Incontro con Alessandro Aresu per la presentazione del suo libro FILOSOFIA DELLA NAVIGAZIONE (Tascabili Bompiani) Brani scelti letti da Xenia Bevitori e Massimiliano Borghesi Introduzione di Mauro Barberis Caffè San Marco, Trieste, 19 maggio 2007 Valentina Volpe Buonasera a tutti e Benvenuti a quest’incontro organizzato dagli Amici del Caffè Gambrinus, di cui innanzitutto ringrazio il Presidente Giovanni Esposito per aver accolto, con l’entusiasmo che lo contraddistingue, l’idea di dedicare questo nostro incontro alla presentazione del libro “Filosofia della Navigazione” e al suo giovanissimo autore Alessandro Aresu. La scelta dell’Antico Caffè San Marco come cornice dell’evento non è stata casuale, la nostra Associazione dedicata ad uno dei più celebri caffè storici di Napoli, ha sempre immaginato questi naturali luoghi di relazione, come luoghi d’incontro e di diffusione di cultura. Ringrazio di cuore i nostri ospiti di questa sera. E un primo grazie va al Prof. Barberis, ordinario di filosofia del diritto all’Università di Trieste, che per la maggior parte di noi non ha certo bisogno di presentazioni, per la disponibilità dimostrataci fin dal primo momento, aderendo e sostenendo questo nostro incontro. Un grazie va poi naturalmente all’autore, il giovanissimo Alessandro Aresu, classe 1983, che a soli 22 anni, ha pubblicato per Bompiani, il suo libro d’esordio, che presentiamo qui oggi, Filosofia della Navigazione; un viaggio, in chiave filosofico – letteraria, che tocca tutti i grandi del pensiero da Shakespeare a Melville, da Dante a Coleridge, da Tommaso Moro a Sant’Agostino. Aresu è allievo, tra gli altri, di Guido Rossi, Enzo Bianchi e Massimo Cacciari, che ha curato l‘introduzione del libro e, in realtà, - e questa è una piccola curiosità- anche del Prof Barberis, sebbene a distanza, in quanto Alessandro ha studiato sui suoi manuali. E infine un grazie particolarmente sentito ed affettuoso va agli attori ed amici Massimiliano Borghesi e Xenia Bevitori che hanno allestito per noi quest’oggi delle vere e proprie piccole epifanie teatrali, dialogando con l’autore sui versi della Tempesta di Shakespeare. Concludo dicendovi che non è stato casuale voler presentare in questa città di mare e di vele un libro che parla di orizzonti azzurri… soprattutto se a scriverlo è stato un giovane autore sardo, se il pubblico è triestino e napoletano assieme e se ad introdurlo è un professore genovese a cui passo immediatamente la parola. Grazie Mauro Barberis Filosofia della navigazione è il libro di esordio di un filosofo ventiquattrenne, Alessandro Aresu, eppure, o forse proprio per questo, ha avuto recensioni straordinarie. Il maestro di Aresu, Massimo Cacciari ha pubblicato la propria introduzione al libro, sulla quale avremo occasione di ritornare, sulle pagine culturali di Repubblica; Govanni Reale, nella sua vecchiaia assediata dagli incubi del comunismo, si è degnato di parlarne in termini lusinghieri sul Corriere della Sera; e persino l’Avvenire ha sospeso per un attimo le sue crociate contro i nemici della vita e della famiglia per scrivere che Aresu ha “la freschezza, l’entusiasmo, l’irriverenza anche di un giovane Socrate”. Io che quando mi arriva un libro vado subito a vedere nell’indice dei nomi se sono stato citato più o meno volte di Aristotele, sono stato preso da un attacco d’invidia. Come se non bastasse, ho anche il problema di presentarvi il libro del nostro giovane Socrate: che poi vuol dire essenzialmente parlarne bene, secondo l’aureo motto accademico “cane non mangia cane”. Ora, io non avrei nessuna difficoltà a parlarne bene, anzi entusiasticamente: ma ho un problema. Vi rivelerò un segreto: le presentazioni migliori di un libro sono quelle in cui il presentatore non lo ha letto. E si capisce: basta che il presentatore sappia qualcosa sull’autore, ricami un po’ sul titolo, sperando che corrisponda al contenuto, legga qualche recensione, sperando che almeno i recensori il libro l’abbiano letto, e poi ne parli bene, in modo da non provocare polemiche che rivelerebbero la sua totale