Ingegneria Chimica e Settore Farmaceutico: interazioni sinergiche per obiettivi comuni M. Grassi EURAND, Dipartimento Ricerca, Via del Follatoio 12, 34148-Trieste URL: http://www.dicamp.univ.trieste.it/ e-mail: [email protected]; [email protected] Le sinergie tra ingegneria chimica e settore farmaceutico si possono esplicare sia a livello fondamentale che a livello di processo. Infatti, la maggior parte delle tecnologie farmaceutiche si basa su aspetti fondamentali quali i fenomeni di trasporto (massa, calore, quantità di moto), la termodinamica degli equilibri, la reologia e le proprietà chimico-fisiche dei farmaci. Non c’è dubbio, tuttavia, che la modellazione dei sistemi a rilascio controllato sia uno dei più importanti anelli saldanti tra i due settori in quanto permette di raggiungere immediatamente obiettivi comuni quali la previsione delle cinetiche di rilascio in vitro ed in vivo. Quindi, scopo primario di questo contributo è quello di illustrare alcuni significativi esempi di interazione sinergica tra i due settori. Parole chiave: Ingegneria Chimica, Farmacia, Interazioni, Affinità 1 INTRODUZIONE 1.1 Origini dell’Ingegneria Chimica La fine del diciannovesimo secolo vede un continuo crescendo della competizione nell’ambito dell’industria chimica negli allora paesi leader quali Gran Bretagna, Germania e USA [1]. In questo contesto non è assolutamente sorprendente che Lewis M. Norton (Chemistry Department, MIT, Boston) istituisca un corso in ingegneria chimica. Gli argomenti trattati si rifanno principalmente alle attività svolte nelle industrie tedesche, le più avanzate nel settore chimico a livello mondiale a quel tempo. Alla morte di Norton (1893), Frank T. Horpe, laureatosi al MIT di Boston e dottoratosi ad Heidelberg, assume la docenza del corso in ingegneria chimica e nel 1898 pubblica il primo libro a riguardo intitolandolo Outlines of Industrial Chemistry. Sebbene Norton e Thorpe possono essere considerati i progenitori dell’ingegneria chimica mondiale, furono Arthur A. Noyes e, più tardi, William H. Walker (1869-1934) a delineare le caratteristiche fondamentali del curriculum dell’ingegnere chimico [2]. Infatti, mentre Noyes (laurea in Chimica al MIT di Boston e dottorato all’Università di Leipzig) fonda un laboratorio di Chimica Fisica nel 1903, Walker (dottorato all’Università di Göttigen) fonda nel 1908 un laboratorio di Chimica Applicata. Contemporaneamente, in Gran Bretagna, Davis, pubblicando un libro dal titolo Handbook of Chemical Engineering (1904), si erge a padre del concetto di “operazione unitaria” che prevede la suddivisione dei processi chimici in parti distinte come, ad esempio, la distillazione, l’estrazione, la filtrazione, la cristallizzazione, ciascuna governata da principi distinti. La fondazione dell’American Institute of Chemical Engineering AIChE, avvenuta nel 1908, sancisce definitivamente la nascita dell’ingegneria chimica. Ovviamente, in queste fasi iniziali di crescita della nuova disciplina che si va progressivamente staccando dall’originale natura prettamente chimica, il dibattito su quali debbano essere esattamente le conoscenze dell’ingegnere chimico è molto acceso. Milton C. Whitaker, uno dei primi membri dell’AIChE di cui diventa presidente 1 nel 1914, professore di ingegneria chimica alla Columbia University, sostiene che chimica, fisica e matematica debbano costituire le conoscenze di base alle quali debbono sommarsi nozioni di meccanica, elettricità ed economia. Inoltre, sottolinea che la fondamentale differenza tra chimici ed ingegneri chimici risiede nella capacità degli ingegneri di trasferire le scoperte di laboratorio a livello industriale. Intorno al 1920, e sino all’inizio della seconda guerra mondiale, gli ulteriori sviluppi nell’ambito del settore delle operazioni unitarie e la conseguente introduzione della termodinamica e della cinetica chimica contribuiscono sensibilmente alla causa ed all’affermazione dell’ingegneria chimica. Intorno al 1950, lo sviluppo della nuova disciplina subisce una brusca accelerazione ed un definitivo distacco dalle sue origini chimiche per merito di cinque ricercatori americani: Neal R. Amundson e Rutherford Aris dell’Università del Minnesota, R. Byron Bird, Edwin N. Lightfoot e Warren E. Stewart dell’Università del Wisconsin. Essi promuovono l’innovativa idea secondo la quale esiste un unico filo conduttore che unifica le apparentemente diverse operazioni unitarie: le equazioni di conservazione della massa, dell’energia e della quantità di moto. La pratica di analizzare separatamente le varie operazioni unitarie continua ad esistere, ma il volume differenziale e le equazioni di bilancio diventano il cuore del nuovo modo di affrontare le problematiche dell’ingegnere chimico. Dopo circa 5 anni dalla pubblicazione del celeberrimo libro intitolato Transport Phenomena (1960) ad opera di Bird, Stewart e Lightfoot, il concetto di operazioni unitarie è diventato obsoleto e la nuova visione si è definitivamente affermata sia a livello di ricerca che a livello di didattica. In Italia, come del resto in altri paesi, lo sviluppo dell’ingegneria chimica è successivo a quello degli USA. Di fatto, è solo nel dopoguerra, con la ripresa economica nazionale, che si possono collocare le origini dell’ingegneria chimica in Italia. Tuttavia, segni nettamente evidenti di questa disciplina, si hanno a partire dagli anni ’50. Infatti, in questi anni, un grosso contributo alla crescita della chimica italiana, e quindi dell’ingegneria chimica, viene, indirettamente, dalla nazionalizzazione della produzione dell’energia elettrica e la conseguente costituzione dell’ENEL (ente nazionale energia elettrica). A seguito di ciò, infatti, EDISON, l’allora principale produttore privato di energia elettrica, riceve un forte indennizzo dalla stato italiano per la cessione dei suoi impianti. Tale indennizzo viene investito nel settore chimico con l’intento, però, di distaccarsi dalla tradizione chimica antecedente rappresentato dalla Montecatini. La necessità, quindi, di acquisire rapidamente un opportuno background tecnico-scientifico per lo sfruttamento delle nuove tecnologie chimiche, senza dover passare attraverso un lento processo di ricerca, impone di rivolgersi alle grandi realtà chimiche tedesche come la BASF e la BAYER. Il bisogno di avere un organismo in grado di ottimizzare e razionalizzare la comunicazione tra l’investitore e la controparte tecnica tedesca, spinge, nel 1958, alla fondazione dell’AIDIC (Associazione Italiana di Ingegneria Chimica). E’ di questo periodo, il potenziamento o la formazione dei celeberrimi siti chimici italiani di Marghera, Mantova e Priolo [3]. Ovviamente, lo sviluppo dell’ingegneria chimica a livello accademico segue quello industriale ed infatti, è solo del 1974 la fondazione del GRICU (Gruppo Ricercatori Italiani di Ingegneria Chimica dell’Università). E’, comunque, doveroso precisare che per quella data l’ingegneria chimica è già ben consolidata all’interno dell’Università italiana e la formazione del GRICU può essere vista come una definitiva presa d’atto di questa nuova realtà. Da allora, lo sviluppo è stato rapido e variegato [4] nonché ricco di discussioni, anche vivaci [5], sulla migliore organizzazione da adottare a livello nazionale. 