Il tema della corrispondenza epistolare delle persone detenute è

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GARANZIE E CONTROLLI SULLA CORRISPONDENZA DEI DETENUTI
Sommario:1. 1.Le nuove norme introdotte dalla L. 8 aprile 2004,n.95 2.La disciplina anteriore alla L.95
/04.3.L’intervento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.5.La L. n.95/04. 6.Il regime dei controlli.7.Il regime della
corrispondenza trattenuta. 8.La corrispondenza difensiva. 9.Dinamica dei controlli sulla corrispondenza.
10.Giustiziabilità dei provvedimenti di controllo della corrispondenza.
1.La nuova disciplina introdotta dalla L. 8 aprile 2004,n.95.
La legge 8 aprile 2004, n.95 (pubblicata in G.U. n.87 del 14 aprile 2004), recante “Nuove
disposizioni in materia di visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti”disciplina
organicamente le tipologie dei controlli dell’amministrazione penitenziaria e dell’autorità
giudiziaria sulla libertà di corrispondenza, diritto fondamentale della persona presidiato da garanzie
costituzionali(art.15 Cost.)1.
Si tratta di una normativa che sana una lacuna legislativa già valsa all’Italia numerose
condanne pronunciate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo(CEDU), in seguito a ricorsi di
detenuti italiani,i quali lamentavano l’illegittimità del regime dei controlli sulla corrispondenza in
arrivo e in partenza dal carcere, disciplinato dalla legge penitenziaria italiana (legge 26 luglio 1975,
n.354) per contrasto con i principi sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle
libertà fondamentali, a tutela della libertà e riservatezza della corrispondenza2.
In seguito alle reiterate censure subite, l’Italia ha iniziato l’adeguamento della propria
normativa interna alle norme europee, modificando la prassi amministrativa del visto di controllo
sulla corrispondenza in arrivo e in partenza dal carcere(Circ.DAP 14.3.1994 n.3382/5832) nonché
introducendo alcune disposizioni in tema di controllo della corrispondenza dei detenuti (con il
nuovo Regolamento penitenziario,D.P.R. 30 giugno 2000, n.230)3.
La legge n.95/2004 rappresenta – in tale quadro di progressiva armonizzazione della
normativa interna a quella europea,il momento cruciale, poiché realizza il necessario
contemperamento tra le esigenze preventive e di controllo sull’ordine e la sicurezza degli istituti
carcerari e il diritto costituzionalmente garantito dei detenuti all’esercizio dell’attività di
corrispondenza.
2.La disciplina anteriore alla L.95 /20044.
Il regime dei controlli sulla corrispondenza epistolare e telegrafica delle persone detenute e
internate era disciplinato - anteriormente all’entrata in vigore della L.95/2004 dall’art.18,L.354/1975 (Ordinamento Penitenziario) e dall’art.38, D.P.R. 230/2000.
1
La libertà di corrispondere con il mondo esterno è considerata di grande importanza ai fini del trattamento
penitenziario (art.15 L. 26 luglio 1975, n.354), particolarmente per tutti coloro che, in quanto detenuti stranieri o
ristretti in istituti di pena lontani dai luoghi di origine, proprio attraverso la corrispondenza possono mantenere vivi i
contatti con i propri familiari e l’ambiente sociale di provenienza.
2
La “Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali”, firmata a Roma il 4
novembre 1950, è stata ratificata dall’Italia con L. 4 agosto 1955, n.848. Il testo originario della Convenzione è stato
ampiamente emendato dal Protocollo addizionale n.11, fatto a Strasburgo l’11 maggio 1994 e ratificato dall’Italia con
L. 28 agosto 1997, n.348. Paradigmatica, in materia di tutela della corrispondenza,, la sentenza della Corte Europea dei
diritti dell’Uomo sul caso del detenuto Calogero Diana (CEDU 15.11.1996, Diana c.Italia), in Dir.Pen.Proc.,1997,p.162
e segg., che rappresenta il leading case della giurisprudenza della Corte di Strasburgo in tema di garanzie sul controllo
della corrispondenza delle persone detenute negli istituti di pena del nostro Paese. In tema, cfr. BARTOLECONFORTI-RAIMONDI, Commentario alla Convenzione Europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali,2001, Cedam,Padova, p.311-312.
3
Il D.P.R. 30 giugno 2000, n.230, “regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e
limitative della libertà”, ha sostituito, mediante abrogazione espressa, il regolamento penitenziario previgente (D.P.R.
26 aprile 1976, n.431).
4
Il contenuto dei § 2,3,4 e 7 riporta il contenuto dello studio di Fiorentin F. Il controllo sulla corrispondenza epistolare
e telegrafica dei detenuti, diritto di difesa e salvaguardia dei diritti fondamentali della persona,in Giust. Pen.,2004,II,
integrato alla luce della nuova disciplina della L. n.95/04 e qui riproposto per esigenze di completezza espositiva.
1
L’art.18 dell’O.P. poggia su due pilastri fondamentali:il primo di essi - espressione di
sensibilità alle esigenze del trattamento penitenziario- stabilisce un generale principio di favore nei
confronti di tutte le forme di contatto del condannato con l’ambiente libero, inclusa la
corrispondenza, senza limiti quantitativi o qualitativi5.
Il secondo punto fermo che caratterizza la norma citata e la previsione di un parallelo,
complesso sistema di controlli preventivi delle forme di comunicazione concesse ai soggetti
ristretti,sotto la specie di “autorizzazioni” ai colloqui, visivi o telefonici, e di “controlli”sulla
corrispondenza e la stampa. Tali strumenti sono ispirati alla finalità di prevenire l’utilizzo della
facoltà dei detenuti di interloquire con la società libera per finalità contrastanti con l’esigenza di
prevenire la commissione di reati e tutelare la sicurezza e l’ordine interno agli istituti di pena.
Sul primo versante – quello degli incentivi - l’art.18,comma 4,O.P.,officia l’amministrazione
penitenziaria a mettere a disposizione dei reclusi il materiale di cancelleria necessario per la
corrispondenza, senza limitazioni di quantità (quantunque l’art.38,commi 2 e 3, D.P.R. 230/2000
precisi che l’onere suddetto, per l’amministrazione, è contenuto nella fornitura gratuita, ogni
settimana, dell’occorrente per scrivere una lettera e dell’affrancatura ordinaria).
L’altro pilastro – quello dei controlli – si articola sugli strumenti dell’ispezione, del visto
sulla corrispondenza e sull’eventuale trattenimento della stessa,con l’intervento dell’autorità
giudiziaria.La norma dell’art.18,comma7,O.P.(ora abrogata per effetto della disposizione di cui
all’art. 3,comma 2,della L.95 /2004) prevedeva,in particolare,che la corrispondenza dei singoli
detenuti o internati6 potesse essere sottoposta,con provvedimento motivato del magistrato di
sorveglianza,a visto di controllo del direttore dell’istituto o di un appartenente all’amministrazione
penitenziaria designato dallo stesso direttore.Analoga procedura era stabilita (art.18,comma 8, O.P.)
con riferimento alla corrispondenza degli imputati.
Il controllo poteva essere effettuato direttamente dal magistrato ovvero – nell’ordinarietà
delle ipotesi – dall’autorità amministrativa a ciò delegata (art.18,comma 9,O.P., abrogato per
effetto della disposizione di cui all’art. 3,comma 2, della L. 95/2004).
Potevano, altresì, essere disposte limitazioni nella corrispondenza e nella ricezione della
stampa, su decisione dell’autorità giudiziaria (art.18, comma 9,u.c., O.P.,abrogato: ora, art. 18 ter,
comma 5, O.P.)7,che era ritenuta svolgere – nella materia di che trattasi –funzioni non già
propriamente giurisdizionali, bensì assolvere competenze di tipo squisitamente amministrativo.
Per tali motivi, tenuto conto della natura dell’attività esercitata dal giudice, nel previgente
assetto normativo, non si riteneva sussistente un diritto soggettivo perfetto del detenuto all’esercizio
della libertà di corrispondenza epistolare e telegrafica.La giurisprudenza assolutamente dominante
configurava, invece, la descritta situazione soggettiva nei più ristretti termini dell’interesse legittimo
del detenuto o internato al corretto utilizzo del potere di controllo da parte dell’amministrazione
penitenziaria e dell’autorità giudiziaria.
