“in-contriamoci” un’opportunità per crescere insieme Alla domanda: chi è lo zingaro? Corrisponde certamente la scoperta di un mondo complesso e ricco quanto basta per aiutare la società a maturare un modello di convivenza civile, e perché no produttivo, traendo proprio da ciò che è stato ritenuto sempre una spina nel fianco, un peso, una vergogna. Conoscere Chi vive accanto a noi da oltre sette secoli, significa accorgersi quanto sia lontana la verità dai pregiudizi ravvedendo in loro l’essere in grado di rappresentare per gli altri, sia in termini di umanità sia in termini di contributo economico, una vera e propria risorsa. Molto dipende, però, dal livello di sensibilità e di volontà politica ad accogliere tale proposta di convivenza comunitaria, l’amministrazione occorre che trovi il coraggio di accettare la sfida, anche a costo di perdere una parte dell’elettorato. Capire la differenza che i Rom portano in sé, senza falsificazione e con franchezza, è certo il modo migliore per individuare una collocazione giusta nell’ambito del tessuto sociale, sia locale e sia regionale. Una collocazione che salvaguardi l’identità zingara. Perché si attui il processo di unificazione delle diverse forze per una migliore qualità di vita verso l’abbattimento di devianze incancrenite, bisogna collaborare insieme, riconoscendo per prima una legittima rappresentatività. Premessa indispensabile. Viceversa, chi rifiuta di acquisire il concetto di differenza culturale nascondendosi dietro i luoghi comuni di controllo sociale, di repressione, di emarginazione nei confronti dei rom, bene, allora la testa sotto la sabbia ci porterà tutti, indistintamente, all’autodistruzione etica ed economica. Se l’amministrazione continua a porsi “muro di gomma” davanti alla questione Rom, noi avremo sempre più: manovalanza per la criminalità organizzata, carceri strapieni, disoccupazione; di conseguenza avremo centri di assistenza sempre più affollati, un malcontento crescente, insomma uno stato sociale che conferma la tesi del parassitaggio cronico degli zingari in cui l’intolleranza spinge alla perdita culturale di una minoranza etnico-linguistica. Un impoverimento per il paese. Ricordando che tale atteggiamento non democratico sarebbe anticostituzionale nell’ambito delle politiche sociali europee, in quelle nazionali ed anche in quelle locali. Leggi e raccomandazioni dal Consiglio d’Europa sono sempre più promulgate a favore della tutela e il rispetto dei popoli minoritari. “Lo zingaro, un disoccupato cronico…” Stando allo stereotipo più diffuso e più difficile da estirpare: “lo zingaro che vive di espedienti, oppure disoccupato a vita perché pigro irrimediabilmente” rispondo: che non sono assolutamente veri tali assiomi per un semplice motivo, perché se così fosse, il cosiddetto ecosistema sociale l’avrebbe estinto da tempo. Gli zingari non esisterebbero più. Se esistono ancora, dopo millenni, è segno evidente che qualche contributo l’abbiano dato di certo. Casomai è incerto che il contributo lo diano attualmente. Ed è per questo che oggi siamo riuniti. Inoltre, anche se, dovrebbe essere risaputo, pochi stentano a ricordare che sia lo spettacolo ambulante in genere, sia il commercio in genere, sia l’artigianato in genere, tanto per citare alcuni fondamentali mezzi dell’economia zingara, rappresentano non solo la tradizione ma la piattaforma ideale da cui partire per ciò che è auspicabile in futuro, il rilancio di un sistema economico in crisi. Sappiamo che dette tradizioni lavorative sono entrate in crisi con l’avvento dell’era industriale. Ma oggi è possibile riconvertire il popolo zingaro verso i propri mestieri? Si, integrandoli e aggiornandoli alle nuove esigenze della vita post-moderna. Questa è la sfida che lanciamo. Noi possediamo programmi per tale proposta. Veniamo ora all’identità zingara. Cos’è l’identità zingara Per spiegare la teoria integrale dell’identità zingara è chiaro che il tempo a nostra disposizione è insufficiente; al contrario ho avuto modo di tenere all’Università Tor Vergata di Roma un corso di cultura zingara della durata di tre mesi usando le mie pubblicazioni sulla lingua, cultura e identità. Qui ci sono dei libri per chi volesse approfondire. Mi limiterò, allora, ad accennare alcuni postulati utili per le finalità di questa assemblea. Penso sia importante fornire sinteticamente tracce che diversificano