1.2 Differenziazioni nell’Ingegneria Chimica Sebbene una netta evidenza dell’estensione degli orizzonti culturali dell’ingegneria chimica a settori ad essa tradizionalmente distanti quali la medicina, la biologia e la farmacia abbia luogo solo a metà degli anni ’70, la nascita dell’ingegneria biomedica (BME) si colloca attorno ai primi anni ’60 [1]. Tale evoluzione si deve a talentuosi ricercatori americani (Elmer L. Gaden, Arthur B. Metzner, R. Byron Bird, Edward W. Merrill) che comprendono come l’ingegnere chimico possa contribuire proficuamente a settori diversi da quelli tradizionali ed a lui più familiari, gettando così le basi del concetto di interdisciplinarietà, che si rivelerà una strategia vincente nella ricerca moderna. Ovviamente, la realizzazione di un così profondo cambiamento è possibile anche perché importanti finanziatori americani quali il National Science Foundation ed il National Institutes of Health, decidono di investire in questi nuovi approcci metodologici alla medicina, biologia e farmacia. Un esempio dei risultati di tale 2 strategia si può vedere nella tabella 1, dove sono riportati alcuni tra i più significativi contributi su questi temi tra gli inizi degli anni ’60 e la fine degli anni ’70. Tabella 1. Esempi di importanti contributi di ingegneri chimici nel settore biomedico. Soggetto Autore Reologia del sangue Merrill (1959) Rene artificiale Leonard (1959) Emodialisi Colton (1966) Biomembrane Michaels (1966) Biomateriali non Merrill (1967) trombogenetici Lenti a contatto Peppas (1976) Rilascio da matrici Langer (1976) polimeriche Idrogel intelligenti Peppas (1979) Come spesso capita, uno dei primi coinvolgimenti di un ingegnere chimico nel settore biomedico è totalmente casuale in quanto un medico di Boston si rivolge a Merrill per risolvere un problema concernente la misura della viscosità del sangue. Come conseguenza, si acquisiscono importanti conoscenze sulle caratteristiche non-newtoniane del sangue a basse e moderate velocità di deformazione, in relazione sia all’ematocrito che alla presenza di varie proteine e dei globuli bianchi. Mentre Ed Leonard [6] studia a fondo il trasporto di massa negli apparecchi per emodialisi, ricevendo dall’AIChE nel 1969 un prestigioso riconoscimento per il fondamentale contributo sulla progettazione ed ingegnerizzazione di organi artificiali, Powers [7], Lightfoot [8] e Dan Hershey [9] conducono importanti studi sul trasporto di massa negli ossigenatori del sangue. Colton [10-12] a metà degli anni ’60 studia in dettaglio la permeazione di soluti attraverso diverse membrane al fine di selezionarne la migliore da usare negli emodializzatori (vedi figura 1). Figura 1. Cella di diffusione usata da Cotton per selezionare le membrane più adatte da usare negli emodializzatori. Parallelamente, Lightfoot, analizzando con successo il flusso di fluidi newtoniani in condotti elastici [13], getta le basi per il lavoro di Ajit Yoganathan [14] incentrato sul comportamento fluidodinamico del sangue in cuori artificiali. Grazie allo sviluppo dei modelli matematici e della potenza di calcolo dei computer, dagli inizi degli anni ’80 l’ingegnere chimico può sconfinare in settori della medicina sino ad allora inarrivabili. A tal proposito vale la pena ricordare lo studio della formazione delle placche arteriosclerotiche, condotto sulla base di modelli matematici che considerano il trasporto di massa nel sangue dovuto alla diffusione, convezione ed all’effetto di agenti trasportatori [15]. Tutta questa attività scientifica, inevitabilmente, si traduce in numerosi articoli e nella pubblicazione di molti libri, alcuni dei quali sono riportati nella tabella 2. Tabella 2. Esempi di libri e monografie pubblicati agli inizi dello sviluppo dell’ingegneria biomedica. Autore Titolo Chemical Engineering in Medicine and D. Hershey, ed. Biology, Plenum Press, New York (1967) Biomedical Applications of Heat and Mass Transfer, Iowa State University Press, R. C. Segrave Ames (1971) Transport Phenomena in the S. Middleman Cardiovascular System, Wiley, New York (1972) Fluid Mechanics and Mass Transfer in Artificial Organs, ASAIO, Washington, K. H. Keller DC (1973) E. N. Lightfoot Transport Phenomena and Living Systems, Jr. Wiley, New York (1973) Biomedical Engineering Principles, D. O. Cooney Dekker, New York (1976) Un contributo decisamente importante dato dagli ingegneri chimici al settore biomedico riguarda, senza dubbio, anche i biomateriali. Tabella 3. Esempi di importanti contributi di ingegneri chimici nel settore biomedico. Biomateriale Ricercatore Acetato di cellulosa Colton (1966) Idrogel Hoffman (1966) Merrill (1966) Polivinilalcol Merrill (1969) Peppas (1975) Sefton (1976) Poliuretani Cooper (1972) Poliidrossietilmetacrilato Batner (1973) Polietilenossido Merrill (1974) Polianidridi Langer (1982) Questo, secondo Peppas e Langer [1], si può 3 spiegare con il fatto che gli ingegneri chimici sono stati pionieri nello studio dei materiali polimerici. A titolo di esempio, la tabella 3 riassume alcuni tipi di biomateriali studiati agli inizi dello sviluppo dell’ingegneria biomedica. In questo ambito è sicuramente da ricordare il lavoro di Hoffman sull’uso della polimerizzazione per radiazione per ottenere idrogel biocompatibili. Questa attività si innesta in un filone, gli idrogel, che, sebbene già disponibili sin dal 1935, diventano soggetto di intenso interesse biomedico solo dopo il pionieristico lavoro di Wichterle e Lim [16] che per primi preparano i celeberrimi gel a base di poliidrossietilmetacrilato, materiale costitutivo delle lenti a contatto morbide prodotte a partire dagli anni ’70. Inoltre, la termodinamica applicata e le teorie molecolari danno un considerevole contributo alla progettazione ed alla comprensione delle proprietà di vari biomateriali, primi fra tutti gli idrogel. Questo porta agli interessanti studi sui gel a base di polivinilalcol progettati per il rilascio dell’eparina (anticoagulante del sangue) [17], la produzione di polimeri ultrapuri per la formazione di idrogel assolutamente inerti da impiegarsi come cartilagini e rivestimenti di cuori artificiali [18]. Strettamente connesso al settore biomedico è, senza dubbio, anche quello dello studio e dell’ingegnerizzazione di tessuti viventi. Il principio base di questa settore è che per provare a formare tessuti o parti di organi umani, è necessario che le cellule siano poste in un appropriato rapporto spaziale. Recentemente, è stato possibile ottenere, su supporto polimerico, tessuti umani nervosi, cartilaginei ed epatici. Questo è stato dimostrato in vitro con cellule endoteliali e cellule epiteliali mammarie. Se poste sufficientemente vicine le une alle altre, le prime danno