la forza di coriolis - Digilander

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Elaborato per l’esame di Stato
di Gilberto P.
Liceo Scientifico
LA FORZA DI CORIOLIS
Sommario
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Introduzione
Significato fisico dell’ accelerazione di coriolis
2.1 sistemi di riferimento inerziali
2.2 cinematica dei moti relativi:teorema di coriolis
Conseguenze della forza di coriolis su corpi in moto sulla
superficie terrestre
3.1 Il movimento di rotazione della terra
3.2 Effetti dell’ accelerazione di coriolis su corpi in moto sulla superficie
terrestre: la legge di ferrel
3.3 Venti in quota: la dinamica dei venti geostrofici
3.4 Vento al suolo
Circolazione atmosferica
4.1 Classificazione dei venti
4.2 I movimenti su grande scala
4.3 I movimenti su scala media
Circolazione oceanica
5.1 Classificazione delle correnti oceaniche
5.2 Le correnti oceaniche superficiali
Ulteriori conseguenze della forza di coriolis
6.1 Senso di rotazione dei vortici
6.2 Deviazione dei proiettili: il caso esemplare della battaglia navale
presso le isole falkland nella prima guerra mondiale
6.3 Effetto-coriolis al di fuori del pianeta terra: la grande macchia rossa
nell’amosfera di giove
1. INTRODUZIONE
Ogni giorno le principali emittenti televisive trasmettono, prima o dopo i principali notiziari,
le previsioni meteorologiche, spesso accompagnate da immagini inviate da satelliti, che
hanno il compito di monitorare l’evoluzione delle perturbazioni e dei fenomeni ad esse
associati. Ad un osservatore attento non può sfuggire che i corpi nuvolosi sui cieli
dell’Europa ruotano sempre in senso antiorario attorno ai nuclei di bassa pressione, e che
i venti che spirano sul nostro continente sono prevalentemente diretti da ponente verso
levante. Nel corso del mio cammino formativo più volte i docenti hanno fatto il nome della
Forza di Coriolis per spiegare tali fatti. Proseguendo personalmente la ricerca sulla sua
origine e sui suoi effetti su corpi, come le nubi, in moto in prossimità della superficie
terrestre, ho appreso che molti altri fenomeni sono spiegabili alla luce di questa “forza”, tra
i quali la deviazione della traiettoria dei proiettili o l’opposto senso di rotazione dei vortici
nei due emisferi. La sua azione non si esaurisce sulla Terra, anzi, poiché il suo
manifestarsi è legato alla rotazione di un corpo celeste, le sue conseguenze sono ancor
più evidenti su Giove, il più grande pianeta del Sistema Solare, nella cui atmosfera è
presente la Grande Macchia Rossa, una perturbazione il cui senso di rotazione e
dimensioni sono determinati principalmente dalla Forza di Coriolis. Nonostante essa
debba essere presa in considerazione nella descrizione di fenomeni così rilevanti, spesso
i testi scolastici si limitano ad esporne gli effetti, affidando la sua spiegazione ad esempi
fuorvianti. Solitamente viene insegnato che la velocità di rotazione lineare dei punti sulla
superficie del pianeta non è costante, ma diminuisce con la latitudine, perciò un corpo che
si sposta dalla zona equatoriale verso i poli incontra punti che hanno una velocità lineare
sempre minore; per inerzia il corpo tende a conservare la velocità iniziale, lungo la sua
traiettoria, ma risulta ”in anticipo” rispetto ai punti della superficie che incontra, per cui
subisce una deviazione, che nella direzione equatore-poli è verso est; viceversa, quando
un corpo si sposta dalle zone polari verso quelle equatoriali, incontra punti che si
muovono con velocità sempre maggiore, per cui si trova in ritardo e subisce una
deviazione verso ovest. Spiegazioni di questo tipo inducono i lettori a ritenere che la Forza
di Coriolis si manifesti solamente quando vi sia uno spostamento lungo i meridiani; in
realtà un corpo risente dei suoi effetti indipendentemente dalla direzione del moto.
Pertanto ho ritenuto opportuno cominciare la trattazione presentando le equazioni che
descrivono il moto di un corpo sulla superficie terrestre, le quali palesemente non
contengono parametri legati alla direzione dello spostamento, per poi analizzare gli effetti
della Forza di Coriolis sulla circolazione atmosferica ed oceanica, concludendo con
l’esposizione dei fenomeni in cui essa risulta più inaspettatamente coinvolta.
2. SIGNIFICATO FISICO DELL’ ACCELERAZIONE DI CORIOLIS
2.1 SISTEMI DI RIFERIMENTO INERZIALI
Il primo pricipio della dinamica formulato da Newton afferma che “ogni corpo permane nel
suo stato di moto rettilineo uniforme, finchè non sia costretto a mutarlo per effetto di forze
impresse”. La tendenza di tutti i corpi, di mantenere il proprio stato di quiete o di moto è
detta inerzia; pertanto il primo principio della dinamica è noto anche come principio d’
inerzia. Poichè i concetti di moto e di quiete sono relativi, è naturale chiedersi rispetto a
quali sistemi di riferimento possa considerarsi valido il primo principio della dinamica. Se
2
in laboratorio posiamo una sferetta su un piano orizzontale, questa rimane in quiete; se le
diamo una piccola spinta, essa tende a muoversi di moto rettilineo uniforme, per quanto
glielo permette l’attrito. Ma se ripetiamo la stessa prova a bordo di un veicolo che frena,
accelera o percorre una curva, per mantenere la sferetta in quiete rispetto al piano su cui
è posta, dovremmo vincolarla, e noi stessi faremmo fatica a mantenere la nostra
posizione di equilibrio. Possiamo quindi concludere che su un veicolo in moto il primo
principio non è in generale verificato. I sistemi di riferimento rispetto ai quali invece il primo
principio è valido vengono detti sistemi inerziali.
2.2 CINEMATICA DEI MOTI RELATIVI:TEOREMA DI CORIOLIS
Il teorema di Coriolis è un teorema della cinematica che descrive il moto di un punto P in
un sistema non inerziale. Si consideri un punto P in movimento nello spazio. Se O’
(X,Y,Z) e O (x, y, z) sono due terne rigide di assi cartesiani ortogonali, la prima delle quali
convenzionalmente fissa, la seconda mobile, è manifesto che gli aspetti del moto del
punto P sono in generale ben diversi nel giudizio dell’osservatore O’ fisso e
dell’osservatore O solidale con la terna mobile: con “aspetti del moto” in tendiamo alludere
a tutti gli elementi, geometrici e cinematici, che con il moto sono connessi, quali la
traiettoria, la legge oraria, la velocità, l’accelerazione, ecc. Chiamando moto assoluto il
moto di P rispetto alla terna fissa (o all’osservatore assoluto O) e moto relativo il moto di P
rispetto alla terna mobile (o all’osservatore relativo O), si pone il problema di scoprire quali
siano i legami fra la legge del moto assoluto e la legge del moto relativo di P, fra la
velocità assoluta e la velocità relativa di P, ecc. Innanzitutto occorre osservare che il
problema è ben posto solo se viene assegnato il moto rigido della terna O (x,y,z), nonché
il moto relativo del punto P (che è indipendente dal moto della terna O (x,y,z)).Il moto
relativo di P è conosciuto quando siano assegnate in funzione del tempo le sue tre
coordinate cartesiane x, y, z, rispetto alla terna mobile. Il moto rigido di quest’ultima è
invece noto quando ne vengano assegnati in funzione del tempo i versori ˆi , ˆj , kˆ e
l’origine O. Noti questi elementi, l’equazione geometrica:
P  O'  (P  O)  (O  O' )  (O  O' )  (xˆi  yˆj  zkˆ )
(2.2.1)
è idonea a rappresentare il moto assoluto del punto P, come da figura:
z
Z
P(X,Y,Z)
(x,y,z)
y
k
j
j
O(a,b,c)
i
O'
Y
x
X
Figura 1


