Georg Wilhelm Friedrich HEGEL 1. LA VITA H. nacque nel 1770 a STOCCARDA (Prussia, oggi Germania), visse gli eventi della Rivoluzione francese e dell’età napoleonica con entusiasmo sostenendo con fervore i principi stessi della rivoluzione (libertà – uguaglianza...). Gli eventi della storia francese furono determinanti nello sviluppo del suo pensiero, soprattutto in ambito politico. Visse in diverse città della Germania e della Prussia dove lavorò prima come precettore privato e poi come professore ordinario. Fu redattore capo di un giornale ispirato alla politica napoleonica e direttore del ginnasio di Norimberga. Morì a BERLINO, forse di colera nel 1831. 2. GLI SCRITTI Possiamo suddividere le opere di H. in due periodi: opere giovanili e scritti della maturità. In entrambi i periodi H. ha di fronte la REALTÀ DELLA STORIA UMANA E DELLA VITA DEI POPOLI. Le opere giovanili hanno prevalentemente un interesse RELIGIOSO-POLITICO. Furono composte tra il 1793 e il 1800, ma furono pubblicate solo all’inizio del XX sec. Rientra nelle opere giovanili un primo accenno del suo sistema. Le grandi opere della maturità vedono il suo interesse religioso trasformarsi in interesse STORICOPOLITICO. Esse sono, in ordine cronologico, la Fenomenologia dello spirito del 1807, la Scienza della logica, pubblicata a Norimberga e l’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (pubblicata nel 1817) dove H. formula il suo sistema in modo ormai compiuto. A Berlino, nel 1821, pubblica, infine, quella che può essere considerata la sua opera più significativa: Lineamenti di filosofia del diritto. Dopo la sua morte i suoi studenti raccolsero, ordinarono e pubblicarono i suoi corsi di Berlino. Noi analizzaremo due opere dell’età adulta: la Fenomenologia dello spirito e l’ Enciclopedia delle scienze filosofiche. 3. L’ETÀ GIOVANILE L’importanza degli scritti giovanili di H. fu messa in luce solo nel XX sec. L’argomento dominante è TEOLOGICO, ma esso è strettamente connesso alla POLITICA. H., influenzato dagli echi della Rivoluzione francese, è convinto che non possa esserci RIVOLUZIONE POLITICA senza una RIGENERAZIONE MORALE E RELIGIOSA DELL’UOMO. Solo una rigenerazione delle persone, del singolo individuo nella sua vita interiore e del popolo nella sua cultura possono permettere la realizzazione di un’autentica rivoluzione politica. Quindi il tema religioso e quello politico formano in H. UN’UNITÀ INSCINDIBILE, ma perchè? Ciò è dovuto sia al contesto culturale e politico in cui H. opera sia alla sua formazione personale. In Germania, infatti, religione e politica avevano una connessione particolarmente profonda a causa della Riforma protestante (Chiese riformate e principi tedeschi costituivano un insieme omogeneo). H. è convinto che la RIVOLUZIONE nelle ISTITUZIONI possa avvenire solo come conseguenza esteriore di una maturazione avvenuta all’interno della coscienza del popolo. H. chiarisce il nesso tra religione e politica: occorre una NUOVA FORMA DI RELIGIONE fondata sulla “COMUNANZA DEI CUORI” perchè possa nascere un ORDINE POLITICO EGUALITARIO. Ciò significa che ciascun cittadino dovrà imparare a riconoscere nella vita interiore di ogni altro individuo il riflesso dell’unica vita di Dio. Lo spirito di Dio, infatti, s’incarna nella storia non attraverso leggi e precetti morali, ma attraverso la vita stessa degli uomini. Nella fase matura del suo pensiero H. modificherà il proprio pensiero e preferirà riporre la propria fiducia non più nella religione, ma nella filosofia. Questo perchè il COMPITO DELLA FILOSOFIA È, PER 1 PROPRIO QUELLO DI CONCETTUALIZZARE L’UNITÀ DI UMANO E DIVINO, L’ASSOLUTO INTESO COME TOTALITÀ VIVENTE IN CUI TUTTO VA COMPRESO. H., Per H. la rivoluzione dello spirito dell’uomo e dei popoli non nascerà più dalla religione, ma dall’oggettiva evoluzione storica e dalla ricerca filosofica. 