luogo alla formazioni di capillari [19], mentre le altre danno luogo agli acini, strutture preposte alla produzione del latte nei mammiferi [20]. Langer e Vacanti [21] ipotizzano che, usando un corretto terreno di coltura ed appropriate strutture polimeriche, sia possibile creare un ambiente caratterizzato da un’elevata area superficiale per unità di volume in cui possano essere contenute in stretto contatto e fatte crescere le cellule. Il polimero da impiegare deve essere biodegradabile in modo da scomparire una volta che il tessuto si sia formato così da evitare pericolose reazioni biologiche a lungo termine in grado di deteriorare seriamente il tessuto formatosi. La strategia di utilizzo di tale tecnologia prevede la crescita del tessuto al di fuori del corpo umano ed il successivo impianto nella sede voluta. Tra i primi materiali usati a questo scopo possiamo ricordare l’acido lattico e l’acido glicolico, scelti per le loro buone proprietà fisiche e per la biocompatibilità e biodegradabilità. Parallelamente a queste tecniche, gli ingegneri chimici si sono anche occupati dell’incapsulamento di cellule all’interno di strutture polimeriche per ottenere membrane dette immunoisolanti. L’idea base è quella di realizzare una membrana permeabile a piccole molecole come il glucosio od altri nutrienti, ma impermeabile a molecole grandi come le immunoglobuline e impermeabili anche alle cellule del sistema immunitario. Chick e Solomon [22] dimostrano, conducendo esperimenti sui cani, che con questa tecnologia si può curare il diabete. Infatti, usando un copolimero fatto da acrilonitrile e vinilcloruro, realizzano una membrana cava da ultrafiltrazione permeabile al glucosio (peso molecolare 180) ed all’insulina (peso molecolare 6000) ma impermeabile agli anticorpi (peso molecolare > 150000). Sebbene con un ritardo fisiologico rispetto agli USA, anche in Italia si è fatto sentire l’allargamento delle tematiche dell’ingegneria chimica a settori tradizionalmente distanti come la medicina, la farmacia e la biologia. Infatti, dai primi anni ’90 compaiono, più o meno stabilmente, nei principali congressi italiani di ingegneria chimica (GRICU – AIDIC) sezioni dedicate al settore biomedico con particolare attenzione a quello farmaceutico [23]. Senza avere minimamente la pretesa di essere esaustivo ed a puro titolo di esempio, in questo contesto si devono segnalare le interazioni presenti e pregresse tra il Dipartimento di Farmacia dell’Università di Parma ed il professor Peppas (Department of Chemical and Biomedical Engineering, University of Texas), quelle tra il Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università di Roma “La Sapienza” ed il Dipartimento di Farmacia della stessa università nonché quelle tra il Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università di Trieste ed i Dipartimenti di Farmacia dell’Università di Trieste, Roma “La Sapienza”, Milano [24] e, recentemente, anche di Padova. Curiosamente, almeno a mia conoscenza, la prima importante e duratura relazione tra farmacia ed ingegneria chimica nel panorama italiano, ovvero quella tra Dipartimento di Farmacia dell’Università di Parma ed il professor Peppas, vede come controparte ingegneristica un ingegnere chimico straniero. Infine, vorrei ricordare le interazioni, in corso ormai dal 2000, tra EURAND, ditta farmaceutica impegnata nel settore del rilascio 4 controllato per uso orale, e realtà ingegneristiche accademiche come i Dipartimenti di Ingegneria Chimica del Politecnico di Milano e dell’Università di Trieste su tematiche riguardanti non solo i processi farmaceutici, ma anche il modeling dei sistemi a rilascio controllato. Questo esempio vuol essere indice del fatto che l'industria farmaceutica, in un contesto di sempre maggior competizione internazionale, sta scoprendo l'utilità delle competenze proprie dell’Ingegneria Chimica. 2 INTERAZIONI SINERGICHE Come sopra esposto, interazioni tra ingegneria chimica e farmacia (oltrechè medicina e biologia) sono decisamente in corso d’opera. E’ ora intenzione sottolineare più nel dettaglio le modalità, l’utilità ed i piani sui quali queste interazioni possono aver luogo. Al contrario dell’ingegneria chimica, discipline come la medicina e la farmacia, possono vantare origini molto antiche. Basti infatti pensare alle scuole di medicina fondate da Ippocrate e Galeno risalenti, rispettivamente al V-IV secolo A.C. ed al II secolo D.C. Inoltre, la necessità di fornire validi rimedi contro le malattie ha sempre spinto alla formulazione ed ottimizzazione di sistemi farmaceutici per una sempre più efficace somministrazione di principi attivi. L’idea di controllare il rilascio di un farmaco, infatti, risale a più di 2000 anni fa, come testimoniano testi del primo Islam [25]. A partire, poi, dal X secolo D.C., è ampiamente documentato l’uso di pillole rivestite anche in Europa [25]. Le conoscenze dell’ingegneria chimica, sviluppatesi per affrontare obiettivi completamente diversi, si possono, quindi, considerare come nuovi strumenti a disposizione del settore farmaceutico che si trova a dover risolvere, sempre più complessi e pressanti problemi nell’ambito di un mercato sempre più competitivo e tecnologico. Tutto ciò può essere visto come la riscoperta del fatto che i bilanci di materia, energia e quantità di moto hanno validità generale e possono essere applicati, per esempio, per studiare il flusso in tubazioni, arterie o la diffusione in sistemi polimerici. A tal proposito, è interessante citare il D.M. sulle lauree specialistiche in farmacia e farmacia industriale [24]: “i corsi di laurea della classe possono fornire anche la preparazione specifica adeguata ad operare nell'ambito industriale, determinando una figura professionale che ha come applicazione elettiva il settore industriale farmaceutico, grazie all'insieme di conoscenze teoriche e pratiche in campo biologico e farmaceutico che permettono di affrontare l'intera sequenza del complesso processo multidisciplinare che, partendo dalla progettazione strutturale, porta alla produzione o al controllo del farmaco…”. Risulta, quindi, evidente come l’ingegnere chimico possa intervenire in diversi e molteplici momenti della progettazione e produzione di sistemi farmaceutici. I campi di intervento aumentano ancora se nell’ambito della messa a punto del sistema farmaceutico inseriamo anche le caratteristiche di rilascio del farmaco ed il suo assorbimento da parte del corpo umano (ciò si identifica con la biodisponibilità definita come la velocità ed il grado con il quale un principio attivo é assorbito e reso disponibile presso il sito d'azione [26]). In particolare, per quanto concerne la progettazione e la gestione, le apparecchiature e gli impianti farmaceutici sono, nell’ottica dell’ingegnere chimico, niente altro che impianti chimici in cui abbondano operazioni “non tradizionali” e che devono operare con specifiche più stringenti, maggiori garanzie di controllo di qualità, e cosi’ via [24]. In aggiunta, è