Sostituendo P-O’ con P e O-O’ con O possiamo scrivere la legge del moto come:
 
(2.2.2)
P  O  xˆi  yˆj  zkˆ
Derivando rispetto al tempo la legge geometrica del moto si ottiene:
3


dP dO dx ˆ dy ˆ dz ˆ
dˆi
dˆj
dkˆ


i
j
k x
.
(2.2.3)
y z
dt
dt
dt
dt
dt
dt
dt
dt
Il vettore


dP
(2.2.4)
Va 
dt
rappresenta la velocità assoluta del punto P, cioè la velocità del punto P qual è giudicata
dall’osservatore assoluto O’. Il vettore

dx ˆ dy ˆ dz ˆ
i
j
k
Vr 
(2.2.5)
dt
dt
dt
rappresenta la velocità relativa del punto P, cioè la velocità del punto P rispetto alla terna
mobile, o, in forma più espressiva, la velocità di p nel giudizio dell’osservatore O, che,
essendo partecipe del moto della terna rigida, considera fissi, cioè indipendenti dal tempo,
i suoi versori ˆi , ˆj, kˆ . Infine il vettore


dO
dˆi
dˆj
dkˆ
 x
(2.2.6)
y z
Vs 
dt
dt
dt
dt
rappresenta la velocità di trascinamento, cioè la velocità che competerebbe al punto P se
esso nell’istante considerato fosse solidale con la terna mobile e quindi venisse trascinato
da essa nel suo moto rigido. Dalle (2.2.3), (2.2.4), (2.2.5), (2.2.6) discende allora il
teorema delle velocità nel moto relativo: la velocità assoluta è in ogni istante la somma
algebrica della velocità relativa e della velocità di trascinamento. La relazione
fondamentale:



(2.2.7)
Va  Vr  Vs
rivela che la velocità assoluta del punto P è rappresentata dalla diagonale uscente da P di
quel Parallelogramma i cui lati rappresentano la velocità relativa e la velocità di
trascinamento di P (teorema del parallelogramma delle velocità).
Derivando entrambi i membri della (2.2.3) si perviene alla relazione seguente


d 2 ˆj
d 2 ˆi
d2k 
d2P  d 2 x ˆ d 2 y ˆ d 2 z ˆ    dx dˆi dy dˆj dz dk   d 2 O

i  2 j  2 k  + 2


x 2 y 2 z 2

dt 2  dt 2
dt
dt    dt dt dt dt dt dt   dt 2
dt
dt
dt 
(2.2.8)
  
che, indicati con , ,  i tre vettori contenuti delle parentesi, scriveremo brevemente così:

  
d 2P


 
(2.2.9)
dt 2

Il primo membro dell’ equazione esprime l’accelerazione assoluta a a del punto P. Il
termine
  d2 x ˆ d2 y ˆ d2 z ˆ 
(2.2.10)
 =  2 i  2 j  2 k
dt
dt
dt



rappresenta invece l’accelerazione relativa a r del punto P. Il vettore

  d2O
d 2 ˆi
d 2 ˆj
d2k 
= 2  x 2  y 2  z 2 
(2.2.11)
dt
dt
dt 
 dt
4

rappresenta l’accelerazione di trascinamento a s del punto P, cioè l’accelerazione che
competerebbe a P se esso nell’istante considerato fosse rigidamente collegato con la

terna mobile. Infine, al vettore  che compare al secondo membro della (2.2.9), tenendo
conto della (2.2.5) e delle Formule di Poisson, può attribuirsi la forma seguente:

  dx
dy  ˆ dz  ˆ 
dy ˆ dz ˆ 
 dx 
 =2    ˆi 
 j 
  k  = 2   ˆi 
j
k =
dt
dt
dt
dt 
 dt

 dt
 
= 2  Vr
(2.2.12)


dove  è la velocità angolare della terna mobile rispetto alla fissa e Vr è la velocità
relativa rispetto alla terna mobile.

