L`igiene

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APPARATO MUSCOLARE
I l m u s co l o è u n o rgano formato da tessuto muscolare che, grazie alla capacità di
contrarsi, permette il movimento reciproco di diverse parti dei corpo, o di singoli
organi.
ANATOMIA
Ciascun muscolo è formato da fasci di fibre muscolari, ovvero da cellule muscolari che
possono essere innervate dal sistema nervoso somatico o dal sistema nervoso autonomo.
II primo è responsabile di contrazioni di tipo volontario, mentre il secondo di
contrazioni involontarie. Per tale motivo, i muscoli vengono distinti in volontari, o
scheletrici, o involontari, il che corrisponde a una differenza di tipo anatomico. Sono
volontari i muscoli formati da tessuto muscolare striato; sono involontari quelli
costituiti da tessuto liscio, o striato cardiaco.
I muscoli volontari si collegano alle ossa mediante i tendini, grossi cordoni di tessuto
connettivo, ricchi di fibre collagene e non dotati di capacità contrattili; tali muscoli
sono detti anche muscoli scheletrici. Le fibre muscolari striate da cui essi sono formati
sono classificate in fibre a contrazione lenta (I tipo) e veloce (II tipo). Le fibre di I
tipo sono responsabili del tono muscolare; esse presentano un colore più scuro per la
ricchezza di mioglobina, si contraggono più lentamente e hanno una resistenza maggiore
all'esaurimento; quelle di II tipo, invece, sono più chiare, producono scatti potenti ed
esauriscono l'energia rapidamente. La maggior parte dei muscoli scheletrici è composta
da fibre di entrambi i tipi. I muscoli lisci, quali quelli che delimitano le pareti del tubo
digerente e dei vasi sanguigni, sono in grado di compiere contrazioni solitamente lente.
Apparato scheletrico
Negli animali, struttura che sostiene l'organismo, protegge gli organi interni e rende
possibile il movimento, fornendo punti di attacco ai muscoli. Lo scheletro propriamente
detto è formato da elementi rigidi e resistenti; esso può trovarsi alfintemo della
superficie cutanea (endoscheletro) o al suo esterno (esoscheletro). Alcuni animali, come
gli anellidi, possiedono uno scheletro di tipo idrostatico, privo di parti rigide e formato
da compartimenti delimitati da membrane contenenti liquido; esso permette il sostegno
del corpo grazie alla pressione esercitata dal liquido stesso.
Lo scheletro esterno, o esoscheletro, è costituito da materiali secreti dall'epidermide
che riveste il corpo dell'organismo. Si considerano esoscheletri le strutture calcaree
secrete dai coralli, i gusci di calcio o silice prodottì da foraminiferi, radiolari e
diatomee, i tubi protettivi sintetizzati da alcuni celenterati, le conchiglie dei molluschi
gasteropodi. Negli insetti e nei crostacei vi è un esoscheletro di struttura complessa,
formato principalmente da un composto organico detto chitina. In questi animali,
l'esoscheletro riveste e protegge il capo, il torace, l'addome e ciascun segmento degli
arti; nei punti di passaggio tra un segmento corporeo e il seguente, lo strato di chitina
dìviene più sottile e flessibile, per permettere il movimento reciproco dei segmenti
stessi.
Lo scheletro interno, o endoscheletro, è formato da tessuti viventi, come il tessuto
osseo o il tessuto cartilagineo, oppure da sostanze minerali secrete dall'organismo. Un
particolare tipo di endoscheletro è il dermascheletro degli echìnodermì, localizzato nel
derma e formato da strutture allungate (ossicoli) di carbonato di calcio, che possono
prolungarsi verso la superficie epidermica in vere e proprie spine. Un altro
endoscheletro è quello delle spugne che, nello strato intermedio (mesoglea) della loro
parete, possiedono spicole di carbonato di calcio o di silice, la cui forma e disposizione
rivestono
un'importanza
nella
classificazione
tassonomica.
L'endoscheletro
dei
vertebrati è formato da ossa e cartilagine, connesse le une alle altre mediante
articolazioni e legamenti connettivali. Dal punto di vista evolutivo, lo scheletro osseo dei
vertebrati deriva dalla notocorda, o corda dorsale, presente nei cordati primitivi (come
l'anfiosso); una forma di scheletro evolutivamente antica è lo scheletro cartilagineo dei
condroitti, che compare anche nello sviluppo embrionale di molti vertebrati. Lo scheletro
dei vertebrati è composto di due sezioni principali: lo scheletro assile, comprendente le
strutture disposte sull'asse principale del corpo (cranio, colonna vertebrale e cassa
toracica) e lo scheletro appendicolare (ossa degli arti, cingolo pelvico e cingolo
pettorale), formato dalle strutture che si articolano sullo scheletro assile. Lo sviluppo
dello scheletro prende il nome di ossificazione e ha inizio nel corso dello sviluppo
embrionale, a partire da un tessuto di cellule indifferenziate detto mesenchima.
Apparato circolatorio
Si tratta dell'apparato che provvede alla circolazione del sangue in tutto l'organismo, la
cui importanza sta nelle funzioni che svolge: una funzione nutritiva per le sostanze
trasportate, depurativa in quanto raccoglie gli elementi di rifiuto, destinati a essere
eliminati attraverso i reni, difensiva per le proprietà di alcune cellule e infine
correlativa perché consente lo scambio di alcuni principi che concorrono alla reciproca
regolazione degli apparati. È formato dal cuore e da un complesso di vasi, suddivisi in
arterie, vene e capillari, all'interno dei quali scorre il sangue. Le arterie fuoriescono
direttamente dal cuore e trasportano i I sangue verso la periferia del corpo, mentre le
vene portano il sangue dalla periferia al cuore. I capillari sono invece vasi di ridottissime
dimensioni, che formando i letti capillari, consentono lo scambio di sostanze fra iI
sangue e i tessuti che attraversano. Si può pensare ai vasi sanguigni come a un immenso
sistema di canali navigabili, lungo alcune migliaia di chilometri.II sangue ha la necessità
di rifornirsi di ossigeno prima di essere spinto dal cuore in tutto il nostro organismo, in
base a questa caratteristica si differenziano due tipi di circolazione: quella polmonare, o
piccolo circolo, e quella sistemica, o grande circolo, destinata all'irrorazione di tutto il
corpo. In entrambe i l sangue procede verso la periferia in vasi sempre più piccoli e
numerosi e ritorna al cuore in vasi meno numerosi e più grossi. La circolazione polmonare
ha inizio dall'arteria polmonare che trasporta il sangue venosa, cioè ricco di anidride
carbonica, nei polmoni. Qui i vasi assottigliandosi consentono lo scambio tra il sangue e
l'aria contenuta negli alveoli polmonari. A questo il punto il sangue procede verso il cuore
da dove grazie alla contrazione di uno speciale muscolo, i l miocardio, viene pompato
nell'aorta e da qui in tutto i l corpo. Il miocardio contraendosi consente al cuore di
funzionare in modo ritmico alternando due fasi: diastole, o fase di riempimento e
sistole, o fase di svuotamento.
