Presentazione di Scienza politica Storia d’Italia e crisi di regime. Saggio sulla politica italiana 1861-2000, Massimo L. Salvadori, Il Mulino, 2001. Introduzione : Accroche : la popolarità in Italia di forme di governo alternative a quelle dello Stato nazionale. La storia politica italiana dal 1861 : 3 regimi. Problematica : analizzando tutti e 3 tipi di regime, quali linee di continuità vanno individuate ? Ci sono delle linee costanti nell’organizzazione socio-politica italiana ? Come si può spiegare la debolezza dello Stato italiano e com’è potuta svilupparsi la Lega Nord ? Quali sono le necessità e le contingenze della politica italiana ? Chi è Massimo L. Salvadori ? Qualè la sua metodologia ? 1. Le debolezze strutturali indotte dal Risorgimento e dalla monarchia liberale 1.1. Cavour-Mazzini : l’inizio della guerra ideologica e del malinteso su ciò che dovrebbe essere l’Italia 1.2. La vittoria cavouriana dell’Italia liberal-monarchica contro quella nazional-repubblicana 1.3. La debolezza originale dell’Italia liberal-monarchica 2. La conflittualità politica come reciproco screditamento : Stato, anti-Stato e dinamiche di potere 2.1. La « guerra ideologica » che sfocia sulla conflittualità tra Stato e anti-Stato 2.2. Trasformismo e autoritarismo : gestire un regime senza alternativa di governo 2.3. Dal sistema bloccato al blocco di sistema : crisi di regime e guerra civile 3. La sfida della « nazionalizzazione delle masse » e dell’allargamento delle basi dello Stato 3.1. Un tentativo liberale e semidemocratico interno al sistema : il giolittismo, oltre il trasformismo 3.2. Un tentativo dittatoriale e protototalitario : il fascismo e il suo fallimento puntare sull’analisi di Salvadori a proposito del fascismo : un totalitarismo che si integrava nella logica della storia italiana, ma che fallì proprio per motivi contingenti 3.3. I difficili cammini verso la « normalità del bipolarismo » : da Moro a Berlusconi __________________________________________________________________________________________________________ Presentazione di Scienza politica Storia d’Italia e crisi di regime. Saggio sulla politica italiana 1861-2000, Massimo L. Salvadori, Il Mulino, 2001. Introduzione : Accroche : la popolarità in Italia di forme di governo alternative a quelle dello Stato nazionale. La storia politica italiana dal 1861 : 3 regimi. Problematica : analizzando tutti e 3 tipi di regime, quali linee di continuità vanno individuate ? Ci sono delle linee costanti nell’organizzazione socio-politica italiana ? Come si può spiegare la debolezza dello Stato italiano e com’è potuta svilupparsi la Lega Nord ? Quali sono le necessità e le contingenze della politica italiana ? Chi è Massimo L. Salvadori ? Qualè la sua metodologia ? 1. Le debolezze strutturali indotte dal Risorgimento e dalla monarchia liberale 1.1. Cavour-Mazzini : l’inizio della guerra ideologica e del malinteso su ciò che dovrebbe essere l’Italia 1.2. La vittoria cavouriana dell’Italia liberal-monarchica contro quella nazional-repubblicana 1.3. La debolezza originale dell’Italia liberal-monarchica 2. La conflittualità politica come reciproco screditamento : Stato, anti-Stato e dinamiche di potere 2.1. La « guerra ideologica » che sfocia sulla conflittualità tra Stato e anti-Stato 2.2. Trasformismo e autoritarismo : gestire un regime senza alternativa di governo 2.3. Dal sistema bloccato al blocco di sistema : crisi di regime e guerra civile 3. La sfida della « nazionalizzazione delle masse » e dell’allargamento delle basi dello Stato 3.1. Un tentativo liberale e semidemocratico interno al sistema : il giolittismo, oltre il trasformismo 3.2. Un tentativo dittatoriale e protototalitario : il fascismo e il suo fallimento puntare sull’analisi di Salvadori a proposito del fascismo : un totalitarismo che si integrava nella logica della storia italiana, ma che fallì proprio per motivi contingenti 3.3. I difficili cammini verso la « normalità del bipolarismo » : da Moro a Berlusconi 1 Presentazione di Scienza politica Storia d’Italia e crisi di regime. Saggio sulla politica italiana 1861-2000, Massimo L. Salvadori, Il Mulino, 2001. Introduzione : La popolarità delle frome di governo alternative allo Stato in Italia : Onu, Ue, Regioni… La fiducia degli Italiani nelle “istituzioni”. Sondaggio a cura di Demos-Repubblica, citato da Ilvo Diamanti, su Repubblica del 13 dicembre 2007. Le Forze dell’Ordine 72.7% Il Presidente della Repubblica 56% La Chiesa 53.6% La Scuola 53.2% L’Ue 47.8% Il Comune 41.1% La Regione 36.6% La Magistratura 36.2% Lo Stato 29.6% I Sindacati confederali 24.1% Le Associazioni di imprenditori 22.9% Le Banche 19.7% Il Parlamento 14.8% I Partiti 7.8% La “debolezza” della democrazia in Italia: Idem Democrazia > qualsiasi altra forma di governo In alcune circostanze regime autoritario > democrazia Autoritario = Democrazia Insieme della popolazione 15-24 anni 68.2% 60.6% 14.6% 22.6% 17.2% 16.8% I 3 regimi : quello liberal-monarchico, quello fascita e quello democratico-repubblicano, con la rottura dei primi anni 1990 (Mani Pulite) e il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica la ricerca di un bipolarismo in via di stabilizzazione ? Problematica : analizzando tutti e 3 tipi di regime, quali linee di continuità vanno individuate ? Ci sono delle linee costanti nell’organizzazione socio-politica italiana ? Come si può spiegare la debolezza dello Stato italiano e com’è potuta svilupparsi la Lega Nord ? Quali sono le necessità e le contingenze della politica italiana ? M. Salvadori : professore emerito dell’Università di Torino, dedicatosi prevalentemente allo studio delle ideologie politiche e alla loro storia. Il suo è un approccio scientifico sociologico e storico del fenomeno politico : analizza lo Stato in quanto organizzazione di potere usata da quelli che ne tengono le redini ; analizza le contingenze e le necessità cicliche della storia politica italiana basandosi sulle dinamiche di gruppi di potere. Si tratta quindi di una densissima storia interpretativa dell’Italia, che dà molto per scontato, e non descrittiva. Si tratta di interrogarsi come si è strutturata la politica italiana, attorno a quali concetti e a quali rappresentazioni ; com’è stata determinata dal suo passato. I. Le debolezze strutturali dello Stato italiano indotte dal Risorgimento e dal periodo liberale A. Cavour-Mazzini : l’inizio della guerra ideologica e del malinteso su ciò che dovrebbe essere l’Italia All’epoca del Risorgimento, tra il 1848 e il 1861, si sviluppa il contrasto irriducibile tra Mazzini e Cavour : Cavour : il ricchissimo statista liberale, filoinglese, moderato, modernizzatore economico, gradualista, ammiratore del « giusto mezzo » di Guizot, monarchico, fautore prima di una confederazione italiana, composta da 4 Stati, sotto la guida onoraria del papa, ma de facto dominata dal regno di Piemonte. Mazzini : il rivoluzionario (antimarxista però) nazionalista, giacobino e centralizzatore, repubblicano e democratico, ex esponente del movimento della repubblica romana, compagno di Garibaldi. Inizia così la rivalità storica – e fondamentale nella formazione dell’Italia – tra cavouriani liberali moderati e mazziniani democratico-repubblicani, duramente repressi. 2 B. La vittoria cavouriana dell’Italia liberal-monarchica contro quella nazional-repubblicana Nel 1852, è Cavour, presidente del Consiglio del regno piemontese, compie un passo avanti nella via del « giusto mezzo » : Cavour, leader del centrodestra, e Rattazzi, leader del centrosinistra, concordano un patto per cui si sarebbero alleati così da costituire un largo centro e da isolare sia la destra più conservatrice, clericale e reazionaria, sia la sinistra più democratica, nella prospettiva della costituzione di un più ampio regno piemontese al fine di unire l’Italia, prima in una confederazione. Questo connubio del 1852, anno in cui Cavour diventa Presidente del Consiglio, consente di avere una maggioranza stabile per portare avanti il progetto cavouriano. Vengono così marginalizzate le opposizioni di sinistra e di destra, vale a dire quelli che rispecchiavano gli ideali mazziniani da un lato, e dall’altro quelli più legati all’autorità del papa. Nel 1857, Cavour riesce a convertire il bollente Garibaldi e altri suoi seguaci alla monarchia. E’ un nuovo esempio della politica cavouriana di allargamento delle intese per legittimare il suo potere, sempre nella prospettiva di un’espansione territoriale. Il Presidente del Consiglio necessita di un’ampio appoggio della sua politica, non si può permettere di lottare contro l’impero austro-ungarico senza essersi assicurato di essere sostenuto da una grande maggioranza del Parlamento. Così, il nascente Stato italiano si basa su una dinamica di potere di tipo trasformistico per assicurare una base centrista. C. La debolezza originale dell’Italia liberal-monarchica, le opposizioni cui deve far fronte e che minacciano la sua legittimità, il Risorgimento delle élites, il potere che si richiude in sé stesso Con la sconfitta di Mazzini, che verrà arrestato e persino condannato a morte per contumacia in Piemonte, a vincere è la soluzione cavouriana moderata e monarchica. Le opposizioni che lo Stato liberal-monarchico deve fronteggiare sono di 3 tipi : I brigantaggi meridionali, che evidenziano già una frattura economica e sociale, persino tra il Settentrione che inizia la sua rivoluzione industriale mentre il Sud latifondista rimane arretrato ; La chiesa cattolica, molto influente nelle masse contadine ; quella tra l’Italia e la chiesa è una frattura etico-politica ; Il seppur limitato movimento mazziniano che denuncia la continuità tra regno di Piemonte-Sardegna e il nuovo Stato italiano sabaudo. La costruzione dello Stato italiano è quindi affidata dalla conclusione di questa rivalità feroce tra Cavour e Mazzini a un ceto liberale e monarchico elitario ; ma si tratta della vittoria di un clan su un altro. Le masse popoari, nonostante i plebisciti che legittimano le varie annessioni sabaude, rimangono estranee alla logica del Risorgimento. Il compimento dello Stato italiano avviene solo grazie all’azione di élites liberal-moderate ; quindi lo Stato italiano, sin dalle sue origini, appare come uno Stato « di parte », non riconosciuto dalle opposizioni, non legittimitato da un ampio consenso popolare, dalle scarse basi democratiche. Secondo Salavdori, è proprio nel modo in