Socializzazione, trasmissione culturale e riproduzione culturale Il processo di inculturazione In ogni società sono presenti dei dispositivi per trasmettere la cultura (cioè le conoscenze), le esperienze e le forme di relazione che caratterizzano il modo di vita dei suoi membri, da una generazione all’altra, ma anche a persone provenienti da altre società. Le culture dispongono di meccanismi per condizionare il comportamento, per orientare l’azione dei singoli verso i significati e i modelli condivisi, in modo esplicito o implicito. Gli antropologi definiscono il processo attraverso cui la società recluta i suoi membri plasmandoli con la propria cultura, secondo forme istituzionalizzate o in modo spontaneo Inculturazione «Noi tutti nasciamo con l’equipaggiamento adatto per vivere mille tipi di vita, ma finiamo con l’averne vissuta una sola» Clifford Geertz Due precisazioni fondamentali Il processo di inculturazione non si concentra solo nel periodo dell’infanzia e dell’adolescenza, quando peraltro è più intenso, ma di fatto si dispiega nell’intero corso della vita, in relazione alle posizioni e ai ruoli che l’individuo si trova ad assumere. L’inculturazione non produce soltanto l’inserimento dell’individuo in un sistema di significati e di relazioni, generando un sentimento di identificazione nel gruppo, ma comporta anche conflitto e tensione, espressi spesso in forma simbolica, come nel caso dei passaggi di status e dei riti che li accompagnano. Secondo Durkheim: inculturazione e socializzazione sono due etichette per le stesse modalità di apprendimento, prevalentemente informali e fondate sull’interazione sociale e sull’imitazione, che mirano ad operare un condizionamento sugli individui. Alla base vi è l’esigenza dell’omogeneità Valori, norme e modelli Durkheim ha posto l’accento sulla dimensione normativa che fa da cornice alle interazioni sociali. Le norme sociali condivise da un gruppo sono uno strumento-chiave del processo di inculturazione. Il loro scopo è quello di conferire stabilità alla società. La norma stabilisce qual è il modo «giusto» di fare le cose, prescrive il comportamento socialmente approvato e per converso determina anche quello socialmente disapprovato. Secondo Radcliffe-Brown le norme sono obblighi sociali la cui infrazione comporta sanzioni. La conformità dei comportamenti individuali alle norme istituzionali è determinata, all’interno di questa prospettiva, dalla forza con cui queste ultime si impongono come imperativi e modelli ideali. Non vi è, tuttavia, una corrispondenza matematica tra norma e azione, e la distinzione tra conformità e devianza dei comportamenti non è sempre così netta. Le situazioni della vita quotidiana sono fluide e indeterminate, e le azioni e relazioni rimandano in realtà a una pluralità di norme, talvolta in conflitto tra loro. Le regole, proprio perché molteplici, sono anche ambigue: esse rendono così possibili interpretazioni alternative e autorizzano forme diverse di comportamento. Le norme costituiscono allora degli strumenti ideologici che individui e gruppi impiegano nel processo di costruzione e negoziazione della realtà sociale. Sotto questo profilo, l’Antropologia giuridica ha indagato sulla natura del diritto. Alla base vi era la necessità di non imbrigliare la nozione di diritto alla sola presenza di una rigida codificazione scritta. In termini più generali e in ragione di un’interpretazione più elastica e più ampia, è possibile definire diritto ogni forma di regolamentazione utile al mantenimento dell’ordine sociale e alla difesa dei valori culturali. L’antropologia giuridica, ad esempio, ha soffermato l’attenzione sulle modalità di risoluzione dei conflitti e delle contese, analizzando le diverse forme di negoziazione, la vendetta, la faida, ecc.. Cosa sono dunque le norme? È possibile quindi considerare le norme come parte di modelli operativi o modelli decisionali, distinti dai modelli ideali. Tali modelli sono un insieme di istruzioni per prendere decisioni e agire nel mondo in modo appropriato, e sono costituiti oltre che da regole, anche da strategie e obiettivi. Cosa ne consegue? In questa prospettiva le norme motivano e organizzano il comportamento, ma non lo determinano automaticamente, perché altri fattori concorrono a orientarlo. Sulla base di questo grado di indeterminazione le regole possono essere manipolate, applicate, ignorate o contrastate a seconda dei fini perseguiti dagli individui, o dalla loro posizione sociale e rete di relazioni. Non esiste l’azione deviante in senso assoluto, qualsiasi azione fa riferimento a un qualche modello e il comportamento può essere deviante rispetto a una norma ma coerente con un’altra. E i valori? La trasmissione della cultura