Cento e una voce

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CENTO E UNA VOCE DI TEORIA DEL DIRITTO
ABROGAZIONE
L’abrogazione è l’effetto di un atto o di un fatto e consiste nel far perdere ad una
norma la propria efficacia, dal momento che contrasta con altra norma precedente. La
norma, verificatosi il fatto o l’atto abrogativo, non potrà più venire applicata a casi
futuri. Un esempio di atto abrogativo è il referendum abrogativo previsto all’art. 75
della Costituzione, oppure le sentenze della Corte Costituzionale, ex art. 134 della
Costituzione. In quest’ultimo caso le norme abrogate non potranno applicarsi neanche
a fattispecie verificatesi in precedenza.
Un’importante disciplina dell’abrogazione è data dall’art. 15 delle Disposizioni sulla
legge in generale (cd. “preleggi” al Codice Civile) secondo cui “Le leggi non sono
abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per
incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola
l'intera materia già regolata dalla legge anteriore”. Nel nostro ordinamento non è
possibile abrogare una legge per “desuetudine” ossia in base alla sua continuata e
consuetudinaria disapplicazione.
ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO
Essa studia i comportamenti giuridici e le scelte normative pubbliche, valutandoli
attraverso gli schemi concettuali delle scienze economiche, usando modelli matematici
e scientifici. In Italia tale analisi è stata portata avanti, tra gli altri, da Trimarchi, Alpa
e Bessone.
Ne è un esempio il “Teorema di Coase”le scelte pubbliche sono efficienti in quanto
massimizzino le esternalità (cioè i loro effetti sull’ambiente esterno) positive e
minimizzino quelle negative, la ricerca dell’efficienza deve essere il criterio guida delle
scelte pubbliche, non criteri morali o di giustizia.
Posner concorda con tale visione “neoliberista” di Coase e la applica anche, ad
esempio, al diritto di famiglia, arrivando a sostenere paradossi come che la libera
vendita di neonati è socialmente utile perché incentiva le donne a procreare e a
scegliere sempre partner migliori per una “migliore produzione”.
ANTINOMIE
L’antinomia è una incoerenza o un contrasto tra norme contenute nel medesimo
ordinamento.
In un ordinamento può verificarsi una sovrabbondanza (problema di coerenza) o una
carenza tra norme (problema di completezza).
In caso di antinomia qual è la norma da applicare? Esistono 3 criteri da usare:
1) criterio cronologico lex posterior derogat priori
2) criterio gerarchico lex superior derogat inferiori
3) criterio di specialità lex specialis derogat generali
In caso di conflitto tra questi criteri, il secondo ed il terzo, in quanto “criteri forti”,
prevalgono sempre sul primo (criterio “debole”), se configgono i due criteri forti tra di
loro, non esiste una regola standard e sarà l’interprete a decidere caso per caso.
Per alcuni esiste anche il criterio della competenza, come 4° criterio, ritenuto
prevalente su tutti gli altri.
ARGOMENTAZIONE
La teoria dell’argomentazione studia quei ragionamenti volti a dimostrare una propria
tesi o a confutare quella altrui.
Ci sono vari tipi di argomentazione giuridica:
1) argomentazione deduttiva o analiticada alcune premesse deriva una
conclusione;
2) argomentazione induttiva o sinteticada più particolari si risale al generale;
3) argomentazione aleticaparte da premesse unanimemente ritenute vere;
4) argomentazione sofisticaparte da premesse la cui verità o meno è irrilevante;
5) argomentazione dichiarativaragionamento che da assunti inconfutabili trae
conclusioni certe (es: sillogismose A=B e B=C, allora A=C);
6) argomentazione empiricaragionamento che dall’esame di fatti empirici trae
conclusioni probabili;
7) argomentazione dialettica o ermeneuticaconfronta diverse teorie e
ragionamenti per arrivare ad una verità comune.
In ambito giuridico si utilizzano, nei ragionamenti, i seguenti argomenti:
1) argomento a contrario in mancanza di una previsione normativa esplicita, la
fattispecie A dev’essere regolata all’opposto di quanto previsto dall’ordinamento
per le altre fattispecie;
2) argomento a fortiori in mancanza di una previsione normativa esplicita, la
fattispecie A dev’essere regolata secondo la disciplina prevista per la classe di
fattispecie più conveniente a maggior ragione;
3) argomento a simili in mancanza di una previsione normativa esplicita, la
fattispecie A dev’essere regolata secondo la disciplina prevista per le fattispecie
ad essa più simili;
4) argomento ab absurdo si evidenzia la validità del proprio ragionamento,
facendo leva sull’assurdità di un ragionamento opposto;
5) argomento per impossibile si evidenzia la non validità dell’altrui
ragionamento, facendo leva sull’impossibilità delle sue conseguenze.
Nuova retorica rivisitazione della retorica Aristotelica (arte di creare discorsi
convincenti), intesa come arte della persuasione basata su argomenti razionali, atti ad
ottenere l’approvazione di un ipotetico uditorio universale.
ATTO GIURIDICO
L’atto giuridico, in senso lato, è ogni comportamento umano rilevante per il diritto. Gli
atti giuridici si dividono in:
1) atti giuridici in senso stretto o meri attiatti umani volontari posti in essere da
persona capace di intendere e di volere, si dividono in atti leciti ed Atti illeciti;
2) negozi giuridiciatti negoziali in cui il soggetto ha intenzionalità sia dell’atto che
compie sia degli effetti giuridici che ne derivano (es: una compravendita).
Forma dell’attomodo in cui l’atto si esterna (es: forma scritta).
AUTONOMIA
E’ un concetto di difficile classificazione, perché assume molteplici significati a seconda
dei contesti:
1) autonomia normativapotere di un ordinamento di emanare norme sovrane,
dotate di efficacia costitutiva. E’ il potere di creare il diritto positivo;
2) autonomia istituzionalepotere di un ordinamento di essere autonomo da altri
ordinamenti, di non dover fondare la propria esistenza in altro se non in se
stesso;
3) autonomia organizzativasi specifica ulteriormente in autonomia finanziaria –
gestionale – contabile ed indica il particolare stato in cui si trova un ente o un
organo, potendosi autoregolamentare in merito alla propria organizzazione,
gestione o contabilità. E’ una caratteristica propria degli enti pubblici;
4) autonomia privataautonomia dei privati nella loro attività negoziale.
Autarchiatitolarità di pubbliche potestà da parte di enti pubblici diversi dallo Stato
(Es: Regioni ed altri enti locali).
Decentramentotrasferimento di competenze dallo Stato agli enti locali, può essere
politico, amministrativo o giurisdizionale a seconda del tipo di competenze trasferite.
AVVOCATO
La parola deriva dal latino “advocatus” cioè chiamato a sé, è il libero professionista
scelto dalla parte per assisterla e rappresentarla in giudizio o per fornirgli una
consulenza giuridica extra processuale.
Già nel Digesto ritroviamo la figura dell’avvocato, la prima legge romana che se ne
occupò fu la Lex Cincia del 205 a.C., nel Medioevo, a causa della frammentazione tra
realtà locali e dei sistemi giuridici, la figura dell’avvocato perse un po’ di peso.
Oggi, le parti necessitano dell’avvocato per stare in giudizio (in America invece può
difendersi da solo) e l’avvocato è tenuto al rispetto della legge e del codice
deontologico emanato dall’Ordine degli Avvocati, emanato dal Consiglio Nazionale
Forense nel 1997, secondo cui, tra l’altro, come indicato nel Preambolo, “l’avvocato
esercita la propria attività in piena libertà, autonomia ed indipendenza, per tutelare i
diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e
contribuendo in tal modo all'attuazione dell'ordinamento per i fini della giustizia”.
AZIONE
L’azione in senso lato è un’attività umana che produce effetti giuridici previsti
dall’ordinamento.
In senso processuale, l’azione è l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un obbligo
riconosciuto o imposto dall’ordinamento ad alcuni soggetti (attori) al fine attivare un
iter processuale predeterminato per legge, allo scopo di ottenere una pronuncia del
giudice in merito ad una controversia.
L’azione può essere civile o penale, quella penale nasce dal potere/dovere del PM di
attivarsi per perseguire i colpevoli di reato, in Italia ha il carattere della irrevocabilità,
obbligatorietà e irretrattabilità.
Nell’azione civile, invece, l’impulso è dato dalla parte, titolare di un interesse ad agire
in giudizio per far valere la propria pretesa.
L’azione è astratta, la pretesa sottostante, invece, è concreta. Con una stessa azione
(es: ricorso) si possono far valere diverse pretese.
Sia l’azione civile che quella penale non vengono mai azionate dal giudice, ma sempre
da un soggetto diverso e non in veste giudicante.
In ambito amministrativo, l’azione tende a ripristinare la legittimità del
comportamento della Pubblica amministrazione, su istanza del privato cittadino che si
ritiene leso da quest’ultima e richiede l’annullamento di un provvedimento
amministrativo.
BENE GIURIDICO
Il termine bene deriva dal latino Bonum, usato spesso al plurale, Bona=i beni=non
mere cose (Res) ma beni giuridici. L’art. 810 del c.c. definisce beni “tutte le cose che
possono formare oggetto di diritti”, i beni giuridici sono cose che hanno rilevanza
giuridica, possono essere tali anche dei beni immateriali, come le invenzioni o il diritto
di autore, anche se non li puoi toccare.
Un bene della vita diventa un bene giuridico quando l’ordinamento prevede dei
meccanismi di tutela che lo riguardano.
BUONA FEDE
Si intende per buona fede l’insieme di modalità (positive) con cui un soggetto compie
un’azione giuridicamente rilevante, cosa che lo esonera da responsabilità per eventuali
effetti negativi della sua condotta, perché improntata a correttezza e lealtà. Il suo
opposto è la mala fede, che si ha quando si producono consapevolmente ed
intenzionalmente effetti negativi a danno di un altro soggetto.
Si distingue in dottrina tra buona fede in senso oggettivo e in senso soggettivo, nella
prima accezione si mette in luce il modo corretto in cui il soggetto ha posto in essere il
suo comportamento giuridicamente rilevante (esempio, ex art. 1337 c.c. le parti
devono comportarsi secondo buona fede nelle fasi pre-contrattuali), nella seconda si
evidenzia l’aspetto psicologico del soggetto.
La buona fede oggettiva è una sorta di “clausola aperta” che prescrive una correttezza
generica, tale clausola è volta a colmare le lacune dell’ordinamento positivo
imponendo questo generico dovere di agire in modo leale e corretto.
La buona fede soggettiva rileva, ad esempio, nella disciplina dell’annullamento del
matrimonio, ove il coniuge di buona fede ignori, senza colpa, una causa di invalidità
oppure nelle varie ipotesi di errore scusabile, in cui la responsabilità del soggetto
viene limitata o esclusa proprio per questa sua condizione psicologica di buona fede,
che è meritevole di tutela.
CAPACITA’
La capacità è l’idoneità ad essere destinatari di effetti giuridici.
Le persone fisiche acquistano la capacità giuridica con la nascita, le persone giuridiche
con il riconoscimento. La capacità giuridica, in particolare, è l’idoneità ad essere
titolare di diritti e doveri giuridici. La capacità di agire, che si acquista con la maggiore
età, salvo eccezioni, è l’idoneità a porre in essere atti giuridicamente rilevanti (es: un
contratto).
Esistono altre nozioni di capacità:
1) capacità penale è punibile per il reato commesso chi era capace di intendere e
di volere al momento del fatto;
2) capacità a delinquere potenzialità criminali di un delinquente;
3) capacità naturale capacità di intendere e di volere (anche nel diritto civile);
4) capacità processuale capacità di stare in processo;
5) capacità di decidere il proprio destino di recente configurazione, rileva per
esempio in ambiti delicati come il testamento biologico.
Capacità giuridica e di agire rappresentano due diversi modi di osservare la
soggettività giuridica, uno statico e l’altro dinamico, uno basato sulla possibilità di
esercitare il diritto e l’altro sul suo effettivo esercizio.
La capacità giuridica ricongiunge tra loro “corpo, ragione e proprietà”, cioè ciò che un
uomo è (corpo), ciò che vuole (ragione) e ciò che ha (proprietà), questo anche in
un’ottica cristiana.
CODICE
Il codice è una raccolta di norme che disciplinano una data materia, tale raccolta è
organizzata in modo organico e sistematico per renderle comprensibili e di certa
applicazione.
La parola codice deriva dal latino “caudex” ovvero la tavoletta cerata su cui si
scriveva tramite incisione. I primi codici importanti furono il Gregoriano e
l’Ermogeniano nel III e IV secolo d.C. , poi il Teodosiano ed il Giustinianeo nel V e VI
secolo. Nel diritto romano il diritto codificato era, comunque, affiancato dal diritto
consuetudinario, negli Stati moderni, invece, i codici si pongono come unica fonte del
diritto.
Il codice diviene lo strumento principale per mettere ordine nel diritto positivo.
Nel 1804 fu approvato in Francia il Code Napoleon, sul cui esempio vennero modellate
in tutta Europa codificazioni di diritto civile, processuale e penale, ciò anche in Italia,
dopo l’unificazione sabauda.
Oggi in Italia abbiamo 4 codici ufficiali: il codice civile, il codice penale, il codice di
procedura civile e di procedura penale più altre raccolte come il codice della strada,
della privacy etc.
COERCIZIONE
Il termine coercizione deriva dal latino “coercere” cioè reprimere, tenere a freno. Il
diritto istituzionalizza la coercizione garantendone la legittimità, le norme giuridiche
sono atte a coercire i loro destinatari, in quanto essi sono convinti della legittimità
della coercizione esercitata tramite il diritto.
Max Weber1 ritiene che esista un nesso inscindibile tra coercizione e potere, egli
distingue tra autorità, che implica obbedienza, e potere, che implica coercizione. Per
Weber il potere ha una funzione sociale generale e, quindi, la coercizione è
“disseminata” in ogni ambito della società.
Per Hans Kelsen2 il diritto è un ordinamento coercitivo, ma gli atti coercitivi devono
essere eseguiti solo in quanto ricorrano certe prederminate condizioni, solo allora la
norma sarà giuridica e, quindi, valida e legittima e non solamente efficace, cioè
produttiva di conseguenze.
Altri teorici, più recentemente, come Ronald Dworkin3, insistono sulla inscindibilità del
nesso tra diritto e giustizia e ritengono che l’obbligazione giuridica sia fondata sulla
piena uguaglianza di valori trai membri della comunità e sul comune principio di
giustizia, che determinano i diritti e le responsabilità dei cittadini.
COMMON LAW
Il linguaggio giuridico anglosassone distingue tra Common law e Civil law, ovvero tra
diritto elaborato dalla giurisprudenza e diritto codificato, basato sul diritto romano.
Sono Paesi di Common law, l’Inghilterra e gli Usa, gli altri, come l’Italia, la Francia o la
Germania hanno una tradizione secolare di Civil law.
Il Common law è più recente del Civil law, si è formato parallelamente allo sviluppo
dello stato nazionale inglese, esso non ha quei caratteri di astrattezza e “scientificità”
1 Maximilian Carl Emil Weber (Erfurt, 21 aprile 1864 – Monaco di Baviera, 14 giugno
1920) è stato un economista, sociologo, filosofo e storico tedesco.
2 Hans Kelsen (Praga, 11 ottobre 1881 – Berkeley, 19 aprile 1973) è stato un giurista
austriaco, tra i più importanti del Novecento e maggior esponente del normativismo.
3 Ronald Dworkin (Worcester (Massachusetts), 11 dicembre 1931) è un filosofo
statunitense.
ai quali il Civil law ha sempre teso, sin dalla sua origine, nel VI secolo d.C., però ha un
forte riscontro sul piano storico e dell’aderenza ai mutamenti del tessuto sociale.
Si parla anche di Professor’s law e di Lawyer’s law, cioè di diritto dei professori o degli
avvocati, per indicare, rispettivamente il Civil law ed il Common law. Il Common law
è, quindi, un diritto giurisprudenziale basato sullo studio dei casi pratici, è un sistema
aperto che si è sviluppato di pari passo all’espansione dell’impero coloniale britannico.
Esso, però, non è un diritto consuetudinario, è sempre il giudice a creare, in base ai
casi concreti, delle nuove regole.
Il Civil law si occupa prettamente di diritto privato, non conosce grandi codificazioni di
diritto pubblico prima del periodo dell’avvento delle Costituzioni in Europa.
