GIOVEDI 18
VENERDI 19
SABATO 20
ADORAZIONE
EUCARISTICA
TEMPO DI PREGHIERA
TEMPO DI SILENZIO
TEMPO DELLA PAROLA
TEMPO DELLO SPIRITO
TEMPO DI DIALOGO
TEMPO DI CONTEMPLAZIONE
TEMPO DI MISERICORDIA
Il Pane non spezzato
Viviamo in un mondo che ha fatto dei simboli e dei segni
un modo per comunicare, tutto assume un significato e
diventa più eloquente di parole e discorsi. Sembra strano
in una cultura come quella occidentale addomesticata
dalla filosofia greca che tutto ha concettualizzato,
tradotto in pensiero, elaborato in senso logico, riversato in
espressioni verbali, sembra stano che ancora i segni
abbiano un loro valore. Così ciò che vediamo, quello che
cade sotto la nostra esperienza, diventa strumento
immediato di comunicazione, dice da sé senza bisogno di
tanti commenti. Non sempre il segno è percepito
immediatamente, a volte sedimenta nella mente lasciando
traccia, come quei messaggi subliminali non troppo
evidenti ma capaci di determinare una cultura o elaborare
un pensiero.
Ho fatto questa premessa per esprimere un disagio che
provo di fronte al “Pane non spezzato”.
Mi sto riferendo al segno principe della nostra fede che ci
permette di riconoscere il Signore Gesù. Nel Vangelo di
Luca si racconta che il Signore ospitato dai discepoli di
Emmaus quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò
la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono
loro gli occhi e lo riconobbero (Lc 24,30-31), tornati a
Gerusalemme i due discepoli raccontarono agli apostoli
come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane (Lc
24,35).
Questo gesto semplice e solenne, comune a tutti, tutti i
giorni e in tutte le tavole, ha assunto un significato
incredibilmente evidente dopo che Gesù, durante l'ultima
cena nel cenacolo, nella notte in cui veniva tradito, prese
del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse:
«Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in
memoria di me (1Cor 11,23-24).
Ci siamo talmente infervorati nella preoccupazione di
affermare e difendere il significato della presenza reale
nella eucaristia, fossilizzandosi sul ministro, la materia, le
parole, l'intenzione, da perdere di vista il gesto. Nella
liturgia odierna il gesto dello spezzare il pane è stato
separato dalla formula consacratoria relegandolo dopo il
segno di pace, soffocandolo dalle parole della invocazione
dell'Agnello di Dio, diventando un gesto privato, quasi
nascosto del celebrante, che di solito sfugge all'Assemblea.
Lo “spezzare il pane” designava il rito dell'Eucaristia
quando ancora non aveva ricevuto un nome fisso e tecnico
come quello che usiamo oggi; lo usa S. Paolo (1Cor 10,16),
il Vangelo (Lc 24,19) e gli Atti degli Apostoli (2,42.46;
20,7.11). Questa espressione metteva in evidenza una
singolarità del rito, la sua espressività dinamica conservata
gelosamente nella prima comunità cristiana.
La dinamica del gesto di spezzare il pane continua a
raccontarci la Passione di Cristo che ha spezzato la sua vita
donandocela dalla croce, ma anche la reciprocità del dono
nella comunione tra i fedeli: il pane che noi spezziamo non
è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un solo
pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti
infatti partecipiamo dell'unico pane (1 Cor 10,17).
Nella maggior parte del mondo evangelico protestante,
rispetto al cattolicesimo, l'attenzione è piuttosto spostata
al dono di grazia che è ricevuto nell'azione - fate questo in
memoria di me – spezzare il pane e condividerlo insieme al
vino.
Nelle adorazioni eucaristiche come nei riti della solennità
del Corpo e Sangue del Signore ci troviamo, invece,
difronte a segni dimezzati, impoveriti. Pur circondata da
preziose raggere, sotto ricamati baldacchini, tra candele e
fumi d’incenso atti ad esaltare la sacralità del Pane
Consacrato, questo ci appare non spezzato e privo del
vino: segni dimezzati, privati dell’essenzialità del loro
significare. Segni più adatti a raccontare la stabilità della
Chiesa che la sua dinamica, a fissare lo sguardo al Capo del
Corpo piuttosto che alle relazioni che lo animano, una
Chiesa osannante invece che una Comunità carica di
amore.
