GIOVEDI 18 VENERDI 19 SABATO 20 ADORAZIONE EUCARISTICA TEMPO DI PREGHIERA TEMPO DI SILENZIO TEMPO DELLA PAROLA TEMPO DELLO SPIRITO TEMPO DI DIALOGO TEMPO DI CONTEMPLAZIONE TEMPO DI MISERICORDIA Il Pane non spezzato Viviamo in un mondo che ha fatto dei simboli e dei segni un modo per comunicare, tutto assume un significato e diventa più eloquente di parole e discorsi. Sembra strano in una cultura come quella occidentale addomesticata dalla filosofia greca che tutto ha concettualizzato, tradotto in pensiero, elaborato in senso logico, riversato in espressioni verbali, sembra stano che ancora i segni abbiano un loro valore. Così ciò che vediamo, quello che cade sotto la nostra esperienza, diventa strumento immediato di comunicazione, dice da sé senza bisogno di tanti commenti. Non sempre il segno è percepito immediatamente, a volte sedimenta nella mente lasciando traccia, come quei messaggi subliminali non troppo evidenti ma capaci di determinare una cultura o elaborare un pensiero. Ho fatto questa premessa per esprimere un disagio che provo di fronte al “Pane non spezzato”. Mi sto riferendo al segno principe della nostra fede che ci permette di riconoscere il Signore Gesù. Nel Vangelo di Luca si racconta che il Signore ospitato dai discepoli di Emmaus quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero (Lc 24,30-31), tornati a Gerusalemme i due discepoli raccontarono agli apostoli come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane (Lc 24,35). Questo gesto semplice e solenne, comune a tutti, tutti i giorni e in tutte le tavole, ha assunto un significato incredibilmente evidente dopo che Gesù, durante l'ultima cena nel cenacolo, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me (1Cor 11,23-24). Ci siamo talmente infervorati nella preoccupazione di affermare e difendere il significato della presenza reale nella eucaristia, fossilizzandosi sul ministro, la materia, le parole, l'intenzione, da perdere di vista il gesto. Nella liturgia odierna il gesto dello spezzare il pane è stato separato dalla formula consacratoria relegandolo dopo il segno di pace, soffocandolo dalle parole della invocazione dell'Agnello di Dio, diventando un gesto privato, quasi nascosto del celebrante, che di solito sfugge all'Assemblea. Lo “spezzare il pane” designava il rito dell'Eucaristia quando ancora non aveva ricevuto un nome fisso e tecnico come quello che usiamo oggi; lo usa S. Paolo (1Cor 10,16), il Vangelo (Lc 24,19) e gli Atti degli Apostoli (2,42.46; 20,7.11). Questa espressione metteva in evidenza una singolarità del rito, la sua espressività dinamica conservata gelosamente nella prima comunità cristiana. La dinamica del gesto di spezzare il pane continua a raccontarci la Passione di Cristo che ha spezzato la sua vita donandocela dalla croce, ma anche la reciprocità del dono nella comunione tra i fedeli: il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane (1 Cor 10,17). Nella maggior parte del mondo evangelico protestante, rispetto al cattolicesimo, l'attenzione è piuttosto spostata al dono di grazia che è ricevuto nell'azione - fate questo in memoria di me – spezzare il pane e condividerlo insieme al vino. Nelle adorazioni eucaristiche come nei riti della solennità del Corpo e Sangue del Signore ci troviamo, invece, difronte a segni dimezzati, impoveriti. Pur circondata da preziose raggere, sotto ricamati baldacchini, tra candele e fumi d’incenso atti ad esaltare la sacralità del Pane Consacrato, questo ci appare non spezzato e privo del vino: segni dimezzati, privati dell’essenzialità del loro significare. Segni più adatti a raccontare la stabilità della Chiesa che la sua dinamica, a fissare lo sguardo al Capo del Corpo piuttosto che alle relazioni che lo animano, una Chiesa osannante invece che una Comunità carica di amore. Il Pane e il Vino, sulla mensa, segni non del tutto compiuti … attendono la Comunità capace di spezzare e condividere nella pienezza della Comunione. LC IL PANE E LA CARNE Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 6,41-51 In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?». Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». il pane vivo Gesù, il figlio di Giuseppe fa una proposta disarmante, talmente assurda da provocare scandalo e fuga: … Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. Tentare di capire il senso di questa frase ci chiede non poca fatica, dovremmo disincrostare il pensiero dalle lente sedimentazioni che nella storia, la Chiesa, le teologie, le prassi liturgiche, hanno permesso di accumulare per provare ad essere quegli orecchi che per la prima volta l’hanno udita. Quando si panificava una volta a settimana, l’idea che l’immagine del pane vivo ci offre è quella del pane fragrante di forno, capace di coinvolgere tutti i sensi col profumo, il calore, la croccantezza, il colore dorato .tutt'altro rispetto all'immagine che la bibbia ci tramanda del pane disceso dal cielo, la manna, specialmente quando gli ebrei si sono lamentati perché nauseati di questo cibo così leggero (Nm 21,5). Il pane è il cibo più comune nel mondo, possono variare gli ingredienti, i metodi di lavorazione, i modi di cottura, la forma, il gusto, il pane è essenzialmente nutrimento: Gesù si pone davanti agli uomini come nutrimento, buono, fragrante, così profumato da stuzzicare l'appetito. Mangiare Gesù è la dimensione necessaria del credere, mangiare Gesù come nuova manna, come pane in grado di dare vita e vita eterna. Se uno mangia Mangiare è questione di vita, la mancanza di nutrimento porta inesorabilmente alla morte. Mangiare è un processo che coinvolge tutti i sensi: tocchiamo il cibo, ne percepiamo la consistenza, il calore, ne distinguiamo i colori e le forme, ne apprezziamo l’odore, nella bocca ne sentiamo il gusto, lo mastichiamo per renderlo digeribile e per far scaturire tutti i sapori che la saliva esalta, lasciamo scivolare giù lungo l’esofago per raggiungere lo stomaco fino alla sensazione di pienezza e di soddisfazione. Allora il cibo diventa parte vitale di noi stessi donandoci quanto ci è utile alla vita. Non ogni cibo è salutare e non tutti i cibi fanno bene, anche nel mangiare è necessario discernimento. Se il Signore si presenta come nutrimento, il rapporto con Gesù non può essere diverso: ci deve prendere, coinvolgere tutti i sensi, muovere la fame di lui, necessita dei suoi riti e dei suoi tempi fino alla sensazione di pienezza: Gustate e vedete quanto è buono il Signore (Sal 34,9). Certo possiamo gustare il Signore come un panino da fast-food o come un pasto da gourmet, semplice come un pranzo di casa o un complesso di ricchi ingredienti, assunto nella freddezza di un self-service o condividendo la mensa in famiglia e con gli amici. In un mondo veloce come il nostro in cui, a volte, ci accontentiamo di un tramezzino industriale servito da una macchina automatica, forse c’è da ripensare alla nostra relazione col Signore perché non soddisfi i bisogni di un momento ma davvero nutra di vita tutta la nostra esistenza. è la mia carne Assistiamo ad un doppio passaggio: il pane della vita, diventato il pane vivo, nel dono (che io darò) si fa carne per la vita del mondo. Se nei sinottici e Paolo, ricordandone l'istituzione, l'Eucarestia è Corpo di Cristo qui l'espressione usata da Gesù ha una forza e un significato totalmente nuovo: la carne non è il corpo. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14). Fin dall'inizio del suo vangelo Giovanni ci racconta l'inabissamento del Verbo di Dio nella condizione povera, malata, ferita e mortale dell'umanità. Il Figlio di Dio non si è fatto genericamente uomo, il mistero della incarnazione raggiunge l'uomo nella sua infimità - spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo (Fil 2,7) – fino a diventarne scarto, e proprio per questo è fonte della vita del mondo. Accogliere questa Parola impone che noi riconosciamo e proclamiamo che Dio manifesta la sua potenza nella suprema debolezza della carne: è lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla (Gv 6,63). Per noi è essenziale passare dal mangiare del pane, anche se quello venuto dal cielo, a un livello più radicale che è quello di mangiare la sua carne data per la salvezza del mondo, far entrare nella nostra vita e nella nostra esperienza il mistero dell'incarnazione fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,8 ), entrare nella dimensione dello scarto. È proprio l'assurdità della sua proposta che la rende universale, non una idea, una filosofia, una via mistica, neppure una religione, non un gesto o un rito sacramentale, ma lasciare coinvolgere la nostra vita dalla sua, la nostra debolezza dalla sua. «PRENDETE E MANGIATE» Ecco: prendere e mangiare. Potrebbero essere le cose più naturali del mondo. Già agli inizi dell'umanità, della storia della salvezza dell'umanità, si sono usati questi due verbi per descrivere il peccato: Eva prese del frutto dell'albero e ne mangiò (Gn 3,6). È chiaro che il contesto è ben diverso: là il peccato, qui il riscatto, là la colpa originale qui il donarsi totale e profetico di Cristo nei segni umani del “prendere e mangiare” il pane, nel “prendere e bere” il vino. «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67) La fedeltà all’Eucaristia, al Dio che si dona, è fedeltà al mistero di Cristo in ogni suo aspetto. Fedeltà a Dio e fedeltà all’uomo. Fedeltà ad un Dio che, nell’incarnazione pone sé stesso il gioco per l’umanità tutta. E noi, da fedelissimi, questa Eucaristia l’abbiamo un po’ alla volta addomesticata, ce la siamo tirata dalla nostra parte, le abbiamo dato il nostro carattere, la nostra cultura e le caratteristiche per soddisfare le nostre esigenze, non le esigenze del Dio incarnato, ma le nostre! Non possiamo permetterci banalità se vogliamo essere attenti all’invito di Gesù «prendete e mangiate». Ed è forse il caso di dire con chiarezza che dobbiamo allontanarci presto da un cristianesimo tranquillo e da una eucaristia addomesticata. Certo è impressionante vedere con quanta facilità il popolo cristiano si accosta all' eucaristia, come se fosse un piccolo episodio della domenica, un rito previsto in un funerale, in ogni caso poco impegnativo e di nessun costo. Gli ascoltatori, quelli che prima avevano seguito e cercato Gesù fino a suscitare la sua tenera 'compassione', capirono bene cosa Egli offriva ed a cosa li chiamava. Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,60-67). E furono onesti: non accettarono e se ne andarono. Per noi spesso è diverso: non accettiamo, ma restiamo, sviliamo, banalizziamo, ma alla mensa eucaristica non ci sogniamo di rinunciare. Alla logica del «ciascuno per sé e Dio per tutti» o del «ciascuno pensi ai fatti propri», Gesù contrappone la prospettiva di una umanità dove «l'essere insieme» riguarda le esigenze del cuore e dello stomaco, della vita dell’anima e di quella del corpo. Ed alla logica che Dio, «se gli va, deve provvedere lui a fare miracoli», Gesù contrappone quel misterioso e assurdo «Date voi stessi da mangiare!». E forse nel doppio senso: voi stessi date qualcosa da mangiare; datevi da mangiare, spezzatevi gli uni per gli altri, siate per gli altri il cibo che li fa vivere. È “l'insensatezza di Dio” che fa nascere vita umana davvero salvata. A Cafarnao questo propone Gesù ai suoi amici più intimi ed alla folla: non essere più passivi membri del «Regno», ma «Regno» essi stessi; non accontentarsi di sentire le sue «parole di vita», ma essere essi stessi «la Parola», essi stessi immagine del Padre come lo era lui, essi stessi “figli in cui il Padre si compiace». Gesù voleva, in altri termini, che nella carne e nella storia dei suoi amici continuasse la sua vita tra gli uomini. Voleva che i suoi amici fossero nulla di meno che... Gesù. Forse che quanti ci accostiamo alla mensa eucaristica ascoltiamo la silenziosa chiamata ad essere Cristo nelle strade delle nostre città, ad amare come lui amava, a perdonare come lui perdonava, ad essere «Parola» del Padre detta agli uomini? Forse che, nella concretezza dei nostri giorni, siamo buoni e semplici come il pane, anzi «pane spezzato» per la vita degli altri? Preziosi come il vino per la gioia degli altri? «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7) PANE VIVO DISCESO DAL CIELO Signore tu sei il Pane vivo, disceso dal cielo; chi mangia di te ha la vita eterna, e non muore Signore tu realizzi la nuova e definitiva alleanza, offrendo non animali, ma la tua stessa vita come sacrificio di espiazione e di lode Signore, tu doni la tua vita perché vuoi riconciliare con il Padre, e tra loro, i figli di Dio che sono dispersi Signore Gesù tu sei il Maestro e doni te stesso come cibo per sostenere il cammino di chi vuole seguirti Signore tu rinnovi nel tuo corpo e sangue l’Alleanza di Dio per la salvezza degli uomini Signore tu di doni la forza dello Spirito, per aiutarci a vivere la testimonianza che ci manifesta come tuoi amici Signore, aiutaci a sedere a mensa con te; purificaci dai nostri peccati, che ti tengono lontani dal tuo amore Signore tu doni