Testimonianza su
Chiesa locale in missione educativa nel territorio
al convegno del Centro di orientamento pastorale (COP)
sul tema Comunità cristiana ed educazione,
L’emergenza educativa: problema e provocazione
Bari, 25 giugno 09
Carissimi,
un grazie vivissimo per il cortese invito. Mi onora e mi ravviva.
Anche e soprattutto per il tema, dentro un’esperienza così consolidata qual’è il cammino del COP.
Grazie della Rivista che ci mandate puntualmente, capace sempre di aprire nuovi sentieri di
operatività pastorale, in dimensione profetica.
Un affettuoso saluto al vescovo di questa città, mons. Francesco Cacucci, che stimo ed apprezzo
molto, con il quale collaboro volentieri. In questa città sono stato per sei anni e dove lascio sempre
un pezzetto di cuore, vivendo tre esperienze molto belle: educatore nel seminario teologico degli
Stimmatini; parroco nella piccola parrocchia di san Cataldo; cappellano nell’ospedale del CTO di
Bari. E’ una diocesi di forte riferimento per tutti, specie nel Sud, perché sa coniugare
problematiche e speranze, fatiche ed ideali alti, sulla scia di san Nicola, ponte tra oriente ed
occidente.
La Puglia: è la terra di don Tonino Bello, che verso il territorio ha dato tutta la sua vita, spesso
incompreso, sempre preso da uno zelo appassionate e bruciante.
E’ la terra di padre Pio, che su queste colline, di grande bellezza, ha esteso con il dono della
preghiera e dell’intercessione il profumo della santità, creando spazi di accoglienza del dolore.
Qui ho incontrato mons., Magrassi, del quale conservo un ricordo immenso, perché mi ha
illuminato, specie nei giorni difficili in cui mi è giunta la nomina ad essere vescovo della Locride.
Mi rispose con chiarezza, alle domande interiori, sulla mi fatica ad accettare, a 45 anni, una così
grande responsabilità: Accetta, al papa non si può dire di no. Se tu accetterai, la tua strada sarà in
salita. Ma avrai sempre vicina al mano i Dio. Se invece non accetti, la tua strada sarà più piana,
ma sari sempre solo!”.
E’ infondo il criterio che anima ogni intervento educativo, tema sempre più coinvolgente la chiesa
italiana e h voi, con questo convegno, già anticipate, con chiarezza ma di certo anche con fatica,
come è nella realtà stessa del tema.
Ed insieme, questo rapporto dialettico tra fatica e zelo, tra richiesta e risposta è lo stile dialettico
con cui seguire la traccia anche del mio intervento-testimonianza: Chiesa locale in missione
educativa sul territorio”.
Nei suoi tre fattori: la chiesa locale, lo stile missionario, la forza educativa.
E’ in fondo l’attuazione del grande capitolo IV della Gaudium et Spes, che tratta della
missione della Chiesa nel mondo contemporaneo, con particolare riferimento alla mutua relazione
tra chiesa e mondo, nel duplice ed intrecciato rapporto tra l’aiuto che la chiesa intende offrire agli
individui (n. 41) alla società umana (n.42) e che insieme intende ricevere dal mondo
contemporaneo (44).
Si tratta di credere alla grande affermazione, centralissima per la vita pastorale, che il concilio fa a
tutti noi, come perenne ammonimento: il distacco, che si constata in molti tra la fede che
professano e la loro vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo. Non si
venga ad opporre le attività professionali e sociali da una parte e la vita religiosa dall’altra.
Con un ammonimento severissimo: Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i
suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso e mette in pericolo la propria salvezza eterna.
Con un esempio mirabile: Gesù di Nazaret, artigiano, che ha saputo unificare gli sforzi umani,
domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola grande sintesi vitale, insieme con i beni
religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio!”. (n. 43)
Viene così a delinearsi uno stile di relazioni reciproche, che il Concilio (n.44) definisce scambio
vitale tra la chiesa e le diverse culture dei popoli, sapendo ascoltare attentamente, capire ed
interpretare i vari modi di parlare del nostro tempo e di saperli giudicare alla luce della Parola di
Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir
presentata in forma più adatta!”.