Nella prima i ventricoli si riempiono del sangue proveniente dal vene, mentre nella seconda
si svuotano spingendo il sangue nell'aorta e nella arteria polmonare. Questo movimento dà
origine al battito cardiaco. Della grande circolazione fanno parte altri due sistemi un po'
speciali: quello delle arterie coronarie, importante in quanto porta ossigeno al cuore,
permettendogli d funzionare, e quello della vena porta, che consente ai prodotti della
digestione prelevati dall'intestino di raggiungere il fegato dove verranno ulteriormente
elaborati. Il sangue può essere definito come un tessuto formato da un liquido, il plasma, e
da elementi cellulari in esso sospesi, i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine. Il
plasma, che, separato dai globuli rossi ha un colore giallino, ha il compito di trasportare
alcune sostanze, come proteine, vitamine e ormoni, nei luoghi di utilizzo o di eliminazione. I
globuli rossi consentono il trasporto dell'ossigeno grazie a una sostanza in essi contenuta,
l'emoglobina; la loro vita media è di 120 giorni e vengono distrutti nel fegato e nella milza
si pensi che vengono eliminati circa 2 milioni di globuli rossi al minuto. I globuli bianchi
svolgono una funzione difensiva contro aggressioni al nostro organismo portate da batteri
e virus. Le piastrine contribuiscono alla coagulazione del sangue. Infatti quando un vaso
sanguigno si rompe, in occasione di una ferita, nel sangue si attiva il processo di
coagulazione a cui contribuiscono le piastrine e numerosi altri fattori, che come risultato
danno una sostanza chiamata fibrina che svolge la funzione di un vero proprio tappo.
II Sistema Nervoso
Il sistema nervoso è un insieme di cellule o complesso di organi che negli animali
pluricellulari provvede a ricevere gli stimoli esterni e interni all'organismo, a elaborarli
e a trasformarli in impulsi coordinati. Questi ultimi agiscono in modo da dare una
risposta adeguata alle situazioni ambientali o interne al fine di mantenere l'organismo
nelle migliori condizioni di vita. Il sistema nervoso collega le varie parti dell'organismo,
coordinandone sia le attività che sovraintendono alla vita vegetativa, sia, negli animali
superiori, quelle che interessano la vita di relazione, nonché quelle che provvedono alle
automatiche risposte a stimoli (messi nervoso), e quelle che, nell'uomo, regolano
l'attività psichica (stati affettivi, intelligenza, ideazione, ecc.). Nei Vertebrati esso è
costituito da tessuto organico, altamente differenziato (tessuto nervoso), che ha la
specifica capacità di produrre, ricevere e propagare, con massima velocità e minimo
consumo di energia, gli impulsi nervosi (eccitabilità nervoso). Il tessuto nervoso è
fondamentalmente costituito da cellule nervose o neuroni, da fibre e da tessuto gliale
o nevroglia, elementi tutti derivati dal foglietto esterno dell'embrione o ectoderma.
Nei Vertebrati, l'organizzazione del tessuto nervoso è più o meno complessa in
relazione ai vari organi nervosi e alle loro specifiche funzioni; così, proprio in base a
queste diversità di struttura, oltre che di sede, si possono distinguere gli organi di
senso, un sistema nervoso periferico e un sistema nervoso centrale. Gli organi di senso,
o recettori, hanno lo scopo di mettere in relazione l'organismo con i suoi visceri interni
e con il mondo esterno, per raccoglierne continuamente le stimolazioni; tali organi oltre
quelli della vista, dell'udito, dell'olfatto, del gusto e del tatto, sono anche quelli della
sensibilità, dell'equilibrio, ecc. Secondo la natura e la provenienza dello stimolo che
raccolgono, gli organi di senso sono distinti in esterocettori, enterocettori e
propriocettori.
Il
sistema
nervoso
periferico
è
specificamente
deputato
al
collegamento, tramite i nervi, tra i recettori e gli organi nervosi centrali e, viceversa,
tra questi e gli organi esecutori o effettori periferici. Il sistema nervoso centrale
provvede invece alla ricezione delle stimolazioni in arrivo e alla conseguente
elaborazione degli impulsi centrifughi, nonché nell'uomo alle attività psichiche.
L'organizzazione del tessuto nervoso negli organi di senso e nel sistema periferico è
relativamente semplice, mentre quella del sistema nervoso centrale - in relazione
proprio alle più complesse funzioni - risulta essere assai più complessa. Il tessuto
nervoso che forma il materiale costitutivo del sistema nervoso centrale, secondo le sue
particolarità, viene distinto in grigio e bianco.
Apparato respiratorio
L'aria che entra tramite le narici nella parte alta dell'apparato respiratorio (rinofaringe)
viene filtrata grazie alla presenza di un epitelio ciliato capace di fissare e di trattenere i
corpi estranei. A tale livello l'aria viene quindi modificata, riscaldata, purificata e
soprattutto umidificata. Attraverso la trachea, i grossi bronchi e i bronchioli l'aria giunge
ai polmoni diffondendosi negli alveoli. La parte dell'albero bronchiale che arriva ai
bronchioli respiratori è deputata alla funzione di trasporto; la parte dei dotti alveolari è
per il 50% addetta agli scambi gassosi; man mano che ci si addentra nel polmone la
funzione di scambio prevale su quella di trasporto. A livello degli alveoli la muscolatura
liscia scompare, cosicché essi assumono una struttura molto semplice: epitelio, capillari
sanguigni e fibre elastiche. Nei punti di maggior contatto tra epitelio e capillari le loro
membrane basali si fondono, per cui la barriera aria-sangue nell'alveolo diventa
sottilissima. Tra la membrana alveolare e quella del capillare è poi interposto un sottile
strato di liquido interstiziale. Nell' uomo gli alveoli sono circa 750 milioni e offrono una
superficie di scambio molto sviluppata, pari a 50-80 m2 in rapporto all'espansione del
polmone. Dal punto di vista meccanico la respirazione polmonare può essere paragonata al
funzionamento di una pompa ad aria; i due movimenti respiratori che assicurano
l'assunzione di aria dall'ambiente esterno e (eliminazione dell'anidride carbonica sono il
movimento inspiratorio e quello espiratorio sono dovuti a movimenti della gabbia toracica e
del diaframma, mentre il punto di appoggio è rappresentato dalla colonna vertebrale,
dotata di una relativa fissità. Un aumento di capacità della gabbia toracica porta come
conseguenza immediata l'aumento di capacità del polmone, che segue passivamente i
movimenti toracici. Ciò è quanto si verifica nell'inspirazione, mentre nell'espirazione si
assiste al fenomeno opposto. Durante l'inspirazione si ha il sollevamento delle costole e una
lieve loro rotazione verso l'esterno; si ha così un aumento del diametro antero-posteriore
della gabbia toracica. I movimenti del diaframma si ripercuotono invece sull'asse
longitudinale. Questa mobilità pluridirezionale spiega finalisticamente la struttura
anatomica lobare del polmone; una massa unica, infatti, non potrebbe espandersi
altrettanto facilmente in tutte le direzioni. L'inspirazione è un processo attivo, nel quale
entrano in gioco, oltre al diaframma, i muscoli intercostali esterni e i sollevatori delle
coste; nell'inspirazione forzata intervengono anche il grande pettorale, il gran dentato, il
muscolo dorsale, gli scaleni e lo sterno-cleido-mastoideo. Di norma l'espirazione è un
processo passivo. Nell'espirazione forzata è tuttavia necessario l'intervento dei muscoli
intercostali interni, degli addominali, dei lombari e dei sottocostali. 1 polmoni sono separati
dalla parete toracica e dal diaframma attraverso il cavo pleurico; si tratta di una cavità
virtuale, in quanto tra il foglietto viscerale e quello parietale della pleura è interposto solo
un velo di liquido. Alla nascita il primo atto respiratorio distende la gabbia toracica e la
pleura parietale che a essa aderisce. Inoltre, per 1'inespansibilità del liquido di
separazione, viene distesa anche la pleura viscerale aderente al polmone. Questo viene di
conseguenza espanso e l'abbassamento di pressione nel suo interno richiama aria
dall'esterno.
