Presidente Zaia, Autorità, Presidente Marcegaglia, Signore e Signori, Care Colleghe e Colleghi, a tutti voi il mio più caloroso benvenuto alla nostra Assemblea. Oggi, come e più di altre occasioni, questo nostro appuntamento è il luogo nel quale si ragiona non solo sul futuro delle nostre imprese, ma anche su quello dell’intera comunità. Una comunità nella quale imprenditori, persone, famiglie e luoghi si confondono e allo stesso tempo si identificano. Un legame che riassume tutti gli elementi della nostra storia: l’energia, il coraggio, la libertà d’impresa, la coesione sociale. Questi siamo noi. Questi sono i valori di Confindustria Padova. Davanti a voi, sento la responsabilità di chi è chiamato non solo a interpretare lo stato d’animo degli imprenditori, ma a tradurne le ansie, la rabbia, l’orgoglio in un discorso capace, al tempo stesso, di rappresentare la realtà, denunciare ritardi e proporre soluzioni. Un esercizio tanto più complesso oggi, al culmine di una fase storica che, in un tempo brevissimo, ha rovesciato il mondo. I fan di Nostradamus hanno elencato trenta predizioni che si sarebbero avverate nel 2011. Tra queste non c’era la crisi dei debiti sovrani in Europa. Eppure, se il 2011 passerà alla storia, sarà proprio per quelle convulsioni che hanno trafitto di ansie i nostri giorni. 1 Come definire un anno che ha visto l’attacco al nostro debito sovrano e l’incendio degli spread; la peggiore crisi di liquidità e il crunch del credito alle imprese; l’improvviso irrompere del “caso italiano” in Europa e le risatine di qualche leader – inaccettabili, eppure sintomo di credibilità perduta –. Ha visto il logoramento del Governo Berlusconi, fino all’uscita di scena, e il tracollo decisionale della politica; il riferimento saldo del Capo dello Stato Giorgio Napolitano e la formazione del Governo Monti. «Parliamoci chiaro – scandiva a novembre il Capo dello Stato –. Nei confronti del nostro Paese è insorta in Europa, e non solo, una grave crisi di fiducia. Dobbiamo esserne consapevoli, e sentircene, più che feriti, spronati nel nostro orgoglio e nella nostra volontà di recupero». L’inversione di rotta è arrivata, a un passo dal baratro. Il nostro Paese ha fatto i «compiti a casa» e deve continuare a farli. Con il decreto «Salva-Italia» ha accettato sacrifici pesanti, con compostezza e responsabilità. Ha portato in dote in Europa la serietà di una nuova classe dirigente. Ha convinto i partner che l’Italia non rappresenta più una fonte di contagio. Anzi, un fattore per promuovere la stabilità e la crescita. Ha aperto il fronte delle riforme strutturali, per scardinare un sistema bloccato e incapace di crescere. Il tempo delle scelte 2 Attenti, però, a non illuderci che il più sia stato fatto e il pericolo scampato. Sarebbe un tragico errore. Il lavoro di trasformazione dell’economia italiana, di semplificazione e ammodernamento di tutto il suo sistema sociale, giuridico e burocratico è appena iniziato. Ed è un lavoro cruciale, per salvare l’Italia e tornare a crescere. C’è voluto lo “strano” Governo di impegno nazionale – un Governo “tecnico” in cui i partiti non sono rappresentati – a tracciare un grande progetto di sistema per far crescere l’economia e un piano di liberalizzazioni senza precedenti. Un «Governo che decide», e che – per questo – mette un’intera classe politica di fronte ai suoi ritardi, anche culturali, e al suo immobilismo. Dopo decenni di prediche inutili, stiamo dolorosamente prendendo coscienza che il nostro Paese è un malato molto grave. Una malattia le cui cause vengono però da lontano. L’entità del nostro debito pubblico è infatti il risultato di un processo a cui hanno partecipato, consapevolmente o no, tutte le categorie economiche e sociali – nessuna esclusa –. E un ceto politico che, per decenni, ha intermediato interessi e consenso ingrossando la spesa. Una responsabilità grave, che oggi paghiamo a caro prezzo. Oggi è il tempo delle scelte. Non ci sono alternative. Il tempo di affrancarci da inerzia e veti, corporativismi e difesa dell’esistente. Se si vuole