Unione Sindacale Regionale C A M P A N I A Sindacalismo cattolico Un impegno alla luce del Vangelo Napoli, 27 marzo 2011 La storia del sindacalismo cattolico italiano affonda le sue radici alla fine del 1800, sulla scorta degli eventi della Rivoluzione Industriale e dell’unità d’Italia. Le prime espressioni del corporativismo cattolico, ancora poco articolate, si possono rintracciare a livello europeo già dal 1870. In Germania il vescovo W. E. von Ketteler riteneva che le idealità cristiane potessero far superare gli egoismi individualistici e quindi promuoveva le idee corporativiste specificamente cattoliche. In Francia, invece, furono due laici a far circolare le prime idee corporativiste: il conte A. de Mun e il marchese R. La Tour du Pin promuovevano sindacati misti, raggruppavano per ciascuna professione lavoratori e datori di lavoro. Il fulcro del loro pensiero era che i lavoratori e i datori di lavoro dovessero adempiere ai propri doveri con spirito cristiano e impostare “secondo spirito di giustizia” i loro rapporti. Data la situazione politica francese, questi movimenti assunsero atteggiamenti di sospetto nei confronti dello Stato. Si tennero, quindi, in disparte e non mostrarono propensione per richieste di legislazione di sostegno o, tanto meno, di istituzionalizzazione. In Italia, tra i pionieri del Risorgimento erano presenti diversi esponenti del movimento cattolico (come Mazzini o Montanelli). L’industrializzazione era arrivata in ritardo e le condizioni dei contadini non era migliorata, neppure dopo l’unificazione. I primi esponenti del pensiero cattolico sociale furono gli scrittori della rivista “Civiltà Cattolica”, fondata a Napoli da un gruppo di gesuiti, i quali dopo il primo numero (stampato il 6 aprile 1850) furono costretti a trasferirsi a Roma, a causa della censura oppressiva dei Borbone. Il loro pensiero era 1 Unione Sindacale Regionale C A M P A N I A quello di far rientrare l’attività economica nelle scienze morali, altrimenti si correva il rischio che “l’economia si servisse delle persone come di macchine”. I rapporti Stato-Chiesa, però, non sono stati facili nel processo di riunificazione nazionale e, in particolare, dopo la proclamazione di Roma capitale della neo-Italia. Il 20 settembre del 1870 i bersaglieri, capitanati dal generale Cadorna, entrarono a Roma, attraverso una braccia aperta a cannonate nelle mura a Porta Pia. Il generale Kanzler, comandante delle truppe pontificie, dovette firmare la capitolazione della città e Roma divenne, così, la capitale d’Italia. Il Papa Pio IX, però, si rifiutò di scendere a compromessi e si dichiarò “prigioniero morale”, ritirandosi nei palazzi vaticani. Ribadì il suo diritto al potere temporale, come condizione necessaria per esercitare in piena libertà e sicurezza la sua missione spirituale e scomunicò tutti coloro che avevano preso parte all’occupazione, compreso Vittorio Emanuele II. Lo Stato italiano, allora, si vide costretto a regolamentare i rapporti con la Chiesa, promulgando nel 1871 la Legge delle Guarentigie (ovvero delle garanzie), ispirata dal principio cavouriano di “libera Chiesa in libero Stato”. La legge stabiliva la distinzione della sfera ecclesiastica e religiosa da quella pubblica e civile, e stabiliva le prerogative del Pontefice e della Santa Sede, disciplinando le relazioni tra Italia e Vaticano. Il Papa Pio IX respinse con fermezza la “Legge delle Guarentigie”, attraverso il famoso “non expedit”: non era conveniente per un cattolico partecipare alle elezioni. E per questo invitava tutti i fedeli a ritirarsi dalla vita politica e a considerarsi come se fossero degli “esiliati interni”. Nel 1874 nacque l’Opera dei Congressi, un’organizzazione cattolica che si basava sull’osservanza delle posizioni della Chiesa, riferendosi al “non expedit”, e che ha segnato il passaggio dalle opere puramente “di carità” all’attività sociale effettuata dai cristiani. Il suo scopo era di tutelare i diritti della Chiesa, ridotti al minimo dopo l’unificazione, di promuovere le opere caritative cristiane, coordinando le attività promosse dalle associazioni cattoliche. Si sviluppò rapidamente dopo il 1880, specie nei territori della Lombardia e del Veneto, promuovendo una vasta attività economica e sociale con la fondazione di casse rurali, società di mutuo soccorso e cooperative. L’organizzazione, la cui sede centrale era a Venezia, aveva una struttura periferica articolata in comitati regionali, diocesani e parrocchiali. Periodicamente si convocavano congressi nazionali. 