Le matrici illuministiche e positivistiche della sociologia

FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE
Corso di laurea in scienze politiche
(vecchio e nuovo ordinamento)
Prof. Everardo Minardi
Sociologia /Sociologia generale
SINTESI DELLE LEZIONI
Lezione del 21 ottobre 2002
Introduzione al corso
Essendo questa la prima lezione del corso, il docente si è soprattutto incentrato nella
presentazione del programma e di altri aspetti organizzativi, di cui si possono acquisire
informazioni più puntuali consultando il sito Internet (www.sociologiateramo.too.it).
In particolare, agli studenti sono state fornite le seguenti informazioni:


Il corso si articolerà in lezioni frontali del docente centrate sugli autori ed i paradigmi della
sociologia, utilizzando come chiave di lettura il carattere dilemmatico dei concetti e delle
teorie sociologiche;
In merito ai testi di studio (necessari per la preparazione della prova scritta e dell'esame
orale finale) si deve ricorrere allo studio nella sua integralità del seguente testo:
A. Izzo, Storia del pensiero sociologico, Il Mulino, Bologna (l'ultima edizione
disponibile);
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Il corso sarà caratterizzato da una particolare rilevanza data ai momenti di valutazione
dell'apprendimento; ciò porterà alla realizzazione di:
o Ogni 3/4 settimana di un test di valutazione del tutto facoltativo; gli studenti
potranno così valutare personalmente come procede la loro preparazione; tale test si
svolgerà in aula durante l’orario di lezione secondo quanto stabilito dal calendario;
o Una prova scritta a carattere obbligatorio, che gli studenti dovranno effettuare per
accedere alla prova orale conclusiva del corso; alla prova orale si potrà accedere,
anche avendo conseguito un punteggio negativo, da parte di tutti coloro che hanno
effettuato la prova scritta; in ogni sessione di esami sarà proposta tale prova
necessaria per accedere alla prova orale.
Per ogni chiarimento, il docente invita gli studenti a fruire dell’orario di ricevimento
indicato nella bacheca di facoltà nonché a consultare il sito Internet per ulteriori
informazioni ed indicazioni di studio.
1
Ogni studente potrà inviare richieste anche via e-mail direttamente a:

Prof. Everardo Minardi: [email protected]
Lezione del 22 ottobre 2002
Il carattere dilemmatico della sociologia:
una chiave di lettura e di interpretazione
L'intento di avviare una rilettura di autori e di scuole della sociologia dà origine ad un
percorso difficile e complesso per la convergenza di diversi elementi di ordine teorico e
metodologico.
In particolare non si tratta di ripercorrere in termini sistematici la successione storica di
concetti e paradigmi, ma di mettere in discussione le premesse che stanno alla base di tale percorso.
Cercando di formulare un approccio narrativo alla disciplina, infatti, si può incorrere in
alcuni limiti:
1. si può trasmettere in primo luogo trasmettere una certa idea di scienza quale procedimento
controllato e codificato di costruzione della conoscenza; e l'idea di scienza che prevale è
quella di una conoscenza basata sulle leggi causali e su proposizioni di carattere generale e
universale;
2. si può trasmettere una certa idea di valore in un contesto culturale dove prevale la nozione
del relativismo dello stesso; il che banalizza e toglie spessore alla loro affermazione,
rifiutando al tempo stesso l'idea di una loro possibile pluralità nel contesto di una società
multiculturale;
3. si tende a scartare come irrilevanti, non scientifiche le altre visioni del mondo, della società
e della storia, che pure sono parte della vita e della organizzazione della conoscenza (la
filosofia, la teologia, la psicologia, etc.). Feyerabend giunge ad affermare in proposito che
"la scienza è solo uno degli strumenti inventati dall'uomo per far fronte all'ambiente";
4. si tende a privilegiare la conoscenza dei fatti sociali attraverso i consolidati sistemi di
pensiero e si tralascia invece lo studio delle rappresentazioni sociali e delle produzioni
simboliche che pure sono espressione diretta della vita di relazione delle persone, dei gruppi
sociali, e delle stesse organizzazioni.
Quanto fin qui esposto evidenzia la presenza di limiti e di vincoli rilevanti che possono
distorcere significativamente il processo di riflessività sulla disciplina, rendendolo per alcuni aspetti
parziale ed acritico.
Rispetto ad essi si rende perciò necessario dichiarare preventivamente i criteri analitici ed
interpretativi che si intende adottare nell'impostare la rilettura dei percorsi di costruzione del
pensiero sociologico. In particolare ci sembrano rilevanti almeno tre criteri di riferimento:
1. la nozione di un discorso scientifico sui fenomeni sociali che non si limita a misurare e
valutare la morfologia e la consistenza oggettiva degli stessi, ma intende coglierne l'interna
contraddittorietà attraverso l'individuazione del carattere dilemmatico dell'azione dei
soggetti sociali; in questo contesto la sociologia si configura non come scienza chiusa,
2
autoreferenziale, ma dilemmatica, capace di riaprire sempre le proprie categorie, costruite
per far fronte alla variabilità dei fenomeni stessi;
2. l'accettazione dei valori come strumento interpretativo della realtà; essi non vanno intesi
come fattori determinanti in senso causale dei fenomeni sociali, ma come fattori di
orientamento strategico delle azioni sociali da cui risultano non separabili, se non attraverso
un processo di riduzione di tipo razionalistico; ciò impone l'esigenza di non separare il
soggetto dall'azione, ma di sviluppare una conoscenza come espressione di una reflexivity in
action (di contro agli approcci tradizionali di riflessività on action). Ne consegue la
necessità di riconsiderare in termini innovativi il rapporto tra conoscenza ed intervento
sociale, tra scienze di tipo descrittivo e metodologie di azione orientate al cambiamento
sociale;
3. il riconoscimento che il sapere sociologico, anche in relazione al carattere dilemmatico delle
sue categorie ed alla interazione tra conoscenza ed intervento sociale, non neutralizza, ma in
un certa misura accentua la rilevanza degli interrogativi etici sui paradigmi teorici e
metodologici della disciplina. La discussione degli apparati teorici e delle metodologie della
ricerca viene ulteriormente accentuata in seguito alla crescita delle connessioni tra
conoscenza sociologica ed estensione della sua applicabilità alle politiche sociali ed alle
organizzazioni del Welfare sociale, nonché alle regole di tutela della privacy; anche per la
sociologia ed il lavoro sociologico si impone quindi una riflessione che punti
all'evidenziazione delle regole di condotta (il codice deontologico) nell'organizzazione dei
processi di ricerca sociale.
I tre temi appena indicati costituiscono assi tematici a cui si farà costante riferimento nel
proporre i diversi momenti teorici e paradigmatici dello sviluppo del pensiero sociologico.
Lezione del 23 ottobre 2002
Le matrici illuministiche e positivistiche della sociologia
Alle origini del paradigma causale di Comte
Ci sono alcuni temi chiave attraverso i quali si può compiere un percorso lungo il pensiero
di A.Comte. Tali temi sono:
1. l'idea di sociologia: la sua definizione, la sua posizione polemica nei confronti della teologia
e della filosofia metafisica, il suo compito di svelare la razionalità causale dei fenomeni
sociali;
2. le idee di progresso e razionalità: tali idee costituiscono la base di una teoria sociale della
modernità e più in generale della società industriale;
3. il problema dell'evoluzione e del cambiamento sociale: la razionalità causale dei fenomeni
sociali deve conciliarsi con la variabilità dei fenomeni stessi; perciò il loro cambiamento
deve inscriversi all'interno di una legge che non lasci nulla al caso.
In merito al primo tema, A.Comte si fa interprete efficace della esigenza di disporre di una
nuova scienza che, al pari delle scienze fisico naturali, fosse in grado di affrontare razionalmente il
dispiegarsi dei caratteri e dei fattori generatori di una nuova società. Perciò si afferma la possibilità
di un discorso logico razionale (logos) incentrato sulla spiegazione dei fenomeni del mondo sociale
(societas); socio-logia rappresenta quindi un neologismo che sta ad indicare la pretesa di fondare un
nuovo sapere su una sfera dell'esperienza (il mondo sociale) che può essere affrontato con
l'applicazione dello stesso metodo scientifico proprio delle scienze fisico naturali.
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A questo scopo la nuova scienza del sociale deve affermare un principio "positivo" di
costruzione della conoscenza (attraverso la verifica dei fatti), che superi definitivamente ogni
influenza del pensiero teologico (capace di oscurare i lumi della ragione), ed al tempo stesso della
filosofia tradizionale, metafisica, che pretende di affermare una conoscenza al di fuori del rapporto
con la realtà effettuale.
La seconda tematica evidenzia il grande significato che la scienza positiva di Comte assume
nei confronti di una domanda che le nuove classi sociali emergenti (la borghesia in primo luogo)
pongono nei confronti di una realtà sociale attraversata dalla rivoluzione industriale sul piano
economico e dal sovvertimento dei vecchi ordini aristocratici e monarchici, sul piano politico. In
questo quadro l'esigenza di un controllo razionale degli accademici storici si pone in relazione
attraverso la intensa dinamica di un mutamento che non si traduce in effetti diffusi di disordine
sociale, ma nella necessaria costruzione di un nuovo ordine caratterizzato dal progresso, cioè da un
succedersi ordinato, causale di eventi, che contribuiscono a dare un carattere di continuità e di
organicità al corpo sociale; la società nel passato poteva essere rappresentata come una
giustapposizione di ordini sociali, religiosi e professionali in sé autonomi ed autosufficienti; la
società caratterizzata da uno sviluppo causale razionale delle sue componenti, trova invece la sua
rinnovata struttura e la sua identità più profonda nel passaggio da uno stadio ad un altro, lungo una
linea di progresso che rappresenta la traiettoria della emancipazione razionale della società stessa.
La terza tematica richiama direttamente la legge che regola e ridefinisce i rapporti tra ordine
e progresso della società: si fa riferimento in particolare alla "legge dei tre stadi", attraverso la quale
A.Comte cerca di spiegare il processo di emancipazione razionale a cui la società è sottoposta, con
il risultato di rendere le sue strutture ed i suoi processi scientificamente intelligibili, al pari delle
strutture ed ai processi causali da cui è caratterizzato il mondo fisico naturale.
Con la legge dei tre stadi la società deve, quindi, riacquistare il livello di una propria
materialità causale, una propria oggettività che si esprime in leggi che presiedono al cambiamento,
ma anche alla riproduzione delle istituzioni sociali.
Con tale legge che coinvolge tutto l'organismo sociale e non solo alcune componenti, la
società si presenta come un'entità unitaria e totalizzante, mentre la sociologia si presenta come lo
strumento di una spiegazione causale dei fenomeni sociali, attraverso la quale è possibile porre in
relazione fatti particolari con fatti generali, frammenti della vita sociale con il tutto rappresentato
dalla regolarità dei processi causali.