risollevare il Paese dalla recessione che si profila, non vi è alternativa allo smantellamento delle 3 rendite monopolistiche, che stringono come un cappio il sistema produttivo. Mi riferisco a settori come l’energia, i trasporti, i carburanti, le assicurazioni, le professioni, i servizi pubblici. Settori dove imprese e famiglie pagano un differenziale di costi ed efficienza vergognoso rispetto agli altri Paesi europei. In Italia, secondo l’Ocse, nel settore dei servizi il margine di profitto è al 61%, contro il 35% della media europea. La differenza, sia chiaro, è tutta a carico delle nostre tasche. Se quel margine comincerà a ridursi, sarà un vantaggio per tutti. Un banco di prova per la politica Attorno alla svolta pragmatica del Governo Monti serve il più largo appoggio delle forze politiche e sociali, per «vincere la sfida del riscatto». Non sono tempi in cui perdersi in diatribe sul metodo. Né per lasciare il campo a populismi, difesa dei privilegi o a calcoli elettoralistici. Luigi Einaudi diceva che «nella vita delle nazioni l’errore di non saper cogliere l’attimo fuggente è irreparabile». Negli ultimi dieci anni, troppi Governi “politici” si sono piegati alle pressioni dei settori toccati dal processo liberalizzatore, per timore di alienarsi il voto. Il Governo “impolitico” di Mario Monti non ha questo tipo di pressione. L’occasione è dunque irripetibile. 4 Il Governo vada avanti con tenacia. Avrà dalla sua milioni di cittadini, silenziosi e non urlanti. Il Parlamento – che dovrà convertire i decreti legge – ne sostenga l’impegno, senza cedimenti a questa o quella rendita di posizione. Nell’«anno perso» della recessione, liberalizzazioni e semplificazioni siano le vere riforme a costo zero. Costo zero per lo Stato e guadagno netto per tutti. Dalla prova che daranno le forze politiche, in questo periodo, della loro capacità di rinnovarsi e di perseguire soluzioni per il Paese, dipende «la rigenerazione della politica e della fiducia nella politica – sono parole del Capo dello Stato – senza la quale non c’è futuro per l’Italia». Dalla determinazione a sostenere il patto sociale implicito nell’azione del Governo Monti – rigore e riforme in cambio di stabilità e crescita – dipende la possibilità di conseguire il dividendo sociale di quel patto: aumento del reddito, del lavoro di qualità, dell’equità e della mobilità sociale. L’anno dell’Europa Il 2011, possiamo dire, è stato anche «l’anno dell’Europa». I semi gettati da questa crisi nella balbettante governance europea potranno, forse, dare molto frutto e il 2011 essere ricordato come uno spartiacque. La famosa frase di Jean Monnet – «L’Europa si farà nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni applicate alle crisi» – esprime bene la convinzione di quanti, come noi, invocano un salto di qualità nell’integrazione del Vecchio continente. 5 «Niente è possibile senza gli uomini – è ancora Jean Monnet – ma niente è duraturo senza le istituzioni». Istituzioni che perseguano non solo la stabilità finanziaria e la disciplina di bilancio, ma un rinnovato impegno comune per la crescita. A questo obiettivo, oggi l’Italia può dare un contributo fattuale. Lo Stato non sia Stato “patrigno” Il 2011 ci ha anche riportato in una crisi economica che pensavamo di aver superato. È stato un varco difficile, a tratti drammatico, per il Paese reale e le sue imprese, impegnate a resistere, a difendere il lavoro, a crescere, con dignità e coraggio. La dignità e il coraggio che hanno accompagnato anche gli ultimi istanti di quanti – imprenditori come noi – non hanno retto al dramma della crisi, all’ingiustizia di una condizione sottratta alla propria volontà. Vi chiedo di unirvi a me nel dedicare la nostra Assemblea a tutti quei Colleghi che hanno scelto il gesto estremo, per senso dell’onore, per rigore verso se stessi, ma anche per quella stanchezza esistenziale che nessuno dovrebbe mai provare. È un dovere di tutti farsi un esame di coscienza spietato, chiedersi cosa si poteva e non è stato fatto, adoperarsi in ogni modo affinchè non ci siano altre “morti bianche” come queste. 