INTRODUZIONE AL DIRITTO CANONICO Il Diritto ecclesiale nell’insegnamento nei seminari Fino al 1931: metodo esegetico, schola textus Con la costituzione apostolica “Deus Scientiarum Dominus” (24 maggio 1931), Pio XI apre l’orizzonte anche ad altre materie che riguardano la dimensione giuridica della Chiesa facendo perdere al metodo esegetico la sua esclusività Dopo il Concilio Vaticano II si arriva addirittura all’abbandono dell’insegnamento anche se il testo di riferimento resta OT 16:«nella esposizione del diritto canonico e nell'insegnamento della storia ecclesiastica si tenga presente il mistero della Chiesa, secondo la costituzione dogmatica “De Ecclesia” promulgata da questo Concilio». La Ratio Fundamentalis Institutionis del 1970 al n° 79 aggiunge ad OT rispetto agli obiettivi dell’insegnamento che:«nell’insegnamento del diritto canonico bisogna far emergere che tutto l’ordinamento e la disciplina ecclesiastica devono essere rispondenti alla volontà salvifica di Dio, cercando in tutto il bene delle anime», infatti la salvezza delle anime deve essere il principio ermeneutica di tutta la dimensione giuridica della Chiesa, la legge esiste infatti per il bene comune che alla luce della fede è proprio la salvezza delle anime. La Ratio Studiorum dei Seminari Maggiori d’Italia del 1985 dirà che riguardo al metodo si devono illustrare i contenuti teologico-dogmatici sottesi agli istituti giuridici e aiutare a comprendere la norma nella sua formulazione positiva.Riguardo invece agli obiettivi: 1) Ecclesiale: comprendere che la realtà della Chiesa non è solo spirituale, invisibile, ma anche terrena, concreta, visibile, storica; 2) Pastorale: perché i gesti pastorali, regolati dal diritto, traducono il mistero della salvezza nella storia; 3) Sintetico: deve aiutare infatti a fare sintesi dell’esperienza di fede, che non è solo soggettiva, ma si confronta con delle realtà che come tali sono anche “istituti giuridici”. Il Nuovo Codice di Diritto Canonico dell’83 ribadisce che esso è il principale documento legislativo della Chiesa e che va inteso come un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico l’ecclesiologia conciliare, facendo riferimento soprattutto a LG e GS. Così il metodo esegetico non va abbandonato, ma va interpretato alla luce del Concilio e alla sua ecclesiologia che amplia così l’orizzonte. Perciò ok metodo esegetico, ma tenendo conto del legame Concilio – Codice. PARTE PRIMA - IL DIRITTO ECCLESIALE NEL MISTERO DELLA CHIESA I motivi della cristi post-conciliare possono essere: Inadeguatezza della legislazione ecclesiale, rispetto ai tempi al Concilio appena passato. Nuova visione ecclesiologica del Vaticano II, perché la Chiesa non è più vista come “società perfetta”, ma come realtà sacramentale, strumento della salvezza, che continua la missione di Cristo, della comunione con Dio e con i fratelli. Crollano così le fondamenta su cui il diritto si era sempre basato e su cui giustificava la sua presenza. Mentalità anti-giuridica ed anti-autoritaria, manifestatasi in tantissimi aspetti della vita sociale, e che si scagli anche contro il CJC visto come strumento del potere. Ma di tutto ciò il Concilio non sembra essersene accorto, mentre lo farà Paolo VI affrontando il problema del senso diritto nella Chiesa, sulla dimensione giuridica della Chiesa. Vediamo le posizioni che sono emerse nel post-concilio a proposito di questo tema: Posizione anti-giuridica. Alcuni, pochi per la verità, continuano a sostenere la posizione del canonista R. Sohm (1841-1917) per cui:«l’essenza della Chiesa e l’essenza del diritto sono in contraddizione reciproca» e quindi non può esistere un diritto ecclesiale; La gran parte invece ne affermava la legittimità, ma dividendosi in due correnti di pensiero: De-teologizzare il diritto canonico. Il manifesto di questa posizione è l’editoriale della rivista Concilium del 1965 (curato da Urresti, Huyzing ed Edelby), in cui si sottolinea il carattere sussidiario del diritto canonico rispetto alla teologia (che gli fornisce le basi pre-giuridiche e il fine meta-giuridico [la salvezza delle anime]) e alla pastorale (per regolare ed ordinare cioè il governo della Chiesa). Dare una visione teologica del diritto canonico. Partendo dal mistero della Chiesa si vede che essa non può essere se stessa senza una sua dimensione giuridica. La posizione accolta dal magistero sarà proprio quest’ultima e conduce ad alcuni risultati acquisiti che segnano la fine della crisi: Il diritto canonico è ancora legittimamente presente nella Chiesa È necessaria però, alla luce della antropologia ed ecclesiologia conciliare, una nuova comprensione del diritto ecclesiale La dimensione giuridico-dogmatica della Chiesa può essere compresa solo a partire dalla stessa ecclesiologia, esso è relativo al cuore stesso della Chiesa. Definizione del diritto della Chiesa: Diritto canonico o diritto ecclesiale? Chiarimento a livello terminologico: Diritto canonico è l’espressione originaria dove i “kanones” sono le regole, imposte per la prima volta dall’autorità ecclesiastica nel Concilio di Nicea (in opposizione ai “nomoi” imposti dall’autorità civile) per regolare la vita della comunità e dei singoli fedeli Lungo la storia si incontrano anche altri termini, legati alle fonti da cui attingevano, quali: diritto delle decretali (le decretali erano gli epistolari tra i vescovi e il papa che vanno dal 450 d.C a Trento), diritto pontificio (che si afferma dopo Trento ed è in mano alla curia romana), diritto sacro (basato sui sacri canoni dei concili) e diritto ecclesiastico. A partire dal Concilio Vaticano II si parlerà di diritto ecclesiale volendo sottolineare lo stretto legame tra il diritto canonico e la Chiesa e la sua dimensione comunionale. Oggigiorno diritto canonico ed ecclesiale sono comunque assunti come sinonimi e la definizione che si da è riferita a due realtà: Il diritto della Chiesa nella sua essenza, ovvero la dimensione giuridica della Chiesa che, come dice Coccopalmerio, è:«l’insieme delle relazioni tra i fedeli fornite