5
Cfr. GREVI-GIOSTRA-DELLA CASA, Ordinamento Penitenziario,2000, Cedam, Padova,p.196. Sono consentiti,
oltre ai colloqui, la corrispondenza telefonica, epistolare e telegrafica.Quella a mezzo fax è consentita solo in
arrivo.Nulla si dice a proposito delle comunicazioni radiofoniche, a mezzo cassette registrate o via e-mail. Data
l’elencazione precisa e dettagliata contenuta nella legge e nel regolamento, essa deve considerarsi come esaustiva e
perciò stesso escludente, così come appare nell’intenzione del legislatore. Ne consegue il divieto dell’utilizzabilità, da
parte dei reclusi, di mezzi di comunicazione diversi da quelli previsti ed autorizzabili.
6
E’ chiaro, pertanto, il divieto di sottoporre a censura generalizzata (indiscriminata) tutta la corrispondenza in uscita da
un determinato istituto di pena.Tale divieto deve ritenersi sussistente anche alla luce della nuova disposizione (art.18
ter, comma 3,O.P., che ha sostituito l’abrogato comma 7 dell’art.18 O.P. .
7
E’ opportuno sottolineare che, per orientamento unanime della dottrina, la disposizione cui si fa cenno (art.18, comma
9, ultimo periodo, O.P.) deve essere intesa come applicabile soltanto nei confronti degli imputati, dovendosi ritenere
finalizzata alla prevenzione di possibili interferenze nell’accertamento giudiziale dei fatti oggetto del procedimento
penale.Non vi è ragione per ritenere che tale opzione ermeneutica non possa essere confermata in relazione alle
corrispondenti disposizioni del nuovo art.18 ter L.354/75, che hanno sostituito quelle del citato comma 9 dell’ art.18
O.P., abrogate dall’art.3 L. 95/2004.
2
La Cassazione era,inoltre,pacificamente orientata nel ritenere che l’ordinamento non
prevedesse alcuna forma di tutela giurisdizionale nei confronti dell’eventuale lesione di tale
posizione soggettiva, se non l’eventuale ricorso avanti alla giustizia amministrativa ( T.A.R.)8.
3. L’intervento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
La disciplina sui controlli della corrispondenza dei detenuti presentava, in tutta evidenza,
rilevanti profili di contrasto non soltanto con le garanzie costituzionali (art.15 Cost.), ma anche con
i principi europei sanciti dalla Convenzione Europea per la tutela dei Diritti dell’Uomo e delle
libertà fondamentali9,la cui inosservanza da parte degli Stati dell’Unione è sindacata dalla Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo.
La giurisprudenza della Corte di Strasburgo,intervenuta con una prima serie di pronunce di
condanna in relazione all’assetto normativo di cui all’art.18 O.P.,ha interpretato in senso estensivo
la nozione di corrispondenza contemplata dall’art.8 della Convenzione, ritenendola comprensiva
non soltanto delle comunicazioni interpersonali su supporto cartaceo, ma anche attraverso mezzi
diversi, quali il telefono10.
La CEDU ha, in particolare, ritenuto in contrasto con la normativa europea:
1)l’eccessivo margine di discrezionalità concesso, dalla legislazione italiana, all’autorità pubblica
(amministrativa e giudiziaria) nel disporre limitazioni o controlli della corrispondenza, senza che
tale ampia facoltà fosse controbilanciata dalla previsione di precisi presupposti normativi circa le
condizioni in presenza delle quali il meccanismo dei controlli potesse legittimamente attivarsi;
2)la carenza di un’adeguata tutela giurisdizionale del detenuto a fronte degli eventuali atti lesivi da
parte dell’autorità pubblica, amministrativa o giudiziaria(Corte,15 novembre 1996, Diana c.Italia)11;
3)la mancata predisposizione di uno strumento atto a comprovare l’effettiva consegna della
corrispondenza sottoposta a visto di controllo al detenuto interessato (Corte,23 febbraio 1993,
Messina c.Italia, in Cass.Pen., 1994 , 1109);12
4)le censure operate dall’amministrazione penitenziaria nei confronti della corrispondenza inviata
dal detenuto al proprio legale (Corte, 25 febbraio 1992, Pfeiffer c. Austria A 227).
La Corte Europea tornò in seguito ad occuparsi della disciplina nazionale sul controllo
della corrispondenza dei detenuti, con una nuova pronuncia(Corte,sez.IV, 26 luglio 2001,Di
Giovine c. Italia), resa in rapporto ad un ricorso formulato da un detenuto sottoposto al regime
Non vi era – anteriormente alla L.95/2004, alcuna norma che prevedesse forme e termini di reclamabilità dei
provvedimenti di censura della corrispondenza dei detenuti, e la stessa Corte di cassazione, nel prendere atto della
rilevata lacuna, ha sempre escluso la configurabilità di qualsivoglia veicolo di impugnazione o reclamo a tutela del
diritto costituzionalmente garantito alla riservatezza della corrispondenza in favore dei soggetti detenuti : cfr. Cass.,I,
11.03.1994,n.796,Calabrò.In argomento anche Cass.,I, 20.03.1989,ord.n.309,Tuti, che stabilisce la non ricorribilità per
cassazione del provvedimento con il quale il magistrato di sorveglianza dispone la sottoposizione a visto di controllo
della corrispondenza epistolare e telegrafica del detenuto, in quanto non incide sulla libertà personale nel senso
indicato dall'art. 111 Cost. Sulla non reclamabilità del provvedimento con cui il magistrato di sorveglianza dispone, a
norma dell'art. 18 legge 26 luglio 1975, n. 354, che la corrispondenza di un detenuto sia sottoposta al visto di
controllo, stante la tassatività – nel nostro ordinamento giuridico - dei mezzi d'impugnazione e la mancata previsione,
nella legge suddetta, di alcuno di questi cfr. Cass., I, 3.7.1987,n.2182,Rapisarda,in CED; Cass.,I,
14.02.1990,n.3141,Scrima,in CED;Cass.,I, 6.09.1994,n.3558,Ilacqua, in CED;Cass.,I, 24.03.1995,n.6102,Padovani).
Nello stesso senso, tenuto conto della natura di atto amministrativo di tipo trattamentale della sottoposizione al visto
sulla corrispondenza, cfr. Cass., I, 4.2.1992 n. 4687, Vallanzasca, in CED; Cass., I, 19.05.1993,ord. n.823,Sena,in
CED).
9
Cfr. nota 2 .
10
Per una rassegna della giurisprudenza CEDU in tema di tutela della corrispondenza, si veda BARTOLE-CONFORTIRAIMONDI,op.cit.,loc.cit. .
11
Cfr. nota 2.
12
Per adeguarsi al principio di diritto stabilito dalla Corte, l’Amministrazione penitenziaria ha disposto con propria
circolare dd.14.3.1994 n. 3382/5832 – pur in assenza di disposizioni legislative in merito – che la corrispondenza in
arrivo sottoposta a visto di controllo sia annotata in un apposito registro, dandone immediata comunicazione al detenuto
interessato, il quale controfirmerà per ricevuta al momento della consegna della corrispondenza controllata.
8
3
speciale di cui all’art. 41 bis O.P.,e per tale motivo soggetto al visto di controllo su tutta la
corrispondenza, inclusa quella indirizzata alle autorità di cui all’art.38, comma 11, D.P.R. 230/2000.
Con detta pronuncia, sono riaffermati alcuni principi ormai tradizionalmente acquisiti al
repertorio della giurisprudenza di Strasburgo nella materia de qua:
5) viene,anzitutto,ribadito il divieto di qualsiasi tipo di censura in rapporto ad atti e missive
indirizzate alla Corte stessa13;
Elementi di novità ben più significativi sono però contenuti nella seconda parte della decisione,
laddove la Corte censura l’art.18 O.P. per ravvisato contrasto con il disposto degli artt. 8 e 13 della
Convenzione, sotto due principali aspetti14:
6)Il primo di essi è ravvisato nella mancata previsione normativa della durata massima della
sottoposizione al visto di controllo;
7)Il secondo viene individuato nella mancata indicazione dei motivi specifici che giustificano
l’adozione, da parte dell’autorità pubblica, delle misure di controllo sulla corrispondenza dei
detenuti.
Quanto alla ravvisata carenza – nella legislazione nazionale – della precisazione dei presupposti
legittimanti l’attivazione dei controlli, non v’è dubbio che il giudice nazionale potesse (e possa
tuttora) richiamarsi a quelli stabiliti dall’art. 8 della Convenzione (sicurezza nazionale, la sicurezza
pubblica, il benessere economico del paese, la difesa dell'ordine e la prevenzione dei reati, la tutela
della salute o della morale, la tutela delle libertà e diritti altrui): essi, infatti, salvo quanto disposto
ora dall’art.18ter O.P., costituiscono coordinate normativamente certe alle quali ancorare – sotto il
profilo motivazionale – il provvedimento di sottoposizione della corrispondenza a visto di
controllo15.