4. TESI DI FONDO Per poter seguire lo sviluppo del pensiero di H. è indispensabile aver chiare quelle che sono le sue tesi di fondo. Esse rappresentano infatti i capisaldi e, al tempo stesso le fondamenta, del suo pensiero. Esse sono quattro: 1. LA RISOLUZIONE DEL FINITO NELL’INFINITO 2. L’IDENTITÀ TRA RAGIONE È REALTÀ 3. LA FUNZIONE GIUSTIFICATRICE DELLA FILOSOFIA 4. LA DIALETTICA 1. FINITO E INFINITO H. con l’espressione “risoluzione del finito nell’infinito” allude al fatto che la REALTÀ è un ORGANISMO UNITARIO NON UN INSIEME DI SOSTANZE AUTONOME. Tutto ciò che esiste o è parte di questo organismo unitario (la realtà) o ne è una manifestazione. Esso COINCIDE CON L’ ASSOLUTO E CON L’INFINITO, mentre i diversi enti del mondo coincidono con il finito, ma essendo l’infinito l’unica realtà IL FINITO ESISTE SOLO COME ESPRESSIONE PARZIALE DELL’INFINITO. Il FINITO (il mondo) è visto da H. come MANIFESTAZIONE, MOMENTO NECESSARIO, REALIZZAZIONE DELL’INFINITO (Assoluto, Dio, spirito); pertanto FINITO E INFINITO COINCIDONO. L’ASSOLUTO (l’infinito) si identifica con un SOGGETTO SPIRITUALE IN DIVENIRE, di cui tutto ciò che esiste è un momento del processo stesso di realizzazione dello spirito. In questo modo la realtà non è qualcosa di immutabile di “già dato”, ma un processo di auto-produzione che solo alla fine, cioè nell’uomo, acquista piena coscienza di sè (PANTEISMO IDEALISTICO E DINAMICO). 2. RAGIONE È REALTÀ L’IDENTITÀ DI REALTÀ E RAGIONE non indica per H. la possibilità che la realtà sia penetrata o compresa dalla ragione, ma un QUALCOSA DI NECESSARIO. H. parla di un’identità totale e sostanziale, tant’è vero che il soggetto spirituale infinito, alla base della realtà stessa, viene chiamato “idea” o “ragione” entrambi termini che esprimono identità di pensiero (ragione) ed essere (realtà). Per H. “Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale”, con questo aforisma H. intende dire che la razionalità è la forma stessa di ciò che esiste, in quanto la ragione costituisce e “governa” il mondo; e al tempo stesso, che la realtà non è un qualcosa di caotico e casuale, ma l’evolversi di una qualcosa di razionale (l’idea o la ragione) che si manifesta inconsapevolmente nella natura e con consapevolezza nell’uomo. La RAGIONE non è quindi un’astrazione, ma la FORMA STESSA DELLA REALTÀ VISTA COME SVILUPPO DELL’IDEA. L’identità di realtà e ragione implica un’altra IDENTITÀ ossia quella di ESSERE E DOVER ESSERE. Per H. CIÒ CHE ESISTE È CIÒ CHE RAZIONALMENTE DEVE ESSERE. Il mondo è ragione reale e realtà razionale che si manifesta attraverso una serie di momenti necessari che non possono essere diversi da come sono. Da qualunque punto di vista lo si guardi, il mondo appare sempre come un insieme di connessioni e passaggi obbligati che rappresentano aspetti di un’unica idea o ragione. Ogni “momento” è il risultato di “momenti” precedenti e la premessa di “momenti” che seguiranno, in una realtà intesa come TOTALITÀ PROCESSUALE NECESSARIA fatta appunto da una serie ascendente di passaggi. 3. FUNZIONE DELLA FILOSOFIA COMPITO DELLA FILOSOFIA dev’essere: PRENDERE ATTO DELLA REALTÀ E COMPRENDERE LE STRUTTURE razionali che la costituiscono. La filosofia deve rinunciare alla pretesa assurda di Per H. determinare e guidare la realtà, essa deve soltanto elaborare in concetti il contenuto reale offerto dall’esperienza dimostrandone, con la riflessione, la razionalità in essa intrinseca. 2 H. paragona la filosofia alla Nottola di Minerva (una specie di civetta, uccello sacro alla dea Minerva, la quale nasce dal cervello di Giove e rappresenta la sapienza): come la nottola inizia il suo volo al crepuscolo, quando il sole è già tramontato, così la filosofia sopraggiunge quando la realtà è già bell’è fatta, il mondo ha già compiuto il suo processo di formazione. Per questo motivo la filosofia non può spiegare la realtà, ma deve limitarsi a prenderne atto. La filosofia non ha il compito di trasformare la società, di determinarla o di guidarla, ma di spiegarla e può spiegarla solo al termine del suo processo di realizzazione. Infatti, un periodo storico può essere pienamente compreso solo al termine del suo sviluppo, quando ha espresso tutte le sue potenzialità. Ogni “nuova” filosofia i sviluppa quando una civiltà ha ormai compiuto il suo processo di formazione e si avvia al declino. 