Chiamando accelerazione complementare a c l’ultimo termine ora considerato si perviene
alla
 relazione:
  
a a = ar + a s + a c
(2.2.13)
La (2.2.13) traduce il fondamentale teorema delle accelerazioni nel moto relativo. Tale
teorema, dovuto a Coriolis, afferma dunque che:” l’accelerazione assoluta è la somma
geometrica della accelerazione relativa, dell’accelerazione di trascinamento e
dell’accelerazione complementare”. In generale quindi per le accelerazioni non vige, come
per le velocità, il teorema del parallelogramma: componendo l’accelerazione relativa con
l’accelerazione di trascinamento
non si ottiene l’accelerazione assoluta. L’accelerazione

 
complementare: a c = 2  Vr
(2.2.14)
è chiamata anche accelerazione di Coriolis o accelerazione centrifuga composta. Come
rivela la stessa (2.2.14), l’accelerazione complementare contiene concomitantemente
elementi pertinenti al moto relativo (la velocità relativa) ed elementi connessi col moto di
trascinamento (la velocità angolare della terna mobile).In relazione al teorema di Coriolis
segnaliamo tre casi particolari, ma estremamente significativi.
1. Terna mobile traslante rispetto alla fissa. Se la terna mobile è animata di moto
traslatorio rispetto alla fissa, la velocità angolare si azzera e con essa si azzera l’


accelerazione complementare a c = 2  Vr . Il teorema di Coriolis si riduce allora alla
  
forma: a a = a r + a s
(2.2.15)
ove l’accelerazione di trascinamento si identifica con l’accelerazione traslatoria della
terna mobile. Si constata che nel caso considerato sussiste il teorema del
parallelogramma anche per le accelerazioni.
2. Terna mobile traslante di moto rettilineo uniforme rispetto alla terna fissa. In questo
caso particolare ancora si azzera l’accelerazione complementare perché il vettorevelocità-angolare è nullo. Essendo però costante la velocità di trascinamento nel caso
attuale  risulta
 nulla anche l’accelerazione di trascinamento. Dal teorema discende
quindi: a a = a r .
(2.2.16)
L’importante risultato tradotto dalla (2.2.16) può così formularsi: ”l’accelerazione di uno
stesso punto mobile è la medesima nel giudizio di due osservatori, l’uno dei quali si
muova rispetto all’altro di moto traslatorio rettilineo uniforme”.
3. Moto di un punto che scorre senza attrito su una piattaforma rotante: terna mobile

rotante di velocità angolare  costante rispetto ad una terna fissa, con asse di rotazione
5
coincidente a un asse della terna fissa e origine comune; il movimento del punto P
avviene sul piano individuato dagli assi normali all’asse di rotazione. In questo caso
l’accelerazione di trascinamento viene a corrispondere all’accelerazione centripeta del

punto P: avuto riguardo alle Formule di Poisson, a s
può così trasformarsi:

  d2O
d 
d 
d 
d 2 ˆi
d 2 ˆj
d 2k  
a s =  2  x 2  y 2  z 2  = a 0 +x   ˆi +y   ˆj +z   kˆ =
dt
dt
dt
dt
dt
dt 
 dt




 d

 d ˆ 
 x ˆi    ˆi    2 ˆi x+...=
 i      i  +...= a 0 +
= a 0 +x 
dt
 dt





d
 P  O    P  O   2 P  O
= a0 
dt

(2.2.17) L’addendo a 0 è nullo, poichè le origini dei due sistemi di riferimento sono

d
 P  O si annulla, essendo
coincidenti in ogni istante. Anche il secondo addendo
dt

costante la velocità angolare; inoltre, essendo in ogni punto  P  O  (il piattello
scorre sul piano ortogonale all’asse di rotazione), il prodotto scalare tra i due vettori
risulta nullo. Quindi la (2.2.17) si riduce a
(2.2.18)
a s =  2 P  O
 

 
   

 

Z,z

x
X
Vt
O,O'

y
Y
Figura 2
La (2.2.18) rappresenta l’accelerazione centripeta del punto P, che l’osservatore O’ è
costretto ad introdurre per spiegare la deviazione del punto conseguente alla rotazione
della terna mobile se P fosse solidale con la stessa. Il modulo dell’accelerazione di
Corolis risulta immediatamente calcolabile:
a c = 2Vr , perché la velocità del punto e la velocità angolare sono ortogonali, come in
figura 2. Direzione e verso
dell’accelerazione complementare saranno definiti

 
dall’equazione: a c =  2  Vr
(2.2.19)
Nella (2.2.19) è stato introdotto il segno perchè in questo caso è considerato mobile il

sistema di riferimento (O’,X,Y,Z), il quale vedrà ruotare di velocità angolare   l’altro
sistema di riferimento. Infine l’accelerazione relativa rimane invariata. L’accelerazione
assoluta risulta pertanto:
6
   
a a = a r + a c + a centripeta
(2.2.20)
Supponendo che il punto P si muova di moto rettilineo uniforme rispetto alla terna
mobile, l’accelerazione relativa si annulla mentre l’accelerazione assoluta risulta dalla
somma dell’accelerazione di Coriolis con l’accelerazione centripeta.
3. CONSEGUENZE DELLA FORZA DI CORIOLIS SU CORPI IN
MOTO SULLA SUPERFICIE TERRESTRE
3.1 IL MOVIMENTO DI ROTAZIONE DELLA TERRA
La Terra può essere considerata con buona approssimazione una sfera che ruota su se
stessa attorno ad un asse immaginario, detto asse di rotazione ,che passa per il proprio
centro; i punti di intersezione di tale asse con la superficie del pianeta vengono detti poli. Il
moto di rotazione è un moto uniforme, che avviene da ovest verso est con velocità
angolare costante ed il periodo di rotazione prende il nome di giorno sidereo . Tutti i punti

sulla superficie della Terra si muovono con la stessa velocità angolare di rotazione  , ma
la velocità lineare è tanto maggiore quanto più è grande la distanza dall’asse di rotazione.
La velocità angolare è l’angolo al centro corrispondente al tratto di circonferenza percorso
nell’unità di tempo, mentre la velocità lineare è data dal rapporto tra l’arco di circonferenza
e il tempo impiegato a percorrerlo. Nella figura 3 si può notare che l’angolo percorso  e il
tempo che i tre punti A,A’,A’’ ,situati su tre diversi paralleli, impiegano per passare
N
V=187 m/s

A
B
V'=329 m/s

A'
B'
Polo
poloN
V''=465 m/s
A''

B''


A
B
B'
A'
A''
B''
S
equatore
Figura 3
rispettivamente
in B,B’,B’’, sono identici nei tre casi, mentre la lunghezza dell’arco di
parallelo percorso aumenta spostandosi dal polo verso l’equatore.
Pertanto la velocità lineare di rotazione ,al contrario di quella angolare, varia sulla
superficie terrestre in relazione alla latitudine: essa è nulla ai poli, ma aumenta
progressivamente avvicinandosi all’equatore: lungo i circoli polari è di 187 m/s, lungo il
tropico è di 420 m/s e all’equatore è di 465m/s.
7
3.2 EFFETTI DELL’ ACCELERAZIONE DI CORIOLIS SU CORPI IN MOTO SULLA
SUPERFICIE TERRESTRE : LA LEGGE DI FERREL
Ad un osservatore situato in un punto dell’asse di rotazione sufficientemente lontano dalla
Terra, essa appare bidimensionalmente come un disco rotante, quindi è ragionevole
ammettere che le traiettorie di corpi in movimento su di essa appaiano deviate ad
osservatori solidali con la superficie del pianeta, sulla base delle considerazioni fatte in
merito al moto di un punto su una piattaforma rotante. Ci proponiamo ora di determinare
l’entità dell’accelerazione responsabile di tale deviazione, in funzione della velocità del
corpo sulla superficie. Per riportarci al caso precedentemente analizzato dovremo
considerare la componente del vettore velocità parallela al piano dell’equatore terrestre.
Come da figura 4, tale componente dipende, oltre che dal modulo della velocità, dalla
latitudine in cui si trova il corpo.
N