Pronto soccorso e infortuni
Il pronto soccorso è l’ insieme delle misure di emergenza tese ad assistere la vittima di
malattie improvvise o di infortuni, finché non è disponibile una terapia qualificata.
Scopo del pronto soccorso è alleviare il dolore e l'ansia della vittima e impedire
l'aggravamento delle sue condizioni. Nei casi estremi, il pronto soccorso può essere
necessario per prevenire il decesso prima dell'arrivo dell'assistenza medica.
Le misure di pronto soccorso variano a seconda delle necessità della vittima e delle
conoscenze specifiche e dell'abilità del soccorritore. La consapevolezza di ciò che non
si deve fare in un'emergenza è importante tanto quanto la conoscenza delle corrette
misure d'intervento: una misura di pronto soccorso errata, infatti, può causare gravi
complicazioni.
Nonostante la grande varietà di possibili lesioni, alcuni principi generali di pronto
soccorso si possono applicare in tutte le emergenze:
1. evitare il panico e la fretta eccessiva;
2. a meno che la posizione non la esponga a ulteriore immediato pericolo, la vittima non
deve essere spostata finché non viene determinata la natura della lesione; se il
soccorritore ha competenza di pronto soccorso, può esaminare la vittima alla ricerca di
ferite, ustioni o fratture; se la vittima è cosciente, è importante rassicurarla circa
l'arrivo dei soccorsi medici. La testa della vittima deve essere lasciata a livello del
corpo, a meno che non si presentino difficoltà respiratorie; se non vi sono lesioni al capo
e alla spina dorsale, è possibile sollevare lievemente la testa e le spalle della vittima per
metterla in una posizione più comoda. In caso di vomito, è possibile girare la testa su un
lato; non bisogna mai somministrare liquidi a un soggetto incosciente. È indispensabile
fornire soccorso immediato in casi di grave emergenza, come asfissia, grave emorragia
e avvelenamento, per impedire il decesso; qualunque sia la lesione, nei casi gravi è
necessario proteggere la vittima dallo shock, cioè dalla depressione di molte funzioni
dell'organismo dovuta a insufficiente circolazione del sangue. I sintomi dello shock
sono: pallore del volto, labbra bluastre, polso debole ma rapido, respirazione
superficiale e nausea. È possibile che questi sintomi non siano immediatamente evidenti,
poiché lo shock può presentarsi anche diverse ore dopo l'incidente. Per evitare lo
shock, che può causare la morte, è necessario tenere la vittima al caldo con coperte o
cappotti, se necessario, per mantenere una temperatura corporea normale. In assenza
di lesioni addominali, è possibile somministrare bevande calde a sorsi (ad esempio latte
e brodo). Non somministrare mai farmaci stimolanti e alcol.
Le emergenze che più spesso richiedono interventi di pronto soccorso sono asfissia,
arresto cardiaco, emorragie gravi, avvelenamenti, ustioni, colpo di sole e colpo di calore,
svenimento e coma, distorsioni e fratture, punture di insetti e morsi di animali.
LESIONI DELL’APPARATO SCHELETRICO
Contusione
Lesione di una parte del corpo prodotta da un urto, in cui la superficie cutanea rimane
integra. Una semplice contusione non determina lesioni a livello delle ossa (che sono
invece soggette a fratture) o delle articolazioni (che a causa di un trauma possono
subire distorsioni o lussazioni). Essa colpisce invece le parti molli, in particolare
l’apparato tegumentario, il tessuto connettivo sottostante ed eventualmente i muscoli e
gli organi interni. La gravità delle lesioni è dipendente dall’energia dell’urto che le ha
provocate.
SINTOMI
Nei tessuti contusi si verifica la rottura di alcune cellule, con la conseguente
liberazione di sostanze che richiamano cellule fagocitarie, i macrofagi, coinvolte nella
risposta infiammatoria. Nella zona infiammata vi è un afflusso di fluido intercellulare
che
determina
localmente
un
edema
(gonfiore).
A
causa
dell’urto,
nell’area
traumatizzata si verifica anche la rottura dei capillari sanguigni e il conseguente
riversamento di sangue nei tessuti circostanti; si formano allora le ecchimosi (o lividi),
che appaiono sulla superficie cutanea come zone di colore rosso-violaceo. Se la quantità
di sangue è notevole, si forma un vero e proprio ematoma. La zona contusa risulta
dolente e gonfia.
TERAPIA
In presenza di contusioni, è opportuno trattare al più presto la parte colpita con una
borsa del ghiaccio, in modo da determinare localmente una vasocostrizione e da limitare
il versamento sanguigno. In seguito, è possibile applicare pomate che facilitino il
riassorbimento dell’edema e riducano il dolore.
Frattura
Rottura parziale o totale di un osso che si verifica in seguito a un trauma, ossia a un
evento accidentale esterno, o a una causa endogena (frattura patologica). Le fratture
traumatiche possono essere dirette o indirette, a seconda che vi sia un urto diretto su
una parte del corpo che ne provoca la rottura, oppure una trazione o torsione, che
flettono l’osso oltre il suo limite di elasticità. Le fratture patologiche si verificano,
invece, quando il tessuto osseo è divenuto fragile e poroso per processi di
demineralizzazione, come quelli che si verificano nell’osteoporosi, nel morbo di Cushing
e nella sindrome di Paget (malattie degenerative dello scheletro); in tal caso, anche
colpi leggeri possono determinare la rottura. Le manifestazioni più comuni di una
frattura comprendono intenso dolore della parte colpita, gonfiore, ridotta funzionalità
e esecuzione anormale di alcuni movimenti.
TIPI DI FRATTURA
A seconda della modalità con cui l’osso colpito si rompe, è possibile distinguere
differenti tipi di frattura.