di obbligatorietà [ndr non sono cioè lasciate al libero arbitrio] in quanto determinate dai vari carismi, dai sacramenti, dai ministeri e dalle funzioni che creano regole di condotta» o come dice Giovanni Paolo II nella presentazione:« … se la Chiesa come corpo di Cristo è una compagine organizzata, se comprende in sé diversità di funzioni e realtà … allora è tanto fitta in essa la trama di relazioni che il diritto c’è già, non può non esserci». Il diritto della Chiesa nella sua formulazione positiva, ovvero l’insieme di norme, disposizioni, leggi che costituiscono l’ordinamento canonico vigente. Detto ciò si può quindi parlare di un’essenza del diritto e di una sua forma storica che sono strettamente legate all’essenza della Chiesa, come realtà dogmatica, e alla sua forma storica, come realtà contingente, concreta e visibile: il mistero della Chiesa, come continuatrice della missione di Gesù è l’insieme di queste due realtà, di questi due aspetti, che se anche distinti sono inscindibilmente uniti, proprio come in Cristo lo sono natura divina e natura umana: per questo si parla di “analogia del Verbo incarnato”. Così il diritto canonico nella sua essenza è contenuto nella realtà dogmatica della Chiesa, mentre nella sua forma storica trae la sua realtà da essa esprimendola a livello istituzionale, rendendola storica e regolando la vita del popolo di Dio, la Chiesa appunto. Teorie sul fondamento della giuridicità della Chiesa: o Teoria della separazione tra Chiesa visibile e Chiesa invisibile (Lutero), per cui esiste una doppia Chiesa: una spirituale alla quale appartengono tutti i giusti, conosciuti come tali solo da Dio, e una visibile che riunisce tutti i battezzati, anche i peccatori. Queste due Chiese sono ben distinte, ma indispensabili l’una all’altra, perché la prima è il principio vitale, la seconda il campo d’azione, ma nella prima vige un diritto divino, nella seconda uno umano, che fa riferimento alla sfera esteriore, non è vincolante per la coscienza e non ha un significato salvifico, perché i cristiani sono liberi dalla legge e salvi per la fede. Non c’è quindi nessun collegamento tra il diritto canonico positivo e l’essenza della Chiesa. o Teoria della negazione del diritto nella Chiesa (R. Sohm), tesi positivistica per cui il diritto nasce dallo stato, non ha alcun fondamento ulteriore e le sue leggi traggono la loro obbligatorietà dall’autorità e non da un valore, quindi con la Chiesa non c’entrano niente. o Il diritto come norma, la Chiesa come societas inæqualis (soluzione tradizionale), per cui il diritto è una “disposizione della ragione per il bene comune” (S. Tommaso), un rimedio alla fragilità umana ed è esigito dalla socialità della Chiesa, ma serve anche perché essendo la Chiesa gerarchizzata, “societas inæqualis”, ha bisogno di norme che la regolino. Critiche: si parla solo della Chiesa come visibile e gerarchica (mentre esso è solo un aspetto del mistero della Chiesa) e della norma positiva (mentre la norma suppone una realtà più ampia ed articolata che è anch’essa di natura giuridico-dogmatica). Le università di stato degli anni’40 e ’60 riprenderanno il concetto di diritto come canonico come mero ordinamento giuridico, mentre qualche corrente ecclesiale cercherà di vederlo come diritto pubblico ecclesiastico. o Chiesa come sacramento di salvezza (Concilio Vaticano II, LG 1) dove l’elemento divino non è messo in ombra, ma non assorbe quello umano tentando di coordinare i diversi elementi grazie ad ordinamenti alcuni dati da Cristo stesso e altri dalla Chiesa, in riferimento alla sua natura, al suo fine e alle esigenze culturali. Il fondamento del diritto canonico … … antropologico. Nella creazione la dignità dell’uomo è essere creato ad immagine e somiglianza di Dio e quindi persona, creatura razionale e libera, capace di conoscere ed amare Dio ed entrare in relazione con Lui e con gli altri e da questa natura relazionale ne viene che la chiamata alla salvezza è sempre insieme agli altri Con il peccato l’uomo distrugge questa dignità, ma in lui rimane la capacità di ricevere la restaurazione, da parte di Dio, di questa dignità e su questa capacità è resa possibile tutta la storia della salvezza che ora vediamo L’antica alleanza, è un atto di grazia che si esprime con il dono della legge, espressione della relazione personale che lega il popolo a Dio e i membri del popolo tra di loro Gesù Cristo pone il fondamento di una legge nuova, di una nuova giustizia, in continuità con l’AT, ma nuova (“vi è stato detto, ma io vi dico”) perché chiede l’adesione non solo del comportamento esterno, ma anche del cuore superando così anche la conflittualità relazionale non solo sulla base di norme, ma per una rinnovata dimensione fraterna per la quale gli altri sono fratelli riconosciuti come membra di un’unica comunità di cui Dio è il Signore Quindi la giustizia che emerge dalla rivelazione biblica è fondata sì sull’essere uomo, ma anche sull’essere prossimo, fratello di ogni altro, dando a ciascuno il suo (in senso cristiano!). E questa giustizia va intesa in senso “analogo”, perché la giustizia in quanto tale è solo di Dio ed è stata pienamente rivelata in Gesù Cristo, il Giusto che ci ha resi giusti nel suo Regno e l’uomo partecipa pienamente a questa giustizia quando riesce a far sì che la giustizia umana diventi immagine esterna di questa giustizia. Il Regno di Cristo è già presente misteriosamente nella Chiesa, che però non lo esaurisce, ed ecco perché quest’ordine interno costituisce un vero ordinamento divino. … ecclesiologico. Paolo VI disse ai partecipanti al II Congresso Internazionale di Diritto Canonico del 1973:« … la Chiesa istituzionale è al tempo stesso intrinsecamente spirituale, soprannaturale. Di conseguenza i diritti e i doveri della Chiesa hanno un’indole soprannaturale: se la Chiesa è un disegno divino, le sue istituzioni, pur perfettibili, debbono essere stabilite al fine di comunicare la grazia divina e favorire il bene dei fedeli …», alla Chiesa è infatti affidato il compito di continuare la