cui venne portato al termine il processo del Risorgimento che vanno rintracciate le cause essenziali della debolezza strutturale dello Stato italiano ; il quale non riuscirà mai a sviluppare un sentimento nazionale paragonabile con quello nato in Germania dall’azione decisa e forte di Bismarck, nonstante i due paesi si fossero uniti pressoché alla stessa epoca. In altri termini, mentre in Germania il forte potere del carismatico cancelliere fa sì che si formi man mano una nazione tedesca, l’Italia resta unita solo da un punto di vista giuridico-burocratico, e non « sentimentale », per colpa del rifiuto dello Stato sabaudo da parte di forze emarginate, quali prevalentemente i cattolici e i socialisti, ma anche i mazziniani. Data questa situazione di debolezza del proprio Stato, le élites liberali sono state indotte a rinchiudersi in sé stesse, dando sempre maggiore autorevolezza alle tesi delle opposizioni : la macchina statale si lega sempre di più ad una classe dirigente, in un sistema sociopolitico che Salvadori definisce « mono-oligopolistico ». Il monopolio di potere nelle mani dei liberali va rafforzandosi e irrigidendosi con l’ermergere delle forze socialiste e anarchiche alla fine dell’Ottocento (il Psi nasce nel 1895 ; il socialismo italiano, secondo Salvadori, si struttura politicamente prima del compimento della rivoluzione industriale, caratteristica italiana rispetto al resto dell’Europa). QUELLO CHE IMPORTA CAPIRE E’ CHE, MENTRE IN GERMANIA, IL PERIODO DELL’UNITA’ E’ STATO FACILMENTE E RAPIDAMENTE SUPERATO PER COSTRUIRE UN PAESE FORTE, IN ITALIA IL RETAGGIO DEL RISORGIMENTO FA DA ZAVORRA, PARADOSSALMENTE, ALL’ANDAMENTO POLITICO : LE CARATTERISTICHE E LE CONSEGUENZE POLITICHE DELL’UNITA’ CONDIZIONANO IL FUTURO DEL PAESE FINO AD OGGI. II. La conflittualità politica, il reciproco screditamento : Stato, anti-Stato e dinamiche di potere A. La « guerra ideologica » che sfocia sulla conflittualità tra Stato e anti-Stato Salvadori nota che tutti e 3 regimi che l’Italia ha conosciuto nella sua storia sono nati da una guerra civile o, per lo meno, da rilevanti disordini segnati da un’importante violenza : La guerra del Risorgimento, nella quale si colloca anche la rivalità tra Cavour da una parte, e Mazzini e Garibaldi dall’altra ; La marcia su Roma del ’22 e gli scontri di piazza che l’avevano preceduta ; La guerra civile del ’43-’45 ; E Salvadori allude perfino alla svolta dell’inizio degli anni 1990, al passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica in cui vede un ulteriore cambiamento di regime, seppure parziale. Sempre quindi quest’idea di rottura violenta tra i vari regimi istauratisi in Italia con il succedersi degli anni. Ogni guerra civile si prolunga durante il regime stesso sotto la forma di una guerra ideologica tra due concezioni radicalmente antitetiche tra le quali non ci può essere nessun tipo di compromesso. Perché ? Perché da ogni guerra civile sorge un regime (uno Stato) « di parte », costruito da un clan, ex contendente nella lotta armata, che riesce ad imporre la sua esclusiva leadership : il vincitore si prendo tutto o quasi. Per cui è rilevante notare che l’opposizione da cui scaturisce la guerra civile non è omogenea ; può unirsi in modo pragmatico e congiunturale (ex : comunisti e democristiani contro il fascismo si può già intravvedere il ripetersi, dopo il fascismo, di un modello Stato/anti-Stato basato su una nuova guerra ideologica), però non reduce gli antagonismi che dividono le sue diverse componenti. Una di queste componenti s’impadronisce del potere in modo pressoché esclusivo, emarginando l’altra o le altre componenti dell’opposizione in una rinnovata situazione di opposizione (la Dc frega la vittoria dei partigiani comunisti ; si’impadronisce del potere, e il Pci viene repsinto nell’opposizione). La caratteristica di queste rotture violente risiede nel fatto che ci partecipa sempre la sinistra, contribuendo rilevantemente alla vittoria di un’alternativa di governo, ma viene alla fine sempre emarginata : Mazzini nel 1861 ; Il Psi e il neonato Pci nel 1922 ; I medesimi nel 1945-47 ; I Progressisti e il Pds alle elezioni del 1994. Ogni regime, dunque, è caratterizzato, in Italia, dalla presenza di un monopolio del potere da parte di un’élite (quello che Salvadori definisce lo Stato) e di un’opposizione che contesta, non solo la legittimità del governo, ma anche la legittimità del regime in sé, quindi della forma dello Stato (l’anti-Stato), appoggiandosi sulle larghe fette di popolazione dimenticate dal potere elitario. Presenti in tutti i regimi che l’Italia ha conosciuto, lo Stato e l’anti-Stato non dipendono dal fatto che lo stesso regime sia democratico o meno, o dal grado di compimento della democrazia ; anche il regime 3 repubblicano è stato segnato dalle stesse caratteritiche, e da una scarsa legittimità popolare (cf. risultato del referendum del 2 giugno 1946 : 54% per la Repubblica risicata maggioranza, raggiunta solo grazie alle frodi). Si tratta quindi di un sistema sostanzialmente bloccato, in cui l’alternanza non esiste. A tal punto che, pur non dicendolo esplicitamente, si avverte che per Salvadori la prima alternanza della storia italiana è