a tutti la certezza che la morte è vinta per sempre, e Dio apre la sua casa per i figli Signore la tua parola conferma la fedeltà di Dio alle sue promesse, e ci mostra il suo vero volto Signore, grazie perché il dono della tua vita è la nostra grande ricchezza che ci fa godere di una gioia immensa. Signore, davanti a te noi ci ricordiamo di tutti i tuoi figli; quanti si preparano a celebrare con fede la pasqua, e quanti pensano di non credere più; chi è alla ricerca della vera gioia nell’adesione a te, e quanti hanno rinunciato a cercarti. Signore, davanti a te noi ci ricordiamo di chi vivrà la gioia della riconciliazione per ricominciare a vivere nella fedeltà alla tua Alleanza d’amore. Signore, davanti a te noi ci ricordiamo degli uomini che sono alla ricerca della pace nella giustizia, di chi soffre per la discriminazione, le malattie e le ingiustizie frutto delle nostre scelte sbagliate. Signore, rendici anche testimoni del tuo amore, capaci di metterci in movimento per diventare realmente uomini e donne nuovi, rinnovando la nostra fede. Parole di Papa Francesco Angelus 16.08.2015 In queste domeniche la Liturgia ci sta proponendo, dal Vangelo di Giovanni, il discorso di Gesù sul Pane della vita, che è Lui stesso e che è anche il sacramento dell’Eucaristia. Il brano di oggi (Gv 6,51-58) presenta l’ultima parte di tale discorso, e riferisce di alcuni tra la gente che si scandalizzano perché Gesù ha detto: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54). Lo stupore degli ascoltatori è comprensibile; Gesù infatti usa lo stile tipico dei profeti per provocare nella gente – e anche in noi – delle domande e, alla fine, provocare una decisione. Anzitutto delle domande: che significa “mangiare la carne e bere il sangue” di Gesù? è solo un’immagine, un modo di dire, un simbolo, o indica qualcosa di reale? Per rispondere, bisogna intuire che cosa accade nel cuore di Gesù mentre spezza i pani per la folla affamata. Sapendo che dovrà morire in croce per noi, Gesù si identifica con quel pane spezzato e condiviso, ed esso diventa per Lui il “segno” del Sacrificio che lo attende. Questo processo ha il suo culmine nell’Ultima Cena, dove il pane e il vino diventano realmente il suo Corpo e il suo Sangue. È l’Eucaristia, che Gesù ci lascia con uno scopo preciso: che noi possiamo diventare una cosa sola con Lui. Infatti dice: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (v. 56). Quel “rimanere”: Gesù in noi e noi in Gesù. La comunione è assimilazione: mangiando Lui, diventiamo come Lui. Ma questo richiede il nostro “sì”, la nostra adesione di fede. A volte si sente, riguardo alla santa Messa, questa obiezione: “Ma a cosa serve la Messa? Io vado in chiesa quando me la sento, o prego meglio in solitudine”. Ma l’Eucaristia non è una preghiera privata o una bella esperienza spirituale, non è una semplice commemorazione di ciò che Gesù ha fatto nell’Ultima Cena. Noi diciamo, per capire bene, che l’Eucaristia è “memoriale”, ossia un gesto che attualizza e rende presente l’evento della morte e risurrezione di Gesù: il pane è realmente il suo Corpo donato per noi, il vino è realmente il suo Sangue versato per noi. L’Eucaristia è Gesù stesso che si dona interamente a noi. Nutrirci di Lui e dimorare in Lui mediante la Comunione eucaristica, se lo facciamo con fede, trasforma la nostra vita, la trasforma in un dono a Dio e ai fratelli. Nutrirci di quel “Pane di vita” significa entrare in sintonia con il cuore di Cristo, assimilare le sue scelte, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. Significa entrare in un dinamismo di amore e diventare persone di pace, persone di perdono, di riconciliazione, di condivisione solidale. Le stesse cose che Gesù ha fatto. Gesù conclude il suo discorso con queste parole: «Chi mangia questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,58). Sì, vivere in comunione reale con Gesù su questa terra ci fa già passare dalla morte alla vita. Il Cielo incomincia proprio in questa comunione con Gesù. E in Cielo ci aspetta già Maria nostra Madre – abbiamo celebrato ieri questo mistero. Lei ci ottenga la grazia di nutrirci sempre con fede di Gesù, Pane della vita. PANE VIVO DISCESO DAL CIELO Signore tu sei il Pane vivo, disceso dal cielo; chi mangia di te ha la vita eterna, e non muore Signore tu realizzi la nuova e definitiva