Il Pane e il Vino, sulla mensa, segni non del tutto compiuti
… attendono la Comunità capace di spezzare e condividere
nella pienezza della Comunione.
LC
IL PANE E LA CARNE
Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 6,41-51
In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù
perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E
dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di
lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può
dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può
venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io
lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E
tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre
e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia
visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In
verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la
manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che
discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di
questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia
carne per la vita del mondo».
il pane vivo
Gesù, il figlio di Giuseppe fa una proposta disarmante,
talmente assurda da provocare scandalo e fuga: … Io sono
il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo
pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne
per la vita del mondo.
Tentare di capire il senso di questa frase ci chiede non
poca fatica, dovremmo disincrostare il pensiero dalle lente
sedimentazioni che nella storia, la Chiesa, le teologie, le
prassi liturgiche, hanno permesso di accumulare per
provare ad essere quegli orecchi che per la prima volta
l’hanno udita.
Quando si panificava una volta a settimana, l’idea che
l’immagine del pane vivo ci offre è quella del pane
fragrante di forno, capace di coinvolgere tutti i sensi col
profumo, il calore, la croccantezza, il colore dorato
.tutt'altro rispetto all'immagine che la bibbia ci tramanda
del pane disceso dal cielo, la manna, specialmente quando
gli ebrei si sono lamentati perché nauseati di questo cibo
così leggero (Nm 21,5).
Il pane è il cibo più comune nel mondo, possono variare gli
ingredienti, i metodi di lavorazione, i modi di cottura, la
forma, il gusto, il pane è essenzialmente nutrimento: Gesù
si pone davanti agli uomini come nutrimento, buono,
fragrante, così profumato da stuzzicare l'appetito.
Mangiare Gesù è la dimensione necessaria del credere,
mangiare Gesù come nuova manna, come pane in grado di
dare vita e vita eterna.
Se uno mangia
Mangiare è questione di vita, la mancanza di nutrimento
porta inesorabilmente alla morte. Mangiare è un processo
che coinvolge tutti i sensi: tocchiamo il cibo, ne
percepiamo la consistenza, il calore, ne distinguiamo i
colori e le forme, ne apprezziamo l’odore, nella bocca ne
sentiamo il gusto, lo mastichiamo per renderlo digeribile e
per far scaturire tutti i sapori che la saliva esalta, lasciamo
scivolare giù lungo l’esofago per raggiungere lo stomaco
fino alla sensazione di pienezza e di soddisfazione. Allora il
cibo diventa parte vitale di noi stessi donandoci quanto ci
è utile alla vita. Non ogni cibo è salutare e non tutti i cibi
fanno bene, anche nel mangiare è necessario
discernimento. Se il Signore si presenta come nutrimento,
il rapporto con Gesù non può essere diverso: ci deve
prendere, coinvolgere tutti i sensi, muovere la fame di lui,
necessita dei suoi riti e dei suoi tempi fino alla sensazione
di pienezza: Gustate e vedete quanto è buono il Signore
(Sal 34,9). Certo possiamo gustare il Signore come un
panino da fast-food o come un pasto da gourmet, semplice
come un pranzo di casa o un complesso di ricchi
ingredienti, assunto nella freddezza di un self-service o
condividendo la mensa in famiglia e con gli amici. In un
mondo veloce come il nostro in cui, a volte, ci
accontentiamo di un tramezzino industriale servito da una
macchina automatica, forse c’è da ripensare alla nostra
relazione col Signore perché non soddisfi i bisogni di un
momento ma davvero nutra di vita tutta la nostra
esistenza.