4. LA DIALETTICA Per H. l’Assoluto è fondamentalmente “divenire”. Il divenire dell’Assoluto è regolato da una legge, tale legge è la dialettica. LA DIALETTICA È CIOÈ LA LEGGE DELL’ASSOLUTO. La dialettica rappresenta al tempo stesso la legge di sviluppo della realtà (ontologica) e la legge di comprensione della realtà (logica). É legge della razionalità, ma anche della realtà essendo le due cose inscindibili. La dialettica è una proprietà dei pensieri e una proprietà delle cose. Essa consiste in un “movimento” triadico circolare che spiega lo sviluppo dei rapporti tra i concetti. LA DIALETTICA PREVEDE TRE MOMENTI: UNO POSITIVO (TESI), UNO NEGATIVO DI OPPOSIZIONE (ANTITESI), E UNO DI CONCILIAZIONE - MEDIAZIONE DEGLI OPPOSTI (SINTESI). H. DEFINISCE IL PRIMO MOMENTO ASTRATTO O INTELLETTUALE, IL SECONDO DIALETTICO O NEGATIVORAZIONALE E IL TERZO SPECULATIVO O POSITIVO-RAZIONALE. Il momento intellettuale, che rappresenta il grado più basso della ragione, consiste nel considerare i concetti opposti del pensiero come del tutto distinti e separati gli uni dagli altri (il bene distinto dal male, la vita dalla morte, ecc.). IL PENSIERO SI LIMITA A CONSIDERARE LE REALTÀ LE UNE DISTINTE DALLE ALTRE lasciandosi guidare dai principi di identità e di non contraddizione, secondo cui ogni cosa è uguale a se stessa ed è assolutamente diversa dalle altre. Si limita ad analizzare differenze reciproche essendo l'intelletto la facoltà del dividere, del classificare, esso separa e irrigidisce i concetti; è pensiero astratto. Nel momento dialettico o negativo-razionale, interviene la ragione, che mette in evidenza i limiti dell'intelletto: infatti la ragione dimostra che ogni concetto, per essere compreso, non dev'essere isolato da tutti gli altri, ma, al contrario, va messo in relazione con la sua negazione, col suo opposto. Infatti ogni affermazione sottindente una negazione tant’è vero che per specificare ciò che una cosa è, bisogna chiarire, al tempo stesso, ciò che essa non è: il bene, per essere compreso, va messo in relazione con l'esperienza concreta del male, il concetto di “uno” richiama quello di “molti”, il particolare richiama l’universale e così via. Se isoliamo totalmente un concetto dal suo opposto, questo concetto perde di significato e addirittura si confonde e si rovescia nel suo opposto. Il momento, speculativo o positivo-razionale, consiste nel cogliere l’unità delle determinazioni opposte. La ragione si rende conto che ogni coppia di idee opposte si trova sempre contenuta in un'altra idea superiore che ne rappresenta la sintesi, ossia la loro correlazione. Ad esempio l'idea del vendere è l'opposto di quella del comprare, ma l'una non può sussistere senza l'altra, ed entrambe sono contenute in un’altra idea che le mette in relazione, quella del commercio. Dall’analisi fatta è chiaro come, per H., INTELLETTO E RAGIONE siano IN CONTRAPPOSIZIONE: l’intelletto è un modo di pensare “statico” che considera gli enti solo nella loro reciproca esclusione; è l’organo del finito; la ragione invece è un modo di pensare “dinamico” che è in grado di cogliere la concretezza del reale. La ragione in quanto dialettica mette in relazione gli opposti e in quanto speculativa coglie l’unità degli opposti realizzandone la sintesi. Essa è organo dell’infinito, lo strumento che “permette” al finito di risolversi nell’infinito. SINTETIZZANDO LA DIALETTICA CONSISTE: 1. NELL’AFFERMAZIONE DI UN CONCETTO ASTRATTO E LIMITATO, CHE FUNGE DA TESI; 2. NALLA NEGAZIONE DI QUESTO CONCETTO, COME QUALCOSA DI LIMITATO O FINITO, CONCETTO OPPOSTO, CHE FUNGE DA ANTITESI E NEL PASSAGGIO AL 3 3. NELL’UNIFICAZIONE DI TESI E ANTITESI IN UNA SINTESI POSITIVA CHE LE COMPRENDE ENTRAMBE. La sintesi è detta anche negazione della negazione, in essa, infatti, gli opposti vengono negati nella loro negatività (cioè nella loro separazione) e affermati nella loro unità in un concetto superiore. La sintesi diventa allora una ri-affermazione potenziata dell’affermazione iniziale (tesi) ottenuta tramite la negazione della negazione intermedia (antitesi). H. indica questo processo col termine “Aufhebung”, che esprime l’idea di un superamento, inteso sia come "togliere" (auf) sia come "conservare" (hebung). Infatti nel terzo momento gli opposti sono tolti dal loro isolamento e conservati nella loro unità. Per H. ogni sintesi diviene, a sua volta, tesi di una successiva triade. In tal modo lo spirito passa da sintesi particolari a sintesi sempre più vaste. Ad esempio, il mercato (compra-vendita-commercio) è solo una delle componenti di una sintesi più vasta, la società, e questa di una sintesi ancora più ampia, lo Stato, ecc. Il processo dialettico è, tuttavia, a sintesi chiusa. Se fosse aperto, infatti, cioè se non si concludesse mai, l'Assoluto non avrebbe mai il pieno possesso di se stesso e questo H. non potrebbe accettarlo, opta quindi per una dialettica a sintesi finale chiusa, cioè per una dialettica che ha un ben preciso punto di arrivo: lo Spirito Assoluto. 