missione di salvezza di Cristo e questo ne fa il “sacramento universale di Cristo” che vive ed opera storicamente nel mondo per mezzo di essa, visto che Cristo è stato mediatore di salvezza non solo in virtù della sua divinità, ma anche della sua umanità. E proprio per questo LG evidenzia, al punto 8a, il rapporto Cristo-Chiesa usando l’analogia tra mistero del Verbo incarnato (vero Dio e vero uomo) e mistero della Chiesa (Corpo Mistico di Cristo e comunità visibile): Gesù è il sacramento primordiale dell’amore di Dio per gli uomini e unica via d’accesso a questo amore, ma dopo l’ascensione rende visibile tra noi la noi la sua presenza attraverso la Chiesa, suo corpo mistico, sacramento universale della salvezza. Ecco perché l’agire della Chiesa deve essere a servizio della salvezza e siccome l’autorità giuridica trova il fondamento primo nella natura umana, che entra nella salvezza, il diritto positivo diventa strumento per il raggiungimento della salvezza. Proprio per questo l’ultimo canone dice che la salvezza è la norma suprema, meta di tutte le norme. Il Diritto canonico partecipa quindi della sacramentalità della Chiesa dove trova il suo fondamento. PARTE SECONDA – IL DIRITTO NELLA STORIA DELLA CHIESA: SINTESI DI STORIA DELLE FONTI Il periodo delle collezioni di norme (fino al 1142). La Chiesa ha sempre avuto delle norme poi certo il diritto canonico nascerà più avanti come scienza giuridica (e non nascerà allora la capacità di normare come dice il Sohm!) e certo molte istituzioni ecclesiali sono debitrici del diritto romano e pongono le loro radici in esso (ma la capacità di normare da parte della Chiesa non affonda le radici nel diritto romano come sostiene Alberigo, ma nel mistero della Chiesa!), ma innanzitutto la Scrittura è fonte di diritto per il popolo d’Israele e per il nuovo popolo di Israele che è la Chiesa (e quindi fonte di Diritto Canonico) e poi nei primi tre secoli nascono le prime istituzioni ecclesiali perché la Chiesa va organizzandosi sia sul piano locale (ministero del vescovo) che su quello dei rapporti di comunione (comunione tra le chiese). In particolare per quanto riguarda le fonti del diritto canonico troviamo tre periodi: L’epoca delle collezioni pseudo-apostoliche (fino al IV secolo). Agli organi della Chiesa come fondata da Cristo, che regolavano anche la disciplina delle comunità ecclesiali, ne seguono altri: a Pietro succede il vescovo di Roma e agli apostoli i vescovi. Il diritto di questi primi tre secoli è ciò che parte della Tradizione, di ciò che si presume tramandato dalle comunità apostoliche in maniera orale e che non ci sono mai arrivare direttamente, ma attraverso una ricostruzione di documenti posteriori. Autentici interpreti della Tradizione sono i vescovi che si confrontano nei concili provinciali per adattare insieme la tradizione alle questioni concrete della Chiesa. Il papa non fa diritto, anche se nel sistema di comunione tra le chiese ha particolare rilievo la sua opinione. L’epoca delle collezioni antiche (dal IV al VI secolo). Con la pace costantiniana firmata nell’editto di Milano del 313 d.C si apre una nuova era per il diritto canonico, perché si passa dal principio della Tradizione a quello dell’autorità. E le autorità fonte di diritto in questo periodo sono: o concili particolari o ecumenici che emanano una serie di canoni soprattutto riguardanti problemi di fede o di disciplina canonica; o anche i papi iniziano ad essere autorità legittima che emana norme attraverso delle lettere, chiamate decretali (il primo, Gelasio nel 494), in risposta a quesiti posti da altri vescovi (soprattutto di rito latino) in merito a tematiche di disciplina canonica. Certo queste decretali valevano per il caso singolo, ma a motivo della comunione ecclesiale diventeranno norme generali, perché se anche gli altri vescovi non sono tenuti a rispettarle, si sentono obbligati visto il loro essere successori degli apostoli; o gli imperatori che emanano norme di diritto ecclesiastico intervenendo nei rapporti tra vescovi, che a loro volta collaboravano con l’imperatore. In questo senso vale la teoria di Alberigo: “Ecclesia vivit iure romano”, che non va però assolutizzata. Inizia qui anche la sempre più sensibile distinzione tra mondo latino e bizantino, perché proprio in questo periodo vanno distinguendosi le collezioni orientali da quelle occidentali: Dopo il concilio di Calcedonia (451) infatti i patriarcati orientali risentiranno dell’influsso molto forte delle leggi imperiali, in particolare di Teodosio (Codice Teodosiano, 438) e Giustiniano (Corpus Iuris Civilis, 528-534), che porterà alla nascita dei “nomo-canoni” ovvero di raccolte di leggi civili e canoniche. In Occidente invece si celebrano numerosi concili che elaborano nuovi canoni che insieme alle decretali entrano a far parte delle collezioni antiche (che contenevano anche testi dei padri, della Bibbia e poche leggi civili), la più importante quella di Dionigi il piccolo del 497 che verrà continuamente aggiornata fino al 774 quando il papa Adriano I la consegnerà a Carlo Magno (per orientare la riforma carolingia della chiesa franca) come collezione dionysio-adrianea. L’epoca delle collezioni elaborate nell’Alto MedioEvo (VII-XI secolo). Segnano questo periodo: il ridimensionamento geografico della Chiesa cattolica in seguito alle invasioni barbariche, il forte frazionamento politico dei nuovi regni (che Carlo Magno cercherà di ricostituire nel Sacro Romano Impero Germanico) e il sistema feudale applicato alla Chiesa (che provoca una grave decadenza nel clero, in parte arginata con la lotta per le investiture e la riforma gregoriana). ma spunta anche il fenomeno delle false decretali (di cui abbiamo due raccolte: le pseudo-isidoriane e i Capitularia Benedicti Levitæ): o La loro origine si attesta nel IX secolo (tra l’857 e l’862) in un contesto in cui il diritto antico e le nuove norme risultavano insufficienti ad affrontare le molte nuove questioni: gestione del patrimonio ecclesiastico, esercizio dell’autorità dei vescovi, ingerenze