6 Diciamolo forte: lo Stato non può essere Stato “patrigno”, non può chiedere sacrifici ai suoi cittadini e poi essere il primo a non rispettare i patti! Affronti una volta per tutte lo scandalo dei mancati pagamenti, restituisca quel “dovuto” che altrimenti si trasforma in “maltolto”. Più credito per le piccole imprese Con altrettanta chiarezza diciamo: le banche non possono rafforzare il patrimonio al prezzo di inaridire il credito alle imprese. Presidente Mussari, non ci sfugge la gravità del contesto che anche le imprese bancarie si trovano a dover fronteggiare, né la natura perentoria e restrittiva dei requisiti imposti dall’Autorità europea. Ma non diventi un alibi per sottrarsi al dovere di finanziare l’economia reale e la crescita, preferendo il meno rischioso e più redditizio parcheggio della BCE o dei titoli di Stato. Il risultato non può essere, da una parte, una finanza stabilizzata e, dall’altra, un sistema produttivo irreversibilmente impoverito. Nessuno chiede agli Istituti di credito di fare la parte di Pantalone e accontentare tutti – quell’epoca è sepolta –. Ma l’impressione è che sia più facile dire tanti “no” che selezionare le richieste. Da parte nostra, dobbiamo rendere le nostre aziende sempre più trasparenti, capaci di presentare con chiarezza agli istituti di credito la nostra idea di business. 7 Vengono in mente le parole dell’allora Governatore Draghi: «Occorre saper fare i banchieri anche quando le cose vanno male». Proprio pensando alle migliaia di piccole imprese che, se manca il credito, non ce la faranno a vedere la ripresa. Imprese sane, che avrebbero il potenziale per tornare a crescere dopo la crisi. Questi «spiriti animali» devono essere aiutati, difesi, incoraggiati. Oggi è questa la nostra vera sfida. Tempi “europei” per i pagamenti Con la stessa chiarezza diciamo che i tempi di pagamento vanno rispettati anche tra aziende private, riscoprendo una rinnovata dimensione etica. Gli effetti della congiuntura negativa e della crisi di liquidità non possono scaricarsi sugli anelli più deboli, se non si ha un grande potere contrattuale. Il Governo dia un segnale forte e chiaro. La dote di 5,7 miliardi per l’estinzione – molto parziale – dei debiti pregressi è un atto simbolico dovuto, ma ancora del tutto insufficiente. Nell’ambito della Delega ricevuta, recepisca immediatamente la Direttiva comunitaria che stabilisce il temine massimo di 30 giorni per i pagamenti della Pubblica Amministrazione e di 60 giorni per i pagamenti tra privati. È una questione di giustizia e di civiltà del diritto. 8 Non ci sono i soldi? Si apra il capitolo delle dismissioni del patrimonio pubblico – assente dalla manovra da 34 miliardi –. Lo si apra, senza esitazioni, per abbattere il debito, liberare risorse per la crescita e, prima di tutto, per pagare le aziende che vantano crediti. Uno scenario impervio Davanti a noi abbiamo uno scenario impervio. L’inverno della recessione si è affacciato sull’Eurozona. In Italia è iniziata prima e sarà più marcata. Il 2011 si è chiuso con una crescita asfittica dello 0,5 per cento. Quest’anno il Pil cadrà in terreno negativo1. L’andamento deludente si rifletterà sul mercato del lavoro. La pressione fiscale raggiungerà il record del 45,5% del Pil. Ma la pressione effettiva, che esclude il sommerso dal denominatore, supera abbondantemente il 54 per cento. Ciò rende ancora più impellente utilizzare ogni strumento di contrasto all’evasione e restituire ai contribuenti onesti – attraverso l’abbattimento delle aliquote – ogni euro recuperato. Cosa si aspetta a introdurre questa semplice regola di civiltà fiscale? Le previsioni più recenti sull’Italia stimano nel 2012 una contrazione del Pil tra il -1,2-1,5% (Banca d’Italia) e il -2,2% (Fondo Monetario Internazionale). 