interessa l’intero processo di costruzione dell’azione: il significato di quest’ultima è collegato non solo alle norme e alla loro variabilità, ma anche agli scopi e alle motivazioni degli attori. I valori culturalmente definiti, il prestigio, l’indipendenza economica o il coraggio, per esempio, sono parte essenziale degli obiettivi che gli attori tendono a raggiungere più o meno consapevolmente, e sono un fattore importante nell’indirizzare il corso dell’azione. I valori non sono legati a una situazione specifica come le norme, possono quindi rendere conto di una molteplicità di situazioni: a essi si ricorre per legittimare un comportamento che non si accorda alle regole previste per il caso. Poiché i valori sono la matrice delle norme e dei modelli di comportamento. Hanno una portata più ampia e generale, e come tutti i significati culturali sono continuamente interpretati e reinterpretati Lo stesso valore può dare luogo a corsi d’azione molto diversi e azioni simili possono avere origine da valori diversi. Il processo di inculturazione forma il membro della società in quanto parte di un gruppo che ha una sua identità proprio in virtù della condivisione di certi valori, in questo modo genera l’integrazione sociale. Questo aspetto si accompagna al ruolo attivo del soggetto nell’interpretare la cultura trasmessa, nello scegliere e foggiare il suo comportamento. La variabilità di norme e valori emerge anche nelle comparazioni tra culture e nelle comparazioni cronologiche. Questo aspetto illustra in modo inequivocabile la natura convenzionale e arbitraria delle norme e dei valori. In altre parole, norme e valori non sono né naturali né universali, sono gli uomini a stabilirli sulla base di ragioni storiche e ideologiche. Ad esempio L’organizzazione domestica o le forme di sussistenza sono un elemento importante nell’orientare regole e modelli di comportamento. Due casi concreti Tra i beduini della Penisola arabica è regola che gli uomini e le donne della famiglia si separino per consumare il pasto quando questo viene condiviso con ospiti esterni al gruppo familiare. Due casi concreti Tra gli Ashanti del Ghana solo maschi e femmine dello stesso gruppo di discendenza mangiano insieme: così il cibo riunisce fratelli e sorelle ma non mariti e mogli. Una importante notazione È difficile riconoscere la contingenza e convenzionalità dei valori e delle norme a cui si aderisce, in quanto il loro carattere costruito viene occultato dalle società che, per salvaguardare le basi della loro esistenza e l’identità dei loro membri, attribuiscono ai valori, e a tutti i simboli culturali, un carattere naturale o sacro, che li sottrae all’arbitrarietà e precarietà e li eleva sopra agli altri. Interessante è inoltre l’esempio dello schema di valori condiviso dai membri delle popolazioni inuit. Tale società sembra infatti essere caratterizzata dalla incessante ricerca del dominio. La supremazia è misurata sulla base di alcuni parametri di riferimento. Un primo valore è dato L’acquisizione di donne Una prole numerosa (soprattutto maschi) Il successo nella caccia Un secondo valore è dato Dalla cooperazione e dalla generosità, soprattutto in tempi di abbondanza e sempre dopo aver badato al proprio prestigio. Un terzo valore è dato Dalla capacità di acquisire beni,quantitativamente scarsi, anche sottraendoli agli altri. Inoltre, il futuro non è sotto il controllo degli uomini e una vita senza la possibilità di partecipare alla competizione non è degna di essere vissuta. Ecco che allora le strategie di azione delle popolazioni inuit sono il frutto dell’intersezione tra lo schema di valori e le caratteristiche dell’ambiente. Ciò implica lo sviluppo di comportamenti improntati su violenza e aggressività, la quale non si ferma nemmeno davanti alle relazioni di parentela e matrimoniali. Il leader del gruppo rimane tale finché è in grado di offrire benefici economici e sociali agli altri membri. Coloro che non sono in grado di concorrere in una simile competizione vengono beffeggiati e talvolta eliminati. Uno dei modi in cui si compete per il prestigio e in cui si realizza un controllo in forma ritualizzata del conflitto è il duello di canzoni, presente tra gli Esquimesi centrali e orientali. Due individui che hanno motivi di rancore e di tensione, si confrontano non sul piano della forza fisica ma su quello dell’abilità canora. Il canto è composto secondo uno stile stabilito, contiene allusioni alle altrui debolezze e insulti. La contesa si svolge davanti a un pubblico che decide l’esito della sfida attraverso applausi e risate. Le vie della trasmissione e dell’acquisizione culturale Il problema della trasmissione della cultura è strettamente connesso sia alla necessità di controllo