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Enrico CARBONE
LIBERTA’ E PROTEZIONE
NELLA RIFORMA DELL’INCAPACITA’ D’AGIRE
Sommario: 1. Una «riforma imperfetta»? – 2. Le grandi direttrici del processo riformistico europeo:
sussidiarietà, personalizzazione e solidarismo nel modello francese. – 2.1. Subsidiaritätsprinzip,
principio di necessità e flexibilität negli istituti dell’area germanica. – 2.2. Principio di graduabilità
e personalismo nell’incapacitación spagnola. – 2.3. La privatizzazione dei regimi di protezione in
Inghilterra e nel Canada francese: l’Enduring Powers of Attorney Act 1985 ed il mandat en
prévision de l’inaptitude. – 3. Le linee-guida della riforma italiana nel contesto europeo: flessibilità
e proporzionalità quali cardini del nuovo istituto dell’«amministrazione di sostegno» e della
rivisitazione delle figure tradizionali dell’incapacità dichiarata; emarginazione del principio di
sussidiarietà. – 4. La sopravvivenza dell’interdizione e dell’inabilitazione quale fattore strategico di
«de-stigmatizzazione» e di «secolarizzazione» della diversità psichica. – 5. I silenzi della novella: la
responsabilità aquiliana dell’infermo di mente. – 5.1. L’incapacità naturale. – 5.2. Gli atti
personalissimi di rilievo esistenziale. – 6. Una nuova categoria dell’agire civile: la «contrattualità
della vita quotidiana». – 7. Rilievi conclusivi.
1. Una «riforma imperfetta»?
Come accade sovente per gli eventi troppo a lungo attesi, la novella del 20041 – che
istituisce l’«amministrazione di sostegno» e modifica sensibilmente le figure tradizionali
dell’incapacità dichiarata – ha finito con il suscitare qualche sentimento di delusione.
Sino all’ultimo, mentre un percorso di riforma quasi ventennale2 si approssimava alla meta,
non poche voci, ed autorevoli, si sono levate nel tentativo di chiudere i conti con i regimi
incapacitanti del passato.
«Forse siamo ancora in tempo per cercare di far cancellare l’interdizione e l’inabilitazione»,
incalzava Salvatore Patti, evocando, a conclusione di un convegno romano del giugno 2002 3,
l’immagine forte del «muro di Berlino» per descrivere la resistenza, granitica e fragile ad un tempo,
di quegli istituti della tradizione.
«La riforma in corso è imperfetta, perché convive con i démoni dell’interdizione e
dell’inabilitazione», si notava, ancora, in quella sede4.
Altrove risuonavano giudizi anche più severi, pronti a denunziare, nell’impianto della
novella, «una singolare mancanza di slancio innovativo»5.
1
Legge 9 gennaio 2004 n. 6.
Può collocarsene l’inizio, con buona approssimazione, nel convegno triestino del giugno 1986 i cui atti si
leggono in P. Cendon (a cura di), Un altro diritto per il malato di mente: esperienze e soggetti della trasformazione,
Napoli, 1988. La «bozza Cendon» – gemmata da quell’assise e divenuta oggi, in larga parte, legge dello Stato – è
pubblicata a corredo di P. Cendon, Infermi di mente e altri «disabili» in una proposta di riforma del codice civile, in
Pol. dir., 1987, p. 621 ss.
3
Il resoconto dei lavori in S. Patti (a cura di), La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, Quaderni di
Familia, 1, Milano, 2002. La citazione è tratta da S. Patti, Conclusioni e proposte di riforma, ivi, p. 157.
4
E. Calò, Mandat en prévision de l’inaptitude: un messaggio dal Québec, in La riforma dell’interdizione e
dell’inabilitazione, cit., p. 61.
5
In questi termini, G. Colacino, L’amministratore di sostegno e il diritto dei disabili. Profili ricostruttivi ed
attualità di un’attesa riforma, in Diritto & formazione, 8-9, 2002, p. 1236, sempre con speciale riguardo alla
sopravvivenza di interdizione ed inabilitazione.
2
E’ stato così che il padre riconosciuto della riforma6 si è sentito in dovere di giustificare la
«prudenza» del disegno innovatore, rammentando l’«anatema» – ispirato dalle persistenti
polemiche intorno alla legge Basaglia – che parte rilevante della dottrina, Luigi Mengoni in testa,
aveva pronunziato, negli anni ottanta, verso ogni ipotesi radicale che, sul modello austriaco, mirasse
ad abolire l’interdizione7.
Sta di fatto che quel «muro di Berlino» non è caduto, «i démoni dell’interdizione e
dell’inabilitazione» – sia pure largamente esorcizzati – abitano ancora il codice civile.
Le pagine che seguono sono dedicate ad una prima riflessione circa il significato strategico e
le forme praticabili della convivenza tra vecchio e nuovo nel sistema italiano dell’incapacità
d’agire, plasmato dalle recenti modifiche.
Punto di partenza è la comparazione con le esperienze di innovazione normativa che, a
partire dagli anni sessanta del secolo scorso, hanno attraversato la materia in molti ordinamenti
europei, segnalando, more solito, la singolare intempestività del nostro legislatore8.
2. Le grandi direttrici del processo riformistico
personalizzazione e solidarismo nel modello francese.
europeo:
sussidiarietà,
«Toute protection entame une liberté»9.
Non per caso, sono i giuristi francesi – tradizionalmente sensibili ai temi delle libertà
individuali e sollecitati dall’imponente lavoro critico sul «grande internamento» offerto dal
Foucault della Histoire10 – a porre in discussione, primi in Europa, lo statuto civilistico del disabile
mentale, disegnato dalla tradizione ottocentesca.
La saldatura tra le esigenze di sicurezza del traffico giuridico proprie delle economie protocapitalistiche11 ed i postulati analitici del positivismo psichiatrico aveva ricevuto, nella legislazione
francese di primo ottocento, una formalizzazione esasperata.
La c.d. equazione Esquirol – che collegava, in automatismo, all’internamento manicomiale
dell’infermo la sua incapacitazione attraverso la nomina di un amministratore «provvisorio» – e
l’assoluta rigidità dei regimi di protezione (interdiction e conseil judiciare) approntati dal vecchio
P. Cendon, La tutela civilistica dell’infermo di mente, in La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione,
cit., p. 31 s.
7
Per la critica di Mengoni all’opzione austriaca, cfr. il suo intervento in Un altro diritto per il malato di mente,
cit., p. 355.
8
Per un pungente resoconto delle difficoltà del percorso legislativo di riforma, P. Cendon, La follìa si addice ai
convegni, in Dir. fam. pers., 1999, p. 727 ss. Il «grave ritardo del legislatore» italiano alla luce del dinamismo
manifestato in materia dagli altri ordinamenti europei giustifica il «rimprovero severo» di S. Patti, Introduzione, in La
riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, cit., p. 19.
Per ripercorrere il lungo cammino verso la novella, scandito da progetti di legge sempre colpiti da infausto
esito parlamentare, cfr. il «disegno Bompiani» (n. 2571, presentato alla Camera il 23 aprile 1993), il cui articolato è in
Rass. dir. civ., 1994, p. 206 ss., ove anche le note di A. Bompiani, Ragioni giuridiche ed etiche di una recente iniziativa
legislativa, e di M. Di Bartolomeo, Osservazioni sul recente disegno di legge in materia di «Amministratore di sostegno
a favore di persone impossibilitate a provvedere alla cura dei propri interessi»; il «disegno Perlingieri» (n. 448,
presentato al Senato il 21 giugno 1994), per il quale v. P. Perlingieri, Uno stage al Parlamento, Napoli, 1997, p. 162 ss.;
il «disegno Giacco» (n. 960, presentato alla Camera il 16 maggio 1996) ed il «disegno Turco» (n. 4040, presentato alla
Camera il 24 luglio 1997), unificati nel «testo Maggi», che può leggersi a corredo della minuziosa analisi di G. Lisella,
Amministratore di sostegno e funzioni del giudice tutelare. Note su una attesa innovazione legislativa, in Rass. dir. civ.,
1999, p. 216 ss. Vale per tutti la constatazione di una sostanziale continuità rispetto alla «bozza Cendon», autentica
«pietra nello stagno», secondo l’efficace espressione di G. Lisella, op. cit., p. 228.
9
R. Savatier, Les métamorphoses économiques et sociales du droit civil d’aujourd’hui, Paris, 1964, p. 309.
6
M. Foucault, Folie et déraison. Histoire de la folie à l’âge classique, Paris, 1961.
In ordine all’«agnosticismo dei codici liberali», e del code civil sopra gli altri, per l’«uomo nella sua realtà
globale», sostituito da «un soggetto astratto, preso in considerazione dalla giuridicità in quanto ente razionale», capace
di scambio e conforme al modello antropologico dell’«individualismo possessivo», cfr. le magistrali osservazioni di L.
Mengoni, La tutela giuridica della vita materiale nelle varie età dell’uomo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1982, p. 1117 ss.
10
11
testo degli artt. 489 ss. code civ. denunziavano effetti di sostanziale «élimination», fisica e giuridica,
dell’«aliéné-interné»12.
La «nullité de droit» – che, ai sensi dell’art. 502 code civ., fulminava ogni atto compiuto
dall’interdetto – connotava in termini assoluti la sua «incapacité d’exercice» e, di necessità, lo
consegnava all’integrale sostituzione tutoria; disegnando un regime senza margini di adattamento,
«tout ou rien», se si esclude l’istituto dell’incapacitazione parziale dei «faibles d’esprit» e dei
«demi-fous», ai quali l’art. 499 code civ. precludeva il compimento di una serie di atti di
amministrazione straordinaria senza l’assistenza del conseil judiciare.
Per altro verso, la competenza giurisdizionale affidata al tribunale di grande istanza e la
conseguente complessità di un procedimento costoso e distante condannarono interdiction e conseil
judiciare ad una progressiva desuetudine, consegnando alla diffusiva prassi dell’amministrazione
«provvisoria» post-internamento una «vocazione permanente»13.
La c.d. riforma Carbonnier, legge 68-5 del 3 gennaio 196814, nel reagire a tale stato delle
cose con la forza libertaria di quegli anni, aprì – secondo una strategia di ampia diversificazione –
un largo ventaglio di tecniche protettive, ispirate da princìpi di flessibilità, «individualisation» e
sussidiarietà, al fine di contemperare esigenze di difesa e potenzialità d’autonomia di coloro che –
non più «incapables majeurs», bensì, più rispettosamente, «majeurs protégés par la loi» – si
intendeva promuovere nella dignità sociale attraverso il concreto beneficio terapeutico che deriva
dalla valorizzazione della c.d. soggettività possibile.
Interdiction e conseil judiciare vennero idealmente soppiantati da tutelle – che opera in
chiave rappresentativa – e curatelle – configurata nei termini della mera assistenza: régimes de
protection che il giudice delle tutele, capace di esprimere un’azione agile e deformalizzata15, può
modellare sulle esigenze specifiche del disabile, in particolare sottraendo alla sanzione di nullità
(ancora comminata dall’art. 502 code civ. per gli atti da quello compiuti a tutela aperta) tutte le
iniziative giuridiche che, per indicazione medica, il sottoposto a tutela risulta in grado di compiere
da sé o con la semplice assistenza del tutore (art. 501 code civ.); ovvero, sempre su indicazione
medica, ampliando o restringendo l’àmbito di attività che il maggiore in curatela può compiere
senza assistenza del curatore (art. 511 code civ.).
Per altro verso, il più severo regime incapacitante fu disegnato in termini di pura residualità,
non potendo esso operare qualora un parente prossimo fosse in grado di amministrare le sostanze
dell’inabile (art. 497 code civ.), qualora la cura degli interessi dell’infermo venisse assicurata dalle
regole ordinarie di sostituzione tra coniugi (art. 498 code civ.) ovvero se, nel caso di patrimonio
modesto, il giudice ritenesse sufficiente la nomina di un «gérant en tutelle» per la mera gestione
reddituale (artt. 499, 500 code civ.)16.
Lo spettro di interventi offerto dalla riforma è completato da un «regime di protezione
minimale a carattere temporaneo»17, che, senza incidere ex ante sulla capacità d’agire del soggetto
Per un’ampia descrizione del «combiné Napoléon-Esquirol», del circolo inflessibile costituito dalla loi
Esquirol del 1838 sull’assistenza ai malati di mente e dal vecchio testo codicistico che consegnava i casi di
«imbécillité», «démence» e «fureur», senza rilievo per eventuali lucidi intervalli, al regime nullificante
dell’interdizione, cfr. G. Autorino Stanzione, La protezione civilistica del disabile per infermità mentale
nell’ordinamento francese, in Riv. dir. civ., 1991, I, p. 523 ss.
13
Cfr. G. Autorino Stanzione, op. cit., p. 534 s., anche per riferimenti alla letteratura in lingua.
14
Per una prima, sintetica, esposizione dei contenuti della riforma, cfr. C. Ebene Cobelli, La riforma in
Francia delle leggi sulle persone e sulla famiglia, in Riv. dir. civ., 1976, I, p. 430 ss.
15
L’opzione per il giudice delle tutele riafferma la giurisdizionalità della protezione dei disabili – a fronte del
pregresso abuso di amministrazione «provvisoria» – affidandone i destini ad un organo libero dalle rigidità formali del
tribunale di grande istanza: cfr., sul punto, le osservazioni di G. Autorino Stanzione, op. cit., p. 563 s.
16
Per una disamina più approfondita degli istituti della tutela, curatela, amministrazione legale e c.d. tutelle en
gérance, si rinvia senz’altro ad A. Venchiarutti, La protezione giuridica del disabile in Francia, Spagna e Austria.
Prospettive di riforma nel sistema italiano, in Dir. fam. pers., 1988, p. 1455 ss.
17
Secondo la definizione di R. Pescara, Tecniche privatistiche e istituti di salvaguardia dei disabili psichici, in
Trattato di diritto privato², diretto da Rescigno, 4, tomo terzo, Torino, 1997, p. 763.
12
(art. 491-2, comma primo, code civ.), lo rende immune dagli effetti pregiudizievoli dei suoi atti,
questi essendo rimuovibili – nel termine di prescrizione di cinque anni dalla cessazione della misura
– con le due azioni specifiche (art. 491-2, comma secondo, code civ.) della rescissione per lesione
semplice – per il caso di squilibrio sinallagmatico – e della riduzione per eccesso – per il caso di
operazione non oggettivamente sperequata, ma incongrua ai bisogni esistenziali del protetto ovvero
alle di lui condizioni economiche.
E’ il noto istituto della sauvegarde de justice18, attivabile su semplice segnalazione medica e
conseguente controllo del Procuratore della Repubblica (art. L. 326-1, comma secondo, code Santé
publique) ovvero dal giudice tutelare durante il procedimento di apertura della tutela o della curatela
(art. 491-1, comma secondo, code civ.).