In base alla porzione di osso coinvolta dalla frattura si distinguono: fratture
incomplete, o "a legno verde" (in cui la rottura è parziale e che sono tipiche soprattutto
dell'età infantile, quando l'osso è più deformabile); fratture complete, che consistono
in una completa rottura dell'osso.
In base al numero di frammenti derivanti dalla rottura dell'osso, si distinguono:
fratture singole (un solo frammento si stacca dall'osso rotto); fratture multiple (i
frammenti sono due o più).
In base al grado di visibilità all'esterno del corpo, si distinguono: fratture esposte,
nelle quali i frammenti ossei perforano i tessuti e la cute, provocando ferite e
divenendo visibili all'esterno; fratture chiuse, che non risultano visibili a un esame
esterno.
TERAPIA
La diagnosi delle fratture viene effettuata con un esame radiografico. La terapia
comporta la cosiddetta “riduzione” delle parti fratturate, durante la quale le due
estremità dell'osso vengono riportate a contatto l'una con l'altra. Se i segmenti ossei
fratturati sono adiacenti, si può ottenere il loro riallineamento per trazione manuale o
strumentale. Nei casi più gravi si procede, invece, a un intervento chirurgico, in cui i
frammenti ossei vengono riuniti con mezzi meccanici quali viti, chiodi, fili o placche
metalliche.
Una volta ottenuto il riallineamento, l'osso viene immobilizzato dall'esterno, con un
gesso o una struttura rigida che ne accelera la guarigione. Durante il periodo in cui
resta immobilizzato, si produce tessuto osseo di sostituzione, e si formano elementi
che vanno a saldarsi attorno ai segmenti ossei separati e che, nell'insieme,
costituiscono il cosiddetto callo osseo. Non in tutti i casi, tuttavia, il consolidamento
dell'osso avviene in modo completo. Tra le cause di mancato consolidamento vi possono
anche essere condizioni patologiche come l'osteoporosi. Nelle fratture esposte, oltre
alla lesione ossea è necessario anche verificare l’andamento del processo di
cicatrizzazione dei tessuti molli coinvolti nella lacerazione, allo scopo di evitare
l’insorgenza di processi infettivi.
Distorsione
Lesione traumatica delle articolazioni, causata dall'estensione eccessiva dei legamenti
o dalla loro rottura parziale. Frequenti nella caviglia, nel ginocchio e nel polso, le
distorsioni sono caratterizzate da dolore, gonfiore e difficoltà di movimento della
parte interessata. La distorsione del ginocchio può manifestarsi con gonfiore causato
dal
versamento
di
liquido
all'interno.
In
tutti
i
casi
la
terapia
prevede
l'immobilizzazione dell'articolazione interessata, riposo ed eventuale somministrazione
di farmaci analgesici.
Lussazione
Spostamento delle ossa all'interno di un'articolazione. Quando la lussazione è parziale
o incompleta si parla di sublussazione. Benché in linea di principio tutte le articolazioni
dello scheletro umano possano subire una lussazione, sono più frequenti le forme che
colpiscono la mandibola, il ginocchio, il gomito, la spalla e le dita della mano. Il
trattamento di tutti i tipi di lussazione consiste nel riposizionamento dell'osso
interessato, tramite una manovra di riduzione che dovrebbe essere eseguita il più
presto possibile, per evitare la compromissione della funzionalità di muscoli e tendini.
LESIONI DELL’APPARATO MUSCOLARE
Crampo
Contrazione involontaria, improvvisa, molto dolorosa, di breve durata (da pochi secondi a
qualche minuto) di un muscolo o di un limitato gruppo di muscoli affini, accompagnata da
indurimento dei muscoli interessati e da impotenza funzionale. E’ opportuno distinguere i
crampi dagli spasmi dei muscoli scheletrici, i quali sono per lo più dovuti ad alterazioni del
sistema nervoso centrale o periferico. I crampi veri e propri si distinguono per la loro
sporadicità, l’acuto dolore e la breve durata. I crampi muscolari possono essere associati
a numerose e diverse situazioni:
1) crampi da fatica muscolare che si verificano spesso nelle attività sportive e
interessano il più delle volte i muscoli del polpaccio, ma anche (è il caso dei nuotatori) i
muscoli delle braccia;
2) crampi da compromessa circolazione, come può accadere nella tromboangioite
obliterante e nella flebite:
3) crampi da disidratazione come può verificarsi nelle diarree infantili e nei vomiti
abbondanti;
4) crampi in gravidanza;
5) crampi da intossicazioni:alcol, piombo, monossido di carbonio, ecc.;
6) crampi notturni che si manifestano nel dormiveglia o nel sonno e che sembrano
innescati da una flessione dei piedi.
Se le situazioni in cui i crampi si verificano sono evidenti, non del tutto chiari sono i
meccanismi che li determinano. I crampi di fatica sembra siano dovuti
una perdita
eccessiva di sali con il sudore, oppure a eccessivo accumulo di acido lattico nei muscoli. Il
trattamento dei crampi muscolari consiste essenzialmente nel massaggio manuale o
mediante attrezzature elettromedicali e nel ripristino dell’equilibrio idro-salino mediante
somministrazione di bevande e il ricorso a diete ricche di frutta e di verdura fresca.
Stiramento
Condizione traumatica dolorosa prodotta dall’eccessiva messa in tensione di uno o più
muscoli dell’apparato locomotore, come può verificarsi per effetto di un movimento
brusco o di un esercizio fisico gravoso in assenza di riscaldamento preventivo dei muscoli.
Paragonabili alle distorsioni per quanto riguarda le articolazioni, gli stiramenti muscolari
producono un immediato, vivo dolore nella sede del muscolo interessato, accompagnato da
incapacità funzionale, che si risolve spontaneamente entro alcuni giorni o settimane.
Riposo, borsa del ghiaccio, massaggi, antinfiammatori e analgesici (locali e/o per via
generale) sono utili per alleviare il dolore e accelerare la guarigione. Quando lo
stiramento supera la capacità di resistenza del muscolo si ha lo strappo muscolare,
affezione di gravità maggiore in quanto comporta una lesione del muscolo stesso.
Strappo
Rottura di fibrille muscolari a cute integra, quindi non per trauma diretto esterno. Il
paziente avverte un rumore secco di schiocco, al quale segue spesso senso di malore o
anche svenimento. I sintomi principali sono: dolori che perdurano, specialmente nei
movimenti; alla palpazione il muscolo appare contratto; comparsa di ecchimosi. Fattori
predisponenti sono il freddo, l’umidità, la fatica, eventuali alterazioni nel ricambio dei
carboidrati. La terapia richiede riposo assoluto, bendaggio moderatamente compressivo,
somministrazione di antidolorifici e miorilassanti, applicazione locale di pomate
antinfiammatorie.
LESIONI DEI TESSUTI
Ferita
Termine generico con cui si indica qualsiasi lesione, dovuta ad agenti esterni e a traumi,
che interrompe la continuità della superficie corporea o di un organo interno.