Vd


V

Vd
polo N
S
equatore
Figura 4
Se un corpo si muove i direzione dei meridiani il modulo della componente vettoriale della
velocità parallela al piano equatoriale è pertanto: Ve  V sen  , dove l è la latitudine

espressa in gradi. Detta Vd la velocità del corpo sulla superficie, l’accelerazione di Coriolis
apparentemente applicata sul corpo è: A c  2Vd sen  .
(3.2.1)
Senza ricorrere al caso particolare della piattaforma rotante,
possiamo ottenere gli stessi

 
risultati partendo dalla più generale formula a c =  2  V , considerando l’angolo formato


tra  e Vd , che vale
(90°+quando il vettore-velocitàha la direzione dei
meridiani,come da figura 4Dal prodotto vettoriale risulta:
(3.2.2)
A c  2Vd sen    2Vd sen 
8

Il vettore A c avrà una direzione parallela alla superficie e, nel caso rappresentato in
figura, sarà entrante. Questo secondo approccio ci permette inoltre di calcolare
l’accelerazione complementare quando un corpo si muove in direzione dei paralleli: anche
in questo caso come da figura 5, risulta
(3.2.3)
A cs  2Vd sen 
N
N

Acp
Ac


.
V
Acs
Vp

Vm
Vd

S
Figura 5
S
Figura 6



A c sarà normale al piano di giacenza di  e Vd , quindi non diretto lungo

la superficie. La componente vettoriale superficiale di A c sarà
(3.2.4)
A cs = A c sen 
mentre la componente sulla verticale del punto sarà A cp = A c cos  .
A questo punto è possibile generalizzare i risultati ottenuti a qualunque vettore-velocità
superficiale una volta conosciuto l‘angolo formato col meridiano locale, in funzione del
quale esprimiamo le due componenti vettoriali della velocità, come da figura 6.
1. componente lungo il parallelo: Vp  Vd sen 
(3.2.5)
2. componente lungo il meridiano: Vm  Vd cos 
(3.2.6)
Ciascuna delle due componenti vettoriali contribuisce indipendentemente a determinare
un’accelerazione complementare sul punto mobile, sulla base delle considerazioni fatte
precedentemente.

1. A cp , dovuta a Vp , ha direzione del meridiano locale e vale:

ˆ
A cp = 2Vd sen  sen m
(3.2.7)

2. A cm , dovuta a Vm , ha direzione del parallelo e vale:

(3.2.8)
A cm = 2Vd cos  sen pˆ
Infatti il vettore
9
L’accelerazione totale a cui il punto mobile è soggetto risulta dalla somma vettoriale delle
due

 componenti
 sopra calcolate:
(3.2.9)
A cTOT = A cp + A cm
A cTOT  42 Vd sen 2  sen 2   42 Vd cos2  sen 2 
(3.2.10)
da cui
(3.2.11)
A cTOT = 2Vd sen 

Il vettore A cTOT è sempre perpendicolare, sulla superficie terrestre, alla velocità di un
corpo, è proporzionale al modulo della velocità ed è indipendente dalla direzione del moto:
il parametro  scompare delle equazioni dopo opportune semplificazioni. La (3.2.11)
esprime inoltre che l’accelerazione di Coriolis dipende dal seno della latitudine, per cui è
massima ai poli e minima all’equatore, dove diviene trascurabile. L’effetto della forza di
Coriolis su corpi in moto sulla superficie terrestre è stato codificato in geografia dalla legge
di Ferrel : “ogni corpo libero di muoversi sulla superficie terrestre viene deviato verso la
sua destra nell’emisfero settentrionale e verso la sua sinistra nel’ emisfero meridionale”.
Questa legge permette una descrizione qualitativa della deviazione, tenendo conto che la
direzione del vettore risultante dal prodotto vettoriale è perpendicolare al piano formato
dalla velocità angolare di rotazione e dalla velocità del corpo, mentre il verso è quello di
avanzamento di una vite sinistrorsa.
2
2
3.3 VENTI IN QUOTA: LA DINAMICA DEI VENTI GEOSTROFICI
Per effetto dell’accelerazione di Coriolis anche i venti, in quanto corpi in movimento,
subiscono una deviazione proporzionale alla loro velocità. I venti sono correnti d’aria che
si generano tra due zone contigue della superficie terrestre con differenti valori di
pressione e tendono a ristabilire l’equilibrio barico, cioè si spostano dalle zone di alta
pressione verso quelle di bassa pressione, muovendosi nella direzione in cui, a parità di
distanza, la pressione si abbassa maggiormente. Vale a dire che i venti si muovono nella
direzione del gradiente barico, intendendo con tale termine il rapporto tra la differenza di
pressione tra due punti situati su due isobare di valore diverso e la distanza che li separa.
A latitudini medie ed elevate, a quote superiori a 3000m., a causa della forza di Coriolis, il
vento non scorre più perpendicolarmente alle isobare (vento di gradiente), ma segue la
direzione delle isobare. Il comportamento di tale vento, definito geostrofico ,è stato
codificato dalla Legge di Buys Ballot , legge empirica formulata dal meteorologo olandese
basata su due nozioni fondamentali:
1. Nell’emisfero settentrionale le alte pressioni si trovano a destra e le basse a sinistra
della traiettoria percorsa dal vento geostrofico, mentre nell’emisfero meridionale
avviene il contrario.
2. Più le isobare sono ravvicinate maggiore è l’intensità del vento.
Questo vento si spiega con la composizione di tre forze:
1. Forza del gradiente, inversamente proporzionale allo scarto delle isobare, che si
esprime, per unità di massa, con la formula
g
Fg =
(3.3.1)