Per quanto concerne l’onere di motivazione – ora espressamente imposto - che incombe
sull’autorità giudiziaria competente a decidere sulla sottoposizione a visto della corrispondenza dei
reclusi,esso doveva ritenersi implicito, già prima della sentenza citata, alla luce dei rilevanti
interessi costituzionalmente tutelati che la decisione del magistrato è suscettibile di comprimere.
4. Le regole introdotte con il nuovo Regolamento Penitenziario ( D.P.R. 30 giugno 2000, n.230).
Con l’emanazione del D.P.R. n.230/2000, il legislatore italiano, modificando la materia
della corrispondenza, ha inteso rispondere, almeno in parte, ai rilievi mossi dalla Corte Europea.
L’art.38, D.P.R. n.230/2000,richiamandosi soltanto parzialmente alla disciplina della legge
penitenziaria (art.18 O.P.) articola il sistema dei controlli sulla corrispondenza dei detenuti su un
duplice sistema di filtri: l’ispezione e il trattenimento, attribuendone la titolarità, in entrambi i casi,
La valutazione della portata della decisione della Corte europea richiede una precisazione del concetto di “censura”.
Il significato corrente del termine, infatti, è quello di esame, da parte di una pubblica autorità, di un testo al fine di
consentirne o no la pubblicazione o la rappresentazione, ovvero di impedirne la trasmissione. Il visto sulla
corrispondenza introdotto dal legislatore italiano non ha, al contrario, dette finalità, bensì la più limitata funzione di
“presa visione” del contenuto di essa.In altri termini, il “visto di controllo” previsto dall’ordinamento penitenziario
esula dall’ambito proprio della censura. Peraltro, nella caso specifico, va tenuto presente che il contenuto della
corrispondenza indirizzata ad organismi internazionali, amministrativi o giudiziari, preposti alla tutela dei diritti
dell’uomo, è destinato necessariamente ad essere notificato allo Stato italiano in sede di formale contestazione.
14 L’art. 8 della Convenzione Europea per la tutela dei Diritti dell’Uomo recita: “Ogni persona ha diritto al rispetto...
della sua corrispondenza. Non è ammessa alcuna limitazione di una pubblica autorità all'esercizio di questo diritto, se
non se tale limitazione è prevista dalla legge e costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria per la
sicurezza nazionale, la sicurezza pubblica, il benessere economico del paese, la difesa dell'ordine e la prevenzione dei
reati, la tutela della salute o della morale, la tutela delle libertà e diritti altrui."
Il testo dell’art.13 della Convenzione è il seguente:” Ogni persona i cui diritti e libertà riconosciuti nella presente
Convenzione fossero violati, ha diritto di presentare un ricorso avanti ad una magistratura nazionale, anche quando la
violazione fosse commessa da persone che agiscono nell’esercizio di funzioni ufficiali”.
15
Sull’importanza che il provvedimento di sottoposizione a controllo della corrispondenza dei detenuti sia
adeguatamente motivato, soprattutto nell’attuale situazione di incertezza normativa in materia, nonché adottato nel
rigoroso rispetto delle fattispecie previste dalla legge, cfr. la decisione della Sezione disciplinare del CSM
n.78/2000R.G. dd.5.10.00-1.12.00, n.141/00 Reg.dep. Pres.Verde, est. Tossi Brutti, in Quaderni del C.S.M., anno 2002,
n.124, p.177.
13
4
alla direzione dell’istituto penitenziario, salva – nella seconda fattispecie -la decisione conclusiva
dell’autorità giudiziaria in ordine all’inoltro o al trattenimento definitivo.
Per quanto concerne, all’adeguamento ai principi della Convenzione europea, gli ultimi due
commi dell’art.38 D.P.R. n.230/2000 contengono disposizioni volte proprio ad appianare alcuni dei
più eclatanti profili di contrasto evidenziatisi in seguito alle citate pronunce della CEDU.
Precisamente,il comma 10 della norma citata prevede che il detenuto o l’internato sia
immediatamente informato che la corrispondenza è stata trattenuta (ciò evidentemente, per metterlo
in condizioni di interloquire con l’autorità giudiziaria preposta alla decisione definitiva sul
trattenimento);mentre il successivo comma 11 stabilisce che “non può essere sottoposta a visto di
controllo la corrispondenza epistolare dei detenuti e degli internati indirizzata ad organismi
internazionali amministrativi o giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell’uomo, di cui l’Italia fa
parte”.
La complessiva disciplina sui controlli della corrispondenza,tuttavia, nonostante le
modifiche all’assetto normativo portate dal legislatore nazionale,si manteneva in perdurante
contrasto sia con la Costituzione quanto con i principi contenuti nella Convenzione Europea per la
Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali.
Sotto il primo profilo,invero, l’art.15 Cost. presidia con particolare rigore il diritto alla
libertà e riservatezza della corrispondenza, sottoponendo ogni fattispecie idonea ad incidere sul
pieno esercizio di tale posizione soggettiva alla doppia garanzia: della riserva di legge (violata dal
legislatore ordinario con l’introduzione di regole mediante emanazione di un atto normativo: D.P.R.
230/00) e della riserva di giurisdizione16.
Il regolamento penitenziario n.230/2000, d’altro canto, non fornisce un’adeguata risposta a
livello di disciplina normativa al rilievo – stigmatizzato nell’assise europea – circa l’estrema
ampiezza del potere discrezionale conferito all’autorità giudiziaria nell’adottare i provvedimenti
incisivi della libertà e segretezza della corrispondenza dei detenuti, senza che a tale facoltà
conseguisse,per l’autorità giudiziaria, l’obbligo di motivare le ragioni dell’adozione delle
limitazioni o dei controlli sulla corrispondenza con riferimento a precise condizioni stabilite dalla
legge (e non, dunque, facendo ricorso a motivazioni “apparenti”, quali clausole di stile ovvero
formule ellittiche o tautologiche rispetto al dettato normativo).
Quanto al profilo dell’assenza di uno strumento di tutela giurisdizionale nei confronti delle
decisioni dell’autorità giudiziaria in materia di controllo della corrispondenza, vi era effettivamente
una grave lacuna nel sistema di tutela delle posizioni soggettive dei detenuti, mancando
nell’ordinamento un rimedio giurisdizionale specifico che presidiasse – con un controllo di legalità
da parte di un giudice – la corretta applicazione della normativa penitenziaria sui controlli e sulle
limitazioni della corrispondenza .
Soltanto con riferimento a limitati profili era ammessa, secondo l’orientamento prevalente
della giurisprudenza, la possibilità di sindacare la corretta gestione, da parte degli organi
dell’amministrazione penitenziaria, dell’esecuzione della pena detentiva, sia con il ricorso alla
giustizia amministrativa, sia ai sensi degli artt. 35 e 69, comma 5,O.P (tale norma consente al
magistrato di sorveglianza di impartire alla direzione dell’istituto, “nel corso del trattamento,
disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati”).
La ricordata tutela magistratuale dei diritti delle persone detenute sussiste ed opera laddove
sono compressi diritti costituzionalmente garantiti, quali il diritto alla libertà ed alla segretezza della
comunicazione. Peraltro,tale sia pur embrionale e inadeguato(poiché non assistito da effettivi poteri
coercitivi nei confronti dell’eventuale inadempimento dell’amministrazione penitenziaria alle
disposizioni del magistrato di sorveglianza) rimedio costituiva l’unico strumento di tutela
attivabile,anteriormente all’entrata in vigore della L. 95/2004.
Il testo dell’art.15 Cost. è il seguente:”La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di
comunicazione sono inviolabili.La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con
le garanzie stabilite dalla legge”.
16
5
Il quadro delle garanzie a favore del soggetto sottoposto ai controlli sulla corrispondenza
era,infine, carente poiché non vi era la possibilità di impugnare i provvedimenti giudiziari emessi ai
sensi dell’art.18 O.P.; e perché persisteva– con riferimento alla tutela nei confronti degli atti
amministrativi emessi dalla direzione dell’istituto di pena - persisteva la lacuna evidenziata dalla
Corte Costituzionale con la sentenza n.26/1999.Con tale pronuncia, la Consulta aveva, infatti,
dichiarato la parziale illegittimità costituzionale degli articoli 35 e 69 dell’O.P., nella misura in cui
non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell’amministrazione penitenziaria
lesivi di diritti di coloro che sono sottoposti a restrizione della libertà personale17.
