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Galbraith, Il nuovo stato industriale
Come cambiò nel dopoguerra il ruolo dello stato nell’economia? Secondo la classica tesi di
Galbraith in quest’epoca si assistette a un’autentica “rivoluzione keynesiana”.
L’autore
John Kenneth Galbraith (1908) è uno degli esponenti più significativi della scuola economica
keynesiana. Egli ebbe un ruolo di grande rilievo nella definizione della politica economica e sociale
dell’amministrazione del presidente John Kennedy, in quel periodo aternando le attività scientifiche
con un più diretto impegno politico. Galbraith, infatti, fu per diversi anni ambasciatore americano in
India e proprio in questo paese portò a termine la stesura di questo libro, che costituisce
indubbiamente la più nota analisi dello sviluppo economico e sociale americano negli anni del
grande slancio postbellico.
Il volume uscì nel 1967 (nel 1968 in Italia presso Einaudi) quando quel grande ciclo espansivo
aveva ormai superato il suo apice ed era entrato nella parabola discendente che si sarebbe
definitivamente interrotta nel 1973.
Il nuovo ruolo dello stato
Il titolo, che ricalca fedelmente quello originale, mette l’accento su una novità, su un cambiamento.
Esso principalmente si riferisce al ruolo assunto anche nell’economia americana dallo stato. Questo
ruolo era assi modesto fino agli anni tenta, ma nel secondo dopoguerra è cresciuto a dismisura per
l’azione di quella che Galbraith ha chiamato la «rivoluzione keynesiana». In virtù di essa, scrive
Galbraith, lo stato si incarica di controllare il reddito globale disponibile per l’acquisto di beni e
servizi nell’economia; cerca di garantire un potere d’acquisto sufficiente a comprare tutto ciò che
la forza-lavoro esistente può produrre; e […] cerca,, dato l’elevato livello di occupazione che ne
risulta, d’impedire che i salari spingano in altro i prezzi e che i prezzi facciano a loro volta
aumentare i salari, in una continua spirale ascendente.
Ma il ruolo dello stato non si ferma qui; secondo Galbraith «i servizi dell’amminstrazione federale
e di quelle statali e locali costituiscono oggi tra un quinto e un quarto dell’intera attività
economica».
La pianificazione della produzione
La centralità dello stato come promotore e controllore della vita economica costituì per Galbraith la
causa principale del lungo periodo di prosperità che caratterizzò i due decenni postbellici, in quanto
consentiva di regolare il ciclo economico, evitando che esso fosse esposto alle crisi di
sovrapproduzione, come era accaduto negli anni trenta.
Per tenere sotto controllo le crisi ricorrenti non bastava lo stato e il suo potere di regolazione del
mercato; alla sua azione bisognava aggiungere quella della stessa grande impresa, che proprio in
quegli anni aveva messo in atto una vera e propria “rivoluzione manageriale”, fondata sull’assoluta
necessità di programmare e di pianificare l’attività economica: l’enorme massa degli investimenti
richiesta per garantire livelli crescenti di produzione imponeva di ridurre al minimo i rischi della
concorrenza. Per una sorta di ironia della storia, - nota Galbraith – mentre la guerra fredda
imponeva agli Stati Uniti l’esaltazione del mercato contro la pianificazione sovietica, in quello
stesso periodo l’economia americana stava cessando di essere un’economia di mercato.
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