PICCOLO MANUALE DI SOPRAVVIVENZA PER LE - Blog-ER

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PICCOLO MANUALE DI SOPRAVVIVENZA PER LE INTERROGAZIONI DI GRECO
CLASSIFICAZIONE DELLE LETTERE
Vocali brevi: ε, ο. Vocali lunghe: η, ω. Vocali ancipiti (brevi o lunghe): α, ι, υ
Dittonghi propri (vocale breve α, ε, ο, υ + ι, υ): αι, ει, οι, υι, αυ, ευ, ου
Dittonghi impropri (vocale lunga ᾱ, η, ω + ι sottoscritta, υ): ᾳ, ῃ, ῳ, ᾱυ, ηυ, ωυ
Consonanti mute: quelle che non possono prolungare il suono
1) Velari o gutturali: κ (sorda), γ (sonora), χ (aspirata), ξ (doppia)
2) Labiali: π (sorda), β (sonora), ϕ (aspirata), ψ (doppia)
3) Dentali: τ (sorda), δ (sonora), θ (aspirata), ζ (doppia)
Consonanti continue: quelle che possono prolungare il suono
1) Nasali: μ (labiale), ν (dentale), γ (velare: pronuncia n prima di velare muta)
2) Sibilanti: σ / ς
3) Liquide: λ, ρ
FENOMENI VOCALICI
1) Contrazioni
Regole fondamentali
2 vocali dello stesso timbro = vocale lunga corrispondente (ᾱ, η, ω) fatta eccezione per ε + ε =
ει (e chiusa lunga) ed ο + ο = ου (o chiusa lunga)
Quando il suono e (ε, η) contrae con il suono a (α) ha la meglio il suono che precede:
α+ε=α/ε+α=η
Tutte le contrazioni di vocale con il suono o (o, ω) danno come risultato ω tranne ο + ο = ου
Quando una vocale contrae con un dittongo che inizia per la stessa vocale la prima si
annulla.
Quando una vocale contrae con un dittongo che inizia per vocale diversa, si effettua la
contrazione delle prime due vocali; la ι finale si sottoscrive e la υ si conserva (a meno che il
risultato della contrazione non sia ου).
Contrazioni strane: ο + ει / ῃ = οι
ε + οι=οι
2) Crasi
E’ la contrazione (spesso irregolare) fra due vocali di parole diverse o fra preverbo προ- e
aumento. Il segno caratterizzante è la coronide= spirito dolce dopo consonante.
3) Metatesi
E’ il trasferimento di una vocale o consonante fra due sillabe (τίτκω τίκτω) o o lo scambio
della quantità fra due vocali (metatesi quantitativa. Es: πόληος  πόλεως).
4) Apofonia
E’ la variazione della quantità o qualità di una vocale nella formazione di parole derivanti da
una stessa radice o nella flessione di un nome, aggettivo o verbo.
Si distingue in
a) Quantitativa, fondata sull’alternanza fra un grado normale (detto anche medio o breve =
vocale breve: es. πάτερ), un grado allungato (detto anche forte = vocale lunga: es: πατήρ) e,
talora, un grado zero (detto anche ridotto = assenza di vocale: es. πατρός). Un tipo di apofonia
quantitativa è l’allungamento organico che ricorre nei nominativi singolari maschi e femminili
non sigmatici della III declinazione.
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b) Qualitativa, fondata sull’alternanza fra un grado normale (detto anche medio = vocale ε: es.
τρέπω), un grado forte (= vocale ο: es: τέτροπα) e, talora, un grado zero (detto anche ridotto =
assenza di vocale, spresso tuttavia corrispondente ad una vocalizzazione in α di una liquida o
nasale: es. ἔτραπον).
5) Allungamento di compenso
E’ l’allungamento di una vocale a seguito della caduta di una consonante continua (che cioè si
prolunga nel tempo, come le liquide, le nasali e le sibilanti) e corrisponde in genere alla
contrazione della vocale con se stessa (α + α = α; ε + ε= ει; ο + o = ου).
Attenzione a non confondere l’allungamento apofonico (che non è legato alla caduta di una
lettera ma alle variazioni naturali di una radice) con quello di compenso.