5. La legge n.95/2004 .
I profili di contrasto della normativa penitenziaria in materia di controlli della
corrispondenza, con i principi costituzionali e con quelli stabiliti nell’assise giurisdizionale europea,
erano,in via di estrema sintesi,i seguenti:violazione della riserva assoluta di legge prevista
dall’art.15 Cost.;previsione normativa del mero “sospetto” quale presupposto per l’attivazione del
controllo sulla corrispondenza(cfr.art.38,comma 6,D.P.R.n.230/2000), con conseguente,eccessiva
discrezionalità attribuita all’autorità ai fini dell’esercizio del potere di controllo sulla
corrispondenza;mancata disciplina del regime giuridico degli atti sottoposti al trattenimento da parte
del giudice.
Rilevavano inoltre:la mancata previsione normativa di un termine massimo di durata del
controllo;la mancata previsione di un onere di motivazione della decisione dell’autorità
giudiziaria;l’assenza dell’indicazione della forma che il provvedimento in materia di controllo della
corrispondenza dovesse assumere.
La legge n.95/04 interviene, in coerenza con l’obiettivo di conformare la disciplina penitenziaria
dei controlli sulla corrispondenza ai principi costituzionali ed europei, operando su due livelli
principali.
In primo luogo, detta disposizioni tese a razionalizzare, la disciplina esistente, rimodulando la
disciplina sui controlli della corrispondenza all’interno di un’unica norma di nuovo conio,l’art. 18
ter O.P.(ed abrogando, conseguentemente, le disposizioni previgenti dell’art.18 O.P. riprodotte nel
tessuto normativo del nuovo articolo di legge);
Introduce, quale seconda importante novità,con lo stesso art.18ter O.P., nuove disposizioni
finalizzate a conformare la disciplina dei controlli sulla corrispondenza dei detenuti ai principi della
Convenzione Europea del 1950, ed alle censure della CEDU.
Gli snodi fondamentali della nuova disciplina che nasce con le innovazioni introdotte dalla L.
n.95/04 sono costituiti: dalla completa(ta) giurisdizionalizzazione del procedimento in tema di
controlli sulla corrispondenza con l’esplicita previsione normativa dei presupposti tassativi per
l’attivazione delle misure restrittive e dall’introduzione della possibilità di reclamo di fronte
all’autorità giudiziaria dei provvedimenti in materia di controllo della corrispondenza.
Con tali disposizioni, il legislatore ha assicurato alla facoltà del detenuto di corrispondere con il
mondo esterno la disciplina normativa e lo status di vero e proprio diritto soggettivo,configurato
quale diritto fruibile ordinariamente senza limitazioni quantitative o qualitative, e comprimibile
soltanto nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge, con la garanzia del controllo
giurisdizionale di legittimità sui provvedimenti che incidono le facoltà connesse a tale diritto 18.
L’art. 1 della L.n.95/2004 introduce – come anticipato – nel corpo dell’Ordinamento
Penitenziario un articolo di nuovo conio (art.18ter)che disciplina, quale fonte di rango primario ( in
ossequio, dunque, alla riserva assoluta di legge contenuta nell’art.15 Cost.), le limitazioni al
controllo della corrispondenza.
17
Corte Cost. 8-11 febbraio 1999, n.26, pubblicata in G.U., Serie speciale, n.7.
cfr.Fiorentin F., Corrispondenza garantita per i detenuti.Entra in vigore la legge che regola, conformandoli agli
standards normativi europei, i controlli sulla corrispondenza dei detenuti,commento alla legge n.95/04, in Guida al
Diritto, n.17 del 1.5.04, p.22.
18
6
La nuova norma precisa, anzitutto, quali sono le condizioni che legittimano l’attivazione dei
meccanismi di controllo, individuandole nelle “esigenze attinenti le indagini o investigative o di
prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell'istituto”.Tale disposizione
ricalca,peraltro, in gran parte, quanto già previsto a livello regolamentare dalla disposizione
dell’art.38, comma 6, D.P.R. n.230/2000.
Non può che essere apprezzata, in proposito, l’espressa e tassativa indicazione dei motivi per
i quali può essere disposta la limitazione della corrispondenza dei detenuti, e la conferma del divieto
(già peraltro evincibile dalla previsione dell’abrogato comma 7 dell’art. 18 O.P.)di sottoporre intere
categorie di reclusi (o intere sezioni dell’istituto di pena) ai controlli previsti dalla norma in esame.
Il provvedimento dell’autorità giudiziaria deve essere sempre motivato: evidentemente,con
riferimento alla ricorrenza delle condizioni previste dall’art.18 ter O.P. ma, si ritiene, anche con
eventuale richiamo alle ulteriori fattispecie indicate nell’art.8 della citata Convenzione Europea dei
Diritti dell’Uomo.
Ne consegue che i provvedimenti che incidono sull’esercizio del diritto alla corrispondenza
non potranno essere basati sulla sussistenza del mero “sospetto” di esistenza dei presupposti
normativi indicati.Essi dovranno,al contrario,essere fondati su concreti e precisi elementi di
valutazione (sia pure anche di livello indiziario) tali da conferire un adeguato coefficiente di
oggettività (sia pure nei termini di una ragionevole probabilità di sussistenza) alle “esigenze” e
“ragioni” allegate dal PM o dalla Direzione dell’istituto di pena, ai fini del vaglio dell’autorità
giudiziaria competente per la decisione in ordine all’adozione dei controlli stessi.
Sotto tale profilo si sottolinea la circostanza che l’autorità amministrativa si muove
d’iniziativa alla luce del semplice “sospetto”(art.38,comma 6, D.P.R. n.230/2000), mentre la
successiva decisione dell’autorità giudiziaria investita della decisione finale sul trattenimento o
inoltro della missiva dovrà (cor)rispondere alle coordinate normative indicate dal comma 1
dell’art.18 ter, O.P., che sottendono l’esigenza del riconoscimento dell’effettiva ricorrenza delle
condizioni richiamate dalla normativa stessa..
Il giudice è tenuto,infatti, alla luce del nuovo art.18 ter, O.P., a motivare la propria
decisione sulla base di riscontrate esigenze attinenti ai profili previsti dal comma 1 della norma
citata.
Il comma 1 dell’art.18 ter, O.P. stabilisce che il provvedimento giudiziario di controllo sulla
corrispondenza ha efficacia per un termine massimo di sei mesi, prorogabili successivamente per
periodi di tre mesi ciascuno. Se è apprezzabile la previsione di una sorta di riesame automatico della
decisione del giudice decorso il termine iniziale fissato nel provvedimento (ovvero,in ogni caso,
quello massimo stabilito dalla legge);deve, per contro, osservarsi come la previsione di un termine
di fatto elastico, quale previsto dalla nuova norma (prorogabile teoricamente all’infinito), elude il
dictum della Corte di Strasburgo, che aveva – come sopra detto – censurato la normativa italiana
proprio sotto il profilo della carenza della previsione di un termine massimo di applicazione delle
misure restrittive.
Peraltro, la decorrenza del termine sopra detto senza che sia intervenuta una nuova decisione
dell’autorità giudiziaria si ritiene comporti la caducazione automatica del regime dei controlli
imposti alla corrispondenza del detenuto, trattandosi di provvedimenti – quelli previsti dall’art.18
ter O.P., a carattere eccezionale a fronte della fruizione di un diritto costituzionalmente garantito.
La nuova disciplina integra opportunamente la normativa già vigente19,stabilendo che i
controlli di cui al comma 1 dell’art.18ter, O.P., non possano estendersi alla corrispondenza
epistolare o telegrafica indirizzata ai soggetti indicati nel comma 5 dell'articolo 103 del codice di
19
Si tratta di disposizioni in larga parte già previste in sede regolamentare (art.38, comma 11, D.P.R. 230/2000) o nello
stesso Ordinamento Penitenziario, laddove stabilisce la possibilità per il detenuto di interloquire “direttamente” con il
magistrato di sorveglianza inviandogli missive con il sistema della c.d. “busta chiusa”, cioè non controllabile
dall’amministrazione penitenziaria (art.35 O.P.).
7
procedura penale20,all'autorità giudiziaria, alle autorità indicate nell'articolo 35, O.P.21, ai membri
del Parlamento,alle Rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono
cittadini ed agli organismi internazionali, amministrativi o giudiziari, preposti alla tutela dei diritti
dell'uomo di cui l'Italia fa parte.
Resta esclusa dall’area tutelata dalla copertura normativa la corrispondenza inviata al
Presidente del Consiglio dei Ministri.
In proposito, non pare,infatti, consentita, un’interpretazione estensiva del disposto di cui
all’art.18ter O.P., neppure con riferimento a disposizioni pure presenti in seno all’Ordinamento
Penitenziario, quali gli artt.35, 41bis e 67 O.P. .
