XXVII CONFERENZA ITALIANA DI SCIENZE REGIONALI LE IMPRESE HIGH-TECH DELLA PROVINCIA DI PISA: DINAMICHE DI MARKETING E DINAMICHE TERRITORIALI Irene MARTINEZ1 1 Scuola Superiore Sant’Anna, Piazza Martiri della Libertà, 33, 56127, Pisa SOMMARIO Basato su alcuni case studies relativi ad imprese ad alta tecnologia operanti nell’area pisana, questo lavoro si concentra sugli aspetti relativi alle attività di marketing delle stesse e sulle eventuali dinamiche territoriali ad esse collegate. Per quanto riguarda gli aspetti più direttamente legati alle attività di marketing, lo studio conferma le conclusioni della letteratura circa la scarsità delle risorse e delle competenze delle imprese high-tech in questo ambito. La cross case analysis realizzata, inoltre, ha permesso di rianalizzare la letteratura sulla market orientation basandosi sulla distinzione tra “marketing non intenzionale” (tipico delle prime fasi di vita di un’azienda in cui l’attività di marketing, pur non completamente assente, non è quasi riconosciuta come tale) e “marketing intenzionale” (caratterizzante le successive fasi di sviluppo dell’impresa in cui si riconosce l’importanza di un’attività di marketing più strutturata). Per quanto riguarda le conseguenze delle precedenti considerazioni a livello territoriale, le imprese considerate, pur essendo inserite in un contesto dove operano altre imprese ad alta tecnologia, non si percepiscono come un cluster. Questo si traduce nell’individualismo delle relative strategie con la conseguente perdita delle potenzialità associate ad azioni collettive. Quale, quindi, il ruolo della politica in questo ambito? 1. INTRODUZIONE: PERCHÉ MARKETING IN CONTESTI HIGH-TECH? Prima ancora di capire l’importanza di studi legati al marketing nei contesti ad alta tecnologia, è fondamentale chiedersi il perché di un interesse per questo tipo di settori. Come osservato da John et al. (1999), “La tecnologia è stata il principale motore della sorprendente crescita nella produttività e nel benessere delle società raggiunto a partire dalla Rivoluzione Industriale. Inoltre, queste tendenze non mostrano segno di inversione. Al contrario, ci si aspetta che gli effetti e l’influenza della tecnologia cresceranno nel tempo”1 (p. 78). Inoltre, si osserva spesso come le imprese ad alta tecnologia, specie quelle di più piccola dimensione, sperimentino alti tassi di crescita, soprattutto quando esse nascono in risposta all’emergere di nuove opportunità tecnologiche in una fase in cui il fabbisogno di capitali è ancora relativamente limitato. La loro rapida crescita è considerata alla base di processi di sviluppo che vanno a beneficio delle realtà locali in cui operano (Shanklin, Ryans, 1985). Sebbene oggi questa visione sia meno condivisa, il ruolo delle piccole imprese ad alta tecnologia rimane comunque un elemento centrale delle politiche, soprattutto a livello regionale e locale, almeno per il loro potenziale in termini di creazione, nel lungo periodo, di nuovi posti di lavoro (Oakey, 1995). Questa centralità è ancora più accentuata quando il fenomeno dell’alta tecnologia assume una dimensione territoriale sotto forma di cluster, ossia la concentrazione delle imprese in una certa area geografica (es., Silicon Valley). Per quanto attiene al marketing, la letteratura accademica sottolinea come l’importanza del marketing in tali contesti è spesso sottovalutata, soprattutto nelle realtà imprenditoriali più piccole fondate e dirette, nella maggior parte dei casi, da ingegneri o individui con una formazione meramente tecnica. La complessità dei prodotti tecnologici e il conseguente senso di insicurezza ed incertezza che questa fa sorgere nei (potenziali) clienti, rendono invece il marketing non solo una fra le tante funzioni aziendali, ma una filosofia che dovrebbe orientare l’attività d’impresa in tutte le fasi di attività. Infatti, nelle parole di Woods e Remondi (1996): “la migliore tecnologia non necessariamente ottiene il predominio del mercato” 2 (p. 8); e come osserva Viardot (1998), nel campo dell’alta tecnologia, le imprese di successo non sono necessariamente quelle che hanno sviluppato il miglior prodotto, ma di sicuro hanno adottato la migliore strategia di marketing. Il marketing diventa quindi quel fattore capace di trasformare un prodotto tecnicamente valido in un successo di mercato. 1 2 Traduzione propria. Traduzione propria. Nel tentativo di comprendere le modalità con cui le imprese di più piccole dimensioni (per cui il problema in oggetto è particolarmente severo) svolgono le attività di marketing, l’approccio seguito è incentrato sulla realizzazione di alcuni case studies basati su interviste semistrutturate con alcuni imprenditori dell’area di Pisa. Questa scelta geografica è legata, come verrà meglio spiegato in quanto segue, alla presenza di un’alta concentrazione di imprese operanti in diversi settori considerati ad alta tecnologia che rende possibile anche la considerazione e l’analisi delle dinamiche territoriali sottostanti. Il paragrafo seguente è dedicato alla descrizione dei contesti ad alta tecnologia, distinguendo fra prodotti, settori e mercati. Il paragrafo 3 prende in considerazione la letteratura di marketing rilevante nei contesti high-tech descritti nel paragrafo precedente. Nel paragrafo 4 viene introdotto il concetto di cluster e, più in generale, si analizza la dimensione territoriale che i fenomeni high-tech spesso assumono. I paragrafi 5 e 6 descrivono l’analisi empirica condotta avendo come sfondo l’area di Pisa. L’ultimo paragrafo trae alcune conclusioni considerando le implicazioni di marketing e di policy derivanti dallo studio empirico. 2. I CONTESTI HIGH-TECH Se si può trovare in letteratura un certo accordo sul concetto di tecnologia, il termine alta tecnologia risulta di più difficile definizione. La tecnologia può essere concepita come quella conoscenza, non generica, ma più orientata ai fini pratici, richiesta per produrre determinati beni e servizi (Capon, Glazer, 1987); di solito con tale termine ci si riferisce ad oggetti capaci di svolgere molteplici funzioni e la cui progettazione, produzione e il cui funzionamento richiedono una specifica conoscenza ingegneristica (Mick, Fournier, 1998). Per quanto riguarda il concetto di alta tecnologia, questo termine è usato in linea generale per riferirsi a settori innovativi impegnati nella produzione continua di nuovi prodotti e servizi. Risulta però difficile fornire una definizione univoca di alta tecnologia che, contemporaneamente, abbracci il significato attribuitogli nella vita quotidiana, che sia utile negli studi di carattere accademico e che sia funzionale alle finalità di policy (Gardner et al., 2000). A parte la difficoltà di trovare una tale definizione, è anche opportuno chiedersi se non sia piuttosto meglio adottare delle definizioni ad hoc, specifiche per lo scopo per cui vengono “create”. Ed in realtà questo è quello che di solito succede. A tal proposito si possono distinguere due approcci: il primo è tipico dei governi nazionali o locali, il secondo è proprio della letteratura