Vocale
ᾰ
ο
ε
Allungamento organico (apofonico)
ᾱ (se preceduta da ε, ι, ρ)
η (negli altri casi)
ω
η
Allungamento di compenso
ᾱ (=ᾰ + ᾰ)
oυ (o chiusa lunga = ο + ο)
ει (ε chiusa lunga = ε + ε)
talora anche η
ACCENTI
L’accento circonflesso può stare solo sull’ultima o sulla penultima sillaba e solo se la sillaba
ha vocale lunga (o dittongo).
L’accento acuto può stare solo sulle tre ultime sillabe, lunghe o brevi: ma sulla terzultima ci
può stare solo se l’ultima sillaba è breve.
Quando l’accento cade sulla penultima sillaba (e solo se deve cadere proprio lì) si applica la
legge del trocheo finale: se la penultima è lunga e l’ultima breve l’accento sarà circonflesso
(properispomena) altrimenti acuto.
Tendenze fondamentali:
1) Nei sostantivi e aggettivi l’accento tende a restare sulla vocale del nominativo singolare.
2) Nei modi finiti dei verbi, cioè indicativo, congiuntivo, ottativo (escluso quello dei verbi
atematici) e imperativo l’accento tende a retrocedere verso sinistra, ma mai oltre l’aumento
(compreso).
Nella flessione di verbi e nomi, all’interno delle regole precedenti, si verificano spesso queste
due situazioni:
1) spostamento dell’accento acuto dalla terzultima alla penultima quando l’ultima diventa
lunga.
2) mutamento dell’accento sulla penultima da acuto a circonflesso o viceversa secondo la
legge del trocheo finale.
L’accento acuto sull’ultima sillaba diventa grave quando dopo non c’è una parola enclitica o
un segno di interpunzione.
Nelle parole contratte l’accento è in genere quello prima della contrazione (bisogna sempre
partire dalla forma non contratta), ma se cade sulla prima delle due vocali che contraggono
diventa circonflesso.
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TEMPI E ASPETTI
In greco possiamo esprimere il tempo passato solamente nel modo indicativo, dove
distinguiamo fra tempi principali (presente, perfetto, futuro) e tempi storici, caratterizzati
dall’aumento (imperfetto=azione durativa-continuata al passato, aoristo = azione puntualemomentanea al passato, piuccheperfetto=azione compiuta al passato).
Negli altri modi domina il valore aspettuale: presente  azione durativa-continuata; aoristo 
azione puntuale-momentanea; perfetto  azione compiuta.
Solo il futuro mantiene in tutti i modi il concetto di azione posteriore.
AUMENTO E PREVERBO
Caratteristica dei tempi storici è l’aumento, cioè la vocale ε che si inserisce immediatamente
prima del tema verbale (e dopo il preverbo): si parla di aumento sillabico nei temi che iniziano
in consonante, perché la vocale ε resta aggiungendo una sillaba, di aumento temporale nei temi
che iniziano in vocale perché la vocale ε si contrae con la vocale iniziale. Le contrazioni
dell’aumento, storicamente antiche, non rispettano sempre le regole usuali: ε + ε  η anziché ει
(a parte alcuni verbi originariamente in consonante, come ἔχω); ε + ο  ω anziché ου. Un
originario aumento in η si trova in ὁράω, che per metatesi divente ἑώρων, e, a volte, in δύναμαι
(ἡδυνάμην).
Mentre l’aumento temporale non influenza il preverbo, visto che muta solo il tipo di vocale
iniziale del tema, l’aumento sillabico ε
 fa cadere l’ultima vocale dei preverbi che terminano in vocale (διά, κατά, παρά, ὑπό, ἐπί
διε-, κατε- παρε- ecc.), tranne περί (sempre), ἀμϕί (a volte) e πρό (che può avere però una
crasi: προε-  προὐ-)
 riporta alla forma originaria, i preverbi che terminano in consonante modificata di fronte
alla consonante iniziale del tema: ἐκ-, συμ- / συγ- / συλ- / συρ-, ἐμ / ἐγ- / ἐλ- ἐξε-, συνε-,
ἐνε-)
Ricordiamo le principali modifiche dei preverbi
ἐξ diventa ἐκ davanti a consonante
ἐν- diventa ἐμ- davanti a labiale (β, π, ϕ, ψ, μ), ἐγ- davanti a velare (κ, γ, χ, ξ), ἐλ- di fronte a λ,
ἐρ- (a volte) di fronte a ρ.