in cui  è la densità dell’aria e g la derivata della pressione in rapporto alla direzione
della normale alle isobare
10
 p
(3.3.2)

n
se questa forza agisse da sola, diretta verso le pressioni decrescenti, l’aria scorrerebbe
perpendicolarmente alle isobare.
2. Forza di Coriolis, che devia il movimento verso destra nell’emisfero Nord, verso sinistra
nell’emisfero Sud. La rotazione si arresterà quando il vento raggiungerà la direzione
delle isobare, perché è impossibile che il vento soffi in senso opposto al gradiente. A
questo punto si raggiunge l’equilibrio tra la forza di Coriolis e quella di gradiente, come
in
figura7:
g
Fg
Fg
V
Fg
V
Fc
V
1018mb
Fc
Fc
1017mb
1019mb
1020mb
1021mb
1022mb
Fg
Figura 7
V
Fc
1023mb
3. Forza ciclostrofica, che rappresenta la forza centrifuga a cui è sottoposta una corrente
d’aria che percorre una traiettoria curva, pertanto essa si manifesta quando le isobare
sono curve ed è diretta verso l’esterno della curva. Come per il moto circolare uniforme:
V2
(3.3.3)
Fcy 
R
Nella (3.3.3) V rappresenta la velocità istantanea del vento ed R il raggio di curvatura.
La composizione delle tre forze è diversa a seconda che si tratti di un ciclone o di un
anticiclone, perché il gradiente rivolto nei due casi rispettivamente all’interno e all’esterno
della curva descritta dalla traiettoria. Quando il vento diviene geostrofico significa che le
tre forze si annullano e le equazioni saranno , nel caso dell’anticiclone:
g V2
+
- 2V sen  =0
(3.3.4)
 R
e nel caso della depressione:
g V2
- +
+ 2V sen  =0
(3.3.5)
 R
nelle quali V rappresenta il modulo della componente vettoriale della velocità e la
latitudine.
Combinando le due equazioni e ordinando i termini secondo un’equazione di 2° grado in
V, si ha l’equazione generale del vento geostrofico:
V2
g
+ 2Vd sen  - =0
(3.3.6)

R

Discutendo questa equazione è dimostrabile che i possibili valori di V sono illimitati
superiormente nel caso delle depressioni; al contrario, negli anticicloni, affinchè
11
l’equazione abbia radici reali, occorre che g  R sen   , quindi il valore massimale di V
in un anticiclone sarà:
V= R sen 
(3.3.7)
Si comprende così il motivo per cui i venti siano più deboli negli anticloni che nelle
depressioni.
2
3. 4 VENTO AL SUOLO
La traiettoria delle correnti d’aria più vicine al suolo viene notevolmente influenzata dalla
forza d’attrito Ff . Questa forza tende innanzitutto a rallentare la velocità, di conseguenza
devia il vento geostrofico verso le basse pressioni. Infatti essa si compone con la forza di
Coriolis per dare una risultante Ff , opposta alla forza di gradiente, che ha intensità
inferiore alla sola forza di Coriolis. Sugli oceani, dove la forza d’attrito è debole, la velocità
del vento raggiunge il 70% del vento geostrofico e l’angolo con l’isobara varia da 10° a
20°. Sul continente V raggiunge il 40% del vento geostrofico e l’angolo formato con
l’isobara è di 40°-50°. Per questo motivo anticicloni e depressioni sono meno duraturi sul
continente che sul mare. Nel caso delle isobare rettilinee la forza di Coriolis equilibra Fg ; si
ha dunque
g
= 2V sen 
(3.4.1)