sociale che al bisogno di consolidare l’adesione degli individui alle convenzioni che fanno da sfondo alle interazioni tra i membri di una comunità. Secondo Malinowski, ad esempio, il controllo sociale e la conformità dei comportamenti tra i Trobriandesi si realizzano attraverso la consuetudine dello scambio di prestazioni e di beni, fondato sul principio di reciprocità. Abbiamo sottolineato in precedenza che tutte le società sono dotate di meccanismi di controllo che potremmo definire in senso ampio «giuridici», il cui scopo è legato alla riproduzione culturale, indirizzando i comportamenti e sanzionando le eventuali deviazioni Accanto a meccanismi strutturati (codici) e a istituzioni di controllo (ad esempio, i tribunali), esistono altre forme di comportamento sociale che consentono di evidenziare positivamente o stigmatizzare determinate azioni: Il rimprovero; Il pettegolezzo; L’opinione pubblica e i sentimenti di rispetto e vergogna a essa connessi; L’allontanamento dal gruppo; Le accuse di stregoneria; I simboli religiosi; Le forme di linguaggio (ad es. il duello canoro); La comunicazione attraverso i media. La trasmissione di saperi e comportamento non costituisce uno schema rigido. In altre parole, essa si muove lungo due direttrici: Conservazione Mutamento La cultura rappresenta infatti un patrimonio consegnato alle azioni degli individui che lo gestiscono seppure sulla scorta di alcuni vincoli, sulla base di scelte e interpretazioni. Più semplicemente, tale processo è caratterizzato sia da riproduzione che da trasformazione della cultura. Questa dinamicità del processo consente l’acquisizione di nuovi modelli comportamentali e di nuove interpretazioni dei significati sociali. Il processo di riproduzione culturale lascia spazio alle capacità creative degli attori sociali. Esso coincide con la pratica e con l’esperienza dei soggetti: ha a che fare con la costruzione, negoziazione e comunicazione dei significati nelle interazioni della vita quotidiana in un processo di ricreazione continua della realtà sociale. Famiglia e inculturazione La famiglia, nelle diverse forme in cui si presenta, è il contesto principale dei processi di socializzazione e di trasmissione culturale tra le generazioni. A essa è affidato il compito della riproduzione biologica, presupposto di qualsiasi forma di riproduzione culturale, e le sono attribuite funzioni educative decisive nella costruzione della persona. L’allattamento materno non rappresenta solo un fattore naturale collegato al bisogno della nutrizione, bensì svolge un ruolo decisivo anche sotto il profilo dei processi di socializzazione. Le modalità di allattamento sono espressione di una varietà di relazioni sociali e simboliche.Tali modalità sono influenzate e a loro volta influiscono nella formazione dell’idea di persona e di tempo, a strutturare i ruoli sociali, a definire i sentimenti, a inserire l’individuo nel sistema di produzione e di potere. Di solito è alla madre che vengono attribuite le funzioni di cura e il compito di strutturare emotivamente il bambino. Tuttavia, in alcune società (ad es. in Nepal) dove dominante è il legame di parentela in linea maschile, accanto alla madre anche la sorella del padre si prende cura del bambino, stabilendo con lui un rapporto molto stretto. Nelle società patriarcali il legame con la madre viene interrotto precocemente. In alcune regione dell’Arabia Saudita si ritiene che l’allattamento plasmi il carattere della persona e dunque la madre viene ritenuta responsabile dei difetti e delle malattie dei figli. L’antropologia, a partire dalle ricerche condotte da Margaret Mead e Ruth Benedict, si è interessata alle influenze culturali sul processo di crescita dell’individuo, sulle relazioni tra genitori e figli, tra adulti e bambini, e sui modelli di allevamento. Ogni individuo è sottoposto all’interiorizzazione dei ruoli fin dalla prima infanzia in relazione al sesso, alla posizione nella famiglia, all’età. Ora, se nel primo periodo di vita la socializzazione con i modelli culturali si compie principalmente attraverso i gesti e le modalità di soddisfazione dei bisogni, la stimolazione o l’inibizione delle attività del bambino, successivamente è il linguaggio il più importante strumento della trasmissione culturale. Dunque all’apprendimento per imitazione si affianca l’apprendimento per insegnamento. Scuola ed educazione La scuola è l’istituzione a cui è assegnato il compito dell’educazione formale (che si differenzia da quella informale acquisita ad esempio in famiglia o nel gruppo dei pari), incaricata esplicitamente dell’istruzione e dell’apprendimento. Gli antropologi sostengono tuttavia che le scuole devono essere studiate come istituzioni nella loro connessione