συν presenta le stesse variazioni di ἐν, ma diventa anche συσ- davanti a σ + vocale; συ- davanti
a σ + consonante o davanti a ζ.
I preverbi κατά, ἀπό, ἐπί, ὑπό, assumono forma καθ-, ἀϕ-, ἐϕ-, ὑϕ- di fronte a verbi che
iniziano in vocale con spirito aspro, a seguito della caduta della vocale finale.
DESINENZE DEI VERBI
Si distinguono in primarie (indicativo dei tempi principali e congiuntivo) e secondarie
(indicativo dei tempi storici e ottativo). L’imperativo ha desinenze proprie
Differenze principali
attivo
3ª plurale primaria: –ντι (da cui -ουσι); secondaria: –ν/ -εν oppure –σαν
3ª duale primaria: –τον (= 2ª duale); second.: –την
m.passivo
1ª, 2ª e 3ª singolare: primarie: -μαι, -σαι, -ται; secondarie: -μην (con l’eta!!), -σο, -το
3ª plurale: primaria: νται; secondaria: ντο
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3ª duale primaria: –σθον (= 2ª duale); secondaria: –σθην
CONIUGAZIONE ATEMATICA
Ha le desinenze che si uniscono al tema del presente senza vocale intermedia, fatta eccezione
per congiuntivo e ottativo.
Gruppi fondamentali
1) Verbi radicali (tema del presente =radice) senza raddoppiamento o suffissi: εἰμι, εἶμι,
δύναμαι.
εἰμι (essere) è enclitico all’indicativo presente (tranne 2ª sing) e imperfetto
εἶμι (vado) è tonico, e si usa spesso al posto del futuro.
Il verbo εἶμi (“vado”) presenta la forma con tema εἰ nelle tre prime persone singolari
dell’indicativo e dell’imperfetto, mentre le altre forme si presentano con il grado ridotto ι.
Per non confondere le forme di εἶμi, εἰμι e ἵημι occorre ricordare che nel presente i due primi
verbi hanno spirito dolce, mentre ἵημι ce l’ha aspro. Inoltre nel presente indicativo εἰμι è
enclitico tranne che nella 2ª persona singolare, identica a quella di εἶμi.
Tuttavia nei composti con preverbo εἶμi ed εἰμι ritirano l’accento nell’indicativo presente e
nell’imperativo, con il risultato che alcune forme possono presentarsi identiche (πάρειμι, πάρει,
πάρεισι possono derivare da παρά + εἶμι e παρά + εἰμι).
Altre forme omografe si possono avere con i composti di ἵημι, quando il preverbo non rende
percepibile lo spirito aspro: ad es. παριέναι può essere infinito da παρά + εἶμi e παρά + ἵημι.
2) Verbi con raddoppiamento. I principali sono
τίθημι, “pongo” (tema θε/θη da θι-θη-μι = raddoppiamento-radice-desinenza)
ἵημι “invio “ (tema jε/η da jι-jη-μι con caduta degli iod e spirito aspro)
ἵστημι “faccio stare” (tema σe/ση da σι-στη-μι, con caduta del sigma iniziale e spirito aspro)
δίδωμι “do” (tema δο/δω da δι-δω-μι)
Il tema allungato si presenta
 in tutti questi verbi nelle tre prime persone dell’indicativo presente attivo, nel congiuntivo
(dove contrae);
 in τίθημι e ἵημι anche nella prima persona singolare attiva dell’imperfetto,
 in ἵστημι anche in tutto l’imperfetto attivo singolare e nella 2ª persona dell’imperativo attivo.
3) Verbi con suffisso νυ (preceduto da consonante) o νυ (precἶeduto da vocale)
I verbi in -νυμι presentano sempre la forma allungata del suffisso νυ nelle tre persone singolari
dell’indicativo presente e imperfetto e nella seconda singolare dell’imperativo.
CONGIUNTIVO
Ha sempre la vocale tematica (anche nei verbi atematici) lunga.