5. LE PARTIZIONI DELLA FILOSOFIA: IDEA, NATURA E SPIRITO Il sistema di H. è diviso in tre sezioni, tre momenti strutturali dell’idea, che permettono il dinamismo dell’Assoluto stesso; ad essi H. fa corrispondere tre sezioni in cui divide il sapere filosofico. Il disegno complessivo è quello di una grande triade dialettica (tesi-antitesi-sintesi) proposta da H. nell’Enciclopedia. 1. L’IDEA “IN SÈ E PER SÈ” o idea “pura” è l’idea considerata in se stessa, a prescindere dalla sua concreta realizzazione nel mondo. Essa corrisponde al principio logico-razionale potenzialmente in grado di modellare la realtà. Lo studio dell’idea in sè e per sè è la SCIENZA DELLE LOGICA; la logica, infatti, studia l’idea nel suo essere implicito e poi nel suo graduale esplicarsi, ma sempre a prescindere dalla sua concreta realizzazione nella natura e nello spirito. Alla logica H. dedica l’opera “ Scienza della logica ”. TESI 2. L’IDEA “FUORI DI SÈ” o idea “nel suo esser altro” è la natura cioè la realizzazione nel tempo e nello spazio del principio logico-razionale, è l’alienazione dell’idea nelle realtà spazio-temporali del mondo. Lo studio dell'idea fuori di sé è la FILOSOFIA DELLA NATURA che è appunto “la scienza dell’idea nel suo alienarsi da sè”.H. dedica alla Filosofia della natura la seconda parte della “ Enciclopedia”. ANTITESI 3. L'IDEA CHE “RITORNA IN SÉ” è lo Spirito, la coscienza, l'uomo; l’idea, dopo essersi fatta natura, torna “presso di sè” nell’uomo. Lo studio dell'Idea che ritorna in sé è la FILOSOFIA DELLO SPIRITO che è la “scienza dell’idea, che dal suo alienamento ritorna in sè”. Con la comparsa dell'uomo, la natura raggiunge la sua espressione più alta; nell'uomo l'Idea diventa finalmente spirito. H. dedica alla filosofia dello spirito parte dell’ “Enciclopedia” e l'opera “ Lineamenti di filosofia del diritto ”. 4 SINTESI Le SEZIONI DEL SAPERE FILOSOFICO sono riassumibili in questo schema generale che poi analizzaremo con lo studio dell’”Enciclopedia”: dottrina dell’essere LOGICA dottrina dell’essenza studia l’idea in sè e per sè dottrina del concetto meccanica fisica FILOSOFIA DELLA NATURA fisica organica studia l’idea fuori di sè antropologia soggettivo fenomenologia psicologia FILOSOFIA DELLO SPIRITO diritto oggettivo studia l’idea che ritorna in sè moralità eticità arte assoluto religione filosofia 5 LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO La “Fenomenologia dello spirito” è l’opera in cui H. illustra il CAMMINO CHE LA COSCIENZA COMPIE PER GIUNGERE AL PUNTO DI VISTA DELL’ASSOLUTO (alla conoscenza vera e assoluta). La coscienza individuale parte dalla constatazione di un dualismo fra soggetto e oggetto, fra spirito e materia, e, solo dopo molto pellegrinare, comprende che quel dualismo è solo apparente: SOGGETTO E OGGETTO, SPIRITO E MATERIA, SONO SOLO TAPPE DEL PROCESSO DIALETTICO ATTRAVERSO CUI L’ASSOLUTO SI FORMA E PRENDE COSCIENZA DI SÉ. Il termine “fenomenologia” deriva dal greco: phainómenon (apparenza, fenomeno) e lógos (discorso, dottrina) esso indica allora la scienza di ciò che appare. Ma per H. l’intera realtà è spirito quindi la fenomenologia rappresenta l’apparire dello spirito a se stesso; LO SPIRITO DEVE COMPIERE UN PERCORSO PER GIUNGERE ALLA CONSAPEVOLEZZA DI ESSERE TUTTA LA REALTÀ, CIOÈ L’”ASSOLUTO” INTESO QUALE IDENTITÀ DI FINITO E INFINITO, DI REALE E RAZIONALE. Nella Fenom. H. descrive proprio il progressivo affermarsi e conoscersi dello spirito e lo fa attraverso una serie di “FIGURE”, cioè di TAPPE IDEALI che possono essere intese come MOMENTI DELLA CONQUISTA DELLA VERITÀ DA PARTE DELL’UOMO, infatti ogni tappa trova un riferimento nel corso della storia ed esprime un settore della vita umana: conoscenza, società, religione,... La Femon è una storia, è la STORIA ROMANZATA DELLA COSCIENZA, che attraverso una serie di vicissitudini, per lei causa di infelicità e dolore, deve uscire dalla propria individualità per raggiungere