APPARATO MUSCOLARE I l m u s co l o è u n o rgano formato da tessuto muscolare che, grazie alla capacità di contrarsi, permette il movimento reciproco di diverse parti dei corpo, o di singoli organi. ANATOMIA Ciascun muscolo è formato da fasci di fibre muscolari, ovvero da cellule muscolari che possono essere innervate dal sistema nervoso somatico o dal sistema nervoso autonomo. II primo è responsabile di contrazioni di tipo volontario, mentre il secondo di contrazioni involontarie. Per tale motivo, i muscoli vengono distinti in volontari, o scheletrici, o involontari, il che corrisponde a una differenza di tipo anatomico. Sono volontari i muscoli formati da tessuto muscolare striato; sono involontari quelli costituiti da tessuto liscio, o striato cardiaco. I muscoli volontari si collegano alle ossa mediante i tendini, grossi cordoni di tessuto connettivo, ricchi di fibre collagene e non dotati di capacità contrattili; tali muscoli sono detti anche muscoli scheletrici. Le fibre muscolari striate da cui essi sono formati sono classificate in fibre a contrazione lenta (I tipo) e veloce (II tipo). Le fibre di I tipo sono responsabili del tono muscolare; esse presentano un colore più scuro per la ricchezza di mioglobina, si contraggono più lentamente e hanno una resistenza maggiore all'esaurimento; quelle di II tipo, invece, sono più chiare, producono scatti potenti ed esauriscono l'energia rapidamente. La maggior parte dei muscoli scheletrici è composta da fibre di entrambi i tipi. I muscoli lisci, quali quelli che delimitano le pareti del tubo digerente e dei vasi sanguigni, sono in grado di compiere contrazioni solitamente lente. Apparato scheletrico Negli animali, struttura che sostiene l'organismo, protegge gli organi interni e rende possibile il movimento, fornendo punti di attacco ai muscoli. Lo scheletro propriamente detto è formato da elementi rigidi e resistenti; esso può trovarsi alfintemo della superficie cutanea (endoscheletro) o al suo esterno (esoscheletro). Alcuni animali, come gli anellidi, possiedono uno scheletro di tipo idrostatico, privo di parti rigide e formato da compartimenti delimitati da membrane contenenti liquido; esso permette il sostegno del corpo grazie alla pressione esercitata dal liquido stesso. Lo scheletro esterno, o esoscheletro, è costituito da materiali secreti dall'epidermide che riveste il corpo dell'organismo. Si considerano esoscheletri le strutture calcaree secrete dai coralli, i gusci di calcio o silice prodottì da foraminiferi, radiolari e diatomee, i tubi protettivi sintetizzati da alcuni celenterati, le conchiglie dei molluschi gasteropodi. Negli insetti e nei crostacei vi è un esoscheletro di struttura complessa, formato principalmente da un composto organico detto chitina. In questi animali, l'esoscheletro riveste e protegge il capo, il torace, l'addome e ciascun segmento degli arti; nei punti di passaggio tra un segmento corporeo e il seguente, lo strato di chitina dìviene più sottile e flessibile, per permettere il movimento reciproco dei segmenti stessi. Lo scheletro interno, o endoscheletro, è formato da tessuti viventi, come il tessuto osseo o il tessuto cartilagineo, oppure da sostanze minerali secrete dall'organismo. Un particolare tipo di endoscheletro è il dermascheletro degli echìnodermì, localizzato nel derma e formato da strutture allungate (ossicoli) di carbonato di calcio, che possono prolungarsi verso la superficie epidermica in vere e proprie spine. Un altro endoscheletro è quello delle spugne che, nello strato intermedio (mesoglea) della loro parete, possiedono spicole di carbonato di calcio o di silice, la cui forma e disposizione rivestono un'importanza nella classificazione tassonomica. L'endoscheletro dei vertebrati è formato da ossa e cartilagine, connesse le une alle altre mediante articolazioni e legamenti connettivali. Dal punto di vista evolutivo, lo scheletro osseo dei vertebrati deriva dalla notocorda, o corda dorsale, presente nei cordati primitivi (come l'anfiosso); una forma di scheletro evolutivamente antica è lo scheletro cartilagineo dei condroitti, che compare anche nello sviluppo embrionale di molti vertebrati. Lo scheletro dei vertebrati è composto di due sezioni principali: lo scheletro assile, comprendente le strutture disposte sull'asse principale del corpo (cranio, colonna vertebrale e cassa toracica) e lo scheletro appendicolare (ossa degli arti, cingolo pelvico e cingolo pettorale), formato dalle strutture che si articolano sullo scheletro assile. Lo sviluppo dello scheletro prende il nome di ossificazione e ha inizio nel corso dello sviluppo embrionale, a partire da un tessuto di cellule indifferenziate detto mesenchima. Apparato circolatorio Si tratta dell'apparato che provvede alla circolazione del sangue in tutto l'organismo, la cui importanza sta nelle funzioni che svolge: una funzione nutritiva per le sostanze trasportate, depurativa in quanto raccoglie gli elementi di rifiuto, destinati a essere eliminati attraverso i reni, difensiva per le proprietà di alcune cellule e infine correlativa perché consente lo scambio di alcuni principi che concorrono alla reciproca regolazione degli apparati. È formato dal cuore e da un complesso di vasi, suddivisi in arterie, vene e capillari, all'interno dei quali scorre il sangue. Le arterie fuoriescono direttamente dal cuore e trasportano i I sangue verso la periferia del corpo, mentre le vene portano il sangue dalla periferia al cuore. I capillari sono invece vasi di ridottissime dimensioni, che formando i letti capillari, consentono lo scambio di sostanze fra iI sangue e i tessuti che attraversano. Si può pensare ai vasi sanguigni come a un immenso sistema di canali navigabili, lungo alcune migliaia di chilometri.II sangue ha la necessità di rifornirsi di ossigeno prima di essere spinto dal cuore in tutto il nostro organismo, in base a questa caratteristica si differenziano due tipi di circolazione: quella polmonare, o piccolo circolo, e quella sistemica, o grande circolo, destinata all'irrorazione di tutto il corpo. In entrambe i l sangue procede verso la periferia in vasi sempre più piccoli e numerosi e ritorna al cuore in vasi meno numerosi e più grossi. La circolazione polmonare ha inizio dall'arteria polmonare che trasporta il sangue venosa, cioè ricco di anidride carbonica, nei polmoni. Qui i vasi assottigliandosi consentono lo scambio tra il sangue e l'aria contenuta negli alveoli polmonari. A questo il punto il sangue procede verso il cuore da dove grazie alla contrazione di uno speciale muscolo, i l miocardio, viene pompato nell'aorta e da qui in tutto i l corpo. Il miocardio contraendosi consente al cuore di funzionare in modo ritmico alternando due fasi: diastole, o fase di