CONSUETUDINE
La consuetudine è una modalità di produzione del diritto che trae origine dalla prassi
sociale, tramite la tacita e generale osservanza di una norma da parte della
collettività, anche se tale norma non è stata formalmente né deliberata né
promulgata.
La consuetudine è una fonte del diritto, definita “fonte-fatto” cioè un mero fatto
giuridico che determina la creazione di una norma giuridica (consuetudine secundum
legem4). La consuetudine abrogatrice di una norma (consuetudine contra legem),
invece, non è consentita nel nostro ordinamento. Si ha consuetudine in caso di una
condotta generale, uniforme e costante, cioè continua ed ininterrotta, da parte
dell’intera collettività. La condotta, inoltre, deve essere frequente e pubblica, in modo
tale che chi la pone in essere ritenga di esservi giuridicamente vincolato (opinio juris).
CONTRATTO
Il contratto è la figura più importante di negozio giuridico, ex art. 1321 c.c., “Il
contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un
rapporto giuridico patrimoniale”, esso, ex art. 1372 c.c., “ha forza di legge tra le
parti”.
Esaminiamo alcune tipologie di contratto:
 Contratti tipici o nominaticontrapposto a contratti atipici o innominati, si tratta
di contratti la cui fattispecie è disciplinata specificamente dal legislatore (Es: la
compravendita);
 Contratti a prestazioni corrispettive o sinallagmaticicontrapposto a contratti
con obbligazioni unilaterali o di una sola parte, si tratta di contratti in cui alla
prestazione di una parte corrisponde la controprestazione dell’altra (es: la
compravenditadazione del bene + pagamento del prezzo);
 Contratti a titolo onerosocontrapposto a contratti a titolo gratuito, si tratta di
contratti in cui una parte, per acquistare un beneficio, è tenuta a versare un
4 Esistono tre diversi generi di consuetudini:
 Consuetudo secundum legem (secondo la legge): è la consuetudine che opera
in senso integrativo della norma di legge: ad esempio laddove si sforza di dare
un significato particolare ad un elemento della norma per renderlo più adeguato
agli usi locali o alle mutate esigenze sociali (consuetudine interpretativa);
 Consuetudo praeter legem ("oltre la legge"): è quella consuetudine che
disciplina un ambito non ancora disciplinato dalla legge;
 Consuetudo contra legem ("contro la legge"): è quella consuetudine che opera
in direzione opposta al precetto legislativo.
corrispettivo (es: anche qui la compravendita, mentre la donazione è atto
unilaterale a titolo gratuito);
 Contratti di scambiocontrapposto a contratti associativi, nei primi la
prestazione è effettuata a vantaggio della controparte, nei secondi è finalizzata
al raggiungimento di uno scopo comune (es: atto di costituzione di una
società);
 Contratti commutativicontrapposto a contratti aleatori, nei primi le parti
conoscono dall’inizio con certezza l’entità delle reciproche prestazioni, nei
secondi invece vi è l’alea, l’incertezza su di essi (es: una scommessa);
 Contratti ad esecuzione immediatacontrapposto a contratti ad esecuzione
differita o contratti di durata, nei primi l’esecuzione delle obbligazioni si ha in un
unico determinato momento (es: compravendita), nei secondi, invece, le
obbligazioni si prolungano e si distribuiscono nel tempo (es: locazione abitativa
o contratto di lavoro subordinato);
 Contratti consensualicontrapposto a contratti reali, i primi si perfezionano con
la manifestazione del consenso (es: compravendita), i secondi con la dazione
del bene (es: pegno);
 Contratti ad efficacia realecontrapposto a contratti ad efficacia obbligatoria, i
primi hanno come effetto il trasferimento di un bene (es: compravendita), i
secondi fanno sorgere obbligazioni trai contraenti (es:contratto di lavoro
subordinato);
 Contratti a forma liberacontrapposto a contratti a forma vincolata, per la
validità di questi ultimi è necessario adottare la forma espressamente prevista
per loro nel codice civile (es: compravendita immobiliare, necessita la forma
scritta).
Nel nostro ordinamento vige il principio della libertà negoziale delle parti, la legge
dovrebbe solo supplire alle carenze di tale volontà o alla sua eventuale contrarietà a
norme di ordine pubblico, però esistono molte fattispecie, come, ad esempio, la
disciplina dell’equo canone nei contratti di locazione abitativa, che impongono
contenuti particolarmente vincolanti alle parti, non rispettando la loro autonomia
negoziale. Pur se motivati da fini di politica sociale, questi sono esempi in cui la
politica usa violenza al diritto.
COSTITUZIONE
Il termine Costituzione nell’accezione moderna si afferma solo alla fine del 18° secolo,
prima era un sinonimo di editto o decreto imperiale.
Si può intendere per Costituzione il tipo di ordinamento scelto dallo Stato ovvero
quella carta costituzionale che garantisce una limitazione del potere e protegge i diritti
fondamentali dell’individuo.
Il principio della sovranità popolare, portato al suo estremo, mal si concilia con delle
previsioni costituzionali ch impongano dei limiti al potere sovrano, si crea perciò, con
le rivoluzioni di fine 1700, una tensione tra costituzionalismo e sovranità popolare.
In Usa la Costituzione è al di sopra della legge ordinaria, vera espressione della
volontà del popolo sovrano.
Nell’Italia dello Statuto Albertino (1848) non vi era ancora una carta costituzionale che
si ponesse, come oggi, al di sopra della legge ordinaria. Dopo la catastrofe della 1°
guerra mondiale, si rende palese l’importanza del potere costituente appartenente al
popolo, a partire dalla Costituzione di Weimar del 1919 in Germania, si afferma il
modello della costituzione democratica, mediando tra sovranità popolare e limitazioni
costituzionali.
Nel 1900 Carl Schmitt5 ed Hans Kelsen portano avanti posizioni antitetiche, il primo
vede nel Presidente eletto dal popolo il garante della costituzione e del primato dello
Stato, il secondo, invece, propende per un sistema partitico, pluralista e per la
centralità del Parlamento, con un controllo di costituzionalità delle leggi affidato ad un
apposito tribunale costituzionale.
Queste due visioni convivono oggi nelle democrazie europee, prevale il pluralismo, la
centralità del Parlamento ed il controllo di costituzionalità delle leggi affidato in Italia
alla Corte Costituzionale. La Costituzione racchiude in sé un nucleo fondante di valori
che ispira i contemporanei orientamenti cosiddetti “neo-costituzionalistici”.
DANNO
Si intende per danno ogni lesione giuridicamente rilevante subita da un soggetto ad
opera di un altro soggetto. Il danno può derivare o dalla violazione di un obbligazione
contrattuale o da atto illecito, si tratta, rispettivamente, del danno contrattuale ed
extra contrattuale. Il primo viene risarcito sia per quanto riguarda il danno emergente,
cioè la perdita subita, che il lucro cessante, il mancato guadagno.
Il danno può essere patrimoniale o non patrimoniale, di cui è un esempio il danno alla
persona o il danno biologico, ossia la menomazione dell’integrità psico-fisica del
soggetto offeso, a prescindere dalla sua capacità di produrre reddito. Il danno
biologico comprende in sé un concetto giuridico ampio, comprensivo del danno alla
salute o del danno psichico.
Il danno morale è un danno alla persona legato alla commissione di determinati delitti
(es: contro l’onore) e può ricomprendere tutte le conseguenze che si ripercuotono
sulla vita sociale del danneggiato.
DECISIONISMO
Il decisionismo è una teoria che assegna un valore assoluto alla decisione, ovvero fa
prevalere l’elemento della volontà su quello della conoscenza. L’atteggiamento
decisionista compie le proprie scelte senza una previa attenta analisi dei fatti e degli
interessi in gioco.
Un teorico del decisionismo fu Carl Schmitt, secondo cui la decisione del sovrano è il
fondamento giuridico dello Stato.
Il normativismo, invece, al contrario, ritiene che il fondamento giuridico dello Statos ia
il diritto.
Secondo Schmitt l’esempio più classico di decisionismo lo ritroviamo nel Leviatano di
Thomas Hobbes6, in cui si dice che il caos regnante nello stato di natura può essere
superato solo grazie alle decisioni del sovrano e solo così si potrà creare la società
civile.
Il decisionismo nega anche la separazione tra la sfera giuridica e quella politica,
caposaldo del normativismo, perché qui il diritto stesso dipende dalle decisioni
politiche del sovrano.
Il sovrano, per Schmitt, è “colui che decide sullo stato di eccezione”, ossia in quel
frangente imprevisto che mette a repentaglio l’esistenza stessa dello Stato, lì il
5 Carl Schmitt, (Plettenberg, 11 luglio 1888 – Plettenberg, 7 aprile 1985), è stato un
giurista e filosofo politico tedesco.
6 Thomas Hobbes (Malmesbury, 5 aprile 1588 – Hardwick Hall, 4 dicembre 1679) è
stato un filosofo britannico, autore del famoso volume di filosofia politica intitolato
Leviatano (1651).
sovrano prende in mano le redini del problema e, sospendendo tutte le norme
ordinariamente vigenti, fa ciò che deve essere fatto per superare la situazione.
Il sovrano è “legibus solutus”, quindi, non è vincolato al rispetto delle leggi, nell’ottica
decisionista, è al di sopra della legge.
DEMOCRAZIA
Lo studio della democrazia, come forma di governo, è affidato alla filosofia della
politica ed alla scienza della politica. La teoria del diritto si concentra sullo studio della
“democrazia liberale”, ovvero l’insieme di regole sociali che portano a decisioni
collettive basate su concetti “universali”, come l’uguaglianza dei cittadini, la libertà nel
voto, l’esistenza di una reale alternativa trai programmi dei soggetti da eleggere, la
regola della maggioranza nelle decisioni, fermo restando il rispetto dei diritti delle
minoranze.
La sociologia politica studia il cd. “metodo contrattuale”, tipico delle democrazie più
avanzate, in cui si cerca l’accordo tra gruppi in base al principio del “do ut des”. In
una società pluralistica i grandi gruppi e le “lobbies” risolvono i loro conflitti con la
contrattazione, facendosi reciproche concessioni in vista del bene comune.
Il diritto, in quest’ottica, svolge una funzione di garante.
Le “democrazie degli altri” sono quegli esempi di forme di governo diffuse al di fuori
del continente europeo che si fregiano del nome di democrazie, ma non si basano in
realtà sul metodo elettivo.
DIRITTI FONDAMENTALI
I diritti fondamentali sono quei diritti che appartengono ad ogni uomo, sono
irrinunciabili ed indisponibili. La rivoluzione americana e francese hanno portato alla
luce il tema dei diritti fondamentali, oggi essi sono sanciti dalle convenzioni
internazionali, tra cui ricordiamo la Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU
del 1948, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali del 1950.
Esistono poi tantissime convenzioni internazionali a tutela dei soggetti deboli (es: i
rifugiati politici), volte ad educare alla pace ed al rispetto dei valori condivisi.
Classificando i diritti umani si parla di “generazioni”, la prima riguarda i diritti civili e
politici, la seconda quelli economici, sociali e culturali, la terza i diritti alla pace,
all’ambiente e alla comunicazione, la quarta i diritti di donne, minori e disabili, nonché
dei nuovi diritti legati alla bioetica.
Gli Stati non solo devono riconoscere i diritti fondamentali, ma devono compiere azioni
positive per tutelarli concretamente.
DIRITTO
Il diritto è una esperienza antropologica fondamentale caratterizzata dal fatto di
essere “una relazione tra pari”, la relazione giuridica è percepita dalle parti come
“doverosa”, non è basata sull’amore o sulla fede, ma è un legame interpersonale e
sociale che si radica nel reciproco interesse dei soggetti a mantenerlo attivo.
Il diritto individua delle regole comuni ai consociati, tra cui, prima di tutto, la regola
della parità. Il primo trai diritti è il diritto al nome, cosicchè ciascuno possa essere
riconosciuto dagli altri e possa auto-riconoscersi.
Anche le culture più primitive hanno una sorta di diritto, anche non scritto, perché
l’esigenza di dare delle norme e di sottrarsi all’arbitrio dei singoli è sempre stata
sentita nelle formazioni sociali umane, come pure l’esigenza di creare una
vincolatività, un sistema di regole cui si deve ubbidire.
Il diritto, quindi, ha un ruolo sociale di grande rilievo.
DIRITTO AMMINISTRATIVO
Il diritto amministrativo è quel ramo del diritto pubblico che si occupa
dell’organizzazione interna della pubblica amministrazione e dei rapporti tra essa e i
privati. Il soggetto pubblico si pone in una posizione di supremazia rispetto ai privati.
Il diritto amministrativo nasce, dapprima, per soddisfare l’esigenza di mantenere
numerosi privilegi per i soggetti pubblici, ciò in ossequio alla tradizione giuridica
francese, cosa che non ritroviamo negli ordinamenti anglosassoni, incentrati sulla
parità dei soggetti, tutti sottoposti al diritto comune.
DIRITTO GIURISPRUDENZIALE
Il diritto giurisprudenziale è quel diritto creato dai giudici nel corso della loro attività di
risoluzione delle controversie. E’ molto usato nei paesi di Common law. L’alternativa al
diritto giurisprudenziale è il diritto positivo codificato, secondo il paradigma francese
del Code Napoleon.
Per essere diritto giurisprudenziale, le decisioni dei giudici devono rivestire il carattere
di “precedente” a cui attenersi per i futuri casi simili, non devono essere mere
decisioni estemporanee dettate per un caso singolo.
Tramite il diritto giurisprudenziale si adatta il diritto ai mutamenti della società, si
superano eventuali lacune normative e si correggono errori e incongruenze (esempio:
con le sentenze della Corte costituzionale), esso è un importante strumento per l
completezza dell’ordinamento.
DIRITTO INTERNAZIONALE
Il diritto internazionale è una branca del sapere giuridico che ha trovato la propria
autonomia grazie a Ugo Grozio7.
Esso rappresenta quell’insieme di norme che regolano i rapporti tra soggetti collettivi
dotati di sovranità (gli Stati sovrani ed altre organizzazioni internazionali, come, ad
esempio, l’Ordine di Malta o l’ONU).
La comunità internazionale è:
1) necessariagli Stati ne fanno parte per il solo fatto di esistere;
2) universale tutti gli Stati ne fanno parte;
3) paritariamanca un’autorità centrale che si ponga in posizione di supremazia
sugli Stati.
Ai sensi dell’art. 10, comma 1, della Costituzione italiana “L'ordinamento giuridico
italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”,
tali norme sono norme internazionali di primo grado e consuetudinarie. Esistono, poi,
accordi, convenzioni e trattati internazionali, la cui fonte è il principio “Pacta sunt
servanda” (i trattati vanno rispettati). Quando sorge una controversia trai soggetti
dell’ordinamento internazionale, si attuano negoziati e procedimenti diplomatici
oppure si instaura un procedimento giudiziario a carattere arbitrale, deferendo l
controversia ad un organo apposito predeterminato.
Per l’attuazione coattiva del diritto internazionale all’interno dei singoli Stati lo
strumento precipuo è costituito dall’autotutela.
7 Ugo Grozio (Hugo Grotius, Huig de Groot, oppure Hugo de Groot) (Delft, 10 aprile
1583 – Rostock, 28 agosto 1645) è stato un giurista, filosofo e scrittore olandese.
Che natura ha il diritto internazionale? Ha carattere propriamente giuridico? I teorici
dello statalismo ritengono che esso valga solo nei limiti in cui ogni singolo stato lo
accetti e gli riconosca validità, perché ogni Stato è sovrano negli ambiti di
competenza; per altri studiosi è solo “un insieme di lodevolissime prassi” o, infine, è
un “diritto in fieri”, in divenire che diventerà veramente giuridico solo quando avrà
istituzionalizzato efficaci misure che ne impongano il rispetto da parte degli Stati.
DIRITTO OGGETTIVO
Il diritto oggettivo è quel particolare potere che l’ordinamento attribuisce ad un
soggetto, dandogli il potere di agire per soddisfare il proprio interesse individuale,
denominato “diritto soggettivo”. Esiste una norma che dà al soggetto quel diritto (Es:
di sfrattare l’inquilino moroso).
In senso più generale, si intende per diritto oggettivo l’insieme delle norme giuridiche
che garantiscono diritti ai consociati, organizzando in tal modo la vita sociale. Tali
norme sono giuridiche, e non meramente sociali o di costume, perché sono emanate
dall’autorità legittima a tale scopo costituita. Il diritto oggettivo racchiude in sé tutti i
rami dell’ordinamento (civile, penale, pubblico e processuale).