OTTATIVO
Ha come caratteristica modale la vocale –ι-. Essa è preceduta dalla vocale tematica –ο- (οι) solo
nei verbi tematici e in εἶμι e nei verbi in –(ν)νυμι.
Le tre prime persone singolari attive presentano desinenze diverse
-μι, -ς, - per i verbi tematici; -ην, -ης, -η per quelli atematici (tranne εἶμι e i verbi in –(ν)νυμι)
e contratti
Nella coniugazione atematica l’accento resta sempre sul suffisso modale ι, anche quando
potrebbe retrocedere (τιθεῖεν, mentre nella tematica abbiamo λύοιεν)
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AGGETTIVI DELLA I CLASSE
Si distinguono in
1. Aggettivi a 3 uscite. Il maschile e il neutro seguono la II declinazione, il femminile la prima
dei temi in α lunga. Nel femminile plurale l’accento si adegua al maschile.
2. Aggettivi a 2 uscite. Si trattai di aggettivi per lo più composti con un prefisso (preposizione,
εὐ-, δυς-, ἀ-) e baritoni (cioè non accentati sull’ultima). Il maschile=femminile e il neutro
seguono la II declinazione.
3. Aggettivi contratti a 3 e a 2 uscite: seguono il modello dei corrispondenti sostantivi contratti
(ma il vocativo singolare maschile è uguale al nominativo). Il femminile esce al singolare in α se
prima delle vocali contratte abbiamo una ρ (alfa pura), altrimenti in η.
DECLINAZIONE ATTICA
E’ una II declinazione con tutte le vocali trasformate in ω, tranne le ι, che si sottoscrivono.
L’accento è sempre quello del nominativo.
III DECLINAZIONE:
Il tema si ricava dal genitivo singolare togliendo la desinenza –ος:
Il nominativo Maschile e Femminile singolare può essere
a) asigmatico con allungamento organico (=apofonico: α  η; ε  η; ο ω ): Es. tema
ποιμεν  ποιμήν.
b) sigmatico (aggiunta della desinenza ς) senza allungamento organico. Ci può però essere
un allungamento di compenso, legato alla caduta di una nasale (α ᾱ; ε  ει; ο ου ):
es. κτένς  κτείς
Il nominativo Neutro è sempre asigmatico senza allungamento=puro tema. Le consonanti
dentali finali cadono sempre: σῶματ-  σῶμα
L’accusativo singolare maschile, che usciva in semiconsonante nasale m, si vocalizza in ᾰ nei
temi in consonante,, mentre diventa in genere consonante -ν nei temi in vocale (tranne
qualche tema in dittongo). Un’eccezione è l’accusativo in -ιν o –υν dei nomi baritoni (cioè non
accentati sull’ultima) in dentale che escono al nomaintivo in -ις e –υς (χάριν da χάρις, χάριτος)
L’accusativo plurale maschile, che usciva in ns, si vocalizza in -ᾰς (breve, a differenza di ᾱς
accusativo plurale della I declinazione!) nei temi in consonante, mentre nei temi in vocale
abbiamo in genere la caduta del n e un allungamento di compenso (πόλεις)
Il vocativo singolare maschile e femminile è in genere uguale al nominativo nei temi in
consonante, esclusi i nomi baritoni in –ντ-, liquida o nasale, che l’hanno uguale al puro tema,
come i sostantivi con tema in vocale e dittongo.
Regola dell’accento propria della III declinazione: nei sostantivi monosillabi al nominativo
singolare l’accento si sposta sulla terminazione nei casi obliqui (accento circonflesso quando
l’ultima è lunga)
Alcune particolarità importanti
I sostantivi πατήρ, μήτερ, θυγάτηρ presentano apofonia con grado lungo (vocale lunga η)
nel N Sing, il grado zero (senza vocale) nei casi obliqui del singolare (πατρός) e nel dativo
plurale (πατράσι, con vocalizzazione del ρ in ρα) e grado normale (vocale breve ε) negli altri
casi (vocativo singolare con accento ritratto: πάτερ). Il sostantivo ἀνήρ estende il grado zero
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(nella forma ἀνδρ, con consonante δ aggiunta=epentesi) a tutti i casi tranne nominativo e
vocativo singolare (ἀνήρ, ἄνερ).
Sostantivi in sibilante con sigma elidente in posizione intervocalica.
