazione del contratto di appalto, del quale i soggetti interessati chiedono di accertare un aspetto patologico, al fine di impedirne l'adempimento; - le situazioni giuridiche soggettive delle quali si chiede l'accertamento negativo hanno consistenza di diritti soggettivi pieni; - il giudice è comunque chiamato a verificare la conformità alla normativa positiva delle regole attraverso cui l'atto negoziale è sorto, ovvero è destinato a produrre i suoi effetti tipici. Il fondamento giuridico di simili asserzioni era rinvenuto nella necessità di dare continuità al criterio di riparto della giurisdizione fondato unicamente sulla separazione imposta dall'art. 103 Cost., comma 1, tra il piano del diritto pubblico (e del procedimento amministrativo) ed il piano negoziale, interamente retto dal diritto privato: questo peraltro era l’assunto delle SS.UU. sin dalla sentenza 28 dicembre 2007 n. 27169, che significativamente muoveva le sue premesse dall’actio finium regundorum operata dalla Corte Costituzionale con la nota decisione 204/2004, a mente della quale sarebbe impossibile travolgere il necessario rapporto di specie a genere che l'art. 103 Cost. postula come ordinario discrimine tra le giurisdizioni, allorché contempla le materie devolvibili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo come particolari rispetto a quelle nelle quali la pubblica amministrazione agisce quale autorità: precisando peraltro che il necessario collegamento delle materie assoggettabili a giurisdizione esclusiva con la natura delle situazioni soggettive, espresso nell'art. 103 Cost., comporta che le materie affidate alla giurisdizione suddetta devono necessariamente partecipare della medesima natura - segnata dall'agire della P. A. come autorità, nei confronti della quale è accordata tutela alle posizioni di diritto soggettivo del cittadino dinanzi al giudice amministrativo - di quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità. La conclusione della Cassazione nella sua risalente posizione appariva granitica: non sarebbero stati più ammissibili dubbi ermeneutici sulla possibile estensione della giurisdizione esclusiva; che può essere istituita o ampliata, per esigenze di concentrazione della tutela, per impedire la moltiplicazione dei giudizi, e comunque per garantire pienezza di tutela al cittadino attraverso un unico giudizio, ma soltanto alle condizioni indicate dalla Consulta, che cioè le posizioni di diritto soggettivo fatte valere si collochino in un'area di rapporti nella quale la p.a. agisce attraverso poteri autoritativi. Per altro verso la Cassazione aveva sempre ribadito che neppure le disposizioni della l. 205/2000, artt. 6 e 7, contengono un qualsiasi riferimento al nodo di diritto sostanziale dell'incidenza dell'annullamento degli atti procedimentali a monte, sul contratto stipulato a valle (tema sul quale sono state esposte numerose e variegate posizioni che spaziano dalla nullità assoluta e dall'annullabilità del contratto alla sua inefficacia, nonchè alla caducazione automatica). In altri termini e più chiaramente nel criterio di riparto prescelto dal legislatore, provvedimento di aggiudicazione e contratto restano due realtà autonome e le vicende dell'uno non valgono ad ampliare o restringere l'ambito della giurisdizione stabilita sull'altro: sotto il profilo logico-giuridico nessun rilievo era attribuibile alla connessione (rectius, al rapporto di consequenzialità necessaria tra la procedura di gara ed il contratto successivamente stipulato), valida al massimo, sotto il profilo processuale, ad incidere sulla competenza, ma non sulla giurisdizione e sul suo conseguente riparto. 2. Le aporie. Le reazioni al riparto sulla giurisdizione in materia di aggiudicazione e contratto definita in base alle pronunce delle SS.UU. sono state generalmente improntate a perplessità e scetticismo. Anche la sentenza che più ha inciso (sul versante del giudice amministrativo) come limite della giurisdizione amministrativa (e cioè l’A.P. Cons. Stato 9/2008) aveva formalmente aderito alle tesi della Cassazione, ribadendo che la giurisdizione del giudice ordinario sussiste in ordine all’accertamento delle conseguenze provocate dalla sopravvenuta mancanza delle condizioni di legalità del vincolo contrattuale, essendo il criterio di riparto della giurisdizione basato unicamente sulla separazione imposta dall’art. 103, comma 1, Cost. tra il piano procedimentale del diritto pubblico e quello negoziale, retto interamente dal diritto privato; e che la giurisdizione del giudice ordinario sussiste anche quando si tratti di individuare, con statuizioni idonee a passare in giudicato, le conseguenze prodotte sul contratto dalla sentenza amministrativa di annullamento della aggiudicazione della gara (Cass. SS.UU 23 aprile 2008, n. 10443). Ma aveva intrapreso una strada ulteriore ed