E’ il fondamento della revisione di vita. Metodo fecondissimo nelle relazioni tra Chiesa e
territorio. Specie nel mondo giovanile.
Quindi, né trascurare né immergersi dimenticando.
Ma intrecciare fede e vita, comunità e territorio, cielo e terra, sogno e segno...
E’ il mio grande sogno, in tutte le cose, a livello pastorale: intrecciare, fare sintesi, unificare in un
grande disegno. Sullo stile di Gesù di Nazaret, vero Dio e vero Uomo.
Pongo qui la benedizione che rivolgo al Signore per il dono dell’esperienza dei Preti Operai, fatta
mentre ero studente di teologia. Mi ha dato quel gusto di conoscere non se fare il prete, ma come
fare il prete.
Cioè come pormi come Chiesa di fronte al mondo, che cambia così rapidamente.
E’ la grande fatica del resto, dell’arte di educare, perché è l’intreccio mirabile tra due libertà: la
mia e la tua; dell’uomo e di Dio.
In questa impostazione, ecco alcune immagini ispiratrici, che traggo proprio sempre dal concilio,
riferimento perenne per la nostra vita pastorale, in questi decenni non facili, dove la profezia del
concilio va sempre più ravvivata e reincarnata con entusiasmo e passione.
Le immagini sono quelle della Lumen Gentium, tratte dai numeri 6-8, che descrivono, con i
colori biblici, il cammino della Chiesa di ogni tempo, un cammino che si intreccia con quello del
territorio che Dio ci ha affidato:
 ovile e gregge, nella guida del Pastore
 sentinella che vigila, richiama ed intravede
 olivo che verdeggia, potato e reinnestato
 vigna scelta che produce, dai tralci potati e fecondi
 casa di Dio, costruito con pietre vive
 sposa del Signore
 corpo di Cristo.
Ogni immagine ha una forte valenza interiore, che ravviva la missione educativa interna ed esterna
della chiesa.
Più infatti la chiesa è missionaria, più è capace di rinnovarsi interiormente.
Più è unita (ed è il tema di questi giorni) più è efficace nella sua missione educativa verso il
territorio (formare comunità; annuncio, celebrazione, testimonianza: unità necessaria per educare
alla vita cristiana; la prospettiva mistagogica...).
Ogni immagine è insieme provocazione ad una maggior santità per la Chiesa, per il suo
legame con il Cristo, in coerenza con il dettato biblico. Ed insieme ogni immagine caratterizza un
modo ed un metodo con cui vivere il rapporto educativo nel territorio.
1. - OVILE E GREGGE SOTTO LA GUIDA DEL BUON PASTORE
E’ la prima grande immagine biblica, costante mio punto di riferimento.
Perchè un vescovo è soprattutto un pastore.
Un pastore e non un pecoraio! Perché pecorai si nasce, pastori si diventa, in un legame di fedeltà
con le proprie pecorelle, che le rende sicure e forti.
Nei 4 grandi verbi del pastore, che caratterizzano tutta la attività educativa verso il territorio in cui
siamo immersi:
 conoscere e chiamare per nome
 precedere
 condurre ai pascoli della vita
 difendere dal lupo, dando la vita per il gregge.
E’ la voce che fa la differenza, nelle relazioni con i fedeli. Il tuo tono di voce dice quale cuore hai
nel petto. Quella voce che si fa conoscere e che permette di conoscere. Chiamati per nome. E
chiamando per nome.
Perché la Chiesa resta sempre Madre e Maestra. Prima di tutto, Madre e poi Maestra. In un
intreccio mai abbastanza vissuto sul territorio. Poiché Madre, conosce per nome, entra negli
ambienti di vita, porta sorriso, sa rimproverare. Ma lo fa sempre con la voce materna e paterna di
chi, nel rimprovero, non difende principi ma accompagna persone e fratelli e figli.
E precede, cercando la pecorella smarrita.
Don Milani, al parroco che lodava la grande massa di gente in chiesa, rispondeva: “Sì sono
tanti...ma quanti ancora non ci sono qui... e sono molti di più!”.
Sentire che chi è fuori è un pezzetto di cuore che va atteso, cercato, amato, sperato. Che ci manca.
Per cui sai condurre ai pascoli della verità chi resta nel recinto delle pecore.