L’art.35 L. 26.7.75, prevede che i detenuti e gli internati possano rivolgere istanze o reclami
orali o scritti, “anche in busta chiusa”:
1) al direttore dell’istituto, nonché agli ispettori, al direttore generale per gli istituti di prevenzione e
di pena e al Ministro per la grazia e giustizia;
2) al magistrato di sorveglianza;
3) alle autorità giudiziarie e sanitarie in visita all’istituto;
4) al presidente della giunta regionale;
5) al Capo dello Stato.
L’art.41bis,comma 2quater,lett.e),L.26.7.75, n.354,così come novellato dagli artt.2 e 4 della
L. 23.12.02, n.279, stabilisce che la sospensione delle regole di trattamento ordinarie per i
condannati che si trovino nelle condizioni previste dalla norma citata,può comportare “la
sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o
con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia”.
L’art.67,L. 26.7.75,n.354, dispone, infine, che gli istituti penitenziari possono essere visitati
senza autorizzazione da:
a) il Presidente del Consiglio dei Ministri e il presidente della Corte costituzionale;
b) i ministri, i giudici della Corte costituzionale, i Sottosegretari di Stato, i membri del Parlamento e
i componenti del Consiglio superiore della magistratura;
c) il presidente della corte d’appello, il procuratore generale della Repubblica presso la corte
d’appello, il presidente del tribunale e il procuratore della Repubblica presso il tribunale, il pretore, i
magistrati di sorveglianza, nell’ambito delle rispettive giurisdizioni; ogni altro magistrato per
l’esercizio delle sue funzioni;
d) i consiglieri regionali e il commissario di Governo per la regione, nell’ambito della loro
circoscrizione;
e) l’ordinario diocesano per l’esercizio del suo ministero;
f) il prefetto e il questore della provincia; il medico provinciale;
g) il direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena e i magistrati e i funzionari da lui
delegati;
h) gli ispettori generali dell’amministrazione penitenziaria;
i) l’ispettore dei cappellani;
l) gli ufficiali del corpo degli agenti di custodia.
L’inclusione del Presidente del Consiglio dei Ministri tra le autorità che possono visitare gli
istituti non legittima l’estensione del disposto di cui all’art.35 O.P., la cui elencazione ha carattere
tassativo e non meramente esemplificativo delle autorità che possono essere oggetto dell’invio di
missive “in busta chiusa”.Ciò si deduce dalla ratio della norma citata, che è finalizzata non a
disciplinare l’esercizio del diritto di corrispondenza costituzionalmente garantito, bensì a consentire
20
Si tratta dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti
tecnici e loro ausiliari. La previsione si pone in linea con la giurisprudenza CEDU in tema di incensurabilità della
corrispondenza tra i detenuti ed i loro legali .
21
Si tratta del direttore dell’istituto, nonché degli ispettori, del direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena,
del Ministro della giustizia,del magistrato di sorveglianza,delle autorità giudiziarie e sanitarie in visita all’istituto,del
presidente della giunta regionale, del Capo dello Stato.
8
ai detenuti una più ampia possibilità di interloquire, con reclami e istanze liberi da eventuali
condizionamenti ambientali, presso autorità che, a vario titolo,sono o possono essere investite della
responsabilità del trattamento penitenziario.Deve pertanto escludersi un’interpretazione ispirata al
favor rei,quale si sarebbe - in ipotesi - giustificata qualora si fosse ipotizzata la lesione di un diritto
costituzionalmente presidiato,dovendosi, al contrario, propendere per una ricostruzione ermeneutica
più rigorosa, che tenga conto del principio generale della tassatività dei mezzi e delle forme di
reclamo o impugnazione degli atti amministrativi come dei provvedimenti giurisdizionali.
Conferma tale conclusione il tenore stesso dell’art.18ter O.P. di recente introduzione, che
richiama espressamente l’elencazione di cui all’art.35 O.P. nel numero delle autorità sottratte
all’ambito di operatività dei controlli .
La norma di cui all’art.67 O.P., peraltro, non si riferisce affatto, né consente, l’esercizio
della facoltà di consegnare lettere “in busta chiusa”ai soggetti in visita all’istituto penitenziario,
poiché l’art.35 O.P. precisa che tale possibilità è consentita soltanto nei confronti delle autorità ivi
contemplate, e, tra queste, qualora visitino l’istituto penitenziario, soltanto alle “autorità giudiziarie
o sanitarie”22.
Neppure pare percorribile la via di estendere la facoltà di cui all’art.35 O.P. attraverso
un’interpretazione additiva che si richiami al dictum dell’art.41bis,comma 2quater,lett.e),O.P.,letto
in combinato disposto con l’art.67 della stessa legge.
Infatti, la prima disposizione richiamata prevede l’esclusione dagli eventuali controlli della
corrispondenza inviata a,o ricevuta da, membri del Parlamento o autorità competenti in materia di
giustizia;la seconda contiene un elenco di soggetti ammessi a visitare “a sorpresa” gli istituti
penitenziari, senza che sia necessaria l’autorizzazione del direttore del carcere.
Dal raffronto delle due norme, emerge evidente la loro non sovrapponibilità, tanto con
riferimento alla ratio (la prima concerne il diritto alla libertà di comunicazione;la seconda è
finalizzata a garantire alle autorità ivi indicate la possibilità di muovesi liberamente, per i loro fini
istituzionali, all’interno degli istituti penitenziari);quanto relativamente all’indicazione
normativa,contenuta nella prima disposizione in raffronto, che fa riferimento ad autorità
“competenti in materia di giustizia”:qualifica che non può, in tutta evidenza, estendersi a tutti i
soggetti indicati nella seconda norma considerata.
Va, infine, considerato che la norma dell’art.18ter O.P. – contrariamente a quanto si è visto
con riguardo all’art.35 O.P. - non fa alcun riferimento all’elencazione contenuta nell’art.67 della
stessa legge, di tal che non può ritenersi, tale ultima norma, ricompresa all’interno del quadro
normativo rilevante ai fini della materia dei controlli sulla corrispondenza.
6. Il regime dei controlli.
Secondo la nuova disciplina (art.18ter,comma 1,O.P.) “possono essere disposti, nei
confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per
periodi non superiori a tre mesi:
a) limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa;
b) la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo;
c) il controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura
della medesima.”
L’art.18ter O.P. distingue,dunque,un triplice ordine di possibili strumenti di controllo che, in
ordine di crescente incisività sul diritto di cui all’art.15 Cost.,sono: il controllo delle buste,senza
esame degli scritti contenuti nelle stesse(in tal caso, l'apertura delle buste che racchiudono la
corrispondenza avviene alla presenza del detenuto o dell'internato); il visto di controllo (che implica
Qui l’art.18ter O.P. sembra aver introdotto – non è dato sapere quanto consapevolmente – un’innovazione rispetto
alla precedente disciplina (art.35 O.P.).Quest’ultima, ammetteva la possibilità di consegnare scritti in busta chiusa
all’autorità giudiziaria “in visita all’istituto”, mentre l’art.18ter O.P., con previsione di portata generale, ha eliminato il
presupposto della presenza fisica dell’autorità giudiziaria presso l’istituto di pena, consentendo la corrispondenza non
controllata nei confronti di qualsiasi autorità giudiziaria .
22
9
l’esame dello scritto);le limitazioni alla possibilità di ricevere ed inviare corrispondenza, o di
ricevere la stampa.Mentre le prime due attività vulnerano la riservatezza della corrispondenza,
senza tuttavia limitarne l’esercizio;il terzo strumento pregiudica la possibilità stessa di esercitare
pienamente il diritto inciso.
La prima ipotesi di controllo riproduce, nella sostanza, la disciplina dell’ispezione, prevista
dall’art.38, comma 5,D.P.R. n.230/2000,connotandosi tuttavia quale atto non più di competenza
esclusiva dell’amministrazione penitenziaria, come invece prevedeva la disposizione regolamentare
citata; bensì quale provvedimento dell’autorità giudiziaria.Per tale ragione, deve ritenersi che la
disposizione regolamentare dell’art.38,comma 5,D.P.R. n.230/2000,incompatibile con la nuova
norma dell’art.18ter O.P., sia stata implicitamente abrogata dallo jus superveniens , fonte di rango
primario.