2 Unione Sindacale Regionale C A M P A N I A Al Congresso dei Cattolici Italiani di Lucca, nel 1887, erano emerse da un lato concezioni articolatamente corporativistiche e dall’altro lato il timore, prevalente nell’opinione pubblica, che i tempi non fossero maturi ancora per proporre audaci (così parevano) esperimenti. Il 15 maggio 1891 ha segnato una tappa decisiva per lo sviluppo del movimento sociale cattolico: l’enciclica “Rerum novarum” del Papa Leone XIII indicava ai cattolici, come strumenti per una società cristiana, oltre ai Sindacati confessionali, proprio le corporazioni miste. Il Papa invitava i cattolici ad uscire dall’isolamento, a interessarsi dei problemi che affliggevano gli strati più umili della società e a costituire associazioni operaie, per contrastare il socialismo e il “sindacato rosso”. Raccomandava, inoltre, di “recare speranza agli operai”, di agevolarne il cammino esitante, di cercare di riportarli “rinsaviti sulla strada della fede”, di offrire loro patrocinio e soccorso, non dimenticando di condannare anche il capitalista, che per il proprio tornaconto opprimeva il lavoratore, defraudandolo della “giusta mercede”. Leone XIII ricordava, inoltre, al Governo di intervenire a favore “delle misere plebi”, perché il ceto dei ricchi era forte di per sé e necessitava, quindi, di una minore difesa pubblica. Secondo il Pontefice sia i capitalisti che gli stessi operai potevano collaborare per migliorare la questione operaia “con istituzioni ordinate a porgere opportuni soccorsi ai bisognosi e ad avvicinare e unire le due classi tra loro”: si riferiva all’attività delle società di mutuo soccorso, che si occupavano di tutelare le fasce più deboli della società, come gli orfani, le vedove, gli operai vittime di infortuni e così via. Al primo posto per importanza, però, c’erano “le corporazioni di arti e mestieri”, che avevano dato un contributo allo sviluppo del paese e al miglioramento delle condizioni del lavoro e che quindi dovevano essere maggiormente incrementate. “Degnissimi d’encomio sono molti tra i cattolici che, conosciute le esigenze dei tempi, fanno ogni sforzo per migliorare onestamente le condizioni degli operai”, queste le parole di Leone XIII. L’associazionismo corporativo poneva le sue basi proprio nella Sacra Scrittura. Si legge infatti nella Rerum Novarum: 3 Unione Sindacale Regionale C A M P A N I A “Il sentimento della propria debolezza spinge l’uomo a voler unire la sua opera all’altrui. La Scrittura dice: E’ meglio essere in due che uno solo; perché due hanno maggior vantaggio nel loro lavoro. Se uno cade, è sostenuto dall’altro. Guai a chi è solo; se cade non ha una mano che lo sollevi”. E altrove: “il fratello aiutato dal fratello è simile a una città fortificata. L’istinto di questa naturale inclinazione lo muove, come alla società civile, così ad altre particolari società, piccole certamente e non perfette, ma pur società vere. Fra queste e quella corre grandissima differenza per la diversità dei loro fini prossimi. Il fine della società civile è universale, perché è quello che riguarda il bene comune, a cui tutti e singoli i cittadini hanno diritto nella debita proporzione. Perciò è chiamata pubblica; per essa gli uomini si mettono in mutua comunicazione al fine di formare uno Stato. Al contrario le altre società che sorgono in seno a quella si dicono e sono private, perché hanno per scopo l’utile privato dei loro soci. Società privata è quella che si forma per concludere affari privati, come quando due o tre si uniscono a scopo di commercio”. La “Rerum Novarum” costituiva, quindi, un traguardo raggiunto, ma allo stesso tempo un punto di partenza, che apriva ai cattolici una nuova strada per confrontarsi con il mondo moderno, indicando loro la via da seguire. Lo Stato avrebbe dovuto regolare, tramite leggi, l’esercizio, la produzione, la retribuzione sufficiente al lavoro, d’accordo con il profitto del bene comune della società intera. Le associazioni professionali diventavano, allora, il mezzo per mettere in pratica la dottrina cattolica sociale, proprio perché tutelavano le diverse classi sociali organicamente strutturate. Il movimento cattolico sociale acquisiva, in questo modo, una coerenza teorico-pratica e riceveva un forte impulso nella ricerca di una mutua