è la mia carne
Assistiamo ad un doppio passaggio: il pane della vita,
diventato il pane vivo, nel dono (che io darò) si fa carne
per la vita del mondo. Se nei sinottici e Paolo,
ricordandone l'istituzione, l'Eucarestia è Corpo di Cristo qui
l'espressione usata da Gesù ha una forza e un significato
totalmente nuovo: la carne non è il corpo.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi
(Gv 1,14). Fin dall'inizio del suo vangelo Giovanni ci
racconta l'inabissamento del Verbo di Dio nella condizione
povera, malata, ferita e mortale dell'umanità. Il Figlio di
Dio non si è fatto genericamente uomo, il mistero della
incarnazione raggiunge l'uomo nella sua infimità - spogliò
se stesso, assumendo la condizione di servo (Fil 2,7) – fino
a diventarne scarto, e proprio per questo è fonte della vita
del mondo. Accogliere questa Parola impone che noi
riconosciamo e proclamiamo che Dio manifesta la sua
potenza nella suprema debolezza della carne: è lo Spirito
che dà la vita, la carne non giova a nulla (Gv 6,63).
Per noi è essenziale passare dal mangiare del pane, anche
se quello venuto dal cielo, a un livello più radicale che è
quello di mangiare la sua carne data per la salvezza del
mondo, far entrare nella nostra vita e nella nostra
esperienza il mistero dell'incarnazione fino alla morte e
alla morte di croce (Fil 2,8 ), entrare nella dimensione
dello scarto.
È proprio l'assurdità della sua proposta che la rende
universale, non una idea, una filosofia, una via mistica,
neppure una religione, non un gesto o un rito
sacramentale, ma lasciare coinvolgere la nostra vita dalla
sua, la nostra debolezza dalla sua.
«PRENDETE E MANGIATE»
Ecco: prendere e mangiare. Potrebbero essere le cose più
naturali del mondo. Già agli inizi dell'umanità, della storia
della salvezza dell'umanità, si sono usati questi due verbi
per descrivere il peccato: Eva prese del frutto dell'albero
e ne mangiò (Gn 3,6).
È chiaro che il contesto è ben diverso: là il peccato, qui il
riscatto, là la colpa originale qui il donarsi totale e
profetico di Cristo nei segni umani del “prendere e
mangiare” il pane, nel “prendere e bere” il vino.
«Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67)
La fedeltà all’Eucaristia, al Dio che si dona, è fedeltà al
mistero di Cristo in ogni suo aspetto. Fedeltà a Dio e
fedeltà all’uomo. Fedeltà ad un Dio che, nell’incarnazione
pone sé stesso il gioco per l’umanità tutta.
E noi, da fedelissimi, questa Eucaristia l’abbiamo un po’
alla volta addomesticata, ce la siamo tirata dalla nostra
parte, le abbiamo dato il nostro carattere, la nostra
cultura e le caratteristiche per soddisfare le nostre
esigenze, non le esigenze del Dio incarnato, ma le nostre!
Non possiamo permetterci banalità se vogliamo essere
attenti all’invito di Gesù «prendete e mangiate». Ed è
forse il caso di dire con chiarezza che dobbiamo
allontanarci presto da un cristianesimo tranquillo e da una
eucaristia addomesticata.
Certo è impressionante vedere con quanta facilità il popolo
cristiano si accosta all' eucaristia, come se fosse un piccolo
episodio della domenica, un rito previsto in un funerale, in
ogni caso poco impegnativo e di nessun costo.
Gli ascoltatori, quelli che prima avevano seguito e cercato
Gesù fino a suscitare la sua tenera 'compassione', capirono
bene cosa Egli offriva ed a cosa li chiamava.
Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa
parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé
che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro:
«Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là
dov'era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a
nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma
tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin
da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui
che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che
nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da
quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non
andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete
andarvene anche voi?» (Gv 6,60-67).
E furono onesti: non accettarono e se ne andarono. Per noi
spesso è diverso: non accettiamo, ma restiamo, sviliamo,
banalizziamo, ma alla mensa eucaristica non ci sogniamo
di rinunciare.