La limitata pubblicità19 che viene prevista per la registrazione in Procura – essendo l’accesso
alla notizia ristretto a determinate categorie di interessati ex art. 10 della legge 3 gennaio 1968 –
attesta il «sacrificio della certezza delle contrattazioni e, se necessario, delle ragioni dei terzi in
favore d’interessi reputati maggiormente meritevoli di tutela», tale essendo quello di consentire la
partecipazione del disabile al traffico giuridico: «in questa prospettiva, la disciplina in esame si
colora di personalismo e di solidarismo»20.
Nei confronti dell’istituto di salvaguardia non sono mancate, tuttavia, critiche, anche
sferzanti.
Così, si è notato che «una formalizzazione, per quanto minima, della condizione del
soggetto, e un particolare regime d’invalidità degli atti connesso a tale condizione, comporta il
pericolo opposto di accentuare l’emarginazione di fatto del soggetto per la naturale diffidenza dei
terzi, indotti a non esporsi alla sorpresa di un’azione di annullamento»21.
E nella letteratura francese ricorre la denunzia di una tendenza – statisticamente convalidata
– diretta a trasformare la sauvegarde in un «istituto di massa», chiave di volta di un nuovo
«impérialisme protecteur»22.
Ancora: la sauvegarde appare inutile «nelle ipotesi in cui il problema è quello di aiutare il
soggetto allo svolgimento della sua attività giuridica»23.
La temporaneità della misura – circoscritta ad un bimestre, con rinnovo, potenzialmente illimitato, di semestre
in semestre, mediante identica procedura (art. 1237 code proc. civ.) – è ritenuta essenziale dalla dottrina, per la «fraude
à la loi» che sarebbe integrata da una reiterazione senza fine: cfr. i rilievi di S. Patti, Introduzione, cit., p. 22.
18
Si sofferma specificamente su tale figura E. V. Napoli, Il sistema francese dell’incapacità d’agire quale
modello per una riforma in Italia. (In margine alla proposta di legge sull’amministratore di sostegno), in La riforma
dell’interdizione e dell’inabilitazione, cit., p. 92 ss., sulla (discutibile) premessa che questo sia «il modello cui il
legislatore ha inteso riferirsi nel formulare la proposta dell’amministratore di sostegno».
19
«Semiformale» è il pertinente aggettivo utilizzato, per descrivere il regime di sauvegarde, da L. Mengoni,
op. ult. cit., p. 1134.
20
Così G. Autorino Stanzione, op. cit., p. 552, la quale sottolinea l’«ampia discrezionalità del giudice in merito
alla fondatezza dell’azione di rescissione per lesione e di riduzione per eccessi» (p. 554) ed evidenzia che le
sollecitazioni dottrinali a non dilatare nel tempo la durata della sauvegarde risponde anche alla volontà di circoscrivere
l’incertezza negoziale per i terzi, che, in caso di persistente bisogno di protezione, devono trovarsi di fronte un regime
di tutela o curatela, munito di un vero e proprio sistema di pubblicità (p. 555).
21
In questi termini C. M. Bianca, La protezione giuridica del sofferente psichico, in Riv. dir. civ., 1985, I, p.
35, replica al giudizio largamente positivo espresso, nei confronti della sauvegarde, da M. De Acutis, C. Ebene, P. Zatti,
La cura degli interessi del malato, strumenti di intervento organizzato e occasionale, in Tutela della salute e diritto
privato, a cura di Busnelli e Breccia, Milano, 1978, p. 127 s.
22
Cfr., anche per riferimenti bibliografici, G. Autorino Stanzione, op. cit., p. 538.
Di nuovo C. M. Bianca, op. cit., p. 35, nota 35 (corsivo dell’A.).
E’ opportuno, peraltro, rammentare che la legge francese contempla una serie di strumenti giuridici di sostegno
anche per ipotesi di tal fatta: in particolare, per il caso in cui l’inabile non abbia conferito un apposito mandato in vista
della sauvegarde (ex art. 491-3 code civ.) – delega, irrevocabile senza autorizzazione del giudice tutelare, che richiama
il principio di sussidiarietà dell’intervento pubblico – e se nessuna delle persone a lui vicine abbia di fatto preso a
gestire i suoi affari secondo le regole della negotiorum gestio (ex art. 491-4, comma primo, code civ.), è previsto
l’obbligo per i parenti prossimi, il direttore del luogo di ricovero, il Procuratore della Repubblica, di compiere in vece
dell’infermo gli atti urgenti in funzione conservativa del suo patrimonio (art. 491-4, comma secondo, code civ.): per la
c.d. gestion d’affaires forcée, cfr. A. Venchiarutti, op. cit., p. 1466.
23
Ben oltre dubbi e perplessità, resta l’indirizzo di principio segnato dalla riforma del 1968,
l’«esprit nouveau» che si rifletterà, in larga parte, nelle successive innovazioni degli ordinamenti
continentali: sussidiarietà degli interventi ablativi ed incapacitanti; «souplesse» e personalizzazione
dei regimi di protezione; collaborazione tra giudice e medico nella «pratique pluridisciplinaire»;
ruolo centrale del giudice delle tutele, «pivot de la réforme», pur nella convergenza di «familial,
médical et judiciaire»24.
2.1. Subsidiaritätsprinzip, principio di necessità e flexibilität negli istituti dell’area
germanica.
Le riforme varate in Austria25 ed in Germania26, mentre recuperano alcuni motivi centrali di
quella francese, se ne discostano per la formale cancellazione degli istituti tradizionali
dell’interdizione (volle Entmündigung) e dell’inabilitazione (beschränkte Entmündigung) – per
l’abbandono degli schemi classici della tutela (Vormundschaft) e della curatela (Pflegschaft) – che
in Francia sono sopravvissuti, seppure in forme profondamente rinnovate, nelle figure della tutelle e
della curatelle.
Il superamento dei modelli di incapacitazione dall’estensione rigidamente prefissata per
legge è avvenuto, nell’area germanica, sotto la spinta degli indirizzi di «demokratische
Psychiatrie», attraverso il conio di due nuovi regimi di protezione elastici, dal contenuto variabile,
che il giudice delle tutele è chiamato a dimensionare sulle specifiche esigenze di sostegno della
singola persona disabile.
Così, per la Sachwalterschaft, la determinazione giudiziale dell’area di interessi da affidare
alle cure del Sachwalter – parametrata alle caratteristiche dell’affezione del sofferente psichico –
potrà circoscrivere una sola sfera della vita di relazione, estendersi a più settori ovvero coprire tutti
gli affari del disabile (§ 273, comma terzo, ABGB), senza che la maggiore o minore portata
oggettiva del regime ne muti l’essenza27.
In modo ancor più eloquente, la Betreuungsgesetz evita qualunque tipizzazione della sfera di
interferenza del Betreuer, sicché la dottrina tedesca individua proprio nella «Flexibilität» la
peculiarità più evidente della nuova figura28.
La tecnica di protezione adottata nei due ordinamenti è simile: attraverso il meccanismo
della «riserva di consenso» (Einwilligungsvorbehalt), si tenta di minimizzare l’ablazione di capacità
negoziale dell’assistito, il cui atto – nei limiti oggettivi fissati dal giudice – sarà inefficace senza il
consenso, espresso o tacito, anche in ratifica, dell’assistente (cfr. § 273 a, primo comma, ABGB; §
1903 BGB).
Peraltro, la flessibilità dell’istituto austriaco viene spinta sino a prevedere che il giudice
tutelare possa autorizzare la libera disposizione di determinati redditi o beni, anche se coperti dalla
riserva (§ 273 a, comma primo, ABGB) e che l’atto compiuto dall’interessato, pure nell’àmbito
Inoltre, l’art. 491-5 code civ. attribuisce al giudice delle tutele il potere sussidiario di nominare un curatore
speciale della gestione ordinaria, con effetti di corrispondente incapacitazione speciale: per la tendenza dei giudici
tutelari ad estendere il campo operativo di questo istituto, sino a trasformarlo in una «tutelle au petit pied»,
atteggiamento criticato dalla dottrina e censurato in Cassazione, cfr. G. Autorino Stanzione, op. cit., p. 559.
24
Per il disegno di queste linee portanti, cfr. ancora G. Autorino Stanzione, op. cit., passim.
25
Bundesgesetz 2 Febr. 1983 über die Sachwalterschaft für behinderte Personen.
26
Betreuungsgesetz del 12 settembre 1990, entrata in vigore dal 1° gennaio 1992.
27
Condivide la tesi, prevalente nella dottrina austriaca, che attribuisce alla descrizione normativa un significato
puramente orientativo per il giudice, senza la rigida configurazione di «tre forme di Sachwalterschaft», e ciò al fine di
«mantenere intatta la possibilità di un trattamento altamente personalizzato del sofferente psichico», P. M. Vecchi, La
riforma austriaca della tutela degli incapaci, in Riv. dir. civ., 1987, I, p. 41.
28
Cfr., anche per riferimenti bibliografici, E. V. Napoli, La Betreuungsgesetz. Dagli status alla flessibilità nel
sistema di protezione degli incapaci nella Repubblica Federale di Germania, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 539 ss.
della riserva, ove concerna una vicenda esigua della vita quotidiana, divenga di per sé efficace con
l’adempimento degli obblighi a lui derivanti (§ 273 a, comma secondo, ABGB)29.
Dominano, anche qui, i princìpi di necessità («Erforderlichkeitsprinzip») e di sussidiarietà
(«Subsidiaritätsprinzip»), a presidio di una finalizzazione realmente protettiva dei regimi di
limitazione della capacità d’agire: così, ex § 1896 BGB, non potrà disporsi Betreuung nel caso di
mandato preventivo rilasciato dal soggetto per la propria futura incapacità (Vorsorgevollmacht)30;
così, ancora, l’assegnazione di un Sachwalter è esclusa se vi è assistenza di un familiare o di un
istituto di protezione (§ 273, secondo comma, ABGB)31.
I regimi di protezione ora sommariamente descritti non sono assistiti da un sistema
pubblicitario – così è per la Betreuung32 – o lo sono in misura assai circoscritta – la
Sachwalterschaft non è comunicata agli uffici dello stato civile, ma semplicemente annotata nei
registri immobiliari e delle imprese, mentre chi voglia accedere altrimenti alla notizia deve
motivarne, per esplicita previsione processuale, le ragioni d’interesse al giudice tutelare (§ 248
AuβStrG)33: l’insorgenza di «una certa insicurezza nei traffici giuridici»34 è evidentemente
considerata alla stregua di un costo tollerabile della riforma, finalizzata alla «più completa tutela dei
diritti fondamentali della persona, la quale assume in questo contesto finalmente il significato di
valore primario, non più subordinato alle esigenze del traffico economico e giuridico»35.
Per altro verso, riconoscendo al maggiore in Sachwalterschaft la capacità matrimoniale –
con l’assenso del Sachwalter (§ 3 Ehegesetz) – e la capacità di testare – di fronte al giudice od al
notaio (§ 568 ABGB) – ferma in ogni caso la necessità che il soggetto possieda, al momento
dell’atto, la capacità naturale di intendere e di volere (§ 2 Ehegesetz, § 566 ABGB), la riforma
austriaca, senza rinunziare ad obiettivi di protezione, ha segnato «il superamento dei limiti formali
all’ammissione del sofferente psichico a questi due importanti momenti della vita personale e di
relazione»36, limiti che nella normativa anteriore rivestivano valore assolutamente ostativo in caso
di volle Entmündigung.
2.2. Principio di graduabilità e personalismo nell’incapacitación spagnola.
La novella intervenuta sul corpo del código civil per effetto della Ley 13/1983 de 24 de
octubre – recentemente integrata nei profili processuali dalla legge 1/2000 del 7 gennaio – si ispira,
ancora una volta, al rifiuto di modelli incapacitanti rigidi e predefiniti.
Se resta il principio che la sentenza di incapacitación determina l’incapacità legale del
soggetto e l’apertura in suo favore della tutela o guarda (art. 210 código civil), sì da determinare
l’annullabilità (ex artt. 1301, 1302 e 1304 código civil) degli atti posti in essere dall’incapace
dichiarato, si innova profondamente il ruolo del giudice di fronte alla sofferenza psichica.
29
Per le incertezze della dottrina austriaca circa un potenziale conflitto di legittimazione tra assistito e
Sachwalter nelle fattispecie in esame, cfr. P. M. Vecchi, op. cit., p. 43, il quale, in applicazione del principio di
sussidiarietà, approva la tesi che esclude, in parte qua, la competenza dell’assistente.
30
Per i princìpi di necessità e sussidiarietà, cfr. K. A. Von Sachsen Gessaphe, La legge tedesca sull’assistenza
giuridica e la programmata riforma della legge italiana in materia di interdizione e di inabilitazione, in La riforma
dell’interdizione e dell’inabilitazione, cit., p. 70 ss., al quale si rinvia per i riferimenti al potenziamento dell’istituto del
mandato preventivo per effetto della novella del 1999.
31
Per i problemi posti dalla norma, che sembrerebbe presupporre il mandato conferito dalla persona interessata
al proprio familiare o all’istituto al fine di consentire l’imputazione giuridica degli atti, cfr. P. M. Vecchi, op. cit., p. 39
s.
32
Il provvedimento non è soggetto, infatti, a registrazione, se non nell’ipotesi di Betreuung totale che –
determinando la perdita dell’elettorato attivo e passivo – viene iscritta negli elenchi elettorali: cfr. K. A. Von Sachsen
Gessaphe, op. cit., p. 70.
33
Cfr. K. Klement, Sintesi del sistema austriaco dell’amministrazione di sostegno («Sachwalterschaft»), in La
riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, cit., p. 83.
34
Così, in ordine alla Betreuung, K. A. Von Sachsen Gessaphe, op. cit., p. 73.
35
Così P. M. Vecchi, op. cit., p. 51, il quale, a proposito della Sachwalterschaft, trova un chiaro indizio di
questa impostazione personalistica proprio nella «ridotta pubblicità data al provvedimento».
36
Così, ancora, P. M. Vecchi, op. cit., p. 47.
Egli non è più chiamato ad applicare al disabile uno status dal contenuto invariabilmente
disegnato dal legislatore, bensì è investito del potere-dovere di determinarlo nei suoi profili
oggettivi: è la stessa sentenza di incapacitación che fissa «la extensión y los límites» dell’area
d’incapacità (art. 210 código civil), qualunque sia il regime di protezione ritenuto opportuno37.
Così, nel regime di tutela la sentenza potrà derogare per specifici atti al meccanismo
sostitutorio che è gli proprio (art. 267 código civil); nella curatela il provvedimento giurisdizionale
specificherà gli atti assoggettati al regime di assistenza (art. 289 código civil); e, infine, l’istituto di
chiusura del defensor judicial appare strutturato proprio nei termini del mandato giudiziale (art. 302
código civil).