avvenuta nel 1996, con le politiche che hanno dato una netta vittoria all’Ulivo. Storicamente, Stato e anti-Stato sono stati i seguenti : Periodo Stato Anti-Stato 1861-1922 Il ceto liberale monarchico I cattolici, i socialisti e gli anarchici, i mazziniani (il gruppo dell’Estrema) 1922-1943 Il ceto fascista I comunisti, i socialisti, i democristiani 1945-47-1990’s Il ceto democristiano, la Dc e i suoi alleati : Pri, Pli, Psdi Il Pci e la sinistra extraparlamentare (fino al ’63 anche il Psi)1 : un confronto Est-Ovest Dagli 1990’s in poi Verso la costruzione di un bipolarismo ? Non ci può essere nessuna alternativa di governo interna al regime, perché ogni opposizione contesta l’essenza stessa dello Stato ; ogni mutamento, ogni alternativa di regime proverrà per forza da un cambiamento del regime. La permanenza di una classe dirigente al potere favorisce la « lottizzazione dello Stato », l’ « occupazione dello Stato » : gli uomini del potere s’impadroniscono delle massime cariche amministrative e militari clientelismo, stretto nesso tra amministrazione e potere politico, tra magistratura e uomini politici. La classe dirigente politica è pressoché la stessa che governa l’economia collusione e conflitti d’interesse, corruzione la lotta politica per il cambiamento dello Stato diventa ben presto una lotta di classe. B. Trasformismo e autoritarismo : gestire un regime senza alternativa di governo Per gestire un governo senza possibilità di alternativa, le diverse classi dirigenti succedutesi alla testa dello Stato hanno dovuto muoversi in uno stretto margine di manovra. Le maggioranze sia del periodo liberal-monarchico che di quello democristiano si sono mosse da destra a sinistra, giocando sulle loro molteplici ali – ricordiamolo, le componenti delle maggioranze e dell’opposizione non sono omogenee – tra apertura e chiusura. Le dinamiche di potere sono, secondo Salvadori, sostanzialmente due : L’apertura trasformistica : spesso nella storia italiana si individuano momenti di apertura delle maggioranze, sulla base di un’alleanza tra maggioranza e ex oppositori convertitisi, in modo realistico o pragmatico, alla partecipazione governativa. Così fu con Depretis negli anni 1880 (alleanza con alcuni elementi della Destra, con alcuni mazziniani), con Giolitti (Apertura ai socialisti moderati Turati, Bissolati e Bonomi + Patto Gentiloni), con il centrosinistra del 1963, con il compromesso storico e anche in parte con i ribaltoni prima di Dini nel 1995 e di altre componenti del centro nel 1998, quando Rifondazione comunita lasciò il governo Prodi, facendolo cadere, e inducendo un nuovo sistema di alleanze del Pds con partiti appartenenti prima alla Cdl (Mastella, Cossiga). Questi movimenti corrispondono ad un bisogno da parte della maggioranza di trovare maggiore appoggio sulla sua sinistra (tranne nel caso Mastella-Cossiga). Il trasformismo, lungi dall’essere scomparso nello scenario politico odierno, costituiva però una prassi molto più comune durante il regime liberal-monarchico, visto che le varie componenti del Parlamento non erano strutturate in modo chiaro in partiti moderni, bensì i parlamentari erano notabili e i diversi gruppi avevano confini assai confusi. La reazione conservatrice : quando la maggioranza respinge l’apertura, temendo da spingersi troppo avanti nella riforma, e/o sentendo il suo potere minacciato, batte la strada della reazione, dell’autoritarismo conservatore, richiudendosi su sé stessa. Fu il caso di Francesco Crispi negli anni 1890, del « Torniamo allo Statuto » di Sonnino e Pelloux2, della « legge truffa » del 1953 e dell’inclusione a scatti del MSI nella maggioranza, della spinta reazionaria della Dc che sostenne per parte le iniziative di De Lorenzo nel 1963 (ci fu una permeabilità tra l’ala destra della Dc e gli ambiti reazionari dello Stato). Esplicitamente, Salvadori paragona i diversi regimi e le dinamiche di potere da cui sono stati animati : « Forzando le analogie, possiamo dire che la Dc ebbe i suoi Pelloux, Sonnino e Salandra e i suoi Zanardelli e Giolitti. » Queste dinamiche di potere, includendo delle opposizioni diventate « ragionevoli », hanno assicurato delle maggioranze centriste, chinando a volte al centrosinistra, a volte al centrodestra ; hanno consentito il permanere di una stessa classe dirigente, l’egemonia di uno stesso partito/una stessa corrente. C. Dal sistema bloccato al blocco di sistema : crisi di regime e guerra civile A un certo punto, però, né il trasformismo, né il metodo autoritario non sono più in grado di consentire una maggioranza in grado di governare il paese. Lo Stato, affondando le sue scarse radici in una legittimità popolare pressoché inesistente prima del 1948 e contestabile dopo, viene destabilizzato dallo stesso popolo, sotto i colpi d’ariete di una nuova guerra civile o di ulteriori disordini. La classe dirigente perde il controllo della situazione e viene sostituita. Si passa da un sistema bloccato ad un blocco di sistema : la routine del potere non consente di andare avanti. Esempi : Il blocco di sistema nel 1922 : il trasformismo liberale non riesce a superare la crisi di governo, il Psi, dominato dai massimalisti, si rifiuta di partecipare al