alternativa rispetto alla piena devoluzione al giudice ordinario del residuo segmento giurisdizionale sulla sorte del contratto: ipotizzando il caso di mancato adeguamento dell’amministrazione, a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale dell’aggiudicazione di una gara di appalto, ai principi conformanti contenuti nella sentenza di annullamento, il Consiglio di Stato aveva rinvenuto nel giudizio di ottemperanza – connotato dall’esercizio di una giurisdizione di merito – la sede opportuna per sindacare in modo pieno e completo (e satisfattivo per il ricorrente) l’attività posta in essere dall’amministrazione, adottando tutte le misure necessarie ed opportune (ivi compresa quella di disporre la sostituzione dell’aggiudicatario illegittimamente pretermesso dall’originaria legittimazione al contratto) per dare esatta ed integrale esecuzione alla sentenza e per consentire una corretta riedizione del potere amministrativo. Sul piano dogmatico la soluzione di un simile assetto della ripartizione tra le due giurisdizioni non aveva incontrato incondizionati favori: da un lato si era sottolineato che il sintagma dei “comportamenti materiali” (rilevanti ai fini della piena applicazione dei poteri del giudice amministrativo in sede di ottemperanza) non fosse sempre e comunque assorbente i provvedimenti adottati dall’Amministrazione in sede di esecuzione del giudicato (inoltre detti provvedimenti – non necessariamente comportamenti - erano destinati incidere sul contratto, A.Massera, Annullamento dell'ag-giudicazione e sorte del contratto: le molte facce di un dialogo asincrono tra i giudici, Riv. it. dir. pubbl. comunit. 2009, 2, 285); per altro verso sostenendo che le assonanze tra la posizione delle SS.UU. e del Consiglio di Stato si arrestassero di fronte al principio (fatto proprio dall’Adunanza Plenaria) che il piano delle conseguenze dell'annullamento dell'aggiudicazione è integralmente pubblicistico e l'impresa illegittimamente pretermessa non incontra ostacoli nella sua tutela a causa della presenza del contratto originario, visto che all'annullamento giurisdizionale dell'aggiudicazione consegue sempre e comunque la caducazione degli effetti del contratto (M. Ramajoli, L'adunanza Plenaria risolve il problema dell'esecuzione della sentenza di annullamento dell'aggiudicazione in presenza di contratto, Dir. proc. amm. 2008, 4, 1165); per altro verso ancora stigmatizzando che i postulati dei percorsi delle SS.UU. obliterassero conclusioni cui in altri ambiti il medesimo consesso era arrivato a smentire il principio di inderogabilità della giurisdizione a favore di quello della concentrazione delle tutele (S.Vinti, Quali rimedi per la salvaguardia dell'interesse legittimo al cospetto dei negozi giuridici? il giudice del riparto e i legislatori (comunitario e domestico) alle prese con gli effetti dell'annullamento dell'aggiudicazione sul contratto di appalto pubblico, Dir. proc. amm. 2008, 3, 789); per altri profili, proprio alla luce dei principi di effettività e celerità della tutela invocati dalla Suprema Corte in altre decisioni (Cass. SS.UU. 24883/2008), espressamente ribaditi e rafforzati, per la specifica materia di che trattasi, dalla Direttiva n. 2007/66/CE, invocando una lettura costituzionalmente orientata del sistema (alla stregua del combinato disposto degli artt. 11, 24, 111 e 117, 1 comma, Cost.) che avrebbe dovuto comportare un coerente ripensamento della questione (M.A.Sandulli, Dopo la “translatio iudicii”, le Sezioni Unite riscrivono l’art. 37 c.p.c. e muovono un altro passo verso l’unità della tutela (a primissima lettura in margine a Cass. SS.UU., 24883 del 2008 e sui suoi possibili riflessi sulla doppia giurisdizione sui contratti pubblici), www.federalismi.it). Ma in genere le critiche al riparto di giurisdizione pensato dalla Cassazione riguardavano l’efficienza complessiva del sistema, ed in particolare il fatto che l’effettività della tutela fosse garantita solo attraverso il ricorso a due distinti plessi giurisdizionali, solo parzialmente temperato dal rimedio dell’ottemperanza davanti al giudice amministrativo, che comunque obbligava ad una riedizione del procedimento giurisdizionale. L’ordinanza 2906/10 dà atto, più che delle ragioni sistematiche astrattamente proponibili avverso la soluzione finora prevalente, delle aporie derivanti dalla stipula del contratto, che impedirebbe al soggetto titolare degli interessi legittimi lesi dall’attività provvedimentale della P.A., di esercitare anche il “diritto” (ma su tale qualificazione giuridica obiettivamente sussistono dubbi) “di stipulare l’atto per il quale egli avrebbe dovuto essere il contraente illegittimamente pretermesso”: ciò in fatto potrebbe rendere il processo amministrativo “non sempre utile” e “contrasta con l’effettività della tutela di chi agisce e con la concentrazione