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CONSUMISMO E DIPENDENZA
Prevenzione anziché repressione o liberalizzazione
In una società il cui fine ultimo
è la rincorsa al guadagno ed al
più lauto guadagno, è un dato
di fatto il cercare di fomentare e
di continuamente rilanciare un
consumismo
che
va
delineandosi come vieppiù
sfrenato.
Questa particolare situazione
genera tutta una serie di
tensioni che vanno poi a
sfociare in diverse maniere di
affrontare la società e la realtà
che ci circonda.
Il fremente decorso di una
giornata
lavorativa,
specialmente se in una città,
come pure il continuo ed
incessante input che la nostra
mente
riceve
dall’esterno
(immagini
televisive
e
giornalistiche, pubblicità di
vario
genere,
ogni
tipo
d’informazione,
modelli
comportamentali venduti come
oro colato poiché possono
potenzialmente indurre un certo
tipo di commercio, ecc.),
nonché la vicinanza talvolta
ossessionante
di
una
moltitudine di altre persone,
ingenerano delle tensioni a
livello della psiche umana che,
a volte, risultano difficilmente
scaricabili.
Se, oltre a ciò e per una gran
parte
delle
persone,
si
assommano anche problemi di
tipo familiare e caratteri fragili,
risulta facile comprendere
come molti non riescano a
liberarsi da condizioni di stress
se non abbandonandosi a certi
tipi di attività che diventano poi
delle dipendenze a tutti gli
effetti. Vi sono persone che,
proprio allo scopo di esternarsi
e ‘dimenticare’ lo scorrere
vorticoso del quotidiano, si
aggrappano ad attività sportive
oppure a ruoli sociali, vi sono
però altre persone che trovano
più semplice annegare le
proprie paure e preoccupazioni
nell’alcool, nel fumo, in certi
tipi di stupefacenti, ecc.
Per entrambi i gruppi di
persone si instaurano delle
dipendenze: ‘positive’ per il
primo, ‘negative’ per il
secondo.
Al giorno d’oggi è impensabile,
visto da quanti tipi d’impulsi
viene bombardata la nostra
mente, anche il solo pensare di
poter stravolgere e contenere il
processo
descritto
in
precedenza.
Le paure, lo
stress,
l’ansia,
le
varie
preoccupazioni (legittime e
non), ecc. devono comunque
essere combattuti, e purtroppo,
in molti casi, queste lotte
provocano dipendenze tali
quelle succitate.
Ora, ognuno di noi ammette
che quelle dipendenze, in
precedenza descritte come
‘negative’, nuocciono sia al
tessuto sociale sia al singolo
individuo e, dato che costano
sia in termini economici sia dal
punto di vista morale, bisogna
cercare di limitarne il più
possibile l’espansione.
Se si considerano con il giusto
peso i vari meccanismi che
suscitano queste dipendenze,
pare assai chiaro come politiche
radicali
improntate
al
proibizionismo oppure alla
liberalizzazione non possano
portare a particolari successi.
Entrambe le politiche poiché,
quantunque vogliano risolvere
la problematica, colpiscono
solamente il male e non la sua
causa.
Inoltre, la prima
rischierebbe di fomentare la
violenza indotta dalla ricerca
sempre più difficile di certe
sostanze, mentre la seconda
faciliterebbe la caduta del
singolo individuo (‘carattere
fragile’) proprio verso questo
tipo di dipendenze.
Al contrario, una politica
improntata sulla prevenzione,
ed
in
particolare
sull’educazione, andrebbe a
combattere il male alle sue
origini senza lasciare che lo
stesso si dirami e si evolva
nella nostra società. Il tipo di
prevenzione (e di educazione)
non dovrà comunque essere
fondato sulla ricerca esclusiva
all’interdizione
ed
alla
demonizzazione
di
quelle
dipendenze definite ‘negative’
e dei vari meccanismi che ad
esse portano, senza proporre
delle possibili alternative.
Considerato quanto scritto in
precedenza, coloro che si
troveranno in situazioni oppure
in stati d’animo critici,
dovranno quindi avere la
possibilità di potersi sfogare ed
esternarsi dalla quotidianità.
Per questo motivo, una politica
a
medio-lungo
termine
impostata
su
un
tipo
d’educazione volto a proporre
delle
attività
alternative
‘positive’, al di fuori della
solita routine e che riescano a
coinvolgere la singola persona,
potrebbero portare a benefici
tangibili e sicuramente più
importanti di quelli che si
vorrebbero raggiungere tramite
politiche d’estremismo.
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