Comunità di San Fermo (Bergamo)
29 ottobre 2009
Il perdono
nel vangelo di Luca
II PARTE
Giacomo Fachinetti
Questa sera vorrei soffermarmi sui tre momenti conclusivi e decisivi del vangelo di Luca: la
cena, la croce, la missione. Il commento che farò presuppone la struttura un po' teologica
esposta nella prima parte: è Dio che agisce per primo, che fa, che si rivela in Gesù in un
determinato modo e in un determinato volto. Sulla base e all'interno di questa rivelazione di
Dio in Gesù, quindi all'interno della relazione personale di Dio con Gesù, è possibile
comprendere e fare quello che Gesù propone ai suoi discepoli. Al di fuori di questa relazione
personale con Gesù e al di fuori dell'evento della rivelazione del volto del cuore di Dio, quello
che Gesù dice a me appare o sovrumano o disumano o utopistico o impossibile. Perciò non è
possibile parlare genericamente del perdono e bisogna parlare del perdono cristiano: del
perdono che è reso possibile solo sentendosi perdonati da Dio in Gesù. Solo sentendo che io
nella mia meschinità ho un valore immenso, infinito, solo sentendo che sono oggetto della
ricerca di Dio: solo sulla base di questo è possibile in qualche modo che io nei confronti di un
altro abbia lo stesso comportamento: «voi siate misericordiosi come è misericordioso il padre
vostro che è nei cieli».
Qualcosa del genere è scritto nella Lettera agli Ebrei: «Su questo argomento abbiamo molte
cose da dire, ma è difficile da spiegare perché siete diventati lenti a capire. Infatti voi, che a
motivo del tempo trascorso dovreste essere maestri, avete bisogno che qualcuno vi insegni i
primi elementi della parola di Dio e siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido. Ora
chi si nutre ancora di latte non ha esperienza della dottrina della giustizia poiché è ancora
bambino. Il nutrimento solido è invece per gli adulti che mediante l'esperienza hanno le
facoltà esercitate a distinguere il bene dal male» (Eb 5,11-14).
Penso che quest'ultima riga contenga l'affermazione fondamentale: il raggiungimento della
maturità all'interno del cammino della fede è possibile attraverso l'esercizio della fede.
L'esercizio rimanda all'esperienza riveduta, rinnovata, rivissuta che diventa la condizione per
distinguere il bene dal male. Nella prospettiva cristiana è possibile solo come momento della
maturità che a sua volta è possibile solo attraverso l'esercizio rinnovato, ripetuto.
1. La cena del Signore (Luca 22,14-35)
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Il peccato dei discepoli interrompe la relazione con Gesù;
il perdono di Gesù riapre le relazioni e il futuro.
Come potremmo identificare i discepoli? Certamente non solo sono persone che sono con lui,
che fanno la Pasqua insieme con Gesù; sono persone che sono caratterizzate da una scelta
fondamentale: hanno lasciato tutto ed hanno aderito alla persona di Gesù, gli sono stati fedeli.
Ma all'interno di questo si può pensare a loro come persone che hanno capito? All'interno
della scelta fondamentale si distinguono le varie possibilità: vi troviamo il traditore e persone
che non solo non capiscono ma discutendo su chi è il più grande di fatto sono guidate da una
logica diversa e contraria da quella di Gesù; c'è uno come Simon Pietro che certamente ha
scelto di essere dalla parte di Gesù ma sarà anche colui che dirà di non conoscerlo.
Come si configura il peccato tra queste persone? C'è innanzitutto il peccato di tradimento di
uno di loro, ma all'interno di una relazione personale molti hanno dei comportamenti che
negano e compromettono questa relazione personale – ce lo fa capire bene Gesù quando dice:
«guai a quell'uomo che mi ha tradito» –, e compromettendo o rinnegando quella relazione
personale perdono sé stessi e quindi sin d'ora è possibile che Gesù abbia anticipatamente un
lamento funebre. Da dove viene questo rifiuto di Gesù, da dove viene questa possibilità di
perdere sé stessi e di fallire? Forse da una certa malizia interiore, forse da incomprensione; ma
non è solo un fatto mentale, di intelligenza: è un fatto esistenziale.