L’ispezione consiste nella verifica che la corrispondenza in busta chiusa, in arrivo o in
partenza, non contenga valori ovvero oggetti la cui detenzione non è consentita dal regolamento
penitenziario, e si estende all’intero volume della corrispondenza del detenuto o internato,con
evidenti finalità di prevenzione in rapporto alle esigenze di tutelare l’ordine e la sicurezza interna
all’istituto di pena.Poiché l’accennato strumento ispettivo può,ora, essere attuato soltanto su
decisione dell’autorità giudiziaria e con modalità tali da garantire l’assenza di controlli sullo scritto,
la disposizione sembra compatibile con la garanzia della “doppia riserva” posta a tutela della
riservatezza delle comunicazioni dall’art.15 della Costituzione23 .
Il visto di controllo con possibilità di trattenimento costituisce modalità ben maggiormente
invasiva dell’area di tutela circoscritta dalla Costituzione. L’art.18 ter, comma 5, O.P. stabilisce in
proposito che” Qualora, in seguito al visto di controllo, l'autorità giudiziaria…ritenga che la
corrispondenza o la stampa non debba essere consegnata o inoltrata al destinatario, dispone che la
stessa sia trattenuta.”
Previsione del tutto analoga è inserita nell’art.38,comma 6,D.P.R. n.230/2000,con
riferimento al potere della direzione dell’istituto,quando abbia sospetto che, nella corrispondenza
epistolare, siano contenuti elementi che costituiscono pericolo per l’ordine o la sicurezza ovvero
che integrano fattispecie di reato, di trattenere la corrispondenza, dandone immediata segnalazione
all’autorità giudiziaria24 per i provvedimenti del caso. L’autorità giudiziaria potrà disporre gli
opportuni provvedimenti, esercitando un controllo di legittimità e merito sulla sussistenza dei
presupposti che hanno giustificato il trattenimento della corrispondenza.
Il magistrato di sorveglianza potrà trasmettere gli atti alla competente Procura della
Repubblica (e disporre la sottoposizione a visto della corrispondenza del recluso) qualora ritenga
integrata una notizia di reato; ovvero, se non ravvisi la ricorrenza dei pericula indicati
dall’arrt.18ter O.P., disporre l’inoltro della missiva al destinatario;mentre l’autorità giudiziaria
procedente potrà direttamente attivarsi, anche nelle forme cautelari (cfr. artt. 253 e 254 c.p.p.).
Qualora la corrispondenza sospetta sia già oggetto di sottoposizione a visto di controllo, è
inoltrata o trattenuta su decisione dell’autorità giudiziaria (art.38,comma 6, D.P.R. 230/00)25.
E’ dubbio se la citata disposizione regolamentare conservi efficacia, essendo dettata con
riferimento all’attività ispettiva disciplinata dall’art.38, comma 5, D.P.R. 230/2000 (non più
consentita).Pare, tuttavia, plausibile ritenere che possa residuare, in capo alla direzione dell’istituto,
il potere cautelare di trattenimento previsto dalla disposizione dell’art.38, comma 6, in esame, non
rientrando, quest’ultima, tra le ipotesi di controllo la cui disciplina è stata riformulata dalla nuova
disciplina introdotta dalla L. 95/2000, trattandosi di atto cautelare, necessariamente attivato
dall’amministrazione penitenziaria nell’immediatezza della situazione che genera il “sospetto” sul
23
Cfr.Fiorentin F., op.cit.alla nota 18, p.24.
Anche in tale fattispecie, la normativa regolamentare ripartisce la competenza tra le diverse autorità giudiziarie
(rispettivamente, magistrato di sorveglianza o autorità giudiziaria che procede) tenuto conto della posizione giuridica
del detenuto.
25
Le stesse disposizioni dettate in tema di controllo sulla corrispondenza epistolare si applicano ai telegrammi: cfr.
art.38 commi 8 e 9 D.P.R. 230/2000.
24
10
contenuto della missiva, e non ponendosi, per giunta, alcun problema di contrarietà con i principi
costituzionali od europei, stante la previsione dell’immediato investimento dell’autorità giudiziaria
ai fini della decisione finale.Di contro, potrebbe obiettarsi, che il principio costituzionale sancito
dall’art.15 Cost., risulta in buona sostanza eluso, sia sotto il profilo della riserva di legge (poiché la
disciplina del trattenimento amministrativo della corrispondenza è stabilita unicamente dalla norma
regolamentare di cui all’art.38,comma 6, del D.P.R.n.230/00); sia per l’assenza dell’intervento
dell’autorità giudiziaria fin dal primo momento della potenziale compressione di tale diritto26 .
Una regolamentazione della materia maggiormente armonica con i richiamati principi
costituzionali avrebbe dovuto tenere conto del carattere assoluto e immediatamente cogente della
tutela costituzionale della libertà di comunicazione, e della subordinazione delle limitazioni poste
dal legislatore all’esercizio di tale diritto alle garanzie costituzionali della duplice riserva di legge e
giurisdizione27.
Non ci si può nascondere, in ogni caso, che, sotto l’aspetto dell’eccessiva discrezionalità
attribuita alla pubblica autorità nell’adottare comportamenti lesivi della libertà di corrispondenza
dei reclusi (già censurata dalla Corte di Strasburgo),la norma dell’art.38,comma 6,del D.P.R.
n.230/2000,che giustifica l’intervento dell’autorità amministrativa e – in seconda battuta giudiziaria, al presupposto, quanto mai vago e impalpabile, della sussistenza del “sospetto” che
nella corrispondenza si celino elementi di reato o costituenti comunque pericolo per l’ordine e la
sicurezza, pare senz’altro in contrasto con i principi europei.
Va comunque considerato che l’autorità giudiziaria non potrà limitarsi al richiamo
tautologico dei presupposti normativi, né all’utilizzo di vuote clausole di stile. Tuttavia, si ritiene
legittimo il provvedimento emesso ai sensi dell’art.18ter O.P. che si fondi sulla valutazione della
pericolosità sociale del detenuto, desumibile dai precedenti penali e dalla gravità del reato in
espiazione.In proposito,infatti, la giurisprudenza di legittimità ammette che,ai fini
dell’apprezzamento dell’incidenza del profilo criminologico del condannato (pericolosità sociale),
possano essere valutati i precedenti penali e la gravità del reato per il quale il soggetto ha in corso
l’esecuzione
di
pena
(Cass.,I,4.3.99,n.1812,RV.213062,CED;
Cass.,I,26.2.03,n.23475,RV.224414,Pandolfo,CED;Cass.,I,2.4.03,n.19759,RV.224236,Limandri,CE
D).
L’art. 18 ter, comma 1, lett.a), O.P. prevede,quale terza possibilità di controllo preventivo
azionabile,che l’autorità giudiziaria possa,con decreto motivato,stabilire“limitazioni nella
corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa”.La norma di nuovo conio
riproduce la corrispondente disposizione dell’art.18,comma 9, O.P.,abrogato dall’art.3 della
L.n.95/2004.Il provvedimento contemplato dalla norma citata si configura quale strumento a
spiccata connotazione cautelare, suscettibile di incidere pesantemente sul pieno godimento del
diritto di corrispondenza del detenuto inciso.Dette limitazioni possono essere disposte in seguito
all’attivazione dei controlli (ispezione e visto) previsti dall’art.18ter, comma 1, O.P.(sarà questa
26
Cfr.Fiorentin F.,cit.nota 22, p.25
Con una nota sentenza (C.Cost. n.212/1997), la Corte costituzionale ha in proposito stabilito il principio che il
detenuto “pur trovandosi in situazione di privazione della libertà personale in forza della sentenza di condanna, è pur
sempre titolare di diritti incomprimibili, il cui esercizio non è rimesso alla semplice discrezionalità dell’autorità
amministrativa preposta all’esecuzione della pena detentiva, e la cui tutela pertanto non sfugge al giudice dei diritti”.
Più in generale, per il riconoscimento che, anche in situazioni di restrizione della libertà personale, sussistono diritti che
l’ordinamento tutela, cfr. le sentenze della Corte Costituzionale n. 410/1993, 351/1996, 376/1997. In altra occasione
(cfr. sent. Corte Cost. n.26/99, citata alla nota 8), il giudice delle leggi ebbe così ad esprimersi: “L’idea che la
restrizione della libertà personale possa comportare conseguenzialmente il disconoscimento delle posizioni soggettive
attraverso un generalizzato assoggettamento all’organizzazione penitenziaria è estranea al vigente ordinamento
costituzionale, il quale si basa sul primato della persona e dei suoi diritti…I diritti inviolabili dell’uomo,il
riconoscimento e la garanzia dei quali l’art.2 della Costituzione pone tra i principi fondamentali dell’ordine giuridico,
trovano nella condizione di coloro i quali sono sottoposti a una restrizione della libertà personale i limiti a essa inerenti,
connessi alle finalità che sono proprie di tale restrizione, ma non sono affatto annullati da tale condizione. La restrizione
della libertà personale secondo la Costituzione vigente non comporta dunque affatto una capitis deminutio di fronte alla
discrezionalità dell’autorità preposta alla sua esecuzione.”