Quella verità che non si impone, ma che va sempre proposta, con carità.
Sullo stile di san Paolo. Che illumina con la verità e conduce nella carità.
Fortiter et suaviter...
Una chiesa cioè che sta davanti, che precede, che affronta.
Che si fa primizia e non élite!
Ai miei preti, in Molise, offro questi tre verbi come stile di relazioni mature: convincere e non
vincere; propore e non tanto imporre; analizzare e non giudicare.
Infine l’immagine del Pastore ci richiama ad una chiesa che difende la sua gente, che interviene
subito se c’è un attacco della mafia o della malavita o della massoneria. Che non rimanda, che non
studia tatticismi comodi. Che si espone, che prende le difese dei più piccoli e dei lontani.
Soprattutto degli immigrati, come ci ha esortato il Papa nella recentissima visita alla terra di
Puglia, sulle orme di santità di padre Pio.
QUALE INSEGNAMENTO per il territorio da questa immagine?
 essere pastori e non pecorai
 dare la vita e non tenerla stretta
 c’è più gioia nel dare che nel ricevere
 gratuità e non gratificazione.
Ma anche un grande monito per la nostra chiesa, specie in Italia, in questo momento, sulla scia delle
riflessioni di Ezechiele (34,2-6), contro i falsi pastori, anche in relazione all’anno sacerdotale.
Il grande monito: pascere il gregge di Dio e non pascere se stessi!
Infatti, il profeta, ai pastori che pascolano se stessi e non il gregge, dice:
 non hanno reso forza alle pecore deboli




non hanno curato le inferme
non hanno fasciato le pecore ferite
non hanno riportato le disperse
non sono andati in cerca delle pecore smarrite!
La reazione del Signore, di Jahwè davanti a questo scempio, è chiarissima: “io stesso cercherò...avrò
cura...condurrò...faro riposare e andrò in cerca e ricondurrò!” (34,11-16).
SENTINELLA:
E’ un’immagine biblica che trovo sempre più vera nella mia vita. Soprattutto qui, in Molise; e
forse evidenzia meglio lo stile delle nostre chiese in Italia, in relazione al territorio: Ti ho
posto come sentinella alla casa di Israele Ezechiele 3,17.
Non solo difendere, come fa il pastore.
In ambienti, però, che non hanno una evidente conflittualità esterna ma vivono ugualmente
problematiche scottanti ma nascoste e celate in fastidiosi retrobottega, occore soprattutto
svolgere il preziosissimo compito della sentinella, nel triplice impegno:
 vigilare con occhio attento e pronto, allenato da una vita coerente e casta che
mantiene purificato il nostro sguardo.
 scuotere i fratelli con voce forte e profetica, onde metterli tutti in allarma sui
pericoli che incombono
 scrutare nel buio della notte, in modo da intravedere oltre il buio, per cogliere, per
capire con occhio penetrante il cammino futuro (Sentinella, quanto resta della
notte?” . Isaia 21,11). Nella logica del piccolo Principe: “Non si vede bene che con
il cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi!”.
E’ il compito di una Chiesa che interviene, che parla, che sa cogliere oltre il visibile. Che non
giudica per sentito dire, ma sa capire il cammino vero della sua gente.
Ed educa a fare così anche il proprio territorio, che in questo modo non si sente giudicato ma
accompagnato, con mano forte e chiara.
Come fa il goèl, cioè chi fa sua la storia dell’altro e la accompagna, con risposte precise ed
efficaci.
Come san Giuseppe, lungo la notte, che veglia e difende e libera e salva.
Come Cristo in Croce, la più grande immagine di Goèl, vera Sentinella e Pastore, che dona
tutto per la nostra vita.
Immagine già presente in BOOZ, che difende RUT, amica fedele! Lei Rut, che non si stacca
da Noemi, afflitta e amareggiata dal vuoto della sua vita. Lei resta accanto, non come Orpa
che lascia e si allontana. E i due nomi sono due pezzi di chiesa: la chiesa stile Orpa (Ed il
nome dice tutto, poiché Orpa vuol dire “Colei che mostra le spalle!”) che fugge e non resta
acanto al dolore del mondo. Oppure la Chiesa stile Rut, amica fedele, che condivide, con il
cuore del pastore e non del pecoraio, nel dettato della Gaudium et Spes.