Alla logica del «ciascuno per sé e Dio per tutti» o del
«ciascuno pensi ai fatti propri», Gesù contrappone la
prospettiva di una umanità dove «l'essere insieme»
riguarda le esigenze del cuore e dello stomaco, della vita
dell’anima e di quella del corpo. Ed alla logica che Dio, «se
gli va, deve provvedere lui a fare miracoli», Gesù
contrappone quel misterioso e assurdo «Date voi stessi da
mangiare!». E forse nel doppio senso: voi stessi date
qualcosa da mangiare; datevi da mangiare, spezzatevi gli
uni per gli altri, siate per gli altri il cibo che li fa vivere. È
“l'insensatezza di Dio” che fa nascere vita umana davvero
salvata.
A Cafarnao questo propone Gesù ai suoi amici più
intimi ed alla folla: non essere più passivi membri del
«Regno», ma «Regno» essi stessi; non accontentarsi di
sentire le sue «parole di vita», ma essere essi stessi «la
Parola», essi stessi immagine del Padre come lo era lui,
essi stessi “figli in cui il Padre si compiace». Gesù voleva,
in altri termini, che nella carne e nella storia dei suoi
amici continuasse la sua vita tra gli uomini. Voleva che i
suoi amici fossero nulla di meno che... Gesù.
Forse che quanti ci accostiamo alla mensa eucaristica
ascoltiamo la silenziosa chiamata ad essere Cristo nelle
strade delle nostre città, ad amare come lui amava, a
perdonare come lui perdonava, ad essere «Parola» del
Padre detta agli uomini? Forse che, nella concretezza dei
nostri giorni, siamo buoni e semplici come il pane, anzi
«pane spezzato» per la vita degli altri? Preziosi come il
vino per la gioia degli altri?
«Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt
5,7)
PANE VIVO DISCESO DAL CIELO
Signore tu sei il Pane vivo, disceso dal cielo; chi mangia di
te ha la vita eterna, e non muore
Signore tu realizzi la nuova e definitiva alleanza, offrendo
non animali, ma la tua stessa vita come sacrificio di
espiazione e di lode
Signore, tu doni la tua vita perché vuoi riconciliare con il
Padre, e tra loro, i figli di Dio che sono dispersi
Signore Gesù tu sei il Maestro e doni te stesso come cibo
per sostenere il cammino di chi vuole seguirti
Signore tu rinnovi nel tuo corpo e sangue l’Alleanza di Dio
per la salvezza degli uomini
Signore tu di doni la forza dello Spirito, per aiutarci a
vivere la testimonianza che ci manifesta come tuoi amici
Signore, aiutaci a sedere a mensa con te; purificaci dai
nostri peccati, che ti tengono lontani dal tuo amore
Signore tu doni a tutti la certezza che la morte è vinta
per sempre, e Dio apre la sua casa per i figli
Signore la tua parola conferma la fedeltà di Dio alle sue
promesse, e ci mostra il suo vero volto
Signore, grazie perché il dono della tua vita è la nostra
grande ricchezza che ci fa godere di una gioia immensa.
Signore, davanti a te noi ci ricordiamo di tutti i tuoi figli;
quanti si preparano a celebrare con fede la pasqua, e
quanti pensano di non credere più; chi è alla ricerca della
vera gioia nell’adesione a te, e quanti hanno rinunciato a
cercarti.
Signore, davanti a te noi ci ricordiamo di chi vivrà la gioia
della riconciliazione per ricominciare a vivere nella
fedeltà alla tua Alleanza d’amore.
Signore, davanti a te noi ci ricordiamo degli uomini che
sono alla ricerca della pace nella giustizia, di chi soffre
per la discriminazione, le malattie e le ingiustizie frutto
delle nostre scelte sbagliate.
Signore, rendici anche testimoni del tuo amore, capaci di
metterci in movimento per diventare realmente uomini e
donne nuovi, rinnovando la nostra fede.
Parole di Papa Francesco
Angelus 16.08.2015
In queste domeniche la Liturgia ci sta proponendo, dal
Vangelo di Giovanni, il discorso di Gesù sul Pane della vita,
che è Lui stesso e che è anche il sacramento
dell’Eucaristia.
Il brano di oggi (Gv 6,51-58) presenta l’ultima parte di tale
discorso, e riferisce di alcuni tra la gente che si
scandalizzano perché Gesù ha detto: «Chi mangia la mia
carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo
risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54).