doveroso sottolineare che esiste un settore delle scienze farmaceutiche, denominato, fisica farmaceutica, che ha notevoli affinità con le competenze proprie dell’ingegnere chimico. A tal proposito, vale la pena riportare l’indice di un celeberrimo testo largamente in uso nel settore farmaceutico [27]: 1. Atomic and Molecular Structure 2. States of Matter and Phase Equilibria (equazione dei gas perfetti, eq. di ClausiusClapeyron, legge delle fasi, diagrammi binari e ternari, miscibilità parziale) 3. Thermodynamics (tre leggi della termodinamica, termochimica, concetto di attività) 4. Solutions of Nonelectrolytes (potenziale chimico, legge di Raoult, soluzioni reali ed ideali, legge di Henry, Distillazione di miscele binarie, proprietà colligative, pressione osmotica) 5. Solutions of Electrolytes (attività e coefficienti di attività) 6. Ionic Equilibria (teoria di Brönsted-Lowry, teoria di Lewis, equilibri acido-base, pH) 7. Solubilità and distribution phenomena (solubilità di gas in liquidi, di liquidi in liquidi, di solidi in liquidi, approccio di Hildebrand, parametri di solubilità, partizione di un soluto tra due solventi immiscibili (coefficiente di partizione) 8. Kinetics (velocità ed ordini di reazione, termodinamica delle reazioni chimiche) 5 9. Diffusion and Dissolution (legge di Fick, legge di Noyes and Whitney, legge di HixsonCrowell, drug release, permeazione, assorbimento gastro intestinale) 10. Interfacial Phenomena (bagnabilità ed energie coinvolte, tensione interfacciale, angoli di contatto, tensioattivi, teoria di Gibbs per le interfacce) 11. Colloids (equilibrio di Donnan) 12. Rheology (fluidi newtoniani e non, tissotropia, antitissotropia, viscosimetria e reometria, viscoelasticità, modelli di Maxwell e Voigt) 13. Coarse dispersions (teoria della sedimentazione, moti browniani, emulsioni e loro proprietà reologiche, microemulsioni, sineresi e swelling dei gel) 14. Polymer science (teoria di Flory, microincapsulazione, proprietà meccaniche, estrusione, injection molding). Un’altra area critica in cui l’ingegnere chimico può dare ed ha dato importanti contributi è quello della farmacocinetica (variazione temporale della concentrazione di principio attivo nel sangue a seguito di un qualunque tipo di somministrazione (orale, transdermale, rettale, vaginale, endovenoso, eccetera) del principio attivo. k ke V a l Tratto Sangue gastrointestinal e e Figura 2a. Modello monocompartimentale. Tessuti, organi k a Tratto gastrointestinal e k1 k2 2 1 V ke l Sangue e Figura 2b. Modello bicompartimentale. Bischoff e Dedrick [28] sono i primi ad affrontare la farmacocinetica mediante un semplice ed efficace modello compartimentale che permette di studiare la distribuzione del farmaco nel corpo umano. In sintesi, tale approccio prevede di suddividere il corpo umano in diversi reattori perfettamente agitati, detti compartimenti, in ciascuno dei quali la concentrazione del principio attivo è assunta omogenea. Nel modello più semplice (monocompartimentale), si assume che il corpo umano sia rappresentato da un solo reattore perfettamente agitato (sangue) oltre al tratto gastrointestinale (GI) identificabile con il reattore zero. Il sangue riceve dal reattore GI il principio attivo mediante una cinetica del primo ordine (viste le esigue quantità di principio attivo in gioco, il volume del reattore rimane costante) e perde principio attivo a causa di una reazione del primo ordine che simula l’effetto del metabolismo (figura 2a). La variazione di concentrazione C nel sangue secondo il modello monocompartimentale è [29]: C F * dose * k a e kelt e ka t V * k a k el (1) dove ka e kel sono, rispettivamente, la costante di assorbimento e di eliminazione del principio attivo e regolano il flusso e la sparizione del principio attivo, V il volume di distribuzione (volume del reattoresangue), dose è la massa di principio attivo somministrato ed F è la frazione della dose assorbita, ovvero la biodisponibilità del principio attivo secondo il modello monocompartimentale. Ovviamente, si possono avere modelli più complessi come quello bicompartimentale in cui il principio attivo si ripartisce tra due compartimenti (reattori) identificabili con il sangue ed i tessuti o gli organi (Figura 2b). Credendo fermamente che quanto sinora esposto evidenzi molto bene le possibili interazioni sinergiche tra ingegneria chimica e settore farmaceutico, ritengo utile esaminare più nel dettaglio uno degli argomenti riportati e, precisamente, quello relativo al rilascio di un principio attivo da un dato sistema di rilascio (Diffusion and Dissolution). La scelta cade su questo argomento non solo perchè è tema portante della mia attività di ricerca ma, soprattutto, perchè autorevoli ricercatori quali Peppas e Langer lo indicano come una delle più importanti aree farmaceutiche in cui il contributo dell’ingegneria chimica può esprimersi [1, 30]. Tra l’altro, fattore non trascurabile, questo settore ha attualmente vendite per un ammontare di 25 miliardi di dollari all’anno [1]. 2.1 Drug Delivery 6 Alan Michaels è uno dei primi a condurre importanti esperimenti su come le membrane possano controllare il rilascio di un principio attivo [31]. Inoltre, si occupa anche della somministrazione transdermale di principi attivi mettendo a punto un modello in grado di predire la permeazione attraverso la pelle. Sulla base di questi studi, la ALZA Corporation brevetta la somministrazione transdermale di principi attivi molto importanti quali l’estradiolo, la scopolamina e la nitroglicerina. Se fino agli anni ’70 non si ritiene possibile rilasciare da polimeri reticolati molecole caratterizzate da un peso molecolare superiore a 300-400, Langer ed il suo gruppo sfatano questa credenza studiando il rilascio di proteine e peptidi. In particolare, scoprono che quando polimeri altamente idrofobici come l’etilenvinilacetato o copolimeri costituiti da acido lattico e glicolico, sono mescolati, in opportune condizioni, con macromolecole come i peptidi o le proteine, si possono ottenere strutture altamente porose in grado di rilasciare le macromolecole per mesi [32]. Sulla base di questi studi, diverse compagnie hanno brevettato sistemi farmaceutici dediti al rilascio di peptidi e proteine. Possiamo ricordare, ad esempio, i sistemi per il rilascio dell’ormone luteinizzante come lo Zoladex, il Lupron, il Depot ed il Decapeptyl. Se nelle prime versioni il rilascio durava un mese, oggigiorno si è arrivati sino a quattro mesi. Questi sistemi sono impiegati per il trattamento del tumore della prostata, dell’endometriosi e della pubertà precoce. Più recentemente, sono stati prodotti sistemi a rilascio controllato costituiti da microsfere iniettabili per il rilascio dell’ormone della crescita umano in grado di garantire il rilascio per 2-4 settimane dall’iniezione. In aggiunta, si è cominciato a produrre gli stent medicati, strutture metalliche grossolanamente simili alle molle delle penne per scrivere, ricoperte di matrici