riempimento e sistole, o fase di svuotamento. Nella prima i ventricoli si riempiono del sangue proveniente dal vene, mentre nella seconda si svuotano spingendo il sangue nell'aorta e nella arteria polmonare. Questo movimento dà origine al battito cardiaco. Della grande circolazione fanno parte altri due sistemi un po' speciali: quello delle arterie coronarie, importante in quanto porta ossigeno al cuore, permettendogli d funzionare, e quello della vena porta, che consente ai prodotti della digestione prelevati dall'intestino di raggiungere il fegato dove verranno ulteriormente elaborati. Il sangue può essere definito come un tessuto formato da un liquido, il plasma, e da elementi cellulari in esso sospesi, i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine. Il plasma, che, separato dai globuli rossi ha un colore giallino, ha il compito di trasportare alcune sostanze, come proteine, vitamine e ormoni, nei luoghi di utilizzo o di eliminazione. I globuli rossi consentono il trasporto dell'ossigeno grazie a una sostanza in essi contenuta, l'emoglobina; la loro vita media è di 120 giorni e vengono distrutti nel fegato e nella milza si pensi che vengono eliminati circa 2 milioni di globuli rossi al minuto. I globuli bianchi svolgono una funzione difensiva contro aggressioni al nostro organismo portate da batteri e virus. Le piastrine contribuiscono alla coagulazione del sangue. Infatti quando un vaso sanguigno si rompe, in occasione di una ferita, nel sangue si attiva il processo di coagulazione a cui contribuiscono le piastrine e numerosi altri fattori, che come risultato danno una sostanza chiamata fibrina che svolge la funzione di un vero proprio tappo. II Sistema Nervoso Il sistema nervoso è un insieme di cellule o complesso di organi che negli animali pluricellulari provvede a ricevere gli stimoli esterni e interni all'organismo, a elaborarli e a trasformarli in impulsi coordinati. Questi ultimi agiscono in modo da dare una risposta adeguata alle situazioni ambientali o interne al fine di mantenere l'organismo nelle migliori condizioni di vita. Il sistema nervoso collega le varie parti dell'organismo, coordinandone sia le attività che sovraintendono alla vita vegetativa, sia, negli animali superiori, quelle che interessano la vita di relazione, nonché quelle che provvedono alle automatiche risposte a stimoli (messi nervoso), e quelle che, nell'uomo, regolano l'attività psichica (stati affettivi, intelligenza, ideazione, ecc.). Nei Vertebrati esso è costituito da tessuto organico, altamente differenziato (tessuto nervoso), che ha la specifica capacità di produrre, ricevere e propagare, con massima velocità e minimo consumo di energia, gli impulsi nervosi (eccitabilità nervoso). Il tessuto nervoso è fondamentalmente costituito da cellule nervose o neuroni, da fibre e da tessuto gliale o nevroglia, elementi tutti derivati dal foglietto esterno dell'embrione o ectoderma. Nei Vertebrati, l'organizzazione del tessuto nervoso è più o meno complessa in relazione ai vari organi nervosi e alle loro specifiche funzioni; così, proprio in base a queste diversità di struttura, oltre che di sede, si possono distinguere gli organi di senso, un sistema nervoso periferico e un sistema nervoso centrale. Gli organi di senso, o recettori, hanno lo scopo di mettere in relazione l'organismo con i suoi visceri interni e con il mondo esterno, per raccoglierne continuamente le stimolazioni; tali organi oltre quelli della vista, dell'udito, dell'olfatto, del gusto e del tatto, sono anche quelli della sensibilità, dell'equilibrio, ecc. Secondo la natura e la provenienza dello stimolo che raccolgono, gli organi di senso sono distinti in esterocettori, enterocettori e propriocettori. Il sistema nervoso periferico è specificamente deputato al collegamento, tramite i nervi, tra i recettori e gli organi nervosi centrali e, viceversa, tra questi e gli organi esecutori o effettori periferici. Il sistema nervoso centrale provvede invece alla ricezione delle stimolazioni in arrivo e alla conseguente elaborazione degli impulsi centrifughi, nonché nell'uomo alle attività psichiche. L'organizzazione del tessuto nervoso negli organi di senso e nel sistema periferico è relativamente semplice, mentre quella del sistema nervoso centrale - in relazione proprio alle più complesse funzioni - risulta essere assai più complessa. Il tessuto nervoso che forma il materiale costitutivo del sistema nervoso centrale, secondo le sue particolarità, viene distinto in grigio e bianco. Apparato respiratorio L'aria che entra tramite le narici nella parte alta dell'apparato respiratorio (rinofaringe) viene filtrata grazie alla presenza di un epitelio ciliato capace di fissare e di trattenere i corpi estranei. A tale livello l'aria viene quindi modificata, riscaldata, purificata e soprattutto umidificata. Attraverso la trachea, i grossi bronchi e i bronchioli l'aria giunge ai polmoni diffondendosi negli alveoli. La parte dell'albero bronchiale che arriva ai bronchioli respiratori è deputata alla funzione di trasporto; la parte dei dotti alveolari è per il 50% addetta agli scambi gassosi; man mano che ci si addentra nel polmone la funzione di scambio prevale su quella di trasporto. A livello degli alveoli la muscolatura liscia scompare, cosicché essi assumono una struttura molto semplice: epitelio, capillari sanguigni e fibre elastiche. Nei punti di maggior contatto tra epitelio e capillari le loro membrane basali si fondono, per cui la barriera aria-sangue nell'alveolo diventa sottilissima. Tra la membrana alveolare e quella del capillare è poi interposto un sottile strato di liquido interstiziale. Nell' uomo gli alveoli sono circa 750 milioni e offrono una superficie di scambio molto sviluppata, pari a 50-80 m2 in rapporto all'espansione del polmone. Dal punto di vista meccanico la respirazione polmonare può essere paragonata al funzionamento di una pompa ad aria; i due movimenti respiratori che assicurano l'assunzione di aria dall'ambiente esterno e (eliminazione dell'anidride carbonica sono il movimento inspiratorio e quello espiratorio sono dovuti a movimenti della gabbia toracica e del diaframma, mentre il punto di appoggio è rappresentato dalla colonna vertebrale, dotata di una relativa fissità. Un aumento di capacità della gabbia toracica porta come conseguenza immediata l'aumento di capacità del polmone, che segue passivamente i movimenti toracici. Ciò è quanto si verifica nell'inspirazione, mentre nell'espirazione si assiste al fenomeno opposto. Durante l'inspirazione si ha il sollevamento delle costole e una lieve loro rotazione verso l'esterno; si ha così un aumento del diametro antero-posteriore della gabbia toracica. I movimenti del diaframma si ripercuotono invece sull'asse longitudinale. Questa mobilità pluridirezionale spiega finalisticamente la struttura anatomica lobare del polmone; una massa unica, infatti, non potrebbe espandersi altrettanto facilmente in tutte le direzioni. L'inspirazione è un processo attivo, nel quale entrano in gioco, oltre al diaframma, i muscoli intercostali esterni e i sollevatori delle coste; nell'inspirazione forzata intervengono anche il grande pettorale, il gran dentato, il muscolo dorsale, gli scaleni e lo sterno-cleido-mastoideo. Di norma l'espirazione è un processo passivo. Nell'espirazione forzata è tuttavia necessario l'intervento dei muscoli intercostali interni, degli addominali, dei lombari e dei sottocostali. 