La dottrina non ha mancato di evidenziare la funzione di «norma aperta» assolta dall’art.
210, fondamento di quel «principio della graduabilità»38 che governa, anche in Spagna, il sistema
riformato delle incapacità dichiarate.
Altro elemento caratteristico della riforma del 1983 risiede nell’alta considerazione che il
legislatore ha riservato alla sfera esistenziale del disabile psichico, attraverso il superamento della
tradizionale chiusura aprioristica che precludeva all’incapacitado atti centrali del vivere civile.
La possibilità, anche per colui che abbia sofferto incapacitazione totale, di contrarre
matrimonio in virtù di una sufficiente capacità di discernimento, attestata da «dictamen médico»
sull’attitudine al consenso (art. 56 código civil); di riconoscere il figlio naturale, nel concorso di
«aprobación judicial con audiencia del Ministerio Fiscal» (art. 121 código civil), sempre diretta
all’accertamento della capacità di discernere; di testare in forma solenne notarile durante un lucido
intervallo (art. 665 código civil)39; esprime la centralità riconosciuta dal codice riformato al «valore
persona umana»40.
2.3. La privatizzazione dei regimi di protezione in Inghilterra e nel Canada francese:
l’Enduring Powers of Attorney Act 1985 ed il mandat en prévision de l’inaptitude.
Nella nostra più recente letteratura si registra una speciale attenzione verso i sistemi di
garanzia del disabile psichico che riconoscono centralità al valore dell’autodeterminazione.
Lo sguardo si volge, con insistenza, agli ordinamenti di common law, tradizionalmente
sensibili ai temi dell’autonomia privata.
La figura più caratteristica, in questa prospettiva, è senz’altro quella disegnata dall’Enduring
Powers of Attorney Act 1985, in vigore per Inghilterra e Galles, che disciplina la facoltà di conferire
una procura «durable», in grado cioè di persistere nonostante la sopravvenuta incapacità psichica
del rappresentato.
Lo strumento – circondato dalla legge del 1985 di cautele formali dirette ad assicurare la
consapevolezza degli effetti negoziali (così le clausole informative ex sezione 2) – consente
all’individuo di predisporre in autonomia un regime di protezione per il caso di sua futura
incapacità, scegliendo la persona (anche una trust corporation) che lo rappresenterà e determinando
l’oggetto, generale o speciale, del mandato.
La procura – che per la sua destinazione di garanzia non può essere rinunziata dal
procuratore, se non con apposita notifica alla Corte (sezione 4) – diviene efficace solo con la
registrazione giudiziale, sollecitata, all’eventuale sopravvenire dell’incapacità del mandante, dal
mandatario, previa notifica al rappresentato stesso ed ai suoi più stretti congiunti; la registrazione
rende irrevocabile la procura ed immodificabile il suo contenuto oggettivo (sezione 7).
37
Cfr. A. Venchiarutti, op. cit., p. 1467.
Cfr. G. Lisella, Fondamento e limiti dell’incapacitación nell’ordinamento spagnolo, in Rass. dir. civ., 1985,
p. 778 e p. 788.
39
Cfr. A. Venchiarutti, op. cit., p. 1468.
40
Cfr. G. Lisella, op. ult. cit., p. 778 ss., al quale si rinvia anche per una lettura del combinato disposto degli
artt. 267 e 162 código civil, che rintraccia un generale principio di libero esercizio – da parte dell’incapacitado in
possesso di sufficiente lucidità mentale – dei diritti della personalità.
38
Persiste il potere giudiziario di vigilanza, che potrà manifestarsi attraverso istruzioni
gestionali, esame di rendiconti, sino alla revoca del procuratore «unsuitable».
Chi, nella dottrina italiana, ha soffermato la sua attenzione su questo istituto –
nell’evidenziarne il significato culturale connesso al «ritorno della volontà, in forza del quale
l’autonomia privata si sostituisce alle istituzioni» – ne ha, tuttavia, denunziato qualche limite, per la
natura esclusivamente patrimoniale dell’oggetto di procura e per l’assenza di verifiche circa lo stato
d’incapacità del mandante41.
L’originalità della riforma che ha coinvolto, nel corso degli anni novanta, il sistema di
protezione del sofferente psichico nel Québec e la particolare confluenza di elementi di civil law e
di common law che caratterizza gli ordinamenti del Canada francese hanno suscitato la curiosità di
alcuni studiosi italiani42 e giustificano qui una rapida escursione fuori dal continente europeo.
Il sistema protettivo disegnato dal codice civile del Québec, mentre mostra delle coordinate
di fondo abbastanza tradizionali – essendo previsti un modello di rappresentanza generale per
l’incapace totale e permanente (curatelle ex art. 281), uno di rappresentanza settoriale per l’infermo
parziale o temporaneo (tutelle ex art. 285) e uno di mera assistenza per la necessità di atti specifici
(conseiller au majeur ex art. 291) – ha registrato un’innovazione significativa per effetto della legge
del 15 aprile 1990, che ha istituito gli uffici del curateur public.
I nuovi artt. 2166 ss. code civil – nel disciplinare il mandat donné en prévision de
l’inaptitude du mandant – perseguono la stessa filosofia del durable power of attorney, ma
introducono correttivi di rilievo: prescrivendo al mandatario di accompagnare la domanda di
omologazione del mandato con una perizia medica e psicosociale idonea ad attestare le condizioni
cliniche del mandante, il quale ultimo dovrà comunque essere esaminato dal giudice al medesimo
fine; attribuendo al curatore pubblico – autorità di nomina governativa – poteri di vigilanza,
istruttoria ed impulso, al fine di compensare la gestione privatistica; estendendo alla cura della
persona l’àmbito possibile della procura, che può ospitare anche il c.d. testamento biologico;
prevedendo il concorso di un regime di protezione legale per il caso di insufficienza di quello
convenzionale; approntando un sistema pubblicitario a mezzo dell’apposito registro dei mandati
tenuto dal curatore pubblico.
La legge di modifica delle disposizioni sulle funzioni notarili, entrata in vigore il 13 maggio
1999, consente oggi di presentare la domanda di omologazione del mandat ad un notaio accreditato,
il quale acquisirà la perizia ed interrogherà il mandante in vece del giudice, a questo dovendo egli
trasmettere gli atti soltanto in caso di contestazioni.
Potrà darsi, in tal modo, l’ipotesi di un regime di protezione predisposto dall’interessato ed
in grado di operare a sua tutela, al sopravvenire dell’incapacità, senza alcuna mediazione
giudiziaria: si profila quell’ipotesi di «degiurisdizionalizzazione» dei sistemi protettivi salutata con
qualche enfasi da chi auspica in materia «un nuovo ruolo del notaio»43.
3. Le linee-guida della riforma italiana nel contesto europeo: flessibilità e
proporzionalità quali cardini del nuovo istituto dell’«amministrazione di sostegno» e della
rivisitazione delle figure tradizionali dell’incapacità dichiarata; emarginazione del principio
di sussidiarietà.
La rassegna, necessariamente sommaria, dei percorsi evolutivi rintracciabili nei principali
sistemi europei di protezione civilistica del disabile mentale consente un’intuitiva intelligenza della
riforma italiana del 2004.
Cfr. E. Calò, «Enduring Powers of Attorney»: il mandato come alternativa all’interdizione, in Notariato,
1999, p. 385 s.
42
Cfr., in particolare, E. Calò - L. Iapichino, Appunti sulla disciplina nel Québec del mandato in previsione
della propria incapacità, in Dir. fam. pers., 1999, p. 969 ss.
43
Cfr. E. Calò, Mandat en prévision de l’inaptitude: un messaggio dal Québec, cit., p. 57 ss.
41
L’istituto dell’«amministrazione di sostegno», opportunamente introdotto nel corpo del
codice civile44, appare ispirato ai modelli della Sachwalterschaft e della Betreuung, restando
affidata al giudice tutelare l’individuazione, nel decreto che nomina l’amministratore, «della durata
dell’incarico, che può essere anche a tempo indeterminato» (art. 405, comma quinto, c.c. novellato,
n. 2), «degli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del
beneficiario» (n. 3) e «degli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza
dell’amministratore di sostegno» (n. 4).
Dagli istituti dell’area germanica l’amministrazione di sostegno mutua, quindi, le
caratteristiche di «flessibilità e proporzionalità»45, conformi al principio, autorevolmente enunciato,
secondo il quale «la persona ha diritto di partecipare alla vita di relazione nella misura in cui essa è
idonea a farlo»46.
Tale canone – che risuona, con tutta evidenza, nell’«articolo manifesto» di apertura della
legge n. 647 – ispira anche la profonda rivisitazione degli istituti tradizionali dell’incapacità
dichiarata, i quali vengono permeati di «souplesse», ad imitazione dei modelli francese e spagnolo,
ove detti istituti pure permangono nel sistema riformato.
La norma chiave di questa trasformazione è nell’art. 427 c.c., nuovo primo comma, che
consente al giudice dell’interdizione di legittimare l’interdetto a compiere «taluni atti di ordinaria
amministrazione» da solo o con la mera assistenza del tutore nonché al giudice dell’inabilitazione di
permettere all’inabilitato il compimento di «taluni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione» senza
assistenza del curatore.
Meno profonda è la penetrazione dei modelli ispirati all’autodeterminazione.
Il nuovo art. 408 c.c., al primo comma, prevede che lo stesso interessato, «mediante atto
pubblico o scrittura privata autenticata», possa designare la persona dell’amministratore di sostegno
– come quella del tutore e del curatore (nuovo terzo comma dell’art. 424 c.c.) – «in previsione della
propria eventuale futura incapacità» e stabilisce che il giudice tutelare possa disattendere quella
volontà solo «in presenza di gravi motivi».
La disposizione – «introdotta all’ultima ora, su iniziativa del consiglio nazionale del
notariato»48 – non rappresenta quella «rivoluzione copernicana» che un Autore49 ha ritenuto di
scorgere in nome dell’auspicata «svolta dogmatica, ma anche ideologica» costruita attorno al
principio di autodeterminazione.
Essa, infatti, non contempla il vero e proprio mandato in previsione dell’incapacità; non
consente, cioè, al designante di predefinire i contenuti della gestione che l’amministratore porrà in
essere, i quali sono rimessi in esclusiva alla decisione del giudice tutelare50.
La timidezza della riforma su questo versante ha lasciato perplessa parte della dottrina, la
quale – sul rilievo che la Convenzione dell’Aja in materia di protezione internazionale degli adulti
del 13 gennaio 2000 ammette il mandato per il caso d’incapacità e ne affida la disciplina positiva
44
Alla «battaglia terribile» per collocare il nuovo istituto dentro il codice, piuttosto che in una legge speciale,
accenna P. Cendon, La tutela civilistica dell’infermo di mente, cit., p. 30 s.
45
La diade è illustrata da G. Ferrando, Protezione dei soggetti deboli e misure di sostegno, in La riforma
dell’interdizione e dell’inabilitazione, cit., p. 129 s.
46
Così C. M. Bianca, op. cit., p. 30.
47
L’art. 1, nell’assegnare alla legge «la finalità di tutelare […] le persone prive in tutto o in parte di autonomia
nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente»,
sottolinea, attraverso l’inciso «con la minore limitazione possibile della capacità di agire», la filosofia di
contemperamento tra protezione e libertà.
48
Così L. Milone, Il disegno di legge n. 2189 sull’amministratore di sostegno, in La riforma dell’interdizione e
dell’inabilitazione, cit., p. 108. Per l’insistenza degli ambienti notarili sulla centralità del «diritto
all’autodeterminazione», cfr. C. Priore, Presentazione, in La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, cit., p. 17.
49
E. Calò, L’implosione degli istituti di protezione degli incapaci, in Corr. giur., 2002, p. 779 s.
50
Cfr. S. Patti, Introduzione, cit., p. 22.
alla legge nazionale di residenza51 – ha denunziato il rischio che, quando il patto interstatuale sarà a
regime, possano diffondersi fenomeni di shopping della normativa più liberale52.
Hanno sicuramente pesato, nell’indurre alla prudenza il nostro riformatore, considerazioni
attinenti ai rischi di abuso dello strumento negoziale, al pericolo che – è stato efficacemente detto –
«la concessione di una procura da parte di una persona, che l’invalidità o l’età avanzata rende
spesso più fragile e sola, possa consegnarla in toto nelle mani di chi non merita la fiducia che è stata
riposta in lui»53; pericolo amplificato dall’oggettiva difficoltà degli accertamenti di capacità
naturale in sede notarile54, pure indispensabili al momento del rilascio di una procura di tale
incidenza prospettica.
Ne risulta, comunque, posta ai margini quella logica di sussidiarietà del pubblico intervento
che permea – come s’è visto – molti sistemi riformati di protezione degli infermi di mente.
Al di fuori di questo specifico tema, l’influenza delle riforme succedutesi in àmbito europeo
è stata – si è detto – ampia ed intensa.
Del resto, il progetto d’innovazione normativa, oggi largamente recepito nella legge n. 6,
risale proprio al periodo nel quale il continente conobbe il maggior fervore riformistico,
collocandosi la «bozza Cendon» del 1987 nel decennio che ha visto mutare radicalmente le
impostazioni degli ordinamenti spagnolo, austriaco e tedesco.
E, senza dubbio, l’insoddisfazione manifestata nei confronti della novella italiana da una
parte degli osservatori nasce da questo riflesso: una riforma, perfettamente coerente alla tendenza
culturale subito tradottasi in norme in tutta Europa, da noi prende vigore in differita, con un ritardo
di vent’anni. Segnalando la «caratteristica anomala» del caso italiano: ad un’audace innovazione sul
piano pubblicistico – con il deciso abbandono del paradigma asilare e custodialistico operato dalla
riforma basagliana del 1978 – non è corrisposta, a differenza di quanto accadeva in quegli anni
negli altri ordinamenti europei, la rivisitazione dello statuto civilistico dell’infermo di mente,
rimasto agganciato alle logiche emarginanti che ispiravano la vecchia legge manicomialista n. 36
del 1904.
Da questo angolo visuale, si è parlato in dottrina, a proposito della legge n. 180, di una
«riforma dimidiata», ma anche di una «feconda tensione dinamica» – resa evidente
dall’abrogazione dell’art. 420 c.c., equivalente italiano dell’«equazione Esquirol» – tensione
destinata, prima o poi, a sfociare in una composizione riformistica55.
Tale composizione ha tardato oltre misura, malgrado la progressiva diffusione della
«scoperta»56 dei temi civilistici imposti dalla riforma anti-istituzionale e l’ineludibilità sempre più
evidente della socialità giuridica di chi veniva affrancato dal destino di consumare «tutto il tempo in
una stanza»57.
Non era pensabile, tuttavia, compensare il ritardo nell’innovazione, semplicemente, con una
sua maggiore e scomposta radicalità.