polimeriche in grado di rilasciare principi attivi. Gli stent medicati sono oggi impiegati per prevenire la reocclusione delle arterie trattate con con angioplastica percutanea transluminale (APT), approccio terapeutico usato per rimuovere le placche ateromasiche che impediscono il corretto flusso sanguigno. In particolare, la copertura polimerica degli stent medicati rilascia sostanze ad attività antiproliferativa che inibisce la crescita delle cellule della parte arteriosa, causa principale delle restenosi susseguente ad APT [33]) ricoperti da polimeri che rilasciano opportune sostanze in grado di impedire l’abnorme crescita cellulare della parete interna (intima) dell’arteria in risposta alla lacerazione dell’intima prodotta dalla dilatazione meccanica dell’arteria stessa necessaria per rimuovere un’ostruzione dovuta al deposito di sostanze grasse come il colesterolo. Questa tecnica ha contribuito notevolmente a curare la restenosi, patologia che si presenta nel 30-40% dei pazienti trattati con angioplastica [33]. Senza dubbio, gli ingegneri chimici possono contribuire, ed hanno contribuito, notevolmente alla creazione e messa a punto di modelli matematici in grado di descrivere o, nei casi migliori, predire il rilascio di un principio attivo da sistemi a rilascio controllato (SRC). Gli SRC mirano a mantenere costante la concentrazione del principio attivo nei tessuti o nel sangue il più a lungo possibile. Per raggiungere questo obiettivo, essi devono rilasciare rapidamente una certa quantità della dose contenuta in modo da far salire velocemente la concentrazione del principio attivo ad un valore terapeuticamente efficace. Questa prima fase dell'emissione deve essere seguita da una seconda fase caratterizzata da una ben determinata velocità di rilascio: il sistema deve fornire la "dose di mantenimento" [34]. Nei sistemi farmaceutici tradizionali, invece, il rilascio del principio attivo è rapido e totale ed avviene in maniera incontrollata. L'assorbimento dello stesso dipende unicamente dalla capacità di assimilazione dell'ambiente nel quale è avvenuto il rilascio cosicché il tipico andamento concentrazione-tempo che si ottiene è caratterizzato da un elevato picco iniziale seguito poi da un decremento monotono. Di conseguenza, può capitare che la concentrazione si avvicini pericolosamente al limite di tossicità e rapidamente scenda sotto il limite terapeutico, condizione corrispondente ad una azione terapeutica inefficace. Vista la grande versatilità (applicazioni nel campo della contraccezione, oftalmico, prevenzione della trombosi, odontoiatrico, lotta contro il cancro, lotta all'alcolismo, trattamenti disintossicanti, veterinario e nel trattamento del diabete), gli SRC sono ormai alla base della moderna concezione di trattamento terapeutico il cui obiettivo è quello di aumentare l’efficacia del farmaco e ridurre i disagi per il paziente legati, ad esempio, a somministrazioni troppo frequenti o dosaggi elevati. Proprio per queste ragioni, la realizzazione di tali sistemi non può più prescindere dalla fase di progettazione ed a tal fine i metodi e le conoscenze tipiche dell’Ingegneria Chimica si sono rivelati fondamentali. Ecco dunque che due settori tradizionalmente distanti (Chimica Farmaceutica ed 7 Ingegneria Chimica) si trovano, di fatto, ad operare congiuntamente sullo stesso campo ed il concetto di modello matematico, tipico dell’ingegneria, è ormai comune anche per la Chimica Farmaceutica [35]. Infatti, non c’è dubbio che l’uso di modelli matematici sia molto utile in fase di progettazione in quanto può permettere di simulare il comportamento del sistema di rilascio prima che venga realizzato come anche la determinazione di parametri fisici di grande rilevanza, quali il coefficiente di diffusione di un farmaco, in sistemi già realizzati. Il modello matematico assume quindi un’importante valenza nell’ottimizzazione degli SRC in quanto obbliga a comprendere la natura e l’importanza relativa di tutti quei fenomeni fisici che concorrono a determinare la cinetica di rilascio, elemento di fondamentale importanza per l’efficacia terapeutica. Infatti, il modello matematico può essere semplicemente pensato come una “metafora matematica di alcuni aspetti della realtà” (ora identificata con l’insieme dei fenomeni che determinano la cinetica di rilascio) [36] ed è per questa generalità di base che trova ampio uso in discipline diverse tra loro come la genetica, la medicina, la psicologia, la biologia, l’economia ed, ovviamente, l’ingegneria. In virtù dell'ampio campo di applicazione, è facile immaginare quante diverse tipologie di SRC possano esistere. Nel tentativo di darne una classificazione, seppur incompleta ed approssimata, visti i continui e rapidi sviluppi caratterizzanti questo settore, possiamo individuare quattro categorie principali: le matrici polimeriche, i sistemi a serbatoio con membrana, i sistemi bioerodibili e i sistemi a catena pendente. Uno dei maggiori vantaggi derivanti dall’uso delle matrici polimeriche riguarda la facilità di fabbricazione in quanto possono essere preparate mescolando il principio attivo, sotto forma di polvere fine, con il prepolimero e introducendo la miscela nel reattore di polimerizzazione. Una procedura alternativa consiste nel preparare la matrice polimerica e nel metterla, successivamente, a contatto con una soluzione satura del principio attivo. Infine, si può avere la simultanea compattazione del principio attivo, del polimero e degli eccipienti per dar luogo alla compressa come avviene nel caso delle matrici di idrossipropilmetilcellulosa (HPMC) che trovano largo uso nel settore farmaceutico. Sebbene le matrici possano differire notevolmente tra di loro per la natura chimico-fisica del polimero (poliettrolita, neutro, idrofilo, liofilo, anfifilico) e per il tipo di interazioni (fisiche o chimiche) che intercorrono tra le catene polimeriche, sono accomunate da uno stesso principio di strutturazione. Infatti, possono essere pensate come sistemi coerenti, aventi caratteristiche meccaniche intermedie tra quelle dei solidi e dei liquidi, e costituiti da un mezzo continuo liquido in cui molecole di alto peso molecolare sono disperse e sistemate, in senso spaziale, a formare un reticolo continuo tridimensionale che si estende attraverso l'intero sistema. La presenza di legami tra le catene polimeriche impedisce alla fase liquida di portarle in soluzione cosicché l’intera struttura può soltanto essere rigonfiata dalla fase liquida. Semplicisticamente parlando, tale sistema è paragonabile ad una spugna imbevuta da un liquido. Tuttavia, questa è una spugna particolare in quanto se si ha prevalenza di legami forti (tipicamente legami chimici) tra catena e catena, la struttura del reticolo polimerico è costante nel tempo. Se, invece, prevalgono i legami deboli (tipicamente legami fisici), le catene non sono più così saldamente legate tra di loro e la "spugna" non si adatta bene a rappresentare la situazione. La densità spaziale