accademica. Nel primo caso, l’obiettivo è quello di identificare settori ad alta tecnologia cui indirizzare specifiche politiche volte a stimolarne lo sviluppo. A tal fine, si ipotizza esistere una sorta di continuum tra bassa e alta tecnologia e che sia possibile individuare una soglia al di sopra della quale il settore specifico, e le imprese che vi operano, vengono considerate high-tech (Gardner et al., 2000). Gli indicatori tipicamente utilizzati sono legati al livello di investimenti in attività di Ricerca e Sviluppo (R&S), al numero di impiegati in tali attività oppure al numero di brevetti detenuti dalle imprese operanti nei vari settori. Il secondo approccio punta alla identificazione di quegli elementi base che possono essere associati al concetto di alta tecnologia (Mohr, 2001). Una sistematizzazione della letteratura sul tema, porta alla creazione della tabella 1 la quale ha il vantaggio di identificare tre fondamentali livelli di analisi (il prodotto, il settore, ed il mercato) che sono spesso non chiaramente distinti nei contributi accademici e che l’approccio “governativo” descritto sopra non coglie, essendo focalizzato solo sul concetto di settore. Tabella 1 Caratteristiche dei prodotti, dei settori e dei mercati ad alta tecnologia Mercato: i clienti e le loro relazioni con l’impresa Incertezza di mercato: - paura, incertezza e dubbi sulla nuova tecnologia - rapido cambiamento dei bisogni dei clienti - nuove tecnologie rivoluzionano mercati e domanda - dubbi sulla velocità di diffusione di un’innovazione - incapacità di stimare la domanda - “inesistenza” del mercato Incertezza tecnologica: - dubbi sul funzionamento della tecnologia - preoccupazione circa gli effetti collaterali - dubbi sul rispetto dei tempi - dubbi sulle capacità del fornitore - dubbi sulla dimensione e velocità di evoluzione della tecnologia Elevata complessità Elevati investimenti in R&S - forte base scientifico-tecnologica - alta intensità di conoscenza Prospettiva dell’impresa Settore: l’impresa e i concorrenti Innovatività Knowledge spillovers Prospettiva del cliente Prodotto/tecnologia Rapida obsolescenza: - veloce sviluppo della tecnologia - rapida sostituzione da parte di nuove tecnologie Elevato costo della prima unità Esternalità di rete Concorrenza volatile - incertezza sui futuri concorrenti - nuove regole del gioco introdotte da Problemi di contrattazione nuovi concorrenti - nuovi prodotti introdotti da nuovi concorrenti Difficoltà nel prevedere l’impatto di una tecnologia - nuove tecnologia nascono in forma molto rudimentale - individuare i possibili usi di una tecnologia è difficile richiede tempo - utilizzi inaspettati possono emergere - sono spesso necessarie tecnologie complementari Elevata e rapida crescita Tendenza alla concentrazione geografica Entrambi gli approcci descritti presentano dei problemi, soprattutto in termini di soggettività. Nel primo caso, a parte il fatto di focalizzarsi su una sola dimensione del fenomeno (es. investimenti in R&S), l’identificazione della soglia oltre cui un settore è definito high-tech è un processo di scelta influenzato dalle decisioni del policy-maker. Nel secondo caso, sebbene si possa concordare sulle caratteristiche di base dell’alta tecnologia, è più complicato stabilire quando queste caratteristiche siano presenti e se in misura sufficiente a caratterizzare un prodotto, un settore o un mercato come high-tech (Oakey et al., 1988). In quanto segue, si descrivono sinteticamente gli elementi contenuti nella tabella 1. 2.1 I prodotti ad alta tecnologia La rilevanza di questo livello di analisi è da ricondurre al fatto che per definire il concetto di alta tecnologia non è sufficiente considerare il particolare settore in cui un prodotto è realizzato, ma le caratteristiche specifiche del prodotto stesso (Viardot, 1998). Complessità – dipende in larga parte dalla conoscenza tecnica e scientifica incorporata in un prodotto e necessaria per il suo funzionamento (Möller, Rajala, 1999). Innovatività – si riferisce essenzialmente al fatto che gli utlizzatori si trovano ad avere a che fare con oggetti con cui non hanno familiarità. L’innovatività è un’importante fonte di complessità di un prodotto ad alta tecnologia (Viardot, 1998). Rapida obsolescenza – è legata alla brevità del ciclo di vita della tecnologia sottostante il prodotto il quale tende ad essere rapidamente sostituito o da nuovi modelli nell’ambito della stessa tecnologia o da prodotti basati su nuove tecnologie innovative e più efficienti. La figura 1 rappresenta il concetto di ciclo di vita del prodotto e mostra graficamente le due dimensioni di obsolescenza sopra descritte (Beard, Easingwood, 1992; Mohr, 2001; Viardot, 1998). Figura 1 Il ciclo di vita della tecnologia Elevato costo della prima unità – aspetto che si presenta quando realizzare la prima unità di un prodotto (es., software) ha un costo molto alto rispetto a quello di riproduzione dello stesso. Ciò è dovuto spesso all’elevato contenuto di conoscenza incorporato nel prodotto (John et al., 1999). Esternalità di rete – si presentano quando il valore di un prodotto è funzione del numero di individui che lo utilizzano. Un esempio in questo caso è rappresentato da Internet (Mohr, 2001). E’ importante notare come queste due ultime caratteristiche non sono né necessarie né sufficienti affinchè un prodotto venga considerato high-tech, ma solo dei possibili elementi riscontrabili in questo tipo di prodotti. 2.2 I settori ad alta tecnologia: l’impresa e la concorrenza Questo livello di analisi è l’unico preso in considerazione dalle classificazioni utilizzate nell’ambito delle scelte di policy e brevemente descritte in precedenza. Elevati investimenti in R&S – sebbene la complessa conoscenza scientifica e tecnologia incorporata in prodotti ad alta tecnologia rende inevitabile per l’impresa dedicare tempo e risorse ad attività di ricerca (Shanklin, Ryans, 1985; Beard, Easingwood, 1992; Viardot, 1998; Möller, Rajala, 1999), non si ritiene questo un elemento essenziale nel caratterizzare un settore ad alta tecnologia in quanto esistono imprese e settori con scarsi investimenti in tali attività (es., imprese di piccola dimensione) che comunque sono riconosciuti appartenere al mondo high-tech. Un modo alternativo per vedere l’importanza di questo fattore è il passare da un approccio di questo tipo: R&S Alta tecnologia al seguente: Alta tecnologia R&S Questo significa che non è il fatto di investire elevate risorse in R&S che rende un’impresa high-tech, ma che le specifiche caratteristiche del contesto operativo e del prodotto realizzato rendono tali investimenti necessari. Knowledge spillovers – è un concetto legato al rischio di imitazione, particolarmente severo quando la tecnologia fondamentale è incorporata nel prodotto. Alla base di questo rischio c’è l’assunto che la conoscenza ha le caratteristiche di un bene pubblico ed è quindi libera di fluire all’interno e all’esterno dell’impresa con effetti per la stessa sia positivi (condivisione della conoscenza disponibile a tutti i livelli dell’impresa