Cfr. P. Pasqualis, L’amministrazione di sostegno e la Convenzione dell’Aja in materia di protezione
internazionale degli adulti, in La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, cit., p. 97 ss.
52
Cfr. S. Patti, Conclusioni e proposte di riforma, cit., p. 160.
53
Così G. Ferrando, op. cit., p. 141.
54
«Al notaio non può essere certo richiesto dall’ordinamento di verificare in modo tecnico ed inequivocabile
l’esistenza o meno della capacità di intendere e di volere del soggetto; egli è privo delle necessarie cognizioni in materia
di scienze mediche e psicologiche per effettuare tale accertamento; e pertanto […] deve affidarsi al suo “intuito umanogiuridico”»: così A. Pischetola, L’accertamento da parte del notaio della capacità di intendere e di volere, in Riv.
notariato, 2003, p. 397 s.
55
Cfr. R. Pescara, op. cit., p. 758 s.
L’abrogazione dell’art. 420 – che legittimava l’automatismo tra «internamento definitivo in manicomio»,
«nomina del tutore provvisorio» e «istanza d’interdizione» – costituisce, com’è noto, l’unica innovazione apportata
dalla legge n. 180 del 1978 nel corpo del codice civile: sul valore di «simbolo» che tale abrogazione ha rivestito, nel
rappresentare la reciproca autonomia tra interventi terapeutici e giudizi civilistici di capacità d’agire, cfr. anche G.
Ferrando, op. cit., p. 127 s.
56
P. Cendon, Il diritto scopre la follìa, in Dir. fam. pers., 1987, p. 819 ss.
57
P. Cendon, Non tutto il tempo in una stanza, in Riv. crit. dir. priv., 1986, p. 247 ss.
51
4. La sopravvivenza dell’interdizione e dell’inabilitazione quale fattore strategico di
«de-stigmatizzazione» e di «secolarizzazione» della diversità psichica.
I giudizi che si leggono nelle civilistica italiana, da vent’anni almeno a questa parte, intorno
ai tradizionali istituti di protezione stabilizzata – e, in particolare, in ordine all’interdizione – sono
di inusuale severità. Tutti ampiamente meritati, peraltro.
Così Cesare Massimo Bianca denunziava, a metà degli anni ottanta del secolo passato,
l’inadeguatezza di una «risposta in termini di totale incapacità», che «va ben oltre la stretta esigenza
di protezione del soggetto condannandolo ad una permanente condizione di inferiorità giuridica che
sanziona ed anzi aggrava la sua condizione di emarginazione sociale»58.
E come dimenticare le parole appassionate con le quali Pietro Perlingieri, in quegli stessi
anni, scolpiva la dissonanza, rispetto ad una «filosofia costituzionale» incentrata sullo «status
personae» e sullo «status civitatis», di «una forma giuridica di incapacità legale tendente in linea di
principio alla protezione della persona ma in realtà alla determinazione di tutta una serie stereotipata
di limitazioni, divieti ed esclusioni che nel caso concreto, cioè tenuto conto del grado e della qualità
del deficit psichico, non si giustificano e finiscono con il rappresentare camicie di forza del tutto
sproporzionate…»59?
L’aperta ostilità nei confronti di quegli istituti ha travalicato la letteratura giuridica, per
comunicarsi anche agli ambienti della psichiatria forense, dove si sono censurati gli effetti di
«stabilizzazione del “paziente” in una posizione regredita» derivanti dalla «trappola giuridica»,
dalla «spirale perversa» dei meccanismi emarginanti indotti dall’incapacitazione60.
Ma – occorre chiedersi – oggi la formale cancellazione dal tessuto codicistico dei «démoni
dell’interdizione e dell’inabilitazione» sarebbe stata consona agli intenti riformistici?
Non si tratta qui della considerazione tattica per la quale «è prevalso il giusto desiderio di
raggiungere un primo risultato […] che se ci spostiamo anche sul terreno dell’interdizione e
dell’inabilitazione non dico ci occorrono altri vent’anni, ma almeno tre o quattro»61.
E’ utile interrogarsi più a fondo, circa il valore strategico del mantenimento di quegli istituti
tradizionali, che – questa tesi si intende sostenere – è connesso all’obiettivo centrale della riforma,
definibile nei termini di uno sforzo di de-stigmatizzazione di massa o, ricorrendo all’efficace
espressione utilizzata da Carlo Castronovo a proposito della legge Basaglia, di «secolarizzazione
intramondana» del microcosmo della diversità psichica62.
La novella del 2004 non ha inteso seguire la traccia di quegli ordinamenti che hanno scelto
di porre in attrito il recupero della «soggettività possibile» del disabile psichico con le esigenze di
tutela della certezza del traffico giuridico.
Il nuovo art. 409 c.c., comma primo63, letto a contrario, non lascia dubbi
sull’incapacitazione speciale del beneficiario per la sfera di attività coperta dall’intervento vicario o
58
C. M. Bianca, op. cit., p. 27.
P. Perlingieri, Gli istituti di protezione e di promozione dell’«infermo di mente». A proposito
dell’andicappato psichico permanente, in Rass. dir. civ., 1985, p. 51 s.
60
Così G. Massidda, Interdizione ed inabilitazione per infermità di mente: da istituti di protezione a «trappole
giuridiche» per l’handicappato psichico, in Riv. it. med. leg., 1999, p. 156.
61
Così G. Zancan, relatore della legge sull’amministrazione di sostegno in Commissione Giustizia del Senato,
nel suo intervento in La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, cit., p. 3.
62
C. Castronovo, Secolarizzazione e diritto alla follìa, in Vita e pensiero, 1980, 2, p. 12 ss. Per una
rinnovazione della «cultura debolologica» costruita attorno ad un programma di riduzione delle distanze fra le
«secolarità», cfr. P. Cendon, I diritti delle persone deboli, in P. Cendon (a cura di), Persona e danno, III, Milano, 2004,
p. 2113 s.
63
A tenore del quale «il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la
rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno». Per S. Patti, Conclusioni e proposte
di riforma, cit., p. 159, «è pericoloso parlare di capacità residuale, semmai si deve parlare di un limite della capacità –
che è generale – per singoli atti»; torna utile, in proposito, la nozione di «incapacità di agire speciale», che, segnalando
un’eccezione al regime di «capacità di agire generale», impone all’interprete del caso concreto un’esegesi restrittiva:
cfr. A. Falzea, voce Capacità (teoria generale), in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 25 ss.
59
assistenziale dell’amministratore di sostegno; incapacitazione sanzionata dall’annullabilità degli
«atti compiuti personalmente dal beneficiario» in quella sfera riservata (art. 412 novellato, comma
secondo).
L’istituto si allontana sensibilmente, quindi, da strumenti non ablativi ex ante come la
sauvegarde de justice, che – si è visto – pongono non pochi problemi sotto il profilo della tutela del
terzo contraente.
Per altro verso, l’art. 405 riformato, commi settimo ed ottavo, appresta un sistema
pubblicitario rivolto alla generalità – mediante annotazione del decreto che apre l’amministrazione
di sostegno in un apposito registro di cancelleria (artt. 47 e 49 bis disp. att. c.c. novellate) e,
soprattutto, in margine all’atto di nascita del beneficiario – sacrificando alla certezza conoscitiva dei
terzi potenziali contraenti le esigenze di riservatezza del disabile, ritenute invece prevalenti – lo si è
visto – nei regimi di Betreuung e di Sachwalterschaft, oltre che nella stessa sauvegarde de justice.
L’opzione in favore di un modello che, per quanto duttile nei profili contenutistici, si risolve
pur sempre in effetti incapacitanti a pubblicità generale è stata da più parti criticata nel corso dei
lavori preparatori, denunziandosi il rischio di affiancare ad interdizione ed inabilitazione «una terza
forma di incapacità d’agire»64 e giudicandosi «inammissibile che tutti coloro i quali si giovano
dell’amministrazione di sostegno siano marchiati come incapaci»65.
Giusto qui si colloca la scommessa che anima il cuore della riforma.
La latitudine estrema dei presupposti che, ai sensi del nuovo art. 404 c.c., legittimano
l’attivazione del sostegno gestorio – l’«impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai
propri interessi», «per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica» –
tende a disegnare il nuovo istituto nei termini di una figura «di massa», «globale»66, come tale
inidonea a recare con sé un significativo «tasso di stigma».
«Infermi di mente innanzi tutto, ma anche […] anziani, portatori di handicap fisici,
alcoolisti, lungodegenti, carcerati, internati in manicomio giudiziario, tossicodipendenti…»67.
L’ampiezza dello spettro dei beneficiari – che tanti dubbi ha sollevato68 – è parte essenziale
di un progetto ambizioso: «come può essere stigmatizzante un provvedimento che riguarda così
tante persone?»69.
Il mantenimento degli istituti classici dell’incapacità dichiarata appare del tutto funzionale
rispetto a questa strategia di de-stigmatizzazione della sofferenza psichica: le vecchie figure
continueranno ad accentrare la tradizionale «gogna psichiatrica», preservandone il nuovo istituto
«di massa» e liberandolo da ogni ipoteca culturale, affinché possa condurre a termine la
«secolarizzazione» iniziata nel 1978 e, finalmente, restituire in pieno il disabile mentale alla società.
Il ritorno alla vita di relazione deve avvenire in condizioni di sicurezza (anche) civilistica
della collettività, va preservato dal rigetto che il corpo sociale esprimerebbe ove rimanesse
danneggiato in quel bene essenziale per le economie aperte che riposa nella fiducia, nella certezza
dei rapporti.
Così E. V. Napoli, Una terza forma d’incapacità d’agire? Note a margine di una proposta di legge
sull’amministratore di sostegno, in Giust. civ., 2002, II, p. 382 s.; Id., Il sistema francese dell’incapacità d’agire, cit., p.
96, con particolare riferimento alle «norme sulla pubblicità».
65
Così C. M. Bianca, L’autonomia privata: strumenti di esplicazione e limiti, in La riforma dell’interdizione e
dell’inabilitazione, cit., p. 120 s., il quale proponeva di non pubblicizzare, almeno, il decreto che avesse conferito
all’amministratore di sostegno meri compiti di assistenza. Contrario alle registrazioni anche S. Patti, Introduzione, cit.,
p. 26.
66
Secondo gli auspìci di F. D’Innella, Interdizione e inabilitazione: loro attuale significato e prospettive di
riforma per una protezione globale dell’incapace, in Giur. it., 1987, I, 1, c. 1124, il quale giudicava «un altissimo segno
di civiltà» un sistema di protezione «allargato» agli anziani, agli invalidi, ai vagabondi.
67
Elenca P. Cendon, Infermi di mente e altri «disabili», cit., p. 625.
68
Cfr. G. Lisella, Infermità fisica o mentale e codice civile. Note su una proposta di riforma, in Rass. dir. civ.,
1989, p. 58 ss., nonché, per la particolare vis, F. Callegari, L’uguaglianza coatta del «diverso»: considerazioni critiche
sul progetto Cendon, in Dir. fam. pers., 1992, p. 823 ss.; v’è forse un’eco della polemica, diffusa nella letteratura
francese, circa l’«impérialisme protecteur» che discenderebbe dall’«istituto di massa» della sauvegarde de justice (cfr.
supra, § 2).
69
Così P. Cendon, La tutela civilistica dell’infermo di mente, cit., p. 33.
64
Questa considerazione palesa il maggior limite della prassi di supplenza – pur
comprensibile, anzi meritoria, nel vuoto normativo e, per questo, molto apprezzata da una parte
della dottrina70 – attraverso la quale alcuni uffici del giudice tutelare avevano tentato, in passato, di
introdurre l’amministrazione di sostegno per via pretoria, al di fuori di un impianto sistematico che
accompagnasse l’agire giuridico del disabile71.
Lo strumento prescelto dalla riforma – il paradigma dell’incapacitazione speciale, flessibile,
assistita da pubblicità generale – assicura contro i rischi di regresso da rigetto, consente una
risocializzazione ordinata della diversità psichica e, attraverso la tecnica dell’«istituto di massa»,
scioglie nella moltitudine dei beneficiari lo stigma che oggi grava la malattia mentale, destinato a
concentrarsi nelle figure tradizionali dell’incapacità legale.
Sulla sorte che attende queste ultime, le previsioni sono unanimi.
Dalla constatazione che la sfera di attività coperta dall’amministrazione di sostegno può
estendersi da un minimo – l’assistenza uno actu – sino ad un massimo – la sostituzione a tempo
indeterminato per la generalità della vita giuridica del beneficiario – si trae, anche da chi ha
avversato la sopravvivenza dell’interdizione e dell’inabilitazione, una prognosi definitiva: i vecchi
istituti non riusciranno a sottrarsi alla «selezione della specie (giuridica)»72, andranno incontro ad
una «disapplicazione progressiva»73, scivoleranno verso un’inevitabile «eutanasia»74.
Nulla impedisce, allora, che essi svolgano nel frattempo, e finché sarà necessario, l’utile
ruolo sociale di contenitori dello stigma psichiatrico.
Del resto, l’addizione teleologica che, nel corpo riformato dell’art. 414 c.c., condiziona la
pronunzia d’interdizione alla necessità di adeguata protezione dell’infermo, introduce nel sistema
un anticorpo nei confronti del più severo istituto tradizionale dell’incapacità dichiarata, la cui
necessità ai fini di salvaguardia appare strutturalmente esclusa dalla possibile estensione massima
del regime di sostegno, che può – per elezione del giudice tutelare – abbracciare anche gli specifici
«effetti, limitazioni o decadenze previsti da disposizioni di legge per l’interdetto» (nuovo art. 411,
ultimo comma, c.c.).
In altri termini, anche nelle «situazioni più sfortunate e disperate»75 si potrà proteggere
senza interdire e, quindi – alla luce del nuovo testo dell’art. 414 c.c. – si dovrà proteggere senza
interdire.
Il timore manifestato da qualche commentatore in ordine alla «circolarità» che verrebbe a
delinearsi tra i vecchi istituti dell’incapacità dichiarata e la nuova figura dell’amministrazione di
Ad esempio, E. V. Napoli, Una terza forma d’incapacità d’agire?, cit., p. 383, suggeriva «la sussunzione in
legge della detta prassi giurisprudenziale»; R. Pescara, op. cit., p. 778, vi scorgeva «un’alternativa concreta
all’interdizione ed all’inabilitazione».
71
Ci si riferisce alla prassi che, facendo leva su un’applicazione analogica dell’art. 35, comma sesto, legge
833/1978 (già art. 3, comma sesto, legge 180/1978) idonea a proiettare la norma oltre i confini del trattamento sanitario
obbligatorio, configurava un’«amministrazione sostitutiva» nell’interesse di disabili per i quali si riteneva eccessiva od
impraticabile la via dell’interdizione ed inutile quella dell’inabilitazione; si trattava, per lo più, di anziani non
autosufficienti per i quali occorreva garantire la piccola gestione reddituale, come nei casi di Pret. Pinerolo, giud. tut.,
decreto 14 dicembre 1996, e Pret. Pinerolo, giud. tut., decreto 16 dicembre 1996, entrambi in Dir. fam. pers., 1997, p.