TIPI DI FERITA
Le ferite possono essere da taglio, se sono causate da uno strumento o oggetto
affilato; da punta, se lo strumento è appuntito e sottile; lacere, se accompagnate da
lacerazione dei lembi; contuse, se vi è trauma dei tessuti molli con formazione di
ematomi; penetranti, se lo strumento che le ha causate penetra nei tessuti sottocutanei
o profondamente in una struttura o cavità; sottocutanee, se non sono accompagnate da
soluzione di continuità della superficie, ma vi è distruzione profonda del tessuto. Le
ferite infette sono quelle in cui nella parte colpita vi è stata infiltrazione di batteri che
hanno innescato un processo infettivo.
SUTURA DELLE FERITE
Quando si produce una ferita, l’organismo tende a produrre nuovo tessuto per chiudere
la lesione e ripristinare la continuità della propria superficie; tale processo prende il
nome di cicatrizzazione. Se la ferita è molto profonda, però, la cicatrizzazione risulta
più lenta, e sussiste il rischio di infiltrazione di agenti infettivi all’interno
dell’organismo stesso. Inoltre, in questo caso il processo di riparazione del tessuto
determina la formazione di una cicatrice che può risultare deturpante. Pertanto, allo
scopo di favorire la chiusura della ferita e una corretta cicatrizzazione, in genere si
interviene chirurgicamente e si riavvicinano i lembi della ferita applicando punti di
sutura realizzati con appositi fili.
La modalità con cui la ferita viene suturata può essere differente, a seconda
dell’organo colpito e della regolarità del margine della ferita stessa. Anche il tipo di filo
utilizzato è variabile: esso può essere di seta, di lino, di speciali materiali sintetici, e in
tal caso i punti applicati devono essere rimossi dopo che il processo di cicatrizzazione si
è completato; oppure di tessuto animale (i cosiddetti fili riassorbibili cutgut, ottenuti
da intestino di montone), che vengono riassorbiti dal tessuto del paziente.
Emorragia
Fuoriuscita anomala di sangue dai vasi sanguigni, causata dalla rottura traumatica di uno
o più vasi (arterie, vene o capillari), ad esempio a causa di una ferita, o da una patologia
da cui il paziente emorragico è affetto. L'emorragia, infatti, costituisce una
complicazione di molte malattie. L'ulcera peptica, ad esempio, può causare emorragia
erodendo un vaso sanguigno; l'ischemia cerebrale è talvolta dovuta a emorragia
all'interno del cervello; l’emofilia, malattia ereditaria caratterizzata dall’incapacità del
sangue di coagularsi, rende il malato soggetto a emorragie anche gravi. La perdita
improvvisa di oltre un litro di sangue può causare shock, che può risultare fatale, a
meno che il sangue non venga reintegrato per trasfusione.
PRONTO SOCCORSO DELL’EMORRAGIA
Il sanguinamento si ferma quando il sangue comincia a coagulare nel punto di fuoriuscita
del flusso emorragico; pertanto, i metodi utilizzati per bloccare le emorragie hanno lo
scopo di rallentare il flusso di sangue a sufficienza perché si formi un coagulo. Il modo
più efficace per fermare la fuoriuscita di sangue è applicare una pressione
direttamente sulla ferita. Il sanguinamento può essere rallentato anche mettendosi in
posizione tale per cui la ferita venga a trovarsi in una posizione più alta di quella del
cuore. Uno strumento talvolta utilizzato per bloccare il flusso sanguigno è il laccio
emostatico, che tuttavia deve essere usato solo come rimedio estremo, quando tutti gli
altri metodi si sono rivelati inefficaci o inutilizzabili. Per accelerare l'arresto
dell'emorragia, vengono utilizzate anche schiuma e polvere di fibrina, sostanze
comunemente usate in chirurgia e ricavate da una proteina del sangue, chiamata
fibrinogeno, che è coinvolta nei processi di coagulazione.
Epistassi
Sanguinamento della cavità nasale, che può verificarsi occasionalmente o essere
associato a particolari patologie. L’epistassi viene anche definita rinorragia.
CARATTERISTICHE
Le cavità nasali sono particolarmente ricche di vasi sanguigni; pertanto, lesioni o traumi
anche di lieve entità possono dare luogo a fenomeni di epistassi. I vasi sanguigni che si
trovano all’interno della cavità nasale più soggetti a emorragie sono alcune venule che
formano il cosiddetto plesso venoso di Kiesselbach.
Le principali patologie tra i cui sintomi è compresa anche l’epistassi sono l’ipertensione
arteriosa, l’arteriosclerosi, disturbi della coagulazione del sangue (soprattutto
l’emofilia) e infezioni acute (quali la scarlattina e il tifo addominale). Il sanguinamento
può comparire anche in concomitanza con alcune forme di rinite e di tumore.
Una particolare forma di epistassi, di origine sconosciuta, è l'epistassi abituale o
essenziale, che compare tipicamente durante la pubertà.
TERAPIA
Per arrestare l'epistassi si praticano impacchi freddi; in casi di sanguinamento
persistente, se necessario, si possono somministrare vasocostrittori locali ed
eventualmente procedere, previa anestesia locale, alla cauterizzazione dei vasi
coinvolti. In qualche caso si rende opportuno il tamponamento posteriore, che consiste
nell'inserimento di un tampone inumidito o di un catetere (ossia di un sottile tubicino)
con estremità a palloncino. Una volta posto in sito, il palloncino viene gonfiato, così da
esercitare una compressione sui vasi sanguinanti.
Respirazione artificiale
Sistema impiegato per forzare l'aria a entrare e a uscire dai polmoni di un soggetto
incapace di respirare. La sospensione della respirazione naturale può essere dovuta a
malattie, ad esempio la poliomielite o l'insufficienza cardiaca, oppure a shock elettrico,
overdose di farmaci o di alcol, soffocamento per annegamento, inspirazione di gas nocivi
o blocco meccanico delle vie respiratorie. In tutti questi casi la respirazione artificiale
è una misura di pronto soccorso che dev'essere adottata al più presto, poiché la
privazione di ossigeno per più di cinque minuti può causare danni cerebrali irreversibili e
morte. Generalmente la respirazione artificiale può essere effettuata da una persona o
da un mezzo meccanico.
INTERVENTO UMANO
Il metodo bocca a bocca è una tecnica di rianimazione, in cui il soggetto in stato di
incoscienza viene
sdraiato supino
(appoggiato
sulla schiena),
con il capo
in
iperestensione, cioè il più possibile all'indietro, per impedire che la lingua blocchi le vie
respiratorie. Tenendo chiuso il naso della vittima, il rianimatore appoggia la bocca su
quella della vittima, chiudendola ermeticamente, ed esegue quattro insufflazioni brevi e
profonde.
Se la vittima non riprende a respirare, il rianimatore deve continuare l'assistenza
respiratoria alla frequenza di un atto ogni cinque secondi (dodici al minuto),
permettendo all'aria di uscire dai polmoni della vittima fra un respiro e l'altro. La
rianimazione deve continuare finché il soggetto non riprende a respirare o finché non
arriva il personale specializzato. Se la persona incosciente è un neonato o un bambino
piccolo, il rianimatore deve coprire con la propria bocca sia la bocca che il naso,
eseguendo piccole insufflazioni al ritmo di una ogni tre secondi.