di connessioni tra catena e catena è costante nel tempo (in condizioni statiche), ma per la mobilità delle catene e dei segmenti di catena, la distribuzione spaziale delle connessioni tra diversi elementi di volume può cambiare nel tempo. Parallelamente, la densità e le dimensioni medie delle maglie del reticolo sono costanti, ma ciascuna maglia può modificarsi nel tempo. Il reticolo tridimensionale non è più permanente ma statistico e, in particolari condizioni, il sistema può andare incontro ad erosione. Ovviamente, il quadro è reso più complesso dal fatto che, spesso, non si ha a che fare con un unico reticolo polimerico, nel senso che il sistema è realizzato da un insieme di piccoli domini a carattere di matrice, immersi in un mezzo continuo generalmente rappresentato da una soluzione dello stesso polimero. Alternativamente, poi, si possono avere sistemi ancora più complessi costituititi dall’intreccio di due reticoli, ciascuno originato da un particolare polimero. Infine, può capitare che il sistema di rilascio sia costituito da molte minimatrici indipendenti le une dalle altre, ciascuna delle quali concorre a determinare la cinetica di rilascio. Se, generalmente, la fase liquida è rappresentata da acqua o soluzioni fisiologiche, la scelta del polimero viene fatta in ragione della destinazione d’uso della matrice (uso orale, oftalmico, sottocutaneo, rettale, vaginale etc.) valutando diversi fattori tra i quali il grado di rigonfiamento in un dato solvente, la bioadesività , la biocompatibilità, le interazioni con 8 gli eccipienti ed i farmaci e le proprietà meccaniche e chimiche. Sino ad ora, per chiarezza di esposizione, si è focalizzata l’attenzione sulla struttura della matrice polimerica senza far menzione al principio attivo ed alle sue possibili interazioni con le catene polimeriche. In realtà, la situazione che deve essere analizzata per comprendere la cinetica di rilascio è complicata dal fatto che, per motivi di stabilità, la matrice polimerica viene, nella stragrande maggioranza dei casi (fanno eccezione alcune matrici ad uso oftalmico), conservata allo stato secco, ovvero in assenza della fase liquida. In questo stato, il farmaco può trovarsi disperso nel reticolo polimerico secco in forma di microcristalli, nanocristalli o a livello molecolare (questa condizione corrisponde allo stato amorfo) in ragione delle proprietà chimico-fisiche della coppia farmaco-polimero e della tecnica di caricamento adottata. Infatti, lo stato fisico del farmaco nel reticolo polimerico secco non è altro che il risultato tra l’energia fornita per il caricamento, le interazioni chimico-fisiche farmacopolimero e l’ingombro sterico dei cristalli di farmaco che devono collocarsi nelle maglie polimeriche ristrette a causa dell’assenza della fase liquida. Tipicamente, i sistemi di caricamento fanno uso di solventi (caricamento diretto o indiretto), di energia meccanica (comacinazione della coppia polimerofarmaco), di fluidi supercritici quando non si realizzi il caricamento del farmaco direttamente durante la fase di reticolazione del polimero. Solvente esterno Polimero farmaco Dissoluzione e ricristatlliuazione diffusione rilascio Figura 3. Meccanismo di rilascio di un principio attivo da una matrice polimerica reticolata. Indipendentemente dalla tecnica di caricamento, in condizioni di matrice secca, il principio attivo, per motivi sterici, non può diffondere e quindi il sistema si trova in uno stato quiescente. Non appena viene posto a contatto con un solvente esterno (acqua o liquidi fisiologici), si assiste all’instaurarsi di una serie di fenomeni che danno origine al rilascio del principio attivo (Figura 3). Il solvente, penetrando ed allargando le maglie del polimero, permette la dissoluzione del principio attivo e quindi il rilascio nell’ambiente esterno. Il rilascio, conseguentemente, dipenderà dalle modalità di diffusione del solvente nel reticolo polimerico, dalla cinetica di dissoluzione del farmaco nel solvente entrante e dalla diffusione del farmaco stesso nella matrice polimerica in via di rigonfiamento. Se la diffusione del farmaco nella matrice è, di norma, un processo semplice, descrivibile accuratamente dalla legge di Fick, non altrettanto può dirsi per la penetrazione del solvente nel reticolo polimerico e la dissoluzione del farmaco. Infatti, a causa della natura viscoelastica dei sistemi polimero-solvente, può capitare che la legge di Fick non valga più, ovvero si debba, ad esempio, postulare l’esistenza di un coefficiente di diffusione dipendente dal tempo e non solo dalla concentrazione. Fisicamente parlando, ciò equivale a dire che ove il solvente rigonfi la matrice, si instaura un processo di riassestamento (rilassamento) delle catene polimeriche che tendono ad una nuova condizione di equilibrio, diversa da quella iniziale corrispondente allo stato secco e che ora annovera la presenza del solvente. Le catene polimeriche, infatti, possono essere grossolanamente pensate come elementi elastici, connessi da giunzioni parzialmente labili, che si oppongono al rigonfiamento indotto dall’ingresso del solvente. Se il riassestamento avviene molto velocemente o molto lentamente rispetto al processo diffusivo, la legge di Fick sarà ancora valida. Al contrario, quando il processo di rilassamento avviene ad una velocità comparabile con il processo diffusivo (questo è il caso dei materiali viscoelastici), la legge di Fick perde di validità. Anche il processo di dissoluzione del farmaco può presentare delle peculiarità legate al fatto che la presenza del solvente può determinare, contemporaneamente alla dissoluzione, una transizione di fase del farmaco da una forma anidra ad una idrata, da uno status cristallino ad un’altro o dallo stato amorfo a quello cristallino, generalmente più stabile del corrispondente stato amorfo. Di norma, tale transizione comporta una variazione della solubilità del farmaco in quanto le forme idrate sono meno solubili di quelle anidre e le forme 9 cristalline sono meno solubili di quelle amorfe, come ampiamente dimostrato in letteratura. Ciò obbliga a tener conto della ricristallizzazione del farmaco dovuto alla riduzione della sua solubilità a seguito della transizione di fase imposta dal solvente. Senza voler entrare nel dettaglio, vale la pena ricordare che questo aspetto è sfruttato per aumentare la biodisponibilità di farmaci, dotati di buona permeabilità, scarsamente solubili in ambienti acquosi (< 100 g/cm3) in forma cristallina ma molto più solubili in forma amorfa. In conclusione, dunque, un modello matematico generale che voglia descrivere il quadro fisico sopraesposto, deve tener conto della diffusione del farmaco nel matrice che si rigonfia, della sua dissoluzione/ricristallizazione, della penetrazione del solvente nelle maglie polimeriche e, nei sistemi costituiti da una popolazione di matrici, deve considerare anche la distribuzione delle dimensioni delle varie matrici. Infine, non va dimenticato l’ importante ruolo della