27
11
l’ipotesi più ricorrente);ovvero in seguito alla richiesta del PM o della direzione dell’istituto, anche
a prescindere dalla sussistenza dell’ eventuale visto di controllo già disposti dal giudice.In tal
senso,appare evidente l’affinità dello strumento delle limitazioni alla ricezione della corrispondenza
e della stampa con le misure cautelari (la limitazione in esame può essere,infatti, chiesta al giudice
dal PM per ” esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati” (art.18 ter,
comma 1,O.P.).
Il potere di disporre limitazioni alla ricezione della stampa e della corrispondenza non è
limitato, dalla legge, sotto il profilo quantitativo, potendo l’estensione delle limitazioni stabilite dal
giudice estendersi ad un numero e tipologia indefinita di contatti epistolari o di stampa, con l’unico
limite – arguibile dalla lettera della legge – che le limitazioni imposte non determinino la totale
esclusione della possibilità di interloquire con l’esterno attraverso tali forme di comunicazione.
Deve ,infine, osservarsi che alle condizioni indicate dall’art.18ter, O.P.,sussistendo le quali è
consentito al giudice di disporre le limitazioni si ritiene debbano affiancarsi le fattispecie previste
dall’art.8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 1950,esplicando,tali norme, effetti
diretti sul diritto interno .
7. Il regime della corrispondenza trattenuta.
La nuova disciplina introdotta dalla L.n.95/2004 non tocca la delicata questione concernente
il regime giuridico cui gli atti, trattenuti ai sensi dell’art.18ter,comma 5,O.P.,devono essere
assoggettati.
In proposito, pare anzitutto opportuno distinguere le due diverse fattispecie che integrano il
presupposto per il provvedimento di trattenimento: costituite, rispettivamente, dal “sospetto” che
nella corrispondenza si celino elementi di reato; ovvero che la missiva costituisca, essa stessa,
“pericolo per l’ordine e la sicurezza”(art.38, comma 6, D.P.R. 230/00).
A queste si aggiunge, quale terza fattispecie, la previsione di cui all’art.18ter,comma 5, O.P.,
che disciplina l’analogo trattenimento della corrispondenza o della stampa in seguito all’adozione
dei provvedimenti di cui al comma 1 della norma citata.
Nella prima ipotesi, all’autorità giudiziaria competerà la delicata valutazione in ordine
all’effettiva sussistenza, nella corrispondenza segnalata dalla direzione dell’istituto, di quegli
“elementi di reato” che giustificano il provvedimento cautelare.
Nel caso affermativo, sempre che non vi abbia già provveduto d’iniziativa il personale di
P.G. presso l’ufficio matricola dell’istituto di pena (art.321 c.p.p.), il magistrato trasmetterà gli atti
alla Procura della Repubblica competente a ricevere la notizia di reato, e pertanto l’eventuale
sequestro del corpo di reato, la sua custodia ed eventuale restituzione, seguirà la disciplina del
codice processuale penale (artt. 253 ss. c. p.p.).Qualora, al contrario, l’autorità giudiziaria non
ravvisi la sussistenza di elementi costituenti reato nella corrispondenza esaminata, ne disporrà la
restituzione all’autorità amministrativa per l’inoltro al destinatario.
Diversa è l’ipotesi in cui la missiva trattenuta rappresenti un “pericolo per l’ordine e la
sicurezza”:in tal caso, la corrispondenza, in forza di motivato provvedimento dell’autorità
giudiziaria, è definitivamente trattenuta presso l’ufficio matricola del carcere e non può essere
inoltrata.
Si realizza, in tal guisa, una forma di sequestro preventivo atipico: esso mira, infatti, a
realizzare gli scopi di prevenzione propri dello strumento di cui all’art.321 c.p.p.
Desta perplessità la constatazione che l’ordinamento non prevede alcuna forma di tutela
giurisdizionale a fronte dell’eventuale diniego dell’autorità giudiziaria alla restituzione della
corrispondenza trattenuta.E’ da ritenere, infatti, che la direzione dell’istituto non sia tenuta né
autorizzata a disporre la restituzione o l’inoltro della corrispondenza trattenuta e depositata presso
di sé, ovvero acconsentire al rilascio di copia della stessa, senza richiedere l’intervento dell’autorità
giudiziaria. Quest’ultima dovrà verificare che la situazione di pericolo per l’ordine o la sicurezza,
che aveva formato il presupposto per l’adozione del provvedimento di trattenimento, non sia più
attuale, e, in tal caso, disporrà l’immediata restituzione o inoltro della corrispondenza trattenuta.
12
Il decreto che dispone il trattenimento della corrispondenza esplica effetti continuativi, che
legittimamente hanno ragione di esplicarsi soltanto in presenza dei presupposti previsti dalla legge
(elementi di reato ovvero di pericolo per l’ordine e la sicurezza). Qualora risulti il sopravvenuto
venir meno del presupposto,il provvedimento stesso verrebbe privato del suo scopo tipico.Ne
consegue che l’ulteriore mantenimento dell’operatività del medesimo si paleserebbe illegittima.
Non pare da escludersi, in tale evenienza, l’emissione di un decreto magistratuale in sede di
autotutela, diretto alla rimozione dell’atto di trattenimento, su sollecitazione o meno del destinatario
di esso, mediante revoca (rectius: abrogazione) del provvedimento.
Va, peraltro, considerato che la stessa previsione normativa, che collega l’emissione del
provvedimento di trattenimento della corrispondenza all’attualità della situazione di pericolo per
l’ordine e la sicurezza, contiene in sé la previsione del termine finale di efficacia, cioè il venir meno
della descritta contingenza.
La stessa istanza dell’interessato diretta alla restituzione della corrispondenza non dovrebbe
necessariamente assumere la veste e i termini del reclamo-ricorso ex artt. 35 e 69 O.P., venendo,
piuttosto, a configurarsi quale semplice domanda di restituzione delle cose trattenute, fondata sul
(riespanso) diritto del proprietario .
8.La corrispondenza difensiva.
Adeguatamente tutelata è la corrispondenza epistolare con il difensore.
L’art.103,comma 6,c.p.p. pone infatti un divieto assoluto di controllo o sequestro della
corrispondenza tra l’imputato e il proprio difensore, derogabile soltanto qualora l’autorità
giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato.
L’art.35 disp. att. c.p.p. completa la citata tutela sottraendo la corrispondenza tra l’imputato
detenuto e il suo difensore al sistema dei controlli stabiliti dalla normativa penitenziaria.
Nonostante la lettera della legge limiti la vista tutela rafforzata della riservatezza della
corrispondenza alla sola situazione dell’ “imputato”, sembra plausibile alla luce dell’inviolabilità
del diritto di difesa- la possibilità di estendere la descritta disciplina alla corrispondenza dei detenuti
o internati che non rivestono la qualifica giuridica di “imputati” (paradigmatico il caso di detenuti in
espiazione di pena a titolo definitivo che intendono interloquire con il proprio difensore in relazione
ad un procedimento di sorveglianza).Tale conclusione pare rafforzata dalla considerazione che la
Corte costituzionale, con la sentenza n.212/97, ha già modificato l’art.18 O.P. in tema di colloqui
tra il detenuto o internato ed il proprio difensore,con una pronuncia additiva che ha integrato la
norma dichiarata incostituzionale con la previsione del diritto a conferire con il proprio difensore da
parte dei condannati o internati fin dall’inizio dell’esecuzione della pena.
Pare evidente che – pena l’illogicità del sistema – sono del pari ammissibili i contatti
epistolari tra detenuti a titolo definitivo e difensori e, conseguenzialmente, ad essi pare doveroso
estendere la tutela rafforzata di cui all’art.103, comma 6, c.p.p. .
9. Dinamica dei controlli sulla corrispondenza .
L’art.18 ter,comma 3, O.P. stabilisce che i provvedimenti in materia di controllo sulla
corrispondenza dei detenuti sono adottati con decreto motivato, su richiesta del pubblico ministero
o su proposta del direttore dell'istituto, dal magistrato di sorveglianza (se riguardano la posizione di
persone condannate a titolo definitivo o gli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo
grado) ovvero dal giudice indicato dall’art.279 c.p.p. e – in caso di giudice collegiale – il presidente
del tribunale o della corte d’assise (nel caso di soggetti imputati prima della pronuncia della
sentenza di primo grado) .