l’universalità e riconoscersi nell’identità realtà/ragione. Ma la Fenom ha anche una funzione pedagogica infatti poichè è impossibile arrivare alla filosofia come scienza, se non mostrandone il divenire, la fenomenologia, in quanto divenire della filosofia, prepara e introduce il singolo alla filosofia, cioè lo guida nel riconoscersi e nello spirito universale. La Fenom è divisa in due parti: 1. la prima parte comprende i tre momenti: A. della COSCIENZA, fase in cui predomina l’attenzione verso l’oggetto (tesi); B. dell’AUTOCOSCIENZA dove l’attenzione è verso il soggetto (antitesi); C. e della RAGIONE in cui si arriva a riconoscere l’unità profonda di soggetto e oggetto, di io e mondo, di interno ed esterno sintetizzando così i due momenti precedenti (sintesi). 2. la seconda parte comprende le tre sezioni dello SPIRITO, della RELIGIONE e dello SPIRITO ASSOLUTO. Analizzeremo la prima parte della Fenom in modo approfondito, mentre accenneremo solo alle tematiche principale della seconda parte, poichè lo stesso H. in una rilettura della Fenom. eliminerà questa parte in quanto “sostituita” dalla filosofia dello spirito e anche, per alcuni aspetti, dalla filosofia della storia. 1. A. COSCIENZA Per coscienza H. intende ciò che si rapporta ad un “oggetto”, cioè a qualcosa che viene percepito come esterno, come altro da sè. La coscienza, da cui inizia la consapevolezza di sé, è rappresentata proprio dall'incontro dell'individuo con l'oggetto. È attraverso il confronto sensibile con gli oggetti che ci rendiamo conto della nostra esistenza. L'incontro con l'oggetto si sviluppa attraverso tre fasi pertanto la coscienza si divide a sua volta nei tre momenti della CERTEZZA SENSIBILE, DELLA PERCEZIONE E DELL’INTELLETTO. 1. certezza sensibile: a prima vista sembra la forma di conoscenza più certa possibile, infatti si è certi che esiste l'oggetto rivelato dai sensi; in realtà essa è la forma di conoscenza più astratta e indeterminata, perchè essa rende certi solo di una cosa generica e indeterminata: questa casa, quest’albero... cose presenti davanti a noi (qui ed ora) e non dell’oggetto in quanto tale: l’albero, la casa... 2. percezione: in questa fase obiettivo è far si che le diverse proprietà degli oggetti ( bianco, spesso, insipido...) possano essere riportate ad un unico punto di riferimento che permetta di avere una visione unitaria della realtà.Tutta la varietà delle qualità sensibili deve quindi essere riportata a un punto fisso di riferimento: il sostrato, la sostanza presente in tutte le cose allo 6 stesso modo, ma che non siamo in grado di percepire poichè, per H., l’oggetto non può essere percepito come uno, se prima l’io non riconosce che l’unità dell’oggetto è da lui stesso stabilita. 3. intelletto: visto che non siamo in grado di conoscere questo sostrato sul quale “agiscono” (tramite connessioni) le qualità, dobbiamo pensare che l'unità non stia nell'oggetto, ma nel soggetto che unifica le sensazioni tramite l'intelletto. L’intelletto consiste allora, nella capacità di cogliere gli oggetti, non come tali (in base alle qualità che sembrano costituirli), ma come “fenomeni” cioè solo come risultati di un qualcosa, di una “forza” che agisce sul soggetto secondo una legge determinata. A questo punto la coscienza ha interiorizzato l'oggetto in sè ed è diventata coscienza di sé, ovvero autocoscienza: non ha più bisogno di riferirsi agli oggetti per avere coscienza di sè, ha capito che la CERTEZZA DELLA PROPRIA ESISTENZA È DATA DALLA SUA ATTIVITÀ INTELLETTUALE. 1. B. AUTOCOSCIENZA Con l’autocoscienza l’attenzione si sposta dall’oggetto al soggetto cioè all’attività concreta dell’io, considerato nei suoi rapporti con gli altri. Per questo motivo H. fa riferimento alla società, alla storia della filosofia, alla religione e non più solo ad un ambito puramente gnoseologico (della conoscenza). Rientrano in questa sezione alcune tra le figure più famose della Fenom. quali quella del “servo signore” e quella della “coscienza infelice”. 