ignoranza dei contenuti. Ebbene, io non posso fare così perché, in un momento di distrazione, il libro l’ho letto, dalla prima all’ultima pagina: e come faccio ha parlar bene di un libro che ho letto? Al massimo, avrei potuto parlarne bene se non l’avessi letto. Comunque sia, farò così. Anzitutto vi parlerò dell’introduzione di Cacciari. Ecco, a lode di Aresu bisogna dire che ci vuole un bel coraggio a chidere un’introduzione a Cacciari: potrebbe rispondervi con una sfuriata teologica, come ha fatto qualche tempo fa con la cardinalesca Ersilia Tonini, oppure peggio potrebbe mandarvi un’introduzione in tedesco, o in greco, oppure direttamente in aramaico. Invece Aresu , oltreché coraggioso, è stato anche fortunato: l’introduzione è scritta quasi in italiano, invece che nel solito gramelot italo-grecotedesco. Che cosa poi dica è un profondo problema esegetico, la cui soluzione lascio a lettori più intelligenti di me. Il libro vero e proprio invece, è fatto così: ci sono sei capitoli in cui Aresu ha raccolto le sue letture giovanili – con la sola eccezione di Tex Willer – legandole insieme con il motivo delle metafore della navigazione. Così, il primo capitolo si occupa essenzialmente di Platone, inventore della filosofia occidentale e grande utilizzatore di metafore marinaresche, come quel del timoniere o governante della città; nel secondo capitolo si parla dei viaggi dell’Ulisse dantesco e dell’Achab melvilliano; l’argomento del tero è l’Utopia di Tommaso Moro, come negazione dell’idea del viaggio; nel quarto, ci si sofferma sulla tempesta di Shakespeare, che sarà oggetto di drammatizzazione fra poco; nel quinto si tratta dell’ambivalenza nei confronti del mare dei filosofi ottocenteschi, come Kant, Hegel e Nietzsche, che personalmente sospetto non sapessero neanche nuotare; l’ultimo capitolo è dedicato alle mitologie marinaresche di Alexandre Kojève e Carl Schmitt. Tutto quel che posso dirvi è che il libro è scritto in italiano e anzi scritto molto bene - anche per questo, inavvertitamente, l’ho letto – è pieno di osservazioni intelligenti, che mostrano un autore il quale, quando deciderà di fare sul serio, compirà indubbiamente sfracelli. Personalmente preferisco un altro genere di letteratura filosofica, come si sarà capito: che è sempre letteratura, dunque dev’essere scritta bene e comprensibile al lettore cui si rivolge, ma ha parametri letterari un po’ diversi da quelli seguiti in questo divertissement giovanile. Per usare le metafore di Platone e di Aresu, la letteratura filosofica non è una prima navigazione, con il vento in poppa dell’ispirazione e dell’entusiasmo, ma una seconda navigazione, arrancando a forza di remi. Fuor di metafora. Una cosa è la filosofia tradizionale, coltivata da Aresu, che parte da intuizioni, suggestioni letterarie, associazioni d’idee e prosegue a vele spiegate verso il porto della verità, ponendosi problemi da talk show come chi siamo, dove andiamo, cosa c’è dietro l’angolo. Fra tutte le citazioni di Aresu, in effetti, mi sembra manchi questa, tratta da Le opere e i giorni di Esiodo, che mi pare rappresenti un po’ l’operazione intellettuale realizzata nella sua Filosofia della navigazione: “Canterò il mare, le navi, la navigazione, benché non capisca nulla della navigazione né delle navi; infatti, non mi sono mai imbarcato nel vasto mare. Ti dirò tuttavia i disegni di Zeus, perché le Muse mi hanno insegnato un canto senza limiti”. Altra cosa, completamente diversa, è la filosofia analitica, o forse la filosofia senza aggettivi ma con una lunga serie di qualificativi: che non è la filosofia generale coltivata da Platone, Cacciari e Aresu, ma una filosofia molto più modesta, la riflessione critica dello scienziato, o del giurista o, perché no, del marinaio, sulle cose che fa: sicché sarà sempre, non filosofia generale, ma filosofia della scienza, o del diritto, o della navigazione. Certo, una filosofia del genere sarà magari molto meno leggibile del libro di Aresu: soprattutto, produrra conclusioni molto meno edificanti: che non sappiamo chi siamo, non