VEGLIA VOCAZIONALE (Vicenza, Cattedrale, 12 aprile 2008) Vocazione e missione sono due aspetti dell’unico mistero dell’amore di Cristo, che chiama a seguirlo ed invia nel mondo come suoi testimoni. Il tema della corsa domina il messaggio per la quarantacinquesima Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. E’ la corsa degli apostoli Pietro e Giovanni verso il sepolcro vuoto per vedere e credere nella risurrezione del Signore. E' la corsa di Maria, che, in fretta, va dalla cugina Elisabetta per portare Cristo e il dono del suo servizio. E' la corsa dell’apostolo Paolo, che percorre il mondo intero per predicare il Vangelo ed è proteso sempre in avanti verso nuovi traguardi di fede e di amore appassionato a Cristo e a tutti per guadagnarne il maggior numero di persone alla fede nel Signore. La vita cristiana, affermerà ancora l’Apostolo, è paragonabile ad una corsa nello stadio dove tutti tendono a raggiungere il primato per ottenere una corona di alloro, segno della vittoria; i credenti invece corrono per guadagnare la corona di gloria che Dio darà a chiunque giunge al traguardo della vita carico di frutti di bene e di carità. La gente oggi è sempre di corsa per dare una risposta ai propri desideri di vita, di amore e di felicità, ma la via che percorre e che la cultura e pubblicità dominanti indicano come sicura è quella di puntare all'accumulo di soldi, al divertimento, all'interesse e tornaconto personali. Ma questa è una corsa alla morte e alla perdizione di se stessi, non alla vita e alla pienezza dell’amore! Solo chi segue Cristo ed apre il cuore a desiderarlo e a riconoscerlo nella sua comunità e nei poveri soddisfa, alla fine, la tensione ideale ed interiore del cuore, che cerca felicità e la trova nell’Amore. L’amore vero, intenso ed unico di Dio, che si rivela e si dona come Dio amore in Gesù Cristo e chiama a fidarsi di lui fino in fondo. Perché lui è la via su cui correre l’avventura della vita, di tutta la vita, non di questo o quel momento occasionale e passeggero, che ti può accontentare, ma che, alla lunga, ti lascia vuoto e insoddisfatto, alla continua ricerca di qualcosa o di qualcuno che ti dia sempre di più di quello che trovi, ma mai quello che desideri pienamente. E' proprio questa tentazione, che attanaglia il nostro cuore: accontentarci di quel poco che possiamo trarre dal momento presente, soffocando l’anelito del cuore e della spirito a qualcosa di più, di oltre l’immediato piacere o utilità che ci procurano le cose e le persone. Allora non si corre più, ci si accontenta dei traguardi raggiunti e si amministra una esistenza scialba ed incolore, che stanca e sfibra gli entusiasmi e i sogni più veri e profondi del cuore di un giovane. 1 Allora possiamo ben dire che quel giovane è già vecchio. Ne vedo tanti giovani – vecchi in giro, stanchi e sfiduciati, come ci ricorda il profeta Isaia: "Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono le ali come aquile, corrono senza affannarsi e camminano senza stancarsi" (40,30-31). E’ questione di avere stima e fiducia in se stessi, ma non tanto per le nostre forze, sempre deboli e incerte, quanto per la certezza di fede, che ci assicura che il Signore è con chi sa puntare all’impossibile, sa rischiare su di lui, sa osare anche al di sopra delle sue possibilità. In fondo, non è questa la nota caratteristica di tutti i chiamati nella Bibbia? Se Dio fa sentire nel cuore una chiamata, nasce subito il timore di non farcela e la paura di fallire, si vedono soprattutto le difficoltà giudicate insormontabili. Tutto perché si parte sempre da se stessi e si valuta la proposta sulle nostre possibilità e non sul dono di Dio. Non temere, io sono con te, dice il Signore. E questa per noi credenti è una certezza, ma quando si tratta di accettarne le conseguenze concrete circa la chiamata impegnativa al sacerdozio, per esempio, o alla vita consacrata, spesso tutto si annebbia e diventa virtuale e non reale. Almeno avessimo il coraggio di provare! Questo è quello che vi chiedo, cari giovani: provare per verificare se la chiamata del Signore è vera ed autentica. Il cammino di ogni vocazione è lungo e, se ci saranno ripensamenti, avremo comunque tentato un’avventura affascinante, che ci servirà per la vita e per impostare bene ogni altra vocazione e servizio nella Chiesa. Desidero richiamare alcune domande ricorrenti dei ragazzi quando parlo della mia vocazione: * perché si è fatto prete? Per amore di Gesù Cristo e perché lui mi ha chiamato, me lo ha fatto capire bene dentro l’animo, da giovane. All’inizio ho faticato a capirlo, ma poi più avanzavo nel cammino vocazionale e più diventava facile, un po' come salire in montagna; * non si è mai pentito? E’ questa una domanda tipica del nostro tempo dove ogni scelta si fa sempre