distribuzione iniziale del farmaco all’interno della matrice, come ampiamente dimostrato in letteratura. Su questi temi si sono cimentati moltissimi ricercatori adottando diverse strategie. Peppas e collaboratori sono stati indubbiamente i primi ad intraprendere questa strada e, anche per questo, hanno fatto scuola a livello mondiale. Per esempio, tali autori hanno dimostrato che, in assenza di particolari condizioni al contorno e di particolari geometrie, il rilascio da matrici polimeriche può venir descritto da una semplice relazione esponenziale dove il valore dell’esponente può fornire indicazioni sulla natura fickiana o meno del rilascio a livello macroscopico [37]. L’analisi della diffusione mediante la legge di Fick ha permesso di definire le migliori geometrie per un rilascio costante del principio attivo. Infatti, riferendosi per semplicità ad una matrice polimerica in forma di parallelepipedo, supponendo che il rilascio avvenga solo secondo una direzione normale ad una delle tre coppie di facce parallele, e che il principio attivo sia presente nel reticolo polimerico in concentrazione costante, la velocità di rilascio decresce nel tempo. Per ovviare a ciò, Rhine [38] suggerisce una matrice emisferica completamente ricoperta da una membrana impermeabile eccezion fatta per una zona circolare della parte centrale della sua superficie piatta (vedi figura 4). Il modello matematico, sviluppato sulla base della legge di Fick, predice un rilascio costante del principio attivo perché tanto più il fronte di diffusione (è il fronte ideale che separa la zona della matrice in cui la concentrazione del principio attivo è uguale a quella iniziale da quella in cui la concentrazione è più bassa a causa del processo di rilascio) si allontana dall’interfaccia matrice/fluido di rilascio, tanto più grande è la sua superficie a causa della natura emisferica della matrice. Rilascio Fronte di diffusione Figura 4. Visione prospettica e sezione del sistema di rilascio studiato da Rhine. Sempre basandosi sulla legge di Fick, Lee [39] affronta il problema dell’ottenimento di una velocità di rilascio costante adottando una concentrazione non uniforme del principio attivo nella matrice. Egli dimostra teoricamente e sperimentalmente che un profilo di concentrazione sigmoidale decrescente dal centro della matrice verso l’esterno, assicura una velocità di rilascio pressoché costante. Quando il sistema di rilascio è un polimero reticolato che va incontro a rigonfiamento ad opera di un solvente esterno, la descrizione del rilascio diventa più complessa. Dunque, si devono usare equazioni di trasporto che incorporino il comportamento viscolelastico del sistema polimero/solvente. Senza la pretesa di essere esaustivi, a tal proposito si possono ricordare i lavori di Lustig [40], quelli di Cohen [41, 42] e l’uso dell’equazione di CameraRoda e Sarti [43] fatta da Grassi [44]. Ovviamente, si potrebbero citare moltissimi altri lavori in materia, ma questo esula dagli obiettivi di questa presentazione e per questo si rimanda il lettore a recenti review [35, 45]. 3 SVILUPPI FUTURI Il futuro prossimo richiederà un potenziamento dell’interazione tra ingegneria chimica e settore farmaceutico. Infatti, a parte le attività già menzionate, si stanno prepotentemente sviluppando i cosiddetti sistemi intelligenti che possono rispondere autonomamente a stimoli esterni. Per esempio, con 10 tecniche di imprinting molecolare si possono ottenere materiali biomimetici in grado di simulare i meccanismi naturali per il riconoscimento di particolari molecole bersaglio [46]. L’uso di questi materiali permetterà di affrontare sempre più efficacemente malattie come il diabete una volta che la molecola bersaglio sia il glucosio. Il sistema sarà in grado di rilevare concentrazioni elevate di glucosio e rilascerà, quindi, l’insulina. Le nanotecnologie renderanno tra breve possibile l’uso comune di sistemi farmaceutici contenti uno o più microchip che funzioneranno come una farmacia miniaturizzata per il rilascio del farmaco desiderato nella quantità voluta. Inoltre, sarà possibile realizzare nanomacchine in grado di viaggiare nel corpo umano ed intervenire ove necessario. Potranno, per esempio, attaccare meccanicamente batteri patogeni (come attualmente fa il sistema immunitario) o portare ossigeno ai polmoni in caso di insufficienza respiratoria o distruggere cellule tumorali. Le nanomacchine, probabilmente in funzione tra 50 anni, sono concepiti come enormi molecole composte da atomi di diversi elementi scelti accuratamente per dimensioni e proprietà chimiche [47]. Infine, il continuo sviluppo del molecular modeling fornirà sempre più precise informazioni sulle proprietà macroscopiche dei materiali a partire da quelle a livello atomico. specialisti nella progettazione di prodotti farmaceutici (modificazioni del principio attivo, scelta del tipo di formulazione, sistemi di rilascio o targeting) e di processi per l'ottenimento dei suddetti prodotti. Alcuni contenuti potrebbero essere: relazione struttura-proprietà di sostanze biologicamente attive • farmacocinetica • progettazione dei prodotti farmaceutici (scelta del principio attivo, progettazione della formulazione tradizionale, di sistemi di rilascio ritardato o controllato, di sistemi di drug delivery..) • processi di produzione (oltre alle operazioni unitarie tradizionali, liofilizzazione, cristallizzazione, separazioni cromatografiche, biotecnologie tradizionali (fermentazioni) e avanzate (ingegneria genetica) e progettazione dei relativi impianti • progettazione e produzione di strumenti diagnostici (biosensori, kit analitici..) Ovviamente, sarebbe interessante e logico offrire il corso a studenti provenienti dalle due aree culturali (ingegneria chimica, farmacia e chimica e tecnologia farmaceutica), anche se la differente formazione di base imporrebbe un accurato lavoro nella formulazione del curriculum e nell'impostazione dei corsi. Questa unificazione non sarebbe altro che una chiara e netta testimonianza di quanto si sta sviluppando a livello mondiale. 4 CONCLUSIONI Alla luce di quanto esposto, risulta evidente la potenzialità dell’interazione tra ingegneria chimica e settore farmaceutico. Su questa base, si potranno avere nuovi e significativi progressi scientificotecnologici con interessanti ricadute, anche in termini di finanziamenti per la ricerca, nel settore ingegneristico-farmaceutico. Tutto ciò favorirà la formazione di nuove figure professionali e, quindi, nuovi posto di lavoro con conseguente richiamo di studenti laddove questa sinergia sia in atto. I maggiori ricercatori del settore [1, 48] sostengono la necessità di aprire nuovi corsi universitari atti all’insegnamento dei fondamenti di ingegneria chimica, biologia e farmacia, in modo da fornire ai futuri ricercatori e manager gli strumenti adatti a per poter capire tutti gli aspetti di questo nuovo settore in rapida evoluzione. Sostanzialmente in questa ottica sono le considerazioni fatte recentemente da Annesini [24] che propone un corso (master di I, II livello o laurea specialistica) in Ingegneria (chimica) dei prodotti e dei processi farmaceutici per formare BIBLIOGRAFIA 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. N. Peppas, R. Langer, Origins and development of biomedical engineering within chemical engineering. AIChE J. 50(3) (2004) 536. N. Peppas, One Hundred Years of Chemical Engineering, Kluwer, Amsterdam (1989). Fonte AIDIC. G. Astarita, The history of chemical engineering in Italy. Adv. Chem. 190(12) (1980) 205. G. Astarita, Ingegneria chimica accademica in Italia: giganti o pigmei? La Chimica & L’industria. 