Kant8 definisce il diritto oggettivo come l’insieme delle condizioni per cui “l’arbitrio di
un soggetto può accordarsi con l’arbitrio di un altro secondo la legge universale di
libertà”. Kelsen, invece, afferma che il diritto oggettivo è l’insieme delle norme
dell’ordinamento positivo: solo se inserito nel diritto oggettivo, un diritto soggettivo
(quindi un interesse individuale) sarà meritevole di tutela.
DIRITTO PENALE
Il diritto penale qualifica azioni umane consapevoli e volontarie come reati, cioè come
azioni che infrangono la parità tra soggetti, che provocano danni e che sono
suscettibili di sanzione. La norma penale individua sia la condotta sia la sanzione, che
verrà inflitta al reo a conclusione di un processo. Questo differenzia il diritto penale
dalla mera vendetta, tipica dei sistemi sociali più semplici.
Esistono reati gravi, come l’omicidio, che ogni società riconosce come “delitti naturali”,
intollerabili dalla comunità umana.
DIRITTO PRIVATO-PUBBLICO
La dicotomia tra diritto privato e diritto pubblico ha origini antiche. Il diritto privato
regola i rapporti interprivati, quello pubblico attiene all’organizzazione politica.
Al centro del diritto privato c’è l’individuo, al centro del diritto pubblico c’è lo Stato.
Il diritto privato è un insieme di rapporti tra soggetti giuridicamente uguali, posti su
un piano di parità. Qui il protagonista è “il soggetto di diritto” e tutto si incentra sulla
dialettica tra diritti e doveri, tra sfera giuridica propria ed altrui.
Il diritto privato si divide in:
1) diritto di famiglia
8 Immanuel Kant (Königsberg, 22 aprile 1724 – Königsberg, 12 febbraio 1804) è stato
un filosofo tedesco.
Fu uno dei più importanti esponenti dell'illuminismo tedesco, e anticipatore - nella fase
finale della sua speculazione - degli elementi fondanti della filosofia idealistica.
2) diritto commerciale
3) diritto del lavoro
Oggi, anche alla luce del sempre crescente spazio della dimensione internazionale e
comunitaria, va ripensata l’idea stessa di diritto privato, in un’ottica che tenga conto
della società internazionale e della globalizzazione. Va ripensato, peraltro, anche il
diritto pubblico, perché il cittadino, a ben vedere, come affermava Kelsen, è
comunque membro della collettività nazionale e, quindi, parte dello Stato stesso, che
non può essere inteso come così radicalmente esterno e distante dai bisogni dei
cittadini.
Appartengono al diritto pubblico tutti quei rapporti in cui lo Stato interviene in via
ufficiale, in cui si crea un rapporto tra individuo e Stato.
Queste sono le ripartizioni del diritto pubblico:
1) diritto costituzionale;
2) diritto amministrativo;
3) diritto penale;
4) diritto tributario;
5) diritto processuale civile;
6) diritto processuale penale.
Oggi la nuova articolazione dello Stato è policentrica, lo Stato è “attore tra gli attori”,
ha una funzione regolatrice e, quindi, va ripensata la distinzione pubblico-privato in
un’ottica dinamica legata ai mutamenti della società contemporanea.
DIRITTO SOGGETTIVO
Il diritto soggettivo indica un complesso eterogeneo di situazioni in cui si trova un
soggetto rispetto all’insieme delle norme, egli rivendica un proprio spazio autonomo di
azione in quanto ciò gli è permesso dall’ordinamento, non gli è proibito, vi è
autorizzato etc. (es: diritto di proprietà). La sfera dei diritti soggettivi è propria di ogni
uomo, in quanto tale, ogni individuo dispone di un “dominium”, ossia di un potere
sulle cose, lo Stato, invece, dispone anche di “imperium” ossia di potere sulle persone.
DISOBBEDIENZA CIVILE
La disobbedienza civile è l’inosservanza generalizzata di una norma da parte dei
consociati, in risposta a scelte politiche che si ritengono ingiuste. Essa è una manovra
politica molto incisiva, perché ha grande rilievo pubblico e, tramite questo, si può
agire per cercare di modificare le scelte della classe politica dirigente. La
disobbedienza politica mira all’abrogazione di norme o a vistosi mutamenti nella
politica nazionale, essa deve essere non violenta, altrimenti sarebbe una rivoluzione.
Nei paesi occidentali è stata, nei tempi moderni, sempremolto tollerata, al fine di
toglierle quel carattere eversivo che la caratterizza e di smorzarne la portata
mediatica.
DOGMATICA
Il dogma è una verità di fede che si pone come principio cardine di ogni successivo
ragionamento teologico (es: la SS. Trinità), per analogia, la dogmatica è quella
corrente dottrinale che elabora ed interpreta i principi del sapere giuridico, tale
metodologia si discosta da quella del diritto naturale.
DOLO – COLPA
Nel nostro ordinamento i soggetti maggiorenni e sani di mente sono, generalmente,
responsabili per le azioni compiute con coscienza e volontà, perché ciò implica una
responsabilità soggettiva, legata, cioè, all’intenzione del soggetto che ha posto in
essere la condotta lesiva.
I delitti possono venire puniti per dolo o a titolo di colpa. Sussiste il dolo quando
l’evento che è conseguenza della condotta lesiva è previsto e voluto dall’agente (es:
omicidio volontario), sussiste la colpa quando tale evento non è voluto, ma si è
verificato per imprudenza, negligenza o imperizia del soggetto ovvero perché non ha
rispettato leggi o discipline che era tenuto ad osservare (es: omicidio colposo perché
guidavi senza patente).
ECONOMIA
Si può definire come “economica” qualsiasi forma di coesistenza sociale basata su
relazioni intersoggettive di carattere cooperativo, poste in essere per il reciproco
interesse degli agenti. Tale interesse è liberamente individuato e perseguito da
ciascuno.
Tutti i rapporti economici presuppongono un substrato giuridico, perché si creano
relazioni tutelate dall’ordinamento e reciproci diritti ed obblighi. Il contenuto dei
rapporti economici non è dato dal diritto, ma lasciato alla libera determinazione delle
parti, sono, pertanto, indebiti i vincoli normativi che la politica tenta di imporre
all’economia.
EFFETTIVITA’
Per “effettività” può intendersi sia l’osservanza di una norma da parte della
maggioranza dei consociati, sia, più compiutamente, un potere che si è stabilizzato ed
è stato accettato dai consociati come sistema vigente di distribuzione di responsabilità
e pretese. Le prime teorizzazioni sull’effettività risalgono alla pubblicistica tedesca del
1800. Il massimo studioso di questo tema è stato Hans Kelsen, che ritiene che
l’effettività sia una caratteristica intrinseca dell’ordinamento e che si debba superare
la concezione particolaristica degli ordinamenti giuridici ed accedere all’idea di un
ordinamento totale, evidenziando la dimensione comunitaria del fenomeno giuridico
ed al senso di obbligatorietà che il diritto deve suscitare nei consociati. In questo
modo non si correrà il rischio di radicalizzare il principio di effettività e di “ridurre il
diritto a mero fatto”.
EFFICACIA
L’efficacia è l’attitudine di un atto o di un evento a produrre effetti giuridici.
Gli atti sono tali in quanto provengono da una volontà umana giuridicamente
qualificato e possono essere unilaterali (es: un testamento) o plurilaterali (es: un
contratto), gli eventi possono essere avvenimenti naturalistici (es: un alluvione) o
anche comportamenti umani (es: guidare la macchina).
L’effetto ha una valenza sempre giuridica, a prescindere da quale ne sia la fonte,
“all’essere del fatto consegue il dover essere degli effetti”.
Si parla di efficacia, poi, anche in relazione alle sentenze, per indicare la loro
esecutività quando sono passate in giudicato: da quel momento in poi si è tenuti a
conformarvisi e tale adempimento può essere anche ottenuto coattivamente.
EGUAGLIANZA
L’eguaglianza indica la condizione di chi è soggetto alle medesime leggi ed al
medesimo trattamento. L’eguaglianza formale indica l’esistenza del principio di
uguaglianza, l’eguaglianza sostanziale la sua concreta applicazione.
L’eguaglianza si contrappone al privilegio ed alla discriminazione, non presuppone
l’identità trai soggetti, ma garantisce parità di trattamento anche in presenza di una
loro intrinseca diversità.
Gli elementi di diversità non vengono omologati o massificati, ma considerati nella
loro individualità, anche al fine di riparare e riequilibrare eventuali situazioni di
svantaggio, questo è compito dello Stato (es: sostegno ai disabili o borse di studio per
meno abbienti).
EQUITA’
Il concetto di equità è molto complesso, la si può intendere come una “virtù” che
tempera la rigidità della legge, mitigandola nel nome di una “giustizia ideale”, al fine
di evitare che venga commesso del male “nel nome della legge scritta”.
Un secondo modo per pensare all’equità, più giuridico, è intenderla come la
ripartizione migliore possibile di diritti, incarichi e obblighi trai consociati, è
l’individuazione del diritto da applicare al caso concreto, definizione che risale ad
Aristotele, il diritto astratto è qualcosa di rigido e l’equità lo rende più duttile ed
applicabile alle concrete esigenze. Come diceva Ulpiano, citando Celsio “Il diritto è
l’arte del buono e dell’equo”.
In Inghilterra l’equità (Equity) si contrappone alla rigidità del Common law, esse sono
in rapporto non verticale, ma orizzontale tra loro, divise per materie (es. common law
per il diritto penale, equity per il commerciale).
Nel diritto italiano il ricorso all’equità è lecito solo nel processo civile ed in casi ben
determinati, ad esempio, quando non ci sono criteri rigorosi per quantificare il
risarcimento del danno.
FATTO
Si indica come fatto ogni accadimento naturalistico o sociale che produca conseguenze
giuridicamente rilevanti. La fattispecie è, invece, “l’immagine giuridica del fatto”,
ovvero quanto previsto nella norma (es. mio: Delitto di Cogne = fatto, Omicidio
volontario aggravato dai rapporti di parentela e filiazione = fattispecie).
Quando l’accadimento è rappresentato da un’azione umana si parla di atto giuridico.
FINZIONE
La finzione è un artificio giuridico, legale o giurisprudenziale che attribuisce verità o
effetti giuridici a qualcosa che non esiste nella realtà o che si è verificato in modo
differente.
Ne è un esempio la posizione giuridica del nascituro concepito, che viene considerato
dal diritto civile come già nato (anche se ancora non lo è) per le azioni a tutela dei
suoi interessi oppure la presunzione di paternità di un bimbo nato trai 300 ed i 180 gg
dal matrimonio oppure, ancora, la cd “commorienza”, che viene in essere quando la
morte dei soggetti avviene per effetto di un unico incidente o infortunio senza che sia
possibile individuare con certezza il preciso momento del decesso di ciascuna di esse.
In tal caso le due persone si presumono morte nello stesso momento, al fine di evitare
irrisolvibili problemi successori.
FONTI
Le fonti del diritto sono tutti quegli atti o fatti che, all’interno di un ordinamento, sono
idonei a produrre norme giuridiche. Le fonti di cognizione sono i mezzi attraverso i
quali l’ordinamento assicura la conoscenza delle norme giuridiche vigenti
(Es:pubblicazione delle leggi sulla gazzetta ufficiale), le fonti di produzione sono le
vere e proprie fonti del diritto, poste in scala gerarchica tra di loro, secondo un
sistema piramidale:
1) Costituzione e leggi costituzionali
2) Leggi ordinarie, decreti legge e decreti legislativi
3) Regolamenti
4) Consuetudine
Affinchè un atto o un fatto giuridico possano assurgere alla qualificazione di fonti di
produzione del diritto è necessario che tale carattere gli sia attribuito da una fonte
normativa vigente nell’ordinamento interno o, anche, internazionale. Nel nostro
ordinamento esiste, infatti, una norma come l’art. 10 della Costituzione che, al comma
1, sancisce che “L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute”.
FORMA
La “forma”, in ambito giuridico, è la maniera di presentarsi di un atto, il modo in cui si
manifesta all’esterno (es: forma scritta). Il nostro ordinamento è improntato secondo
il principio della libertà di forma, nei contratti l’obbligo di utilizzare una determinata
forma rientra tra gli elementi essenziali solo quando è prescritto dalla legge a pena di
nullità. Alcune norme richiedono un obbligo di forma a pena di invalidità dell’atto
(forma ad substantiam), altre ai fini della prova dell’esistenza dell’atto stesso (forma
ad probationem). Nel primo caso si parla di “atti a forma vincolata”. L’esistenza di
vincoli di forma nel nostro ordinamento si giustifica in base ad esigenze di tutela sia
dei contraenti o delle parti in genere, sia della totalità dei consociati, affinché sia
garantita la certezza sull’esistenza e sulla validità degli atti a rilevanza giuridica.
Questo vale anche nei rapporti tra privati e Pubblica amministrazione ovvero nei
processi. Si parla di “formalismo giuridico” per indicare un approccio allo studio delle
diverse dimensioni della realtà giuridica incentrato sulla qualificazione formale della
norma e della realtà, non sui contenuti della stessa: una norma è giuridica perché è
inserita nell’ordinamento giuridico, perché è scritta nel codice. E’ evidente la
tautologia insita in un simile ragionamento circolare. Non bisogna mai perdere di vista
la dimensione sostanziale del diritto, sennò lo si svuota di ogni contenuto.
FORZA
Il termine Forza è spesso utilizzato nel mondo del diritto, ad esempio, si intende per
“forza di legge” il supremo carattere imperativo posseduto dalle norme, oppure per
“forza pubblica” o “forze armate” il potere di polizia ed esercito. Lo Stato, come diceva
Max Weber, ha il monopolio dell’uso legittimo della forza. L’uso della forza non
legittimo non è forza, ma violenza. La forza, legittimamente usata, deve conformarsi a
criteri di misura sia interni (deve essere dispiegata in modo controllato) che esterni (vi
deve essere legittimazione ad usarla).
GIUDICE
Il giudice è colui che è chiamato a “jus dicere” ossia a “dire il diritto” per dirimere una
controversia tra pari contrapposte.
I giudici sono organi pubblici, esercitano la funzione giurisdizionale in nome del potere
sovrano e sono scelti tramite un concorso pubblico. I giudici privati, invece, sono gli
arbitri, scelti dalle parti per comporre controversie.
I giudici possono esercitare in composizione monocratica (es: il giudice ordinario) o
collegiale (es: il Tar), i magistrati sono “giudici professionali”, esistono, poi, “giudici
occasionali” (es: gli esperti aggiunti alla Corte d’Assise, per i reati molto gravi) e
“giudici onorari” (es: i GOT – Giudici Onorari Tribunale – che vengono scelti tra ex
avvocati e altre simili professionalità per deflazionare la mole di lavoro nei tribunali).
I giudici possono essere civili, penali o amministrativi a seconda della materia di
competenza.
Il concetto di “giudice” non è sinonimo di “magistrato”, infatti non tutti i giudici, come
sopra evidenziato, sono magistrati e viceversa, non tutti i magistrati sono giudici, si
pensi ai PM, che sono magistrati esercenti la pubblica accusa penale.
Nel nostro ordinamento vige il principio del giudice naturale, ai sensi dell’art. 25,
comma 1, della Costituzione “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale
precostituito per legge”, ovvero le parti non possono “scegliersi il giudice” ma esistono
dei criteri prestabiliti di competenza per materia e per territorio.
Il giudice deve esercitare la propria funzione in modo imparziale ed indipendente,
esenti da qualsiasi influenza politica, economica etc.
Il giudice disciplinare che si occupa dell’operato dei magistrati è il CSM – Consiglio
superiore della magistratura, organo di autogoverno della stessa9.
GIURAMENTO
Il giuramento, nel mondo del diritto, costituisce una sorta di “valvola di chiusura” del
sistema, chi giura si assume un impegno solenne a dire la verità. Tale istituto era già
presente nell’ordinamento romano; il diritto italiano prevede un giuramento alla
Repubblica per chi si accinge a prestare una funzione pubblica o militare (es:
giuramento del Presidente della Repubblica o dei soldati o dell’interprete, prima di
rendere la traduzione). Esiste anche l’istituto del giuramento reso dalle parte del
processo civile ovvero anche dal testimone in quello penale.
Il giuramento è un atto a struttura triadica: colui che giura + il soggetto a cui si rende
il giuramento + l’Ente invocato (es: la Repubblica, Dio, la patria etc).