1 9 È questa la vera battaglia di equità! Una battaglia – voglio scandirlo – che ha il nostro pieno, convinto e risoluto sostegno. L’evasione è infatti un fattore patologico di ingiustizia sociale e odiosa distorsione della concorrenza. L’industria padovana attraverso la crisi A Padova, i dati disponibili descrivono la reazione alle difficoltà affrontate. Dopo lo scatto in avvio d’anno, la produzione – pur rimanendo positiva2 - ha rallentato nel corso del 2011. A settembre eravamo ancora 10 punti sotto i livelli precrisi. Con un +18,2% nei primi nove mesi, Padova è la provincia italiana che guida la ripresa dell’export manifatturiero. La Germania si conferma come principale cliente3. Crescono le esportazioni verso i Paesi extra-europei, trainate dalle grandi economie emergenti. La Cina ha raddoppiato il proprio peso, scalando dal 31° al 15° posto tra i mercati di riferimento. Avanzano le nuove destinazioni: India, Russia, Turchia, Brasile4. Produzione industriale +5,1% nei primi nove mesi del 2011. La Germania assorbe il 14,9% delle esportazioni padovane. 4 Nei primi nove mesi del 2011 cresce l’export padovano in India (+55%), Russia (+38,4), Turchia (+35,7), Cina (+20,6), Brasile (+13,7%). 2 3 10 Il 2012 si annuncia con il profilo della decrescita. Nel giudizio del 73% degli imprenditori padovani non vedrà l’uscita dalla crisi5. Eppure il calo di fiducia non ha fermato la voglia di fare impresa6. Un dato emerge con chiarezza: il nostro sistema produttivo sta uscendo dalla crisi profondamente trasformato. Un anno fa, sostenevo che “è cambiato il campo di gioco – da locale a globale –. Il baricentro della crescita mondiale si sta spostando verso i Paesi emergenti”. Tra il 2007 e il 2010, gli emergenti asiatici sono passati dal 20 al 30% della produzione mondiale. La Cina è saldamente prima. L’india quinta. L’Italia è scivolata dal quinto al settimo posto. Tutto attorno è cambiato e non possiamo stare fermi, se vogliamo che l’industria conservi la sua centralità. Noi dobbiamo esserci in quei mercati, e investire in reti produttive, distributive e logistiche. Ma occorre il coraggio di «rovesciare il tavolo»: di ricercare nuovi assetti organizzativi e gestionali, nuovi prodotti e servizi, nuove forme di aggregazione tra aziende, modelli più efficaci e robusti di impresa, con maggiori competenze tecniche, manageriali, finanziarie. E se molte piccole imprese non possono permettersi queste competenze, allora dobbiamo mettere insieme le forze. Confindustria Padova-Fondazione Nord Est: I tempi della ripresa, il Governo Monti e le politiche per la crescita - gennaio 2012. 6 Il saldo globale tra imprese nuove iscritte e cessate migliora nel 2011 di quasi 200 unità - InfoCamere: Movimprese. 5 11 Questa è la via per far emergere definitivamente un nuovo tipo di azienda manifatturiera. Imprese capaci non solo di integrarsi e di arricchire le funzioni produttive con nuove competenze “terziarie” – come la ricerca, l’ICT, la logistica, i servizi post-vendita – ma anche di produrre e “pensare” al di fuori dell’Italia. È da aziende come queste che dipende il nostro futuro produttivo e quello del nostro Paese. C’è quindi un grande lavoro da fare, anche da soli, perché sono questioni che richiedono decisioni imprenditoriali. Un lavoro che è iniziato – già prima della crisi – e di cui dobbiamo essere orgogliosi. Discontinuità per tornare a crescere Questo è ciò che possiamo, e dobbiamo fare noi come imprenditori. Ma per tornare ad investire, a crescere e creare lavoro per i giovani, le imprese non possono tuttavia essere lasciate sole. Con la stessa determinazione, con la stessa voglia di stupire con «misure impressionanti», il Governo deve mettere sul piatto la carta della crescita. Parliamo di infrastrutture, di mercato del lavoro più flessibile e inclusivo, di banda larga, di misure concrete per riattivare gli investimenti esteri. Parliamo di migliorare l’efficienza della Pubblica Amministrazione, accorciare drasticamente i tempi della 12 giustizia, elevare la qualità dell’istruzione, potenziare la tutela del welfare, incentivare la ricerca e l’innovazione. Parliamo di azioni da misurare nei fatti, di cantieri che si aprono – non in un faldone di carte, ma nella realtà –. È questa la “politica industriale” di cui abbiamo bisogno. Non sussidi, né assistenza, ma