con altre istituzioni, la famiglia ma anche l’economia. Franz Boas aveva rivolto l’attenzione ai problemi dell’educazione scolastica negli Stati Uniti sostenendo che, nella situazione di pluralismo culturale, le differenze nell’apprendimento e nel rendimento scolastico non dovevano essere attribuite a presunte caratteristiche innate legate all’appartenenza etnica, ma piuttosto dovevano essere collegate alla specificità delle tradizioni culturali e delle caratteristiche sociali e familiari. Il grado di successo del processo di formazione e di apprendimento si collega alla capacità dell’istituzione scolastica di non essere percepita, soprattutto dai membri delle minoranze culturali, come una minaccia alla propria identità di appartenenza. Altre ricerche hanno rilevato che le scuole emergono nelle società-stato con l’obiettivo di rafforzare la fedeltà e la sottomissione all’autorità centrale, o per favorire il consolidamento di un’identità nazionale e la diffusione di una lingua comune I processi di trasmissione culturale assumono caratteri e modalità diverse nel contesto delle culture orali e delle culture scritte. La diversità del vettore dell’informazione, per così dire modifica anche i rapporti di equilibrio e di potere all’interno del contesto sociale. L’antropologo britannico Jack Goody ha sottolineato, infatti, come nei sistemi culturali dotati di scrittura mutano le modalità di apprendimento e l’organizzazione mentale delle conoscenze. La scrittura, diversamente dal fluire della conversazione orale, fissa le espressioni linguistiche consentendone l’analisi e il confronto e trasforma in questo modo le operazioni del pensiero. Pensare in una cultura orale non è la stessa che pensare in una cultura scritta. Per quanto l’introduzione della scrittura abbia avuto effetti diversi secondo il contesto sociale, essa si è comunque rivelata uno strumento di potere. Infatti, in molte società centralizzate, il potere derivante dal controllo della scrittura e dall’accumulazione e trasmissione del sapere fu a lungo possesso esclusivo delle élites religiose e politiche. Nell’incontro tra culture dotate di scrittura e culture senza scrittura, essa è diventata molto spesso strumento di dominazione e di espropriazione dei beni e delle terre dei dominati. Oggi non si contrappongono più in modo netto le società letterate alle società illetterate, sia perché in molte società la scrittura è stata a lungo riservata a gruppi e ambiti ristretti, sia perché in altre, ritenute prive di scrittura, esiste invece una qualche forma di grafia, come quella usata in certi processi divinatori come le rappresentazioni grafiche dei churinga, oggetti sacri degli Aborigeni australiani. O ancora alcune forme di codificazione come il sistema delle cordicelle colorate i Khipukuna utilizzate dalle popolazioni andine e ancora oggi non decifrate. La politica della cultura: Tradizioni, gruppi e identità Il processo di inculturazione costruisce il senso di appartenenza dell’individuo al gruppo, fornisce cioè all’individuo gli strumenti per identificarsi nella comunità più ampia, sia essa un’etnia o una nazione. Tutto ciò che viene ereditato dal passato, conoscenze, valori, regole e modelli di comportamento, e in forma orale o scritta, trasmesso nel presente tra i membri di una società, è pensato come elemento di continuità ed è etichettato come tradizione. Spesso si è guardato alla tradizione come ad un qualcosa di statico ed immutabile nel tempo. Gli antropologi hanno a lungo pensato che il loro compito fosse quello di preservare le culture e di rintracciare le tradizioni originarie dei popoli che studiavano, per ricostruire un passato incontaminato, che si supponeva essere rimasto immutato fino al periodo coloniale e all’intervento dei missionari. Il mondo precoloniale «tradizionale» era stato assai più movimentato di quanto l’antropologia abbia supposto: scambi commerciali, culti religiosi, movimenti dei gruppi per la coltivazione, migrazioni per carestie e conflitti erano fenomeni ricorrenti un po’ ovunque, che ponevano in contatto i diversi gruppi, producendo mutamenti nella società e variazioni nella cultura. Ecco che allora la nozione di tradizione rappresenta sia una mera categoria utile agli studiosi per classificare e distinguere le popolazioni, che uno strumento politico, più o meno efficace, per la rivendicazione identitaria locale. Anche la tradizione, quindi è oggetto di mutazioni, cambiamenti, forme di rielaborazione giustificate e stimolate dalla mutabilità dei contesti storici, sociali, economici, ecc. L’incontro e la contaminazione tra le culture implica una rilettura ed un rimescolamento, funzionale, del corredo di valori fino a quel momento condivisi. L’antropologo Eric