Ogni prete sia Goèl, ogni prete sia Booz. Ogni prete abbia il cuore di san Giuseppe. Ed ogni
chiesa sia come Rut!
E Dio ci doni chiese locali così, che sanno fare della storia della propria gente la storia del loro
cuore, perché nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.
E l’eco nel cuore di un prete si fa intercessione, preghiera, supplica, volto ricordato, impegno
di speranza.
OLIVO
“La Chiesa è il podere o campo di Dio (I cor 3,9).
Dice il Concilio (L.G.,6): “In questo campo cresce l’antico olivo, la cui santa radice sono
stati i patriarchi e nel quale è avvenuta e avverrà la riconciliazione dei Giudei e delle genti”
(Rom 11,13-26).
E’ molto bella questa immagine.
Riscoperta durante quest’anno, nella riflessione sulla figura di san Paolo e della sua
meravigliosa Lettera ai Romani.
Figura che ci offre una grande lezione di pienezza d’amore.
Va inquadrata nella lettera, collegandola a tre capitoli:
 la fragilità ontologica dell’uomo: Chi mi libererà da questo corpo di morte?
(Capitolo 7)
 la grandezza della grazia, tramite la forza dello Spirito santo, che sa trasformare
ogni cosa in amore, pur nel triplice gemito (della creazione in nuova Creazione; del
cuore che diviene Speranza; dello Spirito che si fa preghiera d’intercessione). nella
speranza infatti siamo salvati. In un gemito che è il gemito stesso della nostra vita,
della chiesa tutta. Per cui paolo conclude: Chi mi separerà dall’Amore di Cristo?
Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la
spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori! (Capitolo 8)
 eppure, tanta forza d’amore potrebbe fermarsi davanti alla ingratitudine del popolo
d’Israele. Si blocca forse la bontà divina? Si ferma? Che fare davanti a chi ci rifiuta?
Come comportarsi davanti alla ingratitudine di un territorio?
Questo dilemma trova una risposta nell’immagine paolina, quella dell’olivo, che non produce.
Ebbene, Dio vede questa sua infedeltà, ma non lo stronca, non lo taglia dalle radici. Ma lo pota
e lo reinnesta con nuovi virgulti, quelli tratti dall’olivastro selvatico. Cioè i popoli pagani, chi
non viene in chiesa, chi non ha una relazione con la istituzione. Il buon Samaritano di turno,
lungo la strade delle nostre periferie.
Dio sa utilizzare tutto, anche i rami di una pianta selvatica; fa di ogni frammento una pienezza.
E i rami per terra? Non restano secchi né aridi. Ma sono in attesa, di una rifioritura. Perché
Dio ha tempi più lunghi dei nostri. E verrà il giorno in cui li reinnesta, con stupore di tutti. E
nella bellezza di una pianta che fiorirà in pienezza. Immagine di una Chiesa che sarà
meravigliosa solo quando anche il popolo ebraico tornerà a Cristo. Quando i lontani
riempieranno le nostre comunità.
Conclusione: “Non lasciarti vincere dal male ma vinci, con il bene, il male”! (Romani 12,21).
E’ lo stile con cui guardare la storia.
Educare oltre le apparenze. Credere nel futuro dei nostri figli anche nelle loro evidenti
sconfitte. Lo stile educativo di Dio di fronte al NO dell’uomo è pienamente normativo, perché
liberante e fiducioso.
Egli infatti insiste, pota ma non stronca, innesta l’olivastro (ricupera!), ammonisce, dona tempi
lunghi, reinnesta nella bellezza della pianta, che è la Chiesa, spazio di riconciliazione sia per i
Giudei che per i pagani.
Sono stato aiutato in questo dalla mia sofferma ma preziosa esperienza di cappellano in
carcere. Di fronte a tanta gente che aveva commesso reati terribili, mi chiedevo: come vedere
chi sbaglia? Come celebrare con i boss? E come capire il male che c’è dentro di noi?
Domande immense, decisive, Perché la riflessione sul male è sempre più cogente ed
indispensabile. Non se ne esce, altrimenti.