del processo”. Per la verità ragioni di efficienza e concentrazione erano già state affrontate in precedenti (e recenti) decisioni delle stesse SS.UU, in cui era stato evidenziato il rischio di una necessaria moltiplicazione di giudizi per poter conseguire il bene dell'effettività della tutela: così come era stato affrontato lo stretto collegamento e l'intima connessione esistente tra le fasi procedimentale e contrattuale, rilevando che nel caso non verrebbe in rilievo una vicenda propria del contratto (come potrebbe essere un suo aspetto patologico originario), ma degli effetti automaticamente prodottisi sulla fattispecie contrattuale per effetto dell'annullamento dell'aggiudicazione (Cass. SS.UU. 19805/2008). Ma tali prospettazioni erano state liquidate sulla base dell’insuperabile iato tra fase pubblicistica e fase privatistica, accentuato dalla disposizione (positiva) contenuta nel Codice dei contratti pubblici (art.11) della diversa natura dell’aggiudicazione (provvedimento) e della successiva e non coincidente – neanche temporalmente – stipulazione dell’appalto (contratto): con il che si ricavava dal dettato del legislatore una chiara matrice separatista degli ambiti della giurisdizione, pur ammettendosi (in astratto) “che il legislatore possa privilegiare esigenze di concentrazione, rapidità e completezza della tutela, affidandola ad un sistema di giurisdizione unica,come del resto avviene in numerosi Stati della comunità europea” (Cass. SS.UU. 19805/2008). 3. Il superamento della precedente giurisprudenza delle SS.UU. alla luce della direttiva 66/2007. Il revirement poggia formalmente sulla sopravvenuta direttiva dell’11 dicembre 2007 n.66, che imporrebbe (dalla data di scadenza del termine per il suo recepimento interno, 20 dicembre 2009) “una interpretazione orientata costituzionalmente e quindi comunitariamente (art. 117 Cost.)” delle norme del Codice dei contratti pubblici e del d.lgs. 205/2001, e “rende necessario l’esame congiunto della domanda di invalidità dell’aggiudicazione e di privazione degli effetti del contratto concluso, nonostante l’annullamento della gara, prima o dopo la decisione del giudice adito, in ragione di principi…. che corrispondono a quelli di concentrazione, effettività e ragionevole durata del giusto processo”: in altri termini “il diritto comunitario incide nel sistema giurisdizionale interno anche retroattivamente, esigendo la trattazione unitaria delle domande di annullamento del procedimento di affidamento dell’appalto e di caducazione del contratto stipulato”ed “impone di riconoscere il rilievo …. della connessione tra le domande in precedenza ritenuta irrilevante a favore di una giurisdizione unica del giudice amministrativo, estesa anche agli effetti del contratto concluso a seguito di illegittima aggiudicazione”. Questo postulato appare, secondo la tesi della Cassazione, in grado di sovvertire il precedente orientamento: i) esso è compatibile con l’effettività della tutela (art. 24 e 11 Cost.); ii) la rilevanza della connessione tra interessi legittimi e diritti conseguenti deriva direttamente da norma comunitaria che incide in via ermeneutica sulle norme interne (art. 117 Cost.); iii) anche ai sensi dell’art. 103 Cost. le richieste di tutela dei diritti contrattuali non sono scindibili da quelle sugli interessi; iv) se è vero che l’amministrazione non esercita poteri autoritativi nel rapporto sorto con l’aggiudicatario illegittimo, è evidente che tali situazioni giuridiche soggettive conseguono ad atti dell’amministrazione quale autorità anche successivi all’aggiudicazione (nel caso di specie da cui scaturisce l’ordinanza, diniego di esercizio di autotutela); v) una volta entrata in vigore la direttiva 66/2007, ed anche prima della scadenza del termine di trasposizione per gli Stati membri, la soluzione non può che essere opposta a quella sinora seguita dal Supremo Consesso: infatti tra la domanda di annullamento della gara (rectius aggiudicazione) e quella della privazione degli effetti del contratti stipulato “vi è una stretta connessione che con la normativa comunitaria di cui alla Direttiva citata… assume invece rilievo unificante nei giudizi su ogni processo pendente davanti al giudice amministrativo, successivo al 20 dicembre 2009”; vi) la disciplina comunitaria avrebbe reso vincolante la connessione tra le due domande proposte da trattare unitariamente davanti ad un unico giudice; vii) non appare quindi dubitabile che il principio di concentrazione del processo e quello di effettività della tutela giurisdizionale renda concreta ed efficace la sola tutela congiunta in conformità all’art. 24 Cost. ed “alla normativa comunitaria da cui è imposta la trattazione della causa da un unico giudice dotato dalla legge di giurisdizione esclusiva, in contrasto con il precedente autorevole orientamento, comunque