delle autorità politiche ecc. o Gli autori sono ecclesiastici francesi che si ritrovano raccolti numerosi documenti (da monasteri e archivi della Chiesa) tentano, così facendo, di rimuovere i vincoli che sottomettevano la Chiesa alla potestà francese, restaurare solidamente la gerarchia e l’organizzazione ecclesiastica, obbligare i chierici alla stretta osservanza dei diritti ecclesiastici e portare una riforma di vita per i laici. o La tecnica della falsificazione si avvale di parecchie tecniche: Interpolazione di decretali originali. Attribuzione, cambiando cioè il nome di un’autorità che emette un testo attribuendo così a questo maggiore o minore importanza. Invenzione di nuovi testi. Interpretazione, facendo scivolare commenti di collezioni antiche nel testo. Intanto però nel diritto canonico inizia a maturare una mentalità sistematica e scientifica, che porterà nell’XI al Decreto di Burcardo (vescovo di Worms) e alla Trilogia di Ivo di Chartres, opere molto importanti perché possono essere considerate le prime raccolte sistematiche perché non più in senso cronologico, ma per argomento. Esse pongono le basi per il documento che aprirà una nuova epoca: il decreto di Graziano. L’età classica del diritto canonico (fino al Concilio di Trento) Il periodo che va dal XII al XIV secolo (e più precisamente al 1378 il periodo avignonese) è infatti quello della sintesi medioevale, che segna il momento aureo della cristianità: si elabora un completo sistema giuridico distinguendolo come scienza sia dalla teologia che dal diritto romano e dalle università nasce il Corpus Iuris Canonici. È insomma il periodo delle trattazioni sistematiche: Il decreto di Graziano e i commenti al decreto. Esso è il punto di arrivo di un’epoca e il punto di partenza per il rinnovamento della dottrina e della prassi giuridica. Graziano è un monaco camaldolese che insegna diritto a Bologna nella prima metà del XII secolo e tra il 1120 e il 1140 compone la “Concordia discordantium canonum” che i suoi discepoli completarono con le cosiddette “Paleæ” dando origine al Decreto. Attraverso i commentatori dell’opera (“decretisti”) esso si diffonderà in tutta Europa. L’opera: o É frutto maturo di un lungo cammino, è un vero e proprio trattato scientifico il cui merito è quello di aver conservato il testo intero di atti che altrimenti non conosceremmo affatto o parzialmente. o Il metodo di lavoro si basa sui tentativi di conciliare tra loro norme contraddittorie con l’uso di altre norme e secondo alcuni criteri (“metodologia giuridica”): spirito del legislatore, tempo di emanazione, carattere locale o universale e finalità particolari o generali. o Va detto poi che essa nasce per la scuola ed è di uso pratico e quindi non ha autorità legale, pur essendo comunque fonte di diritto. Le norme di Graziano avranno quindi autorevolezza ed importanza non in forza dell’autorità ecclesiastica, ma dell’autore e della sua dottrina. Nasce quindi l’autorità del maestro. o In seguito all’uso delle varie università nascerà anche il fenomeno delle glossæ, cioè di commenti scritti a lato, da cui nacquero poi le summæ, trattati contenenti dottrina e legislazione, per poi passare ai libri e alle Istituzioni (corsi delle facoltà). L’attività legislativa successiva al decreto. Il testo pone parecchi nuovi interrogativi che coinvolgeranno scuole e vescovi, provocando così numerosi appelli ai papi, i più competenti dei quali comporranno decretali di portata “universale” e che porteranno alla presa di decisioni molto importanti al Concilio Lateranense III (1179), ma soprattutto al IV (1215) a cui il diritto canonico sarà molto debitore. Da tutte le decretali e dai canoni di questi concili, che costituiscono le fonti del diritto1 più importanti di questo periodo, nascerà la necessità di raccogliere di nuovo queste norme in collezioni di fonti: o La prima fu quella eseguita su richiesta di Gregorio IX (circa 1230) da Raimondo da Peñafort che adotta la suddivisione in cinque libri: iudex (giudice, diritto sostanziale che regola gli istituti giuridici), iudicium (giudizio, diritto processuale ovvero le procedure per riparare un diritto leso), clerus (gerarchia ecclesiastica), connubia (diritto matrimoniale) e crimen (diritto penale). Questa collezione verrà promulgata dal papa come raccolta ufficiale, autentica ed esclusiva: quindi i testi i essa contenuti ottengono forza legale e tutti gli altri la perdono. o Quella di Bonifacio VIII (circa 1300), Liber Sextus, e che si somma ai cinque di Gregorio IX e contiene anche le famose regolæ iuris, 88 principi fondamentali su cui si basa la metodologia-giuridica. o Quella di Clemente V (circa 1312), le Clementinæ che sarà l’ultima collezione dopo di cui le decretali non saranno più raccolte in collezioni autentiche, ma solamente aggiunte alle raccolte precedenti. o Nel sec. XV vengono così composte due collezioni di decretali: le Extravagantes Iohannis XXII (da Urbano IV) e le Extravangantes communes (da Sisto IV). o A partire dal XVI sec. La raccolta delle varie fonti giuridiche assume la denominazione di Corpus Iuris Canonici (come la chiameranno i fratelli Pithou nel XVII sec) imitando il Corpus Iuris Civilis di Giustiniano. Il periodo della riforma dell’ordinamento canonico (fino ad oggi). Questa riforma avviene in tre tappe in risposta a tre diverse situazioni storiche: La dissoluzione della sintesi della cristianità medioevale e il conseguente affermarsi del particolarismo, dell’umanesimo e dello spirito laico portarono alla decadenza della Chiesa e la riforma protestante la Chiesa rispose con Il Concilio di Trento. Nello specifico della riforma disciplinare: o la curia romana resiste, ma vengono rimossi gli abusi; o rendere più libera la nomina dei vescovi a cui si impone residenza e visita pastorale; o si cerca di ricondurre i religiosi alla vita comunitaria e si impone la vigilanza del vescovo sui vari monasteri; o per il clero nascono i seminari, l’incardinazione, l’assegnazione delle parrocchie; o si cerca di limitare i vari benefici e di far rispettare le libertà ecclesiastiche Gli strumenti usati per questa riforma dal Concilio furono: o la promulgazione dell’edizione integrale dei decreti conciliari, la cui lettura è obbligatoria per clero e religiosi e a cui è proibito fare qualsiasi glossa; o le riforme specifiche sono a cura dell’autorità pontificia; o le norme applicative sono emanate da sinodi provinciali e diocesani; o il papa controlla l’operato dei vescovi attraverso le congregazioni romane, i visitatori apostolici e le visite ad limina con le relazioni; o l’inquisizione che opera con varie sanzioni canoniche ed economiche; o vescovi delle singole diocesi che applicano la riforma; o potere di giurisdizione (legislativa, esecutiva e giudiziaria) usato con fermezza dal papa e dai vescovi. 