Ed ecco la risposta, basata su Mt 5,43-48, che mi ha illuminato e che chiarisce ogni gesto
educativo tra chiesa e territorio: “Dio è gratuito, e gratuita è la sua grazia. Non ci ama perché
siamo buoni, ma per renderci buoni”.
Compito nostro è imitare la sua perfezione, che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi e fa
piovere sui giusti e sugli ingiusti. Senza misure restrittive. Ma nella piena gratuità di un dono
che cambia la vita.
Con questo stile, la Chiesa si apre a tutti, non seleziona, non giudica ma accompagna!
Anzi, abitua a TRASFORMARE il male in bene. Le ferite in feritoie, come ci insegna Gesù
con l’apostolo Tommaso: “guarda, stendi, metti...e non essere più incredulo ma credente!
(Giovanni 20,27). Ed è proprio in quelle ferite, fatte feritoie, che Tommaso può dire una delle
più belle espressioni di fede: Mio Signore e Mio Dio! Una fede che sempre mi ha sostenuto,
proprio perché appartengo alla Congregazione degli Stimmatini. Per questo, nel mio stemma
ho posto questo motto: Dominus meus et Deus meus.
E’ la lezione che ci dona l’ospedale costruito accanto al Santuario dei Santi Medici, qui
costruito accanto alla devozione popolare dei Santi Cosma e Damiano, l’hospice, cioè il luogo
dove anche la morte diviene speranza e vita. Trasformando il mistero in luce!
VIGNA.
Vigna scelta, piantata dal celeste agricoltore (Mt 21,33-43 e Isaia 5,1-).
Cristo è la vera vite, che dà vita e fecondità ai tralci, cioè a noi, che per mezzo della chiesa
rimaniamo in Lui e senza di Lui nulla possiamo fare (Gv 15,1-5). E’ un’altra delle immagini
bellissime che restano impresse nel cuore di chi guarda al mistero della Chiesa. E quindi del
suo legame con il territorio. Dalla terra esce questa forza vitale che è la vigna.
Immagine di benessere (Numeri 13,23) e di pace (l Re 5,5).
Ma questa bellissima immagine richiede due condizioni decisive nel cuore nostro:
 rimanere attaccati al tronco
 accettare la necessità della potatura.
Entrambe condizioni di fedeltà, specie nell’anno sacerdotale.
La potatura è il più grande mistero della nostra fede. Perché in essa v’è tutto l’immenso
mistero e dono d’amore della passione e risurrezione del Cristo.
Qui si gioca il vero senso della Chiesa.
Solo dentro il mistero della croce v’è salvezza!
E la potatura si fa subito capacità di leggere il mistero del dolore. Ma sempre in termini di
fecondità e non di obbrobrio.
La potatura di Dio infatti non è mai per la stroncatura ma per la rifioritura.
Ed è potatura soprattutto il mistero dell’obbedienza, cioè di un Dio che ti chiede sempre di
più, che ti toglie per ridonarti (Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per
prepararne loro una più certa ed una più grande!”).
Di questo oggi, cioè della spiegazione e della luce sul mistero del dolore, ogni territorio ha
immenso bisogno. Perché qui si scontrano mille domande sull’assurdo della vita.
Solo nella potatura si cresce.
Questo è perciò l’immagine più feconda nell’arte dell’educare. Certi NO hanno salvato la mia
vocazione. Certi NO fanno crescere i nostri figli. Certi NO purificano il mondo! Sempre più,
oggi...
Ed Isaia ci aiuta a riflettere sulla reale nostra risposta ai tanti doni di Dio. Perché
contrappone con chiarezza l’azione di educatore di Dio con le nostre carenti risposte.
Infatti:
 Il Signore ha preferito un terreno fertile per la sua vigna
 ha tolto i sassi
 ha piantato vitigni scelti (siamo tutti scelti!)
 ha costruito una torre, solida e capace di difendere
 ha scavato un tino, per la pigiatura.
Ma di fronte a tutto questo lavoro positivo, ecco una serie di ingratitudini nelle nostre risposte.
Perché la vigna (cioè il nostro cuore, la nostra comunità, il nostro teritorio...) ha prodotto uva
selvatica, rovi e pruni, spargimento di sangue (e non giustizia), grida di oppressi (e non
rettitudine!
