Modigliani: un lampo folgorante
di
Simona Clementoni capo redattrice della rivista d’arte e cultura L’Urlo
Amedeo Modigliani, pittore e scultore, è considerato uno dei più grandi artisti del xx
secolo e le sue opere sono esposte nei più prestigiosi musei del mondo.
Nato a Livorno nel 1884 da una famiglia ebrea, crebbe nella povertà dopo che
l’impresa di mezzadria del padre andò in bancarotta. Di salute assai cagionevole,
Modigliani, noto con lo pseudonimo di Modì che in francese suona ironicamente
“maudit”: dannato, maledetto, manifestò, fin da piccolo, una vena testarda ed
indipendente, ma soprattutto una grande passione per l’arte ed il disegno, assecondato
dalla madre Eugénie Garsin, francese di nascita, che Modigliani adorava. Fu lei ad
istruirlo a casa fino all’età di 10 anni e ad infondergli l’amore per la musica,
impartendogli lezioni sul vecchio pianoforte di casa Modigliani.
Proprio su un libretto musicale l’artista trascrisse alcune delle sue sensazioni
estetiche, lasciandoci così dei disegni su carta musicale che sono splendide
testimonianze tangibili di come arte e musica si fusero inestricabilmente nella sua
breve vita.
All’età di 14 anni, durante un violento attacco di febbre tifoidea, Modigliani riuscì a
strappare alla madre la promessa di poter andare a lavorare nello studio di Guglielmo
Micheli, uno dei pittori più in vista di Livorno ed allievo del grande maestro
Giovanni Fattori, dai quali Modigliani apprese le tecniche della pittura macchiaiola,
genere contro cui l’artista reagì, preferendo ignorare l’ossessione dei paesaggi che il
movimento condivideva con l’Impressionismo francese. Egli non raccolse mai
l’incoraggiamento di Micheli a dipingere en plein air, preferendo lavorare al chiuso,
specialmente nel suo studio. Durante i due anni con Micheli, comunque, Modigliani
non studiò soltanto i paesaggi, ma anche i ritratti, le nature morte e i nudi. Nel 1902 si
iscrisse alla Scuola Libera del Nudo, presso l’Accademia di Firenze e nel 1903 si
trasferì a Venezia dove frequentò l’Accademia delle Belle Arti.
Lì, Amedeo provò l’hashish per la prima volta e, invece di studiare, cominciò a
frequentare i quartieri più infimi della città, probabilmente influenzato dal suo
apprezzamento per le filosofie radicali, come quella di Nietzsche da cui derivò la
convinzione che l’unica via verso la vera creatività era attraverso la sfida ed il
disordine.
A Venezia, in occasione delle successive edizioni della Biennale, Modigliani venne a
contatto con la grande arte francese di fine secolo, con gli impressionisti ToulouseLautrec e Eugène Carrière.
L’impressione suscitata da quegli incontri, nel 1906, spinse Modigliani a trasferirsi a
Parigi, punto focale delle avanguardie artistiche. Si stabilì a Montmartre, nei pressi
del Bateau Lavoir, una comune per artisti squattrinati dove lo stesso Picasso aveva il
suo studio. Nonostante fosse a contatto con i cubisti, Modigliani non ne accolse le
invenzioni formali, sentendosi piuttosto attratto da artisti quali Van Gogh, Gauguin e,
soprattutto, Cézanne, come si può vedere dai dipinti che Modigliani realizzò tra il
1907 e il 1909, fra cui l’Ebrea del 1908.
In quella fase l’artista risentiva ancora della vicinanza con i “fauves”, il primo
movimento espressionista francese, non tanto per i violenti accostamenti cromatici
che lo caratterizzavano, quanto per la scelta di una tavolozza influenzata da Henri
Matisse, l’anima del gruppo. Ben presto, però, Modigliani sviluppò un suo stile
unico, espressione dell’originalità del suo genio creativo.
L’incontro con la scultura di Brancusi, nel 1909, fu determinante nella sua decisione
di abbandonare momentaneamente la pittura per dedicarsi alla scultura. Grazie a lui,
Modigliani entrò in rapporto con l’arte africana e primitiva. Il suo materiale preferito
era la pietra su cui scolpì teste di donna che risentono della purezza delle forme
essenziali di Brancusi (si veda Testa, 1911-1912) ed alcuni nudi definiti “cariatidi” (si
veda Cariatide, 1913-1914).
Nello stesso periodo l’artista realizzò anche numerosi disegni che testimoniano
dell’intenso processo di semplificazione avvenuto in poco tempo. In essi egli tende
ora ad appiattire i volti che appaiono antichi, quasi egizi; ricordano delle maschere,
con distintivi occhi a mandorla, bocche increspate, nasi storti e colli allungati; tratti
che si fanno ancora più evidenti nei dipinti del 1915, in cui Modigliani indugia sui
volti di amici e conoscenti, tra cui il suo amico e grande bevitore Soutine, Kisling,
Diego Rivera, Max Jacob, Jean Cocteau, il mercante Paul Guillaume e lo stesso
Picasso. Famoso per la rapidità con cui realizzava i suoi ritratti, quasi incalzato
dall’intensità del sentimento e della visione, gli bastavano una o due sedute e, una
volta terminati i suoi dipinti, non li ritoccava mai. Jacques Lipchitz (1891-1973),
scultore d’avanguardia lituano, amico di Modigliani, da sempre affascinato dal
carisma e dall’impeto melodioso dell’artista, racconta di avergli commissionato una
volta un duplice ritratto e, dato che in una mezza giornata lo aveva già terminato, gli
chiese se non volesse continuare a lavorarci ancora per qualche altra seduta.