espresso prima della vigenza della direttiva di cui sopra”. Il percorso seguito appare obiettivamente semplice: la direttiva comunitaria (cui viene – contraddittoriamente - dapprima negato il carattere autoesecutivo, ma che è dotata, secondo il punto 7 dell’ordinanza 2906/10 di efficacia orizzontale in quanto la mancata tempestiva trasposizione nel diritto interno costituisce condotta inadempiente “che dà diritto ai soggetti lesi da tale omissione o ritardo di chiedere alle autorità dello Stato di conformarsi ai suoi principi per effetto delle sue disposizioni chiare, incondizionate e scadute”) avrebbe avuto l’effetto (non è chiaro se dal momento della sua entrata in vigore, ovvero dalla scadenza del termine per il suo recepimento) di incidere direttamente sul riparto di giurisdizione interno: non sarebbe quindi errato il precedente orientamento della Cassazione (tutto fondato, come si è visto, sulla dinamica ordinamentale interna tra separazione delle fasi pubblicistica e privatistica, sulla applicazione dell’art. 103 Cost., e sulla insuscettibilità della connessione tra interessi e diritti di spostare l’ambito della giurisdizione domestica ma solo le articolazioni della competenza), ma sarebbe stato superato dalla forza cogente del diritto comunitario che avrebbe “imposto” un giudice “unico” per la cognizione delle domande di annullamento e di reintegrazione in forma specifica che avrebbe richiesto di incidere direttamente sul contratto comunque stipulato. 4. Osservazioni sulla motivazione della decisione. Se l’effetto cui l’ordinanza perviene può essere chiaramente condiviso, lascia notevoli perplessità il sostrato motivazionale su cui esso si poggia. 4.1. Che la direttiva 66/2007 abbia “imposto” agli Stati membri un giudice unico delle controversi in materia di appalti pubblici è smentito da una disposizione ivi contenuta: l’art. 2, par. 2 prevede infatti che “i poteri di cui al paragrafo 1 ed agli articoli 2 quinquies e 2 sexies possono essere conferiti ad organi distinti responsabili di aspetti differenti della procedura di ricorso”. Per facilità di lettura si rammenta che il par.1 dell’art. 2 si riferisce ai poteri (giurisdizionali) di adozione di provvedimenti cautelari (compresi quelli diretti a sospendere la procedura di aggiudicazione o l’esecuzione di una qualsiasi decisione dell’amministrazione aggiudicatrice), di annullamento delle decisioni illegittime, di accordare il risarcimento del danno ai soggetti lesi dalla violazione; l’art. 2 quinquies si riferisce alla cd. “privazione di effetti”, cioè alla dichiarazione di inefficacia del contratto stipulato comunque, in violazione di norme sostanziali del diritto comunitario; l’art. 2 sexies si riferisce alle sanzioni alternative che debbono essere adottate in luogo della privazione di effetti e che contemplano l’irrogazione di sanzioni pecuniarie o la riduzione della durata del contratto. In altri termini per il diritto dell’Unione europea è totalmente irrilevante che i singoli Stati membri deleghino le tre distinte funzioni previste ad organi giurisdizionali unici o distinti, ciascuno responsabile di aspetti differenti della procedura di ricorso (a tale proposito non sarebbe in astratto del tutto inconcepibile che il giudice delle sanzioni sia diverso da quello che dispone sull’annullamento, sul risarcimento del danno, e sulla privazione di effetti: una volta ristorata in sede risarcitoria per equivalente la pretesa del ricorrente vittorioso, la dinamica della sanzione o della riduzione della durata del contratto è vicenda che riguarda solo l’amministrazione e l’aggiudicatario illegittimo ancorché contraente confermato): è rilevante solo che le norme nazionali consentano l’accesso ad una tutela giurisdizionale (o amministrativa) efficace e, in particolare, quanto più rapida possibile. Ne consegue che il postulato dell’unicità delle funzioni giurisdizionali e della rilevante connessione tra interessi e diritti che renderebbe ineludibile la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è, appunto, un apoftegma: non è un portato immediato e diretto delle disposizioni della direttiva (che certo manifesta un indubbio favor verso la concentrazione delle tutele), ma è una scelta di politica del diritto, che deve essere necessariamente effettuata dal legislatore nazionale: necessita quindi di una mediazione legislativa, che allo stato, manca del tutto. 