E’ una bella verifica quaresimale sulla nostra fedeltà.
CASA
Più spesso ancora la Chiesa è detta edificio di Dio (1 Cor 3,9).
Dice il Concilio: Il Signore stesso si paragona ala pietra che i costruttori hanno rigettato, ma
che è divenuta pietra angolare (Mt 21,42). Sopra questo fondamento, la Chiesa è costruita
dagli Apostoli e da esso riceve stabilità e coesione.
E’ il tempio santo, la casa per la Famiglia di Dio...la dimora di Dio tra gli
uomini...paragonata alla Città santa, la nuova Gerusalemme...!”.
Anche questa immagine ci illumina.
Sulla natura della Chiesa, in primo luogo. Ma poi anche nel suo legame con la terra.
Infatti:
 è Dio stesso che la pensa e la costruisce
 viene utilizzata quella pietra che altri sapienti e presuntuosi, faciloni, hanno scartata;
e il Signore ne fa la pietra angolare.
 tutte le pietre sono utili e necessarie, per formare quel muro a secco che regge i
nostri orti, specie nelle colline aride della Puglia e del Sud. tutte necessarie. nessuna
va gettata via. Anzi, spesso quelle piccoline sono le più preziose, perché rendono
saldo tutta la costruzione
 diversi sono i ministeri, ma tutti retti dalla testimonianza degli Apostoli, perché ben
salda sia la Casa per la Famiglia di Dio.
Questo è lo stile di Dio.
Che diviene verifica sulla nostra capacità interna di essere realmente accoglienti ed aperti,
come casa.
Sulla nostra reale forza nella valorizzazione delle pietre scartate, dentro le nostre parrocchie e
comunità (oppure se scegliamo i migliori, anche noi, rifiutando gli scarti della società!”).
Con chi stiamo?
Con chi ci schieriamo?
E nella costruzione del muro a secco, ecco l’impegno a valorizzare tutti.
Che diviene il grande compito educativo, lo stile di don Milani, che con gli scarti di un
gruppetto di ragazzini di montagna, disprezzati, ha costruito una storia nuova, che sapeva
contestare la presuntuosa professoressa!
“Fai strada ai poveri, senza farti strada!
Nello stile di san Giovanni Battista, ieri celebrato nelle nostre chiese!
Per diminuire, noi e far crescere gli altri!
SPOSA
La chiesa viene pure descritta come l’immacolata Sposa dell’Agnello immacolato (Ap 19,7;
21,2-9), sposa che Cristo ha amato e per essa ha dato se stesso, al fine di renderla santa
(Efesini 5,26), che nutre e di cui si prende cura....riempita di grazie celesti..in attesa di
comparire con il suo Sposo, rivestita di gloria (Col 3,1-4).
E’ una delle immagini più dolci e più rivalorizzate, oggi.
Perché c’è in essa tutta la forza pregnante del dialogo d’amore con Dio e tra di noi.
E’ tutto il filo rosso dell’Antico Testamento, che nel Cantico ha la sua pienezza.
Ma anche il dialogo con la terra, che diviene sposa.
Mirabile nella mia esperienza è la poesia di Isaia, 61,10-62,5.
In questo mistero, infatti, ogni terra viene amata, curata, difesa, custodita come una sposa.
E non come un amante! Se sei amante, allora la terra si fa iAbbandonata e devastata (Isaia
62,4).
Qui sta tutto il gioco, tra noi ed il territorio.
Se è sposa, la terra che abitiamo e tale la sentiamo, educando i nostri ragazzi (in casa, in chiesa
e nella scuola: tramite le tre figure femminili ivi poste ad educare, cioè la mamma, la
catechista e la maestra!), allora ogni terra avrà sviluppo e crescita.
Altrimenti, ecco l’inquinamento, i rifiuti tossici venduti e sotterrati, la sporcizia, il male di una
natura che cresce male.
Mafia è disordine, sporcizia, sfruttamento dell’uomo e della terra.
perché la terra viene sentita come amante e non come sposa.
Tutto è qui: perché lo sviluppo sociale ed economico poggia su questa immensa e decisiva
considerazione.
tutto sta in quest’ottica.