La risposta di Gesù a questa terribile, inquietante, dolorosa possibilità dei suoi discepoli non è
abbandonare le persone al tradimento o alla rottura di questa relazione personale. La risposta
di Gesù è il desiderio di stare con loro; il dono totale incondizionato di sé a loro nella
prospettiva dell'amore nel dolore; la speranza di essere con loro non solo nel presente ma il
desiderio di condividere con loro la sua condizione gloriosa e farne suoi invitati suoi
commensali per condividere la gloria che il Padre dà a Lui.
Questi sono i segni visibili della fedeltà di Gesù: il termine “perdono” non c'è, però questa è la
risposta di Gesù.
Soffermiamoci sul comportamento di Giuda. Non sappiamo per quali motivi Giuda tradisce
Gesù: il vangelo di Giovanni dice che era attaccato ai soldi, il vangelo di Luca non lo dice ma
racconta che i discepoli ritenevano che la cosa fosse possibile non solo per uno in particolare,
ma si chiedevano chi tra loro potesse far questo. In qualche modo l'evangelista Marco dice
che ognuno di loro poteva fare questo. Quindi intuisce che c'era un comportamento di base
che li portava al rifiuto della persona o del modo particolare in cui Gesù realizzava la sua
missione.
Forse il tradimento di Giuda era un tentativo estremo di costringerlo a realizzarsi con potenza.
Ma c'è anche la possibilità di rinnegare la persona rinnegando il senso del mangiare insieme:
mangiare insieme è segno di comunione, il tradimento è il rifiuto della persona e la negazione
del significato di un'azione elementare. Giuda non solo nega Gesù ma anche il senso più
elementare di un comportamento umano; così facendo Giuda nega anche il tempo in cui è
stato insieme a Gesù, nega la sua scelta, i suoi anni, i suoi sogni, la sua fede e le sue speranze:
è disposto a negare sé stesso. Ecco la forma che assume il peccato di Giuda: rifiuto di Gesù,
negare la propria esperienza, negare sé stesso, negare non solo la scelta originaria ma anche la
vocazione, la missione, il significato che doveva avere per la comunità il segno visibile della
fedeltà a Dio. Il peccato di Giuda – riletto in termini cristiani – non è la trasgressione
particolare di un dato comportamento sull'esempio dei dieci comandamenti, ma nel
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comportamento di Giuda, in quello che si chiama tradimento di Giuda, c'è la negazione della
persona di Gesù e di sé stesso e la negazione di quello che uno poteva essere per la comunità.
Poi ci sono gli altri discepoli che discutono su chi è il più bravo: la discussione forse è
inevitabile e anche logica; nella prospettiva che Gesù venga a mancare discutono su chi
prenderà il suo posto. Nel vangelo di Marco i discepoli discutono per strada ed hanno un po'
vergogna: alla domanda di Gesù sull'argomento della discussione, rispondono con il silenzio.
Nel vangelo di Matteo, a questa discussione Gesù risponde prendendo un bambino e
mettendolo tra loro dicendo: «se non diventate come questo bambino non entrerete nel regno
dei cieli». La collocazione della discussione nel vangelo di Marco in un momento
significativo e importante fa risaltare anche il contrasto: è una discussione umanamente
legittima ma cristianamente contraddittoria perché di fatto rinnega il comportamento di Gesù,
il suo stile. Qui il peccato ha la forma di infedeltà: Gesù ha la reale sensazione che i discepoli
si comportino in maniera mondana, non cristiana, cioè pensano l'autorità così come
comunemente è praticata ed intesa: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il
potere su di esse si fanno chiamare benefattori ... tra voi non deve essere così ... io sono tra
voi come colui che serve».