Lo stupore degli ascoltatori è comprensibile; Gesù infatti
usa lo stile tipico dei profeti per provocare nella gente – e
anche in noi – delle domande e, alla fine, provocare una
decisione.
Anzitutto delle domande: che significa “mangiare la carne
e bere il sangue” di Gesù? è solo un’immagine, un modo di
dire, un simbolo, o indica qualcosa di reale? Per
rispondere, bisogna intuire che cosa accade nel cuore di
Gesù mentre spezza i pani per la folla affamata.
Sapendo che dovrà morire in croce per noi, Gesù si
identifica con quel pane spezzato e condiviso, ed esso
diventa per Lui il “segno” del Sacrificio che lo attende.
Questo processo ha il suo culmine nell’Ultima Cena, dove il
pane e il vino diventano realmente il suo Corpo e il suo
Sangue.
È l’Eucaristia, che Gesù ci lascia con uno scopo preciso:
che noi possiamo diventare una cosa sola con Lui. Infatti
dice: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane
in me e io in lui» (v. 56).
Quel “rimanere”: Gesù in noi e noi in Gesù. La comunione
è assimilazione: mangiando Lui, diventiamo come Lui. Ma
questo richiede il nostro “sì”, la nostra adesione di fede.
A volte si sente, riguardo alla santa Messa, questa
obiezione: “Ma a cosa serve la Messa? Io vado in chiesa
quando me la sento, o prego meglio in solitudine”.
Ma l’Eucaristia non è una preghiera privata o una bella
esperienza spirituale, non è una semplice
commemorazione di ciò che Gesù ha fatto nell’Ultima
Cena. Noi diciamo, per capire bene, che l’Eucaristia è
“memoriale”, ossia un gesto che attualizza e rende
presente l’evento della morte e risurrezione di Gesù: il
pane è realmente il suo Corpo donato per noi, il vino è
realmente il suo Sangue versato per noi.
L’Eucaristia è Gesù stesso che si dona interamente a noi.
Nutrirci di Lui e dimorare in Lui mediante la Comunione
eucaristica, se lo facciamo con fede, trasforma la nostra
vita, la trasforma in un dono a Dio e ai fratelli. Nutrirci di
quel “Pane di vita” significa entrare in sintonia con il cuore
di Cristo, assimilare le sue scelte, i suoi pensieri, i suoi
comportamenti. Significa entrare in un dinamismo di
amore e diventare persone di pace, persone di perdono, di
riconciliazione, di condivisione solidale. Le stesse cose che
Gesù ha fatto.
Gesù conclude il suo discorso con queste parole: «Chi
mangia questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,58). Sì, vivere in
comunione reale con Gesù su questa terra ci fa già passare
dalla morte alla vita.
Il Cielo incomincia proprio in questa comunione con Gesù.
E in Cielo ci aspetta già Maria nostra Madre – abbiamo
celebrato ieri questo mistero. Lei ci ottenga la grazia di
nutrirci sempre con fede di Gesù, Pane della vita.
PANE VIVO DISCESO DAL CIELO
Signore tu sei il Pane vivo, disceso dal cielo; chi mangia di te ha
la vita eterna, e non muore
Signore tu realizzi la nuova e definitiva alleanza, offrendo non
animali, ma la tua stessa vita come sacrificio di espiazione e di
lode
Signore, tu doni la tua vita perché vuoi riconciliare con il Padre,
e tra loro, i figli di Dio che sono dispersi
Signore Gesù tu sei il Maestro e doni te stesso come cibo per
sostenere il cammino di chi vuole seguirti
Signore tu rinnovi nel tuo corpo e sangue l'Alleanza di Dio per la
salvezza degli uomini
Signore tu di doni la forza dello Spirito, per aiutarci a vivere la
testimonianza che ci manifesta come tuoi amici
Signore, aiutaci a sedere a mensa con te; purificaci dai nostri
peccati, che ti tengono lontani dal tuo amore
Signore tu doni a tutti la certezza che la morte è vinta per sempre,
e Dio apre la sua casa per i figli
Signore la tua parola conferma la fedeltà di Dio alle sue
promesse, e ci mostra il suo vero volto
Signore, grazie perché il dono della tua vita è la nostra grande
ricchezza che ci fa godere di una gioia immensa.