governo e di consentire al regime liberal-monarchico di trovare una via d’uscita interna al sistema (dopo le elezioni del 1919, il Psi ha il gruppo parlamentare più importante alla camera dei deputati, con 156 membrei su 508) il metodo dell’allargamento delle maggioranze non funziona questa volta, solo i socialisti moderati integrano il governo, sotto la bandiera del Partito Socialista Rifromista Italiano (Ivanoe Bonomi partecipò a numerosi governi, con i dicasteri degli Esteri, del Tesoro, dell’Interno… et fu alla guida di un governo nel 1921-1922 ; nel secondo dopoguerra diventa presidente del Psdi). Il rovescio di Mussolini dal Gran Consiglio fascista, ma la continuità dello Stato con il governo Badoglio ; la guida del governo passava ad una altra corrente della classe dirigente, non più quella mussoliniana, bensì quella monarchica e militare, con l’ammiraglio Pietro Badoglio. Per Salvadori, si tratta di un tentativo di adattamento della classe dirigente, di un’alternativa all’interno dello stesso sistema ; ma non basta, e il governo viene affidato a Bonomi. Le elezioni del 1992, che segnano la vittoria relativa della Dc rispetto agli altri partiti, ma une netta sconfitta dello stesso partito che per la prima volta dal dopoguerra indietreggia sotto la soglia dei 30% di voti. 1 A questo proposito, bisogna alludere anche al dibattito sulla partecipazione del Pci e del Psi alla stesura della Costituzione, e quindi alla legge fondamentale dello Stato : i comunisti e i socialisti potevano avversare un regime che avevano contribuito a fondare ? 2 A questo proposito, Slavadori scrive : « Nel paese ebbe allora luogo un confronto-scontro di strategie politiche sì molto aspro e importante, ma destinato a rimanere – quanto alle possibili formule di governo – circoscritto all’interno delle diverse tendenze della classe dirigente, restando impensabile uno sbocco diverso. » (p. 50) 4 Risultati delle elezioni politiche del 1992 (Camera dei deputati) Partiti Voti in percentuale Dc 29.7% Pds 16.1% Psi 13.6% Lega Nord 8.6% Prc 5.6% Msi-Dn 5.4% La Dc si trova in una crisi palese (scompare nel gennaio del 1994), è screditata, non può più condurre il governo, ma nessun altro partito ha raggiunto una quota di voti abbastanza cospicua per sostituirla blocco di sistema 2 anni di instabilità fino alle elezioni del 1994, fino alla vittoria di Berlusconi. La domanda che uno deve farsi è quella : il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica è una rottura, una crisi di regime ? Non c’è una guerra civile, il regime non cambia radicalmente (ufficialmente solo la legge elettorale), non c’è una data precisa come la marcia su Roma o la Liberazione. Ma non si può negare che « cade un sistema » come dice Salvadori : quello nato dalla Resistenza al fascismo. Nella pratica i disordini sono molti (Mani pulite, azioni terroristiche della mafia siciliana contro i giudici Falcone e Borsellino), la diffidenza degli Italiani nei confronti della cosa pubblica estremamente alta ; lo scenario politico viene totalmente sconvolto, con la sparizione della Dc e dei suoi tradizionali alleati, del Psi, del Pci, e persino dell’Msi e l’emergere di « nuove » forze politiche (FI, Pds, MsiAn, vari partiti d’ispirazione democristiana…). A tal punto che l’ex anti-Stato, il Pci divenuto Pds, integra il gioco della politica istituzionale. E soprattutto emerge un altro anti-Stato : la Lega Nord, che si oppone a quello che definisce « la dittatura di Roma ladrona ». III. La sfida della « nazionalizzazione delle masse » e dell’allargamento delle basi dello Stato Nonstante la debolezza delle basi dello Stato, la sua scarsa legittimità popolare, esso ha regolarmente tentato di integrare il popolo, di coinvolgere le masse per radicarsi ed allargare le sue basi, per rafforzarsi, con tentativi interni al sistema statale, e qualunque sia il regime considerato. A. Il giolittismo, oltre il trasformismo : un tenativo liberale e semidemocratico Mentre Sonnino e Crispi guardano al modello bismarckiano e al primato dell’esecutivo nei confronti del Parlamento, Giolitti si rifà alla centralità di quest’ultimo, seguendo gli esempi britannico e francese. Il suo scopo, quello di rafforzare la centralità della corrente liberale, suppone una conversione trasformistica delle ali più moderate sia del Psi che del « partito cattolico » ; maestro nell’arte di orientare il Parlamento secondo gli interessi del momento, Giolitti usa il parlamentarismo arcaico di quell’epoca, non strutturato in partiti veri e propri. Ciò nonostante, il giolittismo non è solo un esempio di quelle fasi di allargamento delle maggioranze dello Stato nell’ambito parlamentare ristretto e sconnesso dalla realtà ; traendo le lezioni del crispismo e del suo scacco, Giolitti mira a allargare le basi dello Stato, a dargli la legittimità cui necessita. In poche parole, insomma, il giolittismo ripropone gli stessi principi del crispismo, ma reinterpretati in chiave liberale e non autoritaria, in modo più « soft » e gradualista. Si tratta insomma di dare al centro liberale l’appoggio popolare che gli manca. NB : In fondo, l’ambiguità del giolittismo fu proprio la contraddizione tra la lungimiranza dell’allargamento