alleanza, offrendo non animali, ma la tua stessa vita come sacrificio di espiazione e di lode Signore, tu doni la tua vita perché vuoi riconciliare con il Padre, e tra loro, i figli di Dio che sono dispersi Signore Gesù tu sei il Maestro e doni te stesso come cibo per sostenere il cammino di chi vuole seguirti Signore tu rinnovi nel tuo corpo e sangue l'Alleanza di Dio per la salvezza degli uomini Signore tu di doni la forza dello Spirito, per aiutarci a vivere la testimonianza che ci manifesta come tuoi amici Signore, aiutaci a sedere a mensa con te; purificaci dai nostri peccati, che ti tengono lontani dal tuo amore Signore tu doni a tutti la certezza che la morte è vinta per sempre, e Dio apre la sua casa per i figli Signore la tua parola conferma la fedeltà di Dio alle sue promesse, e ci mostra il suo vero volto Signore, grazie perché il dono della tua vita è la nostra grande ricchezza che ci fa godere di una gioia immensa. Signore, davanti a te noi ci ricordiamo di tutti i tuoi figli; quanti si preparano a celebrare con fede la pasqua, e quanti pensano di non credere più; chi è alla ricerca della vera gioia nell’adesione a te, e quanti hanno rinunciato a cercarti. Signore, davanti a te noi ci ricordiamo di chi vivrà la gioia della riconciliazione per ricominciare a vivere nella fedeltà alla tua Alleanza d'amore. Signore, davanti a te noi ci ricordiamo degli uomini che sono alla ricerca della pace nella giustizia, di chi soffre per la discriminazione, le malattie e le ingiustizie frutto delle nostre scelte sbagliate. Signore, rendici anche testimoni del tuo amore, capaci di metterci in movimento per diventare realmente uomini e donne nuovi, rinnovando la nostra fede. In memoria del Signore, mite Agnello nostra Pasqua, canta o terra il mistero del tuo Dio umile. Nella Chiesa pellegrina si rivela in simboli. Sacramento della Fede il suo pane, il suo vino nella sera della Cena consegnò ai discepoli. Segno vivo del suo amore fatto a noi sensibile. Sacrificio per il mondo il suo corpo, il suo sangue nelle mani di suo Padre fu la vera vittima. Con offerta senza fine ogni uomo libera. Alleanza della pace la sua croce, la sua vita, il suo pane benedetto Cristo diede ai poveri. Una mensa, una festa che ristora l'anima. Liberati dalla morte rivestiti della luce la sua Cena celebriamo con un cuore semplice. Suoi fratelli, suoi amici nella fede unanimi. Questa mensa di speranza è convito di sapienza, è presenza del Signore che avvicina gli uomini. Profezia del suo regno reso già visibile. Comunione con il Padre, nuova Pasqua del Signore, questo pane ci rinnova nel suo Santo Spirito. Se viviamo nell'amore Dio si comunica. Dio sia benedetto. Benedetto il suo Santo nome. Benedetto Gesù Cristo vero Dio vero uomo. Benedetto il nome di Gesù. Benedetto il suo Sacratissimo cuore. Benedetto il suo Preziosissimo sangue. Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare. Benedetto lo Spirito Santo Paraclito. Benedetta la gran madre di Dio Maria santissima. Benedetta la sua santa ed immacolata Concezione. Benedetta la sua gloriosa Assunzione. Benedetto il nome di Maria Vergine e Madre. Benedetto san Giuseppe suo castissimo sposo. Benedetto Dio nei suoi angeli e nei suoi santi. Vieni, Spirito Santo, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce. Vieni, Padre dei poveri, vieni, datore dei doni, vieni luce dei cuori. Consolatore perfetto, ospite dolce dell'anima, dolcissimo sollievo. Nella fatica, riposo; nella calura, riparo; nel pianto, conforto. O luce beatissima, invadi nell'intimo il cuore dei tuoi fedeli. Senza la tua forza nulla è nell'uomo, nulla senza colpa. Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, dirizza ciò che è sviato. Dona ai tuoi fedeli che solo in te confidano i tuoi sette santi doni. Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna. Amen. Signore Gesù Cristo, che nel mirabile sacramento dell'Eucaristia ci hai lasciato il memoriale della tua Pasqua, fa' che adoriamo con viva fede il santo mistero del tuo corpo e del tuo sangue, per sentire sempre in noi i benefici della redenzione. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. O Dio, che in questo sacramento della nostra redenzione ci comunichi la dolcezza del tuo amore, ravviva in noi l'ardente desiderio di partecipare al convito eterno del tuo regno. Per Cristo nostro Signore.