Da leggere:
A.Comte, Corso di filosofia positiva, Utet, Torino, 1967, vol. I (lezione L, LI, pp. 333-439)
S.Poggi, Introduzione al positivismo, Laterza, Roma-Bari, 1987 (pp.27-37; 59-81
F.Ferrarotti (a cura di), Comte. Antologia di scritti sociologici, Il Mulino, Bologna, 1977
Lezione del 28 ottobre 2002
Concezione olistica e conoscenza empirica del mondo sociale:
la sociologia di Comte
Altri due temi chiave possono consentire di entrare nel merito del pensiero di A.Comte:
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1. il problema del metodo della sociologia: la sua pretesa di costruire un pensiero positivo, basato
sui fatti, implica anche la messa in atto di regole e procedure che concernono la verifica,
attraverso i fatti, delle proposizioni che sostengono e rendono plausibili le ipotesi di ricerca,
come base di sviluppo della conoscenza;
2. la trasformazione della sociologia in teologia secolare: la nuova scienza, se trova nel
fondamento logico-razionale delle proprie proposizioni le condizioni per l'accumulazione di
nuove conoscenze sul mondo sociale, ha necessità però di una legittimazione più forte sotto il
profilo sociale; se si tratta di un sapere che si genera dai molteplici eventi del mondo sociale,
esso ha però necessità di fondarsi su un riconoscimento più ampio che superi il vizio di origine
del relativismo empirico per porsi come conoscenza capace di dichiarare le leggi che governano
la complessità del mondo sociale, al pari delle scienze che dichiarano le leggi sulla base delle
quali si struttura il mondo fisico naturale.
Secondo Comte il metodo della sociologia è il metodo proprio delle scienze fisico-naturali:
cioè il metodo scientifico, di matrice galileiana e newtoniana. Non vi è necessità di un altro
approccio al mondo sociale, in quanto questi ha una struttura che lo mette in continuità con il
mondo fisico-naturale, con la struttura delle relazioni causali che contribuiscono a determinare il
suo carattere organico e la sua dinamica evolutiva.
Se il metodo scientifico è in grado di garantire l'acquisizione di conoscenze di carattere
generale sui fenomeni sociali (attraverso le leggi causali che ne regolano la dinamica evolutiva),
tuttavia non va dimenticato che tali leggi vanno sottoposto a verifica empirica, praticabile attraverso
la messa in causa di fatti ed eventi di carattere particolare. La conoscenza sociologica, nonostante il
suo tentativo di fissarsi in leggi generali ed a validità universale, rimane una conoscenza
caratterizzato da un elevato relativismo; da ciò l'esigenza che si manifesta già in Comte di
accompagnare al metodo scientifico un metodo comparativo, in grado di superare la particolarità dei
riferimenti empirici propri del metodo scientifico. Tale percorso sarà particolarmente sviluppato in
Durkheim che proprio al metodo comparativo affiderà un rilevante significato proprio per
sviluppare la spiegazione di fenomeni sociali, in cui la struttura delle relazioni causali si rivelerà
sicuramente non decisiva.
In Comte paradossalmente la sociologia da scienza dei fatti, filosofia positiva, si trasformerà
nel contenuto rituale di una nuova religione, di cui i sociologi divengono i massimi sacerdoti.
Tale conclusione dell'itinerario di Comte comprende tuttavia un passaggio importante; esso
consiste, seguendo un orientamento abbastanza condiviso all'epoca, nel tentativo di rappresentare,
con l'ingresso della nuova scienza della società, una rinnovata "scala gerarchica delle scienze". Alla
sommità di tale scala Comte finisce proprio per collocare la sociologia, in quanto scienza che riesce
a spiegare con la razionalità causale una dimensione della realtà, che presenta il più elevato livello
della complessità degli accadimenti, una struttura organica del mondo sociale unitamente ad una
dinamica che evolutivamente ne incrementa sempre più la interna razionalità, la visibilità delle sue
relazioni, l'avanzamento (il progresso) dell'articolazione della sua struttura organica.
La sociologia, secondo Comte, è in grado di portare a massima maturazione le premesse
logico-razionali e causali della scienza incentrata nel mondo fisico-naturale e senza rifiutare il
metodo di quest'ultima, è in grado di porsi al centro di una parabola in cui tutte le scienze sono
coinvolte. La sociologia in altri termini è in grado di rispondere positivamente alla domanda di
ricomporre l'idea di società all'interno dell'idea di totalità, di ricondurre la dimensione empirica di
un sapere relativistico ad una nozione di generalità ed universalità della conoscenza che sola la
giustifica all'interno di un contesto caratterizzato dalla più estesa ed intensa variabilità. Perciò la
sociologia ed i sociologi possono rivestirsi di una funzione sociale, oltre a quella riconosciuta nella
comunità scientifica, che è quella proprio che a loro deriva dall'essere portatori di una conoscenza e
di un metodo che è in grado di opporre alla frammentazione del sociale una conoscenza che non
perde di vista il fenomeno nella sua totalità (pensiero olistico di Comte).
F.Restaino (a cura di), Comte, Isedi, Milano, 1979
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Lezione del 29 ottobre 2002
La dottrina dell’utilitarismo e la nascita dell’economia politica
come teoria sociale
La sociologia affonda le sue radici non solo nella filosofia illuministica ma anche in quella
dell’utilitarismo inglese. In ambiente anglosassone si era diffusa infatti una filosofia che, mettendo
sempre l’accento sulla ragione come elemento distintivo del comportamento umano, lo metteva in
relazione con la ricerca che l’individuo perseguiva costantemente di una condizione di
soddisfazione, di “felicità”, che gli poteva derivare dall’ottenimento di un risultato di utilità.
Tale utilità si rivelava però soddisfacente all’interno di una relazione tra individui ciascuno
impegnati a realizzare la propria soddisfazione non attraverso l’eliminazione dell’altro, ma
attraverso la negoziazione di accordi e di convenzioni che fossero in grado di assicurare
reciprocamente il maggior grado di soddisfacimento dei bisogni individuali.
Nella filosofia utilitaristica perciò, insieme ad una teoria dei bisogni sociali e ad una teoria etica del
loro soddisfacimento, si pongono le basi per una concezione individualistica dei legami sociali e per
il carattere convenzionale e contrattualistico dei rapporti sociali stessi, nonché della costituzione
delle istituzioni sociali.
In questo contesto si colloca la progressiva elaborazione di pensiero che si svilupperà nella
economia politica classica.
Gli economisti classici, da D.Ricardo ad A.Smith, metteranno in evidenza come i rapporti sociali
che in precedenza erano basati sulla ricerca delle condizioni di reciproca utilità che si realizzavano
da un lato nell’utilizzo della rendita fondiaria e dall’altro nell’erogazione di forza lavoro (che però
non sfuggiva alle forme di un rapporto arcaico, pressoché feudale, tra lavoratore ed acquirente dei
suoi prodotti), vengono profondamente modificati in seguito alla modificazione profonda del modo
di produzione, passando questi dalle forme di organizzazione tradizionale a quelle più moderne,
regolate dalla progressiva introduzione di componenti meccaniche nello svolgimento dell’attività di
produzione.
Quindi il lavoro viene massimamente valorizzato e sottoposto ad una profonda riorganizzazione, ma
nel quadro di una rivoluzione tecnica e tecnologica dove un ruolo crescente viene ad avere il
detentore di quella ricchezza economica e finanziaria che solo consente l’acquisizione della
proprietà e del controllo dei mezzi di produzione: cioè il capitale.
Quindi capitale e lavoro sono i nuovi e centrali fattori di produzione, capaci di determinare una
profonda e sistematica riorganizzazione del corpo sociale.
Pur manifestando una loro intrinseca conflittualità, che gli economisti classici arrivano a
riconoscere esplicitamente, capitale e lavoro trovano la loro forza di mutamento sociale nella loro
contiguità, nella loro necessaria integrazione.
Solo la ricerca delle reciproche utilità tra capitale e lavoro sarà possibile realizzare gli obiettivi del
soddisfacimento dei bisogni individuali ed al tempo stesso della ricchezza delle nazioni.
Lezione del 30 ottobre 2002
Biologia e sociologia: la teoria evoluzionistica
della società di Herbert Spencer
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La formazione del paradigma funzionale
Gli studi e le ricerche naturalistiche di Charles Darwin avevano lasciato una traccia profonda nella
scienza moderna che si apriva a nuove potenzialità di sviluppo. In modo particolare la teoria
darwiniana di un principio evoluzionistico all’interno del mondo biologico aveva fortemente
influenzato la cultura dell’epoca, non solo quella delle scienze biologico-mediche, ma anche
politiche e sociali.
In modo particolare la rappresentazione di una realtà organica che, in virtù di una forza e di una
energia intrinseca, si evolveva e maturava, passando da uno stato di indifferenziazione ad uno di
crescente differenziazione, senza perdere la sua unità e l’integrazione dei legami che ne
caratterizzavano il funzionamento, si era rapidamente diffusa, acquisendo un consenso esteso.
Un’altra teoria appariva inoltre molto complementare a quella darwiniana: la teoria della selezione
delle specie formulata da Malthus, con la quale si evidenziava come proprio all’interno di un
processo evolutivo, erano destinati a sopravvivere ed a riprodursi quegli organismi che avevano
raggiunto il livello più elevato della differenziazione.
In questo contesto culturale e scientifico si colloca la riflessione di Herbert Spencer, che
provenendo da studi biologici, aveva assorbito ampiamente i temi sia di derivazione darwiniana che
maltusiana.
Indirizzando la riflessione più direttamente nell’analisi della società che già si configurava
attraverso i caratteri della modernizzazione industriale, Spencer applica il paradigma
evoluzionistico alla stessa società di cui continua a sottolineare il carattere unitario ed organico.
All’interno di tale organicità della struttura sociale, Spencer individua le radici del mutamento
sociale nel costante e continuo passaggio che la struttura della società compie passando da una stato
di omogeneità ad uno di crescente e diffusa eterogeneità. Nella eterogeneizzazione della sua
struttura che continua a rimanere intatta nei suoi confini esterni, consiste la radice della
modernizzazione industriale, con il contestuale superamento delle forme arcaiche, pre-industriali
dell’organizzazione sociale (a cominciare dal modello militare che aveva caratterizzato per lungo
tempo l’ordinamento sociale).
La crescita dell’eterogeneità non crea rischi per il sistema sociale, in quanto essa si produce
attraverso lo stesso processo di differenziazione che avviene nei sistemi biologici; incrementandosi
le parti dell’organismo, si incrementano anche i legami funzionali tra le parti, contribuendo
all’accrescimento della struttura stessa.
Vi è tuttavia da sottolineare che nella concezione di Spencer l’accrescimento della struttura sociale
non comporta l’irrigidimento delle sue articolazioni interne, la loro subordinazione rispetto
all’interno organismo, ma piuttosto la crescita della rilevanza delle singole componenti del sistema;
in altri termini la differenziazione funzionale nel sistema sociale non comporta dipendenza e
massificazione delle parti, ma piuttosto una spinta molto forte alla individualizzazione delle singole
componenti del sistema sociale.
Man against State è il titolo di una delle ultime opere di Spencer, che quindi vedeva nell’affermarsi
di una società funzionale non un limite, ma una valorizzazione delle singolarità individuali.
Lezione del 4 novembre 2002
L’origine del funzionalismo sociologico.
Durkheim, la solidarietà e l’integrazione sociale
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La società per un Durkheim è un fatto morale in quanto nasce da una coercizione che
consente agli individui di superare gli egoismi individuali per fondare il vivere sociale sulla
solidarietà; perciò la società è una realtà sui generis che non può essere assimilata a fenomeni
naturali o ad organismi biologici.
Nell’opera La divisione del lavoro sociale Durkheim delinea la sua teoria della società a
partire dal concetto di solidarietà attraverso il quale legge nello sviluppo della società due fasi
sostanziali: la solidarietà meccanica (i ruoli degli individui sono attribuiti in maniera ascrittiva, i
rapporti tra gli stessi sono predefiniti, gli individui non hanno identità e libertà di movimento se non
all’interno dell’organismo collettivo che li contiene) e la solidarietà organica (i ruoli degli sono
oggetto di un processo acquisitivo, i rapporti sono il risultato di relazioni tra ruoli, gli individui
partecipano di una società che è sempre più il risultato di un processo di organizzazione della
stessa).