1 polmoni sono separati dalla parete toracica e dal diaframma attraverso il cavo pleurico; si tratta di una cavità virtuale, in quanto tra il foglietto viscerale e quello parietale della pleura è interposto solo un velo di liquido. Alla nascita il primo atto respiratorio distende la gabbia toracica e la pleura parietale che a essa aderisce. Inoltre, per 1'inespansibilità del liquido di separazione, viene distesa anche la pleura viscerale aderente al polmone. Questo viene di conseguenza espanso e l'abbassamento di pressione nel suo interno richiama aria dall'esterno. Pronto soccorso e infortuni Il pronto soccorso è l’ insieme delle misure di emergenza tese ad assistere la vittima di malattie improvvise o di infortuni, finché non è disponibile una terapia qualificata. Scopo del pronto soccorso è alleviare il dolore e l'ansia della vittima e impedire l'aggravamento delle sue condizioni. Nei casi estremi, il pronto soccorso può essere necessario per prevenire il decesso prima dell'arrivo dell'assistenza medica. Le misure di pronto soccorso variano a seconda delle necessità della vittima e delle conoscenze specifiche e dell'abilità del soccorritore. La consapevolezza di ciò che non si deve fare in un'emergenza è importante tanto quanto la conoscenza delle corrette misure d'intervento: una misura di pronto soccorso errata, infatti, può causare gravi complicazioni. Nonostante la grande varietà di possibili lesioni, alcuni principi generali di pronto soccorso si possono applicare in tutte le emergenze: 1. evitare il panico e la fretta eccessiva; 2. a meno che la posizione non la esponga a ulteriore immediato pericolo, la vittima non deve essere spostata finché non viene determinata la natura della lesione; se il soccorritore ha competenza di pronto soccorso, può esaminare la vittima alla ricerca di ferite, ustioni o fratture; se la vittima è cosciente, è importante rassicurarla circa l'arrivo dei soccorsi medici. La testa della vittima deve essere lasciata a livello del corpo, a meno che non si presentino difficoltà respiratorie; se non vi sono lesioni al capo e alla spina dorsale, è possibile sollevare lievemente la testa e le spalle della vittima per metterla in una posizione più comoda. In caso di vomito, è possibile girare la testa su un lato; non bisogna mai somministrare liquidi a un soggetto incosciente. È indispensabile fornire soccorso immediato in casi di grave emergenza, come asfissia, grave emorragia e avvelenamento, per impedire il decesso; qualunque sia la lesione, nei casi gravi è necessario proteggere la vittima dallo shock, cioè dalla depressione di molte funzioni dell'organismo dovuta a insufficiente circolazione del sangue. I sintomi dello shock sono: pallore del volto, labbra bluastre, polso debole ma rapido, respirazione superficiale e nausea. È possibile che questi sintomi non siano immediatamente evidenti, poiché lo shock può presentarsi anche diverse ore dopo l'incidente. Per evitare lo shock, che può causare la morte, è necessario tenere la vittima al caldo con coperte o cappotti, se necessario, per mantenere una temperatura corporea normale. In assenza di lesioni addominali, è possibile somministrare bevande calde a sorsi (ad esempio latte e brodo). Non somministrare mai farmaci stimolanti e alcol. Le emergenze che più spesso richiedono interventi di pronto soccorso sono asfissia, arresto cardiaco, emorragie gravi, avvelenamenti, ustioni, colpo di sole e colpo di calore, svenimento e coma, distorsioni e fratture, punture di insetti e morsi di animali. LESIONI DELL’APPARATO SCHELETRICO Contusione Lesione di una parte del corpo prodotta da un urto, in cui la superficie cutanea rimane integra. Una semplice contusione non determina lesioni a livello delle ossa (che sono invece soggette a fratture) o delle articolazioni (che a causa di un trauma possono subire distorsioni o lussazioni). Essa colpisce invece le parti molli, in particolare l’apparato tegumentario, il tessuto connettivo sottostante ed eventualmente i muscoli e gli organi interni. La gravità delle lesioni è dipendente dall’energia dell’urto che le ha provocate. SINTOMI Nei tessuti contusi si verifica la rottura di alcune cellule, con la conseguente liberazione di sostanze che richiamano cellule fagocitarie, i macrofagi, coinvolte nella risposta infiammatoria. Nella zona infiammata vi è un afflusso di fluido intercellulare che determina localmente un edema (gonfiore). A causa dell’urto, nell’area traumatizzata si verifica anche la rottura dei capillari sanguigni e il conseguente riversamento di sangue nei tessuti circostanti; si formano allora le ecchimosi (o lividi), che appaiono sulla superficie cutanea come zone di colore rosso-violaceo. Se la quantità di sangue è notevole, si forma un vero e proprio ematoma. La zona contusa risulta dolente e gonfia. TERAPIA In presenza di contusioni, è opportuno trattare al più presto la parte colpita con una borsa del ghiaccio, in modo da determinare localmente una vasocostrizione e da limitare il versamento sanguigno. In seguito, è possibile applicare pomate che facilitino il riassorbimento dell’edema e riducano il dolore. Frattura Rottura parziale o totale di un osso che si verifica in seguito a un trauma, ossia a un evento accidentale esterno, o a una causa endogena (frattura patologica). Le fratture traumatiche possono essere dirette o indirette, a seconda che vi sia un urto diretto su una parte del corpo che ne provoca la rottura, oppure una trazione o torsione, che flettono l’osso oltre il suo limite di elasticità. Le fratture patologiche si verificano, invece, quando il tessuto osseo è divenuto fragile e poroso per processi di demineralizzazione, come quelli che si verificano nell’osteoporosi, nel morbo di Cushing e nella sindrome di Paget (malattie degenerative dello scheletro); in tal caso, anche colpi leggeri possono determinare la rottura. Le manifestazioni più comuni di una frattura comprendono intenso dolore della parte colpita, gonfiore, ridotta funzionalità e esecuzione anormale di alcuni movimenti. TIPI DI