intesa tra datori di lavoro e lavoratori. Al nuovo Congresso dei cattolici italiani del 1892 a Genova, l’Enciclica “Rerum Novarum” ebbe un notevole riscontro, tanto che si fissarono le basi per una prospettiva sostanzialmente istituzionalistica nel corporativismo dei cattolici italiani. La rete organizzativa cattolica andò estendendosi in modo capillare, soprattutto nell’Italia settentrionale. La partecipazione dei cattolici alla vita sociale ed economica del Paese ha avuto una notevole spinta agli inizi del 1900 con il “Trattato di economia sociale” di Giuseppe Toniolo, che suggeriva, tra l’altro, il superamento dei sindacati “misti” formati da lavoratori e datori di lavoro. 4 Unione Sindacale Regionale C A M P A N I A Toniolo, economista e fondatore dell’Unione Cattolica per gli Studi Sociali in Italia, riteneva che il cattolicesimo fosse in grado di competere con le più moderne ideologie sociali. Si proponeva di conciliare il sindacalismo cattolico organizzato da soli lavoratori (i cosiddetti “sindacati bianchi”, per distinguerli da quelli “rossi”), con la concezione corporativistica, oramai prevalente tra gli intellettuali cattolici e incoraggiata dalle encicliche. Si prospettavano perciò sindacati paralleli di lavoratori e di datori di lavoro, che avrebbero poi trovato collegamento in “commissioni miste”, le quali unendosi a loro volta avrebbero dato luogo a “corporazioni” diverse secondo i settori professionali e produttivi, ma tutte collegate tra loro al vertice. Tali corporazioni collegate avrebbero avuto compiti giurisdizionali, di soluzione dei conflitti tra lavoratori e datori di lavoro, attraverso il ricorso al principio cristiano della “giusta mercede”. Uno dei primi problemi da affrontare, a livello europeo, era se dare all’associazione professionale dei sindacati cattolici un’impronta confessionale o meno, e se questo poteva essere uno stimolo, per gli operai dubitanti nella fede per diventare dei bravi cattolici. La questione, che era maggiormente sentita in Germania, fu affrontata nel 1912 dal Papa Pio X nella lettera “Singulari quadam”, rivolta proprio ai cattolici tedeschi. Il pontefice ribadiva il dovere di tutti i cattolici di “mantenere fermamente e di professare senza timidezza i principi della vita cristiana, insegnati nel Magistero della Chiesa cattolica”, soprattutto quelli espressi nella “Rerum Novarum”. Lodava le associazioni operaie, che avevano come fondamento la religione cattolica e che seguivano le direttive della Chiesa, considerate le più “adatte ad assicurare una vera e durevole utilità ai soci”. Allo stesso tempo, però, vista la particolare situazione in cui si trovava la Germania, il Papa ammetteva l’esistenza di associazioni miste, costitute anche da non cattolici, a patto che i cattolici si tutelassero dal rischio di essere lesi “nell’integrità della fede”. In Italia tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 si sviluppano pienamente le varie correnti del sindacalismo: mentre le Camere del Lavoro diventano gli strumenti della lotta socialista, a Bergamo gli interventi sociali del Monsignor Radini Tedeschi costituivano un modello all’interno dell’Opera dei Congressi e dei comitati cattolici e a Roma Romolo Murri fondava la rivista cattolica “Cultura sociale”. 5 Unione Sindacale Regionale C A M P A N I A E proprio don Romolo Murri, che aveva interpretato la “Rerum Novarum” in senso letterale, diede vita e sviluppò un’ampia rete di fasci democratico-cristiani e di Uffici del lavoro, che svolgevano un’attività capillare di organizzazione sociale, attraverso un’intensa opera di formazione filosofica. Si fece fautore di una possibile convergenza tra la dottrina sociale della Chiesa e movimento socialista, ovvero tra spirito religioso e istanza democratica. Nella sua concezione, la risposta ai problemi posti dall’industrializzazione passava attraverso una drastica azione di rinnovamento della prassi politica e sociale del cattolicesimo, in cui rientrava anche l’organizzazione diretta delle classi subalterne e l’adesione al conflitto sociale. La sua posizione a favore della lotta per le libertà fondamentali delle classi subalterne lo portò all’idea di una creazione di un partito autonomo, mentre il Vaticano assumeva posizioni sempre più caute nel campo della politica sociale. La risposta della Chiesa, infatti, arrivò dal Pontefice Leone XIII, che scrisse nel 1901 l’enciclica “Graves de