Il giuramento a Dio nei tempi moderni è stato gradatamente sostituito da quello alla
patria o alla Repubblica. Oggi, in realtà, il carattere triadico del giuramento si è un po’
perso, proprio per questo motivo, e somiglia più ad una promessa in cui ci si impegna
9 Art. 104 Costituzione: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e
indipendente da ogni altro potere. Il Consiglio superiore della magistratura è
presieduto dal Presidente della Repubblica. Ne fanno parte di diritto il primo
presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti
sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie
categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di
università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio.
Il Consiglio elegge un vice presidente fra i componenti designati dal Parlamento.
I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono
immediatamente rieleggibili. Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli
albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale”.
Art. 105 Costituzione: “ Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le
norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le
promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati”.
a dire la verità o a comportarsi in un dato modo. Tale struttura duale fa in modo che
non vi sia più un Ente sovraordinato che garantisce il rispetto dell’impegno assunto.
GIURISDIZIONE
La parola giurisdizione deriva dal latino “juris dictio” ovvero “dire da che parte sta il
diritto”, quale situazione del caso concreto vada tutelata dal giudice in una
controversia a lui deferita.
La dottrina moderna della giurisdizione è strettamente legata all’idea di Stato,
l’esercizio della giurisdizione spetta al potere giurisdizionale dello Stato, diviso dal
potere legislativo e da quello esecutivo in ossequio al principio cardine della
separazione dei poteri. L’attività giurisdizionale consiste nell’applicazione della legge al
caso concreto, il giudice ed il legislatore cooperano nella costruzione del diritto ed il
giudice è anche interprete del diritto, creando il cd. “diritto giurisprudenziale” che si
contrappone al “diritto legislativo”.
Una caratteristica tipica dei sistemi occidentali è la coesistenza di diversi sistemi di
giurisdizione all’interno di una medesima comunità unita a sistemi giurisdizionali
sovranazionali, come quelli inseriti nell’ONU o nell’UE.
GIURISPRUDENZA
Il termine giurisprudenza può essere inteso in 2 accezioni:
1) sapere giuridico in senso lato,
2) dottrina giuridica elaborata dagli studiosi accademici (cd. “giurisprudenza
dottrinale”) e dalle pronunce della magistratura, in particolare della Corte di
Cassazione.
Tale termine potrebbe venire sostituito da “scienza del diritto”, ritenendo che il sapere
giuridico sia un sapere autentico e scientifico.
Con la crisi dell’illuminismo
razionalistico è tramontata l’idea di poter costruire una “tavola di principi
giusnaturalistici assoluti” – idea portata avanti dalla Scuola del diritto naturale del
1500-1700 – che rendessero il pensiero giuridico assolutamente scientifico. La
corrente del Realismo giuridico, tra il 1800 ed il 1900, ha cercato di studiare il diritto
come fatto sociale, tramite le metodologie empiriche delle nuove scienze sociali, prima
fra tutte la Sociologia del diritto. La crisi della pretesa di una “scienza del diritto” si è
molto acuita nel corso del 1900 e vi è stata una riscoperta del concetto latino di
“prudentia” contrapposto a “scientia”: il diritto è interpretazione, è un sapere pratico
che nasce dalla riflessione sui casi concreti, volto non a creare assiomi geometrici, ma
a risolvere problemi di tipo relazionale, è una scienza vivente.
GIURISPRUDENZA DEI CONCETTI
Con questo nome si indica un movimento sviluppatosi in Germania verso la metà del
1800, influenzato dal pensiero idealista e formalista.
I teorici di tale scuola si proponevano di sviluppare una “dogmatica giuridica” , le
norme diventavano dei veri e propri dogmi scientifici. Un esponente di questa corrente
di pensiero fu Rudolf Von Jhering10.
Non si riscontra una completa omogeneità di vedute trai vari esponenti di questa
corrente di pensiero. Un contributo importante che essa ha fornito al sapere giuridico
moderno è stata l’elaborazione del concetto di “negozio giuridico”.
10 Rudolf von Jhering (Aurich, 22 agosto 1818 – Gottinga, 17 settembre 1892) è stato
un giurista tedesco, ultimo grande esponente della Scuola Storica.
Jhering, nella sua fase più matura, sviluppò il concetto di “giurisprudenza degli
interessi”, contrapposta a quella “dei concetti”: il fondamento del diritto è lo scopo, il
motivo sottostante ogni norma e struttura istituzionale. Tale scopo è dato dalle
necessità fondamentali che derivano dalla vita associativa e che, se non soddisfatte,
renderebbero impossibile l’umana coesistenza.
Da tali premesse Philipp Heck11 deriva che lo scopo del diritto è soddisfare le necessità
della comunità e, quindi, i principi giuridici di ogni comunità vanno derivati dalle loro
peculiari necessità, osservando il loro sviluppo storico e sociale, non calcolandoli in
astratto.
GIUSNATURALISMO
Sotto il concetto generico di Giusnaturalismo convivono molteplici teorie differenti tra
loro. Al moltiplicarsi delle teorie basate su un “diritto di natura” che è “l’unico diritto
giusto”, si sono sviluppate teorie critiche, come il positivismo giuridico.
La Scuola del diritto naturale portava avanti la pretesa di elaborare, con il mero uso
della ragione, un sistema di concetti giuridici fondamentali sempre intrinsecamente
validi, indipendentemente da una loro corrispondenza con uno specifico sistema di
diritto positivo. Con il decadere dell’Illuminismo tale scuola di pensiero, sorta nel
1500, declinò.
Secondo le teorie giusnaturaliste, esiste un diritto naturale distinto dal diritto positivo
vigente, è una sorta di “diritto non scritto” che reca in sé dei principi cardine molto
profondi e sempre validi, ad esempio “suum cuique tribuere” ovvero “a ciascuno il
suo”, da qui il vincolo tra etica e diritto. Le molteplici carte dei diritti, tipiche dei tempi
moderni, recano testimonianza dei principi di diritto naturali valevoli per ogni forma di
Stato e di governo.
GIUSTIZIA
Nel Digesto leggiamo la definizione di giustiza data da Ulpiano, essa consiste nel “dare
a ciascuno il suo” (“suum cuique tribuere”). Questo principio, che potrebbe sembrare
una mera tautologia (che si intende per “il suo”? Come si capisce cosa è tuo e cosa
non lo è?) invece è un principio forte ed aperto nei contenuti.
La giustizia è un principio secondo il quale su ognuno grava il dovere di riconoscere le
spettanze proprie di ogni altro essere umano e di fornire loro adeguata
considerazione. Solo così è possibile avere una coesistenza sociale. L’idea di giustizia è
innata nell’uomo, come lo sono altresì i concetti di verità o di bellezza. La giustizia
acquista una valenza intersoggettiva, venendo a regolamentare il rapporto trai
consociati, qualora le relazioni trai soggetti si oggettivizzino in forme tipizzate e
“reciprocabili”, quali sono i rapporti economici o quelli politici. Non si può parlare di un
principio di giustizia nei rapporti, ad esempio, di amore o di amicizia perché sono
relazioni fluide, molto accidentali e non tipicizzabili.
Ci sono 3 forme tipiche di giustizia:
1) giustizia commutativanei rapporti di tipo simmetrico (es: nei contratti);
2) giustizia distributivanei rapporti tra Stato e cittadini, in cui il primo
distribuisce servizi ai secondi;
3) giustizia legale nei rapporti tra Stato e cittadini, che hanno dei doveri, come il
rispetto delle leggi promulgate.
11 Philipp Heck (1858-1943), altro importante esponente della “giurisprudenza degli
interessi”.
GOVERNO
Da sempre la riflessione politica ha tentato di elaborare una sorta di classificazione
delle forme di governo, spesso anche per stabilire quale fosse la migliore. Sia Polibio,
che Erodoto, Platone ed Aristotele hanno sviluppato classificazioni tra “forme di
governo buone” (monarchia, aristocrazia e democrazia) e “corrotte” (tirannide,
oligarchia e governo demagogico o delle masse). Per Polibio, inoltre, le varie forme di
governo si susseguono storicamente in modo ciclico. Nel Medioevo si ripropone questo
schema classico, poi, con Machiavelli12, all’inizio del pensiero moderno si passa dalla
tripartizione (monarchia, aristocrazia e democrazia) ad una bipartizione tra principati
(monarchie) e repubbliche (aristocrazia e democrazia), la teoria ciclica viene
accantonata e la “forma ideale di Stato” si ritiene che venga determinata in base alle
tensioni tra le forze sociali concretamente presenti in ogni Stato.
Per Hobbes non ci sono forme di Stato buone o cattive, ma ciò che conta è che la
sovranità sia assoluta ed indivisa, per Montesquieu13, invece, il principio di
separazione dei poteri è l’unico che garantisce la libertà e preserva dal dispotismo.
L’esperienza storica del XX secolo ha portato in primo piano la contrapposizione tra
democrazia e dittatura, attraverso gli orrori del nazismo o del comunismo russo. Il
modello ideale di democrazia è caratterizzato dalla piena realizzazione dei valori di
uguaglianza e libertà, portati avanti dallo stesso principio di maggioranza, tipico della
democrazia, e garantiti dal pluralismo politico.
GRAZIA
La grazia è il potere insindacabile attribuito al sovrano di non far scontare ad un reo la
sanzione prevista ovvero di accorciarne la durata. Il principio alla base della grazia ha
un’origine palesemente teologica, facendo riferimento al perdono concesso da Dio alle
colpe degli uomini e trasferisce in capo al sovrano quell’aura di insindacabilità propria
della divinità. Generalmente l’uso pratico del potere di grazia è sempre stato
finalizzato ad attrarre la benevolenza dei sudditi. L’unico modo per giustificare in
chiave non teologica ma giuridica il potere di grazia è ipotizzare che, in casi
eccezionali, essa realizzi una “miglior giustizia” rispetto alla sentenza di condanna
emessa dal giudice competente.
ILLECITO
L’illecito è un atto che altera l’equilibrio della coesistenza sociale. Giuridicamente, si
compie un illecito qualora si violi una norma, nella quale è indicata anche la sanzione
per l’ipotesi di violazione.
L’illecito può essere civile o penale, il primo è la violazione di regole poste a tutela di
interessi privati, il secondo di regole fondamentali per la coesistenza sociale.
Per compiere un illecito bisogna porre in essere una condotta cosciente e volontaria,
nell’ambito del reato penale, l’illecito si concreta in quella condotta che lede un bene
giuridicamente tutelato e da cui l’ordinamento fa discendere l’applicazione di una
sanzione predeterminata. Si può compiere un illecito sia con una condotta attiva che
12 Niccolò di Bernardo Dei Machiavelli (Firenze, 3 maggio 1469 – Firenze, 21 giugno
1527) è stato uno scrittore, drammaturgo e politico italiano.
13 Charles-Louis de Secondat, barone de La Brède et de Montesquieu, meglio noto
unicamente come Montesquieu (La Brède, 18 gennaio 1689 – Parigi, 10 febbraio
1755), è stato un filosofo, giurista, storico e pensatore politico francese. È considerato
il fondatore della teoria politica della separazione dei poteri.
omissiva, quando non si impedisce un evento “che si aveva l’obbligo giuridico di
impedire”.
Ai sensi dell’art. 27, comma 1, della Costituzione14 “la responsabilità penale è
personale”, pertanto non si può essere penalmente responsabili per fatti compiuti da
altre persone.
Dal punto di vista civilistico, è illecito qualsiasi comportamento che violi una norma
imperativa di diritto privato, chi commette l’illecito soggiace alla responsabilità civile,
per i danni provocati, avendo agito con coscienza e volontà ovvero con negligenza
(colpa).
Dal punto di vista internazionale, infine, l’illecito consiste nella violazione di una norma
internazionale da parte di uno Stato, indipendentemente dal fatto che ne sia derivato
un danno morale o materiale.
IMPARZIALITA’
E’ più semplice descrivere il concetto di imparzialità partendo da una connotazione
negativa(es: mancanza di coinvolgimento personale); l’imparzialità è la combinazione
tra obiettività e giustizia: chi è imparziale fornisce un giudizio obiettivo, basato su
ragioni adeguate, che potrebbe ben estendersi ad altri casi analoghi e che è, quindi,
universalizzabile.
L’imparzialità è un criterio interno di articolazione del giudizio ed è garantita dal fatto
di esplicitare le motivazioni che hanno condotto alla decisione, essa è determinata
dall’uguaglianza di tutti davanti alla legge, dalla separazione dei poteri, che evita
indebite ingerenze politiche nell’operato dei giudici, infatti il giudice è “soggetto solo
alla legge”, non “allo Stato”.
Spesso si confonde il concetto di imparzialità con quello di neutralità, caratteristica del
moderno Stato liberale che ha trai propri doveri fondamentali quello di non orientare
le concezioni o gli stili di vita dei propri cittadini.
IMPUTAZIONE
Il principio di imputazione va di pari passo con quello di causalità: ogni evento ha una
causa e ogni evento prodotto da un agire umano va imputato a qualcuno.
L’imputazione opera sia su un piano oggettivo (il soggetto A è autore dell’azione B)
che soggettivo (il soggetto A è imputabile dell’azione B), il piano dell’imputabilità si
collega a quello della responsabilità, non tutti i soggetti sono imputabili e responsabili,
ad esempio, non lo sono i minori (non completamente) ed i malati di mente.
Non puoi essere imputabile se la tu azione non si è svolta in modo libero.
Con la parola “imputazione” si intende, poi, nel lessico processuale penale la
formulazione dei capi d’accusa in capo all’imputato, che gli va formalmente
comunicata affinché possa esercitare il proprio diritto alla difesa.
INFORMATICA GIURIDICA
L’informatica è la disciplina che studia l’informazione, con particolare riferimento
all’elaborazione ed alla trasmissione elettronica di dati.
14 Articolo 27 Costituzione: “La responsabilità penale è personale.
L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono
tendere alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte”.
L’informatica giuridica nasce come scienza nel 1946, quando Norbert Wiener15
accennò alla possibile valenza giuridica dell’informatica, poi, qualche anno dopo, Lee
Loevinger16 affermò di voler fondare la scienza della “giurimetria”, proponendo di
mettere le nuove tecnologie informatiche al servizio delle agenzie antitrust.
L’applicazione di ciò fu elaborata in Italia presso il CED – Centro elettronico di
documentazione – della Cassazione, con sede a Roma e, a livello teorico, la nuova
scienza fu collocata come disciplina di pertinenza della filosofia del diritto.
Tutti i rami del diritto sono coinvolti dall’informatica, si pensi, ad esempio, al
controverso braccialetto elettronico per i detenuti o alle nuove sfide dell’egovernment.
L’informatica giuridica non deve essere intesa come uno studio minuzioso di ogni
ambito legale in cui si opera un riferimento all’informatica, ma dovrebbe spaziare su
nuovi campi, come la regolamentazione di internet creando un “diritto della rete” non
un “diritto del computer”, così come esiste un “codice della strada” non un “codice
delle automobili”, il computer è solo uno strumento, è il suo utilizzo che va
regolamentato.
INTERESSE
Il termine interesse indica la posizione soggettiva che si ha nei confronti di un bene
della vita a cui si aspira o di cui si vuole godere. Esiste un interesse pubblico ed un
interesse privato. Del primo è sempre titolare la Pubblica amministrazione, del
secondo i privati cittadini. Non tutti gli interessi privati ricevono tutela
dall’ordinamento. Gli interessi di mero fatto non sono tutelati, ma lo sono tutte quelle
situazioni giuridiche soggettive dotate di rilevanza giuridica, vale a dire gli interessi
legittimi ed i diritti soggettivi.
L’interesse legittimo è la pretesa alla legittimità dell’esercizio del potere
amministrativo e viene riconosciuto a quel soggetto che si trova in relazione con la
Pubblica amministrazione e con l’esercizio del suo potere discrezionale (es: soggetto
che ha richiesto al Comune l’autorizzazione ad aprire un esercizio commerciale).
Gli interessi legittimi si distinguono in:
- pretensivi(esempio di cui sopra) il soggetto vuole ottenere dalla Pubblica
amministrazione un atto ampliativo della sua sfera giuridica;
- oppositiviil soggetto vuole ottenere dalla Pubblica amministrazione la
rimozione di un atto che ha leso la sua sfera giuridica (es: proprietario di un
fondo che è stato espropriato).
La Cassazione con la notissima sentenza 500/1999 (e seguenti pronunce analoghe),
ha stabilito l’importante criterio che qualsiasi danno da lesione di interesse legittimo è
sempre risarcibile, ponendo fine ad un’annosa querelle dottrinaria e giurisprudenziale.