FRATTURA A seconda della modalità con cui l’osso colpito si rompe, è possibile distinguere differenti tipi di frattura. In base alla porzione di osso coinvolta dalla frattura si distinguono: fratture incomplete, o "a legno verde" (in cui la rottura è parziale e che sono tipiche soprattutto dell'età infantile, quando l'osso è più deformabile); fratture complete, che consistono in una completa rottura dell'osso. In base al numero di frammenti derivanti dalla rottura dell'osso, si distinguono: fratture singole (un solo frammento si stacca dall'osso rotto); fratture multiple (i frammenti sono due o più). In base al grado di visibilità all'esterno del corpo, si distinguono: fratture esposte, nelle quali i frammenti ossei perforano i tessuti e la cute, provocando ferite e divenendo visibili all'esterno; fratture chiuse, che non risultano visibili a un esame esterno. TERAPIA La diagnosi delle fratture viene effettuata con un esame radiografico. La terapia comporta la cosiddetta “riduzione” delle parti fratturate, durante la quale le due estremità dell'osso vengono riportate a contatto l'una con l'altra. Se i segmenti ossei fratturati sono adiacenti, si può ottenere il loro riallineamento per trazione manuale o strumentale. Nei casi più gravi si procede, invece, a un intervento chirurgico, in cui i frammenti ossei vengono riuniti con mezzi meccanici quali viti, chiodi, fili o placche metalliche. Una volta ottenuto il riallineamento, l'osso viene immobilizzato dall'esterno, con un gesso o una struttura rigida che ne accelera la guarigione. Durante il periodo in cui resta immobilizzato, si produce tessuto osseo di sostituzione, e si formano elementi che vanno a saldarsi attorno ai segmenti ossei separati e che, nell'insieme, costituiscono il cosiddetto callo osseo. Non in tutti i casi, tuttavia, il consolidamento dell'osso avviene in modo completo. Tra le cause di mancato consolidamento vi possono anche essere condizioni patologiche come l'osteoporosi. Nelle fratture esposte, oltre alla lesione ossea è necessario anche verificare l’andamento del processo di cicatrizzazione dei tessuti molli coinvolti nella lacerazione, allo scopo di evitare l’insorgenza di processi infettivi. Distorsione Lesione traumatica delle articolazioni, causata dall'estensione eccessiva dei legamenti o dalla loro rottura parziale. Frequenti nella caviglia, nel ginocchio e nel polso, le distorsioni sono caratterizzate da dolore, gonfiore e difficoltà di movimento della parte interessata. La distorsione del ginocchio può manifestarsi con gonfiore causato dal versamento di liquido all'interno. In tutti i casi la terapia prevede l'immobilizzazione dell'articolazione interessata, riposo ed eventuale somministrazione di farmaci analgesici. Lussazione Spostamento delle ossa all'interno di un'articolazione. Quando la lussazione è parziale o incompleta si parla di sublussazione. Benché in linea di principio tutte le articolazioni dello scheletro umano possano subire una lussazione, sono più frequenti le forme che colpiscono la mandibola, il ginocchio, il gomito, la spalla e le dita della mano. Il trattamento di tutti i tipi di lussazione consiste nel riposizionamento dell'osso interessato, tramite una manovra di riduzione che dovrebbe essere eseguita il più presto possibile, per evitare la compromissione della funzionalità di muscoli e tendini. LESIONI DELL’APPARATO MUSCOLARE Crampo Contrazione involontaria, improvvisa, molto dolorosa, di breve durata (da pochi secondi a qualche minuto) di un muscolo o di un limitato gruppo di muscoli affini, accompagnata da indurimento dei muscoli interessati e da impotenza funzionale. E’ opportuno distinguere i crampi dagli spasmi dei muscoli scheletrici, i quali sono per lo più dovuti ad alterazioni del sistema nervoso centrale o periferico. I crampi veri e propri si distinguono per la loro sporadicità, l’acuto dolore e la breve durata. I crampi muscolari possono essere associati a numerose e diverse situazioni: 1) crampi da fatica muscolare che si verificano spesso nelle attività sportive e interessano il più delle volte i muscoli del polpaccio, ma anche (è il caso dei nuotatori) i muscoli delle braccia; 2) crampi da compromessa circolazione, come può accadere nella tromboangioite obliterante e nella flebite: 3) crampi da disidratazione come può verificarsi nelle diarree infantili e nei vomiti abbondanti; 4) crampi in gravidanza; 5) crampi da intossicazioni:alcol, piombo, monossido di carbonio, ecc.; 6) crampi notturni che si manifestano nel dormiveglia o nel sonno e che sembrano innescati da una flessione dei piedi. Se le situazioni in cui i crampi si verificano sono evidenti, non del tutto chiari sono i meccanismi che li determinano. I crampi di fatica sembra siano dovuti una perdita eccessiva di sali con il sudore, oppure a eccessivo accumulo di acido lattico nei muscoli. Il trattamento dei crampi muscolari consiste essenzialmente nel massaggio manuale o mediante attrezzature elettromedicali e nel ripristino dell’equilibrio idro-salino mediante somministrazione di bevande e il ricorso a diete ricche di frutta e di verdura fresca. Stiramento Condizione traumatica dolorosa prodotta dall’eccessiva messa in tensione di uno o più muscoli dell’apparato locomotore, come può verificarsi per effetto di un movimento brusco o di un esercizio fisico gravoso in assenza di riscaldamento preventivo dei muscoli. Paragonabili alle distorsioni per quanto riguarda le articolazioni, gli stiramenti muscolari producono un immediato, vivo dolore nella sede del muscolo interessato, accompagnato da incapacità funzionale, che si risolve spontaneamente entro alcuni giorni o settimane. Riposo, borsa del ghiaccio, massaggi, antinfiammatori e analgesici (locali e/o per via generale) sono utili per alleviare il dolore e accelerare la guarigione. Quando lo stiramento supera la capacità di resistenza del muscolo si ha lo strappo muscolare, affezione di gravità maggiore in quanto comporta una lesione del muscolo stesso. Strappo Rottura di fibrille muscolari a cute integra, quindi non per trauma diretto esterno. Il paziente avverte un rumore secco di schiocco, al quale segue spesso senso di malore o anche svenimento. I sintomi principali sono: dolori che perdurano, specialmente nei movimenti; alla palpazione il muscolo appare contratto; comparsa di ecchimosi. Fattori predisponenti sono il freddo, l’umidità, la fatica, eventuali alterazioni nel ricambio dei carboidrati. La terapia richiede riposo assoluto, bendaggio moderatamente compressivo, somministrazione di antidolorifici e miorilassanti, applicazione locale di pomate antinfiammatorie. LESIONI DEI TESSUTI Ferita Termine generico con cui si indica qualsiasi lesione, dovuta ad agenti esterni e a traumi, che