1483 ss., con nota di A. Venchiarutti, Protezione del disabile e interventi del giudice tutelare, sostanzialmente
favorevole, pur nella considerazione che «causa la mancanza di una disciplina organica, i limiti dell’intervento attuabile
ai sensi dell’art. 35, co. 6, l. 833/78 siano più d’uno» (p. 1491 s.). Per l’analoga prassi del giudice tutelare milanese, cfr.
Pret. Milano, giud. tut., decreto 18 giugno 1985, in Nuova giur. civ. comm., 1985, I, p. 622, con osservazioni di A.
Venchiarutti, e, in generale, E. Ceccarelli, Gestione patrimoniale del malato di mente e interventi del giudice tutelare,
in Quest. giust., 1986, p. 598 ss. Cfr., sempre nel medesimo senso, Pret. Putignano, giud. tut., decreto 9 maggio 1989, in
Foro it., 1991, I, c. 944 ss. (ove pure Trib. Bari decreto 27 giugno 1989, che annulla il primo perché incidente, al di
fuori delle ipotesi di legge, sulla capacità d’agire del maggiorenne); Pret. Torino, giud. tut., decreto 11 novembre 1997,
in Giur. it., 1998, p. 1846 ss., con nota parzialmente favorevole di E. Vullo, Nuove prospettive per la tutela processuale
dell’incapace naturale.
72
Così E. Calò, Mandat en prévision de l’inaptitude: un messaggio dal Québec, cit., p. 61.
73
Così L. Milone, op. cit., p. 113.
74
Così A. Mascheroni, in La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, cit., p. 163.
75
Per le quali P. Cendon, Infermi di mente e altri «disabili», cit., p. 625, riconosce una residua funzione al
«vecchio apparato di risposte».
70
sostegno76, sembra, quindi, potersi dissolvere: non di un circuito trattasi – all’interno del quale il
disabile verrebbe spostato da casella a casella – ma di una linea retta ed unidirezionale, che conduce
al definitivo «tramonto»77 degli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione78.
5. I silenzi della novella: la responsabilità aquiliana dell’infermo di mente.
Questi, dunque, i temi centrali della riforma del 2004:
«proiezione terapeutica» della vita giuridica del malato di mente79, promozione della sua
«soggettività possibile», del suo «lato attivo»80, in conformità all’ipotesi-guida della
moderna psichiatria sociale; necessità, quindi, di un approccio «open door» alla sofferenza
psichica ed opportunità di un trattamento quanto più possibile personalizzato81;
ii)
effettività della risocializzazione del disabile; liberazione dai costi stigmatizzanti della
protezione tradizionale e dall’«effetto ingessamento» che può derivare all’agire giuridico
dell’infermo da un regime di tutela mal tarato82;
iii)
necessità che questo vasto processo di recupero alla società segua un percorso ordinato,
non determini nella comunità reazioni di rifiuto che potrebbero discendere da un sistema
di protezione eccessivo ed ingiustificato.
L’opzione della novella per un modulo elastico di incapacitazione speciale assistito – a
tutela della sicurezza negoziale dei terzi – da pubblicità generale può essere senz’altro approvata
nella prospettiva strategica di un reingresso morbido, senza strappi, dei disabili psichici nella vita
giuridica83.
Alcune autorevoli riserve dottrinali, mosse dalla constatazione che «lo schema entro cui si
muove la riforma è, dunque, sempre quello della contrapposizione tra capacità e incapacità»84,
richiamano alla memoria lo scetticismo che i movimenti antipsichiatrici esprimevano, negli anni
settanta, verso l’impianto basagliano, accusato di continuismo con l’esperienza manicomiale85.
i)
76
Per questo rischio, cfr. L. Milone, op. cit., p. 114.
Fotografato da E. Calò, L’implosione degli istituti di protezione degli incapaci, cit., p. 780.
78
Non sembra condivisibile, quindi, la prognosi infausta di E. Amato, Interdizione, inabilitazione,
amministrazione di sostegno. Incertezze legislative, itinerari giurisprudenziali e proposte della dottrina, in Riv. crit. dir.
priv., 1993, p. 136 ss., la quale nega all’amministrazione di sostegno «un grande futuro» come alternativa agli istituti
tradizionali d’incapacitazione, osservando, tra l’altro – in consonanza, bisogna riconoscerlo, con il disposto del nuovo
art. 413, comma quarto, c.c. – che il giudice «quando questa si rivelasse una misura inefficace, dovrebbe ricorrere
all’inabilitazione e, nei casi più gravi, all’interdizione»; in realtà, l’amministrazione di sostegno è una figura a più facce,
in grado, alla bisogna, di operare proprio come un’inabilitazione od un’interdizione, risparmiando tuttavia al disabile lo
stigma e la rigidità normativa che accompagnano questi istituti della tradizione.
79
Secondo la nota impostazione di P. Zatti, Infermità di mente e diritti fondamentali della persona, in Pol. dir.,
1986, p. 425 ss., che sollecita il passaggio dalla mera «proiezione difensiva» ad una «proiezione positiva» dei diritti del
sofferente psichico.
80
«Proprio questo, mi pare, è il significato ultimo di una legge come la n. 180: perché altrimenti aver mandato
qualcuno fuori dal manicomio, in mezzo ai suoi simili?»: P. Cendon, Il diritto scopre la follìa, cit., p. 824.
81
Cfr. R. Pescara, op. cit., p. 757.
82
La rimozione dell’«effetto ingessamento» – dei fattori di emarginazione del disabile dal traffico giuridico –
era oggetto di preoccupazione costante nella «bozza Cendon»: cfr. P. Cendon, Infermi di mente e altri «disabili», cit., p.
626, p. 639, p. 643, p. 647, p. 651.
83
Si pensi alla forte ostilità dei pratici francesi, in particolare dei notai, nei confronti della sauvegarde de
justice, per l’incertezza che quel regime immette nel sistema delle relazioni negoziali: cfr., anche per riferimenti
bibliografici, G. Autorino Stanzione, op. cit., p. 538 e nota 48.
84
Così G. Ferrando, op. cit., p. 140.
85
«Esprimersi […] a favore dell’introduzione di nuove forme di protezione morbida, significa sconfessare in
radice gli stessi “miti antipsichiatrici”, gli atteggiamenti, cioè, di ostilità verso qualunque presidio istituzionale, le
demonizzazioni rispetto a ogni copertura tutoria»: così, efficacemente, P. Cendon, La follìa si addice ai convegni, cit.,
p. 739.
77
Tutti sanno com’è andata a finire e quanti sforzi oggi è necessario dispiegare per difendere
la legge del ’78 da reiterate proposte regressive86.
Piuttosto, è opportuno interrogarsi sui silenzi della riforma codicistica in ordine ad alcuni
profili dello statuto civilistico dell’infermo di mente, sui quali pure la nostra dottrina riflette da
lungo tempo e per i quali la stessa «bozza Cendon» proponeva sensibili innovazioni.
Innanzitutto, la questione della responsabilità aquiliana del malato mentale.
La soluzione approntata nel 1942 a mezzo degli artt. 2046 e 2047 c.c. 87 – irresponsabilità
dell’incapace naturale, responsabilità del sorvegliante, sussidiarietà di un obbligo indennitario
dell’incapace promanante dall’equità giudiziale – è stata ritenuta «anacronistica», quantomeno
laddove sancisce la regola primaria dell’irresponsabilità dell’autore del fatto88.
Le indicazioni della psichiatria moderna «circa i sicuri riflessi antiterapeutici di qualsiasi
forma di deresponsabilizzazione – sociale, morale e giuridica – del sofferente psichico» avevano
consigliato di proporre un’inversione netta, ponendo a carico dell’infermo danneggiante, in via
diretta e non sussidiaria, in eventuale concorso in solido con il sorvegliante, le conseguenze
risarcitorie del suo fatto illecito, salvo il potere del giudice «in considerazione dell’età, della gravità
dello stato di incapacità e delle condizioni economiche delle parti» di «moderare l’ammontare del
risarcimento»89.
Evidente la forza attrattiva esercitata sul punto dalla discussa esperienza francese, che ha
conosciuto con la legge n. 68-5 del 3 gennaio 1968 la «rivoluzione»90 dal tradizionale regime di
irresponsabilità civile dell’infermo di mente – pretoriamente fondato ex artt. 1382 ss. code civ. sul
calco negativo della sequenza coscienza-imputabilità-faute-responsabilità – all’opposta
equiparazione, per i fini aquiliani, dell’«aliéné» all’«homme sensé» (art. 489-2 code civ.).
Un’esperienza legata, certo, ad indirizzi generali del sistema della responsabilità
extracontrattuale, proteso verso impostazioni oggettivistiche, focalizzato sempre più sulla vittima
dell’illecito91; connessa, quindi, in buona parte, alla tipicità nazionale dell’evoluzione che i singoli
ordinamenti registrano nella grande area aquiliana92, com’è dimostrato dal permanere dell’immunità
all’interno di codici che pure sono stati profondamente innovati sul terreno dello statuto civilistico
dell’infermo di mente93.
Da noi, non sono rimaste senza conseguenze, probabilmente funzionando da freno per ogni
ipotesi riformistica, alcune importanti posizioni dottrinali, che – sulla scorta di una tradizionale
Per l’esame di alcuni disegni di legge presentati nel corso della XIV legislatura, sia consentito il rinvio a E.
Carbone, Habeas corpus e sofferenza psichica: riflessioni di un giudice tutelare, di prossima pubblicazione in Dir. fam.
pers.
87
Cfr. la sintetica esposizione di A. Venchiarutti, Profili della salute mentale nel diritto privato, in Dir. fam.
pers., 1998, p. 1262 s.
88
Il giudizio è di P. Cendon, La tutela civilistica dell’infermo di mente, cit., p. 39.
89
Cfr. P. Cendon, Infermi di mente e altri «disabili», cit., p. 650 s., a commento degli artt. 41 e 42 della bozza
triestina.
90
G. Autorino Stanzione, Sulla responsabilità dell’infermo di mente nell’esperienza francese, in Rass. dir. civ.,
1991, p. 360 ss., evidenzia, peraltro, il carattere relativo dell’innovazione, documentando come ben prima del 1968 la
giurisprudenza avesse eroso il principio d’irresponsabilità, restringendo la nozione di «absence de raison» fino a farla
coincidere con la sola «folie complete» e pervenendo, con il noto arrêt Trichard del 1964, a responsabilizzare ex art.
1384 code civ. il disabile psichico quale «gardien» dell’oggetto causativo del danno.
91
Lo nota R. Pescara, op. cit., p. 765.
92
A. Venchiarutti, La responsabilità civile degli infermi di mente in Francia, in Riv. crit. dir. priv., 1986, p.
507, evidenzia, in particolare, l’influenza esercitata nell’ordinamento transalpino dalla tesi dottrinale che, già a partire
dagli anni trenta, aveva proposto un accertamento «in abstracto» della faute civile, prodromo della configurazione di
una colpa aquiliana puramente «objective».
93
Per l’irresponsabilità civile dell’infermo di mente e l’esclusiva responsabilizzazione del sorvegliante
nell’ordinamento austriaco, ex §§ 1309 ss. ABGB, cfr. P. M. Vecchi, op. cit., p. 42; per l’irresponsabilità del
danneggiante privo di «libera determinazione del volere» nel sistema tedesco, ex § 827 BGB, cfr., da ultimo, G. Cian,
La riforma del BGB in materia di danno immateriale e di imputabilità dell’atto illecito, in Riv. dir. civ., 2003, II, spec.
p. 135 s.
86
impostazione soggettivistica94 – hanno manifestato riserve nei confronti dell’opzione francese95 e
ritenuto sfavorevole per l’incapace già il nostro attuale regime codicistico96.
Resta valida, tuttavia, l’osservazione di fondo per la quale la sopravvivenza di un privilegio
d’immunità in favore dell’infermo di mente costituisce fattore di perpetuazione «di quei
meccanismi ostracistici, stigmatizzanti e di sospettosità che ci sono nei suoi confronti», sicché «la
responsabilità è un prezzo necessario da pagare per l’accettazione sociale»97.
Mentre il recupero di esigenze equitative dovrebbe restare affidato al giudice, a quel suo
«pouvoir de modération», la cui assenza dal testo dell’art. 489-2 code civ. rappresenta il vero
elemento critico, di eccessiva rigidità, dell’innovazione francese98.
In definitiva, se la soluzione disegnata dall’art. 2047 può dirsi non lontana dall’assicurare un
contemperamento razionale degli interessi coinvolti99, l’accoglimento della proposta risalente alla
«bozza Cendon» avrebbe assicurato su questo punto una più lineare conformità del codice alla
filosofia della novella, contribuendo all’integrazione piena dell’infermo di mente nelle relazioni
sociali, senza alcuna rinunzia a margini di considerazione della specifica vicenda individuale.
5.1. L’incapacità naturale.
Un tassello essenziale della riforma progettata negli anni ottanta concerneva la disciplina dei
negozi compiuti in condizioni d’incapacità naturale.
Se ne proponeva una radicale trasformazione che, eliminando dai presupposti di
annullamento ogni richiamo alla «malafede» del contraente capace, agganciasse l’invalidazione al
solo estremo del «grave pregiudizio» per l’incapace.
L’obiettivo era quello di «ottimizzare le condizioni di sicurezza del traffico», rimuovendo
ogni margine di rischio per il contraente che stipuli con l’incapace a condizioni eque e riducendo,
per questa via, un severo fattore di «ingessamento» delle potenzialità negoziali dell’infermo100.
E, di recente, si è ribadito – sempre a proposito della disciplina dell’incapacità naturale quale
emerge dalla prevalente lettura dell’art. 428 c.c. – che «una protezione eccessiva può […] costituire
Cfr. A. Falzea, op. cit., p. 43, per la nitida affermazione che «la legge esonera l’incapace dalle conseguenze
dell’atto illecito […] perché non sussiste il presupposto soggettivo minimo della responsabilità che possa consentire di
distinguere l’atto dell’incapace dal comportamento inconsapevole di un essere non umano o da un evento di natura».
95
Si veda G. Autorino Stanzione, op. ult. cit., p. 369, per «l’invito alla prudenza sull’affermazione della
necessaria contropartita della piena responsabilità civile dell’infermo di mente, come prezzo da pagare per la sua
“messa in libertà” nel traffico giuridico» e per le perplessità circa un’operazione che produce l’effetto di «recidere ogni
residuo legame con il “fondamento morale” della colpa nella responsabilità civile». Critico anche C. M. Bianca, La
protezione giuridica del sofferente psichico, cit., p. 36, nota 36.