Alla base del passaggio dalla solidarietà meccanica a quella organica ci sta la divisione del
lavoro, un processo di progressiva differenziazione di attività e di compiti che si definiscono
nell’ambito delle relazioni crescenti e sempre più variabili degli individui tra loro e tra gli individui
e la società di appartenenza.
La divisione del lavoro in particolare, nel sostenere il passaggio alla solidarietà organica,
accentua il processo della differenziazione funzionale dei compiti, delle attività e dei ruoli dei
singoli individui, che quindi sono nella condizione di moltiplicare e specializzare i rapporti che
hanno tra di loro e con altre componenti della società organizzata.
Secondo Durkheim, che in questo è sicuramente debitore al funzionalismo di Spencer, la
differenziazione funzionale produce l’effetto di incrementare progressivamente l’integrazione
sociale, la dipendenza cioè degli individui rispetto alla società nel suo complesso. La
differenziazione funzionale, l’apparente segmentazione dell’ordine sociale, anzi accentua la forza
dei legami funzionali che si stabiliscono tra gli individui e le funzioni regolative che legano gli
individui alla società.
Da ciò deriva la nozione di una società fortemente caratterizzata dalla integrazione sociale,
da un ordine che viene definito dal tessuto normativo ed istituzionale a cui i legami funzionali nella
loro oggettività, danno origine e che sviluppano continuamente, conferendo alla società quella
capacità –di adattamento, incompatibile con una nozione deterministica di struttura sociale.
Se l’integrazione sociale costituisce in Durkheim il motivo dominante della sua teoria
sociale, la presenza di patologie nel corpo sociale rappresenta non solo un elemento in qualche
modo previsto, ma anche per certi versi funzionalmente necessario proprio per garantire il riprodursi
delle condizioni dell’integrazione sociale.
Tuttavia in Durkheim non tutte le patologie sociali sono funzionali; da una ricerca specifica
da lui condotta su Il suicidio, egli coglie come nella società possono prodursi i segni di una
patologia che nasce da una lacerazione profonda nei rapporti tra l’individuo e la società, una
patologia che subito appare di difficile soluzione e che lascia tracce profonde nella stabilità del
sistema sociale.
In particolare nella ricerca sul fenomeno del suicidio nei diversi paesi europei, Durkheim,
partendo da una caratterizzazione del problema come fenomeno essenzialmente “sociologico”, al di
là della sua manifestazione tragicamente individuale, individua alcuni tipi di suicidio che, sulla base
di un riscontro statistico, evidenziano la radice egoista o altruistica dei fattori che ne stanno
all’origine. In particolare, quando il gesto del suicidio vuole affermare il primato della società
sull’individuo, si evidenzia il significato altruistico del fenomeno stesso; quando invece l’individuo
giunge al gesto tragico per evidenziare la propria ribellione nei confronti della società, il suicidio
assume uno specifico significato individualistico, di affermazione dell’ego contro il noi della
società.
In ambedue casi si conferma il carattere sociologico del fenomeno in quanto si manifestano
l’eccesso o il difetto di controllo della società sull’individuo, il carattere totale o parziale
dell’integrazione sociale.
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L’attenzione di Durkheim viene, tuttavia, attirata dai dati empirici descrittivi di un tipo di
suicidio che non può essere ricondotto ai due sopra indicati, ma che si configura come un fenomeno
che nasce dall’incapacità della società di assicurare una piena integrazione sociale agli individui, e
quindi di estendere il suo controllo normativo; il suicidio in altri termini è anomico, nasce proprio
per la mancanza di riferimenti normativi ad un’azione individuale che non trova in sè o nella società
i termini della propria giustificazione sociale.
Con tale tipo di suicidio entra perciò nella teoria dell’integrazione sociale di Durkheim la
possibilità che la società non sia in grado di stendere il proprio tessuto normativo a tutto l’ambito di
manifestazione delle azioni individuali; queste perciò possono incorrere nel rischio dell’anomia,
una sorta di lacerazione improvvisa e profonda nel tessuto della società, che può coinvolgere gli
individui nell’esercizio dei propri ruoli sociali, nonché le istituzioni sociali che delle azioni
individuali costituiscono i modelli di riferimento normativo.
Quindi Durkheim, assai più avvertito dell’ottimismo a volte ingenuo di Comte, riconosce
come nella propria teoria dell’ordine e dell’integrazione sociale, si possano produrre isole di anomia
e processi di disgregazione sociale. Se la sociologia può rappresentare una innovativa ed efficace
“medicina sociale” , il lavoro del sociologo non può non riconoscere come dietro la dimensione
dell’anomia e del disordine sociale stia proprio la dimensione della soggettività che Durkheim
aveva voluto consapevolmente espellere dalla sua definizione della società e dalla formulazione del
metodo con cui imprimere una nuova funzione di marcia alla disciplina stessa.
Da leggere:
E.Durkheim, Le regole del metodo sociologico, Edizioni di Comunità, Milano
Rossi, Mori, Trinchero (a cura di), Il problema della spiegazione sociologica, Loescher, Torino,
1975, pp.133-246
Lezione del 5 novembre 2002
Durkheim: la concezione della società
e le regole del metodo sociologico
Con Durkheim il positivismo sociologico esce dalle limitazioni di un determinismo
meccanicistico, particolarmente accentuato in Comte, per approdare ad un’impostazione teorica e
metodologica, il funzionalismo, che assumerà una particolare importanza nello sviluppo della
sociologia sia delle origini che contemporanea.
Essenziale per cogliere il passaggio sopra indicato è il metodo proprio della sociologia, che
Durkheim ritiene insufficiente - per la scienza della società - nella versione galileiana e newtoniana
del "metodo scientifico" e che supera attraverso la formulazione di un vero e proprio metodo
sociologico.
Se Durkheim, quindi, prende le distanze da Comte, analogo atteggiamento assume nei
confronti di Spencer di cui rifiuta complessivamente il rapporto tra biologia e sociologia.
I fenomeni sociali, infatti, per Durkheim non sono riconducibili al determinismo dei
fenomeni fisico-naturali né sono spiegabili ricorrendo al paradigma biologico evoluzionistico di
matrice spenceriana. Ciò in quanto la società è una realtà sui generis, un mondo sociale "morale"
dove prevalgono azioni e relazioni tra individui che fondano la loro socialità sul riconoscimento del
carattere coercitivo, solidaristico, cioè morale della società, in quanto l’individualismo non regolato
sarebbe fonte di disgregazione di ogni forma di vita sociale.
Quindi, la sociologia per spiegare le manifestazioni di una società che vive
problematicamente il rapporto tra egoismo e solidarietà, ha bisogno di un proprio metodo che sia
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adeguato a cogliere la specificità dei processi sociali, nettamente diversi rispetto a quelli fisiconaturali e biologici.
Proprio per evidenziare la crucialità del tema del metodo, va ricordato che Durkheim dedicò
– primo autore di sociologia – un apposito libro sul tema (Le regole del metodo sociologico), la cui
novità fu rappresentata proprio dal tentativo di definire i criteri generali fondativi della ricerca
sociologica.
Da tale testo si traggono alcune specifiche indicazioni:
1. i fenomeni sociali vanno spiegati come "cose"; si adotta quindi una nozione oggettivistica
dei fenomeni, espellendo ogni considerazione sulla dimensione psicologica, soggettiva che
può accompagnare il prodursi dei fenomeni sociali;
2. i fenomeni sociali vanno considerati non solo in relazione alle cause dirette che li hanno
prodotti, ma anche e soprattutto in relazione ai fenomeni con cui sono legati, ai fenomeni
rispetto ai quali risultano "funzionali";
3. i fenomeni sociali vanno considerati non solo in quanto "normali", in quanto ciò che si
distanzia dalla norma e si presenta come una "patologia" può rappresentare invece il criterio
normativo di condotta delle azioni degli individui. Anche in questo caso occorre cercare il
legame funzionale che lega azioni individuali rispetto ad un fine pur ritenuto "patologico".
Da leggere:
E.Durkheim, Le regole del metodo sociologico,Edizioni di Comunità, Milano (ultima edizione)
Lezione del 6 novembre 2002
Il problema dell’ordine e delle patologie sociali: l’anomia
La società per un Durkheim è un fatto morale in quanto nasce da una coercizione che
consente agli individui di superare gli egoismi individuali per fondare il vivere sociale sulla
solidarietà; perciò la società è una realtà sui generis che non può essere assimilata a fenomeni
naturali o ad organismi biologici.
Nell’opera La divisione del lavoro sociale Durkheim delinea la sua teoria della società a
partire dal concetto di solidarietà attraverso il quale legge nello sviluppo della società due fasi
sostanziali: la solidarietà meccanica (i ruoli degli individui sono attribuiti in maniera ascrittiva, i
rapporti tra gli stessi sono predefiniti, gli individui non hanno identità e libertà di movimento se non
all’interno dell’organismo collettivo che li contiene) e la solidarietà organica (i ruoli degli sono
oggetto di un processo acquisitivo, i rapporti sono il risultato di relazioni tra ruoli, gli individui
partecipano di una società che è sempre più il risultato di un processo di organizzazione della
stessa).
Alla base del passaggio dalla solidarietà meccanica a quella organica ci sta la divisione del
lavoro, un processo di progressiva differenziazione di attività e di compiti che si definiscono
nell’ambito delle relazioni crescenti e sempre più variabili degli individui tra loro e tra gli individui
e la società di appartenenza.
La divisione del lavoro in particolare, nel sostenere il passaggio alla solidarietà organica,
accentua il processo della differenziazione funzionale dei compiti, delle attività e dei ruoli dei
singoli individui, che quindi sono nella condizione di moltiplicare e specializzare i rapporti che
hanno tra di loro e con altre componenti della società organizzata.
Secondo Durkheim, che in questo è sicuramente debitore al funzionalismo di Spencer, la
differenziazione funzionale produce l’effetto di incrementare progressivamente l’integrazione
sociale, la dipendenza cioè degli individui rispetto alla società nel suo complesso. La
differenziazione funzionale, l’apparente segmentazione dell’ordine sociale, anzi accentua la forza
10
dei legami funzionali che si stabiliscono tra gli individui e le funzioni regolative che legano gli
individui alla società.
Da ciò deriva la nozione di una società fortemente caratterizzata dalla integrazione sociale,
da un ordine che viene definito dal tessuto normativo ed istituzionale a cui i legami funzionali nella
loro oggettività, danno origine e che sviluppano continuamente, conferendo alla società quella
capacità –di adattamento, incompatibile con una nozione deterministica di struttura sociale.
Se l’integrazione sociale costituisce in Durkheim il motivo dominante della sua teoria
sociale, la presenza di patologie nel corpo sociale rappresenta non solo un elemento in qualche
modo previsto, ma anche per certi versi funzionalmente necessario proprio per garantire il riprodursi
delle condizioni dell’integrazione sociale.
Tuttavia in Durkheim non tutte le patologie sociali sono funzionali; da una ricerca specifica
da lui condotta su Il suicidio, egli coglie come nella società possono prodursi i segni di una
patologia che nasce da una lacerazione profonda nei rapporti tra l’individuo e la società, una
patologia che subito appare di difficile soluzione e che lascia tracce profonde nella stabilità del
sistema sociale.
In particolare nella ricerca sul fenomeno del suicidio nei diversi paesi europei, Durkheim,
partendo da una caratterizzazione del problema come fenomeno essenzialmente "sociologico", al di
là della sua manifestazione tragicamente individuale, individua alcuni tipi di suicidio che, sulla base
di un riscontro statistico, evidenziano la radice egoista o altruistica dei fattori che ne stanno
all’origine. In particolare, quando il gesto del suicidio vuole affermare il primato della società
sull’individuo, si evidenzia il significato altruistico del fenomeno stesso; quando invece l’individuo
giunge al gesto tragico per evidenziare la propria ribellione nei confronti della società, il suicidio
assume uno specifico significato individualistico, di affermazione dell’ego contro il noi della
società.