communi”, per evitare che la nuova corrente, denominata “democrazia cristiana”, potesse assumere un significato politico: l’unico significato che il Pontefice considerava possibile per questa corrente era soltanto quella di una “benefica azione cristiana a favore del popolo”, poiché “i precetti del Vangelo vanno oltre ogni forma di governo”. L’elezione di Pio X, nel 1903, in corrispondenza di un mutato contesto economico e politico avviato verso l’industrializzazione e la democratizzazione, diede un nuovo slancio ai cattolici, che favorì i processi di avvicinamento all’impegno politico. Nella sua enciclica “Il fermo proposito” del 1905, il Pontefice lodava tutti i processi che vedevano i cristiani impegnati nella vita sociale ed economica, sulla scorta della “Rerum Novarum”, e incoraggiava tutti i fedeli a partecipare attivamente alla vita politica del Paese: “l’odierno ordinamento degli Stati offre indistintamente a tutti la facoltà di influire sulla pubblica cosa, ed i cattolici, salvo gli obblighi imposti dalla legge di Dio e dalle prescrizioni della Chiesa, possono con sicura coscienza giovarsene, per mostrarsi idonei al pari, anzi meglio degli altri, di cooperare al benessere materiale civile del popolo ed acquistarsi così quell’autorità e quel rispetto che rendano loro possibile eziandio di difendere e promuovere i beni più alti, che sono quelli dell’anima”. Con il pontificato di Pio X, però, Romolo Murri entrò in contrasto direttamente con la massima autorità ecclesiastica, soprattutto in seguito allo scioglimento dell’Opera dei Congressi voluto proprio 6 Unione Sindacale Regionale C A M P A N I A dal Papa nel 1903, poiché il nuovo presidente dell’Opera, Giovanni Grosoli, era fautore della corrente democratico-cristiana. Allora don Romolo Murri decise di fondare la Lega Democratica Nazionale, con finalità prevalentemente politiche. Nel 1911 si costituì un vero e proprio sindacato dei lavoratori cattolici, la Unione Economico-Sociale dei Lavoratori Italiani, subentrata al II Gruppo dell’Opera dei congressi nella promozione delle attività sociali dei cattolici. L’UES fu il primo nucleo della Confederazione Italiana dei Lavoratori, nata in Italia nel 1918, come parte integrante delle Leghe Bianche, sindacati di stampo cattolico. La CIL mantenne la sua autonomia sia dal Partito Popolare (di don Luigi Sturzo), sia dall’Azione Cattolica, rivendicando la sua interconfessionalità e promuovendo la partecipazione dei lavoratori e la libertà sindacale. Purtroppo l’avvento del fascismo istituì, con la Carta del lavoro del 1927, un sindacato unico e statale, annullando ogni tipo di libertà sindacale. Nel 1931 il Papa Pio XI pubblicò l’enciclica “Quadragesimo Anno”, in occasione del 40° anno dalla pubblicazione della “Rerum Novarum”. Dopo aver lodato l’opera sociale svolta dai cattolici, il Pontefice affronta il tema del “giusto salario”, che doveva essere sufficiente a sopperire i bisogni vitali non solo dell’operaio, ma anche della sua famiglia, poiché “la quantità del salario deve contemperarsi col pubblico bene economico”. In generale il periodo tra le due Guerre mondiali fu caratterizzato dalla difesa della libertà sindacale e, nello stesso tempo, dalla necessità di organizzare la produzione in seguito alla crisi economica del 1929. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e il periodo fascista, durante il quale i Sindacati furono sciolti per dar posto alle Corporazioni, la Resistenza prima e la Liberazione poi portarono alla rinascita del Sindacalismo Libero. 7 Unione Sindacale Regionale C A M P A N I A Sulla base di un’esigenza scaturita dalla comune lotta antifascista, le varie organizzazioni che stavano riemergendo decisero di firmare il Patto di Roma. In particolare furono gli esponenti dei tre principali movimenti sindacali - e cioè il sindacalismo comunista (firmatario G. Di Vittorio), il sindacalismo socialista (firmatario E. Canevari) e il sindacalismo democratico-cristiano (firmatario A. Grandi) -, a siglare il patto del 3 giugno 1944, con cui si diede vita alla Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL). La Confederazione adottò un programma molto generico, proprio perché potesse essere condiviso in modo unitario, proclamò la massima libertà di espressione al suo interno e l’assoluta indipendenza da ogni partito, confermando, tuttavia, la disponibilità a prendere posizione su tutti i problemi