con conseguente maggiore propensione all’innovazione) (Mohr, 2001) che negativi (perdita di vantaggio a favore dei concorrenti che si possono “impossessare” della conoscenza alla base di tale vantaggio) (Arora et al., 2002). A parte strumenti quali i brevetti, per tutelarsi da situazioni di quest’ultimo tipo è anche importante ricordare che spesso il processo di “creazione” delle competenze tecnologiche è talmente specifico per l’azienda che la conoscenza tacita che ne deriva è comunque difficilmente acquisibile dai concorrenti, limitando in tal modo il rischio di imitazione associato a fenomeni di knowledge spillovers. Concorrenza volatile – fa riferimento alla incertezza sul chi saranno i concorrenti di domani, come si modificheranno le regole del gioco competitivo e su quali prodotti si incentrerà la concorrenza. La conseguenza è un elevata turbolenza dei mercati in cui posizioni di leadership non vengono guadagnate una volta per tutte e le basi del successo di un’impresa possono venire improvvisamente demolite (Mohr, 2001). Difficoltà nel prevedere l’impatto di una tecnologia – tali difficoltà sono essenzialmente legate al fatto che di solito le innovazioni nascono in maniera molto rudimentale con la conseguenza che diviene difficile capire quali possibili applicazioni esse potranno avere, senza contare gli utilizzi imprevisti che spesso emergono. Inoltre per poter fruire appieno di una certa tecnologia, altre tecnologie complementari sono necessarie, ma all’inizio è difficile capire quali queste possano essere (Viardot, 1998). Elevato tasso di crescita – questa caratteristiche è di solito attribuita alle piccole imprese che entrano sul mercato in risposta all’emergere di una nuova opportunità tecnologica nelle prime fasi del suo sviluppo in cui non sono necessari elevati investimenti. Una volta stabilitisi come first movers riescono a crescere in maniera molto rapida. Gli effetti a cascata sull’economia che si è sempre associati a tali processi di sviluppo sono ora oggetto di ridimensionamento e queste imprese sono considerate solo uno tra i tanti elementi che possono contribuire alla crescita di un’economia (Temporal, Lee, 2001; Shanklin, Ryans, 1985; Oakey, 1995). Tendenza alla concentrazione geografica – partendo dagli studi di Marshall, che individuava nella presenza di un “atmosfera industriale”, capace di favorire la diffusione dell’innovazione, il vantaggio principale per le imprese operanti in cluster (Evangelista et al., 2002), gli esempi di concentrazioni geografiche di imprese, nel campo dell’alta tecnologia e non, si sono moltiplicati e con essi i relativi studi. Nonostante viviamo nell’era della globalizzazione dove la conoscenza viaggia liberamente e rapidamente sulle autostrade dell’informazione, esistono ancora tipologie di conoscenza che possono essere meglio condivise con rapporti diretti tra gli individui: quella tecnologica, data la sua complessità, è sicuramente una di queste (Breschi, Malerba, 2001). 2.3 I mercati ad alta tecnologia I primi due concetti espressi di seguito fanno riferimento, rispettivamente, al punto di vista dell’impresa e a quello del potenziale utilizzatore, mentre il terzo ha in genere una portata più ampia, caratterizzando anche ambiti non ad alta tecnologia. Incertezza di mercato – legata a vari fattori: innanzitutto alle paure e ai dubbi degli utilizzatori cui viene proposto il nuovo prodotto. Inoltre i gusti dei consumatori tendono (e oggi sempre di più) a cambiare rapidamente e questo anche a causa dell’introduzione continua di nuovi prodotti. Da qui la difficoltà di definire, in termini sia qualitativi che quantitativi, la domanda per il prodotto (Shanklin, Ryans, 1985; Moriarty, Kosnik, 1989; Mohr, 2001). In linea generale si può arrivare a dire che spesso il mercato per queste nuove tecnologie non esiste nemmeno nella mente dell’utilizzatore stesso ed è compito dell’impresa riuscire a dare risposta a quei bisogni di cui i destinatari dell’innovazione non sono ancora consci (Shanklin, Ryans, 1985). Incertezza tecnologica – legata alle caratteristiche del prodotto considerato. Soprattutto in relazione ad un bene innovativo, il cliente può preoccuparsi delle modalità di funzionamento del prodotto, della possibilità che emergano degli effetti indesiderati, del fatto che il fornitore non sia in grado di garantire un’assistenza adeguata e corretti tempi di consegna. Possono sorgere anche dubbi sull’evoluzione della tecnologia: vista la velocità con cui nuove tecnologie si susseguono, il cliente può decidere di rimandare l’acquisto in attesa di un prodotto più aggiornato ed efficiente (John et al., 1999; Mohr, 2001). Problemi di contrattazione – si verificano soprattutto perché è spesso difficile valutare la conoscenza incorporata in un prodotto e trasferirla in modo da rendere il prodotto stesso pienamente fruibile (John et al., 1999). 3. LA LETTERATURA DI MARKETING Date le caratteristiche dei prodotti, dei settori e dei mercati ad alta tecnologia appena descritte, alcuni ambiti della letteratura di marketing appaiono più adatti per spiegare come tale attività viene svolta (o dovrebbe essere svolta) in tali contesti. La figura 2 nella pagina seguente mostra graficamente il legame tra la letteratura presa in considerazione e le principali caratteristiche dei contesti high-tech. Figura 2 Approcci di marketing e caratteristiche dei contesti ad alta tecnologia I principali fattori che rendono fondamentale, per un’impresa ad alta tecnologia, l’adozione di un approccio basato sui principi della market orientation sono: gli elevati investimenti in R&S, la volatilità della concorrenza e l’incertezza di mercato. Per market orientation si intende, seguendo la definizione di Kohli e Jaworski (1990), la creazione / acquisizione di “intelligenza di mercato”, la sua distribuzione all’interno dell’impresa, e quindi a favore di tutte le funzioni, e la risposta a tale intelligenza tramite specifiche e consone scelte di mercato. Con il concetto di “intelligenza di mercato” si fa riferimento ad una profonda conoscenza dei clienti (attuali e potenziali) e dei loro bisogni (espressi e latenti), dei concorrenti (attuali e potenziali) e dei vari stakeholders che influenzano l’attività e le scelte dell’impresa. Essere orientati al mercato significa, per l’impresa, mettere il cliente al centro delle proprie attività per individuare i suoi desideri, creare valore per esso e soddisfarlo meglio della concorrenza (Slater, Narver, 1998). Sviluppare un corretto orientamento al mercato aiuta l’impresa ad alta tecnologia, con alti investimenti in R&S, a non rimanere intrappolata negli aspetti prettamente tecnici delle sue attività con il rischio di perdere il contatto con il cliente finale. Inoltre, conoscere il mercato, inteso nel suo senso più ampio, permette all’azienda di percepire quanto prima quei cambiamenti nei bisogni dei clienti che possono aprire nuovi spazi a nuovi prodotti e nuovi concorrenti spesso provenienti da altri settori. Infine, tutti quei fattori che rientrano nel concetto di “incertezza di mercato” (es., cambiamenti