delle basi statali e i metodi arcaici usati per implementare quella politica in Parlamento questa contraddizione finì con l’uccidere lo stesso progetto di nazionalizzazione delle masse propostosi dal giolittismo. Il metodo trasformistico giolittiano coinvolge : I socialisti moderati, innanzitutto Filippo Turati, Ivanoe Bonomi e Leonida Bissolati. A Turati è rivolto la proposta di entrare al governo nel 1903. La linea riformista viene però battuta dai massimalisti al congresoo del 1904, Turati è costretto a ritirare la fiducia al governo ; ma tra il 1908 e il 1912 (data alla quale Bonomi e Bissolati vengono espulsi dal Psi per essersi rifiutati di denunciare la guerra libica), dopo una nuova vittoria di Turati, la collaborazione tra Giolitti e socialisti riformisti si fa sempre più intensa. I cattolici moderati, rassicurati dal fatto che Giolitti non sia stato un uomo del Risorgimento, né sia anticlericale, né sia legato alla massoneria. Nel 1904, alcuni deputati cattolici danno il loro sostegno al governo Giolitti. Progressivi accordi elettorali tra liberali e cattolici per impedire l’elezione di candidati socialisti elezioni del 1909 e soprattutto Patto Gentiloni del 1913 con cui i liberali s’impegnano a tutelare i principi del cattolicesimo. Quali sono gli elementi che comunque consentono di dire che il giolittismo è andato oltre il traformismo e mirava davvero alla nazionalizzazione delle masse ? All’inizio del suo regno, VEIII, molto meno conservatore di suo padre, è a volte soprannomianto il « re socialista » ; ciò è soprattutto dovuto all’azione di Giolitti tra il 1901 e il 1914. Scrive Giolitti : « mantenere l’ordine significa applicare costantemente la legge, avere un programma preciso, attuarlo con fermezza senza cadere mai nella violenza ; […] per riuscire a possedere questa forza, è necessario lasciare pieno agio a tutte le classi, soprattutto a quelle più numerose, consentire che esse facciano conoscere e valere le proprie aspirazioni e difendano, nell’ambito della legge, i propri interessi » Quella di Giolitti è dunque una linea liberale riformista che mira, gradualmente a dare spazio anche alle classi popolari, così da legittimare lo Stato liberal-monarchico. Giolitti, forse, aveva colto più acutamente qual’era l’originalità e la genialità del bismarckismo : inventare l’assistenza sociale. I provvedimenti dell’età giolittiana in cui appare nettamente questo scopo di legittimazione dello Stato sono : In ambito sociale/del lavoro : Regolamentazione del lavoro femminile e infantile : limite minimo di età alzato dai 9 anni ai 12 anni ; Regolamentazione del lavoro notturno ; Provvedimenti per l’alloggio dei braccianti ; Assicurazioni contro gli incidenti del lavoro ; Pensioni per i lavoratori più anziani ; Riposo festivo ; Creazione di un Consiglio superiore del Lavoro (1902) per favorire il dialogo tra le parti sociali ; Creazione di brse del lavoro, di cooperative… per favorire un’aristocrazia operaia con cui il potere potrebbe dialogare per « controllare » le masse ; 5 Nell’ambito del servizio pubblico, della vicinanza dello Stato agli Italiani : Servizi pubblici municipalizzati : acqua, gas, elettricità… ; Nazionalizzazione delle ferrovie, della rete telefonica, della rete di trasporti. Nell’ambito dei lavori pubblici, della pianificazione del territorio : Traforo del Sempione ; Acquedotto pugliese ; Sviluppo della marina mercantile. Nell’ambito della partecipazione politica : Riforma del suffraggio quasi universale maschile (per gli over-30 anni o gli over-21 anni che hanno compiuto il servizio militare). Tuttavia, secondo Salvadori, il giolittismo è stato un fallimento. Perché ? Il progetto di rafforzare la centralità della corrente liberale è fallito : l’allargamento del suffraggio ha dato il via del potenziamento del Psi, proprio quando esso si stava radicalizzando (anche con la presenza del giovane Mussolini). Quest’allargamento non ha consentito di dare alla corrente liberale una componente socialista riformatrice moderata ; solo il Psri di Bissolati e Bonomi parteciperà ai governi. La schiacciante maggioranza degli operai non era a favore di un’alleanza, seppur tattica, con i nemici di classe. La nazionalizzazione delle masse richiedeva un’azione più decisa da parte dello Stato : il giolittismo, sì, ha rotto con la tradizione di uno Stato liberale debole, poco attivo, strettamente burocratico ; ma non sufficientemente. Le leggi sociali giolittiane furono, sì, le prime, ma rimanevano primarie rispetto alla legislazione sociale tedesca, inglese o francese. B. I tentativi autoritari : il crispismo e il suo « erede » indiretto, il fascismo Il primo tentativo di coinvolgimento delle masse è stato il crispismo. Alla fine degli anni 1880 e all’inizio degli anni 1890, al potere à Francesco Crispi, esponente di spicco della Sinistra storica. La sua politica mira per la prima volta a suscitare nello spirito degli Italiani un semtimento di comune appartenenza nazionale, ed è impronta di un forte nazionalismo militarista. Crispi, ex mazziniano e ex garibaldino avente partecipato alla Spedizione dei Mille ma convertitosi alla monarchia, anti-francese (!!!), acceso anticlericale, colonialista, nazionalista, centralista, modernizza