abbiamo la più pallida idea di dove andiamo e quando ci avviciniamo all’angolo non possiamo consigliare molto di più che incrociare le dita. Alessandro Aresu su ‘La Tempesta’ di William Shakespeare. Brani scelti letti da Xenia Bevitori e Massimiliano Borghesi L’edizione di riferimento è quella pubblicata da Feltrinelli e curata da Agostino Lombardo (2004). Questa traduzione a mio parere è preferibile alle altre, meno arcaica e più scenica. Segnalo i sei passi per la lettura e aggiungo qualche riga attorno al mio commento, con l’intenzione di lasciare lo spazio maggiore all’ascolto dei versi, alla loro teatralità: 1- da pag. 7 “Calate l’albero” a “avrei preferito una morte asciutta” di pag. 9. Una sola osservazione: gli attori, leggendo questi passi, non devono puntare a dare la distinzione dei personaggi e delle varie parti. Non serve. Serve piuttosto un’impressione di confusione, di casino generale. La “filosofia della navigazione” è l’esplorazione e l’esposizione di un pensiero analogico. Perché un simile modo di indagare il pensiero filosofico vuole rivolgersi proprio alla Tempesta? Quest’opera può essere considerata nucleo e centro del mio libro, nucleo e centro di una “filosofia della navigazione”. Ne dispone i luoghi: il mare e la terra stanno l’uno davanti all’altro. Ne dispone gli eventi: il naufragio, anzitutto. Ne dispone poi i personaggi: e qui Shakespeare è davvero straordinario, nel costruire un bilancio e allo stesso tempo un congedo dal teatro. E allo stesso tempo riesce a essere estremamente diretto. Anche perché La Tempesta comincia con un naufragio, col suo linguaggio comico e sconnesso, fatto di bestemmie e urla. Ma il naufragio è anche l’occasione di interrogarsi sulla doppiezza delle metafore che, a partire da Platone, utilizziamo per descrivere il potere politico, il governo. Da una parte, l’uomo politico come pastore, e quindi come essere superiore che ha a che fare con un gregge, dall’altra parte l’uomo politico come kybernetes, come gubernator, e quindi come timoniere della nave dello Stato. Un timoniere che è consapevole che gli altri elementi dello Stato sono imbarcati esattamente come lui, e che quindi soltanto nel loro sapersi coordinare l’un l’altro, nella loro collaborazione, è possibile la buona politica. Ma già da qui, se è vero che il dramma prende una piega prettamente politica, è vero anche che assistiamo a un naufragio. E perciò a una tragedia. La sua tragedia è una tragedia della politica. 2 - Miranda e Prospero, da pag. 9 “Se con la vostra Arte, mio carissimo padre” a “coloro che tu vedesti affondare” di pag. 13. Non finisce tutto col naufragio ’isola mette davanti a noi il vecchio padre e la giovane figlia, le due età dell’uomo. Da una parte il tentativo di Prospero di educarla, di farne la sua perfetta erede, e dall’altra la sua ingenuità. Miranda sente la sofferenza di chi ha sofferto. In lei c’è quella qualità che i moralisti e filosofi scozzesi (penso ad Adam Smith) chiamavano humanity, e cioè la capacità prettamente femminile di sentire il dolore dell’altro. Allo stesso tempo, apprendiamo qualcosa di essenziale: un uomo si svela come mago. Un mago, ma portatore di quale magia? Prospero non si identifica pienamente né nella magia bianca né nella magia nera. Il suo potere sembra al di là di questa distinzione, e d’altra parte. 3 -Calibano, a pag. 43. Calibano è, con ogni probabilità, un calco da “cannibale”. Questo personaggio straordinario, proprio nel momento in cui nuove che cosa significa colonizzare? Chi è l’uomo che conquista, che colonizza? Ce ne parla Calibano, un selvaggio. Non è un caso che poi molte interpretazioni e allestimenti dell’opera di Shakespeare abbiano riscoperto la centralità della sua figura. Chi è il selvaggio, l’abitante dell’isola, quello a cui l’isola appartiene? Questa è la domanda a cui deve tentare di rispondere ogni rappresentazione di Shakespeare. 