1 Le fonti del diritto sono: leggi già vigenti, dottrina e giurisprudenza (come i giudici hanno cioè risolto vari casi) La fonte primaria del diritto canonico rimane il testo conciliare fino al 1917, fonti secondarie sono gli atti dei papi e della curia romana. Termina comunque la produzione di nuove collezioni e si ha invece un maggior progresso dottrinale. Un’opera importante per lo studio del diritto canonico tridentino, ma che non sarà riconosciuta ufficialmente, furono le Istituzioni di Diritto Canonico di Giovanni Paolo Lancellotti (1522-1590). La crisi dell’Europa Cristiana con il prevalere dell’illuminismo e dell’assolutismo portarono alla rivoluzione francese e alla fine del potere temporale della Chiesa la Chiesa rispose con Il Codice del 1917. Vediamo le tappe della sa nascita. o Esso fu fortemente voluto da Pio X (ma poi concluso da Benedetto XV) che nel 1904 istituì una commissione di cardinali e una di consultori (teologi e canonisti) per elaborare vari progetti. È subito chiara l’intenzione di redigere un vero e proprio codice usando la metodologia dei codici civili (il cui culmine è quello napoleonico). o Il lavoro è enorme perché bisogna raccogliere tutto il diritto vigente ed elaborare un apparato critico con tutte le fonti di diritto in riferimento ai singoli canoni. o Tra il 1912 e il 1914, man mano che sono pronte le parti del codice, vengono inviate a tutti i cardinali e a tutti i vescovi perché possano esprimere giudizi e osservazioni. o La morte di Pio X e la I guerra mondiale interrompono i lavori che riprendono nel 1916 con la revisione di tutte le osservazioni pervenute. o Viene poi stampato (come Codex Iuris Canonici), promulgato alla Pentecoste del 1917 con la costituzione Provvidentissima Mater Ecclesia, pubblicato negli Acta Apostolicæ Sedis ed entra in vigore nella Pentecoste del 1918. Il codice è però statico e già nel 1917 si istituisce una Commissione per l’interpretazione autentica che diventerà la Pontificia Commissione per l’Interpretazione dei Testi Legislativi. La dissacrazione del popolo cristiano con il modernismo e il materialismo portarono alla nascita dei totalitarismi, alla seconda guerra mondiale e al dischiudersi di nuovi orizzonti per la Chiesa la Chiesa rispose con Il Concilio Vaticano II. Vediamo anche qui le tappe che porteranno al codice del 1983: o Già Giovanni XXIII nel 1959 auspicò un rinnovamento del Codice e nel 1963 istituisce la Commissione di Riforma del Codice che alla fine del Concilio avrebbe iniziato i lavori per tradurre in formule giuridiche la riforma del Concilio Vaticano II per poterlo applicare alla vita delle comunità ecclesiali. o Nel 1964 Paolo VI nomina 70 consultori che propongono la redazione di due codici (uno per la Chiesa latina e uno per le Chiese orientali) insieme ad un Codice Fondamentale (Lex Ecclesiae fundamentalis) che alla fine non sarà promulgata. o Nel 1967 ricevono poi i principi direttivi dal Sinodo dei Vescovi. o Nel 1977 e nel 1980 sottopongono due schemi definitivi alla visione di Vescovi, Abati, Superiori Religiosi e Periti. o Nel 1981 si tiene una sessione plenaria della Commissione che tenendo conto dei riscontri ricevuti provvede alla stesura di un ulteriore schema viene redatto nel 1982. o Il Codice viene così promulgato il 25 gennaio 1983 con la Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae legis ed entra in vigore il 27 novembre 1983. o Nel 1984 viene nominata la Commissione per l’interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico ora Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi. La costituzione di promulgazione del Codice di Diritto Canonico: Sacrae Disciplinæ Legis: Innanzitutto la data: il 25 gennaio 1983 è esattamente 24 anni dopo l’annuncio di papa Giovanni di voler riformare il Corpus delle leggi canoniche, di celebrare il sinodo della Diocesi di Roma e di convocare il concilio ecumenico. I lavori poi sono proceduti con uno spirito profondamente collegiale. Il nuovo codice è il principale documento legislativo della Chiesa ed è quindi un modo di tradurre l’ecclesiologia del Concilio: l’ecclesiologia di comunione. Norme speciali … Ci sono infatti alcune leggi integrative che regolano determinate materie nella vita della Chiesa: leggi liturgiche, che si trovano nei libri liturgici; (can. 2) le competenze e le strutture dei vari organismi della curia romana che sono regolate dalla costituzione apostolica, del 1988, Pastor Bonus; le normative dei tribunali della Chiesa apostolica; la regolamentazione delle cause di canonizzazione, contenuta nella legge peculiare, del 1983, Divinus Perfectionis Magister. … e leggi complementari ad integrazione del Codice. Molto spesso infatti il Codice rinvia al diritto particolare; Per determinati argomenti vengono accolte nella normativa canonica anche le leggi civili del luogo tramite il processo di canonizzazione della legge civile (can. 22). Va poi tenuto conto dei rapporti concordatari tra il romano pontefice e i vari stati. (can. 3) Inoltre oltre si trova spesso anche il “diritto proprio”, che trova cioè la sua fonte nell’autorità legislativa diversa dal vescovo diocesano. Infine ogni associazione pubblica o privata ed ogni persona giuridica canonica ha propri statuti che, presentati alla competente autorità