96
S. Patti, Conclusioni e proposte di riforma, cit., p. 160, ricorda la divergente lettura che lo divise, durante gli
anni ottanta, da Adriano De Cupis, il quale propendeva per la totale immunità dell’incapace, sì da considerare a questi
sfavorevole la previsione dell’obbligo indennitario ex art. 2047 c.c.; «paragonando la norma italiana con quella
francese» – conclude oggi Patti – «ritenevo e ritengo che la norma del codice civile sia una norma di favore» per
l’incapace. Per ripercorrere quel dialogo – evidentemente influenzato da due diverse concezioni del sistema aquiliano
(soggettivistica l’una, oggettivistica l’altra) e, comunque, ricomposto in un comune giudizio favorevole alla soluzione
mediana del codice civile del ’42 – cfr. A. De Cupis, Il favor del diritto civile per gli incapaci, in Riv. dir. civ., 1982, II,
p. 763 ss.; le osservazioni di S. Patti, Ancora sul favor del diritto civile per gli incapaci (e su una innovazione, di segno
opposto, dell’ordinamento francese), ivi, 1983, II, p. 642 ss.; la replica di A. De Cupis, Postilla sul favor del diritto
civile per gli incapaci, ivi, 1984, II, p. 253 ss.
97
Così P. Cendon, La tutela civilistica dell’infermo di mente, cit., p. 40 s.
98
Per le «contrastanti opinioni nella dottrina» generate dalla scomparsa, nel testo finale, del «pouvoir de
modération», previsto invece nel «Projet» di riforma, cfr. G. Autorino Stanzione, op. ult. cit., p. 366 e nota 20. Sul
dibattito parlamentare che sfociò nella soppressione del potere giudiziale di contenimento dell’indennità, v. P. Petrelli,
La responsabilità civile dell’infermo di mente nell’ordinamento francese, in Riv. dir. civ., 1991, I, p. 84.
99
«Una norma equilibrata», secondo S. Patti, Conclusioni e proposte di riforma, cit., p. 160.
100
Cfr. P. Cendon, Infermi di mente e altri «disabili», cit., p. 646 ss., a commento dell’art. 30 della bozza
triestina.
94
un male peggiore di nessuna protezione, in quanto finisce per escludere il soggetto debole da tutta
l’attività giuridica, compresi gli atti diretti a soddisfare i suoi interessi»101.
Invero, l’esegesi costante della nostra giurisprudenza di legittimità, di cesura netta tra i primi
due commi dell’art. 428 c.c., esige il (e si accontenta del) «grave pregiudizio» per l’annullamento
dei soli atti unilaterali (primo comma), mentre si dispone ad annullare i contratti anche in assenza di
danno all’incapace purché risulti «la malafede dell’altro contraente» (secondo comma).
Così lo squilibrio pattizio viene relegato al rango di uno dei possibili elementi rivelatori del
requisito essenziale per l’invalidazione contrattuale, la malafede del contraente capace102; indizio
ritenuto, talora, persino insufficiente a fondare, da solo, il giudizio di malafede103.
La centralità riconosciuta all’elemento soggettivo – a volte colorato dal fine di
approfittamento104 – e la svalutazione dell’elemento materiale del danno all’incapace stornano la
sanzione d’invalidità del contratto dall’obiettivo di protezione del disabile, che essa dovrebbe
perseguire.
Non per caso, i giudici francesi – nell’interpretazione dell’art. 498 code civ. e nella
conseguente irrogazione della sanzione di «nullité relative» all’accordo posto in essere da chi non
fosse in possesso della «santé d’esprit» – attribuiscono, pur nel silenzio della norma, grande rilievo
all’elemento della lesione, in diretta conseguenza della ratio tipica di ogni «nullité de
protection»105.
La psicologizzazione della nostra disciplina dell’incapacità naturale stende, invece, un
cordone sanitario intorno a chi appare privo di capacità e lo emargina del tutto dal traffico giuridico,
anche quando questo avrebbe potuto svolgersi in condizioni d’equità e rispondere in pieno alle
esigenze della persona disabile.
Il silenzio serbato sul punto dalla novella del 2004 ha indotto l’autorevole giudizio per il
quale «in tal modo si manca l’obiettivo del necessario coordinamento tra misure di protezione
preventive (amministrazione di sostegno) e successive (annullamento dei contratti conclusi in stato
di incapacità naturale), le quali invece, in una visione d’insieme, dovrebbero perseguire finalità
omogenee e ispirarsi ad analoghi princìpi»106.
Viene, in effetti, a determinarsi una sensibile divaricazione tra i modelli di protezione c.d.
stabilizzata – che la riforma ha voluto duttili per promuovere l’inclusione sociale dell’infermo di
mente – ed il modello di protezione c.d. occasionale – la cui persistente rigidità produce
conseguenze gravemente emarginanti.
E’ auspicabile, pertanto, che la dottrina ponga di nuovo all’ordine del giorno la tesi –
propugnata con particolare vigore da Francesco Galgano, ma, si è visto, negletta in giurisprudenza –
la quale, riconosciuta nel primo comma dell’art. 428 «una disciplina di genere, comprensiva anche
dei contratti» e nel secondo comma «una disciplina di specie, relativa ai soli contratti», condiziona
l’annullamento del negozio bilaterale (oltre che al requisito speciale della malafede) al presupposto
comune del grave pregiudizio per l’incapace107.
101
Così G. Ferrando, Protezione dei soggetti deboli e misure di sostegno, cit., p. 135.
Indirizzo consolidato: cfr., tra le tante, Cass. 25 luglio 1967 n. 1931, in Giust. civ., 1968, I, p. 83; Cass. 11
febbraio 1978 n. 619 e Cass. 5 dicembre 1978 n. 5723, entrambe in Giur. it., 1981, I, 1, c. 615; Cass. 8 ottobre 1981 n.
5298, in Arch. civ., 1981, p. 968; Cass. 12 luglio 1991 n. 7784, in Dir. fam. pers., 1992, p. 537; Cass. 26 febbraio 1992
n. 2374, in Giust. civ., 1992, I, p. 2098; Cass. 11 settembre 1998 n. 9007, in Giur. it., 1999, p. 1379; Cass. 14 maggio
2003 n. 7403 (C.E.D. della Corte, massima n. 563022).
103
Cfr. Cass. 2 giugno 1998 n. 5402, in Giur. it., 1999, p. 490.
104
Cfr. Cass. 11 marzo 1972 n. 700, in Giur. it., 1973, I, 1, c. 1338.
105
Cfr. G. Autorino Stanzione, La protezione civilistica del disabile per infermità mentale nell’ordinamento
francese, cit., p. 570 s.
106
Così G. Ferrando, op. loc. ultt. citt.
107
Così F. Galgano, Diritto civile e commerciale³, vol. II, tomo I, Padova, 1999, p. 322 ss., cui pure si rinvia
per l’inquadramento dell’incapacità naturale come fattore di alterazione (non della volontà, bensì) della causa negoziale
e, quindi, del sinallagma contrattuale.
102
Questa felice soluzione esegetica consente di recuperare uno spazio di contrattualità
all’incapace naturale, dando certezza di stabilità negoziale a chi, pur consapevole del di lui stato,
tuttavia stipuli a condizioni equilibrate, senza recargli danno alcuno108.
Resta aperta la questione – già dibattuta nell’ordinamento francese109 – se il pregiudizio
rilevante ai fini dell’invalidazione debba essere inteso in termini strettamente oggettivi e
patrimoniali ovvero in un senso più ampio che abbracci la condizione soggettiva ed esistenziale
dell’infermo110.
Il quesito111 non si presta a facili soluzioni, ma non v’è dubbio che un’eccessiva
soggettivizzazione del pregiudizio112 finirebbe per reintrodurre nella relazione contrattuale un alto
tasso di incertezza, così restaurando effetti di emarginazione del disabile dal traffico giuridico 113.
5.2. Gli atti personalissimi di rilievo esistenziale.
La sfera degli atti individuali personalissimi è tradizionalmente al centro dell’attenzione
critica che la dottrina europea ha rivolto agli istituti classici dell’incapacità dichiarata, e in
particolare all’interdizione.
L’ontologica impossibilità di attivare, per essi, l’intervento vicario del tutore ha fondato il
convincimento – particolarmente diffuso nella dottrina francese anteriore alla riforma del 1968 –
che l’«incapacité d’exercice» connessa al regime di protezione si trasferisca qui, direttamente, sulla
«capacité de jouissance», limitando così la stessa personalità giuridica dell’infermo; ha, quindi,
sollecitato la ricerca di percorsi interpretativi che valorizzassero, per le scelte esistenziali, la mera
«santé d’esprit»114.
L’accostamento dell’istituto dell’interdizione ad un fenomeno di compressione della stessa
capacità giuridica in tema di atti personalissimi non era mancato nella dottrina italiana degli anni
sessanta115.
Tuttavia, mentre il movimento riformistico europeo introduceva sostanziali aperture –
ammettendo l’incapace dichiarato al matrimonio, al riconoscimento del figlio naturale, al
testamento, di regola in virtù della sua capacità naturale di discernimento, presidiata da opportune
verifiche medico-giudiziali – il ritardo accumulato dall’ordinamento italiano, giunto sino ad oggi,
ha finito con l’esasperare la reazione di tanta parte della nostra dottrina.
Perseguendo tale obiettivo, critica l’indirizzo giurisprudenziale dominante e aderisce alla lettura alternativa
M. R. Marella, La protezione giuridica dell’infermo di mente, in Riv. crit. dir. priv., 1991, p. 231 ss.
109
Particolarmente sensibile al «cadre de vie» del disabile, come dimostra la relativa indisponibilità, qualunque
sia il regime protettivo in atto, della sua abitazione e del mobilio pertinente (art. 490-2 code civ.): sui problemi
applicativi della norma e sul suo significato sistematico di «subordinazione, di fronte all’interesse esistenziale […] del
malato, degli aspetti patrimonialistici ed economistici», v. G. Autorino Stanzione, op. ult. cit., p. 544 ss.
110
Per le diverse impostazioni, cfr. E. V. Napoli, L’infermità di mente, l’interdizione, l’inabilitazione², in
Commentario al Codice Civile, diretto da Schlesinger, Milano, 1995, sub Artt. 414-432, p. 302 ss.
111
Consapevolmente insoluto nella bozza del 1987, che ne affidava la risposta alla mediazione del giudice nel
caso singolo: cfr. P. Cendon, op. loc. ultt. citt.
112
Nella nostra giurisprudenza è costante l’affermazione del rilievo anche non patrimoniale del pregiudizio ex
art. 428 c.c. (cfr., ad es., Cass. 8 novembre 1966 n. 2732, in Giur. it., 1967, I, 1, c. 1140; Cass. 26 novembre 1987 n.
8783, ivi, 1989, I, 1, c. 191), da inquadrarsi, peraltro, nel contesto esegetico che – come si è visto – pone ai margini
l’elemento del danno da contratto.
113
Lo nota G. Lisella, Infermità fisica o mentale e codice civile, cit., p. 76.
114
Cfr. G. Autorino Stanzione, op. ult. cit., p. 544. Il riferimento alla dicotomia tra «capacité de jouissance» e
«capacité d’exercice», tradizionale nella dottrina d’oltralpe, come equivalente di quella tra capacità giuridica e capacità
d’agire, a noi familiare, è criticato da A. Falzea, op. cit., p. 16 e nota 32.
115
D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, I, Torino, 1965, p. 150. Per la più generale tesi – presente
nella dottrina italiana già negli anni trenta – della «conversione», in tema di atti personalissimi, dell’incapacità di agire
in incapacità giuridica, cfr. A. Venchiarutti, voce Incapaci, in Dig. disc. priv., sez. civ., IX, Torino, 1993, p. 373 s.; per
una critica alla teoria della «conversione», cfr. A. Falzea, op. cit., p. 28 s., il quale osserva che la sanzione normalmente
prevista per l’atto personale compiuto dal titolare incapace è – non la nullità, come si addice al difetto di capacità
giuridica, bensì – la mera annullabilità.
108
Così, di fronte alla chiusura integrale posta dagli artt. 85 e 119 c.c., si è arrivati a
sottolineare l’ovvio, che «l’incapacità d’intendere o di volere non implichi necessariamente
l’incapacità di amare», portando a modello la soluzione francese post-riforma che riconosce accesso
dell’infermo al matrimonio, con la cautela dell’autorizzazione del conseil de famille su parere
medico (art. 506 code civ.)116; si è sollecitato il superamento del rigore imposto dall’art. 266 c.c.,
per consentire all’interdetto, giudizialmente autorizzato, il riconoscimento del figlio naturale 117; si è
affermata la sufficienza del controllo giudiziale per la testamenti factio attiva, inibita dall’art. 591,
comma secondo, n. 2, c.c.118.
L’emergere di ricostruzioni dottrinali volte a sottrarre l’agire «esistenziale» dal dogma
dell’incapacità legale, per proiettarlo sul piano della mera capacità naturale di discernimento 119 – se
ha prestato il fianco a critiche agevoli, nella misura in cui persegue «interpretationes abrogantes»120
dei divieti positivi – segnala, tuttavia, il largo divario apertosi tra una coscienza giuridica mutata per
l’influsso personalistico della Carta costituzionale ed un tessuto codicistico ormai sclerotico.
In questo quadro generale, la «bozza Cendon» prospettava di ammettere l’interdetto ad
nuptias su autorizzazione del giudice, ove questi avesse accertato, se del caso con l’ausilio di un
consulente tecnico, che le condizioni dell’interessato «non sono tali da impedire lo svolgimento
della vita coniugale»; di abrogare l’art. 266 c.c., sì da consegnare il riconoscimento di figlio
naturale posto in essere dall’interdetto alla disciplina comune dell’impugnabilità (solo) per difetto di
veridicità e per violenza; di consentire il testamento dell’interdetto, ancora previa autorizzazione del
giudice eventualmente adiuvato da un medico, «con l’assistenza del tutore o di un curatore
appositamente nominato»121.
Queste proposte di novella – ispirate dalla filosofia personalistica che, negli anni ottanta,
aveva animato le riforme dei principali ordinamenti europei, e di quello spagnolo in particolare122 –
sono rimaste inascoltate dal legislatore del 2004.
Non si è ritenuto, quindi, di profittare dell’istituzione dell’amministrazione di sostegno per
aprire spazi di autonomia esistenziale in favore dell’infermo di mente, in analogia con ciò che,
nell’ordinamento austriaco, ha rappresentato l’introduzione della Sachwalterschaft per sottrarre la
capacità matrimoniale e testamentaria ai rigori della volle Entmündigung (cfr. supra, § 2.1.).