Trai diversi tipi di interesse ricordiamo gli interessi diffusiad esempio alla tutela
dell’ambiente, alla salute, sono stati a lungo “adespoti” cioè privi di un soggetto che
15 Norbert Wiener (Columbia, 26 novembre 1894 – Stoccolma, 18 marzo 1964) è
stato un matematico e statistico statunitense. Famoso per ricerche sul calcolo delle
probabilità ma soprattutto per gli sviluppi dati, insieme al suo allievo Claude Shannon,
alla teoria dell'informazione essendo riconosciuto come il padre della cibernetica
moderna.
16 Lee Loevinger (1913 – Washington, 26 aprile 2004) è stato un magistrato e
avvocato statunitense. Si devono a Loevinger le prime riflessioni, già nel 1949, sul
rapporto tra diritto e tecnologie informatiche, con una nuova scienza, che aveva
battezzato «jurimetrics» (giurimetria) per definire l’utilizzazione dei metodi delle
scienze esatte e in particolare dell’informatica nel campo del diritto.
ne fosse validamente titolare, perché essi sono, in fondo, espressione dell’intera
collettività. Attraverso interventi normativi si è riconosciuta tutela a tali interessi, per
il tramite delle associazioni di ci consumatori, del Ministero dell’ambiente e di vari enti
esponenziali.
Esiste, infine, l’interesse ad agireil soggetto titolare di un determinata situazione
giuridica soggettiva ha interesse a tutelarla in sede processuale, ad esempio, citando
in giudizio chi vuole ledere il suo diritto. L’interesse ad agire è la situazione di chi ha
interesse ad attivare un procedimento giudiziario per difendere un suo diritto.
INTERPRETAZIONE
L’interpretazione, in senso giuridico, è un processo volto ad accertare il significato di
un testo normativo. Il senso delle norme deve essere chiaro ed univoco, se così non è
si utilizzano i criteri interpretativi (art. 12 disposizioni sulla legge in generale 17)
Il giurista è colui cui è affidata l’attività di interpretazione delle norme, qualora esse
siano oscure e/o contraddittorie o lacunose, egli deve utilizzare i criteri previsti, che
sono dei canoni interpretativi di natura logico-razionale, molto rigorosi, finalizzati a
garantire l’esattezza dell’interpretazione e a renderne possibile il controllo da parte di
organi a ciò preposti. L’interprete, infatti, non dovrebbe sostituirsi al legislatore, ma
solo fare chiarezza se necessario.
La teoria dell’interpretazione assurge ormai al rango di scienza autonoma, in effetti
l’interprete non ha un mero ruolo passivo, in realtà, ma ha un ruolo creativo perché
spesso attribuisce un significato a norme che, così come sono redatte, non ne hanno o
non ne hanno uno chiaro ed univoco. Quindi, bisogna a malincuore ammettere che
anche l’interprete crea il diritto e tale prerogativa non è più solo del legislatore. Le
nuove prospettive sull’interpretazione ci inducono a ripensare le concezioni
tradizionali.
In particolare, è il giudice, più che il giurista teorico, a svolgere questa funzione
creativa, con le sentenze che decidono, concretamente, quale interpretazione far
prevalere nel caso concreto. Il giurista teorico, invece, può solo proporre
un’interpretazione, ma non può mai imporla. Il legislatore, a differenza degli altri due,
invece, può sia proporre che imporre una determinata interpretazione.
Ma esiste un’interpretazione vera in senso assoluto?
Come si può evitare ogni rischio che il giudice interpreti in modo arbitrario gli
enunciati normativi? Il giudice deve “rendere giustizia” non solo a quel determinato
testo normativo, ma ai principi ed alle aspettative di giustizia presenti nella storia e
nella società degli uomini. Il giurista/interprete modifica la realtà, ma deve farlo
“ubbidendole”, cioè sforzandosi di dare quell’interpretazione della norma che sia in
grado di “salvare” la norma stessa, non di stravolgerla arbitrariamente.
Il giurista opera secondo “fedeltà” al diritto, allo jus rispetto alla lex, al diritto non
scritto e “naturale”, che affida agli interpreti la difesa delle sue istanze.
ISTITUZIONALISMO
17 Art. 12 Interpretazione della legge: “Nell'applicare la legge non si può ad essa
attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole
secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.
Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha
riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso
rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico
dello Stato”.
L’Istituzionalismo è la dottrina per la quale l’essenza dei fenomeni giuridici può essere
individuata soltanto nella sintesi tra struttura sociale e forma giuridica, insieme, non in
singoli elementi dell’una o dell’altra.
Il primo teorico dell’istituzionalismo è stato Maurice Hauriou18, che ha tematizzato
l’esistenza di organismi sociali, come lo Stato o la famiglia, accomunati da una logica
intrinseca: la società umana si conserva nel tempo istituzionalizzandosi, ovvero
costruendosi un sistema equilibrato e duraturo di poteri e dotandosi di un proprio
ordinamento.
Santi Romano19, invece, pone l’accento sulle funzioni giuridiche svolte dalle istituzioni,
il diritto nella società è la prima condizione essenziale per l’esistenza di un
ordinamento, “ubi societas ibi jus” e viceversa. Non ci può essere un società senza il
diritto, che è il primo strumento di organizzazione sociale ed è in un nesso inscindibile
con le istituzioni.
LACUNE
La lacuna è una carenza interna all’ordinamento, manca una norma che disciplini
alcune fattispecie.
E’ inevitabile la presenza di lacune, visto che la società si evolve molto rapidamente e
si creano sempre nuove fattispecie (si pensi alle nozze tra gay o al testamento
biologico, prima impensabili), l’ordinamento non è un sistema statico, ma dinamico
che si completa con il passare del tempo, la completezza è un obiettivo a cui tendere,
non un dato da cui partire. L’ordinamento giuridico può essere integrato attraverso 2
tipi di strumenti:
1) mezzi auto-integrativicome l’analogia legis, si utilizzano disposizioni
normative previste per casi simili. Vi rientrano i criteri di cui all’art. 12 preleggi;
2) mezzi etero-integrativisi utilizzano disposizioni di altri ordinamenti o fonti
diverse dalla legge (es: consuetudine - equità)
Si può, comunque, sottolineare che entrambi i tipi di strumenti appartengono,
comunque, al mondo del diritto, quindi la distinzione sopra elencata non è da tutti
condivisa.
LEGALITA’
La legalità, in senso lato, è la conformità di un’azione alle norme vigenti.
Il principio di legalità è uno dei cardini dello Stato di diritto ed in base ad esso tutti gli
organi dello Stato che esercitano un pubblico potere sono tenuti ad agire nell’ambito
delle leggi. Anche il potere legislativo vi è tenuto, in quanto vincolato al rispetto delle
norme costituzionali. Nessuno è “legibus solutus”.
Come diceva Weber, il principio di legalità assicura la certezza del diritto e
l’uguaglianza formale dei consociati.
Un atto è “legale”, quindi conforme alla legge, quando:
1) non contrasta con nessuna disposizione di legge (Principio di preferenza della
legge);
2) (oppure) è autorizzato dalla legge (principio di legalità formale);
18 Maurice Hauriou (Ladiville, 17 agosto 1856 – Tolosa, 12 marzo 1929) è stato un
giurista e professore di diritto francese divenuto celebre per la sue teorie
sull'istituzione e sulla consociazione.
19 Santi Romano (Palermo, 31 gennaio 1875 – Roma, 3 novembre 1947) è stato un
giurista italiano.
3) (oppure) è predeterminato nella forma e nel contenuto dalla legge (principio di
legalità sostanziale).
LEGGE
La parola legge potrebbe derivare dal latino lex che, a sua volta, ha mutuato la radice
di lego, verbo greco che significa “dire”, oppure, ancora, potrebbe derivare dal latino
ligare, cioè legare, vincolare.
Si usa sempre la parola legge sia per le norme giuridiche sia per le leggi scientifiche o
naturalistiche, perché ad entrambe è comune il carattere di necessità del verificarsi
degli effetti e della generalità della loro applicazione.
Le leggi giuridiche, però, pongono l’ordine come loro finalità ed orientano all’ordine
l’azione individuale, quelle naturalistiche, invece, si limitano a descrivere tale ordine.
Il termine legge si usa molto come sinonimo di “prescrizione”, come imposizione di un
“dover essere”. La legge pratica è un “imperativo categorico” basato sui principi
universali di ordine.
Le caratteristiche proprie della legge sono:
1) la generalitànon si riferisce mai ad un singolo individuo;
2) l’astrattezzadescrive un fatto tipizzato (un fare o un non fare);
3) l’imperativitàla legge contiene un comando per i suoi destinatari;
4) la novitàse si introduce in un corpus, in un codice, una nuova norma, lo si fa
per creare una nuova disciplina, non per una mera esecuzione o reiterazione di
norme già presenti.
LEGITTIMITA’
Il termine legittimità è molto usato nella politica per alludere alle situazioni in cui tutti
i consociati riconoscono il fondamento del potere politico che li governa, o sulla base
di una indicazione divina, come avveniva nell’antichità o perché è stato eletto nel
rispetto delle prescrizioni normative vigenti oppure, come sottolineava Weber, per il
“potere carismatico” che il governante esercita sui consociati (es: Napoleone).
Nella terminologia giuridica, la parola legittimità indica la conformità di un atto della
Pubblica amministrazione alle leggi che lo regolano. Un atto illegittimo è annullabile,
su istanza del privato cittadino leso da tale atto e per decisione del TAR o del Consiglio
di Stato. L’attività discrezionale della Pubblica amministrazione non può essere
sindacata dai giudici amministrativi. I vizi di legittimità degli atti amministrativi sono:
1) violazione di leggel’atto è emanato in contrasto con la normativa di
riferimento.
2) eccesso di potereracchiude in sé varie figure, l’atti è sviato dal suo scopo di
tutela del pubblico interesse;
3) incompetenzal’atto è emanato da un organo incompetente ad emanarlo.
LIBERALISMO
Il liberalismo è quella visione del mondo che vede nella libertà il valore cardine di ogni
esperienza umana, sia religiosa, sia giuridica, politica o economica.
Il nucleo fondamentale di tali libertà è costituito dalle libertà personali, diritti
fondamentali ed inalienabili, che spettano ad ogni essere umano.
Nel campo del diritto pubblico si vedono chiaramente le ripercussioni del liberalismo
sulla politica, si insiste sulla necessità di porre limiti ai poteri dello Stato, tramite il
Costituzionalismo o, addirittura, il Federalismo – versione del liberismo Statunitense –
per frammentare i poteri tra centro e periferia e garantire, in tal modo, i cittadini nei
riguardi del potere centrale.
Anche la teorizzazione dello Stato di diritto va ricondotta al liberismo: Lo Stato ha
come primo dovere il rispetto delle libertà dei consociati e deve agire sempre secondo
le leggi. Il Costituzionalismo è espressione dello Stato di diritto e della tutela delle
libertà fondamentali sancite dalla Costituzione, che prevale sulle leggi ordinarie.
Le nuove dinamiche di globalizzazione, però, stanno togliendo in parte peso alle teorie
liberaliste, basate sull’individualismo, in favore di una visione “comunitarista”. Ciò
impone una nuova formulazione del paradigma liberale.
MARXISMO GIURIDICO
Il diritto, per Marx20, è una sovrastruttura che può essere compresa solo
riconducendola alla struttura materiale ed economica della società. Tutto si incentra
sui rapporti di produzione, sulla proprietà delle forze produttive, capitale e lavoro. Ad
esempio, un istituto come la proprietà privata non è un concetto di diritto naturale
connaturato all’uomo, m al’espressione di un certo grado di sviluppo della società
umana. Si può correttamente parlare di una critica Marxista al diritto ed all’economia,
la presunta autonomia del diritto serve solo a creare una “falsa coscienza” che
impedisce, un po’ come la religione che è “oppio dei popoli”, alla gente di vedere la
reale condizione umana.
Questo paradigma di pensiero è declinato dopo il crollo del comunismo sovietico e ci si
è orientati ad una visione capitalistica, tanto avversata da Marx.
NEGOZIO GIURIDICO
Il negozio giuridico è quell’atto umano posto in essere responsabilmente, con
l’intenzione che da esso sorgano specifici effetti giuridici previsti dall’ordinamento.
Esistono negozi giuridici costitutivi, modificativi ed estintivi a seconda che siano volti a
creare, modificare o estinguere degli effetti giuridici. Possono essere unilaterali,
bilaterali o plurilaterali, a seconda del numero delle parti coinvolte oppure, ancora,
inter vivos se stipulati tra viventi (es: un contratto) o mortis causa se sorti in
conseguenza di un decesso (es: un testamento).
Dalla seconda metà del 1800 la teoria del contratto ha preso piede più di quella del
negozio giuridico, dal momento che il contratto rappresentava il luogo primario dello
scambio e, quindi, ebbe grande rilevanza soprattutto nella dottrina legata allo
sviluppo del codice di commercio tedesco.
E’ stato così man mano eroso il concetto di negozio giuridico come categoria unitaria e
si è disperso il concetto nelle mille sfaccettature dei vari tipi di contratti ed atti
negoziali. Parimenti, l’idea di un soggetto giuridico unico si è andata frammentando
nelle varie “identità” che un soggetto assume a seconda dei ruoli che ricopre nella
società.
La costruzione dottrinaria del negozio giuridico rappresenta, comunque, un geniale
prodotto della coscienza giuridica perché la teorizzazione di una simile categoria
unitaria favorisce la reale condizione di parità trai soggetti di diritto.
NORMA
20 Karl Heinrich Marx (Treviri, 5 maggio 1818 – Londra, 14 marzo 1883) è stato un
filosofo, economista e rivoluzionario tedesco.
Il suo pensiero è interamente retto, in chiave materialista, sulla critica all'economia,
alla politica, alla società e alla cultura contemporanea. Teorico del Socialismo
scientifico e della Concezione materialistica della Storia. È considerato tra i filosofi
maggiormente influenti sul piano politico e filosofico nella storia del Novecento.
In latino la parola “norma” indicava il punto di riferimento per misurare un’opera in
fase di progettazione o costruzione, solo più tardi è divenuta sinonimo di “regola” ed è
diventata un concetto giuridico.
A livello astratto, con “legge” si dovrebbe intendere una regolarità (es: legge di
gravità), con “norma” una regola di condotta da osservare.
Esistono anche norme non giuridiche, esempio, le norme morali.
Per quanto concerne le norme giuridiche nei secoli 19° e 20° si è sviluppata la
corrente dell’ “imperativismo” secondo cui sono norme giuridiche quei comandi
imposti dall’autorità riconosciuta.
Kelsen ha sviluppato la famosa formulazione della norma “Se è A, allora deve essere
B” in cui la doverosità giuridica sta nel fatto che non si tratta di un mero nesso di
causalità naturale, ma la conseguenza B è “comandata” dall’autorità e i destinatari
possono essere coerciti per ottenerne l’ubbidienza.
Ma da cosa deriva questa obbligatorietà che è la principale caratteristica di ogni norma
giuridica? Dalla legittimità del potere che l’ha emanata? Dalla stessa esigenza di
sopravvivenza della società umana? Da una teoria della giustizia innata nella natura
dell’uomo stesso? Ci sono varie scuole di pensiero e non si può dare una risposta
univoca a questo interrogativo.
NORMATIVISMO
Il normativismo è la più elaborata e formalmente perfetta formulazione del
positivismo giuridico. Si sviluppò a cavallo tra 1700 e 1800 e ne furono esponenti
Jeremy Bentham21 e John Austin22, inizialmente, e poi, nel 900, Hans Kelsen, secondo
il quale l’ordinamento statale è un perfetto sistema piramidale di norme strutturate
nella forma “ se A allora B”, in cui A è la regola e B la sanzione.
Per Kelsen il diritto può avere qualsiasi contenuto, l’importante è che si tratti di norme
legittimamente contenute nell’ordinamento. Kelsen inseguiva la pretesa di fare del
diritto una “scienza pura” autonoma da ogni condizionamento morale o sociologico o
storiografico e simili. La crisi di un paradigma così assoluto di scienza ha in parte
svuotato di senso le teorie Kelseniane.
NULLITA’
Un atto giuridico nullo è, in generale, un atto giuridico non valido, ma vediamo nel
dettaglio che l’invalidità dà luogo a diverse conseguenze:
1) inesistenza dell’attomanca proprio un requisito essenziale dell’atto (es:
matrimonio tra un uomo e un animale);
2) nullità dell’attol’ordinamento valuta in modo negativo gli interessi veicolati
da quell’atto (es: illiceità della causa) e vuole tutelare, annullandolo, gli
interessi generali;
3) annullabilità dell’attoqui l’atto è invalido a tutela degli interessi di una delle
parti (es: errore essenziale sulle qualità dello sposo) per la quale il negozio è
sorto in modo difforme da quanto previsto.