1. B. 1. SERVITÙ E SIGNORIA Per H. l’autocoscienza richiede necessariamente la presenza di altre autocoscienze che la riconoscano infatti l’uomo è autocoscienza solo se riesce a farsi riconoscere da un altro essere libero e pensante (altra autocoscienza). Per H. il RICONOSCIMENTO PUÒ AVVENIRE SOLO ATTRAVERSO UN MOMENTO DI LOTTA E DI SFIDA e non grazie all’amore, come aveva ipotizzato in età giovanile (influenzato dal Romanticismo). L’amore, infatti, non soffermandosi sull’aspetto drammatico della separazione, manca del “negativo” necessario al riconoscimento. Nel conflitto ogni autocoscienza dev’essere pronta a tutto pur di affermare la propria indipendenza, ma il processo non si può concludere con la morte, la quale annullerebbe la dialettica del riconoscimento, bensì con il SUBORDINARSI DI UN’AUTOCOSCIENZA ALL’ALTRA NEL RAPPORTO SERVO-SIGNORE. Il signore, nel rischiare la propria vita proteggendo quella dei deboli, ha raggiunto il suo scopo, e si è affermato su quello che è divenuto il suo servo. Anche il servo però diventa importante per il signore poiché dal lavoro di quello dipende il suo stesso mantenimento in vita. Il servo, lavorando, dà al padrone ciò di cui ha bisogno. Il padrone non riesce più a fare a meno del servo in questo modo il servo compie un percorso verso l’indipendenza e il rapporto di subordinazione si rovescia. Il padrone diviene a sua volta servo, poiché è strettamente legato al lavoro del servo, e il servo diviene padrone del padrone grazie alla sua attività produttiva. In questa inversione dialettica dei ruoli tuttavia i ruoli originari non sono sostituiti, ma ad essi se ne aggiunge uno nuovo che è l'opposto. Infatti il passato di servo e signore non viene eliminato del tutto, ma in ognuno è in parte tolto, e nello stesso tempo conservato, il ruolo originario. Il servo compie il suo PERCORSO DI PROGRESSIVA ACQUISIZIONE D’INDIPENDENZA attraverso tre momenti: la paura della morte → della perdita assoluta della propria essenza, essa ha reso lo schiavo schiavo, ma, al tempo stesso, gli ha permesso di sperimentare se stesso come qualcosa di distinto da quella realtà con la quale prima si identificava; il servizio → nel quale la coscienza si autodisciplina e impara a vincere i propri impulsi naturali in ogni momento; l’indipendenza-il lavoro → in ciò che produce, il servo mette tutto se stesso e non solo la sua forza materiale (il padrone, invece,si limita ad utilizzare gli oggetti prodotti) per questo il lavoro assume per il servo valore formativo e “mezzo” per raggiungere l’indipendenza dagli oggetti. Poiché le cose non sono di sua proprietà, il servo riesce a dominare i propri desideri: dunque, attraverso il lavoro, l'autocoscienza acquisisce anche la dignità. Il servo scopre che attraverso il lavoro egli nega al mondo materiale la sua esistenza separata. Il lavoro permette, allora, all’autocoscienza di riconoscersi in qualcosa di oggettivo che è appunto il mondo umanizzato 7 dal lavoro. L’opera prodotta rappresenta il riflesso, nelle cose, della raggiunta indipendenza (autonomia) del servo rispetto agli oggetti. 1. B. 2. STOICISMO E SCETTICISMO Il raggiungimento dell' indipendenza dell’io nei confronti delle cose (ultimo dei tre momenti della dialettica servo-padrone), coincide con lo stoicismo, ossia quella visione del saggio che ritiene di poter fare a meno delle cose e quindi si sente al di sopra della natura raggiungendo così l'autosufficienza e la libertà da ciò che lo circonda. Ma lo stoico s'illude di eliminare la realtà che invece continua a sussistere e ad influenzare la sua vita: i condizionamenti rimangono e la realtà esterna non è affatto negata. ⇒ LO STOICISMO: IGNORA LA NATURA Chi invece riesce a negare valore all’oggettività della natura è lo scettico. Egli “sospende l’assenso” su tutto ciò che comunemente è ritenuto vero e reale ⇒ LO SCETTICISMO: NEGA LA NATURA. Tuttavia lo scettico si contraddice, poiché da un lato dubita della realtà e dichiara che tutto è vano e incerto, mentre dall'altro vorrebbe poter sostenere qualcosa di reale e vero. 1. B. 3. LA COSCIENZA INFELICE La contraddizione tra la negazione della verità e l’affermazione di una verità (che afferma che non c’è niente di vero), diventa esplicita nella figura della “COSCIENZA INFELICE” in cui la contraddizione diventa separazione tra l’uomo e Dio. Questa opposizione uomo/Dio, che coincide con l’opposizione finito/infinito, produce una ROTTURA NELLA COSCIENZA CHE LA RENDE INFELICE. Questa scissione appare evidente nell'ebraismo, dove il Dio è visto come un essere