Le cooperative, la cura del terreno, la forza dello sviluppo è consequenziale.
Ma proprio qui siamo attesi come chiesa che sa educare!
Non spetta a noi, come preti e religiose, creare iniziative di lavoro.
Toccherà ai laici e lo faranno bene.
Ma tocca a noi far amare la propria terra come una sposa!
Questo è il nostro primario compito!
E se noi non lo facciamo, non lo farà nessun altro!
Allora la terra che tu abiti diverrà un giardino. Giardino per la Sposa!
Concetto biblico decisivo e trasversale! Perché Dio ci pone in un giardino; giardino è la terra
di Canaan; giardino è il luogo d’amore della Sposa nel Cantico; giardino è la nostalgia dei
profeti; in un giardino viene sepolto il Cristo e da quel giardino rinasce il nuovo Adamo! E
con un giardino, si chiude l’Apocalisse, nella scena dolcissima della Sposa che passeggia tra
rivi e canti, bella di una bellezza verginale riconquistata nel sangue dell’Agnello.
CORPO DI CRISTO
Per quest’immagine, bellissima e decisiva, basti pensare al nesso inscindibile tra Corpo e
Capo.
Quello che ha vissuto il Cristo, come Capo lo deve vivere anche il suo Corpo, che è la Chiesa.
Dice il Concilio che la Chiesa “prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni
del mondo e le consolazioni di Dio”, come annota il Concilio (Lumen Gentium, 8),
utilizzando una celebra frase di sant’Agostino. Frase che conforta oggi anche me e la
nostra chiesa di Campobasso-Bojano, come ieri confortava la chiesa antica di Ippona
con lo sguardo di sentinella di sant’Agostino.
Tra persecuzioni e consolazioni. In un intreccio perenne, che sempre si ricostruisce,
che mai si spezza. Proprio perché la croce è componente essenziale della Chiesa. In
quel suo sporcasi le mani e i piedi, sui passi sofferti e sanguinanti del Cristo verso il
calvario.
Certo, “perché come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le
persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via, per comunicare
agli uomini i frutti della salvezza...E la Chiesa non è costituita per cercare la gloria
della terra, bensì per diffondere anche col suo esempio l’umiltà e l’abnegazione”.
E’ sempre il concilio a parlare così. In un testo che ha costantemente orientato la mia
vita. Dandomi anche indicazioni precise, non da tutti purtroppo comprese. Specie da
chi crede che il vangelo sia dolce sonnifero, in un vuoto rincorrere emozioni
presudomistiche. Il vangelo è invece fango che nobilita, passo che discrimina i pavidi e
condanna chi non ha il coraggio di firmare il suo dire, gettando la pietra e ritirando la
mano, in gesti di viltà...
Perché è ancora il Concilio, in quella stessa pagina, ad indicarci la strada della vita:
“La Chiesa circonda di affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza;
anzi riconoscendo nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo Fondatore povero e
sofferente, si premura di sollevarne la indigenza ed in loro intende servire il Cristo”.
Con lo sguardo amabile anche verso chi sbaglia od offende, mite nel suo perenne aver
fiducia di tutti; poiché “la Chiesa, comprendendo nel suo seno i peccatori, santa e
insieme sempre bisognosa di purificazione, mai trascura la penitenza e il
rinnovamento”.
Ecco perché con san Paolo anche ora ripetiamo: “Tutto concorre al bene per coloro
che amano Dio”! (Romani 8,28).
Tutte queste meravigliose immagini bibliche, che il Concilio ci fa rivivere, sono oggi
ripresentate, nella Liturgia del Giovedì santo, dal profumo del Crisma. E’ infatti quel
profumo che va diffuso, gratuitamente, da una comunità unità, aperta al suo territorio, perché
tutti abbiano vita e luminoso sia il loro volto, con la forza dello Spirito santo.
Nel profumo, infatti, ritroviamo la dolcezza e bellezza del Bel pastore, il cuore vigile della
sentinella; la fragranza dell’olivo, la dolcezza della vigna; la preziosità della casa, costruita
con tutte le pietre; l’amore e la bellezza della Sposa e la forza del Corpo di cristo, che segue
con fedeltà il suo Sposo, il Cristo, il Testimone fedele. Amen.