4.2. A ben vedere le uniche disposizioni che contemplano positivamente la concentrazione delle funzioni del giudice in materia sono contenute, alla data dell’ordinanza della Cassazione, nell’art. 44 della legge 7 luglio 2009, n.88: il punto 1) della lett. h) del richiamato articolo prevede che la “privazione di effetti” sia lasciata “al giudice che annulla l’aggiudicazione”; il punto 2) stabilisce che sia lasciata al giudice che annulla l’aggiudicazione la scelta tra privazione di effetti e sanzioni alternative; il punto 3) stabilisce che sia lasciata sempre al giudice che annulla l’aggiudicazione la scelta tra privazione di effetti e risarcimento del danno per equivalente. Posto che non vi sia dubbio che il “giudice che annulla l’aggiudicazione” non possa essere, a sistema invariato, se non il giudice amministrativo, la scelta (si ripete, di politica del diritto) di concentrare le tutele (o meglio, tutte le funzioni riequilibratici dell’assetto degli interessi in gioco) era già stata effettuata dal legislatore nazionale: ed è giocoforza attendersi, in sede di attuazione della delega legislativa, l’attribuzione per legge (e non per imposizione del diritto comunitario) della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo estesa anche alla sorte del contratto in relazione alla pronuncia eventuale sulla sua inefficacia originaria o sopravvenuta. Di tale passaggio normativo non vi è traccia nella decisione in commento. 4.3. Se quindi i veri principi direttamente desumibili dalla direttiva sono quelli dell’accessibilità ai mezzi di tutela, della loro effettività, e della maggiore rapidità possibile delle decisioni sui ricorsi, occorre affermare che la direttiva 66/2007 non apporta alcuna sostanziale novità (sempre sul piano dei principi) rispetto alla precedente direttiva 665/89, che conteneva identiche previsioni nel proprio articolo 1. Quindi una decisione fondata sul diritto comunitario, ferme restando le attuali norme positive dell’ordinamento interno sull’attribuzione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di procedure di affidamento, avrebbe potuto essere adottata ben prima dell’ordinanza 2906/10, ovviamente con un apparato motivazionale maggiormente orientato a valorizzare i profili di concentrazione del giudizio e rispetto del principio della ragionevole durata del processo (certamente comuni all’ordinamento interno ed a quello europeo: non si trascuri inoltre la circostanza che la direttiva 66/2007 era stata pubblicata prima della sentenza delle SS.UU. 27169/2007, e se è vero che il diritto comunitario può fungere da criterio ermeneutico per la corretta applicazione “orientata” delle disposizioni interne, le medesime conclusioni cui il Supremo consesso è pervenuto oggi erano certamente anticipabili di due anni). Ne siano riprova due distinte considerazioni. Per un verso non è affatto chiaro anche in altri ordinamenti se sia compatibile con i principi e le disposizioni della direttiva la contemporanea presenza della giurisdizione di due plessi distinti: una domanda pregiudiziale proposta dal proposta dal Rechtbank Assen (Paesi Bassi) il 22 dicembre 2008 (causa C.568/08) pende di fronte alla Corte di giustizia ed attiene al quesito se gli artt. 1, nn. 1 e 3, e 2, nn. 1 e 6, della direttiva 89/665/CEE, debbano essere interpretati nel senso che tali disposizioni non vengono rispettate se la tutela giurisdizionale che il giudice nazionale deve garantire nei ricorsi in materia di appalti pubblici comunitari viene ostacolata in quanto in un sistema, in cui sia il giudice amministrativo sia il giudice civile possono essere competenti in merito alla stessa decisione e ai suoi effetti, possono coesistere decisioni contrastanti, e se a questo riguardo sia consentito che il giudice amministrativo si limiti al giudizio e alla decisione sulla delibera di appalto e, in caso di risposta affermativa, perché e a quali condizioni. Per altro verso, altri principi sarebbero stati efficacemente ricavabili dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia: che, sebbene non abbia posto al centro delle proprie pronunce il problema della natura del giudice competente sulle decisioni inerenti la sorte del contratto, aveva comunque ritenuto che la permanenza dell’esecuzione di un appalto aggiudicato illegittimamente (perché nel caso le norme nazionali prevedevano solo il risarcimento del danno per equivalente) comportava un altrettanto permanente effetto violativo del principio di libera prestazione dei servizi, non superabile in base a contrarie considerazioni quali la certezza del diritto, la tutela del legittimo affidamento, il principio pacta sunt servanda (Corte di giustiza CE, 18 luglio 2007, c503/04, Commissione c. rep. Federale di Germania). Con la conseguenza che la “privazione di effetti” di un contratto illegittimamente stipulato era una conseguenza necessitata (ancorché non formalmente prevista all’interno della precedente direttiva 665/89) tutte le volte che la permanenza degli effetti del contratto fosse di ostacolo all’interesse generale allo svolgimento procompetitivo del mercato (tanto da rendere inopponibili eventuali prassi e disposizioni interne per giustificare l’inosservanza degli obblighi derivanti dal diritto comunitario). Seguendo tale prospettiva sarebbe stato quindi possibile riconoscere (anche attraverso la disapplicazione delle norme nazionali contrastanti con il principio) piena validità alle decisioni del giudice amministrativo che si fosse pronunciato sulla inefficacia del contratto comunque stipulato nonostante l’illegittimità del suo affidamento, motivando proprio sulla necessità di porre rimedio ai fallimenti del mercato e di consentire nuove opportunità di competizione alle imprese. 