gerarchica, ottengono il riconoscimento. PARTE TERZA – IL LIBRO PRIMO DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO: NORME GENERALI É come l’ingresso di un dottore per la prima volta in un sala operatoria. Esso è caratterizzato: o Dalla generalità delle norme, perché queste delineano il quadro generale nel quale si colloca ogni altra norma della Chiesa; o Da norme che come tali hanno un valore giuridico vincolante; o Dalla tecnicità, perché il diritto come scienza ha propri principi e metodo proprio. Canoni preliminari (1-6) I destinatari del codice (can.1). I fedeli della Chiesa Cattolica latina. Diritto liturgico (can. 2) e Diritto concordatario (can. 3) vedi la fine della parte seconda. Diritti acquisiti e privilegi (can. 4). Il principio fondamentale è l’irretroattività della legge a meno di applicazioni esplicite. Fonte dei diritti è la legge (divina o canonica che sia), fonte dei privilegi è la concessione da parte dell’autorità. Lo scopo di entrambe è il bene delle anime, ma dei privilegi si deve dimostrare che furono concessi dalla Santa Sede, che sono ancora in uso, non sono stati revocati dalla competente autorità né lo sono stati dal Codice. Diritto consuetudinario (can. 5). La consuetudine è un diritto oggettivo non scritto che trae le sue origini dal modo di agire costante e protratto nel tempo di una comunità, da questa introdotto con la volontà di vincolarsi ad esso in modo normativo. Esse non sono leggi in senso stretto e se da un lato hanno una grande importanza nella vita della Chiesa, dall’altro vanno regolate dalla gerarchia per la corretta trasmissione del dato rivelato. Essa può essere: Secundum legem, perché costituisce un modo particolare di applicare la legge; Præter legem, impone cioè qualcosa di non prescritto dalla legge e allora deve essere comunque ragionevole (mirare a conseguire un bene conforme alla natura della Chiesa) e conservata almeno per trent’anni continui e completi. Contra legem, vieta cioè ciò che è permesso dalla legge o viceversa. Ora se le consuetudini sono riprovate da alcuni canoni sono soppresse, cioè viene tolto loro valore giuridico, e quelle non riprovate sono da ritenersi soppresse, a meno che non sia disposto espressamente altro dal CIC o che si tratti di consuetudini centenarie e immemorabili. In questo caso possono essere tollerate. La tolleranza è un istituto giuridico particolare del diritto canonico: con esso si consente che la legge positiva ecclesiastica, non quella divina o naturale, possa essere subordinata alla realtà concreta. Codice e legislazione anteriore (can. 6). Innanzitutto entrando in vigore il CIC del 1983 viene abrogato quello del 19172. Per le altre leggi non contenute nel CIC del ’17: sono abrogate tutte quelle contrarie alle disposizioni del nuovo codice, siano esse universali o particolari, a meno che non sia disposto altro; sono abrogate tutte le leggi penali emanate dalla Sede Apostolica; sono abrogate tutte le leggi disciplinari (che normano le modalità di comportamento per la comunità) universali che riguardano una materia che viene ordinata integralmente nei canoni del nuovo Codice. Vengono così abrogate varie costituzioni apostoliche, motu propri e documenti delle Congregazioni editi nel post-concilio. Detto ciò va tenuto comunque conto del principio di continuità della tradizione canonica. Le leggi ecclesiastiche (can. 7-22) I primi tre canoni trattano dell’Istituzione della legge (can. 7), della promulgazione della legge (can. 8) e della irretroattività della legge (can. 9). Leggi irritanti e inabilitanti (can. 10). Solitamente il non rispettare una legge non rende nullo l’atto, per rispettare la libertà della persona, ma ci sono dei casi in cui il legislatore può farlo se l’atto compiuto è stato posto in essere in contrasto ad una determinata legge (e quindi irritante) o da persone incapaci (a causa dell’inabilitazione) di compierlo. Gli effetti di questo comportamento illegittimo (che riguarda comunque pochi casi) sono il non raggiungimento da parte dell’atto degli effetti giuridici desiderati a condizione che: vi siano esplicite ed inequivocabili previsioni legislative che determinano la nullità; tali leggi riguardino cose di grande importanza. Attenzione però che basta che le condizioni siano ESPRESSAMENTE dette, e quindi possono anche essere implicite in un canone, non devono per forza essere esplicite. I destinatari delle leggi ecclesiastiche (can.11) Innanzitutto leggi ecclesiastiche vuol dire che non si parla di quelle di diritto divino sia esso naturale o positivo (tratto cioè dalla Rivelazione). Anche se ovviamente una legge ecclesiastica non può essere contraria ad una di diritto divino. Poi i sudditi della legge ecclesiastica sono solo coloro che sono in piena comunione con la Chiesa Cattolica e cioè coloro che soddisfano contemporaneamente tre criteri: Ecclesiologico:«i battezzati nella Chiesa cattolica o in essa accolti», mentre per il CIC del ’17 erano tutti i battezzati! E coloro che hanno abbandonato la fede cattolica per apostasia, eresia o scisma sono ancora soggetti a tutte le leggi ecclesiastiche fatti salvo alcuni casi in cui si:«abbandona la Chiesa cattolica con un atto formale». Così dicendo si distingue quindi l’abbandono della Chiesa cattolica dall’abbandono della fede cattolica. Psicologico. Mancando cioè l’uso di ragione, a livello clinico, uno è dispensato dagli obblighi ecclesiastici. Cronologico. Bisogna avere almeno sette anni, quando si ha cioè l’uso di ragione e si è in grado di conoscere la legge e osservarla. Detto ciò vi sono leggi ecclesiastiche che pongono soglie di età superiori. Territorialità e alla personalità della legge (can, 12-13). Le leggi universali possono essere infatti personali (interessano cioè categorie di persone [12 § 1]), ma possono esserci casi particolari (territori in cui esse non valgono [12 § 2]). Le leggi particolari invece valgono solo per coloro che hanno domicilio, o quasi domicilio in quel dato territorio, e che vi dimorano (12 § 3). La particolarità è quindi legata solitamente