Queste persone intendono essere fedeli a Gesù, non vogliono rinnegare la fedeltà alla scelta
fondamentale fatta a favore di Gesù; ma quando questa scelta fondamentale deve essere
confermata da una scelta particolare, che sarebbe l'esercizio dell'autorità all'interno della
comunità, finiscono per rinnegarla perché anche se dal punto di vista verbale continuano a
dirsi discepoli di Gesù, però fanno il contrario di quello che Gesù ha detto e fatto.
Prendiamo la situazione di Pietro: da una parte c'è sicuramente la scelta fondamentale di stare
insieme con Gesù; l'intenzione anche soggettivamente è coraggiosa perché il racconto dice
che Pietro segue Gesù fin dove può, fin dentro la casa dei sacerdoti. Da questo punto di vista
Pietro appare non solo simpatico ma direi ammirevole: è uno che ha fatto la scelta di vita per
Gesù, è uno che ha tentato di seguirlo fino in fondo. Ma in quel momento, in quella situazione
Pietro si comporta in maniera da rinnegare la scelta fondamentale di Gesù e anche rinnegare il
fatto di avere avuto il coraggio di seguire Gesù in una situazione ambigua e difficile perché in
quella situazione dice: «... non lo conosco». Il peccato di Pietro è anche più grave di quello di
Giuda – perché Giuda approfitta della conoscenza che ha di Gesù per tradirlo e dal punto di
vista delle conseguenze è certamente più grave – ma dal punto di vista esistenziale il peccato
di Pietro mi sembra molto più grave perché dice di non conoscere Gesù. La cosa è ancora più
grave se si tiene conto che, per il vangelo di Matteo, Pietro è depositario non solo di una
conoscenza secondo la carne e del sangue ma è depositario di una rivelazione da parte di Dio:
«Beato te Simone ... perché non la carne e il sangue te lo ha fatto conoscere ma il Padre mio
che è nei cieli» (Mt 16,17).
Il peccato di Pietro consiste nel fatto che afferma di non conoscere Gesù; Pietro si trova in
questa situazione: seguire possibilmente Gesù crocifisso o salvarsi, salvare la pelle, dicendo di
non conoscerlo, prendendone le distanze. Vedete come il peccato ha veramente una
dimensione in relazione a Gesù, è la negazione della relazione personale con Gesù, è la
negazione della scelta fondamentale fatta da Pietro. Per salvare sé stesso Pietro mette sé stesso
al di sopra di Gesù, capovolgendo quella che è la scelta fondamentale che lui ha fatto:
prendere Gesù come il Signore, come maestro, e vivere in relazione, in funzione di lui,
dedicandosi totalmente a lui senza condizione alcuna.
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Il peccato di Pietro può essere superato, ancora una volta, dalla fedeltà di Gesù che viene
integrata da un suo comportamento particolare: «... ma io ho pregato per te, che non venga
meno la tua fede ... E il Signore, voltatosi, guardò Pietro; e Pietro si ricordò della parola che
il Signore gli aveva detta: “Oggi, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte”. E,
andato fuori, pianse amaramente». La preghiera e lo sguardo di Gesù: in questi piccoli
particolari prende forma la fedeltà stabile di Gesù; non è solamente un atteggiamento generale
ma è una fedeltà che si manifesta: il fatto che Gesù abbia pregato dimostra che Pietro stava a
cuore Gesù.