interrompe la continuità della superficie corporea o di un organo interno. TIPI DI FERITA Le ferite possono essere da taglio, se sono causate da uno strumento o oggetto affilato; da punta, se lo strumento è appuntito e sottile; lacere, se accompagnate da lacerazione dei lembi; contuse, se vi è trauma dei tessuti molli con formazione di ematomi; penetranti, se lo strumento che le ha causate penetra nei tessuti sottocutanei o profondamente in una struttura o cavità; sottocutanee, se non sono accompagnate da soluzione di continuità della superficie, ma vi è distruzione profonda del tessuto. Le ferite infette sono quelle in cui nella parte colpita vi è stata infiltrazione di batteri che hanno innescato un processo infettivo. SUTURA DELLE FERITE Quando si produce una ferita, l’organismo tende a produrre nuovo tessuto per chiudere la lesione e ripristinare la continuità della propria superficie; tale processo prende il nome di cicatrizzazione. Se la ferita è molto profonda, però, la cicatrizzazione risulta più lenta, e sussiste il rischio di infiltrazione di agenti infettivi all’interno dell’organismo stesso. Inoltre, in questo caso il processo di riparazione del tessuto determina la formazione di una cicatrice che può risultare deturpante. Pertanto, allo scopo di favorire la chiusura della ferita e una corretta cicatrizzazione, in genere si interviene chirurgicamente e si riavvicinano i lembi della ferita applicando punti di sutura realizzati con appositi fili. La modalità con cui la ferita viene suturata può essere differente, a seconda dell’organo colpito e della regolarità del margine della ferita stessa. Anche il tipo di filo utilizzato è variabile: esso può essere di seta, di lino, di speciali materiali sintetici, e in tal caso i punti applicati devono essere rimossi dopo che il processo di cicatrizzazione si è completato; oppure di tessuto animale (i cosiddetti fili riassorbibili cutgut, ottenuti da intestino di montone), che vengono riassorbiti dal tessuto del paziente. Emorragia Fuoriuscita anomala di sangue dai vasi sanguigni, causata dalla rottura traumatica di uno o più vasi (arterie, vene o capillari), ad esempio a causa di una ferita, o da una patologia da cui il paziente emorragico è affetto. L'emorragia, infatti, costituisce una complicazione di molte malattie. L'ulcera peptica, ad esempio, può causare emorragia erodendo un vaso sanguigno; l'ischemia cerebrale è talvolta dovuta a emorragia all'interno del cervello; l’emofilia, malattia ereditaria caratterizzata dall’incapacità del sangue di coagularsi, rende il malato soggetto a emorragie anche gravi. La perdita improvvisa di oltre un litro di sangue può causare shock, che può risultare fatale, a meno che il sangue non venga reintegrato per trasfusione. PRONTO SOCCORSO DELL’EMORRAGIA Il sanguinamento si ferma quando il sangue comincia a coagulare nel punto di fuoriuscita del flusso emorragico; pertanto, i metodi utilizzati per bloccare le emorragie hanno lo scopo di rallentare il flusso di sangue a sufficienza perché si formi un coagulo. Il modo più efficace per fermare la fuoriuscita di sangue è applicare una pressione direttamente sulla ferita. Il sanguinamento può essere rallentato anche mettendosi in posizione tale per cui la ferita venga a trovarsi in una posizione più alta di quella del cuore. Uno strumento talvolta utilizzato per bloccare il flusso sanguigno è il laccio emostatico, che tuttavia deve essere usato solo come rimedio estremo, quando tutti gli altri metodi si sono rivelati inefficaci o inutilizzabili. Per accelerare l'arresto dell'emorragia, vengono utilizzate anche schiuma e polvere di fibrina, sostanze comunemente usate in chirurgia e ricavate da una proteina del sangue, chiamata fibrinogeno, che è coinvolta nei processi di coagulazione. Epistassi Sanguinamento della cavità nasale, che può verificarsi occasionalmente o essere associato a particolari patologie. L’epistassi viene anche definita rinorragia. CARATTERISTICHE Le cavità nasali sono particolarmente ricche di vasi sanguigni; pertanto, lesioni o traumi anche di lieve entità possono dare luogo a fenomeni di epistassi. I vasi sanguigni che si trovano all’interno della cavità nasale più soggetti a emorragie sono alcune venule che formano il cosiddetto plesso venoso di Kiesselbach. Le principali patologie tra i cui sintomi è compresa anche l’epistassi sono l’ipertensione arteriosa, l’arteriosclerosi, disturbi della coagulazione del sangue (soprattutto l’emofilia) e infezioni acute (quali la scarlattina e il tifo addominale). Il sanguinamento può comparire anche in concomitanza con alcune forme di rinite e di tumore. Una particolare forma di epistassi, di origine sconosciuta, è l'epistassi abituale o essenziale, che compare tipicamente durante la pubertà. TERAPIA Per arrestare l'epistassi si praticano impacchi freddi; in casi di sanguinamento persistente, se necessario, si possono somministrare vasocostrittori locali ed eventualmente procedere, previa anestesia locale, alla cauterizzazione dei vasi coinvolti. In qualche caso si rende opportuno il tamponamento posteriore, che consiste nell'inserimento di un tampone inumidito o di un catetere (ossia di un sottile tubicino) con estremità a palloncino. Una volta posto in sito, il palloncino viene gonfiato, così da esercitare una compressione sui vasi sanguinanti. Respirazione artificiale Sistema impiegato per forzare l'aria a entrare e a uscire dai polmoni di un soggetto incapace di respirare. La sospensione della respirazione naturale può essere dovuta a malattie, ad esempio la poliomielite o l'insufficienza cardiaca, oppure a shock elettrico, overdose di farmaci o di alcol, soffocamento per annegamento, inspirazione di gas nocivi o blocco meccanico delle vie respiratorie. In tutti questi casi la respirazione artificiale è una misura di pronto soccorso che dev'essere adottata al più presto, poiché la privazione di ossigeno per più di cinque minuti può causare danni cerebrali irreversibili e morte. Generalmente la respirazione artificiale può essere effettuata da una persona o da un mezzo meccanico. INTERVENTO UMANO Il metodo bocca a bocca è una tecnica di rianimazione, in cui il soggetto in stato di incoscienza viene sdraiato supino (appoggiato sulla schiena), con il capo in iperestensione, cioè il più possibile all'indietro, per impedire che la lingua blocchi le vie respiratorie. Tenendo chiuso il naso della vittima, il rianimatore appoggia la bocca su quella della vittima, chiudendola ermeticamente, ed esegue quattro insufflazioni brevi e profonde. Se la vittima non riprende a respirare, il rianimatore deve continuare l'assistenza respiratoria alla frequenza di un atto ogni cinque secondi (dodici al minuto), permettendo all'aria di uscire