la personalità socio-psicologica dell’individuo appartenente alla cultura Rom, rispetto agli altri . esse sono: Il concetto del lavoro, il concetto spazio-tempo, il bilinguismo, le tradizioni, questi rappresentano i segni distintivi alla base della visione del mondo che i rom conservano indelebilmente per natura e per storia. Tali elementi costituiscono un’identità ancora molto forte che ha il potere di condizionare il soggetto nelle proprie scelte di vita. Dunque se la radice del sentire e del percepire la realtà è diversa dal sedentario, noi avremo in risposta anche un’etica del lavoro differenziata, cioè legata anzitutto alla mobilità concettuale definita comunemente come nomadismo esistenziale. Cosa vuol dire, che l’attività si accompagna al proprio modo di essere. Il soggetto sovrasta l’oggetto, viene prima l’uomo e poi il lavoro. L’attività si adatta al soggetto che è in movimento, in quanto nomade. Al contrario succede per il sedentario. Inoltre, tenuto conto che il nomade ha congegnato, per motivi stretti allo spostamento territoriale attività consoni al principio di adattamento alla precarietà, ossia concernente una particolare nicchia ecologica sviluppata all’interno del mondo rurale che nel corso dei secoli, egli ha sempre prediletto nei suoi rapporti professionali precisi valori: la mediazione, l’arte del convincimento, l’intrattenimento, la sublimazione, sia nelle performance e sia nei materiali (vedi i circensi, i giostrai, gli artigiani dell’oro, l’argento e il rame). Perciò il baratto e la reciprocità, fondano due punti cardini vincolanti nella loro azione là dove per lavoro si intende gioco, hobby, part-time. Domenico de Masi, eminente sociologo del lavoro, nel suo ultimo libro “l’ozio creativo” edito dalla Rizzoli, sostiene che il concetto del lavoro quale occasione di svago ludico e di riappropriazione dell’espressività umana, era già presente presso gli antichi romani. L’ozium era inteso come momento altamente creativo perché era riservato ai ranghi intellettuali in quanto erano dediti alla creazione e non alla produzione. Stranamente e fortunatamente, a conforto di ciò tali principi concettuali del modo di intendere il lavoro si trovano in parallelo oggi giorno con l’affermazione di quei nuovi orientamenti etici della produttività cui le società avanzate tendono a raggiungere. Detto ciò possiamo affermare, concludendo, che la formazione professionale dei giovani Rom deve essere impostata, supportata e indirizzata da esperti zingari, al fine di garantire la riuscita nella progettazione lavorativa. Quindi, occorre progettare mestieri che tengano conto della radice ispiratoria del concetto di lavoro. In passato presso enti regionali preposti allo promozione lavorativa come ‘ENFAP, ENAIP, si sono occupati di rispondere alle esigenze di formazione professionale per i giovani rom organizzazioni per zingari, come l’OPERA NOMADI, NAMASTE, l’ARCI, l’AIZO ed altri, che hanno sempre fallito. Hanno fallito proprio perchè nei loro programmi mancava la capacità di indirizzo professionale. I corsi, spesso ridotti a: falegnameria, giardinaggio, tornitore, sartoria ecc.. non corrispondevano affatto alla concezione del lavoro dei Rom. Erano attività esclusi dalla mentalità creativa dello zingaro. Esistono invece nell’ambito della tradizione e del regolamento etico della cultura zingara lavori vietati e lavori consentiti. La cernita dei lavori consentiti è subordinata ai principi di puro-impuro. Per puro-impuro si intende una sorta di confine immaginario che segna l’essere degno o meno di appartenere alla dimensione umana. Degno uomo è colui che non si contamina e mantiene l’integrità della razza zingara: onorevolezza, “patvalipè romanò”. Per cui chi sceglie un lavoro impuro secondo la deontologia etica zingara si esclude automaticamente dalla dignità di essere zingaro. In altre parole vi sono lavori non riconosciuti dal gruppo perché minacciano di contaminare l’identità. Dunque entra in ballo il delicato equilibrio dell’identità. Per questo ed altri motivi ancora pensiamo di rilanciare la formazione professionale a favore dei rom anche e soprattutto per recuperare un’identificazione etnica anch’essa andata negli ultimi tempi in crisi. Inoltre ritengo che la questione del lavoro sia urgente, è alla base della soluzione di tanti problemi ed equivoci tra minoranza e maggioranza. Bruno Morelli