Il perdono è legato necessariamente al cambiamento della persona: se Pietro non piange
amaramente, se Pietro non si ricorda, se Pietro non riconosce la sua colpa non dico che non
può essere perdonato, ma non può rendere efficace in sé l'atteggiamento, la relazione con
Gesù e ne resta in quel modo ai margini. In qualche modo sarebbe un'offerta non accettata, un
perdono non accettato, non accolto. È importante questo perché, se da una parte so che in
Gesù c'è stabilità e continuità nell'offerta e nella disponibilità a rivivere, a ridare senso e
pienezza alla relazione, è altrettanto importante che questa disponibilità di Gesù a ricostruire,
a rinnovare la relazione sia riconosciuta, accettata, fatta propria dall'uomo. In questo caso
Simon Pietro che riconosce il proprio peccato, riconosce la propria colpa, riconosce le
implicazioni di quello che ha fatto riguardo la persona di Gesù, riguardo al proprio passato.
Vediamo allora che il perdono è un processo o un avvenimento, un insieme di avvenimenti
che permette di recuperare una relazione personale con Gesù, recuperare il proprio passato, la
propria esperienza passata, ricuperare sé stessi, ritrovare sé stessi. In ciò è la propria speranza:
ricuperare la memoria, ricuperare le esperienze buone e belle come momenti positivi, non
dico di cui insuperbirsi ma di cui certo compiacersi. Per cui da quel momento in avanti Pietro
poteva dire di sé: certamente io sono uno perdonato cioè uno che è stato a cuore a Gesù; ma
insieme potrà dire: io sono uno, modestia a parte, che si è dedicato totalmente a Gesù.
Il perdono è ciò che permette di recuperare tutto sé stesso nelle cose buone; il perdono fa
riconoscere l'errore ma permette di recuperare, di reintegrare nella propria vita, nel proprio
essere tutto il bene di cui uno è stato capace e permette di dirlo e di raccontarlo, con
riconoscenza e gratitudine.
Per Pietro l'esperienza del perdono implica anche un rinnovamento e una conferma della
fiducia. Il perdono non è un semplice “non farla pagare”, non è semplicemente fare in modo
che Pietro non resti imprigionato nel proprio errore, ma mi sembra che ci sia anche nella
risposta di Gesù il rispondere al male con il bene. C'è addirittura l'affidamento di un compito
nuovo: tu confermerai i tuoi fratelli nella fede. Non solo recupero del passato ma la
rivalorizzazione del futuro, l'ampliamento di una responsabilità nuova, un futuro rinnovato,
sulla base della ricostruzione della relazione personale che non è mai venuta meno da parte di
Gesù. Pietro ritrova sé stesso, ritrova gli altri e ritrova la possibilità di essere significativo nei
confronti degli altri per il futuro, per il tempo che resta, foss'anche un giorno solo.
2. Gesù è condannato a morte (Luca 22,66-23,49)
Il peccato delle figure istituzionali: rifiutare Gesù in quanto Cristo.
Il perdono offerto da Gesù come possibilità di cambiamento.
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I protagonisti della condanna a morte di Gesù appartengono alla dimensione istituzionale:
Pilato, prefetto o governatore; Erode è re; i sacerdoti o il sinedrio. Tutti svolgono una
funzione pubblica che coinvolge non solo loro come persone ma coinvolge anche le comunità
che rappresentano.
Per Erode Gesù è un mago, è un facitore di portenti come i maghi dell'antichità. È fede questa
di Erode? certamente è curiosità aperta sì al sovrumano, al divino ma non è certo fede nel Dio
di Gesù. Erode si aspetta che Gesù faccia dei segni, ma per Erode essi rappresentano qualcosa
di sovrumano ma di fine a sé stesso, che hanno lo scopo di stupire, di meravigliare.
In Erode direi c'è la dimensione estetica, spettacolare: la religione o la rivelazione come
spettacolo che seduce, che affascina in senso estetico; ma non certo una religione che esige la
decisione esistenziale, che esige la dedizione collegata all'esercizio della libertà, che esige il
dedicarsi totalmente, incondizionatamente a Gesù.
Erode non ha voglia di cambiare di fronte a Gesù: ha visto, è stato spettatore, guarda e
continua come prima. Si tratta di una deformazione, non solo una incomprensione. Cambiare
o limitarsi a guardare sono due modi profondamente diversi, di nuovo alternativi di porsi
davanti a Gesù.