con riserva, pronti a cambiarla, se non risponde più alle proprie esigenze. Il "per sempre", proprio di ogni vocazione impegnativa per la vita, confligge con la cultura del provvisorio e del relativismo. No, non mi sono mai pentito, perché il Signore, che mi ha chiamato, resta la roccia solida su cui sempre ci si può appoggiare, anche nei momenti di difficoltà; * che cosa ritiene più importante nel suo ministero? Fare la volontà di Dio, scoprendola giorno per giorno mediante la preghiera e l’ascolto di quanto egli mi dice in mille forme e modi. Niente rende più sicuro e sereno dentro, perché rovescia sul Signore ogni situazione della vita e riceve da lui la luce e la sapienza necessarie per guidarsi con sicurezza e verità; 2 * quale consiglio darebbe ad un ragazzo o ragazza che si interroga sul suo futuro? Ciò che io ho sempre sperimentato come positivo è il riferimento a un maestro spirituale, una persona di fiducia, che possa accompagnarmi nelle scelte e consigliarmi sulle vie da intraprendere per capire meglio il mio cuore e le vere aspirazioni interiori. Non bastano gli amici, i genitori, gli educatori; non bastiamo mai a noi stessi. Occorre fidarsi e affidarsi anche all’aiuto di persone chiamate da Dio stesso ad esercitare questo importante ministero del consiglio e dell’accompagnamento spirituale. Una guida, che non si sostituisce alla persona che deve decidere, la quale, nella sua libertà, farà la scelta che ritiene più giusta. Lo Spirito Santo è il primo maestro interiore con cui stabilire un rapporto intimo di preghiera e di ascolto. Egli si serve, tuttavia, anche di persone, che pone accanto a chi è nel bisogno per sostenerlo nel suo cammino di vita e soprattutto nel discernimento vocazionale. Dunque, l’amore sta a fondamento di ogni scelta e, come fuoco, brucia dentro per confermare il sì a Cristo e alla Chiesa. E’ sempre l’amore, che ci conduce a donare noi stessi agli altri per testimoniare quanto Dio sia vicino e amico di ogni persona. La missione nasce da questo amore, che si dona e la rende concreto gesto di offerta di se stessi per aiutare altri a sperimentarlo nell’incontro con Cristo e nella sua comunità. "Quello che abbiamo veduto, udito, sperimentato, lo comunichiamo a voi perché la nostra gioia sia la vostra" così Giovanni ci partecipa la sua missione e ci indica come essere ogni giorno missionari. Narrare le opere che Dio ha compiuto in noi; raccontare a tutti l’esperienza positiva e gioiosa, che segna la nostra vita quando sperimentiamo l’amore di Cristo e cresciamo nell’amicizia tra noi, significa che solo chi sovrabbonda dell’amore di Cristo lo può donare agli altri. Come un bicchiere d'acqua, che, quando è pieno, non può trattenere il liquido e lo lascia tracimare. Se non ragioniamo in questi termini, ci sentiremo sempre mediocri ed impari nell'annunciare agli altri quanto viviamo e crediamo. In questi mesi si è svolta a Vicenza la Missione cittadina; a Schio i giovani hanno organizzato una speciale Missione giovani rivolta ai loro coetanei: due iniziative vissute intensamente dai missionari, che hanno poi testimoniato quanta gioia hanno provato nel compiere un servizio ritenuto, all'inizio difficile, impossibile. Il timore ed il tremore, che avevano, si è dileguato di fronte all’esperienza vissuta. Hanno meglio compreso quanto i discepoli raccontano a Gesù dopo la loro missione, e cioè che tornarono, dice il Vangelo, pieni di gioia, lodando Dio per le meraviglie che avevano visto (Lc 10,17). Lo stesso capitò a Pietro e Giovanni, che, dopo aver testimoniato e annunciato Gesù davanti al Sinedrio e averne subito le conseguenze di prova e sofferenza, se ne tornarono "pieni di gioia, lieti per aver potuto soffrire per amore del nome di Gesù" (Mt 5,14). 3 E’ sempre la gioia il frutto dell’amore ed è la gioia il frutto della missione, sia che sia accolta o rifiutata. Quello che conta è che sempre il risultato per il missionario è l’avverarsi della parola del Signore: "Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti in cielo" (Lc 10,19). E ancora: "Quando vi insulteranno e rifiuteranno a causa del mio nome, che avete annunciato, rallegratevi perché grande è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt 5,12). Cari amici, "chi mette mano all’aratro e poi si volta indietro, non è degno di me" dice il Signore. Occorre dunque andare avanti e guardare verso il futuro, nella nostra vita cristiana; correre fiduciosi verso il Signore che ci chiama e osare, nel suo nome, le scelte più impegnative che ci suggerisce nel cuore. Non giochiamo al ribasso, non abbiamo timore di contare troppo sulle nostre deboli forze, lasciamoci investire dall’Amore, testimoniamo l’Amore e avremo in noi la pienezza di una vita veramente felice e ricca di bene per noi e per gli altri. 4