rapidi nei bisogni dei clienti, incapacità di stimare la dimensione della domanda per un certo prodotto, etc.) possono essere meglio controllati mettendo il cliente ed i suoi bisogni al centro della vita e delle attività d’impresa. Per quanto riguarda il marketing relazionale, esso consiste nello stabilire, mantenere e, quando necessario, sciogliere, relazioni con i clienti con l’obiettivo di creare valore non semplicemente per, ma con essi. In questo senso il cliente non è semplicemente un acquirente, ma un individuo in cerca di specifici benefici (Grönroos, 1999; Gordon, 1998). Nella sua versione “ampliata”, il marketing relazionale evidenzia l’importanza di stabilire tali forme di interazione non solo con i clienti, ma anche con fornitori, concorrenti e stakeholders in genere (Morgan, Hunt, 1994). Esso diventa un approccio fondamentale per un’impresa operante in contesti high-tech perchè i prodotti considerati, per la loro innovatività e complessità, generano paure e dubbi negli utilizzatori che possono essere fortemente ridotti se l’impresa riesce ad interagire in maniera stabile con essi. Rapporti stabili e improntati sulla fiducia aiutano anche a ridimensionare quella che è stata definita “incertezza tecnologica” legata a fattori quali la preoccupazione dei clienti riguardo effetti collaterali, la loro insicurezza circa il funzionamento della nuova tecnologia e la capacità del produttore di fornire l’assistenza necessaria. Tali rapporti contribuiscono a creare quel livello di fedeltà nei clienti capace di ridurre i problemi associati alla rapida obsolescenza dei prodotti ed alla (relativa) facilità con cui la conoscenza può fluire anche fuori dall’impresa andando, potenzialmente, a vantaggio dei concorrenti: in entrambi i casi, il rapporto di fiducia che i clienti instaurano con l’impresa li persuade a rimanere fedeli alla stessa nonostante le nuove tecnologie e i prodotti offerti dai concorrenti. Infine, il rischio di comportamenti opportunistici legati ad asimmetrie informative tra utilizzatore e produttore, che è alla base dei problemi di contrattazione già descritti, può essere temperato da un rapporto paritario di fiducia tra le due parti. La letteratura sul marketing industriale considera le peculiarità dei contesti business-tobusiness dove l’interazione di marketing avviene tra due imprese, cioè tra due entità complesse dove una molteplicità di individui da entrambe le parti partecipa al processo decisionale di acquisto/vendita e ciascuno con ruoli, prospettive e poteri diversi. Il ruolo di tale letteratura per i contesti high-tech è più indiretto che nei due casi precedenti. Le caratteristiche di un prodotto ad alta tecnologia (complessità, innovatività, rapida obsolescenza) rendono il processo di acquisto di tali prodotti lungo, complesso e rischioso. Di conseguenza, più individui vengono di solito coinvolti nel relativo processo di acquisto con conoscenze ed impatto sulla decisione finale differenti, proprio come avviene nei contesti business-to-business. Inoltre, se consideriamo i produttori (e non semplicemente i venditori) di tecnologia, essi hanno principalmente a che fare con clienti industriali e la loro considerazione del cliente finale è solo in termini di domanda derivata. 4. LA DIMENSIONE TERRITORIALE La tendenza delle imprese ad alta tecnologia a localizzarsi in ambiti geografici ristretti rende rilevante quella parte di letteratura legata alla dimensione territoriale degli insediamenti delle imprese. E’ bene sottolineare che la concentrazione geografica non è una condizione né necessaria, né sufficiente perché si possa parlare di alta tecnologia, ma è un fenomeno spesso osservato in pratica, con la Silicon Valley quale esempio più famoso e, forse, più studiato. Le ragioni alla base della creazione di queste concentrazioni di imprese ed i relativi vantaggi e svantaggi ad esse associati sono stati oggetto di studio non solo e non primariamente con riferimento all’alta tecnologia. Le riflessioni sulla dimensione territoriale dei fenomeni hightech qui prese in considerazione ruotano intorno al concetto di cluster. Nel definire un cluster, Porter (1998) pone l’accento sull’esistenza di un rilevante numero di imprese interconnesse concentrate geograficamente, tendenzialmente operanti nello stesso settore, e unite da legami di concorrenza e cooperazione. Cooke (2001) sottolinea l’esistenza di relazioni sia orizzontali che verticali tra imprese e la presenza sia di un’infrastruttura di supporto che di una visione comune per le imprese collegate e per l’area nel suo complesso. I cluster si basano su interazioni essenzialmente informali e su accordi “deboli”. Fiducia e reciprocità sono elementi costitutivi di queste agglomerazioni di imprese e risultano da una identità condivisa a livello di area territoriale. Ci si riferisce a questo senso di appartenenza ed identità col termine embeddedness, il livello, cioè, di “immersione” dell’impresa nell’ambiente in cui opera (Autio, 1995). Elementi di concorrenza e competizione coesistono e proprio l’equilibrio fra queste due forze contrastanti rappresenta il valore aggiunto del sistema (Cooke, 2001). E’importante evidenziare a questo punto che la semplice co-localizzazione di imprese in un ambito geografico ristretto non identifica automaticamente un cluster. La percezione, condivisa da tutti gli attori, di essere parte di un sistema basato su fiducia e reciprocità e non la semplice condivisione di dotazioni ambientali o infrastrutturali è essenziale per poter parlare di cluster; è fondamentale, quindi, la presenza di un certo livello di embeddedness che favorisca conoscenza e innovazione (Bresnahan et al., 2001; Cooke, 2001). Seguendo Maskell (2001), è opportuno quindi distinguere tra economie da urbanizzazione e da localizzazione. Le prime sono quelle che derivano alle imprese per il semplice fatto di condividere le risorse e i sevizi disponibili nell’area. Le economie da localizzazione (quelle caratterizzanti i cluster) comprendono, invece, quei vantaggi associati alla co-localizzazione di attività economiche interrelate da cui originano interazioni ad elevato valore aggiunto e ad alto potenziale innovativo fra i soggetti operanti nell’area. I principali benefici associati alla creazione dei cluster più spesso citati sono le cosiddette “esternalità marshalliane” (Breschi, Lissoni, 2001), dal nome di uno dei primi studiosi di concentrazioni geografiche di imprese, Alfred Marshall, il quale ha suggerito che il processo di creazione e accumulazione di conoscenze e competenze avviene in aree geografiche nelle quali esiste una favorevole “atmosfera industriale” la quale stimola la diffusione di innovazioni tecnologiche e la crescita economica (Evangelista et al. 2002). Le esternalità marshalliane si riferiscono a: - economie da specializzazione, legate alla disponibilità di un significativo numero di fornitori specializzati e servizi specifici per le attività svolte nell’area; - economie nel mercato del lavoro, che si riferiscono alla capacità delle imprese colocalizzate di attrarre lavoratori