Il gruppo più importante è quello dei neutri con apofonia qualitativa in ες/ος . La forma ος si
trova nei casi retti del neutro, quella ες nella altre forme ma il sigma cade in posizione
intervocalica con contrazione successiva. Ricordare le omografie con la prima e seconda
declinazione (al singolare i casi retti in –ος e il genitivo in –ους, al plurale i casi retti in η e il
genitivo in -ῶν).
Sempre neutri sono anche i temi in ας, che talora si confondono con quelli in dentale (κέρας,
κέρατος O κέρως) .
Sostantivi in vocale e dittongo: si tratta di originari temi in iod e digamma che si vocalizzano
in ι e υ ma cadono in posizione intervocalica.
Il gruppo più importante è quello dei sostantivi apofonici in ις e υς (πόλις, πέλεκυς), che
hanno la terminazione εως del genitivo dovuta a metatesi (=scambio) quantitativa
(ηjοςεως). L’accento è irregolarmente quello antecedente alla metatesi (πόλεως: i grammatici
lo giustificano come sinizesi).
Stessa terminazione si trova anche nei sostantivi in dittongo –ευς (βασιλέως)
AGGETTIVI DELLA II CLASSE
1. A 3 uscite. Il maschile e il neutro seguono la 3ª declinazione, il femminile il modello in α
breve della I declinazione con suffisso jα.
Gruppi principali:
 participi, con tema in –ντ- e nominativo maschile asigmatico o sigmatico. NB: per il dativo
plurale maschile e neutro occorre guardare al nominativo femminile singolare sostuendo α
con ι
 Aggettivi in -υς, -εῖα, -υ: seguono il modello dei sostantivi in υς (es. πέλεκυς, εως), ma il
genitivo ha vocali brevi (-εος)
2. A 2 uscite. Il maschile è uguale al femminile e differisce dal neutro nei casi retti del
singolare (tranne vocativo) e in quelli del plurale. Nei nomi baritoni (=non accentati
sull’ultima) l’accento si ritrae al neutro (εὐδαίμων, εὔδαιμον). Gruppi principali:
 Aggettivi in ον (nominativo singolare maschile e femminile in ων)
 Aggettivi in ες: estendono al maschile=femminile il modello dei neutri in -ες (ma senza la
variante apofonica -ος)
3. A 1 uscita: Si tratta in genere di sostantivi che vengono anche usati come aggettivi. Il
maschile è uguale al femminile e differisce dal neutro nell’accusativo singolare e nei casi
obliqui del plurale.
Negli aggettivi dellaII classe (esclusi i participi) il vocativo singolare maschile è quasi sempre
uguale al puro tema, viene quindi a coincidere con i casi retti del neutro.
COMPARATIVI E SUPERLATIVI DI MAGGIORANZA
I tipo: comp. -τερος, α, ον; superl. –τατος, η, ον
Si forma a partire dal tema. Gli aggettivi della I classe allungano la vocale tematica ο in ω se la
sillaba precedente è aperta con vocale breve: σοϕώτερος
Gli aggettivi in ων /ον aggiungono il suffisso ες prima della terminazione (= ἐυδαιμονέστερος),
altri il suffisso ισ.
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II tipo: comp. –ιων, ιον; superlativo. -ιστος, -η, -ον
Si forma a partire dalla radice, togliendo i suffissi. E’ proprio degli aggettivi della prima classe
in -ρός, di quelli della seconda classe in –υς e di altri aggettivi, soprattutto politematici. Spesso
la radice corrisponde al tema di un sostantivo neutro in ες, -ος (καλός  καλλίων come il
sostantivo neutro κάλλος).
Il comparativo in –ιων si forma col l’aggiunta del suffisso jον / jοσ (lo iod modifica spesso la
precedente consonante della radice) e segue il modello degli aggettivi a 2 uscite in ων della
seconda classe. Tuttavia nell’accusativo singolare maschile=femminile e in tutti i casi retti del
plurale abbiamo anche forme contratte (al posto della ν c’era la variante con il σ intervocalico
che cade). καλλίονα  καλλίω; καλλίονες / καλλίονας  καλλίους
Per realizzare il comparativo di un avverbio si usa l’accusativo neutro singolare dell’aggettivo
al comparativo (ταχέως  θᾶσσον), per realizzare il superlativo di un avverbio si usa
l’accusativo neutro plurale dell’aggettivo al superlativo (ταχέως  τάχιστα).