alla territorialità (13 § 1). Si fa poi un breve accenno a girovaghi e forestieri (13 § 2 e 13 § 3). E questo diversamente da quello del ’17 che mantenne la disciplina anteriore. Ciò è imputabile alla necessità di modificare la legislazione della Chiesa in armonia con il discernimento ed il magistero del Concilio Vaticano II. 2 Leggi dubbie (can. 14). La legge di fatto può essere infatti nei casi concreti dubbia e di solito si distingue in due tipi di dubbio a seconda della fonte di esso: Dubbio di diritto (dubium iuris) se si dubita dell’esistenza di una norma (se entrata in vigore, se è stata emanata, se è cessata) o sulla portata o sul significato! Queste leggi è come se non esistessero, non urgono, non sono obbliganti. Dubbio di fatto (dubium facti) perché anche se la norma è chiarissima e certa in ses tessa, non si capisce se la situazione concreta rientra o no nella norma. Queste leggi invece urgono, sono obbliganti, ma possono essere dispensate. E questo perché non si può dubitare del fatto, ma della nostra conoscenza di esso. Per dubbio si intende che esso sia positivo (e quindi legato a motivi oggettivi e reali) e probabile (e quindi l’opinione o la sentenza opposta sia molto improbabile, incerta) ed esso si distingue quindi dall’ignoranza o da un semplice sospetto o titubanza. Ignoranza ed errore (can. 15) Esse si differenziano dal dubbio perché: L’ignoranza significa mancanza di conoscenza della legge. Di per sé ogni cristiano dovrebbe conoscere le leggi, ma visto che non è così, si distingue poi tra ignoranza: colpevole, se io sono responsabile della mia ignoranza; invincibile, se non si è potuta evitare nonostante ogni morale diligenza nella conoscenza della legge; vincibile, se poteva essere superata mediante i mezzi abituali di conoscenza; L’errore è un giudizio falso sulla legge. Ora se l’ignoranza o l’errore vertono su leggi irritanti o inabilitanti (§ 1) esse (le leggi e non gli atti!) conseguono comunque i loro effetti, e quindi gli atti eseguiti sono nulli, a meno che non venga espressamente disposto altro (perciò, come dice il can. 126, se non eseguo atti intorno alle cose sostanziali o vincolati dalla condizione “sine qua non”, l’atto è nullo). Se invece l’ignoranza o l’errore vertono su altre leggi o fatti l’atto posto ha la sua efficacia ed è quindi illecito, ma non invalido o nullo! Va sempre tenuto conto infatti (§ 2) dell’importante concetto di presunzione che è una presa di posizione della legge che stabilisce un criterio di verità come punto di riferimento, che rimane valido a meno che non venga provato il contrario. Essa può essere: Semplice (iuris tantum), quando il criterio, assunto come base di verità dal legislatore, si può modificare con prove. Complesso (iuris et de iure), quando il criterio non si può cambiare. Detto ciò il codice dice che per leggi e pene annesse e per fatti personali o notori (cioè pubblici), non si presumono ignoranza ed errore e non la conoscenza! Quindi il legislatore non presume né conoscenza, né ignoranza, ma è aperto ad esaminare gli elementi così come si presentano. Ignoranza ed errore invece si presumono per fatti non notori, non pubblici e questa presunzione può essere però modificata ed è quindi iuris tantum. Interpretazione della legge (can. 16-18) Essa può essere: autentica se data dall’autorità che l’ha emanata o da qualcuno a cui questa l’abbia concessa (can. 16). Essa può essere dichiarativa (se riguarda solo le parole della legge. È retroattiva) o restrittiva-estensiva. Essa può poi essere fatta a modo di (quindi non è la stessa cosa, ma ne ha la stessa forza): legge, sentenza giudiziale o atto amministrativo. dottrinale (se data da studiosi); o stretta (can. 18) e non restrittiva, cioè il significato minimale che una parola può assumere. Essa va applicata per leggi: penali, per limitarne così la portata e la possibilità di incorrervi che restringono il libero esercizio dei diritti che contengono un’eccezione alla legge stessa, cioè leggi speciali che derogano ad una norma generale o larga. Il can. 17 da una serie di regole generali per l’interpretazione delle leggi. Il criterio primario è il senso proprio della parole innanzitutto giuridico e poi a seconda del testo e del contesto. Se il senso della legge non è ancora sicuro allora si usano criteri sussidiari per ricercare il senso esatto della legge. Tali criteri sono: Altri passi o testi legali dove il legislatore parla della stessa materia (luoghi paralleli) Il fine oggettivo della legge stessa come voluto dal legislatore, perché ogni legge ha uno scopo preciso nella comunità (fatti e circostanze della legge) L’intendimento del legislatore, cioè lo stile di un pontificato Le lacune della legge (can. 19) e abrogazione e deroga alla legge (can. 20 e 21) Canonizzazione delle leggi civili (can. 22) vedi la fine della parte seconda. La consuetudine (can. 23-28) Decreti generali ed istruzioni (can 29-34) Prima di procedere va detto che il Codice sviluppa e regola i tre munus tipici del battezzato: Munus sanitficandi che regola: o i sacramenti (e le azioni sacramentali), che sono compiuti in Persona Christi. E alcuni (tutti tranne matrimonio e battesimo) sono eseguibili solo se c’è chi ha la potestà d’ordine (che deriva dal sacramento, riguarda l’ontologia della persona e non si può togliere [al massimo se ne può impedire l’esercizio]). o le azioni non sacramentali, che sono compiute in Nomine Christi. Anche qui alcune possono eseguite solo da chi ha la potestà d’ordine (consacrazione e dedicazione di una Chiesa e benedizione eucaristica). Munus docendi che regola la potestà di insegnamento Munus regendi che regola la potestà d’ordine e quella di giurisdizione (o di governo in senso largo) che si suddivide in: o Potestà legislativa (tipica di papa e vescovi) o Potestà esecutiva o amministrativa o di governo in senso largo (che rende applicabili le leggi e che è delegabile anche a laici) o Potestà giudiziaria (delegabile anche a laici) Le ultime due sono subordinate alla prima. Detto ciò i decreti sono un atto