in cui si nota che la velocità è proporzionale al gradiente barico e inversamente
proporzionale al seno della latitudine; perciò il vento è più forte, a parità di condizioni, a
latitudini basse.
4. CIRCOLAZIONE ATMOSFERICA
4.1CLASSIFICAZIONE DEI VENTI
I venti si identificano secondo il punto dell’orizzonte da cui provengono, che comunemente
espresso dai punti cardinale o dai punti intermedi. I venti vengono classificati inoltre in
base all’entità degli spostamenti orizzontali delle masse d’aria in:
1. movimenti su grande scala, o venti planetari, provocati da costanti dislivelli barici a loro
volta determinati da una non omogenea distribuzione dell’energia solare nelle varie
zone della superficie terrestre, provocando spostamenti che superano i 2000km.
2. movimenti su scala media, o perturbazioni cicloniche, spostamenti di masse d’aria da
500 a 2000 km provocati prevalentemente dalla differenze di temperatura che si
instaurano sugli oceani e sui continenti per il differenziato riscaldamento delle acque e
della crosta terrestre.
3. movimenti su piccola scala, o venti locali, spostamenti di masse d’aria lungo percorsi
che vanno da 10 a 500 km e sono per lo più provocati da interferenze della morfologia
dei singoli territori sui movimenti su scala grande o media; di questi ultimi non
tratteremo per la presenza di fattori geomorfologici particolari che impediscono una
trattazione generalizzata.
12
4.2 I MOVIMENTI SU GRANDE SCALA
Nel considerare l’andamento generale delle pressioni e dei venti su tutta la superficie
terrestre occorre comunque fare una distinzione su quanto avviene nella bassa
troposfera, dove la circolazione delle masse d’aria è influenzata dall’attrito col suolo, e
nell’alta troposfera, cioè in quota, dove non si fa sentire il diverso comportamento termico
delle terre e delle acque, né l’influenza dell’attrito fra suolo e aria.
Nella bassa troposfera la distribuzione delle pressioni e la circolazione dei venti è
determinata principalmente dal diverso riscaldamento solare alle diverse latitudini. I
movimenti orizzontali sono spostamenti di masse d’aria che avvengono parallelamente
alla superficie terrestre da una zona di alta a una di bassa pressione, come visto nel
paragrafo 3.4. Le zone di bassa pressione si creano ogni volta che nell’atmosfera le
condizioni sono tali per cui, conseguentemente all’irraggiamento solare, la temperatura
dell’aria in vicinanza della superficie terrestre è maggiore di quella degli strati d’aria
sovrastanti. In questi casi si parla di instabilità verticale dell’aria: l’aria calda, meno densa,
tende a salire, determinando un calo di pressione, mentre l’aria fredda più densa viene
aspirata dalle zone circostanti e prende il posto di quella che sale. Per azione di gravità,
gli strati più freddi e densi discendono spingendo a loro volta verso l’alto la zona inferiore
più calda. Si stabilisce così nella massa del fluido una circolazione continua, nota come
convezione. Le celle convettive che si stabiliscono nello spessore della troposfera
raggiungono lo scopo di far rimescolare l’aria distribuendo uniformemente la temperatura.
Il ristabilimento dell’equilibrio termico si realizza dunque grazie a spostamenti di masse
d’aria, calda e fredda, il cui andamento viene determinato dalle zone di alta e bassa
pressione. Attualmente si ritiene che nella troposfera, per ogni emisfero, si stabiliscano tre
celle convettive contigue: una cella equatoriale, da 0° a circa 30° di latitudine, una cella
temperata, da circa 30° a circa 60°, una cella polare, da circa 60° a circa 90°, come
rappresentato dalla figura 8.
Figura 8
13
In conseguenza del costituirsi di queste celle si formerebbero i grandi movimenti delle
masse d’aria atmosferica. Un flusso d’aria scorre dai tropici all’equatore, dove il forte
riscaldamento genera un flusso ascendente d’aria calda e umida (bassa pressione) che
torna al suolo al livello dei tropici. Questi venti, detti alisei o venti tropicali orientali, non
seguono il gradiente di pressione, ma vengono deviati per la forza di Coriolis nelle
modalità descritte al paragrafo 3.4; essi sono considerati venti costanti e la loro velocità
media è di circa 20 km/h. In corrispondenza della cella temperata a livello del suolo
spirano i venti occidentali, provenienti ancora dalle zone di alta pressione tropicale e diretti
verso le basse pressioni subpolari, anch’essi deviati nelle modalità descritte nel paragrafo
3.3. Infine alle alte latitudini spirano i venti orientali polari, diretti dalle zone delle alte
pressioni polari, determinate dal movimento discendente delle masse d’aria rese pesanti
dal raffreddamento, alle basse pressioni delle medie latitudini.
Nell’alta troposfera la circolazione delle masse d’aria ha caratteristiche del tutto diverse da
quelle proprie della circolazione negli strati più vicini alla superficie terrestre. Infatti, poiché
viene a mancare l’azione frenante dell’attrito esercitato dal suolo, la velocità dei venti
aumenta con la quota. Inoltre, a causa del diverso spessore della troposfera ai poli e
all’equatore, si invertono le condizioni bariche: intorno ai 5000m di latitudine, la pressione
atmosferica sulla zona equatoriale risulta essere più alta di quella esistente ai poli. In
queste condizioni i venti spirano dalle zone subtropicali alle polari e dalle zone
subtropicali all’equatore. Il moto di rotazione terrestre, però, determina una deviazione,
secondo le modalità descritte nel paragrafo 3.4 per le isobare rettilinee, trasformando i
primi in correnti occidentali (le isobare hanno la direzione dei paralleli a queste quote) i
secondi in correnti orientali che occupano quindi una fascia ristretta tra i tropici. Nelle
zone temperate le correnti occidentali raggiungono velocità elevatissime, dando origine
alle cosiddette correnti a getto, o jet-streams, come furono chiamate dagli aviatori
americani che le scoprirono nel 1945 all’altezza delle coste giapponesi. Sono dei venti che
scorrono alla velocità di 400-500 km/h sulle zone temperate ad un’altezza variabile
compresa tra i 6000 e i 7000 metri d’altezza, sono lunghe qualche migliaio di kilometri,
larghe qualche centinaio di kilometri e spesse qualche kilometro. In ogni emisfero le
correnti a getto sono due: una corrente a getto subtropicale, compresa tra i 25° e 30° di
latitudine e una corrente a getto polare, compresa tra 45° e 60° di latitudine. Le correnti a
getto non soffiano con velocità costante e durante l’anno cambiano direzione e posizione:
si spostano verso il polo durante l’estate e verso le basse latitudini durante l’inverno.
4.3 I MOVIMENTI SU SCALA MEDIA
Sono considerati movimenti su scala media i monsoni, venti periodici che invertono la lo
direzione a seconda della stagione. Durante l’estate boreale spirano dall’equatore verso il
continente asiatico e in senso opposto durante l’inverno. Pertanto essi presentano
rispettivamente nei due casi direzioni sudovest e nordest. Il loro particolare
comportamento viene spiegato con la teoria del contrasto termico stagionale tra
continente e oceano e con lo spostamento in latitudine verso l’emisfero in cui è estate