specializzati creando, in tal modo, un’abbondante offerta - di lavoro qualificato per le imprese stesse (Keeble, Wilkinsons, 1999); knowledge spillovers, legati alla facilità con la quale le informazioni e la conoscenza si diffondono all’interno dell’area, “contaminando” tutti gli operatori del cluster. Ciò è possibile grazie alla vicinanza geografica degli individui e delle imprese che favorisce le interazioni personali le quali permettono la trasmissione della conoscenza tacita. Quindi, seguendo questo ragionamento, la conoscenza non solo fluisce generando esternalità, ma questo flusso tende ad essere geograficamente localizzato (Feldman, Audretsch, 1999). Esistono altri benefici, o esternalità positive, associate alla concentrazione geografica delle imprese. Queste esternalità possono essere dirette (legate, cioè, agli scambi diretti fra le organizzazioni operanti in loco) o indirette (associate alle specifiche dotazioni dell’area stessa; es., presenza di Università, di Venture Capitalists, etc.) (DeBresson, Amesse, 1991; Bresnahan et al., 2001). Fra queste sono spesso citate in letteratura: la possibilità delle piccole imprese di sfruttare in maniera aggregata economie di scala di cui solo la grande impresa è in grado di beneficiare; l’opportunità di sviluppare un maggior numero di innovazioni grazie ai più frequenti ed intensi interscambi tra clienti e fornitori e con i centri di ricerca (Wever, Stam, 1999); un più alto tasso di nascita di nuove imprese grazie alla disponibilità di maggiori informazioni e di più chiare opportunità di mercato (Feldman, 2001; Cooke, 2001); l’esistenza di una consistente domanda per i beni e servizi prodotti nell’area. Accanto a questi benefici, la letteratura evidenzia anche dei rischi associati alla colocalizzazione di imprese in un determinato contesto geografico. I cluster spesso presentano una forte resistenza al cambiamento e alle opportunità provenienti da, o disponibili, al di fuori dei confini del cluster stesso. Competenze troppo diverse da quelle caratterizzanti il cluster non vengono accettate e la diversificazione non viene a volte nemmeno presa in considerazione. L’effetto ultimo di simili atteggiamenti è l’emergere di fenomeni di lock-in che spesso portano al collasso del cluster (Cooke, 2001). Sebbene i concetti appena espressi non siano primariamente emersi in letteratura in riferimento a contesti ad alta tecnologia, questi fenomeni sono molto comuni in tali realtà. E sebbene la creazione di network tra imprese complementari per sviluppare congiuntamente innovazioni sia un fenomeno abbastanza comune, i cluster, quali network con una specifica connotazione e delimitazione geografica, grazie alla condivisione di fattori personali, culturali e simbolici, risultano più duraturi (DeBresson, Amesse, 1991). La vicinanza degli attori e la mobilità dei lavoratori tra imprese, inoltre, facilita la trasmissione di conoscenza innovativa, spesso di natura tacita, all’interno dell’area amplificandone l’utilità e le potenzialità (Breschi, Malerba, 2001). 5. IL CASO DI PISA: UN ESEMPIO DI CLUSTER? La parte empirica di questo lavoro è stata condotta nella Provincia di Pisa dove settori più tradizionali (quali il calzaturiero, la pelletteria ed il tessile), pur rimanendo importanti per l’economia locale, stanno attraversando un periodo di consolidamento, ristrutturazione e spesso di declino, a fronte del fiorire di un comparto ad alta tecnologia che, alimentato dalle strutture universitarie e dagli investimenti in ricerca scientifica del settore pubblico, riesce ad attrarre e formare risorse umane specializzate, a generare numerose start-up e ad attirare importanti imprese esterne (Di Minin et al., 2003). Questa concentrazione di imprese è divenuta oggetto di studio specifico da parte dell’Osservatorio sulle Imprese High-Tech della Provincia di Pisa, un progetto inizialmente triennale (Maggio 2001-Maggio 2004) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, promosso dalla Provincia e finanziato dalla Regione Toscana con risorse del Fondo Sociale Europeo, e oggi diventato un’iniziativa permanente del Laboratorio In-SAT che ha gestito lo stesso sin dall’inizio. Obiettivi principali dell’Osservatorio sono: il censimento delle imprese della Provincia3 operanti in settori ad alta tecnologia; l’analisi dei trend delle vendite e degli impiegati nelle imprese individuate; la valutazione della competitività delle imprese e dell’area; l’identificazione dei problemi delle stesse in un’ottica di supporto all’attività dei policy makers. Se l’Università di Pisa è il luogo di nascita dell’informatica in Italia (nel 1955 fu creato il primo computer italiano, il CEP – Calcolatore Elettronico Pisa), il fenomeno dell’alta tecnologia nell’area oggi è molto più diversificato, con la presenza di imprese in settori diversi, quali meccatronica, microelettronica, biomedicale, etc. E’ da notare che adesso la stessa iniziativa si sta espandendo per prendere in considerazione le Province di Lucca, Grosseto e Livorno. Per maggiori informazioni, si veda il sito www.osservatorio.pisa.it 3 Questo lavoro ha preso in considerazione sette imprese selezionate fra quelle censite dall’Osservatorio. La scelta delle imprese è basata su due principi: uno è quello della varietà, optando, quanto più possibile, per imprese diverse fra loro (in termini di settore di appartenenza, dimensioni, tipologia di clienti e prodotti/servizi offerti); l’altro è quello del potenziale informativo, secondo il quale si è andati ad individuare quelle imprese che, per gli argomenti trattati, potessero fornire il maggior numero e la migliore qualità di informazioni possibili. Ciò è stato ottenuto sulla base dei dati già posseduti dall’Osservatorio (raccolti in precedenza tramite un questionario strutturato), dalla conoscenza personale pregressa degli imprenditori da parte del gruppo di lavoro dell’Osservatorio e da un’approfondita analisi dei siti Web delle varie imprese. La tabella 2 mostra le principali caratteristiche delle imprese selezionate che, per ragioni di privacy, vengono indicate con numeri da 1 a 7. Tabella 2 Principali caratteristiche dei casi selezionati Impresa 1 Settore / Attività 3 Microelettronica Automazione industriale Meccatronica 4 Domotica 2 5 6 7 Fotocamere digitali professionali Automazione industriale Software Fatturato 2004 (€) 1.931.000 Persone impiegate 2004 27 Principale caratteristica e ragione di scelta Fase di sviluppo Presidente 1.815.000 18 Fase di sviluppo Presidente 125.000 3 Spin-off universitaria 165.000,91 4 Tipo di clienti (finali) Presidente Direttore di filiale 400.000 3 Particolarità del prodotto Presidente 200.000 5 Particolarità del prodotto Presidente 797.575,83 25 Destinazione dei prodotti Presidente Intervistato Le imprese oggetto di studio sono state contattate telefonicamente e poi visitate per un’intervista semi-strutturata sulle seguenti tematiche: - l’impresa e il suo contesto: in questa parte dell’intervista si chiedeva di raccontare la storia dell’impresa, di illustrarne i principali prodotti e attività e di descrivere