politici che interessano la generalità dei lavoratori. Con accordo politico interno tra le componenti, si avviò una prassi di decisioni prese su basi paritetiche. Purtroppo il carattere unitario della CGIL era profondamente insidiato da una serie di realtà oggettive, tanto interne alla Confederazione quanto esterne. Anzitutto, dal punto di vista dell’ideologia sindacale dei quadri, le tre componenti divergevano irrimediabilmente. Le componenti comunista e socialista pensavano in termini di sindacalismo di classe, mentre la componente democratico-cristiana e specificamente cattolica rifiutava una concezione classista della società e perciò un sindacato “di classe”. Mentre le componenti comunista e socialista tendevano a vedere, come fine immediato del sindacato, la rivendicazione e la difesa economica dei lavoratori e, come fine ultimo, la costruzione di una società diversa e non escludevano, in prospettiva, lo strumento rivoluzionario, la componente democraticocristiana aveva alle spalle una storia di concezioni corporativistiche del sindacato e, parlando in prospettiva di ‛partecipazione agli utili’ e di ‛trasformazione del proletario in proprietario’, rifiutava mutamenti radicali della società. La componente comunista accettava solo in funzione tattica la separazione del sindacato dal partito, ma alla fine il sindacato doveva rifarsi alle posizioni politiche del partito assecondandone le azioni anche contingenti. La componente socialista, invece, non aveva nel suo bagaglio ideologico la stretta dipendenza del sindacato dal partito. 8 Unione Sindacale Regionale C A M P A N I A La componente democratico-cristiana aveva già - e la storia successiva lo mostrerà con chiarezza - la tendenza ad esaltare (contro le pretese del partito democristiano e anche, in taluni momenti, contro i suggerimenti ecclesiali) l’autonomia del sindacato. Lo stato di inferiorità numerica della componente democratico-cristiana nei settori industriali costituiva un’oggettiva causa di malessere e il vizio di origine dell’unità sindacale (di essere la proiezione sindacale di un momento di collaborazione politica dei partiti nella Resistenza) pesava sull’unità sindacale stessa, rendendola sensibile alle sollecitazioni provenienti dall’esterno, cioè da un contesto politico in cui la collaborazione era destinata a venir presto meno. La CGIL, infatti, stava rafforzando i suoi rapporti con il PCI dando seguito a una serie di scioperi proclamati contro il piano Marshall, il Patto Atlantico e la politica filo-occidentale del Governo e spiazzando le correnti cattoliche laiche e riformiste al suo interno. Ma l’evento che diede inizio alla scissione vera e propria fu la proclamazione di uno sciopero generale contro il Governo, in seguito al ferimento, avvenuto il 14 luglio 1948 in un attentato, del Segretario del PCI, Palmiro Togliatti. Agli occhi della corrente cattolica interna alla CGIL, che ovviamente si riconosceva principalmente nella DC al governo, lo sciopero fu la palese dimostrazione della politica di appiattimento verso il PCI. Inoltre l’evento, considerato solo politico, era visto dai cattolici della CGIL come un tradimento del Patto di Roma, che prevedeva l’indipendenza dai partiti politici. E in effetti l’unità sindacale venne meno quando, dopo lunghe polemiche, il 15 luglio 1948 gli undici membri democratico-cristiani del comitato direttivo della CGIL, guidati da Giulio Pastore, si riunirono nella sede romana delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani (ACLI) e diedero vita a una nuova confederazione chiamata Libera Confederazione Generale del Lavoro (LCGIL). Il 4 giugno 1949 i lavoratori socialisti democratici (cioè l’area laica e riformista aderenti al PSLI, nato con la scissione socialista) e repubblicani diedero vita a un’altra confederazione, la Federazione Italiana del Lavoro (FIL). Le due nuove confederazioni si fusero il 1° maggio 1950, dando vita alla Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL). 9 Unione Sindacale Regionale C A M P A N I A Gran parte della base della FIL contestò i dirigenti, specialmente per le resistenze di molti lavoratori repubblicani e socialdemocratici a riconoscersi in un’organizzazione a prevalenza cattolica, e ancor prima della fusione costituì, unendosi a un nuovo gruppo di espulsi dalla CGIL, una terza confederazione, l’Unione Italiana del Lavoro (UIL). Il Segretario Generale ( Lina Lucci ) 10