l’apparato amministrativo-burocratico statale per unificare il paese (riforma della giustizia, dei codici penale, commerciale e sanitario forte azione nel campo del diritto, arnese fondamentale per uno Stato nazionale) ; l’obiettivo è anche quello di sostituire il socialismo, che a quell’epoca sta entrano sulla scena politica, con il sentimento nazionale, con un ideale comune orgoglio di appartenere ad una grande potenza ; per cui, spinge l’avventura coloniale etiopica fino alla sconfitta di Adua nel 1896. La concezione crispina della Nazione e dello Stato, il colonialismo lasciato da parte, si avvicina e si rifà al bismarckismo : avendo incontrato più volte il vecchio leader tedesco, con cui tratteneva cordialissimi rapporti, basa tutta la sua politica estera sulla Triplice Alleanza. In campo economico, adotta tariffe doganali protezionistiche che scatenano una guerra commerciale con la Francia, e lancia grandi programmi di industrializzazione nel Nord ; inoltre, reprime violentemente i movimenti sociali emersi nel Sud del paese il suo secondo ministero, conclusosi con la sconfitta di Adua, è nettamente più conservatore e autoritario rispetto al primo. Tuttavia, secondo Salvadori, questo eccesso di autoritarismo e nazionalismo ebbe gli effetti opposti a quelli desiderati : fu, sempre secondo Salvadori, proprio durante il periodo crispino che la spaccatura fra Stato e anti-Stato si allargò. Non solo per la dura repressione che colpì i socialisti, ma anche – soprattutto ? – per la spinta coloniale che venne avversata da tutto l’anti-Stato, nonché da gran parte dell’establishment liberal-monarchico. Mentre negli altri paesi colonizzatori, quali Gran Bretagna, Francia e Germania, l’espansione oltre mare non suscitò che molto limitate contestazioni e fu sostenuta da gran parte sia della classe dirigente che della popolazione. Insomma, si può dire che il crispismo fu uno scacco maggiore – il primo – nella serie dei ripetuti tentativi di nazionalizzazione delle masse. Il secondo e principale tentativo autoritario di nazionalizzazione delle masse è stato il fascismo, ed è un tentativo estesosi su tutta la durata di uno dei tre regimi. Oltre ad essere il primo cambiamento vero e proprio di governo sin dall’Unità d’Italia, il fascismo è anche il primo e finora unico esperimento dittatoriale in Italia. Secondo Salvadori, anche il fascismo è stato uno scacco sulla via della nazionalizzazione delle masse, se paragonato ai due regimi di riferimento, il nazismo e lo stalinismo : lo Stato fascista è sempre rimasto troppo debole, nonostante il fatto che la teoria stessa dello Stato totalitario fosse di origine mussoliniana. E ciò dimostrato dal fatto che la dittatura « pura » non venne istituita subito, bensì a partire dal 1926-26, quando furono adottate le leggi fascistissime : disponendo di solo 35 deputati in Parlamento, Mussolini aveva bisogno dell’appoggio di altre componenti politiche per formare una coalizione ; insomma, al contrario di Hitler che poté tranquillamente e velocissimamente imporre la sua dittatura, Mussolini s’impadronì del potere, non quando aveva la maggior parte dei consensi, ma con un colpo di forza e grazie ad una serie di disordini ; il fascismo dovette così moderarsi ed essere penetrato da frange conservatrici, nazionaliste, militariste e monarchiche. Insomma, per Salvadori, lo Stato fascista non fu mai totalitario (ma solo intenzionato ad esserlo) proprio perché necessitava dell’appoggio degli ambienti militari, conservatori e monarchici che continuavano a controllare le sfere più alte dell’apparato statale ; quelle categorie, soddisfatte da « un fascismo light », da un semplice fascismo conservatore anticomunista privo di ogni riferimento rivoluzionario, frenarono le spinte troppo audaci del Duce e limitarono i danni. E non a caso proprio a partire dal momento in cui Mussolini strinse un’alleanza con il nazismo, più nettamente rivoluzionario, pagano e razzista il fascismo cominciò il suo lento declino ; la debolezza intrinseca del fascismo verrà inoltre dimostrata dalla velocità dello sfaldamento del regime. Il fascismo volla essere totalitario, ma non riuscì che a controllare la popoalzione, mai a coinvolgerla. La guerra a cui l’Italia non era preparata, e soprattutto la sconfitta fecero poi esplodere il compromesso di potere. C. I difficili cammini verso la « normalità del bipolarismo » : da Moro a Berlusconi evidenziare il legame, non ovvio, con la nazionalizzazione delle masse e l’ennesimo fallimento nel tentativo di coinvolgere gli Italiani nella gestione della cosa pubblica. Evidenziare anche il difficile cammino della Lega verso la Cdl, il suo progressivo trasformismo, ambiguo e non privo di contraddizioni e resistenze. La costruzione di un bipolarismo vuoto, che non coinvolge le masse ? In un certo senso, si può dire che l’andamento della politica italiana dalla metà degli anni 1970 in poi è stato un lungo e difficile cammino verso la « normalizzazione » della vita politica, cioè verso il bipolarismo. Scrive Salvadori : « Da quel momento [la metà degli anni 1970] il pur pesistente mono-oligopolio delle funzioni di governo da parte della Dc e dei suoi alleati