Perché Gesù si presenta come rappresentante di Dio ed esige la fede, esige una dedizione
illimitata e incondizionata, una dedizione esistenziale; Gesù richiede che uno usi tutta la
propria libertà per decidere a favore di lui, della sua persona e di quel Dio che egli rende
presente. Erode non fa l'unica cosa che Gesù si aspetta: Erode non crede, non decide; Erode
guarda, fa lo spettatore. Invece, di fronte a queste possibilità, Erode rinvia Gesù ad altri; in
qualche modo Erode rimanda a Gesù la possibilità del fallimento, del malinteso
fraintendimento. Gesù ha di fronte uno per il quale tutto quello che lui ha fatto, ha detto, è
stato e quello che si prepara a fare – la sua sofferenza –, non conta nulla: l'unica cosa che
conta è la capacità e la possibilità di fare i miracoli, di essere portatore di un energia
sovrumana capace di suscitare meraviglia ma di lasciare tutto come prima.
Questa è una deformazione grave nel considerare l'opera di Gesù: ecco una forma del peccato;
il peccato di Erode consiste proprio nel rifiuto della relazione, nel rifiuto di ogni
coinvolgimento, nel rifiuto di una certa etica a vantaggio solo di un sguardo puramente
scettico: “ho visto ho guardato mi sono divertito”.
Che idea posso farmi di Pilato durante il processo? Ci troviamo di fronte a un magistrato che
dovrebbe avere a cuore l'esercizio della giustizia; un magistrato che ufficialmente riconosce
che Gesù è innocente e benché sia convinto dell'innocenza di Gesù lo fa flagellare, lo
condanna. Avrà anche subito il condizionamento della folla, della piazza, ma questo non è una
scusante è un'aggravante. Dal punta di vista della morale, Pilato non riconosce
esistenzialmente l'innocenza di Gesù; verbalmente sì, ma tutto il suo comportamento è
contrario: tratta Gesù da colpevole, lo mette sullo stesso piano di Barabba. Ciò che
caratterizza Pilato é puro opportunismo, è potere per il potere, non l'amore della verità, non la
ricerca del vero Dio.
E di nuovo, Pilato può rappresentare per Gesù il fallimento: Gesù si trova di fronte uno che
risponde alla sua proposta verbale o esistenziale rifiutando la ricerca della difesa e del diritto,
rifiutando la ricerca della verità e rifiutando il coinvolgimento personale.
Pilato non è una persona che ha scelto di esercitare il suo giudizio su Gesù, è una persona che
non sceglie. In lui c'è anche posto per una forma di riconoscimento della giustizia e
dell'innocenza di Gesù, però Pilato si sente superiore per l'esercizio del potere. Questa è la
ragione ultima del suo rifiuto durante il processo a Gesù. Il potere di Pilato, diventa una forma
di amoralità o di immoralità. Ciò che viene trascurato è la verità di Gesù come messia, come
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re e come figlio di Dio. Pilato rimanda l'idea che è possibile rifiutare la verità di Gesù ed è
possibile usare tutti i mezzi umanamente possibili ed efficaci per negare e la verità di Gesù e
la vita di Gesù.
Dei sacerdoti, dei teologi e dei laici impegnati del sinedrio non so dire in che misura avessero
autorità su tutti gli ebrei; se era un'istituzione che rappresentava i giudei di Gerusalemme o gli
ebrei della Palestina. La cosa chiara era che il sinedrio aveva autorità e ha usato la sua autorità
delegata da Dio – questa era un po' l'immagine ufficiale – per rinnegare la verità di Gesù.