La nullità può essere totale, se colpisce l’intero atto, o parziale, se colpisce solo una
sua parte (es: una clausola di un contratto). Può essere originaria, insorta dall’inizio, o
successiva, sopravvenuta in un secondo momento.
21 Jeremy Bentham (Spitalfields, 15 febbraio 1748 – Londra, 6 giugno 1832) è stato
un filosofo e giurista inglese.
22 John Austin (Creeting Hill, Suffolk, 1790 – Wegbridge, 1859) è stato un giurista e
filosofo britannico.
OBBLIGO
Secondo la nota definizione latina di obbligazione: “Obligatio est iuris vinculum, quo
necessitate adstringimur alicuius rei solvendae secundum iura nostrae civitatis”23.
L’obbligo rappresenta la situazione giuridica in cui versa il soggetto che è obbligato.
Le norme esprimono obblighi giuridici sia direttamente (E’ vietato fumare) sia
indirettamente (Chiunque cagioni … è soggetto alla pena di …). Secondo Kelsen le
norme che esprimono un obbligo senza indicare la relativa sanzione in caso di
inosservanza sono inutili.
Vediamo 3 importanti termini deontici (cioè espressione del “dover essere”):
1) divietoè obbligatoria l’omissione dal comportamento X;
2) permessonon è obbligatoria l’omissione dal comportamento X;
3) facoltàpuoi porre in essere o omettere il comportamento X.
Chiaramente non può esistere in un sistema giuridico l’obbligo di compiere un
comportamento vietato e un comportamento obbligatorio dovrà necessariamente
essere anche permesso.
L’obbligo non è la stessa cosa della necessità, quest’ultima, infatti, indica la mancanza
di una libertà di scelta (es: una legge fisica è necessaria, non puoi disubbidirle).
OBIEZIONE DI COSCIENZA
Anche qualora la legalità di una legge sia posta in discussione per via del suo carattere
di manifesta ingiustizia (es: leggi razziali), non viene meno per i consociati il dovere
giuridico di osservarla.
Però, oggi, è possibile criticare le leggi ingiuste, operando, nei limiti delle proprie
possibilità e competenze, affinché vengano abrogate o modificate.
Inoltre, qualora tale legge sentita come ingiusta, provochi esiti di gravissima ed
insanabile ingiustizia è possibile opporre la propria obiezione di coscienza: si dice no
alla legge, ma si dice sì al diritto. In Italia l’obiezione è stata tradotta in una sorta di
“auto esentarsi” dal porre in essere la pratica che si ritiene ingiusta.
Esempi di obiezione di coscienza in Italia sono quella relativa al servizio militare,
all’aborto, alla sperimentazione sugli animali.
ORDINAMENTO GIURIDICO
L’ordinamento giuridico costituisce un insieme strutturato di norme.
Esistono 2 principali teorie dell’ordinamento:
1) dottrina istituzionale (Santi Romano)ubi societas ibi jus, il diritto è la base
della società e viceversa. Per questo motivo, oltre all’ordinamento statale ci
sono numerosi altri ordinamenti, esempio, quelli sportivi, perché l’uomo ha
l’esigenza di darsi delle regole in ogni settore organizzato (es. anche nell’attività
malavitosa).
2) dottrina normativa (Kelsen)l’ordinamento coincide con lo Stato perché solo lo
Stato può garantire l’osservanza delle norme anche mediante la coercizione.
Solo l’ordinamento statale è, quindi, un vero ordinamento giuridico.
Le due teorie peccano un pò l’una in eccesso e l’altra in difetto.
Secondo la dottrina prevalente, l’ordinamento giuridico ha 3 caratteristiche:
1) esclusivitàè originario, non mutua la sua validità da altri ordinamenti;
2) completezzacontiene al suo interno una “norma di chiusura” per tutte le
situazioni da esso non espressamente regolate;
23 L’obbligazione è quel vincolo giuridico con cui costringiamo qualcuno a darci un
bene secondo il diritto della nostra città.
3) coerenzaal suo interno non sono presenti norme antinomiche.
ORDINE PUBBLICO
In termini generici si intende per ordine pubblico quella situazione in cui sono garantiti
i diritti costituzionali fondamentali. Tale concetto ha subito mutamenti nel corso del
tempo, ad esempio, nel periodo fascista il concetto di ordine pubblico richiamava
valori da sistema corporativo e comprendeva in sé tutti i valori dell’ideologia
dominante, divenendo, in tal modo, una sorta di clausola a tutele delle finalità del
regime.
Con la Costituzione l’ordine pubblico si scompone nelle sue componenti:
1) sicurezza
2) pubblica incolumità
3) sanità
4) tranquillità
L’ordine pubblico da una prospettiva civilistica pone limiti all’autonomia negoziale dei
privati, da un’ottica penalistica, invece, pone limiti proprio all’esercizio delle libertà
personali in forza di apposite leggi penali o di pubblica sicurezza.
Ma cos’è l’ordine pubblico? Uno stato di fatto materiale di pace, di quiete? Il rispetto di
una serie di valori indispensabili per la sopravvivenza dell’ordinamento?
E’ stato sostenuto che ogni tipo di regime politico riempie, per così dire, dei propri
valori la clausola dell’ordine pubblico, fornendogli un contenuto ideale. In realtà, negli
ordinamenti democratici, non esiste una vera netta distinzione tra ordine pubblico
materiale e ordine pubblico ideale perché ogni lesione di un bene costituzionalmente
tutelato implica anche, necessariamente, la lesione del corrispettivo valore e principio.
ORGANO
La teoria dell’organo è stata elaborata allo scopo di spiegare l’agire giuridico delle
persone giuridiche, andando oltre le tradizionali figure della rappresentanza e del
mandato. L’organo esprime la volontà dell’ente in cui si immedesima, consentendo
l’imputazione della volontà e degli effetti dell’atto in capo a quest’ultimo.
La cd. “immedesimazione organica” è una teoria secondo cui l’organo “impersona”
l’ente stesso, non ha una soggettività giuridica da esso distinta, ma ne fa parte,
questo, in particolare, per quanto riguarda lo Stato, che, essendo un’entità
assolutamente astratta non può agire se non per il tramite dei propri organi.
Per Kelsen, invece, valeva la cd. “teoria dell’imputazione” secondo cui l’azione di un
individuo è “imputabile allo Stato” in quanto l’ordinamento la prevede come
“necessaria per l’attuazione dell’ordinamento stesso”.
Nel diritto amministrativo, tradizionalmente, si distingue tra organi ed uffici, in cui i
secondi hanno mera rilevanza interna, mentre i primi sono legittimati ad esternare la
volontà dell’ente pubblico in cui sono incardinati.
Gli organi pubblici sono anche classificati in base alle loro competenze e funzioni,
esistono organi giurisdizionali, organi amministrativi, organi costituzionali (indicati
nella Costituzione e fondamentali per la nostra forma di Stato e di Governo, esempio
la Corte Costituzionale) ed a rilevanza costituzionale (indicati nella Costituzione, ma
non fondamentali per la nostra forma di Stato e di Governo, esempio le Commissioni
all’interno delle Camere).
PACE
Cosa si intende per pace dal punto di vista giuridico? Essa è il fondamentale
presupposto per l’esistenza stessa dello Stato ed è il fine ultimo del diritto
internazionale. La pace è la “situazione giuridica per eccellenza”, è una condizione
generale di ordine che tocca ogni ramo del diritto.
Kelsen ha elaborato un’interessante “teoria della pace”, individuando nel
mantenimento della pace proprio il fine ultimo del diritto. La pace di Kelsen è una
“pace relativa” ovvero interna all’ordinamento stesso. Lo Stato di diritto è “uno Stato
di pace”, anche il diritto internazionale dovrebbe essere finalizzato ad ottenere una
duratura pace tra gli Stati, creando, magari una costituzione repubblicana tra gli stessi
e mettendo definitivamente al bando i conflitti tra popoli.
PERSONA GIURIDICA
Le persone giuridiche sono quei soggetti di diritto diversi dalle persone fisiche,
l’ordinamento le riconosce come titolari di diritti e di doveri. Per essere una persona
giuridica bisogna essere dotata di:
1) Sede e denominazione;
2) Scopo da realizzare tramite attività comune dei consociati;
3) Organi propri;
4) Patrimonio.
Il concetto di persona giuridica è sorto nella metà del 1800, prima di allora i soli
soggetti di diritto erano le persone fisiche.
Nell’ambito della Chiesa si operò una prima riflessione giuridica sul concetto di
persona giuridica, per la chiesa stessa, le scuole, i pii istituti ed altre simili fattispecie.
Nell’800 Savigny24 riteneva la persona giuridica come “finzione” creata dallo Stato, che
era esso stesso la suprema persona giuridica.
Nel XX secolo il concetto di persona giuridica fu sottoposto a severe rivisitazioni
critiche perché contrastava con l’idea che soggetti di diritto potessero essere solo gli
esseri umani, le persone fisiche. In tale ottica la teoria della “finzione” veniva a
perdere di importanza e la persona giuridica piuttosto che una sorta di soggetto
autonomo, che si “fingeva” (con una fictio juris)fosse una persona fisica al fine di
attribuirle diritti e doveri, diventava una mera denominazione collettiva che
sottendeva in realtà una molteplicità di comportamenti umani, cioè degli associati
all’interno della persona giuridica stessa.
E’ da segnalare l’art. 2 della Costituzione, secondo cui “La Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali
ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale”. Tali “formazioni sociali” sono, tra le altre, le
persone giuridiche.
POPOLO
I 3 elementi costitutivi dello Stato sono: sovranità, popolo e territorio.
Il popolo è il cd. “elemento personale” e rappresenta l’insieme delle persone che
appartengono alla comunità statale organizzata.
La popolazione, invece, è il complesso di persone che risiedono stabilmente o
occasionalmente sul territorio di uno Stato ed è un concetto che rileva più che a ltro a
24 Friedrich Carl von Savigny (Francoforte sul Meno, 21 febbraio 1779 – Berlino, 25
ottobre 1861) è stato un giurista, filosofo e politico tedesco, fondatore della scuola
storica del diritto e precursore della pandettistica.
fini demografici o statistici, mentre la Nazione è un concetto che fa riferimento a valori
storici, sociali, culturali, etnici, religiosi etc comuni.
I membri di uno stesso popolo hanno diritti e doveri giuridici comuni, es: diritto di
voto. Il corpo elettorale è la parte del popolo politicamente attiva (es: non lo sono i
minorenni, ma fanno sempre parte del popolo, in quanto destinatari di diritti e doveri
giuridici presenti nell’ordinamento).
POSITIVISMO GIURIDICO
Il positivismo giuridico è una corrente di pensiero che identifica il diritto come
l’insieme di norme poste, cioè emanate, dall’autorità sovrana a ciò preposta.
Solo il diritto positivo, cioè codificato, emanato dal legislatore, è diritto, si nega
autorevolezza al diritto naturale.
Non esistono “norme meta legislative”, ma solo il diritto positivo.
Esistono alcune varianti all’interno del positivismo giuridico:
1) positivismo volontarista-il fondamento del diritto è la volontà insindacabile di
Dio, che il sovrano esprime tramite le norme, attuando in modo rigoroso la Sua
volontà. La teologia estremista islamica prende ancora oggi le mosse da tali
teorie: il volere del sovrano, dal momento che esprime il volere di Dio, è
assolutamente insindacabile;
2) positivismo formalisticoè sempre giusto ciò che è voluto dal legislatore,
perché lui è il legislatore. Il Codice è il prodotto unico della volontà legislatrice
dello Stato e contiene, in quanto tale, norme giuste;
3) positivismo realistasi è sviluppato nel 1900 negli Usa e nei Paesi scandinavi,
grazie alla sociologia giuridica ed all’operato della giurisprudenza si può, in
concreto, verificare la validità effettiva delle norme contenute nei Codici,
tramite un riscontro empirico.
POTERE GIURIDICO
Il potere giuridico è la possibilità di modificare, legittimamente, il mondo esterno
secondo la propria volontà. Esso va distinto da altre situazioni giuridiche soggettive
quali il diritto soggettivo, la facoltà, l’interesse e l’autorità.
Il diritto soggettivo comporta l’esercizio di un potere, ma non sempre è vero il
contrario, è possibile esercitare legittimamente un potere, ad esempio, per reagire ad
un’offesa altrui, come nella legittima difesa, senza, per questo, essere titolare di un
diritto.
La facoltà è la possibilità di effettuare un atto giuridico, senza potere la facoltà
resterebbe astratta, mentre il potere senza facoltà, senza avere la facoltà di
esercitarlo, non sarebbe più legittimo e diventerebbe un arbitrio.
L’interesse è il far valere il proprio diritto nelle competenti sedi di giustizia, esso è
strettamente legato al potere, che è lo strumento per far valere in concreto il diritto.
Infine, l’autorità è quella legittimazione ad esercitare il potere che è in capo alle
cariche pubbliche, al governo, alla magistratura, al Presidente della Repubblica etc.
L’autorità legittima l’esercizio del potere da parte di tali soggetti.
Il potere è legittimo solo se regolamentato normativamente e solo in quanto
esercitato conformemente alle prescrizioni normative, sia per quanto concerne le
modalità di esercizio che per le finalità. Se non è conforme alla legge, tale potere non
può produrre gli effetti cui era preordinato ed è fonte di responsabilità, anche penale,
per colui che lo pone in essere illegittimamente ed illegalmente.
PRESCRIZIONE
La prescrizione è l’effetto estintivo che consegue, in relazione ad una data situazione
giuridica, al prolungato non esercizio della stessa per un dato periodo di tempo, da
parte di chi ne è titolare (es: diritto all’annullamento del matrimonio, per alcune
fattispecie si prescrive entro 1 anno dalla celebrazione).
Ai sensi dell’art. 2934 c.c. “Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare
non lo esercita per il tempo determinato dalla legge. Non sono soggetti alla
prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge”.
Possono prescriversi solo i diritti di cui il titolare possa disporre.
La prescrizione non opposta dalla parte non può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
La ratio dell’istituto della prescrizione sta nell’esigenza di certezza del diritto e
nell’esigenza che nessuno resti vincolato per un tempo indefinito ad obblighi che ha
verso un soggetto che non intende farli valere.
Anche in campo penale esiste la prescrizione, riferita al reato ed alla pena. Il
trascorrere di un lasso di tempo predeterminato dal compimento del reato senza che
sia intervenuta una sentenza di condanna causa, per alcuni rati, non per tutti (es:
l’omicidio volontario è imprescrittibile) la prescrizione dello stesso e del diritto a punire
l’imputato.
Anche qui l’istituto si giustifica su esigenze di certezza del diritto nonché dal
progressivo ridursi dell’allarme sociale per questo delitto che non ha mai ricevuto
condanna.
PRINCIPI DEL DIRITTO
Che natura hanno i principi del diritto? Sono delle norme?
L’art. 12 delle cd. “preleggi” li qualifica come “generali”, la Costituzione parla di
“principi fondamentali”, essi non sono vere e proprie norme, perché hanno carattere
aperto, lasciando al destinatario la possibilità di scegliere la condotta più opportuna a
rispettare il principio.(es: nel codice della strada: limite di velocità 50 km/hnorma,
guidare con prudenzaprincipio).
A chi spetta integrare il contenuto di tali norme aperte? Al solo legislatore?
Quanto aperte e generali devono essere?
I principi del diritto svolgono un importante ruolo sotto 3 punti di vista:
1) sistematicocollegano tra loro le singole norme, dandogli un senso generale e
garantiscono l’unitarietà dell’intero ordinamento;
2) ermeneutico(art. 12 preleggi, comma 2) fungono da criterio interpretativo (si
tratta dell’analogia juris) garantendo in tal modo la coerenza e la completezza
dell’ordinamento giuridico, grazie al ruolo del giudice;
3) teoreticoi principi sono l’essenza stessa di ogni interpretazione, sono lo strumento
con cui il diritto include in sé le scelte morali e appaga le attese di giustizia.
PRIVILEGIO
Il privilegio è un’ingiustificata esenzione da un obbligo generale ovvero l’ingiustificata
attribuzione di un diritto ad una persona o ad una categoria singola. E’ un trattamento
contro giustizia, salvo che abbia una giustificazione piena e riconosciuta, in quel caso
non è più un privilegio.