condizioni strutturali favorevoli alla crescita. Su impulso della Presidente Marcegaglia, Confindustria si è posta in prima linea nel delineare una strategia coerente e coraggiosa. A cominciare da una riforma fiscale per lo sviluppo, che riduca le tasse sui lavoratori e le imprese, i due pilastri che sostengono il nostro Paese. Libertà di assumere, con meno ostacoli Il confronto sul mercato del lavoro va colto in modo aperto, senza pregiudizi. La flessibilità in entrata ha consentito in questi anni di aumentare il tasso di occupazione. Gli ammortizzatori sociali hanno permesso di non recidere il legame con migliaia di lavoratori. Adesso bisogna avere il coraggio di intervenire anche sulla flessibilità in uscita, spostando l’attenzione e le tutele dal posto di lavoro al lavoratore. L’esperienza di altri Paesi mostra che questo può essere il fattore di un diverso dinamismo del mercato del lavoro. Ma 13 anche del necessario riequilibrio di tutele tra i lavoratori troppo garantiti e i giovani dal futuro sospeso. Da parte nostra, siamo pronti a sperimentare nel nostro territorio nuove soluzioni. Una cosa voglio dirla con chiarezza. Le migliaia di lavoratrici e di lavoratori con i quali condividiamo l’impegno quotidiano in azienda, sono la nostra vera forza. Davanti a me non vedo mille cinquecento imprenditori ansiosi di licenziare. Vedo mille cinquecento imprenditori ansiosi di assumere con meno ostacoli! Liberare risorse per la crescita significa, soprattutto, aggredire il tema della spesa pubblica. Un grande calderone nel quale si annidano tuttora sprechi, inefficienze e l’invadenza della politica. Il Governo vada al cuore del problema, tagliando di più dove la spesa è inefficiente e salvaguardando invece ricerca, formazione, università. La macchina pubblica va ridimensionata – a tutti i livelli –. Razionalizziamo le Province, accorpiamo i Comuni più piccoli, dimezziamo il numero dei parlamentari, le rappresentanze dei Consigli regionali, comunali e circoscrizionali! Che fine ha fatto il federalismo fiscale? La risposta onesta, è che non lo sa nessuno. E che varrebbe la pena ricominciare a occuparsene seriamente, 14 se vogliamo davvero riformare le amministrazioni pubbliche, tagliare la spesa improduttiva senza aumentare le tasse ai cittadini, colmare il divario Nord-Sud responsabilizzando i territori. Quando il Paese è chiamato a stringere la cinghia, è del tutto impensabile che non sia la politica per prima a ridurre energicamente i suoi privilegi. Senza strapparsi le vesti per la novità del calcolo del ricco vitalizio dei parlamentari con lo stesso sistema contributivo delle pensioni di tutti gli italiani! La politica torni a fare il suo mestiere Dopo il Governo di “impegno nazionale”, nulla sarà più come prima. L’Italia non dovrà solo mantenere gli impegni sul rigore e la crescita, ma tranquillizzare i mercati che le virtù del Governo “tecnico” resteranno una costante della vita politica. Diciamolo chiaro: quando la ricreazione della politica sarà terminata, non possiamo ripiombare nel teatrino inconcludente del «tutti contro tutti». La prima condizione per la crescita è infatti la coesione interna, politica e sociale, e la fiducia. Purtroppo, la distanza dal Paese reale, la litigiosità continua e sterile, la mancanza di senso del bene comune, segnalano uno specifico problema italiano che riguarda la credibilità della sua leadership politica. 15 Le conseguenze minano la fiducia nelle istituzioni e indeboliscono la forza propulsiva della comunità dei cittadini. Oggi c’è disillusione verso la politica. Ma è l’altra faccia di una domanda di buona politica che c’è. All’origine c’è, soprattutto, una legge elettorale che ha separato geneticamente i parlamentari dagli elettori, svuotando il legame di rappresentanza. È allora indispensabile il rinnovamento politicoistituzionale e una riforma della legge elettorale, che consenta di esprimere un Parlamento scelto dai cittadini, attraverso i collegi uninominali, e non nominato dai partiti. È compito del Parlamento assumere l’iniziativa. Ma davanti al pericolo di immobilismo, avvertiamo il dovere civile di rivolgere alle forze politiche un appello. Cambiate questa legge elettorale, spazzate via le liste bloccate, risparmiateci lo strazio del terzo Parlamento nominato anziché eletto. L’interesse del Paese superi ogni calcolo di convenienza politica. Ma se questo non dovesse accadere, se mancherà – ancora – la responsabilità di autoriformarsi, allora sia il Governo tecnico ad assumere l’iniziativa. Veneto: innovare la vocazione manifatturiera La dimensione globale impone un profondo cambiamento, anche al nostro territorio. 