Per quanto concerne gli imputati,la corrispondente previsione dell’art.18 comma 8 è
abrogata in parte qua, per quanto attiene ai controlli, dalla disposizione dell’art.3, comma 3, della
L. 95 /2004.
Degno di rilievo è che la nuova disciplina pare escludere, il potere di attivazione del
controllo motu proprio da parte dell’autorità giudiziaria,: l’art.3,comma 2,L. n.95/2004 ha infatti
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espressamente abrogato l’art.18,comma 7,O.P., che prevedeva, appunto,l’iniziativa autonoma del
magistrato di sorveglianza. Deve, del pari, ritenersi implicitamente abrogata anche la disposizione
dell’art.38, comma 7,D.P.R.n.230/2000,in materia di trattenimento definitivo della
corrispondenza,per incompatibilità con lo jus superveniens (la norma regolamentare espressamente
ammetteva l’iniziativa ufficiosa dell’ autorità giudiziaria ai fini della sottoponibilità a visto di
controllo della corrispondenza,in alternativa alla segnalazione della direzione dell’istituto di pena),e
dal momento che la corrispondente disciplina del trattenimento definitivo è ora integralmente
disciplinata dall’art.18 ter, comma 5,O.P.).
La mancata previsione del potere d’iniziativa ex officio del magistrato, mentre può apparire
giustificata in rapporto alle esigenze attinenti alle indagini, che il giudice del processo può non
conoscere (del che risulta logica l’attribuzione dell’iniziativa unicamente al PM, organo deputato al
coordinamento delle indagini preliminari);si palesa,per altro verso,inopportuna, poiché riduce
l’incisività dei poteri di controllo e vigilanza sulla vita carceraria attribuiti al magistrato di
sorveglianza dall’art.69,O.P. .
Il tenore letterale dell’art.18 ter O.P.,infatti,preclude al magistrato di sorveglianza
l’attivazione motu proprio, anche in presenza di eventuali pericoli per l’ordine e la sicurezza
dell’istituto dei quali egli venga a conoscenza in sede – poniamo – di colloqui con i detenuti o nel
corso delle periodiche visite agli istituti di pena,con la conseguenza che il magistrato si vedrà
costretto a compulsare la direzione dell’istituto affinché gli faccia pervenire una richiesta di
provvedere nel senso indicato dall’art.18 ter O.P., in contrasto con il carattere di immediatezza e
urgenza proprio di tale intervento magistratuale.
Viene confermata dalla nuova disciplina(art.18 ter, comma 4, O.P.) la possibilità che
l'autorità giudiziaria, nel disporre la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo, se non
ritiene di provvedere direttamente, possa delegare il controllo al direttore o ad un appartenente
all'amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore.
Confermata la previsione, già contenuta nella normativa regolamentare vigente per il
trattenimento amministrativo (art.38, comma 7, D.P.R. 230/2000) che qualora, in seguito al visto di
controllo, l'autorità giudiziaria competente ritenga che la corrispondenza o la stampa non debba
essere consegnata o inoltrata al destinatario, ne è disposto il trattenimento (art.18 ter, comma
5,O.P.).
La nuova norma non precisa la forma del provvedimento di trattenimento, che peraltro, alla
luce delle considerazioni sopra svolte, si ritiene debba rivestire le forme del decreto motivato.
10. Giustiziabilità dei provvedimenti di controllo della corrispondenza.
La nuova disciplina, doppiando la previsione regolamentare (art.38, comma 10, D.P.R.
n.230/2000), stabilisce che il detenuto e l'internato vengano immediatamente informati
dell’avvenuto trattenimento (art.18 ter, comma 5,O.P.).
Tale previsione appare,peraltro,non perfettamente in linea con la logica in cui si muove la L.
n.95/2004.
Si tratta, come detto, della pedissequa riproposizione della previsione di cui all’art.38,
comma 10, D.P.R. n.230/2000, che, tuttavia, non era finalizzata alla attivazione dell’eventuale tutela
giurisdizionale:nel quadro della normativa previgente era ipotizzabile soltanto l’esperimento del
reclamo al magistrato di sorveglianza avverso il provvedimento amministrativo adottato dalla
direzione dell’istituto ai fini del controllo sulla corrispondenza del detenuto (artt.35 e 69,
O.P);mentre non era possibile alcuna tutela giurisdizionale nei confronti dei provvedimenti emessi
dall’autorità giudiziaria.
La nuova disciplina,invece, contempla
l’espressa facoltà di proporre, “contro i
provvedimenti dell’autorità giudiziaria di cui ai commi 1 e 5 dell’art.18 ter O.P., reclamo, secondo
la procedura prevista dall'articolo 14-ter O.P., al tribunale di sorveglianza, se il provvedimento è
emesso dal magistrato di sorveglianza, ovvero, negli altri casi, al tribunale nel cui circondario ha
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sede il giudice che ha emesso il provvedimento”, prevedendo altresì che “del collegio non può fare
parte il giudice che ha emesso il provvedimento” e che “si applicano le disposizioni dell'articolo
666 del codice di procedura penale.”
Riconosciuta al procedimento relativo al reclamo dei detenuti di cui all’art.18 ter O.P.
natura giurisdizionale e non (più) amministrativa, pare incongruo che non sia stata correlativamente
prevista, per l’informativa all’interessato,l’adozione di formalità congrue con il carattere
giurisdizionale del procedimento (a es. la forma della comunicazione o della notificazione del
provvedimento giudiziario suscettibile di impugnativa) e con la conseguente necessità di disporre di
un atto avente data certa ai fini della verifica del rispetto da parte del detenuto del termine per
proporre il reclamo.
L’omessa previsione desta ancor maggiori perplessità laddove il legislatore prevede invece
espressamente, nell’art.14ter O.P., che la facoltà di reclamo può essere esercitata dall’interessato
nel termine di dieci giorni “dalla comunicazione del provvedimento definitivo” .
Ben più grave omissione nella nuova disciplina si riscontra, infine, nella mancata previsione
dell’obbligo di informativa al detenuto o all’internato del provvedimento previsto dall’art.18
ter,comma 1, O.P., ai fini della decorrenza del termine per la proposizione dell’eventuale reclamo .
Tale carenza rende estremamente difficoltoso l’esercizio del diritto di adire l’autorità
giudiziaria da parte del soggetto detenuto o internato la cui corrispondenza sia sottoposta al visto di
controllo, poiché egli verrà a conoscenza dell’esistenza del provvedimento del giudice soltanto nel
caso la corrispondenza, successivamente al “visto”, sia stata trattenuta definitivamente con
provvedimento del giudice, ovvero nel momento in cui riceverà la comunicazione prevista dalla
citata circolare 14.3.1994 n.3382/5832; od ancora, nel momento in cui sarà chiamato a presenziare
alle operazioni di cui all’art.18 ter, comma 1,lett. c), O.P.
Il reclamo previsto dall’art. 18 ter, comma 6,O.P., è discusso avanti al tribunale di
sorveglianza se il provvedimento impugnato è stato emesso dal magistrato di sorveglianza; presso il
tribunale ordinario nel cui circondario ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento, negli altri
casi.
Con una norma di indubbia opportunità (art.3,L. n.95/2004) è riformulato il testo
dell’articolo 14-quater,comma 2, della legge n.354/75, nei termini seguenti:“per quanto concerne la
corrispondenza dei detenuti, si applicano le disposizioni dell'articolo 18-ter".La facoltà di reclamo
avverso il provvedimento che applica il regime di sorveglianza particolare era già prevista
dall’art.14 ter O.P.; mancava, tuttavia,la previsione di analoga tutela nei confronti del
provvedimento dell’autorità giudiziaria che disponga il visto di controllo sulla corrispondenza del
detenuto sottoposto a sorveglianza particolare.
A tale carenza sopperisce la nuova disposizione, che va a completare organicamente il
sistema di controllo giudiziale della legittimità dei provvedimenti che impongono il rigore del
regime di sorveglianza particolare.
L’art.3, comma 4, della L. n.95/2004, stabilisce che “All'articolo 34 del codice di procedura
penale, al comma 2-ter, lettera b), le parole: "previsti dall'articolo 18" sono sostituite dalle seguenti:
"previsti dagli articoli 18 e 18-ter". Viene in tal modo estesa la previsione di non applicabilità
dell’incompatibilità disciplinata dall’art.34,c.p.p., ai provvedimenti emessi ai sensi della nuova
norma dell’art.18 ter O.P. .
(dall’originale, apparso sulla Rivista “La Giustizia Penale”).
Fabio Fiorentin
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