PROCESSO
Il processo, o procedimento, è un insieme di pratiche ed azioni giuridiche, formalizzate
ed affidate alle responsabilità di appositi soggetti, che le portano avanti in modo
coordinato ed organizzato in vista del soddisfacimento del pubblico interesse.
Ne sono esempi il procedimento amministrativo, finalizzato all’emanazione dell’atto
amministrativo, il procedimento penale, o processo penale, quello civile etc.
Nei procedimenti giurisdizionali, a tutela dei diritti delle parti, si sono sviluppati dei
veri e propri diritti processuali (civile e penale) che non sono da considerarsi più delle
mere “procedure”. Il processo può essere di cognizione (finalizzato ad accertare la
verità) o di esecuzione (finalizzato ad eseguire concretamente la sentenza).
Sempre in ambito giurisdizionale, esistono tanti tipi di processo, ad esempio il
processo cautelare, che è finalizzato a pervenire a decisioni d’urgenza e quindi è
caratterizzato dalla celerità della forma e sfocia in provvedimenti provvisori che
prendono la forma di ordinanze (es: ordinanza di custodia cautelare in carcere per
evitare il periodo di fuga intanto che si svolge il processo).
Poi ci sono i processi alternativi, ad esempio, nel penale, rito abbreviato e rito del
patteggiamento, a seconda delle circostanze del caso concreto l’imputato, se ne ha i
requisiti, può chiedere l’uno o l’altro e avrà alcuni vantaggi piuttosto che altri, rispetto
al rito ordinario standard.
I processi incidentali aprono una sorta di parentesi nel rito ordinario per accertare
alcune particolari situazioni, esempio, l’incidente probatorio, per assumere subito la
prova testimoniale del teste che sia in pericolo di vita.
Il processo di sorveglianza, si apre solo dopo la sentenza di condanna penale per
vedere se il carcerato ha diritto ad agevolazioni o sconti nella pena detentiva (es: per
buona condotta).
Nel diritto amministrativo ha finalità cautelari il cd. “giudizio di ottemperanza” che si
svolge davanti al giudice amministrativo (Tar/Consiglio di Stato) nel caso in cui la
Pubblica amministrazione, condannata ad ottemperare ad un determinato obbligo
verso il privato cittadino, non vi adempia spontaneamente. In questo caso il giudice,
generalmente, nomina un Commissario ad acta che fa eseguire coattivamente la
sentenza.
PROPRIETA’
Già nel mondo antico si dibatteva della legittimità del diritto di proprietà, Platone era
più propenso ad una sorta di comunismo dei beni, Aristotele no, preferiva la proprietà
privata.
La Dichiarazione dei diritti francese (1789) mette la proprietà privata trai diritti umani
“naturali ed imprescrittibili”.
Anche la Dichiarazione universale delle Nazioni Unite del 1948 fa lo stesso e anche la
nostra Costituzione, che, però, all’art. 4225 pone l’accento sulla “funzione sociale” della
proprietà più che sulla sua naturalità o inviolabilità.
Il codice civile considera il diritto di proprietà il un diritto reale completo e dà un
potere diretto ed immediato sulla cosa oggetto del diritto, se ne possono cogliere i
frutti, naturali e civili, se ne può disporre (venderlo, donarlo etc).
La proprietà può essere limitata da alcuni diritti reali di godimento o di garanzia, es:
servitù prediale o ipoteca) che danno ad un altro soggetto specifici diritti sul bene,
(es: di goderne) ma non la piena proprietà dello stesso.
25 Art. 42 Costituzione: “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici
appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e
garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo
scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà
privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per
motivi d'interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione
legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità”.
E’ molto dibattuto da sempre il tema dei modi di acquisto della proprietà, ad esempio
è “nobile” l’acquisto tramite il lavoro, meno tramite la fortuna al gioco.
Il codice civile distingue tra modi di acquisto della proprietà a titolo originario e a titolo
derivativo. I primi sono caratterizzati dalla mancanza di un passaggio da un soggetto
all’altro (es: occupazione di un bene) i secondi invece dal passaggio (es:
compravendita o successione ereditaria).
Le res nullius sono quelle cose che non hanno mai avuto un proprietario (es: gli
animali selvatici) le res derelictae sono le cose volutamente abbandonate dal
proprietario.
Il possesso, a differenza della proprietà, è un rapporto di mero fatto con la cosa,
analogo al contenuto del diritto di proprietà, ma non necessariamente corredato del
relativo titolo. Per non ingolfare la circolazione dei beni il possesso gode della
presunzione di buona fede, salvo prova contraria, si presume cioè, salvo le numerose
eccezioni di legge, che chi dispone uti dominus di un bene ne sia l’effettivo
proprietario. Chiaramente, per la circolazione di beni immobili o mobili registrati
(autoveicoli e natanti) esiste tutto un regime probatorio e di trascrizione per
l’accertamento ed il trasferimento della proprietà.
Anche oggi, come in passato, per certe aree del mondo, come l’Antartide, si pone un
problema di “conquista” del diritto di proprietà.
L’Antartide ha un particolare regime ed è “riservata solo alle attività pacifiche
nell’interesse dell’umanità”, lo spazio al di sopra dell’atmosfera ha un suo proprio
regime dettato dal Trattato dello Spazio del 1967, le zone di alto mare sono proprietà
di tutti, mentre il mare territoriale è sotto la sovranità del relativo Stato costiero
(Convenzione di Montego Bay del 1982).
PROVA
La nozione di prova nel nostro ordinamento assume almeno 3 significati diversi:
1) come mezzo di prova, strumento che consente di gettare luce su un fatto ignoto
(Es. testimonianza);
2) come procedimento probatorio, insieme di regole che disciplinano l’acquisizione
dei mezzi di prova;
3) come risultato probatorio, cioè come fatto ignoto che è stato palesato.
In relazione al significato 1) è stata elaborata tutta una teoria dei mezzi di prova, si
distingue tra prova libera (liberamente valutabile dal giudice) e prova legale (che fa
piena prova in presenza di determinate caratteristiche). Altra distinzione è tra prova
ed indizio, quest’ultimo è solo un elemento, ha efficacia dimostrativa solo parziale (es:
la mancanza di un alibi attendibile).
A livello di modelli processuali, esistono modelli simmetrici (o isonomici o isocorici) in
cui le parti sono in una situazione di parità e la prova costituisce un “argomento”, che
viene proposto al giudice e sottoposto al vaglio del contraddittorio tra le parti, e
modelli asimmetrici, in cui, invece, non lo sono ed una delle parti ha preminenza
sull’altra, perché ha un ruolo primario nella prova dei fatti, giungendo quasi a fornirne
una sorta di dimostrazione scientifica.
RAPPORTO GIURIDICO
Il rapporto giuridico è una relazione tra soggetti cui l’ordinamento conferisce una
rilevanza giuridica. Da tale rapporto scaturiscono situazioni giuridiche soggettive attive
(diritti soggettivi, interessi legittimi, potestà, aspettative etc) e passive (obblighi,
oneri, obbligazioni etc).
Savigny definisce il rapporto giuridico come “ una relazione tra più persone
determinata da una regola di diritto”, esso è, per Savigny, “una relazione tra soggetti
morali”. Un rapporto giuridico non deve essere necessariamente cooperativo, possono
essere anche conflittuali (es: una causa civile). Sulla base del rapporto giuridico è
stata costruita una “Teoria relazionale del diritto” che cerca di individuare nella
relazione l’essenza stessa del diritto, a questi teorici è stato obiettato, però, di non
prendere in giusta considerazione la centralità del concetto di norma, che è l’unica via
per determinare la giuridicità di un rapporto intersoggettivo.
RAPPRESENTANZA
Nel diritto privato, la rappresentanza è un istituto che garantisce ad un soggetto la
possibilità di farsi sostituire da un altro nel compimento di attività giuridicamente
rilevanti, come manifestazioni di volontà. Non tutti gli atti possono essere compiuti
tramite un rappresentante, ne sono esclusi i cd “atti personalissimi” come il
riconoscimento di un figlio naturale, essi devono sempre essere fatti di persona.
La rappresentanza legale è imposta dalla legge (es: tutore o genitore del minore)
quella volontaria è scelta dal soggetto.
Nel diritto processuale si parla di rappresentanza riguardo l’assistenza in giudizio, che
è anche una rappresentanza “tecnica” perché può essere conferita solo ad avvocati o
procuratori legali, che svolgono in quel momento anche una pubblica funzione.
Nel diritto pubblico, si parla di rappresentanza intendendo la rappresentanza politica
da parte dei soggetti eletti dal popolo. Essi, quantomeno nei regimi moderni
occidentali, operano in un regime di autonomia, non possono essere “revocati dagli
elettori” e la sanzione che possono ottenere è solo la mancata rielezione per il periodo
successivo. Accanto alla rappresentanza politica esiste, poi, la cd. “rappresentanza
degli interessi”, tipica dei sistemi corporativi, nel nostro ordinamento l’art. 67 della
Costituzione26 prevede l’assenza di un “vicolo di mandato” (divieto di mandato
imperativo) tra eletti ed elettori e quindi sbarra la strada ad una rappresentanza
corporativa in Parlamento.
REALISMO
Il realismo è una corrente di pensiero che riduce il diritto a fenomeno storico-sociale e
vorrebbe studiarlo a partire da una visione empirica ed antimetafisica: esiste solo ciò
che possiamo percepire e non esistono valori oggettivi da poter conoscere.
Ci sono 2 correnti del realismo, quello Nordamericano e quello Scandinavo, il primo
ritiene che il diritto sia un duttile strumento per garantire i bisogni sociali e predilige il
diritto di creazione giurisprudenziale a quello codici stico in quanto più aderente alla
realtà, più empirico e mutevole in base alle mutate esigenze sociali.
Il secondo, invece, elabora una spiegazione sociologica e psicologica del diritto, esso è
“un insieme di idee della mente irreali ed irrazionali” che non hanno un riscontro
materiale oggettivo, il ripetere costantemente certe norme crea nei soggetti una
suggestione psicologica che li porta ad ubbidire, le norme sono, quindi, dei modelli
interpretativi che influenzano la realtà sociale.
REATO
Il reato è un illecito grave, che consiste in un comportamento che reca danno ad un
altro consociato (vittima) e pone a rischio la stessa coesistenza sociale. La sanzione
comminata nelle ipotesi di reato si chiama pena.
26 Art. 67 Costituzione: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed
esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
L’illuminismo giuridico ha elaborato una “teoria garantistica del reato”, che assicura
l’uguaglianza di tutti i consociati e la certezza giuridica della pena contro l’arbitrio del
legislatore penale che potrebbe abusare del suo potere punitivo. Solo il potere
legislativo può comminare pene e creare reati, non è possibile la comminazione di una
pena in via preventiva, non sono punibili quelle condotte che la legge penale non
ritiene espressamente criminose, pur se pericolose, la pena non può consistere in
trattamenti lesivi dei diritti umani fondamentali (es: no alla tortura).
I reati penali si distinguono in delitti e contravvenzioni, per i primi può essere
comminato l’ergastolo, la reclusione o la multa, per i secondi, più lievi, l’arresto o
l’ammenda.
I delitti possono essere dolosi, colposi (vedi) o preterintenzionali, quando il soggetto è
andato “oltre l’intenzione” ed ha causato un danno più grave del voluto(es. causando
la morte invece di lesioni).
I delitti possono essere commissivi od omissivi.
I reati di omissione possono essere propri o impropri, nel primo caso (es: omissione di
soccorso) la condotta omissiva concreta di per sé il reato (anche se il soggetto poi si è
salvato), nel secondo invece si configura il reato al verificarsi dell’evento che si aveva
l’obbligo giuridico di impedire.
Infine, i reati si distinguono in comuni, quando può commetterli chiunque, e propri,
quando il soggetto agente deve rivestire una particolare qualifica (es: pubblico
ufficiale, nei reati contro la Pubblica amministrazione).
Reati di danno sussiste il reato se il bene protetto viene danneggiato (es: lesioni);
Reati di pericolosussiste il rato se il bene protetto è stato anche solo messo in
pericolo (es:calunnia).
RESPONSABILITA’
La responsabilità è la capacità di rispondere delle proprie azioni, sia in senso positivo,
per essere premiato per azioni positive, sia, più sovente, negativo, per essere
sanzionato delle proprie azioni illecite ed ingiuste.
In ambito civile, vediamo che l’art. 2043 cc tratta del risarcimento per fatto illecito
(cd. Responsabilità civile aquiliana) e sancisce che “qualunque fatto doloso o colposo,
che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a
risarcire il danno”.
La responsabilità aquiliana è legata al dolo/colpa del soggetto agente, ma ipotesi di
responsabilità non legate alla colpa, quindi oggettiva, sono previste nel nostro codice
ad esempio, per quanto riguarda la responsabilità di padroni e committenti, per danni
causati dai loro sottoposti.
Per quanto riguarda la responsabilità penale, essa deve essere necessariamente
personale (Art. 27 Costituzione), un tempo c’erano forme di responsabilità penale per
fatto altrui (es: il padre per il figlio), ma oggi ciò non è più possibile.
Solo le persone fisiche possono essere soggette a responsabilità penale in base al noto
principio Societas delinquere non potest.
La responsabilità politica indica la subordinazione del potere esecutivo al potere
legislativo, ne sono esempi le procedure di Impeachement americano o inglese, da noi
non esiste l’Impeachement, perché non c’è vincolo di mandato tra esecutivo ed
elettori, e quindi si ha responsabilità politica vera e propria solo riguardo il regolare
svolgimento delle procedure elettorali.
RIVOLUZIONE
L’idea di una rivoluzione, nel senso di un rovesciamento del potere costituito, è tipica
della modernità, quando si inizia a pensare allo Stato come soggetto collettivo ed
artificiale creato dalla comune volontà dei consociati di evitare il Bellum omnium erga
omnes dello Stato di natura (Hobbes). Quando non si riconosce più la legittimità dello
Stato si apre la via della rivoluzione, anche la morte del “tiranno” è un atto di
simbolica liberazione del destino di un popolo.
E’ possibile elaborare la rivoluzione come concetto giuridico?
In realtà il diritto qualifica come criminose le attività volte a realizzare una rivoluzione,
i rivoluzionari sono dei criminali, ma non lo sono gli obiettori di coscienza o i dissidenti
civili. Essi combattono non contro il potere in sé, ma contro determinate pratiche che
ritengono ingiuste, vogliono, quindi, provocare delle riforme, non sovvertire
l’ordinamento.
La rivoluzione può essere fonte del diritto? Solo in senso lato, se si ritiene che dalle
ceneri di una rivoluzione nasca una nuova “norma fondamentale” fondatrice di un
nuovo ordinamento statale. Tale nuova norma deve però essere riconosciuta per
potere avere una rilevanza internazionale e, con essa, il nuovo Stato che sorge.
SANZIONE
La sanzione è la conseguenza sfavorevole di un illecito, che lo Stato commina nei
confronti di chi lo compie. Queste sono le sanzioni negative, esistono anche quelle
positive, che sono dei premi o degli incentivi per comportamenti socialmente
meritevoli.
La sanzione negativa ha natura afflittiva, secondo Kelsen essa è un elemento chiave
nella struttura di una norma giuridica, perché la coattività che essa esprime, ne
determina la giuridicità. Solo le norme dotate di sanzione sono vere e proprie norme
giuridiche, per Kelsen.
Le moderne teorie sociologiche del diritto vedono la sanzione utile come tecnica di
controllo sociale, con un generale effetto preventivo, perché i consociati, sotto la
minaccia normativa di una sanzione, tendono a comportarsi in modo lecito. Le
sanzioni positive, in questa accezione, avrebbero anche un ruolo promozionale,
invitando i consociati a porre in essere determinati comportamenti.
SANZIONE PENALE
La sanzione penale è per sua natura afflittiva, essa “opera umiliando la volontà
tracotante (hùbris, in greco, arroganza, tracotanza) che ha indotto il reo a
commettere il reato”.
La sanzione penale possiede una funzione espiatoria e attiva, attraverso l’afflizione, il
pentimento, cioè la consapevolezza di aver agito in modo ingiusto. Se chi viene punito
non percepisce l’afflittività della pena essa perde del tutto il suo senso.
In questo senso il reo ha un “diritto alla sanzione” perché, tramite essa, può espiare la
propria colpa e venire reinserito a pieno titolo nel tessuto sociale.