della potestà esecutiva, ma ci sono i decreti generali amministrativi (can. 29-30) che sono competenza dell’autorità legislativa. Poi ci sono i decreti generali esecutivi (can. 31-33) che non hanno quindi vita autonoma, ma sono al servizio delle leggi. Infine ci sono le istruzioni (can. 34) che non riguardano la comunità, ma i responsabili dell’esecuzione delle leggi, sono atti amministrativi interni alla stessa amministrazione. Atti amministrativi singolari (can. 35-93) Con decreti e istruzioni l’autorità opera ancora a livello di astrattezza, perché applica leggi per la la comunità in generale, mentre con gli atti amministrativi le leggi vengono applicate a casi concreti. Di questi atti non esiste una definizione, ma dal contenuto delle norme comuni (can. 35-47) possiamo dedurre quanto segue: Chi li emana è la potestà amministrativa nell’ambito della sua competenza sia rispetto alla persona e al territorio e quindi può essere esercitata anche da un autorità che ha potestà giudiziale nel qual caso gli atti si dicono extra-giudiziali. Possono apparire sotto la forma di: o Decreti singolari (can. 48 - 58) che, rispetto alle leggi che sono territoriali, sono personali (can. 52). Essi a loro volta si dividono in Decisioni Provvisioni (ad es. assegnazione di uffici ecclesiastici) Precetti singolari (can. 49) che sono decreti particolari con cui si impone autoritativamente qualcosa da fare o da omettere. o Rescritti (can. 59-75) che sono eseguibili solo dietro richiesta, dietro petizione. Ache essi a loro volta si dividono in: Privilegi (can. 76) che possono essere di tipo legislativo o esecutivo Dispense (can. 85-93). Va notato che la dispensa si distingue da: l’esenzione dalla legge, perché elimina la sudditanza della legge; la scusa della sua osservanza, perché la legge in questo caso non obbliga solo per la particolare situazione in cui ci si è venuti a trovare; l’epikeia, che è una norma di ordine superiore, ordine morale che legge la norma nella prospettiva del suo fine; la tolleranza, per cui si ha un’infrazione della legge che l’autorità ritiene di non dover punire; la licenza, che è il requisito per il compimento della legge positiva; l’abrogazione, che significa la soppressione di una legge. Per concedere la dispensa ci deve essere giusta causa3. Altre grazie Vengono emanati per provvedere a fatti singoli, sia che si tratti di persone singole che di gruppi di persone, che non costituiscono tuttavia un soggetto capace di ricevere le leggi. E sono emanati, solo entro l’ambito della competenza, sia rispetto alle persone che al territorio, sia soprattutto rispetto alla legge. Statuti (can. 94 – 95) Che devono essere redatti per regolare le persone giuridiche che possono essere universitates personarum (insieme di persone) o universitates rerum (insieme di cose.) Le persone fisiche e giuridiche (can. 96 - 123) Atti giuridici (can. 124 – 128) Essi dipendono dalla volontà in contrapposizione ai fatti giuridici che non dipendono dalla volontà della persona (come morte, nascita, compimento dei 7 o dei 18 anni, fenomeni naturali ecc.). Requisiti per la validità di un atto (can. 124) sono: abilità della persona, elementi costitutivi ed essenziali dell’atto giuridico e formalità e requisiti (condizioni “sine qua non”). Ogni fedele o persona giuridica quindi con un atto produce sempre effetti giuridici che possono essere: Validi-efficaci o invalidi-inefficaci-nulli che a loro volta possono essere divisi in atti invalidi esistenti (ne va dichiarata l’invalidità) o invalidi inesistenti (siccome non si rispetta neanche il diritto naturale o si saltano elementi costitutivi di un atto giuridico allora l’atto è nullo a prescindere dal fatto che lo si dica). Legittimi o illegittimi (o leciti o illeciti se riferiti alla morale) Detto ciò l’atto umano è tale se frutto dell’intelligenza e della volontà, ma bisogna tener conto dei vizi degli atti giuridici, perché se mancano cognizione e libera volontà non sono atti umani in senso perfetto. Detto ciò non ogni vizio assume però rilevanza di uguale importanza di fronte al diritto: Atto posto sotto violenza che è nullo (can, 125 § 1) Atto posto sotto timore o sotto effetto del dolo4 vale, perché atto libero, ma è illecito e quindi può essere rescisso, annullato (can. 125 § 2) e in alcuni casi è addirittura stabilito che esso sia nullo (dolo o timore grave nel matrimonio, voto per timore o dolo ecc,). Atto posto per ignoranza o errore Le persone fisiche e giuridiche (can. 96-123) Dove per comunione ecclesiale si intende quella di tutti i battezzati, per comunione ecclesiastica invece quella di coloro che professano la stessa fede, sono subordinati allo stesso governo e riconoscono i medesimi sacramenti. Importante poi l’età, il domicilio e la parentela. 3 La causa può essere: lieve, giusta o ragionevole, grave, gravissima. Per atto doloso il diritto intende un inganno finalizzato all’atto da compiere (es. “so che se te lo dico o lo faccio tu poi …”) e che può essere buono (se fatto per incompetenza) o cattivo (se fatto apposta) 4 Parte Neo Testamentaria A livello di antropologia-teologica: «Vedete che l'uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede … Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.» (Gc 2,24.26) Presenza di norme di diritto positivo nella prima Chiesa: «Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù: avete appreso da noi come comportarvi in modo da piacere a Dio, e così già vi comportate; cercate di agire sempre così per distinguervi ancora di più. Voi conoscete infatti quali norme vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù. Perché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione … Dio non ci ha chiamati all'impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo Santo Spirito.» (1 Ts 4,1-3.7-8) «Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito - e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito - e il marito non ripudi la moglie.» (1 Cor 7,10-11) Su norme ecclesiastiche: Tutte le lettere pastorali soprattutto 1 Tm 1 Cor 14