In ambedue casi si conferma il carattere sociologico del fenomeno in quanto si manifestano
l’eccesso o il difetto di controllo della società sull’individuo, il carattere totale o parziale
dell’integrazione sociale.
L’attenzione di Durkheim viene, tuttavia, attirata dai dati empirici descrittivi di un tipo di
suicidio che non può essere ricondotto ai due sopra indicati, ma che si configura come un fenomeno
che nasce dall’incapacità della società di assicurare una piena integrazione sociale agli individui, e
quindi di estendere il suo controllo normativo; il suicidio in altri termini è anomico, nasce proprio
per la mancanza di riferimenti normativi ad un’azione individuale che non trova in sè o nella società
i termini della propria giustificazione sociale.
Con tale tipo di suicidio entra perciò nella teoria dell’integrazione sociale di Durkheim la
possibilità che la società non sia in grado di stendere il proprio tessuto normativo a tutto l’ambito di
manifestazione delle azioni individuali; queste perciò possono incorrere nel rischio dell’anomia,
una sorta di lacerazione improvvisa e profonda nel tessuto della società, che può coinvolgere gli
individui nell’esercizio dei propri ruoli sociali, nonché le istituzioni sociali che delle azioni
individuali costituiscono i modelli di riferimento normativo.
Quindi Durkheim, assai più avvertito dell’ottimismo a volte ingenuo di Comte, riconosce
come nella propria teoria dell’ordine e dell’integrazione sociale, si possano produrre isole di anomia
e processi di disgregazione sociale. Se la sociologia può rappresentare una innovativa ed efficace
"medicina sociale", il lavoro del sociologo non può non riconoscere come dietro la dimensione
dell’anomia e del disordine sociale stia proprio la dimensione della soggettività che Durkheim
aveva voluto consapevolmente espellere dalla sua definizione della società e dalla formulazione del
metodo con cui imprimere una nuova funzione di marcia alla disciplina stessa.
Da leggere:
E.Durkheim, Il suicidio, Sansoni, Firenze (ultima edizione)
11
Lezione del 11 novembre 2002
Marx e la concezione conflittuale della società
L'alienazione come estraneazione e come espropriazione
La dottrina dell'alienazione rappresenta un aspetto essenziale del contributo che Marx ha
offerto alle scienze sociali.
Marx parte dalla dottrina hegeliana dell'alienazione come estraneazione del soggetto da sé;
questi, attraverso la propria oggettivazione, cioè la propria negazione, pone le premesse per il
superamento dialettico (tesi, antitesi, sintesi) del proprio io negato e la rigenerazione della propria
identità in un nuova soggettività, più ricca e totale della precedente.
Il processo che tuttavia Hegel aveva rappresentato in termini astratti, Marx lo legge in senso
dialettico (metodo dialettico) nella storia attraverso il processo di trasformazione che investe la
condizione del lavoratore che da artigiano produttore autonomo vede progressivamente negata la
propria identità - dalla subordinazione della sua forza lavoro al potere del capitalista e delle
macchine dallo stesso controllate.
Il processo di alienazione come estraneazione (che Marx descrive efficacemente nei
Manoscritti economico-filosofici del 1844. Si veda il testo nelle edizioni Einaudi, Torino) si
risolverà quindi nel ribaltamento della condizione dell'operaio; ciò si realizzerà con la rivoluzione
politico-sociale (annunciata da Marx nel Manifesto dei comunisti del 1848) e l'avvento della società
socialista.
Il concetto di alienazione non viene però usato da Marx sempre nella stessa accezione; a
questo proposito bisogna considerare con attenzione una rielaborazione profonda del concetto che
Marx ha fatto del concetto di alienazione nelle pagine de Il Capitale (capp.XII-XIII), in cui
attraverso l'analisi delle trasformazioni del sistema produttivo dalla manifattura alla grande
industria, evidenzierà il caratterizzarsi del processo di alienazione come processo di espropriazione
del "valore in più" (plusvalore) che le macchine, in quanto sostitutive della forza dell'uomo, sono in
grado di produrre in senso più che proporzionale rispetto al valore prodotte direttamente dalla stessa
forza lavoro.
Tale plusvalore non ritornerà tuttavia legittimamente a coloro che hanno visto sostituire la
propria forza lavoro con le macchine, ma sarà fatto oggetto di una indebita appropriazione privata
da parte del capitalista.
Sarà proprio tale appropriazione a determinare lo scoppio dell'antagonismo degli interessi tra
operai e capitalisti; ed attraverso il conflitto di classe, di per sé non negoziabile e non componibile,
si creano le condizioni materiali per lo svilupparsi in senso dialettico della rivoluzione socialista,
premessa per la costituzione di una società senza classi.
Da leggere:
K.Marx, I manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino, 1975 (in partcolare, Il lavoro
estraniato, pp.69-86)
K Marx, Il capitale. Critica dell'economia politica, Einaudi, Torino, 1975 (in part. Cap. XII,
Divisione del lavoro e manifattura; cap.XIII, Macchine e grande industria, pp.453-619)
Lezione del 12 novembre 2002
12
Marx, il sistema di fabbrica,
il sistema di potere ed il conflitto di classe
Ne Il Capitale Marx offre le pagine più rilevanti, sotto il profilo sociologico, in cui sviluppa
l'analisi de processo di formazione del sistema capitalistico di produzione, attraverso la sua
funzione più importante: l'accumulazione del capitale.
Nell'individuare le fasi della costituzione del sistema di fabbrica Marx descrive i
cambiamenti nell'organizzazione della produzione e nelle modalità di impiego della forza lavoro. In
particolare, attraverso il prelievo indebito del plusvalore, si evidenziano due attributi essenziali del
sistema di fabbrica:
 Il principio autocratico dell'unicità del comando;
 Il principio di pianificazione integrale dell'organizzazione dell'impresa come espressione del
sistema di potere dell'impresa capitalistica.
L'avvento della fase dell'automazione nello sviluppo tecnologico delle imprese capitalistiche
accentuerà il carattere autoritario del loro ordinamento e quindi aggraverà le relazioni conflittuali
tra capitalisti e lavoratori.
Anzi, anche attraverso altri contributi di analisi (come Le lotte di classe in Francia), Marx
individuerà nella struttura delle classi e nella loro tendenziale polarizzazione degli interessi
antagonistici dei capitalisti da un lato e dei proletari, dall'altro, le condizioni necessarie per il
passaggio, nell'ambito della classe dei lavoratori dipendenti, da una rappresentazione di classe in sé
ad una di classe per sé.
In quest'ultima fase il conflitto di classe viene in un certo senso guidato da una coscienza di
classe che conferisce ai lavoratori una forza collettiva, capace di opporsi, anzi di superare la forza
dei capitalisti; e ciò nella prospettiva di dare vita ad un nuovo ordine economico e sociale.
Da leggere:
K.Marx, Le lotte di classe in Francia, Editori Riuniti, Roma
Lezione del 13 novembre 2002
Il dibattito storicistico sul metodo delle scienze storico sociali:
dalle scienze dello spirito alla sociologia
Sul terreno filosofico si è evidenziato come il positivismo giunga ormai al suo epilogo, con
l'attenzione esasperata al metodo, e come si affermi progressivamente una prospettiva di pensiero in
cui il "fatto" viene sostituito dal valore.
La conoscenza in altri termini non si sviluppa più in base al metodo, ma in quanto si orienta
ai valori e cerca di comprendere il significato di tali valori, i fattori da cui si originano, le azioni
dell'uomo attraverso cui si manifestano.
Si può quindi osservare a questo proposito che la sociologia si trova a percorrere una duplice
traiettoria: quella propria del positivismo di Comte e del funzionalismo di Durkheim, ormai giunta
al suo esaurimento, e quella nascente delle scienze che pongono al centro della propria analisi gli
orientamenti di valore delle azioni soggettive.
In particolare nel corpo della sociologia si assiste al formarsi, sotto il profilo storico, di una
duplicità di tradizioni (positivistica e soggettivista-weberiana) che si riproporranno anche
successivamente secondo diverse forme come manifestazioni del dilemma che muove la sociologia
13
tra l'interesse per l'analisi dei sistemi sociali (sociologia del sistema) e l'interesse per l'individualità
soggettiva e per la intersoggettività (sociologia dell'azione).
La sociologia si svilupperà lungo questi due segmenti, che per alcuni aspetti rimarranno
reciprocamente estranei, per altri si intrecceranno alla ricerca di sintesi difficili che riproporranno
modalità diverse di interazione tra individuo e società, senza necessariamente giungere ad un punto
di incontro stabile e soddisfacente.
La necessità di superare il positivismo scientifico e di affermare una scienza dei valori, è
stata alla base di una ricerca particolarmente intensa all'interno dello storicismo tedesco.
Infatti, a scienze sociali deterministiche si oppone una scienza della società come storia della
libertà e dello spirito umano; così come a scienze basate sull'oggettività del metodo scientifico si
oppone una scienza dei fenomeni storico sociali incentrata sul riconoscimento dei valori e dei
significati culturali riconoscibili nei fenomeni sociali stessi.
In particolare, risulta particolarmente importante il dibattito storicistico sul metodo delle scienze
storico sociali, che vede come protagonisti autori quali W. Dilthey, Windelband e Rickert.
Si parte da Dilthey che oppone alle scienze naturali la storia come scienza dello spirito, con
il risultato di creare un netto dualismo nella conoscenza tra scienze naturali e scienze dello spirito,
rompendo l'unità del metodo e rifiutando il metodo scientifico per l'analisi dei fenomeni storico
sociali.
Windelband a sua volte sostiene le diverse finalità delle scienze della natura in quanto
orientate alla dichiarazione delle leggi generali ed universali (scienze nomotetiche) rispetto alle
scienze della cultura, in quanto incentrate nella conoscenza dei fenomeni sociali nel loro
individualità storica (scienze idiografiche).
Rickert afferma poi, da un lato, la diversità degli oggetti di analisi propri delle scienze
naturali e delle scienze storico sociali, e dall'altro, la necessità di recuperare l'unità del metodo della
scienza, affermando la legittimità della spiegazione causale e dell'analisi culturali dei fenomeni
storico sociali.
Sulla traiettora di questo dibattito si inserisce l'elaborazione di Max Weber che nella sua
opera Il metodo delle scienze storico sociali sviluppa una proposta metodologica che pone in
continuità due momenti altrettanto importanti per l'analisi dei fenomeni storici: la spiegazione
causale e l'individuazione storica (come imputazione dei fenomeni sociali ai fattori socio-culturali
che stanno alla base della loro manifestazione).
Rossi, Mori, Trinchero (a cura di), Il problema della spiegazione sociologica, Loescher, Torino,
1975 (pp.47-138)
Lezione del 18 novembre 2002
Il problema della avalutatività nella sociologia di Max Weber
La sociologia della comprensione e la costruzione degli idealtipo:
Il contributo di Max Weber allo sviluppo della sociologia è rilevante certamente per i diversi
studi storico-sociologici da lui elaborati su diversi aspetti della realtà sociale (lo studio delle
religioni, delle istituzioni del capitalismo, ma anche della condizione degli operai nelle fabbriche
tedesche); ma è indubbiamente ancora più rilevante l'innovazione che il sociologo tedesco ha
introdotto nel modo di definire ed impostare il metodo di analisi per una disciplina che aveva
incontrato nel "metodo scientifico" di Comte e nel "metodo sociologico" di Durkheim uno
14
strumento di lavoro particolarmente rigido e molto esposto ai determinismi di tipo causale e
funzionale di cui tali autori erano i propugnatori.