4.4. Le considerazioni che precedono non negano il valore in sé dell’unitarietà dell’accadimento giurisdizionale, ma ne contestano le ragioni addotte dalla Cassazione. Eliminata l’imposizione di derivazione comunitaria e trascurata la norma di diritto positivo sul nuovo riparto di giurisdizione in esecuzione della delega legislativa per il recepimento della Direttiva 66/2007, il problema si sposta sul piano della compatibilità interna dell’attribuzione al giudice amministrativo della cognizione sulla sorte del contratto: con la precisazione che il precedente orientamento poggiava sulla interpretazione dell’art. 103 Cost. quale norma fondante il riparto (letta alla luce della sentenza della Corte Cost. 204/2004), e destinata a formalizzare la nota distinzione tra provvedimento e contratto, a sua volta corifea dello iato tra interessi legittimi e diritti soggettivi. Si è visto che solo incidentalmente l’ordinanza in commento tocchi l’aspetto della connessione tra le domande e le situazioni giuridiche soggettive dedotte, partendo dal postulato della sua compatibilità con i principi di effettività della tutela, concentrazione dei giudizi e ragionevole durata del processo: mentre, ad avviso di chi scrive, la questione, proprio perché centrale rispetto al rovesciamento dell’impostazione risalente, meritava ben altre attenzioni. A tale proposito sovviene una ulteriore ragione sistematica che avrebbe dovuto indurre già da tempo il giudice del riparto ad un diverso assetto dei rapporti tra la cognizione riservata al giudice amministrativo e quella dell’autorità giudiziaria ordinaria: già con la sentenza 24883/2008 le SS.UU. (sulla nuova interpretazione dell’art. 37 c.p.c) avevano individuato quale asse portante di norme sulla giurisdizione lette alla luce della complessa articolazione dell’ordinamento interno il principio della ragionevole durata del processo. Per quanto rivolto al legislatore esso ben può fungere da parametro di costituzionalità con riguardo a quelle norme processuali le quali - rispetto al fine primario del processo che consiste nella realizzazione del "diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al bene della vita oggetto della loro contesa" (Corte Cost. n. 77/2007) - prevedano rallentamenti o tempi lunghi, inutili passaggi di atti da un organo all'altro, formalità superflue non giustificate da garanzie difensive nè da esigenze repressive o di altro genere. E se da un lato le disposizioni processuali sul giudice competente sono volte ad assicurare il rispetto della garanzia costituzionale del giudice naturale, esse devono essere applicate a condizione di non sacrificare il diritto della parte ad una valida decisione di merito in tempi ragionevoli: sovviene quindi il criterio del bilanciamento tra valori di pari rango costituzionalmente protetti, a vantaggio del principio della ragionevole durata del processo e dell'effettività della tutela (artt. 24 e 111 Cost.): più efficacemente è stato ribadito che la pluralità dei giudici è riconosciuta dall’ordinamento “affinchè venga assicurata, sulla base di distinte competenze, una più adeguata risposta alla domanda di giustizia, e non già affinchè sia compromessa la possibilità stessa che a tale domanda venga data risposta” (ancora Cass. SS.UU. 24883/2008). Due le ragioni per una applicazione ancora più stringente del richiamato principio in siffatta materia. Per un verso è il diritto comunitario che impone (questo sì) un processo decisionale quanto “più rapido possibile”, che costituisce addirittura un rafforzamento dell’obiettivo della “ragionevole durata” ed implica quindi una diversa ponderazione tra valori di pari rango formale: appare pertanto pienamente giustificata una lettura imperniata sull’art. 111 Cost. (e dell’interpetazione comunitariamente orientata ai sensi dell’art. 117 Cost.) più ancora che sull’art. 103, in quanto non avrebbe senso costruire una disciplina positiva finalizzata all’accelerazione del rito (già compresso ai sensi dell’art. 23 bis della legge TAR, ma destinato alla luce dello schema di recepimento della direttiva 66/2007 ancora di più ad imporre alle parti ed al giudice speditezza e concentrazione), per poi dilapidarne gli effetti alla ricerca di più giudici muniti di poteri di cognizione su diversi segmenti del medesimo fenomeno economico. Per altro verso, ed ancora è il diritto comunitario che lo richiede, le esigenze complessive di