16 Dobbiamo avere chiaro l’obiettivo di medio termine: salvare la vocazione del Veneto come grande area manifatturiera e al tempo stesso innovarla. Un obiettivo che sta a cuore agli imprenditori, ma anche ai lavoratori e al sindacato. Per il futuro però dovremo ragionare in maniera selettiva. Presidente Zaia, la Regione dovrà assumere la leadership del cambiamento con scelte innovative. Concentrare le risorse disponibili, selezionando i comparti di eccellenza; incentivando – anche fiscalmente – le aggregazioni tra imprese e le reti innovative; integrando i parchi scientifici e i poli di ricerca e misurandoli sugli effettivi risultati di trasferimento tecnologico. Ma se non daranno reali benefici per le imprese, tanto vale chiuderli! Sull’internazionalizzazione, la positiva novità di Veneto Promozione deve trarre decisiva spinta dal raccordo con il sistema produttivo e dal coordinamento dei soggetti che, a vario titolo, si occupano di internazionalizzazione, per identificare i mercati più promettenti e radicarvi il maggior numero di imprese – da sole o in filiera –. Ma un disegno per il futuro non può prescindere dalla dimensione di area vasta. Scala dimensionale e selettività sono infatti cruciali per lo sviluppo e impongono di scardinare i confini provinciali. Tra i territori di Treviso, Vicenza, Venezia e Padova si addensa un’area omogenea e vitale di insediamenti produttivi e terziari che genera il 7% del Pil nazionale. 17 Una cerniera naturale tra il Mediterraneo e l’Europa del Nord e dell’Est. Una realtà di fatto, che tuttavia fatica ad essere riconosciuta dalla politica e dagli amministratori locali. Ma il cambiamento non può attendere. Può, anzi deve partire da noi. Se sapremo accelerare – dal basso – i processi di integrazione del nostro sistema associativo, la semplificazione della rappresentanza in scala “metropolitana”, ne deriverà la stessa spinta anche al sistema camerale, alla politica, alle Amministrazioni. Va in questa direzione l’accordo firmato giovedì scorso con Confindustria Vicenza – che per la prima volta mette a fattor comune servizi strategici come internazionalizzazione e ambiente e si aggiunge alle sinergie con altre Associazioni –. Un altro mattone a quella costruzione “di sistema” che deve andare avanti con volontà innovativa, e darsi l’obiettivo di un’unica “Confindustria Metropolitana”, capillare sul territorio nella rappresentanza e fortemente integrata nei servizi. Lo esigono i tempi, lo richiedono le nostre imprese, lo impone la rappresentanza dei loro interessi! Padova: “sistema” o declino L’intensità del cambiamento riguarda anche la nostra provincia. A fronte di trasformazioni e di risorse sempre più scarse, nessun attore locale – noi compresi – può perseguire i propri 18 obiettivi senza coordinarsi con gli altri, all’interno di un coerente piano di sviluppo. È questa l’idea che abbiamo perseguito nel confronto con le altre Associazioni, all’interno della Camera di Commercio, nel dialogo con gli Enti locali. Dobbiamo, purtroppo, constatare che collaborare fatica ancora ad affermarsi. la volontà di Le personalizzazioni e una malintesa competizione tra diversi soggetti locali, hanno frenato la condivisione di alcune priorità e dei conseguenti progetti da realizzare. Da anni ci si confronta sulla necessità di aiutare le aziende – di ogni dimensione – a crescere nei mercati giusti e a farlo in maniera organizzata; sull’urgenza di connettere la domanda di innovazione e il trasferimento