Il metodo elaborato da M.Weber non è ovviamente disgiungibile dal "dibattito sul metodo"
che aveva contraddistinto lo storicismo tedesco nella fine del secolo. Vi sono tuttavia aspetti che
vanno opportunamente evidenziati in quanto costituiscono i contenuti delle proposte più innovative
avanzate da Weber.
Alla base della conoscenza dei fenomeni storico sociali, secondo Weber, stanno due
premesse fondamentali:
 la distinzione tra scienze naturali e scienze storico sociali in quanto forme di conoscenza non
separate, ma orientate alla realtà in modo diverso, così da giungere alla costruzione di categorie
significativamente diverse; nel caso delle scienze naturali si giunge alla formazione di concetti
con un contenuto prettamente causale; nelle scienze storico sociali si giunge, invece, alla
conoscenza di quegli elementi della realtà che ci appaiono nella loro specificità individuale e
nella loro essenzialità;
 la rappresentazione della realtà come molteplicità di dati empirici (come caos) rispetto ai quali è
data la possibilità di una conoscenza che si incentra su una parte finita della realtà stessa, che
perciò diviene oggetto della considerazione scientifica, risultando perciò "essenziale" nel senso
di essere "degna di venir conosciuta".
Tali premesse si traducono in due criteri che caratterizzano significativamente il metodo
weberiano di analisi dei fenomeni storico sociali:
 l'unilateralità dell'indagine storico sociale; essa infatti si focalizza su una parte della realtà che
viene selezionata in quanto degna di essere conosciuta; tale scelta tuttavia non viene compiuta
"oggettivamente", ma sulla base di un "punto di vista", adottato dallo scienziato sociale tra i
tanti possibili "punti di vista" esistenti;
 l'avalutatività; con tale criterio si vuole indicare l'impostazione rigorosa, scientifica che lo
scienziato sociale adotta dopo che si è compiuta l'individuazione dell'oggetto di studio e si sono
delimitati i contenuti culturali dello stesso.
Il "punto di vista" che Max Weber ritiene necessario per cogliere i significati culturali delle
azioni che si sviluppano nel contesto di una società caratterizzata dalla modernità industriale è
quello propriamente economico; attraverso di esso si possono delimitare con maggiore specificità i
fenomeni sociali su cui l'analisi sociologica potrà sviluppare il proprio lavoro interpretativo.
La decisione di procedere in maniera a-valutativa (mettendo cioè tra parentesi i propri
giudizi di valore) può consentire l'adozione di un metodo capace di formulare giudizi di fatto,
attraverso la successione di momenti di analisi causale e di interpretazione dei significati culturali
del fenomeno sociale indagato.
Il metodo weberiano delle scienze storico sociali trae origine da premesse quali l'avalutatività ed
il processo di individuazione dell'oggetto di studio definito non nei termini di approcci deterministi
o funzionalisti, ma piuttosto nei termini dei significati culturali che in esso vengono riconosciuti.
In particolare nell'analisi del fenomeno sociale preliminarmente individuato e definito come
oggetto degno di essere conosciuto vanno specificamente distinti due momenti significativi del
processo di indagine:
· l'analisi causale del fenomeno
· la comprensione/interpretazione dello stesso attraverso la costruzione del suo tipo ideale.
Con l'analisi causale del fenomeno si intende il processo di scomposizione analitico
dell'oggetto di analisi, non già tuttavia per accertarne le leggi generali ed universali (dimensione
nomotetica), ma piuttosto per procedere all'imputazione del fenomeno ai fattori individuali che
l'hanno socialmente prodotto, nel quadro dell'insieme delle relazioni sociali in cui è coinvolto
(dimensione idiografica).
In questo quadro conoscere le leggi della causalità non è già uno scopo, ma soltanto un
mezzo dell'indagine. Nella prospettiva weberiana il ricorso all'analisi causale esclude, quindi, ogni
15
riferimento all'impostazione positivistica di una sociologia come scienza delle leggi causali della
realtà.
Con l'approccio della sociologia "comprendente" o "della comprensione" si intende invece
fare riferimento al procedimento conoscitivo, proposto da M.Weber, che si struttura nella messa in
relazione della conoscenza con la struttura delle "possibilità oggettive" che sono riconoscibili nel
determinarsi del fenomeno oggetto di analisi sociale nella realtà sociale stessa. Infatti, ogni
fenomeno sociale non avviene sulla base di un determinismo causa-effetto, quanto piuttosto per il
convergente intreccio del "senso" che gli individui attribuiscono alle proprie azioni, e quindi alle
relazioni sociali (aspettative, valutazioni, reazioni) a cui danno origine. Dentro ai fenomeni sociali
stanno quindi non relazioni necessari, ma possibili secondo una gamma di possibilità che è possibile
cogliere oggettivamente soltanto su una base probabilistica.
Quindi occorre procedere alla costruzione di categorie sociologiche (come giudizi di
possibilità oggettiva) capaci di leggere ed interpretare i fenomeni sociali in quanto si configurano
come matrici concettuali (essenzialmente mentali) adeguate a rappresentare e, quindi, a contenere
tutta la struttura delle possibilità in cui oggettivamente le azioni e le relazioni sociali degli individui
possono manifestarsi storicamente.
Tali categorie vengono definite da Max Weber tipi ideali poiché esse costituiscono delle
idealizzazioni, cioè delle accentuazioni concettuali ed unilaterali di aspetti che vengono estratti
dall'analisi causale del fenomeno sociale, e delle utopie, cioè dei concetti che non hanno alcuna
corrispondenza con la realtà del fenomeno empirico da cui sono state tratte.
Con gli elementi che vengono estratti dalla realtà empirica ed idealizzati è possibile stabilire
connessioni logiche tali da costituire un "cosmo" privo di contraddizioni, in sé autosufficiente, una
sorta di "modello" ideale capace di contenere e quindi di interpretare tutto l'insieme di fenomeni
storici ed empirici che contengono gli elementi costitutivi del modello stesso.
Il compito del tipo ideale nell'analisi sociologica è duplice: da un lato, esso intende fornire
alle molteplici rappresentazioni della realtà un mezzo di espressione univoco; e sulla base di esso si
rende possibile la conoscenza del fenomeno mettendo a confronto il fenomeno stesso con la sua
"idea" (una sorta di conoscenza per differenza); dall'altro, il tipo ideale, che non è un'ipotesi sulla
realtà, serve a formulare ipotesi interpretative, in quanto contribuisce ad orientare il giudizio di
imputazione del fenomeno studiato agli elementi ideali che ne compongono la sua costruzione
ideale.
Il metodo weberiano delle scienze storico sociali
e la sociologia del verstehen
Il metodo weberiano delle scienze storico sociali trae origine da premesse quali
l'avalutatività ed il processo di individuazione dell'oggetto di studio definito non nei termini di
approcci deterministi o funzionalisti, ma piuttosto nei termini dei significati culturali che in esso
vengono riconosciuti.
In particolare nell'analisi del fenomeno sociale preliminarmente individuato e definito come
oggetto degno di essere conosciuto vanno specificamente distinti due momenti significativi del
processo di indagine:
 l'analisi causale del fenomeno
 la comprensione/interpretazione dello stesso attraverso la costruzione del suo tipo ideale.
Con l'analisi causale del fenomeno si intende il processo di scomposizione analitico dell'oggetto
di analisi, non già tuttavia per accertarne le leggi generali ed universali (dimensione nomotetica),
ma piuttosto per procedere all'imputazione del fenomeno ai fattori individuali che l'hanno
socialmente prodotto, nel quadro dell'insieme delle relazioni sociali in cui è coinvolto (dimensione
idiografica).
In questo quadro conoscere le leggi della causalità non è già uno scopo, ma soltanto un mezzo
dell'indagine. Nella prospettiva weberiana il ricorso all'analisi causale esclude, quindi, ogni
16
riferimento all'impostazione positivistica di una sociologia come scienza delle leggi causali della
realtà.
Con l'approccio della sociologia "comprendente" o "della comprensione" si intende invece fare
riferimento al procedimento conoscitivo, proposto da M.Weber, che si struttura nella messa in
relazione della conoscenza con la struttura delle "possibilità oggettive" che sono riconoscibili nel
determinarsi del fenomeno oggetto di analisi sociale nella realtà sociale stessa. Infatti, ogni
fenomeno sociale non avviene sulla base di un determinismo causa-effetto, quanto piuttosto per il
convergente intreccio del "senso" che gli individui attribuiscono alle proprie azioni, e quindi alle
relazioni sociali (aspettative, valutazioni, reazioni) a cui danno origine. Dentro ai fenomeni sociali
stanno quindi non relazioni necessari, ma possibili secondo una gamma di possibilità che è possibile
cogliere oggettivamente soltanto su una base probabilistica.
Quindi occorre procedere alla costruzione di categorie sociologiche (come giudizi di possibilità
oggettiva) capaci di leggere ed interpretare i fenomeni sociali in quanto si configurano come matrici
concettuali (essenzialmente mentali) adeguate a rappresentare e, quindi, a contenere tutta la struttura
delle possibilità in cui oggettivamente le azioni e le relazioni sociali degli individui possono
manifestarsi storicamente.
Tali categorie vengono definite da Max Weber tipi ideali poiché esse costituiscono delle
idealizzazioni, cioè delle accentuazioni concettuali ed unilaterali di aspetti che vengono estratti
dall'analisi causale del fenomeno sociale, e delle utopie, cioè dei concetti che non hanno alcuna
corrispondenza con la realtà del fenomeno empirico da cui sono state tratte.
Con gli elementi che vengono estratti dalla realtà empirica ed idealizzati è possibile stabilire
connessioni logiche tali da costituire un "cosmo" privo di contraddizioni, in sé autosufficiente, una
sorta di "modello" ideale capace di contenere e quindi di interpretare tutto l'insieme di fenomeni
storici ed empirici che contengono gli elementi costitutivi del modello stesso.
Il compito del tipo ideale nell'analisi sociologica è duplice: da un lato, esso intende fornire alle
molteplici rappresentazioni della realtà un mezzo di espressione univoco; e sulla base di esso si
rende possibile la conoscenza del fenomeno mettendo a confronto il fenomeno stesso con la sua
"idea" (una sorta di conoscenza per differenza); dall'altro, il tipo ideale, che non è un'ipotesi sulla
realtà, serve a formulare ipotesi interpretative, in quanto contribuisce ad orientare il giudizio di
imputazione del fenomeno studiato agli elementi ideali che ne compongono la sua costruzione
ideale.
Da leggere:
M.Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino, (ultima edizione utile)
Lezione del 18 novembre 2002
Max Weber e la teoria dell’azione sociale:
il paradigma dell’azione razionale
La definizione del metodo delle scienze storico sociali rappresenta un elemento molto
importante per cogliere le caratteristiche del modo weberiano di fare sociologia.
Infatti, proprio a partire dal metodo della comprensione e dalla costruzione dei tipi ideali,
Max Weber elabora i fondamenti concettuali della propria sociologia.
In realtà le sue opere appaiono non sistematiche nel contenuto e nel metodo e bisogna
attendere la pubblicazione di un'opera postuma ed in un certo senso incompiuta, Economia e società
(Edizioni di Comunità, Milano, varie edizioni) per inquadrare gli elementi introduttivi ad un
pensiero sistematico in Weber. In particolare nel primo capitolo del primo libro di Economia e
17
società l'autore costruisce attraverso gli ideal tipi più generali la propria teoria, ponendo alla base di
tutta la sua elaborazione il concetto di azione sociale.