dai polmoni della vittima fra un respiro e l'altro. La rianimazione deve continuare finché il soggetto non riprende a respirare o finché non arriva il personale specializzato. Se la persona incosciente è un neonato o un bambino piccolo, il rianimatore deve coprire con la propria bocca sia la bocca che il naso, eseguendo piccole insufflazioni al ritmo di una ogni tre secondi. Per ripristinare la respirazione in una persona che sta soffocando a causa di un'ostruzione delle vie respiratorie, è necessario dare quattro pacche leggere e veloci fra le scapole. Se questo non è sufficiente a spostare il corpo estraneo, il soccorritore deve applicare la cosiddetta manovra di Heimlich, che se necessario può essere ripetuta più volte. Una misura di pronto soccorso respiratorio che richiede un addestramento speciale è la cosiddetta rianimazione cardiopolmonare: in questa procedura, usata ad esempio nella rianimazione delle vittime di attacco di cuore, il soccorritore esegue la respirazione bocca a bocca e contemporaneamente produce una compressione sul torace (massaggio cardiaco), volta a mantenere la circolazione del sangue nell'organismo. Questa tecnica può essere anche applicata da due soccorritori, ognuno dei quali esegue una delle due manovre. RESPIRATORI MECCANICI Molti sono gli strumenti meccanici di rianimazione utilizzati per effettuare la respirazione artificiale. Il rianimatore portatile è un dispositivo presente su mezzi di emergenza come le ambulanze e i veicoli dei vigili del fuoco. Il polmone d'acciaio viene, invece, adoperato nelle strutture ospedaliere per pazienti affetti da paralisi dei muscoli respiratori: è formato da un grande serbatoio che racchiude tutto il corpo del paziente, tranne la testa; un motore varia la pressione all'interno del serbatoio, facendo sì che l'aria entri ed esca dai polmoni del paziente. La macchina cuore-polmone è un respiratore esterno che serve a mantenere il sangue saturo di ossigeno durante le operazioni chirurgiche a cuore aperto. Gravi difficoltà respiratorie possono richiedere l'impiego di un ventilatore meccanico, che forza l'aria nei polmoni tramite un tubo inserito nelle vie aeree superiori attraverso il naso, la bocca o un'apertura nella trachea. I pazienti in coma che per oltre 30 giorni dipendono da un respiratore di questo tipo possono non riprendere a respirare spontaneamente. Massaggio cardiaco Adagiate il paziente in terra, su di una superficie rigida. Chiamate o, meglio, fate chiamare da altri i soccorsi. Cercate di richiamare l'attenzione della vittima chiamandola a voce alta. Evitate di percuoterla e di schiaffeggiarla. L’esistenza di un arresto cardiorespiratorio può essere verificata velocemente rilevando: l’assenza dei movimenti del torace e dell’addome superiore; ponendo il proprio orecchio sulla bocca e sul naso del paziente per accertare l’assenza di ogni flusso d’aria; palpando i polsi arteriosi. Iniziate la respirazione bocca a bocca. Dopo le prime insufflazioni d'aria controllate subito, per non più di 10 secondi, la presenza del battito cardiaco palpando il polso carotideo. Eseguite la palpazione del polso carotideo appoggiando il secondo e terzo dito della mano sul collo, lateralmente al pomo d’Adamo. Premete delicatamente e palpate con i polpastrelli, non con la punta delle dita. Mettetevi lateralmente al paziente e appoggiate il palmo della mano sulla parte centrale del torace, nella sua metà inferiore. Quindi poggiate il palmo dell’altra mano sul dorso della prima e, con le braccia distese e le spalle in posizione perpendicolare al torace del paziente, premete decisamente verso il basso in direzione della colonna vertebrale in modo da ottenere, in un individuo adulto, una escursione di 4-5 cm. Sospendete bruscamente la compressione, permettendo al torace di riespandersi, ma non staccate le mani per non perdere la posizione e per evitare rimbalzi. Per effettuare un massaggio efficace è indispensabile evitare un comportamento concitato: effettuate le manovre energicamente e senza incertezze, praticando circa 100 compressioni del torace ogni minuto. Nelle fasi iniziali potete mantenere il ritmo contando a voce alta. Ricordatevi di mantenere correttamente la posizione in modo tale da utilizzare il vostro peso, e non i vostri muscoli, altrimenti correrete il rischio di stancarvi velocemente e di rendere inefficace il massaggio. Il massaggio cardiaco, con la compressione del torace, determina sempre una certa ventilazione polmonare ma con volumi di aria insufficienti ad ossigenare adeguatamente il sangue. Dovete pertanto continuare ad eseguire anche la respirazione bocca a bocca. Se siete da soli dovete praticare 2 ventilazioni in rapida sequenza (cinque secondi) e 15 compressioni del torace. Se siete in due, 1 ventilazione (in uno o due secondi) va seguita da 5 compressioni. Disponetevi ai lati del paziente e alternatevi mantenendo il ritmo quando siete stanchi. Mentre praticate il massaggio, in prossimità del cambio, dite a voce alta all’atto di ogni compressione "Al... prossimo... cinque... si... cambia". Quindi, contate "Uno... due... tre... quattro... cinque" e cambiatevi di posizione con l’altro soccorritore. Se state effettuando la respirazione bocca a bocca ricordatevi di ricontrollare il polso carotideo. Quando il paziente rinviene non lasciatelo alzare. Tutto il corpo, cuore compreso, è impoverito di ossigeno e se la vittima si alza troppo presto, insorge il rischio di un grave collasso. Ponete coperte e indumenti sotto e sopra l’infortunato per riscaldarlo. Mettetelo in posizione di sicurezza. La cassetta del pronto soccorso La cassetta del pronto soccorso è un oggetto che troppo spesso manca nelle case italiane. Si è soliti lasciare qualche garza e un po' di alcool negli armadietti del bagno, senza curarsi troppo delle situazioni di emergenza. Invece è necessario creare un'apposita cassetta, facilmente accessibile nei casi di urgenza, disposta al fresco e comunque lontana da fonti di calore, inaccessibile ai bambini. Disporre nella cassetta, oltre ai medicamenti in seguito descritti, anche un manuale del pronto soccorso. Dotare la cassetta di un dispositivo di chiusura ma non di lucchetti o serrature che richiedano l'utilizzo di chiavi. Una cassetta del pronto soccorso dovrebbe essere disponibile anche in auto. LA LISTA DEL MATERIALE 1. Garze di diversa larghezza (consigliate 10 e 5 cm) 2. Fasce elastiche (consigliata 10 cm) 3. Cerotti di diverse dimensioni 4. Nastro adesivo medico di diversa larghezza (consigliati da 2 e 4 cm) 5. Flacone di soluzione salina sterile 6. Flacone di acqua ossigenata 7. Flacone di disinfettante 8. Pomata antistaminica 9. Pomata per le ustioni 10. Aghi, pinze e forbici 11. Guanti di lattice I medicamenti hanno una durata