Il comparativo si rafforza con avverbi, spesso accusativi singolari o dativi neutri di aggettivi:
πολύ, πολλῷ.
Il superlativo si rafforza con ὠς, oppure ὅτι (“il più… possibile)
Il comparativo richiede il secondo termine di paragone che si rende con il genitivo o con ἤ +
il caso del primo termine.
Il superlativo relativo (il più…) richiede il complemento partitivo che si rende con il genitivo
(anche preceduto da ἐξ) o con ἐν + dativo.
SUBORDINATE
1. Finali: ὡς, ἵνα, ὅπως + congiuntivo (ma anche ottativo se la reggente ha un tempo storico).
NB in italiano usiamo la costruzione implicita (per + infinito) solo se c’è identità di soggetto
con la reggente, altrimenti usiamo quella esplicita (perché, affinché + cong.)
2. Consecutive: ὡς, ὡστε + indicativo (conseguenza reale “così che” + indicativo “da” +
infinito) o + infinito (conseguenza immaginata, talora con sfumatura finale= “in modo che”
+ indicativo o congiuntivo; “da” + infinito). NB in italiano usiamo la costruzione implicita
(da + infinito) solo se c’è identità di soggetto con la reggente
3. Causali: ὅτι, ἑπεί, ἐπειδή, ὡς + indicativo (o ottativo obliquo): “poiché, perché +
indicativo”
4. Temporali: ὅτε, ὡς (=quando), ἑπεί (=dopo che), πρίν (=prima) + indicativo (o congiuntivo
eventuale con ὅταν, ἐπάν, ἐπειδάν): “quando, dopo che, ecc. ” + indicativo
5. Ipotetiche: distinguiamo una PROTASI (“Se…” subordinata) e una APODOSI (reggente)
I tipo: realtà: PR: εἰ + indicativo; AP: indicativo o altro modo indipendente.
In italiano: PR: “se + indicativo, AP: indicativo o altro modo corrispondente al testo greco
II tipo: eventualità: PR: ἐάν (ἄν, ἤν) + cong. eventuale; AP: indicativo o altro modo
indipendente.
In italiano: PR “qualora, nel caso che” + congiuntivo presente (o anche “se + futuro”) AP: tempo
presente (talora anche futuro), nel modo corrispondente al testo greco.
III tipo: possibilità: PR: εἰ + ottativo obliquo; AP: ἄν + ottativo potenziale.
In italiano: PR “Se” + cong. imperfetto” AP: Condizionale presente
IV tipo irrealtà: PR: εἰ + indicativo dei tempi storici; AP: ἄν + indicativo dei tempi storici.
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In italiano: PR “Se” + cong. imperfetto (o anche trapassato se in greco c’è un aoristo) AP:
Condizionale presente (o anche passato se in greco c’è un aoristo).
VALORI FONDAMENTALI DEL CONGIUNTIVO
Indipendente:
1. volitivo (esortativo o proibitivo + μή): = in italiano congiuntivo o imperativo presente
italiano
2. desiderativo: in proposizioni interrogative=in italiano devo/dovrei, posso/ potrei + infinito
Dipendente:
1. eventuale, sempre con ἄν (talora fuso con altre congiunzioni ἑάν, ὅταν)= in italiano
qualora, nel caso che, tutte le volte che + congiuntivo, talora anche indicativo.
2. finale, preceduto da ὡς, ἵνα, ὅπως
VALORI FONDAMENTALI DELL’OTTATIVO
Indipendente:
1. desiderativo (esortativo o proibitivo, con μη): = in italiano (ah) se (+ cong. imperfetto)|
2. potenziale, sempre con ἄν=in italiano posso/potrei + infinito oppure direttamente il verbo al
condizionale
Dipendente:
1. obliquo, sempre in dipendenza da tempi storici o da un altro ottativo nelle proposizioni
dichiarative, finali, causali, ipotetiche= in italiano indicativo o congiuntivo imperfetto (o forma
implicita con l’infinito nelle finali con identità di soggetto)
TRADUZIONE DEL PARTICIPIO
1) Participio preceduto immediatamente dall’articolo:
a) se è espresso anche il sostantivo riferito si tratterà di participio attributivo, da tradurre in
genere con una relativa o (a volte) con art. + sostantivo + participio italiano o aggettivo (οἱ
ἐργαζόμενοι πολῖται “i cittadini che lavorano, i cittadini lavoratori”).