i clienti e i concorrenti; - il marketing: oltre a chiedere di indicare le principali attività di marketing realizzate dall’impresa, e, più in generale, le modalità di commercializzazione dei prodotti, - l’attenzione è stata posta anche sulla filosofia di marketing dell’impresa, cioè il significato e la rilevanza data allo stesso; relazioni con clienti ed altre imprese: vista la rilevanza del marketing relazionale per le imprese operanti in contesti ad alta tecnologia (si veda il paragrafo 3 a tal proposito), si è cercato di capire che tipo di relazioni queste imprese instaurano con i clienti o altri soggetti, la “profondità” e direzione delle stesse e l’importanza attribuitagli nell’ambito della gestione dell’impresa nel suo complesso; - motivazione delle scelte localizzative e policy: scopo di questa parte è stato quello di capire le dinamiche di cluster (eventualmente) esistenti nell’area ed evidenziare quali iniziative di politica potrebbero aiutare queste imprese a risolvere le loro difficoltà e a sfruttare maggiormente le potenzialità associate alla co-localizzazione. Nella descrizione dei casi, oltre alle informazioni qualitative ottenute dall’intervista, ci si è serviti dei documenti forniti dall’intervistato in quanto ritenuti interessanti per le descrizione e la comprensione dell’impresa, di alcuni dati quantitativi essenziali raccolti tramite una tavola inviata elettronicamente dopo l’intervista e di ogni informazione ricavabile dal sito internet. 6. RISULTATI La presentazione dei singoli casi richiederebbe troppo tempo e spazio e ciò va oltre le finalità di questo lavoro. Ci si limita qui a considerare i risultati ottenuti. Considerando le aree principali prese in esame, il quadro complessivo che emerge dalla ricerca è descritto in quanto segue. Marketing Come si evince dalla tabella 2 riportata sopra, in questo studio si sono considerate piccole o piccolissime imprese operanti in settori ad alta tecnologia. Il numero di persone che vi lavorano (compresi anche i livelli dirigenziali) non supera mai le 30 unità ed il loro mercato è essenzialmente nazionale. Nonostante le limitate dimensioni (e, spesso, le limitate risorse) queste aziende sono in grado di sviluppare prodotti complessi sfruttando le loro competenze tecniche altamente sofisticate. Come anche suggerito dalla letteratura, tuttavia, queste competenze ingegneristiche non sempre si associano ad un appropriato bagaglio di conoscenze manageriali e di marketing: anche nei casi in cui è presente una funzione commerciale dedicata, le attività svolte sono decisamente limitate e principalmente legate alla pubblicità e alla vendita in senso stretto. Ciò che è emerso in maniera inaspettata dall’analisi riguarda, invece, la concezione che queste imprese hanno del marketing. In primo luogo, gli intervistati riconoscono i limiti della propria azienda in tale ambito e li considerano il principale ostacolo alla crescita della stessa. In secondo luogo, nonostante la formazione prevalentemente tecnico-ingegnereistica sia degli intervistati che delle persone impiegate nelle varie aziende, l’idea di marketing da essi posseduta è alquanto “evoluta”. Sebbene la pubblicità e la vendita in senso stretto rappresentino le loro pressoché uniche attività di marketing, essi lo considerano una funzione strategica avente il ruolo di fornire quella visione generale sul mercato capace di controbilanciare ed integrare l’orientamento quasi esclusivamente tecnico dell’azienda. La domanda che sorge a questo punto è: “Come mai, allora, queste imprese non hanno ancora sviluppato un’appropriata strategia di marketing?”. Le risposte a questo interrogativo possono essere ricondotte essenzialmente a tre categorie: - mancanza di risorse in senso lato; - mancanza di risorse umane, cioè la difficoltà di trovare individui che abbiano sia le capacità tecniche che quelle manageriali e di marketing necessarie in contesti ad alta tecnologia; - stadio di sviluppo, sia dell’impresa che del mercato nel suo complesso, che costringe le imprese a dedicare più tempo alle funzioni correnti in attesa di un maggiore consolidamento dell’attività. Relazioni con i clienti La creazione ed il mantenimento di relazioni con i propri clienti rappresenta un elemento fondamentale delle attività delle imprese considerate. Qualche precisazione è però necessaria a riguardo. In generale, la varietà dei campi in cui molte delle moderne tecnologie possono essere utilizzate e l’elevato livello di personalizzazione da esse consentito rende praticamente inevitabile, per aziende operanti nel campo dell’alta tecnologia, interagire con i propri clienti. Le imprese sono però consapevoli che la costruzione di tali relazioni, oltre che necessarie, hanno la potenzialità di generare almeno i due seguenti effetti positivi: da una parte, si fidelizzano i clienti e ciò ha importanti riflessi sulle entrate; dall’altra, i clienti possono rappresentare una fonte cruciale di nuove idee per nuovi prodotti. Questi due effetti non sono però ovvi ed automatici: essi sono il risultato di un impegno volto a valorizzare l’importanza del trasferimento di conoscenza e gli elementi di fiducia di una relazione, aspetti che hanno un costo e che comportano dei rischi. Per questo l’impresa deve scegliere accuratamente i clienti con cui instaurare relazioni di lungo termine e con cui interagire in maniera più approfondita, considerando anche che non tutti i clienti, da parte loro, hanno un interesse in tal senso. Un aspetto che accomuna un po’ tutte le imprese considerate è il fatto che esse tendono a vedere la creazione di queste relazioni come “normale”, nel senso che spesso non risulta da una precisa scelta strategica fatta a priori, ma rientra nel normale modo di operare dell’impresa. Solo in un secondo momento (e solo in alcune imprese) ci si rende conto dell’importanza di tali interazioni e le si ricerca in maniera esplicita e deliberata. Scelte localizzative e considerazioni di policy Per quanto riguarda la scelta di insediare l’impresa nell’area pisana, se non è proprio una casualità, essa è il risultato di considerazioni di tipo personale dei fondatori: di solito essi sono nati o hanno realizzato il loro percorso di studi a Pisa e qui hanno iniziato un progetto di vita. Di conseguenza, le dinamiche legate alla presenza nell’area di molte piccole imprese operanti nei vari settori dell’alta tecnologia, non solo non ha rappresentato una ragione per creare l’impresa a Pisa o nel territorio provinciale, ma gli intervistati dichiarano anche di non cogliere alcun beneficio da questa concentrazione di imprese, spesso definita, nei giornali e a livello di classe politica, come un cluster. Nel tentativo di portare alla luce le esigenze cui interventi di politica pubblica potrebbero contribuire a dare soluzione, è emersa una radicata sfiducia nella classe politica sia in termini generali che in termini di capacità concrete di promuovere progetti utili al settore dell’alta tecnologia. Le azioni ritenute più desiderabili si possono raggruppare in due categorie: - elargizione di fondi, ossia la