limitata nel tempo. E' quindi necessario controllare periodicamente se i prodotti medici contenuti nella cassetta sono scaduti e rimuoverli sostituendoli con dei nuovi onde evitare l'utilizzo erroneo di prodotti inefficaci o addirittura dannosi all'organismo a causa del deterioramento. Buttare i medicamenti scaduti negli appositi contenitori per rifiuti. L’igiene L’igiene è un ramo della medicina che studia i mezzi idonei a conservare la salute, permettendo il normale compiersi delle funzioni dell'organismo e armonizzando i rapporti tra l'uomo e l'ambiente onde eliminare le cause di malattia che possono essere eventualmente determinate da questo. Igiene individuale L'igiene individuale insegna all'uomo come evitare determinate malattie, soprattutto quelle contagiose; pertanto comprende misure di pulizia della persona, di abbigliamento, disposizione e condizionamento delle abitazioni, la regolamentazione dell'attività fisica e psichica e del sonno. All'igiene si ricollega anche la scelta di diete adatte all'età, all'attività e alle condizioni fisiologiche o patologiche. D'altra parte una dieta adatta viene di norma utilizzata se le funzioni digestive sono normali, il che è condizionato dalla perfetta efficienza della bocca e dei denti. Assurta a livello di disciplina, l'igiene mentale cerca di favorire un corretto ed equilibrato sviluppo psichico e quindi tutte le condizioni necessarie a ottenerlo, nonché a prevenire l'insorgenza delle malattie mentali o a curarne i danni provocati. In realtà risulta molto più difficile definire una persona “sana di mente”, che non una persona “malata di mente”; infatti se si considera “malata” una persona che manifesta spesso o talvolta determinati sintomi, il fatto che una qualunque altra persona non li dimostri non è sufficiente a definirla “ sana”. È infatti impossibile scindere dall'ambiente i concetti di equilibrio psichico, di normalità e di corretto sviluppo psicologico, in una parola la salute mentale. È compito dell'igiene mentale cautelare a priori la salute di ogni persona tenendo nella dovuta considerazione i valori culturali in cui si lavora. Sono stati infatti dimostrati numerosi collegamenti fra la patologia mentale e le situazioni socio- culturali di ogni individuo. Proprio questo problema ha fatto pensare a un discorso preventivo per impedire lo sviluppo delle malattie mentali, istituendo, come primo passo, centri di salute mentale e consultori in cui prestano la loro opera assistenti sociali, psicologi e psichiatri. TUTTO PER UNA BUONA IGIENE ORALE La prevenzione è il miglior modo per mantenere sani i denti e la salute delle gengive. E’ necessaria una accurata igiene domiciliare e recarsi dal proprio dentista ogni sei mesi per fare una visita di controllo e per una seduta di pulizia dei denti. Gli strumenti che servono per l’igiene domiciliare sono: - il dentifricio - lo spazzolino - il filo interdentale - lo scovolino - l’idropulsore I portatori di protesi fissa (ponti) devono usare, oltre allo spazzolino, degli appositi fili interdentali o gli scovolini. In questi casi è utile anche l’idropulsore per rimuovere grossolanamente i residui alimentari. I portatori di protesi mobile (la cosiddetta "dentiera") devono usare le compresse effervescenti e gli appositi spazzolini. E’ consigliabile lavarsi i denti tre volte al giorno, con particolare accuratezza alla sera dopo la cena. I vari colluttori in commercio non servono per pulire i denti, ma unicamente per ritardare l’accumulo della placca batterica. Quelli medicamentosi devono essere prescritti dal dentista. Importante per la prevenzione della carie è l’alimentazione corretta. Dare la preferenza a sostanze ricche di fibre vegetali e cercare soprattutto di limitare l’assunzione di dolci o almeno spazzolarsi i denti dopo ogni assunzione di zuccheri. Ricordarsi che molto zucchero mangiato in una volta sola è meno dannoso di piccole dosi in più momenti (vedi le caramelle!). Altro presidio di notevole importanza per la salute dei denti è il fluoro, un elemento costituente delle ossa e dei denti, presente in alcuni alimenti (té, pesce, spinaci) e nelle acque, importante durante il processo di formazione dei denti. COME USARE I VARI STRUMENTI PER L’IGIENE Pastiglie rivelatrici Sono pastiglie che si devono lasciar sciogliere in bocca e che interagiscono chimicamente con la placca batterica ipercolorandola. Sono di valido ausilio iniziale per capire in quali punti dei denti si accumula maggiormente la placca. Dentifrici Iniziamo col dire che è lo spazzolino che serve per la rimozione della placca: il dentifricio è solo un valido ausilio. Sarebbe preferibile usare quelli contenenti fluoro e che non abbiano una eccessiva abrasività. Usare il dentifricio in modica quantità: l’eccesso non permette alle setole dello spazzolino di lavorare bene. Spazzolino Le caratteristiche che deve avere uno spazzolino per essere efficace sono: - la forma della testa e del manico - la dimensione della testa: deve essere piccola per poter raggiungere tutte le zone della bocca - le setole: devono essere di materiale sintetico, con le punte arrotondate, disposte in file regolari e morbide. Deve essere usato senza forza per non causare danni allo smalto (abrasioni) o alle gengive. E’ infatti la tecnica dello spazzolamento che deterge i denti dalla placca. Una delle tecniche più efficaci consiste nell’inclinare lo spazzolino in modo che le setole giungano al solco gengivale, effettuare prima un movimento rotatorio con leggere vibrazioni e poi un movimento verticale con direzione dalla gengiva verso la corona: viene chiamata tecnica di Bass modificata. E’ opportuno cambiarlo una volta al mese o quando ci si accorga che le setole si stiano deformando. Non usare mai setole naturali (tasso) che non detergono e si sfibrano. Utili sono anche quelli elettrici, purché usati con la stessa tecnica e senza molta pressione. Filo interdentale Il filo è uno strumento essenziale per eliminare la placca dagli spazi interdentali, dove lo spazzolino non può agire. E’ importante usarlo in modo corretto, seguendo le istruzioni dell’igienista o del dentista. Può essere cerato o non cerato. Nelle zone posteriori può essere usato montato su forcelle. Per i portatori di protesi fissa esistono fili con la punta rigida o aghi passafilo in grado di poter essere passati al di sotto di essa. Scovolino E’ molto utile quando ci siano degli spazi interdentali molto ampi o per passare sotto la travata di un ponte protesico. Le punte sono di diverse dimensioni da scegliere per poter essere passate senza forzare. Deve essere inserito orizzontalmente in direzione dall’alto verso il basso nell’arcata superiore e dal basso verso l’alto in quella inferiore e si devono effettuare dei movimenti