Rinnegare l'autorità di Gesù, negare che Dio si possa far conoscere attraverso Gesù: questo è
il loro peccato. Ciò che viene rifiutato in Gesù, utilizzando un potere delegato da Dio secondo
la loro visione, è proprio la verità di Gesù e il fatto che Gesù rivendica per sé una dignità,
un'autorità divina. È questo usare un'autorità che viene da Dio per negare la verità di Gesù e
per negare che Gesù è un rivelatore di Dio la questione fondamentale: ecco il peccato delle
persone del sinedrio; oggettivamente hanno definito bestemmia meritevole di morte la verità
di Dio così come viene proclamata da Gesù.
In Erode come in Pilato, nei sacerdoti, negli scribi e nei laici impegnati non centra la
trasgressione di un comando particolare ma c'è il fondamentale rifiuto della verità della
rivelazione di Dio, ridotta a puro spettacolo, sottomessa alla ragione di stato ed alla
conservazione del potere, ridotta ad una certa idea di Dio che è biblica, ma per tanti aspetti è
negazione della parola e della azione di Gesù.
In tutte e tre le situazioni mi sembra che è rimasta la necessità di ripensare al peccato in
relazione alla persona di Gesù; Gesù viene negato, irriso, deriso in ciò che era la ragione del
suo vivere: in quanto profeta, messia, figlio di Dio.
Come risponde Gesù a quelli che lo colpiscono nel suo essere più profondo? Non hanno
rubato, non sono adulteri, non hanno offeso il padre e la madre, non hanno ucciso, ma sono
persone che irridono e rifiutano la ragione fondamentale per cui Gesù è vissuto. Rifiutano la
verità di Gesù. Gesù dice “io sono il figlio di Dio”, loro dicono “tu non lo sei”; Gesù dice
“sono stato mandato da Dio padre”, “non è vero, è una bestemmia” rispondono; Gesù dice “di
Dio ne ho parlato io”, “non è vero tu rappresenti la falsificazione di Dio”; Gesù dice “ho
portato la fraternità che supera ogni barriera”, l'impero di Roma dice “non è vero voi siete
sottomessi, siete schiavi, bisogna stabilire e riaffermare il valore di ogni divisione e di ogni
barriera, tra chi sta sopra e chi sta sotto, tra romani ed ebrei”.
La risposta di Gesù a tutto ciò viene espressa dalla preghiera sulla croce: «Padre perdona a
loro perché non sanno quello che fanno». Gesù prega e chiede perdono; quella preghiera è
una domanda ma è anche la risposta che Gesù si aspetta da Dio per quelle persone, per il loro
rifiuto e il loro comportamento irridente e disumano sotto la croce.
La risposta di Gesù è il perdono; il perdono come una rinnovata opportunità data a quelle
persone, l'opportunità data a loro di cambiare mentalità.
3. La missione (Luca 24,36-49)
... e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione
e il perdono dei peccati ...
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Quando Gesù incontra i discepoli, dopo la sua morte e resurrezione, dice loro: «... il Cristo
patirà e risorgerà dai morti in tre giorni e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la
conversione e il perdono dei peccati cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete
testimoni».
Conosco la disponibilità da parte di Gesù al perdono e in Gesù conosco qual'è la disponibilità
di Dio al perdono, però la condizione umanamente necessaria è il cambiamento: se non c'è
conversione non ci si può appropriare del perdono. Ma la conversione per quelle persone, ce
lo ricorda il libro degli Atti degli apostoli, vuol dire riconoscere di avere messo in croce Gesù,
vuol dire riconoscere la verità delle affermazioni di Gesù; vuol dire riconoscerle insieme ai
propri errori: il fatto che in nome di Dio si è negata la verità di Dio, la rivelazione di Dio; in
nome della vita di una certa comunità di Israele si è soppressa la vita di un ebreo: Gesù.
Vuol dire, per chi non è stato coinvolto nel processo della Pasqua, riconoscere questo;
predicare Gesù Cristo a tutte le nazioni, a partire da Gerusalemme; vuol dire: guarda che tu
vivrai lontano nel tempo e nello spazio, ma quest'uomo che io ti annuncio ha a che fare con te,
tu hai a che fare con lui, se vuoi conoscere qualcosa di Dio, se vuoi realizzare ed essere
rinnovato nella tua umanità devi passare attraverso quest'uomo, non c'è altra possibilità, non
c'è altra strada.