totalmente trascendente, “intrasmutabile”, padrone assoluto della vita e della morte, un Signore inaccessibile di fronte a cui l’uomo, “trasmutabile”, si trova in uno stato di totale dipendenza. Per certi versi vi sarebbe fra Dio e l’uomo un rapporto di signoria-servitù la situazione sociale viene così a riprodursi in ambito religioso. In un secondo momento, con il Cristianesimo medievale, questa divisione sembra essere superata in quando Dio si assimila all'uomo incarnandosi. In realtà non c’è risoluzione perchè Cristo, con la propria resurrezione, ritorna ad allontanarsi dall'uomo, superando la sua stessa incarnazione, inoltre, il Dio incarnato è vissuto storicamente in un tempo lontano e irripetibile e per questo i posteri non hanno potuto assistere al miracolo dell'incarnazione di un Dio che ora appare separato dalla storia e lontano dai credenti. Pertanto la SCISSIONE È TUTT'ALTRO che risolta, e LA COSCIENZA, SENTENDOSI ANCORA SEPARATA DALL'ASSOLUTO, PERMANE NELL'INFELICITÀ e Dio continua a presentarsi come un “irraggiungibile al di là che sfugge” L’uomo cristiano-medievale manifesta l’infelicità della coscienza in tre modi diversi (sotto-figure): 1. la devozione, con cui l’uomo si mortifica ed umilia riconoscendo TUTTO IN DIO E NIENTE IN SÉ. La devozione è quel pensiero, a sfondo sentimentale e religioso, che non è ancora concetto è solo sentimentalismo, sentimento e, per H. non porta all’infinito; 2. il fare e l’operare: attraverso le opere di bene l’uomo spera di congiungersi con Dio. La coscienza rinuncia a un contatto immediato con Dio e dirige il proprio desiderio verso il mondo e il lavoro. Tuttavia, egli ritiene che le sue forze e le sue opere siano un dono di Dio, da ciò deriva un’ulteriore mortificazione in quanto l’uomo riconosce, in questo modo, la sua dipendenza e separazione da Dio. 3. la mortificazione di sé e del proprio corpo con le pratiche ascetiche. Completa negazione dell’io a favore di Dio. È il punto più basso, il fondo dell’infelicità. La presa di coscienza del proprio valore, dopo aver toccato il punto più basso, con la mortificazione di sé nei confronti della divinità, è il passaggio alla Ragione. Ciò avviene nel Rinascimento e nell’età moderna, quando l'uomo riprende coscienza della propria forza ed inizia il cammino per raggiungere l'Assoluto. C. RAGIONE Come soggetto assoluto, l’autocoscienza diventa dunque ragione e assume in sè ogni realtà. Nei momenti precedenti la realtà era percepita come negazione di sè, qualcosa di diverso e di opposto e per questo insopportabile; ora invece l’autocoscienza sa che NESSUNA REALTÀ È QUALCOSA DI 8 DIVERSO DA SÈ e quindi ESSERE OGNI REALTÀ” può sopportarla. La ragione è, per H., la coscienza che ha la “CERTEZZA DI L’acquisizione di questa certezza avviene attraverso tre momenti: a) LA RAGIONE OSSERVATIVA: è la ragione che osserva la natura, ossia la scienza che considera il mondo come penetrabile dalla ragione. Nel Rinascimento L'UOMO RIACQUISTA LA RAGIONE che gli indica come sia inutile la ricerca di un Dio trascendente, mentre questo è vivo e presente nella natura stessa. La scienza ha, allora, la “pretesa” di conquistare l'Assoluto tramite l'osservazione scientifica della realtà. Ma LA DESCRIZIONE CHE LA SCIENZA FA DEL MONDO NON VUOL DIRE IMPOSSESSARSI DEL MONDO TRAMITE LA LEGGE E L’ESPERIMENTO; quindi, ancora una volta, la totalità sfugge al potere dell'uomo. Pur cercando apparentemente altre cose, la ragione cerca in realtà se stessa → cerca sé stessa in altro. . b) LA RAGIONE ATTIVA: dalla ragione osservativa si passa a quella attiva, alla descrizione del mondo si sostituisce l’AZIONE SUL MONDO, la volontà di USARLO E GODERNE. La ragione agisce e lo fa attraverso tre stadi (figure): 1. "il piacere e la necessità": l'individuo deluso dalla scienza e dalla ricerca naturalistica si getta nella vita alla ricerca del proprio godimento. L’uomo teso al PIACERE MONDANO, CERCA L’AFFERMAZIONE DI SÉ, GODENDOSI LA VITA FINO IN FONDO; ma nel piacere l'individuo inevitabilmente incontrerà il suo destino che metterà fine a ogni piacere; l’uomo è destinato al fallimento, perché in fondo al piacere c’è il nulla; 2. l'individuo cercherà allora di opporsi al corso ostile del mondo appellandosi alla "legge del cuore e il delirio della