di "va e vieni". In alcuni casi possono essere utili gli stuzzicadenti, usati fin da tempi antichi, anche se il galateo ne sconsiglia l’uso, basta solo far attenzione a non ledere la papilla interdentale. Farmaci Il farmaco è un agente chimico o fisico capace di provocare modificazioni anatomiche o fisiologiche in un organismo vivente dando sollievo, rimedio e guarigione. Quando un farmaco è utilizzato a scopo terapeutico, da solo o associato ad altri, prende il nome di medicamento. Nel suo significato più vasto il termine farmaco comprende anche i veleni, in quanto che, mentre molto spesso i medicamenti in alte dosi possono essere tossici, i veleni in dosi appropriate possono essere di valido aiuto al medico. La classificazione dei farmaci è piuttosto difficile e sono stati proposti vari sistemi. I farmaci, infatti, possono essere classificati secondo la loro origine, la loro natura e la costituzione, in farmaci minerali (es. bromuro di sodio), vegetali (es. chinino), organici (es. acido fenilchinolincarbossilico), animali (es. estratti epatici) e biologici (vaccini e sieri). Un tempo si distinguevano anche farmaci officinali, preparati dal farmacista (nell' “officina” farmaceutica), e farmaci magistrali, preparati dal farmacista su precisa ordinazione del medico (“magister”); attualmente si parla di farmaci galenici e di specialitàe si tende a classificare i farmaci secondo le loro proprietà fisiologiche o terapeutiche. Tuttavia nessun sistema di classificazione è perfetto, in quanto esiste solo un piccolo numero di farmaci dotati di azione specifica: la maggior parte viene utilizzata in dosi e associazioni diverse nel trattamento di affezioni differenti. La loro somministrazione può avvenire per via esterna (pomate, linimenti, polveri, ecc.), per via orale, rettale e parenterale, cioè sotto forma di iniezioni ipodermiche, intramuscolari, endovenose, endorachidee, endoarteriose ed, eccezionalmente, intracardiache. Psicofarmaci I psicofarmaci sono farmaci capaci di agire su una o più manifestazioni dell'attività psichica. Il rinvenimento di papavero da oppio nelle cucine preistoriche dimostra che la conoscenza delle sostanze psicotrope ha origini antichissime. I popoli dell'antichità e molte tribù attuali del Nord America hanno legato l'assunzione degli psicofarmaci, soprattutto inebrianti e allucinogeni, alla celebrazione di cerimonie religiose ma l'uso scientifico dei farmaci psicotropi ha avuto inizio solo in questo secolo, con la sintesi dei barbiturici (1903). Il problema fondamentale della definizione e della classificazione delle sostanze psicotrope si scontra con numerose difficoltà, in quanto una classificazione basata sulla struttura chimica sembra impossibile, perché certe sostanze, pur avendo uno stesso effetto farmacologico, sono chimicamente molto differenti tra loro, e una classificazione secondo i risultati farmacologici ottenuti negli animali si è dimostrata troppo complessa. Pertanto gli psicofarmaci vengono classificati essenzialmente in base alla loro azione sulle attività psichiche dell'uomo e vengono distinti in psicoplegici (maggiori e minori), noti come tranquillanti, e psicostimolanti a loro volta distinti in psicomotori, psicomimetici e psicotonici. La droga La droga è una sostanza di origine naturale, o sintetizzata chimicamente, capace di provocare modificazioni più o meno temporanee e dannose sull’equilibrio psico-fisico di chi l’assume. Essa, insieme al fumo e all’alcool, agisce sul sistema nervoso e ne altera il funzionamento, provocando inoltre gravi fenomeni come l’assuefazione e la dipendenza. L’assuefazione è l’abitudine a una determinata sostanza per cui, dopo poco tempo, il consumatore aumenta le dosi per ottenere l’effetto desiderato. La dipendenza è la necessità assoluta di una sostanza senza la quale l’organismo non riesce più a star bene. Tutte le droghe provocano inoltre danni irreversibili, portando a vere e proprie malattie mentali e spesso alla morte. Le droghe più diffuse sono: l’eroina, la morfina, la codeina, le anfetamine, la cocaina, la marijuana, l’hashish, l’L.S.D e la mescalina. L’eroina è un derivato dell’oppio, come la morfina e la codeina; essa può essere iniettata, annusata o fumata. Si tratta di droghe <<pesanti>>, che eliminano le sensazioni di paura e ansia. Esse però provocano dipendenza psichica e fisica e crisi di astinenza, in caso di mancata assunzione; l’eccesso di dose e l’uso prolungato portano alla morte. Le anfetamine sono prodotti sintetizzati dall’industria chimica che eliminano le sensazioni di fatica e di fame, provocando dipendenza, delirio, manie e violenza. La cocaina è un derivato della pianta della coca; viene usata sotto forma di polvere da fiutare o iniettare. Dà un senso di eccitazione che elimina le sensazioni di fatica, di fame, di paura; provoca inoltre dipendenza psichica. La marijuana e l’hashish derivano entrambe dalla canapa indiana, vengono di solito fumate (spinello). Danno dipendenza psichica e procurano facili fughe dalla realtà, che sono però di breve durata. Gli allucinogeni sintetici più diffusi sono l’L.S.D., prodotto di sintesi, e la mescalina, derivato di un fungo messicano, che provocano vere e proprie allucinazioni, dipendenza psichica e a lungo andare causano malattie mentali. La droga, lentamente, gradualmente, ma inesorabilmente, si impadronisce di chi la assume; tutto va in secondo piano: gli affetti, il lavoro, la salute, la dignità. Il fine della vita del tossicodipendente è procurarsi le dosi necessarie per non star male, quindi egli è pronto a fare di tutto: rubare, prostituirsi, rischiare il carcere. La strada della disintossicazione è piena di ostacoli apparentemente insormontabili. Una disintossicazione fisica è di media raggiunta in un tempo breve (un mese o poco più), solo però sotto costante controllo medico, con dosi a scalare di metadone, la sostanza che riesce a togliere gli effetti dolorosi del “calo”. Quando la dose di metadone è arrivata a zero, la disintossicazione fisica è raggiunta. Per chi riesce a capire che, nella vita, non è possibile sfuggire a se stessi, alle proprie responsabilità, ai propri doveri, che la dignità è un qualcosa che non può e non deve essere calpestato, arriva sicuramente il giorno in cui si sentirà anche in grado di riaffrontare il mondo esterno. Purtroppo, una volta rientrati a far parte della società, non tutti ce la fanno. PREVENZIONE Il problema consiste nell’eliminare le cause del consumo della droga, nell’insegnare il rispetto per il nostro corpo e per la nostra mente. Il vero sistema per prevenire la droga sarebbe di offrire strade alternative, di mutare la lotta agli stupefacenti in lotta all’emarginazione, alla disoccupazione, alla crisi degli ideali e alla noia.