Wolf ha fatto notare come molti dei popoli e delle tribù classificati «senza storia» dagli studiosi occidentali, sia in Africa che in America, sono in realtà una creazione recente, risultato del contatto e dello scontro tra Europei e popolazioni indigene. Etnia, Nazione, Razza L’identità sociale non si costruisce soltanto nella condivisione di una tradizione, ma si plasma anche nella relazione che ogni gruppo intrattiene con gli altri e nel conseguente bisogno di distinzione. L’antropologo norvegese Fredrik Barth ha proposto di considerare la divisione in gruppi etnici come il modo in cui vengono organizzate a livello sociale le differenze culturali. Se da un lato, nel linguaggio comune i termini etnia, nazione e razza sono spesso utilizzati come sinonimi, tuttavia gli studiosi hanno operato alcune distinzioni semantiche differenziando la portata e l’estensione di tali termini. Il termine etnia (dal greco ethnos che indicava i popoli e i gruppi che avevano istituzioni diverse dalla polis) indica una sorta di nazione incompiuta, un gruppo non ancora costituito in nazione (dal latino natus), ovvero in quella comunità che corrisponde ad uno stato con territorio e confini precisi, dove è il potere centrale a definire i criteri dell’identità e dell’appartenenza nazionale. Anche in questo caso in realtà non possiamo trascurare il fatto che simili categorie non possono essere assunte in maniera rigida. Anch’esse sono il prodotto di adattamento e di convenzioni dettate da ragioni di opportunità storica, economica, sociale. In altre parole, la linea di confine tra le diverse etnie è sempre il frutto di una scelta arbitraria. L’identità etnica acquista un significato nella separazione dall’altro, e quindi il gruppo etnico emerge come prodotto delle relazioni sociali. L’etnia si definisce in modo contestuale, selezionando solo alcuni tratti culturali come distintivi (la lingua, la religione, le forme di matrimonio, l’abbigliamento o il cibo per esempio) che si considerano come propri in contrasto con quelli altrui. Ma tutti questi aspetti sono soggetti a mutare nel corso del tempo e possono essere manipolate a seconda della situazione, attraverso modificazioni della memoria collettiva e creazioni di nuove differenze culturali che segnano i confini, meccanismi che sono parte del processo di rielaborazione delle tradizioni. È ormai largamente diffusa e per nulla controversa l’idea che il termine «razza» abbia un significato eminentemente ideologico e nulla abbia a che fare con reali distinzioni (naturali, morali, ecc.) tra gli individui. Nel corso del recente passato il ricorso ad una simile terminologia è servito solo come giustificazione pseudoscientifica a forme di inaudita violenza e di discriminazione. Più propriamente gli studiosi parlano di popolazioni genetiche. In altre parole la comunanza genetica è il risultato della consuetudine e della vicinanza tra popolazioni. Sebbene le distinzioni etniche siano il frutto di una scelta arbitraria esse tuttavia determinano un equilibrio assai delicato all’interno delle relazioni sociali in comunità nelle quali coesistono ceppi etnici diversi. Va però sottolineato come il «conflitto etnico» in genere esplode quando vi sono altri motivi di contrapposizione, spesso meno evidenti, più nascosti ma senza dubbio più determinati. Si pensi, ad esempio a quanto accaduto in Kosovo o in Ruanda. La cultura ai tempi della globalizzazione La natura globale della società contemporanea unitamente alla densità dei flussi migratori hanno sollevato diverse questioni in merito alla mescolanza tra le culture e alle modalità di convivenza tra stili e modelli di vita distinti. Sotto questo profilo è interessante il dibattito che ha animato varie discipline e che è stato etichettato con il termine Multiculturalismo Alla base della riflessione multiculturale vi è l’esigenza di comprendere se, nella costruzione dei meccanismi istituzionali e delle forme di convivenza sociale, debba essere attribuita una priorità ad alcuni caratteri considerati universali o piuttosto se adottando un approccio particolarista, debbano essere potenziate e promosse quelle dinamiche sociali che salvaguardano la specificità culturale dei membri di una comunità. Il problema è quello di trovare il giusto grado di equilibrio tra Integrazione e Riconoscimento “Parafrasando la logica kantiana è possibile sostenere che l’integrazione senza il riconoscimento è vuota e conduce ad un appiattimento culturale e ad una sterile burocratizzazione dei rapporti sociali; come pure il riconoscimento senza l’integrazione è cieco, poiché giustifica forme di ghettizzazione che svuotano di senso e di contenuto un valore fondamentale qual è quello della lealtà civile.” Vincenzo Maimone