Per ripristinare la respirazione in una persona che sta soffocando a causa di
un'ostruzione delle vie respiratorie, è necessario dare quattro pacche leggere e veloci
fra le scapole. Se questo non è sufficiente a spostare il corpo estraneo, il soccorritore
deve applicare la cosiddetta manovra di Heimlich, che se necessario può essere ripetuta
più volte.
Una misura di pronto soccorso respiratorio che richiede un addestramento speciale è la
cosiddetta rianimazione cardiopolmonare: in questa procedura, usata ad esempio nella
rianimazione delle vittime di attacco di cuore, il soccorritore esegue la respirazione
bocca a bocca e contemporaneamente produce una compressione sul torace (massaggio
cardiaco), volta a mantenere la circolazione del sangue nell'organismo. Questa tecnica
può essere anche applicata da due soccorritori, ognuno dei quali esegue una delle due
manovre.
RESPIRATORI MECCANICI
Molti sono gli strumenti meccanici di rianimazione utilizzati per effettuare la
respirazione artificiale. Il rianimatore portatile è un dispositivo presente su mezzi di
emergenza come le ambulanze e i veicoli dei vigili del fuoco. Il polmone d'acciaio viene,
invece, adoperato nelle strutture ospedaliere per pazienti affetti da paralisi dei
muscoli respiratori: è formato da un grande serbatoio che racchiude tutto il corpo del
paziente, tranne la testa; un motore varia la pressione all'interno del serbatoio,
facendo sì che l'aria entri ed esca dai polmoni del paziente. La macchina cuore-polmone
è un respiratore esterno che serve a mantenere il sangue saturo di ossigeno durante le
operazioni chirurgiche a cuore aperto.
Gravi difficoltà respiratorie possono richiedere l'impiego di un ventilatore meccanico,
che forza l'aria nei polmoni tramite un tubo inserito nelle vie aeree superiori
attraverso il naso, la bocca o un'apertura nella trachea. I pazienti in coma che per oltre
30 giorni dipendono da un respiratore di questo tipo possono non riprendere a respirare
spontaneamente.
Massaggio cardiaco
Adagiate il paziente in terra, su di una superficie rigida. Chiamate o, meglio, fate
chiamare da altri i soccorsi. Cercate di richiamare l'attenzione della vittima chiamandola
a voce alta. Evitate di percuoterla e di schiaffeggiarla.
L’esistenza di un arresto cardiorespiratorio può essere verificata velocemente rilevando:

l’assenza dei movimenti del torace e dell’addome superiore;

ponendo il proprio orecchio sulla bocca e sul naso del paziente per accertare
l’assenza di ogni flusso d’aria;

palpando i polsi arteriosi.
Iniziate la respirazione bocca a bocca. Dopo le prime insufflazioni d'aria controllate
subito, per non più di 10 secondi, la presenza del battito cardiaco palpando il polso
carotideo.
Eseguite la palpazione del polso carotideo appoggiando il secondo e terzo dito della mano
sul collo, lateralmente al pomo d’Adamo. Premete delicatamente e palpate con i
polpastrelli, non con la punta delle dita.
Mettetevi lateralmente al paziente e appoggiate il palmo della mano sulla parte centrale
del torace, nella sua metà inferiore. Quindi poggiate il palmo dell’altra mano sul dorso
della prima e, con le braccia distese e le spalle in posizione perpendicolare al torace del
paziente, premete decisamente verso il basso in direzione della colonna vertebrale in
modo da ottenere, in un individuo adulto, una escursione di 4-5 cm. Sospendete
bruscamente la compressione, permettendo al torace di riespandersi, ma non staccate le
mani per non perdere la posizione e per evitare rimbalzi.
Per effettuare un massaggio efficace è indispensabile evitare un comportamento
concitato: effettuate le manovre energicamente e senza incertezze, praticando circa 100
compressioni del torace ogni minuto. Nelle fasi iniziali potete mantenere il ritmo
contando a voce alta. Ricordatevi di mantenere correttamente la posizione in modo tale
da utilizzare il vostro peso, e non i vostri muscoli, altrimenti correrete il rischio di
stancarvi velocemente e di rendere inefficace il massaggio.
Il massaggio cardiaco, con la compressione del torace, determina sempre una certa
ventilazione polmonare ma con volumi di aria insufficienti ad ossigenare adeguatamente il
sangue. Dovete pertanto continuare ad eseguire anche la respirazione bocca a bocca.
Se siete da soli dovete praticare 2 ventilazioni in rapida sequenza (cinque secondi) e 15
compressioni del torace.
Se siete in due, 1 ventilazione (in uno o due secondi) va seguita da 5 compressioni.
Disponetevi ai lati del paziente e alternatevi mantenendo il ritmo quando siete stanchi.
Mentre praticate il massaggio, in prossimità del cambio, dite a voce alta all’atto di ogni
compressione "Al... prossimo... cinque... si... cambia". Quindi, contate "Uno... due... tre...
quattro... cinque" e cambiatevi di posizione con l’altro soccorritore. Se state effettuando
la respirazione bocca a bocca ricordatevi di ricontrollare il polso carotideo.
Quando il paziente rinviene non lasciatelo
alzare. Tutto il corpo, cuore compreso, è
impoverito di ossigeno e se la vittima si alza
troppo presto, insorge il rischio di un grave
collasso. Ponete coperte e indumenti sotto e
sopra l’infortunato per riscaldarlo.
Mettetelo in posizione di sicurezza.
La cassetta del pronto soccorso
La cassetta del pronto soccorso è un oggetto che troppo spesso manca nelle case italiane.
Si è soliti lasciare qualche garza e un po' di alcool negli armadietti del bagno, senza
curarsi troppo delle situazioni di emergenza. Invece è necessario creare un'apposita
cassetta, facilmente accessibile nei casi di urgenza, disposta al fresco e comunque
lontana da fonti di calore, inaccessibile ai bambini. Disporre nella cassetta, oltre ai
medicamenti in seguito descritti, anche un manuale del pronto soccorso. Dotare la
cassetta di un dispositivo di chiusura ma non di lucchetti o serrature che richiedano
l'utilizzo di chiavi. Una cassetta del pronto soccorso dovrebbe essere disponibile anche
in auto.
LA LISTA DEL MATERIALE
1. Garze di diversa larghezza (consigliate 10 e 5 cm)
2. Fasce elastiche (consigliata 10 cm)
3. Cerotti di diverse dimensioni
4. Nastro adesivo medico di diversa larghezza (consigliati da 2 e 4 cm)
5. Flacone di soluzione salina sterile
6. Flacone di acqua ossigenata
7. Flacone di disinfettante
8. Pomata antistaminica
9. Pomata per le ustioni
10. Aghi, pinze e forbici
11. Guanti di lattice
I medicamenti hanno una durata limitata nel tempo. E' quindi necessario controllare
periodicamente se i prodotti medici contenuti nella cassetta sono scaduti e rimuoverli
sostituendoli con dei nuovi onde evitare l'utilizzo erroneo di prodotti inefficaci o
addirittura dannosi all'organismo a causa del deterioramento. Buttare i medicamenti
scaduti negli appositi contenitori per rifiuti.