Con tale concetto si definisce la matrice concettuale ed interpretativa della sociologia
weberiana, in quanto sociologia che pone al centro della sua analisi l'azione dell'uomo in quanto
sociale, cioè in quanto relazione, agire orientato ad altri individui, ed il senso soggettivamente
intenzionato dell'azione, in quanto elemento capace di orientare anche nel suo divenire l'azione
dell'individuo e di definire ciò che ne consente l'imputazione culturale e sociale.
Con il concetto di azione come tipo ideale Max Weber ci offre, quindi, la chiave analitica ed
interpretativa primaria, per cogliere al tempo stesso i fattori del condizionamento dell'azione (la sua
relazionalità e reciprocità) e quelli che ne evidenziano la struttura delle possibilità della sua
manifestazione sociale.
Proprio tenendo conto di questo aspetto il sociologo tedesco di conseguenza articola il tipo
ideale dell'azione, individuando i tipi ideali caratterizzati dalla specificità di senso che ogni
individuo attribuisce alle proprie azioni. Le azioni dell'individuo, infatti, si strutturano e si orientano
in base a:
 ai sentimenti ed alle emozioni che legano gli individui stessi;
 alle tradizioni cui gli individui sono legati;
 alla ricerca della relazione più efficiente tra mezzi disponibili e scopi da raggiungere
(razionalità rispetto alla scopo)
 alla ricerca della relazione più efficace tra mezzi disponibili e il valore, come obiettivo
degno di essere raggiunto (razionalità rispetto al valore).
Con questa matrice analitica si rende possibile perciò la comprensione dei diversi significati che
le azioni sociali presentano al loro manifestarsi, anche e soprattutto nella complessità delle
situazioni storiche in cui si intrecciano i diversi contenuti culturali delle azioni sociali.
Sulla base del tipo ideale di azione sociale, Max Weber costruisce la serie di tipi ideali che
consentono una lettura ed una interpretazione più mirata della complessità dei fenomeni sociali.
Una particolare modalità attraverso cui si esplica la relazionalità propria dei fenomeni sociali è
individuata nei concetti idealtipici di "comunità" (gemeinschaft) e di "associazione" (gesellschaft).
Con il concetto di "comunità" si vuole indicare una forma di organizzazione sociale incentrata
sulla condivisione di una comune appartenenza di più individui "soggettivamente sentita" in senso
affettivo o tradizionale.
Per "associazione", invece, si vuole significare l'adesione di più individui ad un'azione basata su
un'identità di interessi motivata razionalmente, in relazione ad uno scopo o ad un valore da
perseguire.
Con tali strumenti è possibile analizzare non solo le forme comunitarie e societarie esistenti
nella società, ma interrogarsi su come la società si è trasformata, passando da forme di
organizzazione comunitaria a forme di organizzazione societaria.
Sempre sulla base di tali strumenti interpretativi è possibile affrontare con Max Weber il
problema dell'origine e della formazione del capitalismo, come forma di organizzazione economica
e sociale della società moderna.
Alla base di tale processo, secondo Max Weber, stanno infatti non determinismi tecnologici ed
economici (le forze produttive, secondo Marx), ma fattori specificamente culturali, identificabili nei
soggetti che sono stati gli attori dello sviluppo del capitalismo.
Per cogliere tali fattori culturali, occorre leggere in una dimensione essenzialmente storica i
mutamenti sociali e culturali intervenuti sulla scena europea con la riforma protestante e la rottura
della unità cattolica, con la conseguente nascita e diffusione di diverse confessioni e sette religiose.
M.Weber, Economia e società, Edizioni di Comunità, Milano, (ultima edizione utile) (in particolare
I libro, I cap. 1 par.)
18
Lezione del 19 novembre 2002
La formazione del capitalismo
tra carisma, potere e razionalizzazione sociale
Max Weber affronta l'analisi della formazione del capitalismo nel libro L'etica protestante e
lo spirito del capitalismo.
Il volume, al tempo stesso di carattere storico e sociologico, testimonia efficacemente il
metodo di lavoro di Weber, che cerca di leggere nello sviluppo storico dell'Europa le matrici sociali
e culturali di un macro processo come la formazione del capitalismo. In modo particolare l'autore
parte dalla Riforma protestante come evento che ha modificato profondamente non solo la storia
politica, ma anche e soprattutto quella religiosa e culturale dell'Europa, con la rottura dell'unità
cattolica e l'avvento delle chiese e delle sette protestanti.
In questo quadro l'attenzione di Max Weber s'incentra in particolare sull'esperienza e sulla
dottrina teologica di Calvino; tale professione religiosa, imperniata sulla dottrina della
predestinazione, affermava al tempo stesso l'inconoscibilità di Dio da parte degli uomini e la loro
destinazione come eletti o dannati da parte di un Dio giudice senza appello.
La predestinazione insieme alla fede che impone all'uomo di operare coerentemente per
rendere gloria a Dio, costituisce la premessa per un attivo impegno dell'individuo nelle cose terrene,
poiché è attraverso l'ottenimento dei risultati delle proprie azioni che l'individuo può "sondare" la
volontà di Dio nei suoi confronti. Il successo, che l'individuo è in grado di ottenere in seguito alle
proprie azioni, potrà essere interpretato come un segno di benevolenza di Dio.
Sulla base di queste premesse, si viene a formare - secondo M.Weber - la base etica delle
azioni orientate ad acquisire in maniera razionale (relazione efficiente tra mezzo e scopo) il risultato
nel suo massimo grado. In tale base etico-culturale si esprimerebbe lo "spirito" del capitalismo, di
azioni quindi che starebbero alla base del processo di accumulazione del capitale.
In questo quadro di analisi è possibile per Max Weber tratteggiare i tratti tipici
dell'imprenditore capitalistico, il suo comportamento rigoroso nella ricerca della migliore relazione
possibile tra mezzi e scopi, l'adozione di quella cultura del calcolo che si presenta come un
elemento fondamentale della cultura moderna, l'espressione di un vocazione ascetica che spinge
l'individuo non a staccarsi dalle cose terrene (ascesi ultramondana, tipica del cattolicesimo), ma a
rinnovare l'impegno nelle cose terrene (ascesi intramondana).
Da ciò consegue tuttavia, secondo il sociologo tedesco, un effetto assai rilevante per cogliere
il senso della modernità: l'avvio del processo di secolarizzazione, il progressivo distacco dell'azione
razionale dalla sua base religiosa, per affidarsi ad un'etica che si giustifica in sé indipendentemente
dalla sua connessione con la fede religiosa.
La teoria del potere ed il problema del mutamento in Weber
In Max Weber non esiste una teoria della società e quindi dello stato in senso organicistico e
sistemico. La nozione che tale autore ha della società si fonda sul concetto di relazione sociale; la
società assume perciò la forma e le geometrie degli insiemi di relazioni sociali cui danno origine gli
individui attraverso la messa in campo in termini intenzionali delle loro azioni sociali.
Max Weber non può tuttavia evitare di confrontarsi con quella relazione sociale che assume
un particolare rilievo nel manifestarsi storico dei fenomeni sociali: il problema del potere che sta
alla base sia della formazione dello stato, che delle molteplici espressioni in cui si strutturano i
rapporti sociali, i processi dei conflitti e delle competizioni sociali, nonché le istituzioni che
presiedono alla regolazione ed alla legittimazione delle azioni di individui e gruppi sociali.
19
Per introdurre la nozione di potere il sociologo tedesco compie due operazioni coerenti con il
metodo da lui adottato:
 in primo luogo la distinzione tra il concetto di potere come relazione sociale, cioè come
aspettativa di essere obbedito, capacità di persuadere all'obbedienza, rispetto al concetto di
potenza che in quanto sovrapposizione della volontà di un individuo alla volontà di un altro
individuo, è la negazione di ogni relazione basata sulla reciprocità della comunicazione e
dell'interazione;
 in secondo luogo, la ricerca nella dimensione storica degli elementi tipici e caratteristici che
possono evidenziare le differenziate manifestazioni del potere, e ciò per giungere alla
formulazione degli idealtipi di potere.
Attraverso tale lettura nel contesto della complessità dei fatti storici, Max Weber giunge ad
individuare almeno tre tipi ideali di potere:
1. il potere legale razionale: è la forma di potere che caratterizza l'epoca moderna e che segna il
distacco rispetto a forme tradizionali non razionali di potere; la sua modernità consiste nel fatto
di poggiare da un lato sulla legge (non è quindi espressione della volontà di un principe, ma è
esso stesso sottoposto alla legge) e dall'altro di disporre di un impianto razionale. Le sue
formulazioni in altri termini hanno un'impostazione logica e razionale e sono oggetto, quindi, di
azioni rigorose e programmate, sono coerenti con la legge scritta, si traducono in azioni di
controllo, di premio o di sanzioni conseguenti a quanto formalmente prescritto dalla legge.
2. il potere tradizionale: è la forma di potere, precedente l'avvento dell'epoca moderna, attraverso
la quale si esprime la volontà di un detentore del potere che opera autonomamente dalla legge,
affermandosi piuttosto egli stesso come fonte di norme. Caratterizzando spesso la propria azione
come potenza nei confronti di individui-sudditi, l'attore del potere tradizionale fonda le proprie
azioni su tradizioni o convenzioni che non mettono comunque in discussione il suo primato e di
coloro che operano direttamente al suo servizio. Forme di potere tradizionale possono sussistere
ancora nell'epoca moderna; tuttavia, l'arbitrarietà delle sue manifestazioni sarà decisamente
superata dalla condizione di rigorosa legittimità in cui si esprimerà il potere legale razionale.
3. il potere carismatico: è una forma inedita, inaspettata, non compresa nell'ordinamento legittimo
che può manifestarsi in maniera progressiva all'interno di una società in cui il potere legale
razionale ha sviluppato massimamente le proprie funzioni di regolazione e di controllo
soprattutto attraverso la burocrazia, cioè l'ordinamento razionale degli uffici, attraverso cui
operano in maniera impersonale gli individui. Il potere carismatico rappresenta quindi un
momento di discontinuità, di rottura all'interno dell'ordinamento legittimo, di disordine nei
confronti di un esercizio del potere burocratico, impersonale. Esso può costituire una minaccia
per una società regolata dal potere legale razionale, ma anche la fonte di innovazioni sociali, di
cambiamenti nei sistemi culturale e politico di società, particolarmente appesantite dai processi
della razionalizzazione e della burocratizzazione.
Con Max Weber il potere può essere visto come una componente dinamica della società, un
fattore di integrazione e di controllo sociale, ma anche un fattore di mutamento e di innovazione
sociale, soprattutto per interrompere la progressiva caduta dell'organizzazione della vita sociale
verso quella "gabbia d'acciaio", che sembra intravedersi nell'evoluzione della società moderna
industriale.
Da leggere:
M.Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze, (ultima edizione utile)
M.Weber, Economia e società, Edizioni di comunità, Milano, (ultima edizione utile)
Lezione del 25 novembre 2002
20
Dall’azione all’interazione sociale:
l’approccio di analisi di G.Simmel
Georg Simmel, contemporaneo, ma più anziano di Max Weber, si presenta come una figura
di particolare importanza proprio per i legami del suo pensiero con quello weberiano, ma anche per
le differenze significative manifestate nei suoi riguardi.
Con Max Weber ha in comune una forte attenzione e sensibilità nei confronti delle
manifestazioni del conflitto sociale. Max Weber aveva introdotto tra i suoi tipi ideali fondamentali
quello di “lotta”, da cui aveva derivato il concetto di “competizione” con il quale egli guardava ai
movimenti inscritti nella società.