previsione di forme di agevolazione e la facilitazione dell’accesso alle risorse finanziarie; - 7. iniziative di supporto, ovvero programmi volti a colmare le lacune, specie manageriali (e di marketing) che caratterizzano queste imprese. In questa categoria vengono fatte rientrare la fornitura di servizi quali la formazione del personale e la consulenza. IMPLICAZIONI DI MARKETING E DI POLICY 7.1 Implicazioni di marketing Nel confrontare i risultati descritti sopra con ciò che la letteratura “prescrive” essere, soprattutto in contesti ad alta tecnologia, la “giusta” strategia di marketing, emerge una differenza fondamentale che si ripercuote sulla letteratura stessa, in particolare quella sull’orientamento al mercato (market orientation). Questa differenza la si può apprezzare confrontando la figura 3 con la figura 4. Figura 3 Marketing: in teoria… Figura 4 Marketing: … in pratica La teoria (soprattutto quella relativa alla market orientation) suggerisce che l’impresa (e specialmente quella ad alta tecnologia, per le caratteristiche del mercato in cui opera) dovrebbe inizialmente procedere ad un’attenta analisi del mercato in modo da poter capire quali esigenze dello stesso essa intende ed è in grado di soddisfare (figura 3). Ciò che emerso dalle interviste, tuttavia, è che il punto di partenza di queste imprese (e di molte piccole imprese ad alta tecnologia) è un prodotto (figura 4). Esso deriva dall’intuizione personale dell’imprenditore (o dei soci), sicuramente sulla base di segnali provenienti dal mercato, e rappresenta ciò che egli sa e soprattutto vuole fare. Questo è spesso un problema, come già detto, perché l’impresa arriva a commercializzare il prodotto senza avere una chiara idea di chi è o potrebbe essere il destinatario del proprio prodotto. Nonostante questo limite, comunque, non è possibile affermare, come del resto gli intervistati stessi fanno, che queste imprese non svolgono attività di marketing: prendere in considerazione il feedback proveniente dai clienti per poter adattare il prodotto esistente (feedback reattivo) o contattare i clienti e cercare di instaurare con essi relazioni di lungo termine da cui ricevere stimoli per nuovi prodotti (feedback proattivo), per esempio, è già di per sé marketing, seppure condotto in maniera non sistematica. Chiaramente questo approccio non sistematico, come ammesso dagli stessi intervistati, non è la soluzione ottimale ed è per questo che, ad un certo punto della vita dell’impresa, l’imprenditore o la classe dirigente sente la necessità di fare un salto di qualità, passando da un marketing che si può definire non intenzionale, nel senso descritto sopra di non sistematico (e che lo rende, in quanto tale, quasi non percepito in azienda), ad un marketing intenzionale, ossia basato su una strutturata e costante analisi del mercato dalla quale derivare la strategia di prodotto per l’impresa nel breve e nel più lungo termine. La letteratura di marketing, quella relativa ai settori ad alta tecnologia, quella inerente le piccole imprese, e gli imprenditori intervistati concordano sull’importanza di una strategia di marketing strutturata e, con la terminologia introdotta sopra, intenzionale. Il marketing viene quindi considerato come uno fra gli elementi basilari, ma spesso mancanti, per garantire la sopravvivenza e lo sviluppo delle imprese e, nel caso specifico, delle piccole imprese ad alta tecnologia. Esse vengono ritenute un motore di crescita anche per l’area in cui sono inserite (e.g. Shanklin, Ryans, 1985; Oakey, 1995). Riuscire a capire quando un’impresa arriva alla consapevolezza della necessità di avere una strategia di marketing più evoluta e strutturata, nel senso di arrivare ad individuare quali presupposti di carattere interno ed esterno all’azienda la inducono ad effettuare questo “salto”, diventa un’operazione che ha rilevanti implicazioni di policy, che vengono considerate nella sezione seguente. 7.2 Implicazioni di policy Dall’analisi dei casi effettuata è emerso come le sette imprese considerate potessero essere suddivise in due gruppi in base al fatto che percepissero (Gruppo A) o meno (Gruppo B) la necessità di passare da una forma di marketing non intenzionale ad una intenzionale. Si sono poi cercati quei fattori che accomunavano le imprese del primo gruppo ma non quelle del secondo e capaci, quindi, di discriminare le aziende appartenenti ai due gruppi. Questi fattori sono stati raggruppati in due categorie: fattori “oggettivi” (legati, cioè ad elementi quasi esclusivamente quantitativi quali numero di impiegati, età, fatturato) e fattori più “soggettivi”. Questi ultimi sono considerati soggettivi nel senso che sono meno legati ai numeri e sono emersi dalle interviste in maniera esplicita o deducendoli dal colloquio nel suo complesso. Il risultato è presentato nella Tabella 3 nella pagina seguente. Le caselle relative a ciascuna impresa sono segnate se il concetto espresso nella prima colonna a sinistra è valido per la specifica impresa. Il primo concetto, contenuto nella riga ombreggiata, è il punto di partenza, ossia l’elemento utilizzato per distinguere i due gruppi. Le colonne dei totali facilitano l’individuazione dei fattori che distinguono i due gruppi: particolare peso viene dato a quei concetti per i quali il totale per il Gruppo A è molto elevato (4 o 3) ma molto basso (0 o 1) per il Gruppo B. Tabella 3 Fattori che accomunano le imprese orientate ad un marketing più strutturato L’impresa … … sente la necessità di un marketing più strutturato ELEMENTI “OGGETTIVI” … nel 2004* aveva un’età di 7 anni o più … nel 2004* 12 o più persone lavoravano al suo interno … nel 2004aveva un fatturato superiore alla mediaa … nel 2004 aveva un mercato principalmente internazionale* ELEMENTI “SOGGETTIVI” … ha una concezione di marketing evoluta … cerca di creare con i clienti relazioni ad alto valore aggiunto … spesso trasferisce conoscenza ai clienti … si trova in una fase di sviluppo abbastanza stabile … opera in un mercato alquanto turbolento … ha un senso di sfiducia nei confronti della classe politica … predilige iniziative di policy volte al sostegno delle imprese e non al semplice trasferimento di risorse finanziarie 1 Gruppo A 2 6 7 Totale A B 4 0 Gruppo B 3 4 5 2 3 3 1 2 0 0 1 4 4 3 3 2 1 0 0 2 1 0 2 4 0 a. L’impresa 5 ha fornito dati solo per il 2005 Alcune precisazioni sui concetti espressi nella tabella sono opportune. I valori-soglia utilizzati per l’età (7 anni) ed il numero di persone impiegate (12) rappresentano la media di queste dimensioni per le imprese studiate. Con “concezione di marketing evoluta” ci si è sinteticamente riferiti al fatto che, pur non avendo un’attività di marketing strutturata, spesso gli imprenditori hanno una filosofia di marketing avanzata e che non lo riduce ad una semplice “cassetta degli attrezzi” per vendere il prodotto una volta realizzato. Le relazioni “ad elevato valore aggiunto” sono quelle, descritte anche sopra, dalle quali l’impresa impara qualcosa, dalle quali possono derivare anche importanti indicazioni per lo sviluppo di nuovi prodotti