della corrente occidentale equatoriale, che soffia tutto l’anno ad una altezza di circa 1000
m. Accanto alle aree di alta e di bassa pressione, legate alla circolazione generale della
troposfera, esistono aree cicloniche e anticicloniche che non sono permanenti, ma locali e
temporanee. Esse vengono denominate perturbazioni atmosferiche e si possono
distinguere in cicloni extratropicali, che interessano le regioni poste alle medie latitudini e i
cicloni tropicali, che interessano le basse latitudini.
14
La formazione dei cicloni extratropicali è legata all’incontro di masse d’aria (porzioni di
atmosfera all’interno delle quali non si hanno brusche variazioni di temperatura, umidità e
quindi densità: esse si formano quando l’aria staziona a lungo su una superficie oceanica
o continentale, sulla quale si verificano condizioni ambientali stabili per centinaia e migliaia
di kilometri) con caratteristiche diverse. Quando due masse d’aria con differenti
caratteristiche vengono a contatto, non si mescolano immediatamente tra loro, ma si
forma una superficie di discontinuità detta fronte. Quando una massa d’aria fredda
raggiunge una massa d’aria calda la prima si incunea sotto la seconda, costringendola a
salire in quota; in questo caso si parla di fronte freddo. Quando una massa d’aria calda
raggiunge una massa d’aria fredda la prima tende a scivolare sopra la seconda salendo in
quota e si parla in questo caso di fronte caldo. In entrambe i casi il movimento
ascensionale comporta un calo della pressione, determinando una rotazione dei venti
attorno alla zona interessata, secondo le modalità descritte nei paragrafi 3.3 e 3.4
rispettivamente per i venti in quota e quelli vicini alla superficie terrestre. Nella zona
compresa fra i due tropici si originano, secondo meccanismi ancora poco chiari, sopra le
superfici marine, i cicloni tropicali, profondissime depressioni bariche di limitata estensione
(150-200 kilometri). Essi sono costituiti da un occhio, cioè un’area interna di convergenza,
corrispondente al minimo pressorio, circondata da un anello esterno formato da un denso
spessore di nubi. La fascia esterna del ciclone è percorsa da venti violentissimi, in
particolar modo in quota, dove il vento diviene espressamente ciclostrofico.
Di natura ben diversa dei cicloni tropicali sono i tornados, che consistono in vortici di aria
di piccolo diametro ma di grandissima intensità, che si estendono verso il basso a partire
da una nube temporalesca.
5. CORRENTI OCEANICHE
5.1 CLASSIFICAZIONE DELLE CORRENTI OCEANICHE
Le correnti sono enormi masse d’acqua che si spostano da una zona all’altra dell’oceano.
Esse si distinguono in orizzontali o verticali, a seconda che si muovano parallelamente o
perpendicolarmente alla superficie. Le correnti verticali vengono divise in ascendenti e
discendenti, mentre quelle orizzontali possono essere superficiali o profonde. Le correnti
superficiali sono le meglio conosciute: interessano uno spessore non superiore ai 200 m e
hanno una velocità che in genere è inferiore a 0,5 km/h. Infine nei mari chiusi si possono
formare correnti su piccola scala a causa di differenze di salinità e temperatura delle
masse d’acqua.
5.2 CORRENTI OCEANICHE SUPERFICIALI
Le forze che provocano le correnti oceaniche superficiali sono rappresentate dai venti che
soffiano a lungo nella stessa direzione, come alisei, venti occidentali, venti polari e
monsoni. Pertanto c’è una notevole somiglianza tra l’andamento della circolazione
nell’atmosfera e i movimenti delle grandi correnti oceaniche. In genere le correnti calde
provengono dall’equatore e si muovono verso i poli mentre le correnti fredde scorrono in
direzione opposta. Le correnti superficiali subiscono, come tutte le masse che si muovono
liberamente sulla superficie terrestre, l’influenza della rotazione terrestre e la direzione di
scorrimento è determinata, in parte, dall’effetto Coriolis: le masse d’acqua in movimento
sono soggette anch’esse alla legge di Ferrel. Per questo la direzione delle correnti non
15
coincide esattamente con quella del vento, ma è deviata rispetto a questo di un angolo
variabile tra i 15° e i 45°. In ogni bacino tendono perciò a crearsi veri e propri circuiti
chiusi, nei quali le masse d’acqua si muovono in senso orario nel nostro emisfero, in
senso antiorario in quello meridionale. Secondo il modello di Ekman, il vento agisce sulle
particelle superficiali della massa d’acqua, le quali non si spostano nella direzione della
corrente d’aria, ma deviano secondo la legge di Ferrel, inoltre trasferiscono l’energia
ricevuta allo strato immediatamente sottostante causandone il movimento; tuttavia questo
secondo strato d’acqua si muove in una direzione ulteriormente deviata. Il movimento
viene trasmesso in questo modo agli strati più profondi; a una profondità di circa 100 m le
deviazioni successive imprimono all’acqua un movimento in direzione perpendicolare
rispetto al vento che spira in superficie. Vi è inoltre una diminuzione progressiva della
velocità, che causa l’indebolimento della corrente in profondità. Ulteriori deviazioni
possono essere causate da differenze di salinità o di densità delle masse d’acqua che
vengono a contatto.
Figura 9
Un esempio tipico di corrente superficiale il cui movimento è provocato dall’azione dei
venti costanti è la Corrente circumpolare antartica, che scorre attorno all’Antartide spinta
dai venti occidentali dell’emisfero australe. Le sue principali diramazioni, che si dipartono
dal flusso principale per effetto della forza di Coriolis, sono la Corrente delle Falkland e la
Corrente del Cile meridionale o di Humboldt , nel Pacifico sudorientale. In prossimità
dell’equatore si osservano, nelle regioni tropicali australi, correnti che fluiscono lungo le
coste occidentali dell’America e dell’Africa, dovute agli alisei di sud-est, che trascinano
l’acqua della superficie verso il largo: l’acqua più profonda, più fredda, risale per
compensazione e trascina ulteriori masse d’acqua a sua volta; pertanto le correnti che si
formano (del Perù e del Benguela) sono fredde. La risalita di acque fredde determina,
sulle coste che esse lambiscono la formazione di deserti; lo stesso fenomeno si manifesta
nell’emisfero nord ad opera degli alisei da nordest, sulle coste della California meridionale
e della Mauritania. Le correnti fredde delle coste occidentali avanzando verso l’equatore
sono sempre più deviate, quelle nell’emisfero boreale verso destra, nell’emisfero australe
verso sinistra. Esse formano così nell’Atlantico e nel Pacifico le Correnti nord e
sudequatoriali, che circolano da est a ovest nei due emisferi, aumentando
progressivamente di temperatura, e che proseguono come correnti calde provenienti dalle
regioni equatoriali dirette verso latitudini più elevate. Tali correnti scorrono lungo le coste
orientali dei continenti (Brasile, Australia), di conseguenza tali coste, al contrario di quelle
16
occidentali, godono di precipitazioni più abbondanti. Tra le Correnti nord e sudequatoriali
dell’Atlantico e del Pacifico fluiscono, in senso inverso, le Contro correnti equatoriali,
anch’esse calde. Va considerato a parte, nelle regioni equatoriali, l’Oceano Indiano, nel