G.Simmel condivideva tale prospettiva, partendo tuttavia da premesse diverse; il suo
concetto di conflitto nasce infatti dalla visione conflittuale dei rapporti tra individuo e società, un
conflitto tra lo spirito di libertà dell’individuo e le coercizioni che la società continuamente (quasi in
senso durkheimiano) impone all’individuo per includerlo nell’organizzazione sociale, per esercitare
su di lui un sistematico controllo normativo.
Tale conflitto tra individuo e società può essere colto tuttavia secondo Simmel non in
maniera idealtipica, ma piuttosto osservando le interazioni come manifestazione delle modalità con
cui l’individuo interagisce con la società. Non l’azione soggettivamente intenzionata dell’individuo,
ma l’interazione tra due o più individui diventa l’oggetto dell’analisi sociologica; non i tipi ideali
(di matrice weberiana), ma le forme sociali sono i concetti sociologici che è possibile costruire per
sviluppare una scienza della società.
Da ciò risulta una sociologia incentrata sul confronto continuo tra forme sociali (le categorie
sociologiche) ed i contenuti dinamici delle interazioni sociali, sempre mutevoli. Il conflitto per
alcuni aspetti entra perciò anche all’interno dello stesso processo conoscitivo, dovendo lo scienziato
sociale sempre adeguare i concetti al continuo variare delle interazioni sociali tra gli individui (tipi
sociali concreti).
Sulla base di queste premesse va considerata attentamente la grande produzione sociologica
di Simmel, ritenuta al suo tempo in un certo senso “anomala” in quanto fortemente connessa con
contestuali chiavi di lettura filosofica, psicologica ed economica.
Da leggere:
D.Frisby, Georg Simmel, Il Mulino, Bologna, 1985
G.Simmel, Giochi di società, Feltrinelli, Milano,
G.Simmel, La filosofia del denaro, Utet, Torino, 1984
Lezione del 26 novembre 2002
Da Weber a Pareto:
dalla razionalità strumentale ai sentimenti, gli istinti e le ideologie
come fattori di limitazione della razionalità
La figura di Vilfredo Pareto sembra quasi dover fare un passo indietro alla sociologia nella
sua tormentata crescita. Infatti, la matrice culturale di questo autore è decisamente positivistica, con
21
una formazione essenzialmente matematica e tecnica (Pareto svolge inizialmente la professione di
ingegnere).
Il suo interesse per le questioni sociali lo porta presto ad intraprendere studi di economia,
sviluppando approcci originali all'analisi dei consumatori ed alla ricerca delle condizioni ottimali di
efficienza nella gestione delle imprese.
L'economia nella concezione di Pareto arriva a configurarsi come la scienza sociale per
eccellenza, in quanto con il suo approccio di analisi matematica e quindi formale, è in grado di
prospettare le strutture compiutamente logiche dei comportamenti economici delle individui e delle
imprese.
La turbolenza dei mercati e le crisi economiche successive alla prima guerra mondiale,
unitamente agli sconvolgimenti politici che ne conseguono in diversi paesi (in primi l'affermazione
del regime dei soviet in Russia) mettono progressivamente in crisi tale convinzione in Pareto così
da indurlo a ricercare in un'altra disciplina le capacità interpretative che l'economia politica non
sembra possedere nei confronti di eventi e processi sociali di contenuto assai lontano e divergente
rispetto ai modelli formali di spiegazione dei comportamenti logici, così come definite dai modelli
di analisi della scienza economica.
Occorre quindi una disciplina che sia in grado di rapportarsi alle manifestazioni della realtà
storica empirica dove si possono rilevare comportamenti anche divergenti rispetto ai modelli logici;
una disciplina che anche non possedendo schemi di analisi di tipo compiutamente logico, sia in
grado di leggere e di interpretare i contenuti variabili degli eventi che sono prodotti dalle azioni
individuali.
La sociologia secondo Pareto sembra possedere tale caratteristica, poiché se anche la sua
struttura logica può considerarsi "imperfetta" (Benedetto Croce parlerà della sociologia come una
sorta di scienza inferma), essa è tuttavia capace di spiegare i diversi fattori che incidono sulla azione
dell'uomo.
Le azioni dell'uomo, infatti, che non possono non definirsi all'origine come azioni logiche
(in cui l'individuo cioè pone la relazione tra mezzi e scopi nei termini della massima adeguatezza),
vengono deviate in seguito all'intervento di altri fattori di natura non logica dal loro percorso
formalmente preordinato.
La sociologia, secondo Vilfredo Pareto, si rileva come la scienza adeguata a leggere ed a
spiegare i fenomeni sociali, come risultanti delle azioni individuali poiché può disporre di una teoria
dell'azione in cui accanto alla spiegazione dell'azione logica e dei modelli formalizzabili del
comportamento logico dell'individuo può disporre anche degli strumenti logici di interpretazione di
azioni non logiche, in quanto influenzate e deviate da fattori di natura estranea alla dimensione
logica.
La sociologia, infatti, non è soltanto una teoria delle azioni logiche (in ciò coincidendo con
l'economia politica), ma anche delle azioni non logiche. E di queste prioritariamente si occupa sotto
il profilo osservativo ed analitico.
In base a quali fattori le azioni individuali di per sé logiche, divengono non logiche, dando
origine ad effetti sociali di tal segno?
Secondo Pareto le azioni dell'individuo vengono significativamente influenzate e modificate
da due fattori:
1. i residui: con tale espressione Pareto vuole indicare non solo la sfera istintuale, ma anche
e soprattutto ciò che residua dall'azione di controllo logico che l'individuo esercita sugli
stessi istinti; ciò significa che l'individuo non può essere inteso in senso meccanicistico o
razionalistico come un essere nel pieno e permanente controllo della sfera dei sentimenti,
delle emozioni e degli istinti; questi elementi se possono essere sottoposti a controllo,
continuano però ad influire significativamente sulle scelte e decisioni logiche
dell'individuo, allontanandole dal modello formale in cui possono venire mentalmente e
scientificamente rappresentate;
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2. le derivazioni: con tale espressione Pareto vuole riferirsi al particolare ruolo di influenza
o anche di distorsione che sulle scelte e sulle azioni individuali vanno a svolgere con
particolare intensità le giustificazioni ex post che gli individui danno alle loro azioni
allorquando devono giustificare lo scostamento delle azioni concrete dai modelli formali
logici in cui esse sono rappresentate; in altri termini Pareto individua la particolare
funzione di occultamento e di mascheramento della realtà che compiono le ideologie, le
giustificazioni cioè logiche nei confronti di comportamenti di tipo non logico, in quanto
orientati dai modelli logico formali, ma piuttosto dai sentimenti, dagli interessi o da altri
fattori "opportunistici".
Ciò che nel pensiero di Pareto rappresenta una novità rilevante per la sociologia non è
soltanto il fatto che egli reintroduce con determinazione logica ciò che il positivismo aveva
pesantemente scartato (proprio Pareto di formazione positivistica e meccanicistica, sostenuta da una
cultura di tipo tecnico!) (ciò gli istinti, le emozioni e le ideologie), ma anche e soprattutto la
presentazione che egli fa del nesso tra azione logica ed azione non logica come un vero e proprio
sistema di interdipendenze. Non è possibile pensare, quindi, l'azione logica senza il rapporto con i
fattori che andranno storicamente e sociologicamente a modificare in senso non logico tale azione;
così come non è possibile pensare e quindi conoscere e spiegare l'azione non logica, senza mettere
questa a confronto con il modello formale dell'azione logica.
Nella realtà la sociologia, quindi, a differenza della economia politica, non cercherà più di
leggere le azioni logiche, ma i sistemi continuamente mutevoli di connessioni ed interdipendenze
tra azioni logiche ed azioni non logiche, tra contenuti logici e non logici.
Pareto, infatti, vede nella formazione dei fenomeni sociali come sistemi di azioni logiche e
non logiche il prodursi della caratteristica dell'equilibrio, che dei sistemi sociali è una componente
fondamentale. La sociologia analizza quindi sistemi sociali in condizioni di equilibrio.
Da leggere:
V.Pareto, Compendio di sociologia generale, Einaudi, Torino, 1978 (pp.25-66; pp.147-260)
F.Ferrarotti (a cura di), Pareto. Un’antologia, Mondatori, Milano, 1973
Lezione del 27 novembre 2002
Pareto, la teoria dell’equilibrio e del cambiamento sociale.
La teoria della circolazione delle élites
Pareto è sicuramente l’esponente più significativo tra i sociologi che si sono occupati della
formazione e della dinamiche del mutamento sociale e quindi degli attori di tale mutamento: le
élites politiche e sociali.
Le società moderne, per assicurare l’equilibrio dei loro sistemi di governo, hanno necessità
di selezionare gli accessi al sistema politico stesso; le élites riproducono al loro interno la
combinazione dei “residui” e delle “derivazioni” che stanno alla base delle azioni sociali.
Ciò spiega, secondo Pareto, il carattere circolare della selezione delle élites; infatti, ad élites
caratterizzate da azioni che le fanno assomigliare alle azioni dei leoni si succedono élites le cui
azioni sono piuttosto influenzate da combinazioni di fattori che generano comportamenti propri
delle volpi.
Il cambiamento politico non avviene perciò attraverso processi rivoluzionari, ma piuttosto
da una continua e ricorrente successione di élites, che si sostuiscono ad altre élites, conferendo al
sistema politico una sostanziale condizione di equlibrio.
Da leggere:
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V.Pareto, Compendio di sociologia generale, Einaudi, Torino, 1978 (pp.455-522)
N.Bobbio, Pareto e il sistema sociale, Sansoni, 1973
Lezione del 2 dicembre 2002
L’influenza della “crisi delle scienze europee” sulla sociologia:
la crisi del razionalismo e l’emergere del soggetto
Le scienze sociali e la filosofia alla fine dell’800 ed all’inizio del ‘900 sono collocate in un
contesto fortemente dominato dal razionalismo, sia nella espressione neo-positivista sia nella
espressione storicistica, soprattutto di derivazione neo-kantiana.
La sociologia sicuramente risente di questa clima culturale che sembra impedirle una più
ampia e completa conoscenza dei fenomeni storico-sociali. E’ prevalente infatti l’approccio
quantitativo ed oggettivistico; del tutto marginali sono le impostazioni teoriche e metodologiche che
si richiamano ad un modo diverso di vedere la realtà.
Sul terreno propriamente filosofico cominciano tuttavia a svilupparsi approcci critici che si
interrogano sulle fondamenta delle scienze (sia fisiche sia sociali) e sulla loro impostazione
epistemologica e metodologica. Soprattutto sul terreno filosofico viene ripresa l’attenzione nei
confronti del soggetto, al di fuori però del ruolo attribuitogli da M.Weber.
Va ricordati in particolare – per la forte connessione che avrà con la sociologia – il pensiero
di Edmund Husserl e del contributo decisivo da lui dato alla critica della impostazione razionalistica
che caratterizzava lo sviluppo delle scienze in Europa.
L’assunto da cui muove il pensiero di Husserl è che è possibile la conoscenza del mondo
sociale, in quanto costruzione continua della intersoggettività che si genera e si riconosce nella
dimensione del “mondo della vita”. Per entrare in questa dimensione è necessario fare epoche,
“sospendere i giudizi” (o meglio i pre-giudizi) che già sono formati e consolidati, per entrare in una
relazione conoscitiva più diretta con la dimensione dei mondi della vita, in cui si riconosce il
soggetto e si comprendono i significati del proprio essere e del proprio agire.