e che di solito rappresentano un beneficio anche per il cliente. Interpretazione Tre sono gli elementi che distinguono fortemente i due gruppi e sono quelli per cui la colonna dei totali del Gruppo A segna un 4 e quella del Gruppo B indica uno 0. Il primo fattore riguarda il concetto che l’impresa ha di marketing: nonostante una formazione prettamente tecnico-ingengeristica, gli imprenditori del Gruppo A considerano il marketing una funzione strategica che accompagna e influenza tutte le altre fasi del processo produttivo. La concezione di marketing delle imprese nel Gruppo B è invece più operativa e maggiormente legata alla commercializzazione in senso stretto. Il secondo fattore attiene al tipo di relazioni che l’impresa intrattiene con i propri clienti. L’atteggiamento delle imprese nel Gruppo A è più aperto ed esse intenzionalmente ricercano legami che possono offrire nuove opportunità di crescita ad entrambe le parti coinvolte. Ovviamente tale tipo di relazioni è possibile solo con quei clienti che dimostrano un atteggiamento altrettanto aperto e la volontà di interagire in maniera costruttiva. Per quanto riguarda le imprese del Gruppo B, sebbene esse interagiscano con i propri clienti, queste relazioni sono primariamente orientate alla personalizzazione del prodotto o a facilitarne la sua commercializzazione. Il terzo elemento fa riferimento alla dimensione politica. Le imprese del Gruppo A sono primariamente interessate a progetti volti a creare valore aggiunto tramite servizi di consulenza e supporto. Al contrario, la prima preoccupazione delle imprese nell’altro gruppo è per iniziative che forniscano, e/o facilitino l’accesso alle, risorse finanziarie. Altri tre fattori, seppure non posseggano lo stesso valore discriminante, sembrano importanti. Il primo (condiviso da tre imprese nel Gruppo A e presente in un’impresa del Gruppo B) è la fase di sviluppo in cui l’impresa si trova: intuitivamente, se l’azienda ha superato la fase in cui è costantemente assorbita dai problemi tecnici e dal rispetto dei tempi di consegna, è molto più probabile che abbia la possibilità di sviluppare una strategia di più lungo termine che contempli anche un approccio al marketing più strutturato. Gli altri due elementi (condivisi da tre imprese del Gruppo A, ma da nessuna del Gruppo B) sono due indicatori della dimensione d’impresa: le aziende del Gruppo A tendono ad essere di più grandi dimensioni, sia in termini di persone in essa impiegate che in termini di fatturato, rispetto a quelle del Gruppo B. In conclusione, con tutti i limiti legati al numero ristretto di aziende considerate, si può osservare che le imprese che hanno una maggiore propensione a sviluppare un’attività di marketing più strutturata tendono ad essere di più grande dimensione, a trovarsi in una fase di sviluppo relativamente stabile, ad avere una filosofia di marketing decisamente evoluta e sviluppata, a ricercare relazioni con i clienti da cui acquisire conoscenze e idee per nuovi prodotti e a propendere per iniziative di policy incentrate sulla fornitura di servizi di sostegno e consulenza capaci di coprire le loro lacune, spesso proprio nel campo del marketing ed in quello manageriale più in generale. Il ruolo della politica Sulla base di questo studio, le considerazioni che possono essere espresse in termini di politica riguardano essenzialmente due aspetti. Il primo attiene alle iniziative dirette alle imprese ad alta tecnologia aventi l’obiettivo di favorire un loro approccio più strutturato al marketing. Da questo punto di vista bisogna innanzitutto notare che la suddivisione delle imprese studiate in due gruppi ha un’importante implicazione: esistono aziende con esigenze diverse e che quindi necessitano di politiche differenti, capaci di sintonizzarsi con gli specifici obiettivi che esse si pongono. Le conclusioni tratte nella sezione precedente evidenziano come, per le imprese consapevoli dei loro limiti manageriali e nell’area del marketing e che in qualche modo già si stanno attivando per porvi un rimedio, le iniziative ritenute necessarie e desiderabili rientrano nelle seguenti categorie: - crescita, vale a dire predisposizione di condizioni abilitanti volte a facilitare la crescita e la stabilizzazione delle imprese in modo che possano concentrarsi sullo sviluppo di strategie, generali e di marketing, più strutturate e meno estemporanee; - servizi, cioè fornitura di supporto nei campi manageriale e di marketing sotto varie forme (es., consulenza e formazione); - relazioni, ossia creazione di opportunità di incontro fra imprese capaci di favorire la conoscenza reciproca e di stimolare lo scambio di conoscenze. Il secondo aspetto riguarda la dimensione territoriale del fenomeno dell’alta tecnologia. Sebbene l’area di Pisa sia spesso annoverata tra gli esempi di cluster high-tech, dallo studio emerge come le imprese non si percepiscano parte di un sistema e, di conseguenza, non ritengano di trarre alcun beneficio dalla loro localizzazione nell’area. Si tratterebbe, in tal senso, più di un’agglomerazione di imprese che di cluster vero e proprio. Dal punto di vista dei policy-makers questo aspetto deve essere attentamente preso in considerazione: prima ancora di pensare ad iniziative volte a favorire lo sviluppo e la crescita del cluster, è forse opportuno sensibilizzare in tal senso le imprese che in teoria ne fanno parte. Questo al fine di evitare che politiche anche ben orchestrate non portino alcun beneficio perché vanno a scontrarsi con l’inconsapevolezza dei destinatari delle stesse. 8. Bibliografia Arora, A., Fosfuri, A., Gambardella, A. (2002), Markets for Technology: the Economics of Innovation and Corporate Strategy, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts. Autio, E. 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Surprising enough, however, is the fact that, despite the insufficient managerial background of the founders, their idea of marketing is rather elaborate: whereas communication and sales are the first operational activities they are concerned with, they consider marketing a strategic function which provides a broader outlook on the environment that complements the technical aspects of business activities. The cross-case analysis has led to a re-interpretation of the literature on market orientation through the distinction between unintentional and intentional marketing: the first characterises firms in their first period of life, during which marketing activities are somehow carried out but are not perceived by managers and employees as “marketing”; the second characterises the development phase of firms when the importance of a more structured marketing activity is fully recognised. As regards the territorial dimension, the firms involved in the research, despite the presence of many other high-technology firms in the area, do not perceive themselves as being part of a cluster. The consequence of this individualistic view is that many opportunities linked to collective actions are lost. Some policy implications are drawn from these considerations.