Ancora oggi il sistema privatistico italiano dovrebbe, dunque, restare fermo su posizioni che
già trent’anni fa apparivano obsolete ai più; la cui irrazionalità può talora misurare chi, esercitando
le funzioni giurisdizionali tutorie, è costretto a negare accesso, per esempio, a quell’autentico jolly
terapeutico che, in certe circostanze, può essere, per un sofferente psichico, il matrimonio123.
116
117
Così C. M. Bianca, La protezione giuridica del sofferente psichico, cit., p. 31 s.
U. Majello, Filiazione naturale e comunità familiare, in Dir. giur., 1983, p. 1 ss.
Ancora C. M. Bianca, op. ult. cit., p. 33.
119
Cfr., in particolare, G. Lisella, Interdizione «giudiziale» e tutela della persona. Gli effetti dell’incapacità
legale, Camerino-Napoli, 1984, p. 56 ss. Invoca la dissoluzione del dogmatismo in tema di capacità J. Espinoza
Espinoza, Tutela giuridica dei soggetti deboli: il risveglio dai sogni dogmatici dei giuristi, in Riv. crit. dir. priv., 1993,
p. 413 ss.
120
Così R. Pescara, op. cit., p. 770. Analogamente, A. Falzea, Infermità di mente e problemi di capacità della
persona, in Un altro diritto per il malato di mente, cit., p. 23.
121
Cfr. nella bozza triestina, rispettivamente, gli artt. 2, 6, 32 (quest’ultimo duplicato dall’art. 37 per le
donazioni di interdetti ed inabilitati); innovazioni salutate «con particolare soddisfazione» da G. Lisella, Infermità fisica
o mentale e codice civile, cit., p. 66 ss., sia pure con alcune precisazioni inerenti l’oggetto della verifica giudiziale – che
l’A. sempre individua nella capacità di discernimento della persona – e qualche riserva sul ruolo dell’assistenza prevista
per l’esercizio della capacità testamentaria e donativa.
122
Per la compatibilità con il riformato regime dell’incapacitación della legittimazione dell’infermo alle scelte
esistenziali e per la valorizzazione, a tal fine, della capacità naturale di discernimento, volta a volta presidiata da
«aprobación judicial», «dictamen médico», garanzie notarili, cfr. supra, § 2.2.
123
In ordine alla capacità matrimoniale dell’interdetto, è nota l’avversione che la dottrina italiana ha
manifestato, sin dagli anni settanta, nei confronti della rigida preclusione codicistica: elevando il dubbio di attrito con il
principio costituzionale di uguaglianza (P. Perlingieri, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, CamerinoNapoli, 1972, p. 412); sottolineandone la potenziale dannosità per la persona che pure si intenderebbe proteggere ed
auspicandone, quindi, il superamento de iure condendo, attraverso la cautela dell’autorizzazione giudiziale ad nuptias
(B. Pannain, Considerazioni minime sull’interdizione, in Dir. giur., 1972, p. 506 s.; Id., Interdizione e capacità al
118
Su questo piano sembra, quindi, decisiva l’emarginazione pratica dell’istituto
dell’interdizione; decisiva la parola d’ordine che emerge, con la forza del vincolo, dal sistema
riformato: proteggere senza interdire, disattivare le rigidità residue, perseguire nella prassi
giudiziaria una politica delle mani libere che, sempre preferendo un regime di sostegno (pure di
latitudine estrema) alla pronunzia di interdizione, non precluda alcun percorso e consenta di
valutare, caso a caso, legittimazioni e forme dell’agire esistenziale124.
6. Una nuova categoria dell’agire civile: la «contrattualità della vita quotidiana».
Com’è noto, la nozione di «actes courants» venne isolata nella giurisprudenza francese ben
prima della riforma del 1968125, andando ad identificare quel complesso di contatti negoziali che,
per risultare essenziali al vivere quotidiano, potevano essere compiuti dall’interdetto al di fuori del
regime vicariante.
Accanto ad alcuni richiami dottrinali all’«usage», la giustificazione teorica prevalente
configurava un mandato tacito dal tutore al pupillo, tesi viziata da un’evidente finzione e
dall’insanabile incoerenza di ipotizzare un incarico negoziale conferito, proprio dal tutore,
all’incapace dichiarato.
Gradualmente andò affermandosi – e dopo il 1968 divenne dominante – l’opinione che, più
realisticamente, individuava la ratio di questa speciale legittimazione dell’interdetto nei princìpi
dello stato di necessità, che vietano di considerare illegittimi atti imposti dalle esigenze minime
della vita126.
Anche da noi la tesi dello stato di necessità ha trovato autorevoli sostenitori, per la
constatazione che, dopo la legge 180, «il disabile è in via ordinaria immesso nel tessuto della vita
sociale, con il conseguente onere di provvedere in prima persona all’organizzazione della propria
vita quotidiana», senza che all’uopo possa immaginarsi «di imporre al disabile una assai
improbabile convivenza diuturna col tutore»127.
Non v’è dubbio, peraltro, che l’opinione più diffusa nella dottrina italiana rinvenga la
ragione di validità della c.d. contrattualità minima in una rilettura costituzionalmente conforme
della tradizionale incapacità dichiarata, che impone «di interpretare le limitazioni giuridiche alla
capacità dell’interdetto in ragione esclusiva della protezione del medesimo», sicché nessuna
matrimonio, ivi, 1978, p. 509 ss.); tentando un’interpretazione evolutiva dell’art. 85 c.c., che ne spostasse il baricentro
dalla capacità legale a quella naturale di discernimento (G. Lisella, Interdizione per infermità mentale e situazioni
giuridiche esistenziali, in Rass. dir. civ., 1982, p. 773 ss.). La difesa del rigore espresso dal codice del ’42 venne assunta
in solitudine da Adriano De Cupis (Il matrimonio dell’interdetto per infermità mentale, in Riv. dir. civ., 1983, II, p. 116
ss.; Ancora sul matrimonio dell’interdetto per infermità mentale, ivi, 1987, II, p. 529 ss.), con un’eleganza che si nutriva
di premesse – il rifiuto dell’«equiparazione dell’infermità mentale alle altre malattie», equiparazione che, sul punto,
«debiliterebbe ulteriormente la famiglia fondata sul matrimonio» (op. ult. cit., p. 529 e p. 531) – oggi francamente
inaccettabili; ad onta delle autorevoli repliche (C. M. Bianca, Il matrimonio concordatario nella prospettiva civilistica,
in Riv. dir. civ., 1986, I, p. 9 ss.; Id., Questo matrimonio non s’ha da fare?, ivi, 1987, II, p. 533 s.), sembrerebbe che
quella posizione, autorevole ed isolata, abbia esercitato il suo influsso conservatore fino ai giorni nostri.
124
G. Ferrando, op. cit., p. 137, pone in risalto l’assenza di «un indirizzo puntuale» nell’impianto riformato
circa gli atti di natura personale, desumendone che «dovrà perciò essere il giudice, nell’esercizio degli ampi poteri
discrezionali che gli sono riconosciuti, a definire i compiti dell’amministratore di sostegno, ad indirizzarli nel modo più
conveniente, a stabilire come debbano essere preservate le residue attitudini di discernimento ed autodeterminazione del
disabile».
125
A. Venchiarutti, Verso una nuova disciplina dell’incapacità mentale nel diritto privato, in P. Cendon (a
cura di), Persona e danno, cit., II, p. 1365 e nota 33, documenta che anche l’ammissione del minore agli «atti della vita
corrente», formalizzata nel Code civil dalla riforma del 1964, già prendeva le mosse da soluzioni giurisprudenziali
ampiamente consolidate.
126
Per questa evoluzione, cfr. G. Autorino Stanzione, op. ult. cit., p. 567 s., la quale cerca, peraltro, una diversa
giustificazione nello schema generale che ha animato la riforma francese del 1968, ovvero nel riconoscimento della
capacità ordinaria per gli atti intrinsecamente non lesivi.
127
Così R. Pescara, op. cit., p. 772.
restrizione si legittima per la «capacità di compiere tutti gli atti negoziali della vita quotidiana […]
sempreché non siano suscettibili di arrecargli un rilevante pregiudizio»128.
La proposta avanzata nella «bozza Cendon»129 muoveva un passo ulteriore ed approdava ad
una soluzione radicale, quella cioè di sottrarre la c.d. microcontrattualità – tanto quella posta in
essere in regime d’incapacità dichiarata, quanto quella riferibile ad un mero incapace naturale – a
qualunque invalidazione, pur in presenza di effetti pregiudizievoli per l’infermo: «per maggiore
sicurezza dei terzi e per scongiurare qualsiasi rischio di “ingessamento”», si spiegava130.
Non erano mancate perplessità dei commentatori, per l’incertezza di perimetro della
prospettata categoria negoziale, influenzata da variabili soggettive attinenti la persona dell’infermo
– e sul cui regime di intangibilità i terzi, pure, avrebbero dovuto fare affidamento – nonché per
l’abdicazione ad ogni obiettivo di difesa del disabile dal pregiudizio del suo agire131.
In particolare, appariva dubbia «la soglia marginale atta a distinguere in concreto l’area della
microcontrattualità da quella dell’ordinaria amministrazione» ed irragionevole la disattivazione del
rimedio, valido per la generalità, ex art. 428 c.c.132.
Anche per effetto di queste riserve dottrinali, nel quasi ventennale passaggio dalla bozza
triestina alla legge n. 6, i riferimenti alla categoria degli «atti necessari a soddisfare le esigenze della
vita quotidiana» si sono sensibilmente ridotti, concentrandosi nel secondo comma del nuovo art.
409 c.c., ove è sancita, in forma incondizionata («in ogni caso»), la relativa legittimazione del
beneficiario dell’amministrazione di sostegno.
Nulla si aggiunge in ordine alla soggezione di tali negozi alla disciplina dell’incapacità
naturale; nulla su un’eventuale analoga legittimazione dell’interdetto e dell’inabilitato; nulla,
ancora, sul concorso di competenza dell’organo di emanazione giudiziaria.
La prima questione resta, comunque, quella definitoria, se è vero che lo stesso ideatore della
riforma avvertiva che l’area della contrattualità minima «per la verità, resta tutt’oggi qualcosa di
assai vago» ed invitava ad uno sforzo di chiarificazione in ordine a «quali siano effettivamente, e
con che indicazioni di frequenza, ed entro quali soglie di valore, le situazioni che ne fanno parte»133.
La definizione di perimetro della categoria, per essere conforme agli obiettivi di inclusione
del disabile nel mondo delle relazioni giuridiche, dovrebbe essere tenuta al riparo da connotazioni
soggettive che – attribuendo rilievo alle condizioni economiche, esistenziali, cliniche
dell’individuo, a fattori cioè necessariamente opachi per il terzo potenziale contraente –
introdurrebbero un alto tasso d’incertezza e di diffidenza, sfavorevole all’instaurazione del
rapporto134.
La «contrattualità della vita quotidiana»135 può essere, allora, fotografata in termini
oggettivi, di media sociale: standard di negozialità che ognuno è chiamato ad esercitare, in un luogo
ed in un tempo dati, per il solo fatto di vivere e di vivere tra gli altri; agire minimo che ciascuno è,
quindi, in grado di riconoscere come tale, senza incertezze, perché membro di quella stessa
comunità ed attore di quel medesimo agire136.
128
Così C. M. Bianca, La protezione giuridica del sofferente psichico, cit., p. 29; analogamente, Id., Diritto
civile, I, La norma giuridica. I soggetti², Milano, 2002, p. 259.
129
Artt. 19, 27 e 30.
130
Così P. Cendon, Infermi di mente e altri «disabili», cit., p. 639.
131
Cfr. G. Lisella, Infermità fisica o mentale e codice civile, cit., p. 55 ss.
132
Così R. Pescara, op. cit., p. 773.
133
P. Cendon, Profili dell’infermità di mente nel diritto privato, in Riv. crit. dir. priv., 1986, p. 54.
134
P. M. Vecchi, op. cit., p. 42, documenta la tendenza dei giuristi austriaci a combinare parametri medi e
criteri soggettivi (tenore di vita, consistenza patrimoniale) nella delimitazione degli atti concernenti vicende esigue della
vita quotidiana, che – compiuti dal beneficiario nell’àmbito della riserva di Sachwalterschaft – divengono efficaci solo
con l’adempimento degli obblighi a lui derivanti (§ 273 a, secondo comma, ABGB); tutto ciò consegna il terzo ad uno
stato di incertezza e di protratta soggezione.
135
Come preferisce definirla C. M. Mazzoni, Libertà e salvaguardia per l’infermo di mente: una
«contrattualità della vita quotidiana», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, p. 460 ss.
136
«Un prontuario delle cose pratiche che sono uguali per chiunque, di cui ognuno ha bisogno allo stesso
modo», secondo la bella definizione che P. Cendon, I diritti delle persone deboli, cit., p. 2120 s., offre della
«quotidianità».
Una nozione di senso comune; esente, quindi, da talune pericolose individualizzazioni che
indeboliscono l’esperienza inglese dei «contracts for necessaries»137, ma dotata – come ogni
nozione di senso comune – di una certa mobilità collettiva, che colora di quotidianità oggi ciò che
era straordinario ieri o che tuttora è straordinario altrove.
L’affidamento dei terzi – e, suo tramite, la socialità giuridica del disabile – possono trovare,
così, un primo beneficio.
Resta il tema dell’invalidazione per incapacità naturale, di grande rilievo ove si consideri
che, pur a fronte di una vicenda negoziale riconoscibile come «quotidiana», il terzo può essere
indotto ad allontanarsi da colui che gli appaia come incapace per timore dell’annullamento ex art.
428 c.c.
Le tesi dottrinali che hanno immaginato di sottrarre la contrattualità minima dall’àmbito
operativo dell’art. 428 c.c.138 erano mosse dal fine di neutralizzare questo fattore di isolamento
giuridico dell’infermo di mente, ma – nonostante un prestigioso sostegno teorico139 – non sembrano
trovare una sufficiente convalida normativa, mancando nella legge del 2004 un’esplicita
disposizione di deroga quale quella contenuta nella «bozza Cendon»140.
Gli obiettivi di rimozione dell’«effetto ingessamento» restano affidati, quindi, al recupero di
un’esegesi dell’art. 428 che riduca l’incidenza della malafede del terzo contraente e restituisca
centralità all’elemento del pregiudizio, l’unico realmente consono alla ratio di protezione.
La natura conclamata di alcuni tipi d’inabilità psichica, che di per sé informa il terzo e lo
pone in condizione di malafede141 – si pensi solo alla sindrome di Down o ai disturbi
comportamentali appariscenti – non deve equivalere all’emarginazione del disabile dalla relazione
giuridica quotidiana, ove questa si sviluppi in condizioni d’equità e a lui non rechi oggettivo
pregiudizio.
Ove fosse altrimenti, «l’eccessiva protezione si tradurrebbe in una terribile tirannia»142.