L’igiene
L’igiene è un ramo della medicina che studia i mezzi idonei a conservare la salute,
permettendo il normale compiersi delle funzioni dell'organismo e armonizzando i rapporti
tra l'uomo e l'ambiente onde eliminare le cause di malattia che possono essere
eventualmente determinate da questo.
Igiene individuale
L'igiene
individuale insegna all'uomo come evitare determinate malattie, soprattutto
quelle contagiose; pertanto comprende misure di pulizia della persona, di abbigliamento,
disposizione e condizionamento delle abitazioni, la regolamentazione dell'attività fisica e
psichica e del sonno. All'igiene si ricollega anche la scelta di diete adatte all'età,
all'attività e alle condizioni fisiologiche o patologiche. D'altra parte una dieta adatta
viene di norma utilizzata se le funzioni digestive sono normali, il che è condizionato dalla
perfetta efficienza della bocca e dei denti.
Assurta a livello di disciplina, l'igiene mentale cerca di favorire un corretto ed
equilibrato sviluppo psichico e quindi tutte le condizioni necessarie a ottenerlo, nonché a
prevenire l'insorgenza delle malattie mentali o a curarne i danni provocati. In realtà
risulta molto più difficile definire una persona “sana di mente”, che non una persona
“malata di mente”; infatti se si considera “malata” una persona che manifesta spesso o
talvolta determinati sintomi, il fatto che una qualunque altra persona non li dimostri non è
sufficiente a definirla “ sana”. È infatti impossibile scindere dall'ambiente i concetti di
equilibrio psichico, di normalità e di corretto sviluppo psicologico, in una parola la salute
mentale. È compito dell'igiene mentale cautelare a priori la salute di ogni persona
tenendo nella dovuta considerazione i valori culturali in cui si lavora. Sono stati infatti
dimostrati numerosi collegamenti fra la patologia mentale e le situazioni socio- culturali
di ogni individuo. Proprio questo problema ha fatto pensare a un discorso preventivo per
impedire lo sviluppo delle malattie mentali, istituendo, come primo passo, centri di salute
mentale e consultori in cui prestano la loro opera assistenti sociali, psicologi e psichiatri.
TUTTO PER UNA BUONA IGIENE ORALE
La prevenzione è il miglior modo per mantenere sani i denti e la salute delle gengive. E’
necessaria una accurata igiene domiciliare e recarsi dal proprio dentista ogni sei mesi per
fare una visita di controllo e per una seduta di pulizia dei denti.
Gli strumenti che servono per l’igiene domiciliare sono:
- il dentifricio
- lo spazzolino
- il filo interdentale
- lo scovolino
- l’idropulsore
I portatori di protesi fissa (ponti) devono usare, oltre allo spazzolino, degli appositi fili
interdentali o gli scovolini. In questi casi è utile anche l’idropulsore per rimuovere
grossolanamente i residui alimentari. I portatori di protesi mobile (la cosiddetta
"dentiera") devono usare le compresse effervescenti e gli appositi spazzolini.
E’ consigliabile lavarsi i denti tre volte al giorno, con particolare accuratezza alla sera
dopo la cena. I vari colluttori in commercio non servono per pulire i denti, ma unicamente
per ritardare l’accumulo della placca batterica. Quelli medicamentosi devono essere
prescritti dal dentista.
Importante per la prevenzione della carie è l’alimentazione corretta. Dare la preferenza
a sostanze ricche di fibre vegetali e cercare soprattutto di limitare l’assunzione di dolci
o almeno spazzolarsi i denti dopo ogni assunzione di zuccheri. Ricordarsi che molto
zucchero mangiato in una volta sola è meno dannoso di piccole dosi in più momenti (vedi le
caramelle!). Altro presidio di notevole importanza per la salute dei denti è il fluoro, un
elemento costituente delle ossa e dei denti, presente in alcuni alimenti (té, pesce,
spinaci) e nelle acque, importante durante il processo di formazione dei denti.
COME USARE I VARI STRUMENTI PER L’IGIENE
Pastiglie rivelatrici
Sono pastiglie che si devono lasciar sciogliere in bocca e che interagiscono chimicamente
con la placca batterica ipercolorandola. Sono di valido ausilio iniziale per capire in quali
punti dei denti si accumula maggiormente la placca.
Dentifrici
Iniziamo col dire che è lo spazzolino che serve per la rimozione della placca: il dentifricio
è solo un valido ausilio. Sarebbe preferibile usare quelli contenenti fluoro e che non
abbiano una eccessiva abrasività. Usare il dentifricio in modica quantità: l’eccesso non
permette alle setole dello spazzolino di lavorare bene.
Spazzolino
Le caratteristiche che deve avere uno spazzolino per essere efficace sono:
- la forma della testa e del manico
- la dimensione della testa: deve essere piccola per poter raggiungere tutte le zone della
bocca
- le setole: devono essere di materiale sintetico, con le punte arrotondate, disposte in
file regolari e morbide.
Deve essere usato senza forza per non causare danni allo smalto (abrasioni) o alle
gengive. E’ infatti la tecnica dello spazzolamento che deterge i denti dalla placca. Una
delle tecniche più efficaci consiste nell’inclinare lo spazzolino in modo che le setole
giungano al solco gengivale, effettuare prima un movimento rotatorio con leggere
vibrazioni e poi un movimento verticale con direzione dalla gengiva verso la corona: viene
chiamata tecnica di Bass modificata. E’ opportuno cambiarlo una volta al mese o quando ci
si accorga che le setole si stiano deformando. Non usare mai setole naturali (tasso) che
non detergono e si sfibrano. Utili sono anche quelli elettrici, purché usati con la stessa
tecnica e senza molta pressione.
Filo interdentale
Il filo è uno strumento essenziale per eliminare la placca dagli spazi interdentali, dove lo
spazzolino non può agire. E’ importante usarlo in modo corretto, seguendo le istruzioni
dell’igienista o del dentista. Può essere cerato o non cerato. Nelle zone posteriori può
essere usato montato su forcelle. Per i portatori di protesi fissa esistono fili con la punta
rigida o aghi passafilo in grado di poter essere passati al di sotto di essa.
Scovolino
E’ molto utile quando ci siano degli spazi interdentali molto ampi o per passare sotto la
travata di un ponte protesico. Le punte sono di diverse dimensioni da scegliere per poter
essere passate senza forzare.
Deve essere inserito orizzontalmente in direzione dall’alto verso il basso nell’arcata
superiore e dal basso verso l’alto in quella inferiore e si devono effettuare dei movimenti
di "va e vieni".