quale le correnti superficiali risentono dell’inversione del monsone che avviene due volte
l’anno e determina una perturbazione nella circolazione che è del tipo sopra considerato
solo durante l’inverno boreale, mentre durante l’estate si inverte a nord dell’equatore.
Nello stesso bacino oceanico è invece costante la Corrente del Mozambico, diretta
dall’equatore verso sud che non presenta caratteri di periodicità. Nelle regioni boreali la
circolazione oceanica procede dalla correnti nord equatoriali, dalle quali hanno origine
nell’Atlantico la Corrente del Golfo e nel Pacifico la corrente Kuroshio. Queste correnti
sono accompagnate sulla sinistra, a partire dal punto in cui si allontanano dalle coste
americane (Capo Hatteras) e giapponesi (Tokio), da altre correnti aventi senso inverso.
Anche le acque profonde sono sottoposte a movimenti, causati da differenze di salinità e
temperatura esistenti tra masse d’acqua diverse. Esse sono indipendenti dalle correnti
superficiali, mentre il loro andamento è più complesso e meno noto, pertanto non è
possibile individuare una precisa relazione tra il loro moto e la forza di Coriolis. Le stesse
considerazioni devono essere fatte in merito alle correnti su piccola scala, il cui
andamento è influenzato invece dalla conformazione delle coste e dalla variazione di
profondità del fondale.
Figura 10
6. ULTERIORI CONSEGUENZE DELLA FORZA DI CORIOLIS
6.1 SENSO DI ROTAZIONE DEI VORTICI
17
L’esperienza ci dice che nei due emisferi è opposto il senso di rotazione dei vortici
d’acqua che si formano, ad esempio, all’apertura dello scarico di un lavello; questo
comportamento della massa d’acqua può essere assimilato a quello delle masse d’aria in
presenza di una depressione: in entrambe i casi le masse fluide tendono a convergere in
un punto (l’acqua per effetto della gravità, l’aria per la presenza di un gradiente barico),
ed entrambe, in quanto corpi in movimento in prossimità della superficie terrestre, sono
soggette al moto di rotazione del pianeta, quindi alla forza di Coriolis, che tende a
raggiungere un equilibrio dinamico con la forza o di gradiente, o gravitazionale. Come per
il vento a bassa quota, che a causa dell’attrito col suolo non assume le caratteristiche
proprie del moto geostrofico, ma tende ad orientarsi verso le basse pressioni, così l’acqua,
per l’attrito con la superficie di scorrimento, continua a convergere verso lo scarico. In virtù
delle non elevate velocità che la massa d’acqua raggiunge in questo caso, l’effetto della
forza di Coriolis è minimo, e si rende percepibile solamente se non vi è una rotazione
preesistente, se il contenitore presenta simmetria circolare, senza irregolarità, se il foro di
scarico si trova esattamente al centro del contenitore.
6.2 DEVIAZIONE DEI PROIETTILI: IL CASO ESEMPLARE DELLA BATTAGLIA NAVALE
PRESSO LE ISOLE FALKLAND NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
Anche se l’accelerazione di Coriolis dovuta alla rotazione terrestre vale al massimo
0.0338 m/ s 2 , i suoi affetti non possono essere sempre trascurati, soprattutto se il corpo si
muove a velocità elevata e per un tempo abbastanza lungo, come nel caso di un proiettile
d’artiglieria. E’ rimasto famoso il caso della battaglia navale delle Falkland, durante il
primo conflitto mondiale, tra gli inglesi e la piccola flotta tedesca di stanza nel Pacifico,
comandata dall’ammiraglio Von Spee. Dopo che Giapponesi, Australiani e Neozelandesi
si furono impadroniti delle isole e dei territori appartenuti dalla Germania (Nuova Guinea
tedesca, arcipelago Bismark, isole Gilbert e Carolina, isole Samoa e isole Marshall),
l’ammiraglio raggiunse le coste del Cile, dove, presso Coronel, sbaragliò una formazione
inglese. L’8 dicembre 1914 la flotta tedesca, mentre proseguiva la rotta verso la
Germania, fu affrontata nelle acque a sud-est dell’arcipelago delle Malvinas dalle navi
britanniche, i cui colpi, per quanto ben diretti, giungevano circa cento metri a sinistra delle
navi nemiche: le Falkland si trovano infatti nell’emisfero australe, abbastanza vicine al
polo sud (52° parallelo S) e quindi nelle condizioni in cui un proiettile sparato
orizzontalmente in direzione nord-sud ha una forte componente della velocità
perpendicolare all’asse di rotazione; in queste condizioni la forza di Coriolis è abbastanza
vicina al suo valore massimo. Nonostante questo inconveniente la flotta inglese,
ottimamente guidata da Sir Doveton Sturdee, trionfò sui tedeschi e questa vittoria fu
decisiva per le sorti della guerra: la Germania abbandonò il fronte del Pacifico e di lì a
poco perderà tutte le colonie in Africa.
18
Figura 11
6.3 EFFETTO-CORIOLIS AL DI FUORI DEL PIANETA TERRA: LA GRANDE MACCHIA
ROSSA NELL’ ATMOSFERA DI GIOVE
Il pianeta Giove è un corpo celeste 1400 volte più grande della Terra, con una velocità
equatoriale che è circa 25 volte superiore a quella terreste. Gli effetti rotazionali sulle
dinamiche della densa e spessa atmosfera che lo avvolge sono pertanto estremamente
significativi. Su Giove è tuttora presente la più imponente, potente e duratura
perturbazione atmosferica mai osservata nel sistema solare: si tratta di un anticiclone, che
pare una grande macchia rossa nella porzione superiore della coltre gassosa che avvolge
il pianeta. Essa fu scoperta nel 1660 dal fisico inglese Robert Hooke e,
contemporaneamente, dall’italiano Cassini. Solo nel ventesimo secolo, grazie agli studi
dell’astronomo americano Gerard Kuiper, si fece strada l’idea che si trattasse di una
violenta tempesta. La Grande Macchia Rossa oggi ha un diametro superiore a quello
terrestre, comunque forma e dimensioni sono variate nel corso del tempo: ora si trova
nell’emisfero meridionale e ruota in senso antiorario (da ciò immediatamente capiamo
che s tratta di un anticiclone). Il suo colore è dovuto all’alta concentrazione di fosforo e
zolfo presenti. Alcuni dati su questo fenomeno atmosferico sono stati raccolti dalle sonde
Voyager, inviate sul pianeta negli anni ’70, che però si sono potute addentrare
nell’atmosfera per soli 20 Km; sono stati comunque elaborati alcuni modelli sulla struttura
di Giove per spiegare le caratteristiche della Grande macchia Rossa: Giove irradia più
energia di quanta non ne riceva dal Sole e questo calore interno è il motore principale
delle dinamiche atmosferiche. Una fonte energetica è il decadimento radioattivo di
elementi instabili, l’altro è il calore conservato negli strati più interni in seguito alla
contrazione da nuvola proto-planetaria a pianeta vero e proprio. Ma le sorgenti
energetiche della Macchia Rossa potrebbero anche essere altre: sulla Terra gli uragani
sono in parte mossi dal calore rilasciato nell’atmosfera quando le gocce d’acqua
condensano: un simile meccanismo potrebbe interessare i gas e i vapori dell’atmosfera
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gioviana. Infine è stato osservato dalla sonda Galileo, nel 1995, un comportamento
“cannibalistico” dell’anticiclone nei confronti di vortici contigui e ciò costituirebbe
un’ulteriore fonte di energia.
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