Signore, davanti a te noi ci ricordiamo di tutti i tuoi figli; quanti si
preparano a celebrare con fede la pasqua, e quanti pensano di
non credere più; chi è alla ricerca della vera gioia nell’adesione a
te, e quanti hanno rinunciato a cercarti.
Signore, davanti a te noi ci ricordiamo di chi vivrà la gioia della
riconciliazione per ricominciare a vivere nella fedeltà alla tua
Alleanza d'amore.
Signore, davanti a te noi ci ricordiamo degli uomini che sono alla
ricerca della pace nella giustizia, di chi soffre per la
discriminazione, le malattie e le ingiustizie frutto delle nostre
scelte sbagliate.
Signore, rendici anche testimoni del tuo amore, capaci di metterci
in movimento per diventare realmente uomini e donne nuovi,
rinnovando la nostra fede.
In memoria del Signore,
mite Agnello nostra Pasqua,
canta o terra il mistero
del tuo Dio umile.
Nella Chiesa pellegrina
si rivela in simboli.
Sacramento della Fede
il suo pane, il suo vino
nella sera della Cena
consegnò ai discepoli.
Segno vivo del suo amore
fatto a noi sensibile.
Sacrificio per il mondo
il suo corpo, il suo sangue
nelle mani di suo Padre
fu la vera vittima.
Con offerta senza fine
ogni uomo libera.
Alleanza della pace
la sua croce, la sua vita,
il suo pane benedetto
Cristo diede ai poveri.
Una mensa, una festa
che ristora l'anima.
Liberati dalla morte
rivestiti della luce
la sua Cena celebriamo
con un cuore semplice.
Suoi fratelli, suoi amici
nella fede unanimi.
Questa mensa di speranza
è convito di sapienza,
è presenza del Signore
che avvicina gli uomini.
Profezia del suo regno
reso già visibile.
Comunione con il Padre,
nuova Pasqua del Signore,
questo pane ci rinnova
nel suo Santo Spirito.
Se viviamo nell'amore
Dio si comunica.
Dio sia benedetto.
Benedetto il suo Santo nome.
Benedetto Gesù Cristo vero Dio vero uomo.
Benedetto il nome di Gesù.
Benedetto il suo Sacratissimo cuore. Benedetto il suo
Preziosissimo sangue. Benedetto Gesù nel santissimo
sacramento dell’altare.
Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.
Benedetta la gran madre di Dio Maria santissima.
Benedetta la sua santa ed immacolata Concezione.
Benedetta la sua gloriosa Assunzione. Benedetto il
nome di Maria Vergine e Madre. Benedetto san
Giuseppe suo castissimo sposo.
Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi.
Vieni, Spirito Santo,
manda a noi dal cielo un raggio della tua luce.
Vieni, Padre dei poveri,
vieni, datore dei doni, vieni luce dei cuori.
Consolatore perfetto, ospite dolce dell'anima,
dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo;
nella calura, riparo; nel pianto, conforto.
O luce beatissima,
invadi nell'intimo il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza nulla è nell'uomo,
nulla senza colpa.
Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana
ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, dirizza
ciò che è sviato.
Dona ai tuoi fedeli che solo in te confidano
i tuoi sette santi doni.
Dona virtù e premio, dona morte santa,
dona gioia eterna.
Amen.
Signore Gesù Cristo,
che nel mirabile sacramento dell'Eucaristia
ci hai lasciato il memoriale della tua Pasqua,
fa' che adoriamo con viva fede il santo mistero del
tuo corpo e del tuo sangue, per sentire sempre in noi
i benefici della redenzione.
Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.
O Dio, che in questo sacramento della nostra
redenzione ci comunichi la dolcezza del tuo amore,
ravviva in noi l'ardente desiderio
di partecipare al convito eterno del tuo regno.
Per Cristo nostro Signore.