4 -Gonzalo (da pag. 75 “Nel mio Stato…” a pag. 77 “come nutrire il popolo innocente”). Shakespeare, attraverso la figura di Gonzalo, fa i conti con la storia dell’Utopia. E ci fornisce un’occasione impareggiabile per ripercorrerla, a partire da Tommaso Moro, passando per la Nuova Atlantide di Bacone e per quelle opere e quei concetti a cui ho cercato di dare voce nel capitolo del mio libro dedicato all’Utopia, interpretata appunto come la più radicale negazione della navigazione. Per quanto riguarda la struttura del dramma, a partire da qui, tutte le disposizioni successive sono già decise. Il dramma si allinea a una scena già prevista dall’inizio. Un’utopia, forse, è anche quella stessa di Prospero, in cui ha imprigionato Ariel. Qui, in un certo senso, comincia già il suo bilancio. Prospero, pur con tutta la sua cultura, non è in fondo un vecchio molto più saggio di Gonzalo. 5 -Prospero (da pag. 161 “Il nostro spettacolo è finito…” a pag. 163 “è circondata da un sonno”; da pag. 179 “Voi elfi delle colline, dei ruscelli…” a pag. 181 “annegherò il mio libro”). Che cos’è il bilancio di Prospero? L’esperienza dell’esilio ha dato al mago un punto di Archimede, a partire da cui riflettere su tutte le sue opere. Sulla loro fragilità. Sulla fragilità della magia, ma in realtà questa fragilità appartiene anche all’uomo, ad ogni sua opera. Ad ogni suo libro. Qui Prospero comincia ad agire. Di che cosa vive Prospero? Vive dei suoi libri. Tra i suoi libri manca qualcosa, dall’inizio. Manca Machiavelli. Prospero vuole calcolare la politica sui libri, e non comprenderla attraverso le sue regole. Il mago può essere veramente l’uomo universale, che comprende l’enigma della natura, di ogni natura, e lo svela? Prospero ci dice di no. L’uomo che non ha luogo non può restare nemmeno nell’orizzonte della politica. E tra i suoi libri mancava anche Max Weber. Che cosa dà direzione all’agire di Prospero? In che cosa consiste la sua chiamata? Noi non lo sappiamo. Insomma, è un mago. Punto e basta. Qualcuno dotato di una conoscenza superiore, tanto superiore da poter trasformare una scialuppa di salvataggio, una zattera con cui va in esilio, in un’isola. Un’isola abitata da padre e figlia, in cui va in scena la magia. Di quale magia si tratta? La magia di Prospero è davvero superiore, non è fatta di incanti, ma anche e soprattutto di disincanto. È tutta rivolta al punto in cui trova la sua negazione, il suo annullamento. Prospero è un mago strano. Facendo il mago, si dimentica di essere un uomo. E il suo scopo ultimo, perseguibile soltanto dall’esilio, è tornare a esserlo. Ma come è possibile in un’isola, com’è possibile per chi ha trovato in un’isola il porto della navigazione? Tutto quello che per anni interi era stato trattenuto, adesso esplode senza ritegno. In particolare nella figura del perdono, che riprende i fili del passato. Il padrone dell’isola accoglie finalmente i suoi ospiti. Ha gettato ogni maschera, compresa la maschera della magia. E accompagna gli inquilini dell’isola verso una nuova navigazione, verso il ritorno a casa. In questo il dramma offre una nuova speranza, che ancora una volta ha valenza politica. 6 -Miranda, pag. 195, da “O meraviglia!” a “che ha gente simile ha dentro di sé”. L’isola di Prospero e di Calibano, pur con la sua fine drammatica ed enigmatica, ci lascia con una speranza. La speranza della bellezza e della giovinezza, affidata ai personaggi più giovani, contrapposti significativamente ai conflitti dei più vecchi. Come se fosse possibile ricominciare dalla meraviglia, dal mondo nuovo, e lasciarsi alle spalle tutti i conflitti del passato. Il un gesto estremo di giudizio e allo stesso tempo di congedo. Così, le parole di Miranda potrebbero essere accostate a Spinoza, e al suo homo homini deus del Trattato politico. Ma esiste davvero qualcosa come il “bel mondo nuovo”? In fondo la stessa formula brave new world utilizzata da Miranda verrà ripescata nel Novecento per identificare le distopie, ovvero quell’utopia all’incontrario da cui Shakespeare voleva congedarsi. E La Tempesta in realtà, come ha visto benissimo Jan Kott, funziona come una “ripetizione”, un dispositivo pronto a ripetersi continuamente, senza mai risolvere i suoi enigmi e i suoi drammi.