tecnologico, attraverso un player “di sistema”. Ci siamo confrontati, sono state realizzate indagini e condivisi documenti. Ebbene, è ora di avviare la fase operativa iniziando, nel concreto, a condividere le soluzioni. Guardiamo avanti! Superiamo definitivamente la tara dei distinguo e delle contrapposizioni per finalizzare progetti e visioni – come il Centro Congressi, la connessione tra centri di ricerca, Parco Scientifico e aziende private, la sfida al Nord e all’Est Europa per la logistica delle merci –. A nessuno è richiesto di fare passi indietro. A tutti di determinare – insieme – un grande salto in avanti. 19 Diversamente, ben al di là dei nostri demeriti, dovremo accontentarci di una manutenzione ordinaria e di un «comodo declino». Per contrastare questa prospettiva, l’insieme degli attori locali è chiamato a individuare quei settori nei quali il sistema Padova può eccellere e a concentrare lì gli sforzi. Una di queste «vocazioni» è senz’altro la logistica, un settore strategico per la competitività di ogni comparto economico. Padova ha sviluppato negli anni una piattaforma di eccellenza, a cui ha dato ulteriore impulso la fusione tra Interporto e Magazzini Generali – per la lungimiranza degli Enti proprietari –. Guardiamo oltre, diamoci un nuovo obiettivo sfidante. La proposta che oggi portiamo all’attenzione dei soci pubblici e della comunità economica, è il processo di integrazione delle società Interporto Padova, Attiva e Zip. Dall’integrazione del know how specialistico di queste società e della disponibilità di aree infrastrutturate, può nascere un hub capace di offrire al mercato insediamenti chiavi in mano, servizi logistici e di trasporto integrati e di attrarre nuovi investimenti, anche dall’estero. Abbiamo scelto di diventare noi stessi promotori di questa iniziativa da cui il sistema locale potrà trarre concreti benefici. A questo scopo, Confindustria Padova ha commissionato uno studio di pre-fattibilità del progetto di fusione tra Interporto, Attiva e Zip. 20 L’obiettivo, in pochi mesi, è inquadrare la situazione di partenza, gli obiettivi strategici e i trend evolutivi, definire gli scenari di integrazione e le successive fasi del progetto. Una volta concluso lo studio, ne consegneremo i risultati agli azionisti pubblici e privati, che potranno decidere se affrontare la fase del piano industriale e quella dell’integrazione vera e propria. Siamo convinti di aver indicato un obiettivo concreto, fattibile, generatore di opportunità per il nostro territorio. Crediamo infatti che, nella nostra società complessa, è indispensabile il ruolo di un associazionismo capace di perseguire l’interesse generale. Conclusioni Cara Emma, Care Colleghe e Colleghi, sono tante le incognite con cui dobbiamo fare i conti, tante le sfide. Sono certo: sapremo batterci! Oggi serve lo spirito della ricostruzione. La crisi è stata la guerra di questa generazione. E – a parte le macerie visibili – c’è un sistema lesionato da ricostruire. Per questo si deve uscire da una visione ristretta degli interessi particolari e mettersi in gioco. C’è bisogno di speranza. Di quella speranza – dice Sant’Agostino – che è figlia della rabbia e del coraggio. A noi non mancano né l’una, né l’altro, come ho visto nelle centinaia di incontri con tanti di voi. Come sento e vedo oggi in questa sala. 21 Siamo pronti ad arrabbiarci, con il coraggio di cambiare davvero le cose! È una strada impegnativa, ma non ci fa paura. Perché è l’essenza del nostro mestiere di imprenditori. Il mestiere di chi accetta ogni giorno sfide nuove. Di chi progetta il domani, pensando al dopodomani. Di chi è abituato a rimettere in gioco le posizioni conquistate, perché si cresce solo così. Io sento – come voi – il peso e la responsabilità di questa stagione. Ma, al tempo stesso, la vivo come una sfida straordinaria. Non c’è sfida più grande che stare in prima linea. E questo difficilmente può capirlo chi non conosce l’attività d’impresa. È la sfida che vogliamo vincere insieme, per noi stessi, per i nostri collaboratori, per la nostra comunità. 22