b) se il sostantivo è sottointeso si tratterà di un participio sostantivato, da tradurre in genere
con un pronome o sostantivo generico + relativa (“quelli che, gli uomini che, ciò che”; se è
neutro evitare “le cose che”, preferendo “le questioni, gli eventi, le situazioni, gli argomenti, i
beni, ecc.”) o anche (se possibile) con art. + participio italiano o sostantivo (οἱ ἐργαζόμενοι
“quelli che lavorano, i lavoranti, i lavoratori”).
NB: Si può anche avere un participio attributivo e sostantivato senza articolo: in questo caso si
tratterà di concetti meno determinati (“persone che, cose che”)
2) Participio non preceduto immediatamente dall’articolo
a) Se è in caso genitivo (il soggetto in genitivo con cui è concordato il participio è quasi sempre
espresso accanto e non separato da una virgola) può essere un GENITIVO ASSOLUTO, da tradurre
con una subordinata avverbiale (temporale, causale, avversativa, concessiva, ipotetica: poiché,
mentre, perché, se, benché…). La traduzione (grammaticamente possibile anche se brutta) con
gerundio + sostantivo, o quella (possibile solo con i participi passati, quando il testo greco lo
consente) participio + nome devono rigorosamente rispettare quest’ordine (προσερχομένων
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τῶν πολεμίων= “quando / poiché vengono i nemici, venendo i nemici” e non “i nemici
venendo”).
b) Se è in caso nominativo o accusativo e non separato da virgola rispetto al verbo può essere
PARTICIPIO PREDICATIVO DEL SOGGETTO O DELL’OGGETTO: per accertarselo bisogna vedere se il
verbo rientra fra quelli che reggono il predicativo.
Principali verbi: verbi di percezione (ὀράω, αἰσθάνομαι, ἀκούω, μανθάνω. NB: con ἀκούω il
participio predicativo è in genitivo=percezione fisica!), verbi di inizio e fine e continuazione
(ἄρχομαι, παύομαι, διατελέω), verbi di eccellenza o di inferiorità (διαϕέρω, νικάω, ἡττάομαι),
verbi dimostrativi (δείκνυμι, ϕαίνω), più alcuni verbi o locuzioni come τυγχάνω (“sono per
caso”, quindi “faccio qualcosa per caso, mi trovo a…”), ϕθάνω (“prevengo”, quindi “faccio
qualcosa prima di”), λανθάνω (“mi nascondo” quindi “faccio qualcosa di nascosto”), δῆλός /
ϕανερός εἰμι “sono evidente” quindi “è evidente che faccio qualcosa”)
c) Se il participio è in caso nominativo o accusativo – raramente al genitivo e dativo - e
concordato con un nome in genere già esplicitato nel testo (anche se separato da una virgola),
può essere PARTICIPIO CONGIUNTO (è bene comunque prima escludere che sia predicativo).
Il PARTICIPIO CONGIUNTO, dal valore verbale, è da tradurre con una subordinata avverbiale
(temporale, causale, avversativa, concessiva, ipotetica: poiché, mentre, perché, se, benché…) o
anche con una relativa accessoria (separata da virgola). La comune traduzione con il gerundio
si può usare solamente se il soggetto è lo stesso del verbo della reggente. Nei verbi intransitivi
e nei passivi si può anche tradurre con il participio passato, se il rapporto temporale è
giustificato dal contesto. (Es.: “Il comandante, poiché era ferito dalla spada, che era ferito dalla
spada, essendo ferito dalla spada, ferito dalla spada”).