La razionalità della conoscenza ed il carattere riduzionistico dei suoi metodi non illuminano,
ma rendono opaca la realtà sociale, impedendo di entrare in relazione con il soggetto e l’insieme
delle sue relazioni sociali. La messa tra parentesi di concetti razionali consente l’ascolto in
profondità degli altri, lo sviluppo di un sapere basato sulla “empatia” – dirà un’allieva di Husserl –
una progressiva acquisizione del senso che gli stessi affidano alle azioni sociali.
L’intersoggettività e la condivisione intersoggettiva dei significati costituisce quindi
l’ambito conoscitivo delle scienze sociali, che attraverso di essi possono procedere – suggerisce un
allievo di Husserl, Alfred Schutz – alla tipificazione delle categorie proprie delle scienze sociali e
della sociologia in particolare.
I concetti che la sociologia continuamente elabora vanno perciò intesi non come categorie
chiuse, significative di per se stesse, ma piuttosto come strumenti euristici da considerarsi sempre in
relazione con la dimensione della intersoggettività in cui vengono prodotti
Da leggere:
E.Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano,
1987 (in particolare Prima e Seconda parte)
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Lezione del 3 dicembre 2002
La antropologia culturale - Radcliffe Brown e Malinowski
Come Pareto aveva ridefinito il concetto di "sistema" (un insieme di interdipendenze tra
elementi tra loro disomogenei), così antropologi culturali come Radcliffe-Brown e B.Malinowski,
hanno offerto un particolare contributo alla definizione dei sistemi sociali, in quanto realtà
essenzialmente caratterizzate dall'integrazione culturale e da una struttura unitaria rappresentabile
nei termini di una totalità compiuta.
In particolare B.Malinowski, nel definire il sistema sociale come una unità culturale, una
totalità compiuta tra bisogni e risposte agli stessi costruite all'interno di un sistema di relazioni
sociali, rese possibile il superamento delle concezioni biologico-funzionalistiche con il risultato di
connotare in senso più specificatamente culturale le stesse relazioni funzionali che si vanno a
definire tra le diverse componenti del sistema sociale.
Successivamente Radcliffe-Brown nel riproporre la visione integrata, olistica del sistema
sociale, accentuò al tempo stesso la distinzione, ma anche la connessione tra la dimensione della
struttura e delle funzioni del sistema sociale. L'equilibrio del sistema sociale, infatti, risiede nel
comporsi armonico di tali dimensioni che danno stabilità e capacità di riprodursi ad ogni sistema
sociale. In tale concezione la struttura in un sistema sociale consiste in "un certo numero di persone
che entrano in rapporti sociali reciproci, in modo che l'insieme dei rapporti costituisce un insieme
completo con una continuità al di là della finitezza umana".
L'antropologia culturale attraverso esponenti come quelli sopra nominati ha esercitato una
particolare influenza sul nascere della teoria strutturale funzionalistica in sociologia. Ciò è avvenuto
in modo particolare con:
1. un crescente e rinnovato interesse per una teoria sistematica;
2. la nozione di società come sistema sociale, ma anche come sistema culturale;
3. la centralità di concetti quali struttura, funzione, status e ruolo.
Tali elementi si ritroveranno tutti nella teoria sociologica del sistema sociale di T.Parsons.
Da leggere:
Lezione del 4 dicembre 2002
La grande teorizzazione di Talcott Parsons:
lo strutturalfunzionalismo - i suoi postulati
Durkheim e gli antropologi culturali da un lato e Max Weber e Pareto dall'altro costituiscono
gli autori a cui T.Parsons fece più esplicito riferimento per delineare la propria teoria del sistema
sociale. Ciò in quanto alla base della teorizzazione sociologica parsonsiana sta l'esigenza di portare
a sintesi ed unità le due grandi tradizioni della sociologia delle origini: le teorie del sistema (da
Comte a Durkheim) e le teorie dell'azione (Max Weber e pur con le dovute differenziazioni,
V.Pareto).
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La teoria sociologica parsonsiana, acquisendo gli elementi teorici più rilevanti dagli
esponenti di tali tradizioni (Durkheim, Weber e Pareto prima di tutti), si esplicita essenzialmente in
una serie di postulati e di proposizioni che si possono compendiare nei termini seguenti:
1. la conoscenza del mondo sociale ha un sostanziale fondamento nel pensiero logico-analitico,
non empirico; il pensiero logico analitico è orientato alla realtà, ma non ha necessità di essere
verificato nella realtà empirica (dottrina del realismo analitico);
2. la scissione tra mondo biologico e mondo sociale va superata; il secondo comprende ed
interagisce con il primo, ambedue fanno riferimento a due organismi viventi anche se di natura
diversa;
3. ogni fenomeno sociale, come i fenomeni naturali, vengono pensati e rappresentati dalla mente
umana (sede del pensiero logico-analitico) come "sistemi"; ciò in quanto la conoscenza
riconosce le relazioni di interdipendenza tra le diverse componenti costitutive dei fenomeni
sociali;
4. Ogni volta che si intende rappresentare un sistema sociale, si fa necessariamente riferimento ad
una dimensione "soggettiva", "volontaristica" (l'attore sociale), capace di imprimere movimento
e direzione al sistema sociale; in altri termini in ogni sistema sociale è riconoscibile la capacità
di elaborare e costruire un "azione sociale" volta a dare orientamento di valore al sistema stesso.
Azione come sistema e sistema come azione: sono i due capisaldi concettuali su cui si regge la teoria
sociologica di Parsons. Con tale equazione, Parsons ritiene di aver realizzato l'obiettivo di dare alla
sociologia un proprio, autonomo ed autorevole paradigma scientifico, liberando tale disciplina dalla
necessità di ricorrere alle scienze naturali o a quelle biologiche per dare un fondamento al proprio
pensiero teorico.
Struttura e funzioni del sistema sociale in Talcott Parsons
Il sistema di azione sociale, secondo l’impostazione parsonsiana, si compone di:
una struttura, rappresentata da norme, valori condivisi e riconosciuti dagli altri attori sociali,
relativamente stabili nel tempo e nello spazio;
 una serie di variabili strutturali, che evidenziano attraverso il carattere dilemmatico
dell’azione sociale, l’ambito di variabilità e di mutamento a cui è sottoposto ogni sistema di
azione sociale;
 requisiti funzionali di sistema, di carattere generale, necessari per ogni sistema di azione
sociale, quali 1. l’adattamento, da intendersi come la capacità di ogni sistema di azione
sociale di acquisire le risorse e le energie idonee a mantenere vitale il sistema stesso; 2. il
conseguimento degli scopi, come insieme di attività volte a distribuire le risorse acquisite in
ragione degli obiettivi da acquisire da parte del sistema stesso; 3. l’integrazione in quanto
insieme di attività volte a valorizzare le risorse distribuite ed assegnate per favorire
l’integrazione del sistema stesso di azione sociale; 4. la latenza, come insieme di attività,
finalizzate ad assicurare la continuità e la riproduzione dell’equilibrio del sistema stesso.

Da leggere:
Lezione del 9 dicembre 2002
Le critiche allo struttural funzionalismo parsonsiano:
La sociologia "radical" di Charles Wright Mills e l'immaginazione sociologica
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Pur nel predominio della sociologia struttural funzionalistica, anche negli Usa erano rimasti
vivi altri approcci di analisi e di teoria sociologica.
Un particolare rilievo ha avuto la radical sociology, che in atteggiamento fortemente critico
nei confronti della sociologia parsonsiana, richiamava costantemente il lavoro di ricerca dei
sociologi ad una maggiore attenzione nei confronti dei gravi problemi sociali che attraversavano la
società americana, soprattutto nell'immediato secondo dopoguerra.
Un esponente di particolare rilievo di tale corrente è stato Charles Wright Mills, che può
essere ricordato per :
1. una critica serrata alle concezioni ottimistiche sullo sviluppo della società americana; tale critica
fu condotta con 2 opere di ricerca: White Collars (Colletti bianchi), in cui analizza la
trasformazione della classe lavoratrice americana, evidenziando il progressivo spostamento
della stessa dalla produzione industriale ai servizi; Power's Elites (Le élites del potere), in cui
denuncia la dominanza rispetto alle caratteristiche della democrazia americana, delle
aggregazioni di poteri e di interessi che si vanno a formare tra 3 élites: i politici, i militari, gli
industriali; con il risultato di gravi rischi per la stessa vita democratica della società statunitense.
2. Una critica irriverente e beffarda nei confronti sia della "grande teorizzazione" di T.Parsons,
accusata di astrattezza e di retorica, sia dell'Empirismo esasperato, rappresentato dalla scuola di
P.Lazarsfeld, incapace di formulare qualsiasi interpretazione delle trasformazioni della società
americana.
Tale critica viene formulata da Wright Mills in un libro The Sociological Imagination
(L'immaginazione sociologica), divenuto poi un classico della letteratura sociologica
contemporanea, particolare noto e diffuso alla fine degli anni sessanta, quando diventò una bandiera
contro la sociologia ed i poteri accademici di controllo della conoscenza.
Per superare le astrattezze teoriche ed empiristiche della sociologia dominante, occorre
secondo Wright Mills:
1. sottrarre la sociologia alla subordinazione al moderno Principe;
2. recuperare la connessione tra società e biografie dei suoi attori sociali;
3. ricostruire l'analisi sociologica, ricomponendo il rapporto essenziale tra società e storia.
E' particolarmente importante il ruolo esercitato da Wright Mills per avvicinare di nuovo la
sociologia nordamericana a quella europea, con effetti benefici per ambedue.
Da leggere:
Ch. Wright Mills, L’immaginazione sociologica, Il saggiatore, Milano (ultima edizione utile)
Lezione del 10 dicembre 2002
La teoria critica della società: la scuola di Francoforte
La teoria critica della società nasce a Francoforte, prima degli anni 30, come espressione del
lavoro di teoria e di ricerca condotta presso l'Istituto per la ricerca sociale da Max Horkheimer e
Theodor. W. Adorno.
I punti nodali di partenza della loro elaborazione sono:
1. l'affermazione della possibilità della conoscenza attraverso il pensiero negativo, come
principio epistemologico su cui fondare le scienze sociali;
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2. la critica dell'illuminismo come negazione e superamento di una dottrina che, esaltando la
ra-gione come fonte di conoscenza, ma privandola della sua facoltà di pensiero critico, l'ha
tra-sformata in uno strumento di estensione e di giustificazione del dominio.
Gli studi empirici sulla famiglia e l'autorità costituiscono significativi esempi dell'esercizio del
pensiero critico come pensiero negativo volto ad indagare temi di rilevanza tale che interesse-ranno
poi la svolta autoritaria della Germania.
Costretti a rifugiarsi negli Usa dopo l'ascesa del nazismo con l'apporto di altri autori, quali
H.Marcuse e E.Fromm e F.Pollock, i due maggiori esponenti della Scuola Horkheimer e Adorno
svilupparono la teoria critica soprattutto in direzione di grandi fenomeni:
1. la democrazia di massa e l'uso della cultura ai fini della socializzazione politica e sociale ai
mo-derni regimi politici ed economici;
2. lo sviluppo dei mass-media e l'uso manipolativo degli stessi fattone dalle élites del potere.
Un contributo particolarmente significativo fu fornito negli anni 60 da Herbert Marcuse, con 2
volumi da ricordare: Eros e civiltà e L'uomo ad una dimensione; in essi si evidenziava la
progressiva sottomissione dell'individuo ad una società e ad un modello di civilizzazione che
negava all'indivi-duo a priori ogni possibilità di emancipazione.
Da leggere:
M.Horkheimer, T.W.Adorno, Lezioni di sociologia, Einaudi, Torino, (ultima edizione utile)
Le lezioni si sono tenute anche nei giorni 8, 13 e 14 gennaio 2003.
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