presunzione". La coscienza avverte in sé L’UNIVERSALITÀ COME LEGGE DEL CUORE, sostituendo il benessere dell’umanità al proprio piacere. È singolarità che vuole essere immediatamente universalità e quindi è negativa e dev’essere superata; 3. L'individuo allora prenderà come sua guida "la virtù", ossia un AGIRE IN GRADO DI PROCEDERE OLTRE L'IMMEDIATEZZA DEL SENTIMENTO E DELLE INCLINAZIONI SOGGETTIVE. Ma il contrasto tra la virtù, il bene concepito astrattamente e la realtà del mondo, si concluderà con la sconfitta del "cavaliere della virtù" e il fallimento della ragione stessa. c) L’INDIVIDUALITÀ IN SÈ E PER SÈ: la ragione acquisisce la coscienza di essere spirito. Supera le opposizioni con il mondo e gli altri, trovando in loro il suo contenuto. L'individualità, pur mirando a raggiungere la propria realizzazione, rimane tuttavia, astratta e inadeguata. Per mostrarlo H. si serve ancora di tre "figure": 1. "IL REGNO ANIMALE DELLO SPIRITO": agli sforzi e alle ambizioni di una VIRTÙ che dovrebbe realizzare il bene di tutti, MA CHE FALLISCE, segue un atteggiamento di impegno e dedizione ai propri compiti particolari. Ma c'è un inganno. L'individuo tende a spacciare la sua OPERA come il dovere morale stesso, mentre essa ESPRIME SOLTANTO IL PROPRIO INTERESSE PERSONALE. Non esiste vera morale se non è universale. 2. "LA RAGIONE LEGISLATRICE" LEGGI che valgano per tutti. : L'AUTOCOSCIENZA avvertendo l'inganno, CERCA IN SE STESSA DELLE Tuttavia tali leggi che pretendono d'essere UNIVERSALI in effetti nascono dalla propria volontà individuale e quindi si rivelano autocontradditorie. 3. "LA RAGIONE ESAMINATRICE DELLE LEGGI": l'autocoscienza cerca delle leggi assolutamente valide che s'impongano a tutti nessuno escluso. Ma così facendo L'INDIVIDUO SI DEVE PORRE AL DI SOPRA DELLE LEGGI STESSE, RIDUCENDONE quindi, LA VALIDITÀ e l'incondizionatezza. Con tutte queste figure H. vuole dirci che se ci si pone dal punto di vista dell'individuo si è inevitabilmente costretti a non raggiungere mai l'universalità. Quest'ultima si trova soltanto nella fase dello "Spirito" 9 RAPPRESENTIAMO IN UNO SCHEMA RIASSUNTIVO LA PRIMA PARTE DELLA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO certezza sensibile percezione COSCIENZA tesi intelletto paura della morte indipendenza/dipendenza (signoria e servitù) servizio lavoro AUTOCOSCIENZA antitesi stoicismo scetticismo liberazione coscienza infelice (ebraismo, cristianesimo medievale) osservativa osservazione della natura il piacere e la necessità RAGIONE attiva la legge del cuore sintesi la virtù individualità in sè e per sè il regno animale dello spirito la ragione legislatrice la ragione esaminatrice delle leggi 2. LO SPIRITO, LA RELIGIONE E IL SAPERE ASSOLUTO Della seconda parte della Fenomenologia sottolineiamo solo i punti chiave. Per “SPIRITO” H. intende L’INDIVIDUO NEI SUOI RAPPORTI CON LA COMUNITÀ sociale di cui è parte; è l’individuo costituente un mondo che si realizza nella vita di un popolo. La sezione della Fenom. relativa allo spirito comprende tre tappe: - “lo spirito vero”: L’ETICITÀ → corrisponde all’età classica, ossia alla polis greca; essa è caratterizzata dalla FUSIONE ARMONICA TRA INDIVIDUO E COMUNITÀ, il singolo appare completamente e profondamente immerso nella vita del proprio popolo. - “lo spirito che si è reso estraneo a sè”: LA CULTURA → corrisponde alla fase della FRATTURA TRA L’IO E LA SOCIETÀ che, iniziata nel mondo antio e con l’Impero romano, trova il suo culmine nel mondo moderno. Nel mondo moderno infatti, con l’Illuminismo, la cultura diventa “corrosiva” e tende a criticare e a distruggere tutto rivolgendosi alla fine contro se stessa. Manifestazione di ciò nella storia è la degenerazione nel periodo del Terrore della Rivoluzione francese. - “lo spirito certo di se stesso”: LA MORALITÀ → corrisponde al momento della RICONQUISTATA ETICITÀ E ARMONIA TRA INDIVIDUO E COMUNITÀ. Lo spirito dopo un percorso di “crescita” si riconosce nella sostanza etica dello Stato. L’individuo acquista la piena, totale ed esplicita coscienza di sè con la RELIGIONE e soprattutto con la FILOSOFIA. A questo punto dopo che l’AUTOCOSCIENZA HA TROVATO LA PACE NELLO STATO E 10 LA VERITÀ NELLA FILOSOFIA (di Hegel) le sue avventure si sono concluse e con esse la fenomenologia. 11