Attenzione: quando troviamo la sequenza articolo + μέν/ δέ + participio, l’articolo può avere
funzione di pronome, e quindi il participio seguente può essere congiunto, e non sostantivato o
attributivo (ad esempio οἱ δὲ βλέποντες τοὺς πολεμίους οὐκ ἐταράσσοντο: “ed essi,
guardando i nemici, non erano sconvolti” e non “e quelli che guardavano…”)
Un participio congiunto o genitivo assoluto preceduto da ὡς ha valore di causale implicita
soggettiva (“perché, ritenendo che, come se….”) o, in genere con il participio futuro, finale
(“per, con l’intenzione di” + infinito).
Se invece è preceduto da ἅτε ha valore di causale oggettiva: “poiché, per il fatto che”.
3) Accusativo assoluto: è un accusativo neutro che regge una soggettiva e si regge solo con
alcune formule e ha significato causale o, spesso concessivo: ἐξόν, παρόν, “(pur) essendo
possibile, benché fosse possibile”; προσῆκον “(pur) essendo conveniente”.
ALCUNE IMPORTANTI STRUTTURE
Genitivo + χάριν o ἕνεκα: complemento di fine o causa finale (= in latino genitivo + causa o
gratia)
Un accusativo non retto da un verbo transitivo può essere accusativo di relazione, con funzione
di complemento di limitazione (ὀ Ἀλέξανδρος ἦν καλὸς τὸ πρόσωπον. “Alessandro era bello
di aspetto”).
ALCUNE PARTICOLARITÀ VERBALI
ἀκούω + genitivo=sento, percepisco (percezione fisica)
ἀκούω + accusativo (percezione intellettuale)= sento (dire)
τυγχάνω + genitivo= “ottengo”
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βασιλεύω / ἄρχω (e altri verbi di comando) + genitivo = regno (su), domino, comando
χράομαι (χρῶμαι) + dativo= “uso, mi servo di”
ἔχω + avverbio= “sto, mi trovo”
ἥκω “Sono arrivato” si traduce al presente con un pass. prossimo, all’imperfetto con un
trapassato.
Complementi in posizione attributiva
Quando un aggettivo o un complemento (anche preceduto da articolo) si colloca fra l’articolo e
il nome a cui si riferisce si parla di posizione attributiva.
Es.: ἡ τῆς κόρης οἰκία: la casa della ragazza (lett. “la della ragazza casa”)
ἡ καλὴ κόρη: la bella fanciulla
La posizione attributiva si può anche realizzare ripetendo l’articolo del nome reggente e
collocando subito dopo l’aggettivo o il complemento
Es.: ἡ οἰκία ἡ τῆς κόρης: la casa della ragazza (lett. “la casa, quella della ragazza”)
ἡ κόρη ἡ καλή: la bella fanciulla (lett. la fanciulla, quella bella)
La posizione attributiva sottolinea la stretta dipendenza del complemento rispetto al nome
reggente, da mantenere anche nella traduzione.
Ad esempio “Αἱ ἐν τῇ οἰκίᾳ κόραι (o anche Αἱ κόραι αἱ ἐν τῇ οἰκίᾳ) καθεύδουσιν” non si
dovrà tradurre “Le ragazze dormono nella casa” ma “Le ragazze (che sono) nella casa
dormono”.
Quando invece l’aggettivo o il complemento non seguono l’articolo si ha la posizione
predicativa
.
USO DELLE PARTICELLE
La particella τε, se è seguita da καί, in genere non si traduce, oppure (meno bene) si rende
come “sia… sia, non solo… ma anche”.
Le particelle μέν e δέ vengono a rapportare o opporre (in maniera per lo più lieve) due
proposizioni o due elementi di esse. Esse sono fondamentali per comprendere la struttura del
periodo, ma non sono da tradurre necessariamente. Nel caso che il contesto consigli la loro
esplicitazione sono da evitare forme pesanti come “non solo… ma anche; da una parte…
dall’altra” optando piuttoso per un semplice “mentre” (nella prima parte o nella seconda”), o
un “invece” (nel secondo membro, facendolo precedere preferibilmente da un punto e virgola).
Quando queste due particelle ricorrono dopo un articolo esprimono il senso pronominale
dell’articolo stesso: “l’uno… l’altro; gli uni… gli altri; questi e quelli”.
Se vi è un articolo + δέ isolato all’inizio di periodo non avra significato oppositivo, ma al
massimo lievemente avversativo “ed egli / ella / essi (o anche “ma egli”)”
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