si è collocato nel quadro di un iniziale, sebbene ancora incompiuto e contraddittorio, processo di « normalizzazione » democratica » Innanzitutto va notato che sin dall’inizio del periodo democratico-repubblicano, l’atteggiamento del Pci e del Psi, che in un primo tempo scelsero una strategia di stretta alleanza, nei confronti della Dc e degli altri partiti fu segnato dall’apertura. Traendo le lezioni dagli errori dei socialisti negli anni 1919-1922, Togliatti decise di battere la strada del pragmatismo e del gradualismo, entrando a far parte dei governi di unione nazionale fino al 1947 e contribuendo alla stesura della Costituzione fino alla fine dello stesso anno (e persino votando l’art. 7 che sancisce i patti lateranensi). Il Pci sviluppò la strategia del « gradualismo provvisorio » o del « riformismo pratico » : si trattava di attraversare il periodo capitalistico, aspettando la sua inevitabile caduta e maturando e preparando la rivoluzione (concepita come un processo), senza cercare di accelerare il processo con la violenza, per giungere alla « democrazia sostanziale » ; nel contempo, quanto alla gestione delle « regioni rosse », il Pci implementò una linea chiaramente riformista. Tuttavia, il confronto era reale tra Stato e anti-Stato (sennò sul piano pratico almeno su quello dei valori e della cultura), e rispecchiava la spaccatura internazionale tra Est e Ovest l’avvento della democrazia mantenne la struttura politica Stato/anti-Stato a causa del contesto internazionale che 6 divideva l’Italia. L’atteggiamento del Pci-Psi era quindi contraddittorio, sennonché visionario : aveva le mani e i piedi nel capitalismo e nelle istituzioni liberali che aveva contribuito a fondare (ricordare l’avversione di Togliatti verso ogni forma di sovversivismo o di illegalità), stando pensando al comunismo (Salvadori parla persino di « contro-società »). Tuttavia, a partire dagli anni 1970, il Pci iniziò a prendere atto dell’indebolimento del mondo comunista e a mutare i suoi punti di riferimento (dottrina dell’eurocomunismo). Lo scacco dei governi del centrosinistra (dal 1963 in poi) nel tentativo di ridurre il Pci ad una forza di opposizione marginale e soprattutto del compromesso storico avviarono una nuova fase, quella definita da Salvadori « il consociativismo » : si trattava sostanzialmente per i 3 grandi partiti, la Dc, il Pci e il Psi, di dividersi le responsabilità e gli incarichi statali, in un’atmosfera di consenso. Era l’epoca del Pentapartito e della corruzione rampante. avvicinamento pratico tra Pci e altri partiti, in cui non era ancora considerata la possibilità di un bipolarismo normale, né dalla Dc, né dal Pci, secondo Salvadori. Tuttavia, gli anni di governo Craxi avviano già l’ambizione, per il leader socialista, di formare un ampio schieramento socialdemocratico attorno al Psi, sfruttando le difficoltà elettorali e ideologiche del Pci, così da rafforzare la posizione del Psi nella spartizione del potere tra Psi e Dc. L’impossibilità del sorpasso del Pds dal Psi, e poi l’operazione Mani Pulite, fermarono le ambizioni di Craxi. Ma non diedero nemmeno al Pds l’occasione di imporsi quanto partito dell’alternanza. Dopo le elezioni del 1992, si avvia un periodo buio, in un contesto di frammentazione politica, in cui l’Italia prova a riformare le proprie istituzioni in un contesto analizzato da Salvadori come caratteristico di una nuova crisi di regime (soluzioni istituzionali di governo Amato e Ciampi, emergere di un nuovo anti-Stato, proposta cossighiana di un regime presidenzialista). Impossibilità permanente di trovare un accordo bipartisan sulle istituzioni, fino ad oggi. Referendum del 1993 : legge elettorale maggioritaria Politiche 1994 secessionismo della Lega, nuovo anti-Stato Governo istituzionale Dini, man mano sempre più apertamente sostenuto dalla sinistra ; ipotesi di un « governissimo » di grande coalizione Politiche del 1996, promessa di non cambiare le alleanze Tradimento del Prc nuova maggioranza, trasformismo cossighiano e mastelliano Politiche del 2001 primo governo eletto con una maggioranza chiara, che non cambia per 5 anni ; primo presidente del Consiglio che regge per tutta la legislatura. Serpent de mer della riforma istituzionale Elezioni del 2006 : si evidenzia un bipolarismo non maturo, una frammentazione delle coalizioni, un permanente screditare reciproco delle forze politiche impossibilità di trovare qualsiasi intesa. QUALE AVVENIRE PER IL BIPOLARISMO ITALIANO ? UN RITORNO AL PROPORZIONALE ? QUALE AVVENIRE PER LE MAGGIORANZE, PER LE COALIZIONI ? SE SI VA AL VOTO ADESSO, COME SI COMPORTA LA DESTRA ? CRITICA DELLE TESI DI SALVADORI : Critiche fattuali Critiche teoriche : è facile sedurre e stimolare intellettualmente con ipotesi generali e globalizzanti, ma bisogna ricordare il retaggio di Max Weber che chiama lo scientifico (nel campo delle scienze umane e sociali) all’umiltà, al rifiuto di farsi tentare da spiegazioni troppo generali che non fanno caso della complessità della realtà. Non è così facile affermare che nella storia italiana le contingenze e le necessità sono quelle, e basta. Viene fuori l’impressione di una storia del tutto predeterminata, ritmata da cicli. 7