Tentata, in questi termini, una definizione della categoria e dei suoi rapporti con la disciplina
generale posta dall’art. 428 c.c., è possibile interrogarsi su alcuni problemi di regime.
In primo luogo, se – non solo «il beneficiario dell’amministrazione di sostegno», cui
testualmente si riferisce il secondo comma del nuovo art. 409 c.c., ma – anche l’interdetto e
l’inabilitato possano accedere, senza mediazioni, alla contrattualità della vita quotidiana143.
Pur nella convinzione che la riforma consegni all’interprete gli strumenti per disattivare le
figure tradizionali dell’incapacità dichiarata e rendere così il quesito puramente teorico, può
ritenersi che spetti al giudice dell’interdizione e dell’inabilitazione delimitare lo spazio di
autonomia quotidiana della persona, profittando a tal fine della nuova elasticità strutturale della
sentenza d’incapacitazione.
Infatti, se l’originaria matrice dottrinale della nozione di contrattualità minima si giustifica
in funzione di un «alleggerimento» del regime rigido di totale emarginazione giuridica indotto
Per un’ampia disamina degli indirizzi giurisprudenziali che – in virtù del tenore letterale della section 3 del
Sale of Goods Act 1979 – si frastagliano in letture soggettivizzate della categoria dei «necessaries», esponendo chi entri
in contatto con il mental incompetent ad un rilevante rischio da deficit informativo, cfr. A. Venchiarutti, L’attività
contrattuale dell’incapace: gli «atti necessari», in P. Cendon (a cura di), Persona e danno, cit., II, p. 1497 ss.
138
Cfr., in particolare, C. M. Mazzoni, op. cit., passim.
139
Il riferimento è ad A. Falzea, voce Capacità (teoria generale), cit., p. 25, per il quale sulla validità degli
«atti minuti della vita quotidiana», accessibili anche all’interdetto, «non influisce neppure la incapacità naturale».
140
Che, all’art. 30, nel riformare la disciplina dell’incapacità naturale, ne sottraeva «gli atti compiuti per
soddisfare le esigenze della vita quotidiana».
141
Equivalente, per giurisprudenza univoca, alla consapevolezza che l’un contraente abbia delle menomazioni
psichiche dell’altro: cfr. Cass. 11 marzo 1972 n. 700, cit.; Cass. 11 febbraio 1978 n. 619, cit.; Cass. 26 novembre 1987
n. 8783, cit.; Cass. 2 giugno 1998 n. 5402, cit.
142
Per usare le suggestive parole di P. Perlingieri, Gli istituti di protezione e di promozione dell’«infermo di
mente», cit., p. 52.
143
Il silenzio della norma induce G. Ferrando, op. cit., p. 134, a chiedersi, in ordine all’interdizione, «se debba
essere il giudice, di volta in volta in ciascun provvedimento, ad attribuire al disabile la competenza per questo genere di
atti, o se, in via interpretativa, questa possa essere riconosciuta in termini generali, come già in passato si riteneva».
137
dall’interdizione144, sembra inevitabile che essa receda nel contesto riformato che ispira il sistema di
protezione stabilizzata dell’inabile a princìpi di flessibilità ed inclusione.
Circa il coordinamento dell’autonomia quotidiana del disabile e dei poteri sostitutori
dell’organo vicario, si è detto, in dottrina, che per gli atti correnti opererebbe una «sfera di
incomprimibilità» esistenziale dell’inabile, tale da rendere «inefficaci gli atti di “invasione” […] da
parte dell’amministratore» e «nulla la statuizione del giudice tutelare che fosse volta a violarla»145.
Opinione del tutto persuasiva in ordine all’amministrazione di sostegno, che innesta
un’«incapacità di agire speciale» in un contesto di persistente «capacità di agire generale»; meno
solida per gli istituti tradizionali che, pur dopo la riforma, impongono una generale incapacitazione,
rispetto alla quale è il giudice ad aprire spazi di «capacità di agire speciale», a modularne i profili
oggettivi, in un rapporto invertito tra regola ed eccezione146.
Molte le questioni – si vede – che agitano questa nuova categoria dell’agire civile, molti i
dubbi che gli interpreti saranno chiamati a sciogliere.
Resta acquisito, tuttavia, il grande significato culturale che riveste la formalizzazione di un
concetto-chiave nella strategia di secolarizzazione della diversità psichica147.
7. Rilievi conclusivi.
La complessità dei problemi non impedisce, al fine, di esprimere un giudizio di netto favore
per l’impianto riformato.
La personalizzazione del regime di sostegno attinge l’obiettivo di tracciare «nuove linee di
equilibrio fra le opposte esigenze di libertà e di protezione» del disabile148; consente una maggiore
mobilità della c.d. area dell’equiparazione tra incapace e capace 149; assicura interventi positivi che
surroghino l’inerzia del disabile, rendendo non più necessarie le prassi di supplenza prima imposte
dalla strutturale inettitudine dell’istituto dell’inabilitazione150.
Gli istituti tradizionali dell’incapacità dichiarata vengono esautorati dalla nuova figura,
restano nel sistema al solo fine di attrarre e concentrare lo stigma che da secoli accompagna
l’infermità psichica, liberandone il nuovo regime; quest’ultimo, connotato da «un forte timbro di
carattere volontaristico/amministrativo»151, può assecondare positivamente la sua vocazione di
«istituto di massa».
La natura camaleontica del regime di sostegno gestorio e la sua strutturale elasticità
oggettiva ad ampio spettro consentono – anzi, alla luce del nuovo testo dell’art. 414 c.c., impongono
– di proteggere senza interdire, in tal modo disattivando le pesanti limitazioni «esistenziali» tuttora
connesse dal codice civile allo status di interdetto.
E’, quindi, riposta nelle mani del giudice tutelare la valutazione casistica del discernimento
individuale ai fini della legittimazione e delle forme di esercizio dei diritti personalissimi.
Per altro verso, i silenzi in tema di responsabilità aquiliana dell’infermo di mente e di
protezione occasionale per incapacità naturale non sembrano in grado di minare la solidità del
nuovo assetto, in quanto la responsabilità sussidiaria ex art. 2047, comma secondo, c.c. garantisce,
144
Cfr. R. Pescara, op. loc. ultt. citt.
Così M. R. Marella, op. cit., p. 251.
146
Per i vari atteggiamenti delle diadi generale/speciale e regola/eccezione in tema di incapacità, cfr. A. Falzea,
op. ult. cit., p. 25 ss.
147
Per un giudizio di centralità della categoria nel sistema riformato, cfr. E. Calò, L’implosione degli istituti di
protezione degli incapaci, cit., p. 780, il quale considera superata «la sola distinzione fra ordinaria e straordinaria
amministrazione, a beneficio della distinzione fra atti della vita quotidiana e atti che comportano, per così dire, un
maggiore impegno».
148
Secondo il programma enunciato da P. Cendon, Infermi di mente e altri «disabili», cit., p. 623.
149
Cfr. P. Cendon, Profili dell’infermità di mente nel diritto privato, cit., p. 34 ss.
150
Il riferimento è all’esegesi estensiva dell’art. 35, comma sesto, legge 833/1978 (già art. 3, comma sesto,
legge 180/1978), per la quale cfr. supra, nota 71; di «giudici supplenti» parla, in merito, A. Venchiarutti, Protezione del
disabile e interventi del giudice tutelare, in P. Cendon (a cura di), Persona e danno, cit., III, p. 2259.
151
Così, ancora, P. Cendon, Infermi di mente e altri «disabili», cit., p. 627.
145
in qualche misura, l’«imprescindibile esigenza di solidarietà sociale»152 che nasce dalla valutazione
comparativa dei patrimoni del danneggiante incapace e del danneggiato incolpevole; mentre è
possibile recuperare un’esegesi dell’art. 428 c.c. più attenta all’elemento oggettivo, più consona,
quindi, agli obiettivi di inclusione del disabile nel mondo delle relazioni giuridiche e, in primo
luogo, nella contrattualità della vita quotidiana.
I punti critici sembrano involgere, quindi, non tanto l’efficacia dell’assetto normativo
riformato, quanto le condizioni che dovrebbero assicurarne l’efficienza.
Vengono in speciale rilievo due nodi, la cui mancata soluzione potrebbe fortemente
comprimere le potenzialità della novella.
Chi è stato attore del processo legislativo ha posto in risalto la «straordinaria fiducia» riposta
nel giudice tutelare153; la dottrina, dal canto suo, non ha mancato di sottolineare l’eccezionale
ampiezza dei poteri discrezionali attribuiti a quell’organo per il confezionamento di un «vestito su
misura», tagliato per rispondere alle specifiche esigenze, personali e patrimoniali, di ciascun
disabile154.
L’opzione legislativa ha incassato, tuttavia, le autorevoli perplessità di chi ha ritenuto
«addirittura pericoloso lasciare ogni decisione al giudice tutelare che manca di solito di quelle
conoscenze che, viceversa, possiede il medico»155.
Sembra, peraltro, che la «de-medicalizzazione» dell’amministrazione di sostegno risponda
ad una precisa scelta strategica dei riformatori156.
In ogni caso, il tema della relazione tra giudice tutelare e competenze mediche nella
definizione concreta del regime protettivo non può essere sottovalutato.
E’ concreto il pericolo della riproduzione, sul versante civilistico, di quei fattori di «crisi
della giurisdizione» già denunziati in ordine ai profili costituzionali dell’habeas corpus nel
trattamento coattivo della sofferenza psichica157.
La burocratizzazione dell’intervento giudiziale quale riflesso di un difetto di
specializzazione dell’organo, della sua strutturale incapacità di leggere la vicenda individuale del
disagio in termini non esclusivamente giuridici, è un fenomeno indesiderabile che acquisterebbe
una particolare gravità nel sistema civilistico riformato, che ruota attorno ai princìpi di adeguatezza
e di proporzionalità.
L’abbandono di un modello di protezione dal contenuto predefinito una tantum – il
superamento della tradizionale «ipostatizzazione»158 dei regimi di salvaguardia – è una grande
opportunità di affrancazione del sofferente psichico, ma implica rischi consistenti: il «vestito su
misura» può risultare troppo corto, lasciando la persona priva di una protezione indispensabile ed
esponendola così al danno, ovvero troppo lungo, espropriandola di libertà che sarebbe in grado di
esercitare.
La personalizzazione del regime protettivo è esercizio di una «pratique pluridisciplinaire»,
come hanno evidenziato i giuristi francesi, ormai da quarant’anni alle prese con una normativa
«souple», che, proprio in ragione di questo carattere, fa della collaborazione tra giudice e medico un
perno centrale della sua strategia (cfr. supra, § 2).
152
In questi termini M. Franzoni, Dei fatti illeciti (artt. 2043-2059), in Commentario del Codice Civile
«Scialoja-Branca», a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1993, p. 343.
153
Così G. Zancan, op. cit., p. 6.
154
Cfr. G. Ferrando, op. cit., p. 129.
155
Così S. Patti, Introduzione, cit., p. 27.
156
P. Cendon, La tutela civilistica dell’infermo di mente, cit., p. 33, sottolinea l’incompatibilità
dell’«imprinting medicalistico» con la volontà di pervenire ad un istituto «di tipo secretariale, organizzativo,
applicativo».
157
Cfr. D. Piccione, La crisi della giurisdizione sui provvedimenti limitativi della libertà personale estranei a
fini penali, in Giur. cost., 2002, p. 3157 ss.
158
Secondo l’efficace espressione di E. V. Napoli, Il sistema francese dell’incapacità d’agire, cit., p. 89.
Si ripropone, quindi, il tema dell’opportunità di un’integrazione tecnica strutturale
dell’organo di giurisdizione tutelare159, che, attraverso la dialettica interna delle due componenti
culturali, sia posto in grado di esercitare, con piena efficienza, i poteri conformativi che la novella
gli assegna.
Il modello della consulenza esterna – privilegiato dal nuovo art. 407, comma terzo, c.c. con
il riferimento al potere officioso del giudice tutelare di disporre «gli accertamenti di natura medica»
– potrebbe rivelarsi poco felice, essendo l’esteriorità dell’ausiliario agli indirizzi dell’ufficio
giurisdizionale e al percorso individuale del sofferente un significativo handicap d’efficienza in
termini di celerità160 e di aderenza della risposta di tutela.
«Per quanto tecnicamente brillante, la perizia di qualcuno che non abbia seguito e assistito in
precedenza il sofferente psichico potrebbe spesso non dire al giudice tutto quel che occorre
sapere»161.
Su questa premessa, la «bozza Cendon» riconosceva centralità istruttoria al parere dei
«responsabili e coordinatori dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e
assistenza della persona», la consultazione dei quali era espressamente contemplata nei
procedimenti per l’amministrazione di sostegno, l’interdizione e l’inabilitazione162.
E non v’è dubbio che il valore informativo della relazione dei servizi – ribadito, ma solo per
l’amministrazione di sostegno, dalla legge n. 6, attraverso il coordinamento dei nuovi artt. 406,
ultimo comma, e 407, comma terzo, c.c. – dovrà essere messo a frutto nella più ampia misura ai fini
dell’aderente conformazione individuale del regime protettivo.
L’altro, delicatissimo, capitolo si impone, quindi, con la forza dell’evidenza: un «istituto di
massa» – una «specie di bomba» da «cinque milioni» di utenti163 – che postula interventi pronti e
personalizzati, necessita di un apparato pubblico, giudiziario e di assistenza sociale, non asfittico,
esente da politiche di contenimento dei costi164.
Gli anni a venire faranno il conto; giudicheranno dai fatti se la riforma del 2004 ha
rappresentato davvero, per lo statuto civilistico del disabile, quella rivoluzione mite che tanto a
lungo abbiamo atteso.
159
Posto all’ordine del giorno già da C. Castronovo, La legge 180, la Costituzione e il dopo, in Riv. crit. dir.
priv., 1986, p. 628 ss., e che si è tentato di sviluppare in E. Carbone, Habeas corpus e sofferenza psichica, cit.
160
K. Klement, op. cit., p. 87, ricorda che uno dei principali difetti della normativa sulla Sachwalterschaft è
denunziato dalla lentezza del procedimento applicativo, «a causa della necessità di coinvolgere un perito medico».
161
Così P. Cendon, Infermi di mente e altri «disabili», cit., p. 636.
162
Cfr. artt. 17 e 25 della bozza.
163
Così P. Cendon, La tutela civilistica dell’infermo di mente, cit., p. 42.
164
Con particolare riferimento al versante degli interventi terapeutici coattivi, sottolinea l’incidenza della
qualità delle politiche sociali sulle strategie di gestione del disagio mentale D. Piccione, op. cit., p. 3186, il quale
evidenzia «i rischi dovuti al recedere del Welfare» nei termini di un potenziale, progressivo, ritiro dell’assistenza
territoriale.
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