Modigliani rispose semplicemente: “Se vuoi che lo rovini, posso continuare”.
Dalle figure esili e senza corpo, l’artista arrivò, tra il 1916 e il 1917, a modellare
plasticamente i corpi nudi facendoli risaltare da sfondi scuri e uniformi, grazie ad un
sapiente gioco di chiaroscuri contrapposti (si veda Il Grande Nudo, 1917).
L’immagine si arricchisce di un’armonia nuova, acquisisce maggiore intensità,
diviene più libera e sensuale. Il pittore Osvaldo Licini racconta di essere stato
catturato dal fascino potente e misterioso di quelle mezze figure di donne estatiche,
incatenate a sogni, emergenti da sfondi semplici ma profondi, che producono
un’impressione di rilievo potentissima.
E’ questa la magia della pittura di Modigliani, un artista che ci irretisce non solo con
la sua arte, ma anche con la sua contraddittoria personalità. Se quando beveva
diventava una persona amara ed arrabbiata, sempre in cerca della rissa, famoso per gli
strip in cui si esibiva nei locali che frequentava, da sobrio era graziosamente timido
ed affascinate; citava Dante Alighieri e recitava versi di Baudelaire, Mallarmé,
Rimbaud, ma soprattutto dal libro di Lautréamont “Les Chants de Maldoror” che
portava sempre con sé.
Le donne ne furono irresistibilmente attratte. Esse andarono e vennero finché
Beatrice Hastings entrò nella sua vita. La loro relazione durò due anni; la donna fu il
soggetto di diversi ritratti, fra cui Madame Pompadour, e l’oggetto delle sue ire di
ubriaco. Nel 1916 Modigliani strinse amicizia con il poeta e mercante polacco
Leopold Zborowski e con sua moglie Anna. Li ritrasse diverse volte, chiedendo solo
10 franchi a ritratto, come era sua consuetudine; generoso, perfino prodigo dei suoi
doni che disperse sconsideratamente al vento di tutti i suoi inferni e paradisi
artificiali.
L’estate successiva la scrittrice russa Chana Orloffa gli presentò Jeanne Hébuterne,
una bella studentessa diciannovenne di estrazione borghese che fu disconosciuta dalla
famiglia, estremamente conservatrice e religiosa, a causa della sua relazione con
Modigliani che, ai loro occhi, altro non era che un vizioso derelitto e, per di più,
ebreo. Nonostante le opposizioni della famiglia di lei, i due andarono a vivere
insieme e anche se Jeanne fu il vero amore della sua vita, le loro scenate in pubblico
divennero persino più famose delle esibizioni soliste di Modigliani ubriaco.
Nel 1919 l’artista firmò un impegno di matrimonio con cui riconosceva Jeanne
Hébuterne sua legittima sposa e la piccola Jeanne, nata il 29 novembre 1918, sua
legittima figlia. Nel frattempo le sue opere cominciavano a riscuotere consensi di
critica e di vendita, ma i soldi che riceveva svanivano presto in droghe ed alcool.
Mentre vivevano in Rue de la Grande Chaumière, sia Jeanne che Modigliani
dipinsero ritratti l’uno dell’altro e di tutti e due insieme, ma il suo dissoluto stile di
vita giunse a chiedere il conto. La sua salute si stava deteriorando rapidamente;
l’aggravarsi della tubercolosi non gli dava tregua. Alla fine del 1919 Modigliani
venne ricoverato, ma ormai non c’era più nulla da fare. Morì in ospedale il 24
gennaio 1920.
Appena due giorni dopo, distrutta dal dolore, Jeanne Hébuterne si suicidò, buttandosi
da una finestra del quinto piano della casa paterna e uccidendo con sé anche la
creatura che portava in grembo. Solo nel 1930 l’amareggiata famiglia di Jeanne
concesse che le sue spoglie venissero poste a riposare accanto a quelle del suo amato
Modì.
La loro figlia di soli 15 mesi, Jeanne, venne adottata dalla sorella dell’artista a
Firenze e, da adulta, scrisse un’importante biografia del padre; artista di eccezionale
talento, sensibile ed intelligente, ma tragicamente votato all’autodistruzione.
Forse sapendo che, a causa della malattia, non avrebbe avuto tanto tempo da vivere,
perseguì ostinatamente un desiderio di morte che ne fece l’epitome dell’artista tragico
che, attraversando i cieli dell’arte come un lampo folgorante, ebbe ciò che più
desiderava: “une vie brève mais intense”.