certezza e stabilità dei rapporti giuridici poggiano sul rispetto di una molteplicità di interessi (non solo quelli – privati - del ricorrente vittorioso, o del controinteressato in buona fede, ma quelli - pubblici - dell’amministrazione aggiudicatrice, e soprattutto quelli – generali – dell’assetto del mercato concorrenziale) alla cui complessiva ricomposizione deve tendere l’esercizio della funzione giurisdizionale. Come si potrà notare si tratta di considerazioni non estranee al solco più illuminato della giurisprudenza recente della Corte Costituzionale e della Cassazione: ma che presuppongono, ancora una volta, una mediazione legislativa (cioè una norma di diritto positivo che individui il plesso della giurisdizione più attrezzato per un esercizio corretto e compiuto delle molteplici funzioni derivanti dall’impostazione comunitaria del miglioramento dell’efficacia dei ricorsi in materia di appalti pubblici). In questa prospettiva l’ordinanza delle SS.UU. sembra destinata ad essere sopravanzata dagli eventi, chiudendosi il cerchio proprio con l’attribuzione della giurisdizione esclusiva a favore del giudice amministrativo anche in ordine all’inefficacia del contratto inciso dall’annullamento dell’aggiudicazione. 5. Corollari. Non è certo lo spazio angusto di un primo commento il luogo per ragionare sulle ulteriori implicazioni della decisione (più di quelle non pienamente colte dalle SS.UU. che di quelle ipostatizzate). Tuttavia emerge dalla lettura complessiva della direttiva 66/2007 un evidente ampliamento del ruolo del giudice: non tanto sotto il profilo della sua unicità (questa dovrebbe essere garantita, rispetto all’effettività e rapidità complessiva della tutela richiesta dall’ordinamento comunitario, dall’ordinamento interno nel suo complesso), quanto piuttosto perché la funzione giurisdizionale diventa il baricentro delle tutele (ciò che appare ovvio) e del conseguente assetto futuro degli interessi (ciò che appare del tutto innovativo, perché esorbita dal tradizionale potere conformativo delle sentenze del giudice amministrativo). Si consideri che l’organo giurisdizionale non solo è chiamato ad esercitare poteri cautelari (dal cui uso può derivare la cessazione o meno del periodo di sospensione obbligatoria della sottoscrizione del contratto), poteri di annullamento dell’aggiudicazione illegittima, poteri di risarcimento del danno (art. 2 della direttiva 66/2007); ma anche poteri di scegliere se rendere inefficace o meno il contratto (la privazione di effetti non è considerata un esito automatico, ma deve essere accertata da un organo di ricorso indipendente, 13mo considerando della Direttiva), se privilegiare ragioni di interesse generale derogatorie dell’inefficacia del contratto in caso di violazioni gravi (cioè di totale pretermissione dell’assetto concorrenziale), se accordare sanzioni alternative anche cumulandole con la parziale inefficacia del contratto, se far retroagire gli effetti dell’inefficacia al momento della stipulazione o limitarsi alla soppressione degli obblighi che rimangono da adempiere, se ed in quale misura applicare le sanzioni pecuniarie alternative ovvero limitarsi alla riduzione della durata delle prestazioni, se prevedere il possibile “recupero delle somme eventualmente versate nonché ogni altra forma di possibile restituzione, compresa la restituzione in valore qualora la restituzione in natura non sia possibile” (21mo considerando della Direttiva). Inoltre l’esercizio della funzione giurisdizionale è gravato dalla necessaria considerazione di interessi molteplici: quelli privati delle parti che si contendono l’aggiudicazione o l’accesso al mercato, quello pubblico (soggettivamente tale) in caso di adozione di misure cautelari (art. 2, par. 5 della direttiva), quello generale (diverso dagli interessi economici) che presidia alle esigenze imperative che impongono che gli effetti del contratto debbano essere mantenuti (art. 2 quinquies, par. 3). La molteplicità degli aspetti oggetto di considerazione da parte del giudice, la complessità delle valutazioni che è chiamato ad operare (più volte nella Direttiva si fa riferimento alla necessità di valutare tutti gli aspetti pertinenti), le capacità di incidere sul contenuto del contratto (ben oltre, ad avviso di chi scrive, della mera privazione di effetti, estendendosi il potere alla rimodulazione delle prestazioni dedotte nell’appalto, alla sua durata, ed anche al sinallagma funzionale originariamente cristallizzato), ne fanno una figura centrale nell’applicazione corretta della Direttiva. Con plurime possibili inferenze (di cui si può dare, allo stato, solo un rapidissimo cenno): i) sembra che il modello di intervento dell’organo indipendente che deve decidere sui ricorsi prescelto dal legislatore europeo sia calibrato sull’ordinamento francese, nell’ambito del quale i poteri del giudice amministrativo sul contratto (che significativamente è considerato “contratto amministrativo”) sono decisamente protesi all’incidenza radicale sulla morfologia, struttura e contenuto economico delle prestazioni: ciò potrebbe comportare un progressivo ripensamento della natura tradizionalmente privatistica del contratto di appalto pubblico, o comunque una accentuazione dei tratti di specialità negoziale che afferiscono alla fattispecie (G.Greco, La direttiva 2007/66/CE: illegittimità comunitaria, sorte del contratto ed effetti collaterali indotti, Riv. it. dir. pubbl. comunit. 