In alcuni casi possono essere utili gli stuzzicadenti, usati fin da tempi antichi, anche se il
galateo ne sconsiglia l’uso, basta solo far attenzione a non ledere la papilla interdentale.
Farmaci
Il farmaco è un agente chimico o fisico capace di provocare modificazioni anatomiche o
fisiologiche in un organismo vivente dando sollievo, rimedio e guarigione.
Quando un farmaco è utilizzato a scopo terapeutico, da solo o associato ad altri, prende
il nome di medicamento. Nel suo significato più vasto il termine farmaco comprende
anche i veleni, in quanto che, mentre molto spesso i medicamenti in alte dosi possono
essere tossici, i veleni in dosi appropriate possono essere di valido aiuto al medico. La
classificazione dei farmaci è piuttosto difficile e sono stati proposti vari sistemi. I
farmaci, infatti, possono essere classificati secondo la loro origine, la loro natura e la
costituzione, in farmaci minerali (es. bromuro di sodio), vegetali (es. chinino), organici (es.
acido fenilchinolincarbossilico), animali (es. estratti epatici) e biologici (vaccini e sieri).
Un tempo si distinguevano anche farmaci officinali, preparati dal farmacista (nell'
“officina” farmaceutica), e farmaci magistrali, preparati dal farmacista su precisa
ordinazione del medico (“magister”); attualmente si parla di farmaci galenici e di
specialitàe si tende a classificare i farmaci secondo le loro proprietà fisiologiche o
terapeutiche. Tuttavia nessun sistema di classificazione è perfetto, in quanto esiste solo
un piccolo numero di farmaci dotati di azione specifica: la maggior parte viene utilizzata
in dosi e associazioni diverse nel trattamento di affezioni differenti. La loro
somministrazione può avvenire per via esterna (pomate, linimenti, polveri, ecc.), per via
orale, rettale e parenterale, cioè sotto forma di iniezioni ipodermiche, intramuscolari,
endovenose, endorachidee, endoarteriose ed, eccezionalmente, intracardiache.
Psicofarmaci
I psicofarmaci sono farmaci capaci di agire su una o più manifestazioni dell'attività
psichica.
Il rinvenimento di papavero da oppio nelle cucine preistoriche dimostra che la conoscenza
delle sostanze psicotrope ha origini antichissime. I popoli dell'antichità e molte tribù
attuali del Nord America hanno legato l'assunzione degli psicofarmaci, soprattutto
inebrianti e allucinogeni, alla celebrazione di cerimonie religiose ma l'uso scientifico dei
farmaci psicotropi ha avuto inizio solo in questo secolo, con la sintesi dei barbiturici
(1903).
Il problema fondamentale della definizione e della classificazione delle sostanze
psicotrope si scontra con numerose difficoltà, in quanto una classificazione basata sulla
struttura chimica sembra impossibile, perché certe sostanze, pur avendo uno stesso
effetto farmacologico, sono chimicamente molto differenti tra loro, e una classificazione
secondo i risultati farmacologici ottenuti negli animali si è dimostrata troppo complessa.
Pertanto gli psicofarmaci vengono classificati essenzialmente in base alla loro azione sulle
attività psichiche dell'uomo e vengono distinti in psicoplegici (maggiori e minori), noti
come tranquillanti, e psicostimolanti a loro volta distinti in psicomotori, psicomimetici e
psicotonici.
La droga
La droga è una sostanza di origine naturale, o sintetizzata chimicamente, capace di
provocare modificazioni più o meno temporanee e dannose sull’equilibrio psico-fisico di
chi l’assume.
Essa, insieme al fumo e all’alcool, agisce sul sistema nervoso e ne altera il funzionamento,
provocando inoltre gravi fenomeni come l’assuefazione e la dipendenza.
L’assuefazione è l’abitudine a una determinata sostanza per cui, dopo poco tempo, il
consumatore aumenta le dosi per ottenere l’effetto desiderato.
La dipendenza è la necessità assoluta di una sostanza senza la quale l’organismo non
riesce più a star bene.
Tutte le droghe provocano inoltre danni irreversibili, portando a vere e proprie malattie
mentali e spesso alla morte.
Le droghe più diffuse sono: l’eroina, la morfina, la codeina, le anfetamine, la cocaina, la
marijuana, l’hashish, l’L.S.D e la mescalina.
L’eroina è un derivato dell’oppio, come la morfina e la codeina; essa può essere iniettata,
annusata o fumata. Si tratta di droghe <<pesanti>>, che eliminano le sensazioni di paura e
ansia.
Esse però provocano dipendenza psichica e fisica e crisi di astinenza, in caso di mancata
assunzione; l’eccesso di dose e l’uso prolungato portano alla morte.
Le anfetamine sono prodotti sintetizzati dall’industria chimica che eliminano le sensazioni
di fatica e di fame, provocando dipendenza, delirio, manie e violenza.
La cocaina è un derivato della pianta della coca; viene usata sotto forma di polvere da
fiutare o iniettare. Dà un senso di eccitazione che elimina le sensazioni di fatica, di fame,
di paura; provoca inoltre dipendenza psichica.
La marijuana e l’hashish derivano entrambe dalla canapa indiana, vengono di solito fumate
(spinello). Danno dipendenza psichica e procurano facili fughe dalla realtà, che sono però
di breve durata.
Gli allucinogeni sintetici più diffusi sono l’L.S.D., prodotto di sintesi, e la mescalina,
derivato di un fungo messicano, che provocano vere e proprie allucinazioni, dipendenza
psichica e a lungo andare causano malattie mentali.
La droga, lentamente, gradualmente, ma inesorabilmente, si impadronisce di chi la
assume; tutto va in secondo piano: gli affetti, il lavoro, la salute, la dignità. Il fine della
vita del tossicodipendente è procurarsi le dosi necessarie per non star male, quindi egli è
pronto a fare di tutto: rubare, prostituirsi, rischiare il carcere.
La strada della disintossicazione è piena di ostacoli apparentemente insormontabili. Una
disintossicazione fisica è di media raggiunta in un tempo breve (un mese o poco più), solo
però sotto costante controllo medico, con dosi a scalare di metadone, la sostanza che
riesce a togliere gli effetti dolorosi del “calo”. Quando la dose di metadone è arrivata a
zero, la disintossicazione fisica è raggiunta.
Per chi riesce a capire che, nella vita, non è possibile sfuggire a se stessi, alle proprie
responsabilità, ai propri doveri, che la dignità è un qualcosa che non può e non deve
essere calpestato, arriva sicuramente il giorno in cui si sentirà anche in grado di
riaffrontare il mondo esterno.
Purtroppo, una volta rientrati a far parte della società, non tutti ce la fanno.
PREVENZIONE
Il problema consiste nell’eliminare le cause del consumo della droga, nell’insegnare il
rispetto per il nostro corpo e per la nostra mente.
Il vero sistema per prevenire la droga sarebbe di offrire strade alternative, di mutare la
lotta agli stupefacenti in lotta all’emarginazione, alla disoccupazione, alla crisi degli ideali
e alla noia.
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