Chiaramente il diritto penale non tende alla redenzione morale del reo, ma a renderlo
di nuovo socialmente accettabile, reinserendolo in quell’ordine sociale che egli stesso
ha infranto, commettendo il suo crimine. Si presume che, espiata la pena, il colpevole
si sia, in tal senso redento. Se così non fosse, in attesa di una prova di una
“redenzione morale” le pene potrebbero, subdolamente, durare anche tutta la vita.
SCIENZA GIURIDICA
Vediamo alcune autorevoli opinioni sulla scienza giuridica:
1) Friedrich Von Logau27la scienza giuridica non è una scienza, perché “quando
qualcosa è dubbio difficilmente si ha una scienza”;
2) Julius Von Kirchmann28la scienza giuridica può avere, tutt’al più, una
rilevanza storica, ma non è una scienza, perché le leggi cambiano troppo
velocemente e il giurista non tiene il passo;
3) Carl Schmittla scienza giuridica si limita ad accompagnare con note,
commenti e postille la normativa statale e le numerose ordinanze emesse dagli
organi amministrativi (del suo tempo), che sono in continuo cambiamento,
come può essere una vera scienza? Non ha una sua autonomia rispetto alla
legge.
La scienza giuridica voleva parlare in nome della legge, depurando quest’ultima dalle
contraddizioni della politica e dai particolarismi dei legislatori, dal momento che “la
legge è spesso più avveduta del legislatore”. Ma a partire dalla 1° Guerra mondiale, la
scienza del diritto viene travolta dal numero sempre più ampio di provvedimenti
amministrativi contingenti, autorizzazioni, ordinanze, decreti e non può più tenere il
passo in un simile contesto, perde, come sostenuto dai tre autori sopra riportati, la
propria autonomia e la propria dignità di scienza.
Oggi, i problemi della produzione normativa sono l’esplosione del contenzioso,
connaturata alla lentezza del sistema processuale, e l’inflazione normativa, troppe
norme speciali, frantumazione delle discipline, poca organicità e, quindi, manca quel
carattere di stabilità che l’ideale illuminista assegna alla legge, manca la semplicità e
la “parsimonia” nelle leggi moderne. C’è bisogno di un nuovo paradigma giuridico,
serve un sistema che sia in grado di svilupparsi deduttivamente secondo il principio di
non contraddizione. Il diritto è sempre in divenire, in continuo sviluppo, sarebbe forse
meglio un “soft law”, un diritto fluido (fuzzy law), insieme di norme di condotta non
dotate per legge di forza vincolante, ma destinate a produrre effetti pratici? Oppure è
meglio il tradizionale “hard law”, sistema di diritto positivo e codificato?
Con un sistema di “soft law” il ruolo del giudice, quale interprete, diventa
fondamentale perché un sistema “leggero” di regole è pericoloso in mano ad un
giudice poco equo.
Ma la scienza del diritto è o non è una scienza? Se è una branca della filosofia del
diritto può aiutarci a comprendere quando il diritto sia giusto.
Il sistema giuridico moderno è caratterizzato dalla pluralità delle fonti del diritto, non
più solo lo Stato, perché viviamo in un mondo “senza frontiere”. Ciò comporta anche
una commistione tra sistema giuridico e agenda economica (es: normative sulle
privatizzazioni) sia a livello interno che internazionale o comunitario.
Si sollevano, quindi, nuovi interrogativi, anche relativi alla morale, alla condizione
umana e, quindi, in quest’ottica la scienza giuridica può contribuire ad ampliare gli
orizzonti della ricerca filosofica nell’ottica di una riflessione che pone al centro l’uomo.
27 Friedrich von Logau - Poeta tedesco (Brockut, Slesia, 1604 - Liegnitz 1655). Studiò
diritto forse all'univ. di Francoforte sull'Oder. Nel 1644 divenne consigliere del duca di
Brieg, che seguì a Liegnitz nel 1653. Dopo una prima prova fornita con gli Zwei
hundert deutscher Reimensprüche (1638), un anno prima della morte, nel 1654, sotto
lo pseudonimo di Salomon von Golau (anagramma di Logau) pubblicò i Deutscher
Sinngedichte drei tausend, i quali costituiscono un culmine nell'epigrammatica
tedesca. La critica rivolta alla società del tempo in ogni sua manifestazione non è
generica e di facile effetto, ma a un tempo moralmente profonda e ironicamente
formulata, a testimonianza di un'amara consapevolezza del presente, bilanciata però
da una tranquilla fede in un ordine morale non facilmente vanificabile.
28 Julius Hermann von Kirchmann (nato il 5. Novembre 1802 a Schafstädt Merseburg
e morto il 20 ottobre 1884 a Berlino), giurista e politico tedesco.
SOCIOLOGIA GIURIDICA
La sociologia giuridica è un ramo della scienza sociologica che studia il rapporto tra
diritto e società e le loro reciproche influenze. Si distingue in Macro-sociologia, che
studia la società nel diritto, e Micro-sociologia, che studia il diritto nella società.
Tale scienza ritiene che il diritto non si identifichi con un sistema normativo, ma con la
prassi, costantemente applicata dai consociati. Questo è il diritto vivente, il vero
diritto libero, che si trasforma con i mutamenti sociali.
Il diritto è efficace quando produce effetti, è effettivo quando, chi lo pone, può
controllarne l’osservanza da parte dei consociati.
SOGGETTO DI DIRITTO
L’espressione soggetto di diritto è figlia dell’epoca moderna, non esisteva nel mondo
classico, perché nasce dall’elaborazione del concetto di eguaglianza, dall’attenzione
per gli esclusi e per gli emarginati, dal rifiuto per le discriminazioni. Siamo tutti dei
soggetti di diritto e siamo l’essenza dell’intero ordinamento giuridico. I diritti ci
vengono attribuiti dalla legge, l’uomo ha una molteplicità di diritti ma li racchiude in sé
in quanto unico soggetto di diritto. Esistono poi soggetti di diritto come le persone
giuridiche che non sono uomini, ma associazioni di uomini e/o di mezzi.
La distinzione tra persona “naturale” e persona “rappresentata” (persona fisica e
giuridica) già non era sconosciuta ai Canonisti del 13° secolo.
La persona fisica è “il soggetto dei diritti”, in quanto uomo.
La persona giuridica è “il soggetto di diritto unico”, in quanto centro generico ed
astratto di imputazione normativa.
Ma questo processo di astrazione sta erodendo l’identità del diritto come espressione
dell’esistenza umana? E’ un problema denso di risvolti etici, dobbiamo trovare
strumenti per tutelare chi non è ancora uomo (es: embrione) e chi non lo è più del
tutto (es:malato in stato vegetativo), solo così si potrà garantire la base dello Stato
democratico, cioè il soggetto dei diritti, l’uomo.
SOVRANITA’
La nozione giuridica di sovranità si inizia a consolidare già nel 12° secolo, nelle glosse
di Marino da Caramanico29 leggiamo, infatti, che il re che ricusava l’imperatore
riteneva di essere dotato di una “plenitudo potestatis”, una pienezza di poteri sovrani.
Secondo Bodin30, la sovranità consta di un aspetto negativo, il Re è “legibus solutus”
rispetto alle norme statali, e di uno positivo, il Re può creare nuove leggi.
In pratica il sovrano crea leggi a cui poi non è tenuto ad ubbidire. L’unico suo limite è
dato dalla legge naturale e da quella divina.
Questa teoria è stata rinnegata dalla dottrina del 1900, la sovranità non si origina da
Dio o dalla natura, ma è l’ordinamento stesso a legittimarla. Ogni ordinamento
sovrano è “originario”, nel senso che trae in sé stesso la propria legittimazione. Da ciò
29 Marino da Caramanico (Caramanico Terme, XIII secolo – XIII secolo) è stato un
giurista italiano.
30 Jean Bodin (Angers, 1529 – Laon, 1596) è stato un filosofo e giurista francese.
Avvocato del parlamento parigino e consigliere alla corte di re Enrico III, fu tra i
massimi teorici e sostenitori del diritto divino dei re. Visse nella travagliata epoca della
riforma protestante e delle successive guerre di religione, ed è ritenuto il teorico del
concetto moderno di «sovranità».
deriva che il sovrano non può essere “legibus solutus” ma deve sottostare anche lui
alle leggi dello Stato.
Un altro elemento, oltre all’originarietà, che caratterizza gli ordinamenti sovrani è la
“supremazia”, cioè il potere di escludere gli stranieri dal territorio nazionale, di porre
dei limiti esterni.
Secondo Carl Schmitt, la sovranità è “la capacità di decidere sullo stato di eccezione”,
di prendere delle decisioni quando accade qualcosa che va oltre lo stato consueto di
normalità.
Quali sono i canoni che determinano il legittimo esercizio della sovranità? Secondo il
criterio “discendente”, la sovranità è legittima quando è data da Dio (dall’alto verso il
basso), viceversa, per il criterio “ascendente”, quando è data dal popolo (dal basso
verso l’alto).
Oggi noi sposiamo la seconda tesi, la sovranità è data dal popolo ed appartiene al
popolo stesso, che dà i limiti al sovrano affinché non sconfini nell’arbitrio. Tali limiti
sono posti attraverso la legge.
Secondo Kelsen, infine, l’ordinamento internazionale dovrebbe avere pieno valore
giuridico, riducendo un pò l’autonomia dei vari ordinamenti statali, questo in un ottica
democratica e pacifista, volta a ridurre i conflitti tra gli Stati.
STATO
Ogni comunità si aggrega intorno a valori condivisi, questo gli dà forza e coesione
interna.
Un popolo è una comunità di soggetti accomunati da valori primari comuni, quando un
popolo afferma la propria indipendenza e dà vita ad un sistema di gestione interna
proprio ed autonomo, istituendo un potere sovrano, si può parlare di Regno (regnum)
o di Res Publica, concetti che confluiscono nell’idea moderna di Stato.
STATO DI DIRITTO
Lo Stato di diritto è, storicamente, una particolare forma dello Stato moderno,
caratterizzata dal progressivo accentramento politico che culmina nel “monopolio della
forza legittima”, per usare una definizione di Weber, e da un processo di
secolarizzazione, cioè di separazione tra Stato e Chiesa, tra potere temporale e
spirituale.
I 3 elementi costitutivi dello Stato moderno sono sovranità, popolo e territorio.
Lo Stato di diritto si contrappone allo Stato assoluto, in cui tutti i poteri sono
rigidamente incentrati nel sovrano. La sua origine ha radici nell’esperienza inglese del
“rule of law”, nella sconfitta dell’assolutismo monarchico alla fine del 17° secolo e
nella connessa vittoria del diritto, del Common law, fonte delle libertà e dei diritti
individuali. La costituzione inglese si basa sulla sovranità del Parlamento e sul “rule of
law”, governo della legge,, con conseguente limitazione dei poteri dell’esecutivo.
Il Parlamento inglese rispecchia la società inglese, per questo ha i pieni poteri.
Nel resto dell’Europa continentale, dopo la rivoluzione francese, si impone un modello
diverso, basato sulla separazione dei poteri, con un primato del potere legislativo e
una Costituzione vera e propria a garanzia dei diritti civili. Nel modello francese
primeggia la sovranità del popolo piuttosto che il potere forte del Parlamento, come in
Inghilterra. Lo Stato, però, deve autolimitarsi, sennò il volere del popolo rischia di
trascendere negli eccessi del Terrore giacobino.
Kelsen ritiene che il nocciolo dell’idea di Stato di diritto sia proprio la rinuncia da parte
dello Stato stesso a vedersi come un Ente a sé stante e nel proprio autolimitarsi,
attraverso la previsione di norme superiori, di rango costituzionale, che garantiscono il
controllo delle leggi da parte di organi a ciò preposti. E’ un modello “ a gradini”, in cui
si evita lo strapotere dello Stato: lo Stato di diritto per Kelsen è lo Stato costituzionale
perché offre maggiori garanzie.
Dal punto di vista internazionale, secondo Habermas31, va adottata una “concezione
cosmopolitica”, poiché il “diritto cosmopolitico è la conseguenza dell’idea di uno Stato
di diritto”, i diritti dell’uomo, infatti, sono per loro stessa natura universali. Questo
universalismo dei diritti viene contestato dalle culture extra-europee, che criticano
l’individualismo occidentale.
In conclusione si può affermare che lo Stato di diritto è una evoluzione dello Stato
moderno europeo e presenta varie forme, ma una sostanziale unità di presupposti
filosofici e di implicazioni giuspolitiche: lo Stato di diritto ha il suo fulcro nella
limitazione del potere sovrano grazie all’ordinamento giuridico, a tutela dei diritti
individuali.
TEORIA GENERALE DEL DIRITTO
E’ molto difficile determinare lo statuto della Teoria generale del diritto, perché tale
disciplina è molto problematica ed è sorta solo in epoca recente, nel corso del 1800,
inglobando lo spirito sistematico, metafisico, razionalistico ed illuministico e
desiderosa di fornire al sapere giuridico il carattere della scientificità, in quanto sapere
coerente, ordinato, dotato di metodologia ed unitario, basato su principi teorici,
generali ed universali.
Un simile progetto andava incontro a numerose difficoltà, innanzitutto perché toglieva
rilevanza alla dimensione storica del diritto e anche perché rifiutava qualsiasi supporto
filosofico o teologico al diritto.
Altre difficoltà erano rappresentate dal cd. “prospettivismo”, cioè dal fatto che il
sapere giuridico non riusciva a svincolarsi dalla prospettiva e dall’impronta che gli
davano i singoli studiosi di teoria generale del diritto. Le grandi teorie del 1900 sono
caratterizzate, quindi, da un “soggettivismo”, non sono oggettive come le teorie
scientifiche, ma più simili a teorie filosofiche, dipendono dagli autori.
Sinora il progetto della teoria generale del diritto sembrerebbe non essere riuscito a
mantenere le sue promesse. Cosa ne resta oggi? Una preziosa opera di chiarificazione
del lessico giuridico ed il tentativo di legittimare definitivamente la giurisprudenza
come scienza umana.
TOPICA
La topica è un’attività retorica che si usa nelle discussioni e nelle controversie, in cui
ognuno degli interlocutori tenta di affermare la bontà delle proprie ragioni, senza
partire da un punto comune incontroverso.
Si chiama “topica” perché ognuno sviluppa i “luoghi” (dal greco Topos, luogo) idonei a
costruire il proprio itinerario argomentativo, per fare presa sull’uditorio.
Aristotele individua i criteri per far prevalere la propria tesi su quella dell’avversario:
1) trovare un metodo;
2) individuare un “catalogo” di stereotipi condivisi da tutti o quasi i parlanti (cd.
“endòxa);
3) individuare i rapporti formali tra i vari elementi del linguaggio, al di là del
contenuto.
31 Jürgen Habermas (Düsseldorf, 18 giugno 1929) è un filosofo, storico e sociologo
tedesco nella tradizione della "Teoria critica" della Scuola di Francoforte (vedi anche:
T. W. Adorno, M. Horkheimer, H. Marcuse, E. Fromm).
Aristotele ritiene, inoltre, che il principio di non contraddizione sia importante nella
topica, in quanto criterio logico che regola i rapporti tra gli enunciati del tuo discorso:
non si potrà mai ottenere il consenso dell’uditorio se i tuoi ragionamenti portano a
conclusioni illogiche o contraddittorie. L’utilizzo degli endòxa permette di ottenere un
consenso ampio e rende accettabile il proprio discorso a chi lo ascolta. Quindi il punto
2) è ritenuto cruciale nella topica, a patto però che non si sconfini nella retorica, nei
discorsi da sofisti, che asservirebbero e svilirebbero l’arte della topica.
VALIDITA’
La validità di un atto indica, in senso generale, la sua conformità ad un modello. Più
specificamente, alle norme che ne regolano la disciplina.
Per quanto riguarda le norme stesse, la loro validità coincide, secondo la dottrina
Kelseniana, con la loro stessa esistenza nell’ordinamento giuridico. Questa tesi non è
pacifica, ma delinea bene il concetto di validità, distinguendolo da questi altri:
1) efficacia: la norma è efficace quando produce i suoi effetti;
2) giustizia: la norma è giusta quando è conforme ai valori;
3) obbligatorietà: la norma è obbligatoria quando ha forza vincolante.
Quindi, norma valida = norma presente nell’ordinamento vigente.
Alla base di tutte le norme esiste, poi, per Kelsen, una “norma fondamentale” che è il
loro fondamento ultimo ed è il criterio supremo di validità dell’ordinamento. La validità
di tale norma non può essere accertata, ma solo presupposta, perché non esistono
norme di rango superiore.
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