74 (1992) 271. E. F. Leonard, L. W. Bluemle Jr., The Permeability Concept as Applied to Dialysis. Trans. Am. Soc. Artif. Internal Organs 33 (1960) 6. E. Landino, J. G. McGreary,. W. A. Thompson, J. E. Powers, Mass Transfer in a Horizontal Rotating Cylinder with Applications to the Oxygenation of Blood. AIChE J., 12 (1966) 117. E. N. Lightfoot, Low-Order Approximations for Membrane Blood Oxygenators. AIChE J 14 (1968) 669. D. Hershey, T. Karhan, Diffusion Coefficients for Oxygen Transport in Whole Blood. AIChE J. 14 (1968) 969. C. K. Colton, K. A. Smith, E.W. Merrill, P. C. Farrell, 11 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. Permeability Studies with Cellulosic Membranes, J. Biomed. Mater. Res. 5 (1971) 459. C. K., Colton, K. A. Smith, E.W. Merrill, S. Friedman, Diffusion of Urea in Flowing Blood. AIChE J. 17 (1971) 800. C. K. Colton, Uremia Therapy: Technical Foundations of Renal Prostheses, Springer, Berlin, (1987) pp 187–217. E. LN. Lightfoot Jr., Transport phenomena in living systems, Wiley, New York, (1973). A. P. Yoganathan, W. H. Corcoran, E. C. Harrison, Wall Shear Stress Measurements in the Near Vicinity of Prosthetic Aortic Heart Valves, J. Bioeng. 2 (1978) 369. L. A. Feig, N. A. Peppas, C. K. Colton, K. A. Smith, R. S. Lees, The Effect of Angiotensin II on In Vivo Albumin Transport in Normal Rabbit Aortic Tissue, Atherosclerosis 44 (1982) 307. O. Wichterle, D. Lim, Hydrophilic Gels for Biological Use, Nature 185 (1960) 117. N. A. Peppas, E. W. Merrill, Development of Semicrystalline PVA Networks for Biomedical Applications, J. Biomed. Mater. Res. 11 (1977) 423. C. M. Hassan, N. A. Peppas, Structure and Applications of Poly(vinylalcohol) Hydrogels Produced by Conventional Crosslinking or by Freezing/Thawing Methods, Adv. Polym. Sci. 153 (2000) 37. J Folkman, C. Haudenchild, Angiogenesis In vitro, Nature 288 (1980) 551. M. J. Bissell, M. H. Barcellos-Hoff, The Influence of Extracellular Matrix on Gene Expression: Is Structure the Message? J. Cell. Sci., 8 (1987) 327. J. Vacanti, M. Morse, M. Saltzman, A. Domb, A. PerezAtayde, R. Langer, Selective Cell Transplantation Using Bioabsorbable Artificial Polymers as Matrices, J. Ped. Surg. 23 (1988) 3. S. Sullivan, T. Maki, K. M. Borland, M. D. Mahoney, B. A. Solomon, T. E. Muller, A. P. Monaco, W. L. Chick, The Biohybrid Perfused Artificial Pancreas: Long-term, Implantation Studies in Diabetic, Pancreatectomized Dogs, Science 252 (1991) 718. ICheaP-2, The Second Italian conference on Chemical and Process Engineering, Firenze, 15-17 Maggio 1995. M. Annesini, R. Lapasin, M. Grassi, Relazioni tra Ingegneria Chimica e Facoltà di Farmacia, appunti, (2002), sito web GRICU http://gricu.dicpm.unipa.it/. M. Grassi, Studio della diffusione in idrogeli di biopolomeri per la progettazione di sistemi farmaceutici a rilascio controllato, Tesi di Laurea, Dipartimento di Ingegneria Chimica, Università di Trieste, (1990). Pharmacos 4. Medicinal Products for Human Use: Guidelines; directive 65/65/EEC, 75/318/EEC, (1991). Eudralex Collection; Vol. 3C, p 234 (Internet site: http://pharmacos.eudra.org/F2/eudralex/vol-3/home.htm). A. Martin, J. Swarbrick, A. Cammarata, Physical Pharmacy, Physical Chemical Principles in the Pharmaceutical Sciences, LEA & FEBIGER, Philadelphia (1983). K. B. Bischoff, R. G. Brown, Drug Distribution in Mammals, Chem. Eng. Prog. Symp. Series 62 (1966) 62. D. W. A. Bourne, Mathematical Modeling of Pharmacokinetic Data, Technomic Publishing Co. Inc., Lancaster Basel, (1995). 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. R. S. langer, An Interview with a Distinguished Pharmaceutical Scientist, Pharm. Res. 16(4) (1999) 475. A. S. Michaels, Synthetic Polymeric Membranes: Practical Applications- Past, Present and Future, Pure Appl. Chem. 46 (1976) 193. R. Langer, J. Folkman, Polymers for the Sustained Release of Proteins and Other Macromolecules, Nature 263 (1976) 797. G. Grassi, P. Dawson, G. Guarnieri, R. Kandolf, M. Grassi, Therapeutic Potential of Hammerhead Ribozymes in the Treatment of Hyper-Proliferative Diseases, Curr. Pharm. Biotec. (2004) in corso di stampa. M. Grassi, Meccanismi di rilascio di farmaci da matrici polimeriche, Memorie del 3° Corso della Scuola Dottorale per la Formazione Avanzata in Discipline TecnologicoFarmaceutiche (CHIM 09) (2003), Università della Calabria, Arcavacata di Rende. J. Siepman, N. A. Peppas, Modeling of drug release from delivery systems based on hydroxypropyl methylcellulose (HPMC), Adv, Drug Del. Rev. 48 (2001) 139. G. Israel, in Modelli Matematici nelle Scienze Biologiche, a cura di P. Freguglia, Edizioni Quattro Venti, Urbino, (1998) 134. N. A. Peppas, P. L. Ritger, A Simple Equation for Description of Solute Release I. Fickian and Non-Fickian Release from Non-swellable Devices in the Form of Slabs, Spheres, Cylinders of Discs, J. Controlled Release 5 (1987) 23. W. Rhine, V. Sukhatme, D. Hsieh, R. Langer, A New Approach to Achieve Zero-Order Release Kinetics from Diffusion-controlled Polymer Matrix Systems, Controlled Release of Bioactive Materials, Academic Press, New York, (1980) 177-188. P.I. Lee, Initial concentration distribution as a mechanism for regulating drug release from diffusion controlled and surface erosion controlled matrix systems, J. Control. Release 4 (1986) 1. S.R. Lustig, J.M. Caruthers, N.A. Peppas, Continuum thermodynamics and transport theory for polymer–fluid mixtures, Chem. Eng. Sci. 47 (2) (1992) 3037. D.S. Cohen, Theoretical models for diffusion in glassy polymers, J. Polym. Sci.: part B: Polym. Phys. 22 (1984) 1001. D.S. Cohen, Sharp fronts due to diffusion and stress at the glass transition in polymers, J. Polym. Sci.: part B: Polym. Phys. 27 (1989) 1731. G. Camera-Roda, G.C. Sarti, Mass transport with relaxation in polymers, AIChE J. 36 (6) (1990) 851. M. Grassi, I. Colombo, R. Lapasin, Drug release from an ensemble of swellable crosslinked polymer particles, J. Controlled Release, 68(1) (2000) 97. M. Grassi, G. Grassi, Mathematical modelling and controlled drug delivery: matrix systems, Current Drug Delivery, in corso di stampa, 2004. R. langer, N. A. Peppas, Advances in biomaterials, drug delivery and bionanotechnology, AIChE J. 49(12) (2003) 2990. L’invasione delle nanomacchine, Quark 38 (2004) 77. M. Saltzman, Drug Delivery, Oxford University Press, Oxford (2001). 12