2008, 5, 1029); ii) la concezione separata della fase procedimentale e della fase negoziale trascolora alla luce della rottura della “dicotomia delle giurisdizioni”, poiché non vi sarebbe contrapposizione tra un diritto amministrativo ed un diritto, almeno apparentemente, privato con due giudici diversi e non comunicanti tra loro, ma un unico giudice per un fenomeno che, nella sua commistione di pubblico-privato, è unitario” (F.Merusi, Annullamento dell’atto amministrativo e caducazione del contratto, Foro amm. TAR, 2004, 3, 569; sul rilievo della unitarietà dell’operazione economica F.G.Scoca, Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto, Foro amm. TAR, 2007, 5, 797); iii) sembra evidente che la Direttiva prenda in considerazione il fallimento dell’aggiudicazione come fallimento del mercato, e tenti di porre rimedio all’elevatezza dei costi di transazione ed alla impossibilità di rinegoziazione (vietata alla luce delle disposizioni sostanziali del diritto comunitario in materia di appalti), attribuendo al giudice il potere della conformazione complessiva dell’assetto degli interessi, alla stregua di una vera e propria microregolazione del mercato (l’esito della vicenda processuale deve contemplare tutti gli interessi dedotti, ivi compresi quelli propri dell’amministrazione soccombente): significativamente le SS.UU. sfiorano il tema della natura dei poteri del giudice amministrativo (e la legge di delegazione 69/09 art.44 si riferisce indistintamente a giurisdizione esclusiva e di merito); iv) il giudice diventa quindi l’arbitro di una operazione economica complessiva colta nella sua unitarietà, nell’ambito della quale possono essere definiti dall’ordinamento i parametri per l’esercizio della funzione, e mai stabilite ex ante le conseguenze automatiche delle illegittimità accertate in sede giurisdizionale. Una ultima riflessione merita il profilo sostanziale della inefficacia (“privazione di effetti”) del contratto stipulato tra l’amministrazione e l’aggiudicatario illegittimamente individuato. L’ordinanza utilizza indistintamente la locuzione privazione di effetti o caducazione, ma non ne delinea i contorni sistematici: ed è noto che simili locuzioni, e soprattutto quella di inefficacia non è categoria dogmatica ma fattuale (Cons. Stato 1328/2008), cioè inidonea ad individuare la situazione giuridica che la presuppone e la determina. Tuttavia, se si tiene conto non solo della voluta genericità dei termini utilizzati dalla Direttiva (destinati ad una pluralità di ordinamenti ciascuno con una propria tradizione giuridica), ma anche della centralità del ruolo del giudice nei termini suddetti, potrebbe ritenersi operazione più corretta quella di non indagare sulla qualificazione delle invalidità di cui risulterebbe affetto il negozio stipulato (che devono essere diversamente graduate attraverso disposizioni di diritto positivo, quali quelle afferenti alla nullità o all’annullabilità), ma limitarsi alla sola considerazione di un contratto reso claudicante dal sopravvenuto annullamento dell’aggiudicazione, i cui effetti possono essere mantenuti (nei limiti fissati dalla direttiva) attraverso una pronuncia (costitutiva) del giudice: a ben vedere, annullato il provvedimento di aggiudicazione, la conseguente statuizione sulla perdurante – ed anche parziale – efficacia del contratto si sostituisce al provvedimento amministrativo quale fonte di legittimazione a contrarre. Non sarebbe più l’aggiudicazione (ormai travolta), ovvero la delibera a contrarre non preceduta dal confronto concorrenziale, l’atto prodromico con il quale le parti sono immesse nel regolamento dei propri interessi, quale sortito dalla competizione: sarebbe in questo caso proprio la delibazione del giudice del ricorso a tenere luogo dell’aggiudicazione (una sorta di novazione contrattuale) e ad incidere direttamente sulla fattispecie negoziale, tenendo conto di tutti gli aspetti pertinenti (durata, retroattività dell’inefficacia, perdurante efficacia, restituzione delle somme eventualmente erogate e non dovute): ciò consentirebbe quella valutazione caso per caso degli effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione non solo sul contratto, ma sulla operazione economica nel suo complesso.