Ecco la cosa straordinaria, impegnativa ed affascinante che è implicata nella missione: gli
amici di Gesù, i discepoli chiunque essi siano, devono predicare a tutte le nazioni la
conversione e il perdono dei peccati. Che vuol dire riconoscere proprio che in quest'uomo
Gesù, in ciò che lui ha detto e fatto, posso sperimentare la preziosità che io ho per Dio, posso
sperimentare che Dio sta cercando me e proprio me, posso sperimentare quel volto di Dio per
cui io sono tutto e lascia il mondo intero per cercare solo me, ed è disposto a dare suo figlio
per dire quanto gli sono caro e prezioso. Ecco l'importanza, il significato delle cose che
cercavo di dire la volta precedente a proposito del capitolo 15 del vangelo di Luca
Questa dovrebbe essere la caratteristica della comunità all'interno della chiesa; la comunità
della chiesa potrà assumere dal punto di vista istituzionale le forme più diverse ma la sostanza
del messaggio è questa perché il modello di Gesù è mandato a tutte le nazioni. L'unico
compito che la chiesa ha è parlare di quel Dio di Gesù, parlare di quel Dio che si è
manifestato nelle azioni e nella parola di Gesù e far recepire ad ogni persona – ripeto – la
preziosità, il valore unico e incomparabile di ognuno di noi agli occhi di Dio.
Non è vero che nessuno è necessario: ognuno di voi è necessario per Dio e Dio non vuole
essere Dio senza ognuno di voi, qualunque sia la vostra condizione.
Questo è il messaggio. Per rendersi conto e dire che è un messaggio serio, una proposta seria
ecco la morte di Gesù. La risposta di Gesù esclude l'atteggiamento dei discepoli di Gesù, che
lo scelgono, ma si comportano in maniera contraria; esclude l'atteggiamento di Erode: è un
bello spettacolo da vedersi ma non cambia niente; esclude l'atteggiamento di Pilato: ci sono
cose molto più importanti di Gesù, la ragione di stato, l'esercizio del potere, l'affermazione
dell'impero; esclude l'atteggiamento dei sacerdoti e di una certa chiesa nel suo aspetto
istituzionale: bisogna difendere un certa immagine di Dio, che magari ha radici bibliche, ma
non è di certo il Dio di Gesù.
Esclusi questi atteggiamenti, cosa vuol dire credere in Gesù? Annunciare la conversione e
l'offerta del perdono.
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E insisterei su questo: senza conversione non c'è perdono. Quindi il perdono sollecita
veramente, è una proposta, una sfida, una provocazione al cambiamento e alla trasformazione
personale ed è la condizione necessaria per riceverlo. E diventa la condizione necessaria per
poter imparare a perdonare: «siate misericordiosi come misericordioso è il Padre vostro che è
nei cieli».
E solo all'interno di questa esperienza e solo sulla base di questa relazione personale con
Gesù, sulla base di questa fede, accettazione della verità di Dio come Gesù ce l'ha proposta,
che è possibile prendere sul serio, prendere per vere credibili affidabili quelle parole che ho
ascoltato nel discorso della montagna: «amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi
fanno del male, benedite coloro che vi maledicono...». Al di fuori di questa relazione
personale con Gesù, al di fuori di essere oggetto di un amore unico e incomparabile di Dio,
sono parole che “avanzano”, sono disumane perché, umanamente parlando, è una pretesa
impossibile. Quelle parole hanno senso dentro e sulla base dell'accettazione di Gesù e del Dio
di Gesù: allora essendo stato perdonato, il perdono diventa principio, non regola di vita,
principio di azione almeno cercata, almeno desiderata.
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