Incontro di studi delle Acli
Orvieto, 6-8 settembre 2007
I luoghi dell’abitare
Incontri, conflitti…
Grammatiche del con-vivere
Io sono la vite e voi i tralci
Don Franco Mosconi
Preghiamo
O Dio, che ci hai inseriti in Cristo
come tralci nella vera vite,
donaci il tuo Spirito,
perché, amandoci gli uni gli altri di sincero amore,
diventiamo primizie di umanità nuova
e portiamo frutti di santità e di pace.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.
Leggiamo adagio e con calma il Vangelo di Giovanni, cap. 15.
Gv 15,1-17:
1«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo
toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già mondi, per la
parola che vi ho annunziato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se
stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci.
Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non
rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e
lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà
dato. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.
9Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete
i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio
e rimango nel suo amore. 11Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia
piena. 12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati.
13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici,
se farete ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il
suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a
voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto
e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.
17Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.
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Orvieto, 6-8 settembre 2007
I luoghi dell’abitare
Incontri, conflitti…
Grammatiche del con-vivere
1. Siamo ancora nell’ultima cena
Gesù, dopo aver lavato i piedi e dato il boccone a Giuda, ha parlato del suo comando che è quello
dell’amore. Poi ha detto: “Io adesso me ne vado, ritorno al Padre e il mio andarmene in realtà non è
un abbandonarvi, ma sarà una nuova presenza. Vi apro il cammino, perché anche voi facciate come
io ho fatto”. Nel capitolo 14 ha parlato della fiducia in lui, dell’amore, dell’osservare la sua Parola,
che poi è il dono dello Spirito. Ora riprendiamo un po’ gli stessi temi da un altro punto di vista. Il
testo rappresenta nei primi 6 versetti la metafora di Gesù vite e di noi tralci. Quindi il testo parla
della nostra comunione con Gesù. In che cosa consiste? Che cosa fa, cosa realizza questa
comunione?
2. La metafora della Vigna
La vigna è la metafora del popolo di Dio, di Israele, che Dio ha piantato con cura. Noi non
sappiamo bene che cosa vuol dire piantare una vigna. È una cosa molto impegnativa: bisogna
trovare il terreno giusto, esposto al sole, alla pioggia, una pendenza esatta, bisogna scavarlo,
ripulirlo, drenarlo. È un lavoro enorme. E poi chi pianta la vigna sa che per qualche anno non
produce niente. Praticamente quando si parla del popolo di Dio come vigna, si vuole indicare tutta
la cura che ha avuto Dio per il suo popolo, per trovargli la terra, le condizioni nel coltivarla, perché
alla fine producesse il frutto. E il frutto che Dio desidera, Dio che è amore, è che questa vigna
risponda con frutti di giustizia e di amore. L’amore vuol essere amato. Tutta la Bibbia è il racconto
di questo amore di Dio tradito, che coltiva la sua vigna e questa non fa i frutti che desidera, cioè i
frutti dell’amore. E se noi non amiamo, è fallito Dio come Padre, ma siamo falliti anche noi come
figli. È il dramma di Dio e dell’uomo, sarà quel dramma che porterà alla croce il Figlio dell’uomo,
che è il Figlio di Dio. Gesù utilizza questa metafora della vigna per dire: “Io sono la vite”. Si passa
dal collettivo “vigna”, che è il popolo, alla “vite”, all’unico che porta frutto, a Gesù che è insieme il
Figlio di Dio e il Figlio dell’uomo, che è l’unico che ama totalmente gli uomini come il Padre, che è
l’unico che ama totalmente Dio. È il primo uomo che ama realmente Dio come Padre. Gesù è il
primo uomo che ama realmente Dio. In lui la terra ha dato il suo frutto. In questo capitolo si
approfondisce questa nostra unione con Gesù, lui che è la vera vite, in modo che anche noi
possiamo dare frutto, realizzarci come figli di Dio.
Tra l’altro, le parole che escono dal brano sono:
portare frutto (7 volte) e questo frutto è l’amore, non può essere altro;
amore (9 volte) e questo amore ci fa suoi amici;
amicizia (3 volte) e questo amore ci dà gioia.
Il fine di tutto è proprio la gioia: “perché la vostra gioia sia piena”.
Quindi il vero frutto, segno della presenza di Dio è la gioia. La vita, che produce il vino, è il segno
della gioia, dell’amore, del frutto che tutti dobbiamo produrre.
Ma cominciamo a vedere il testo.
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Grammatiche del con-vivere
3. Io sono la vera vite
1«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo (agricoltore).
Gesù spesso incomincia le sue parole dicendo: “Io sono”. Sono le iniziali del nome di Jahwè, con le
quali Dio si è rivelato a Mosè e Gesù le usa in modo assoluto dicendo: “Io sono”, oppure
specificato, come: “Io sono il pane vero. Io sono la luce. Io sono il pastore. Io sono la risurrezione
e la vita. Io sono la via, la verità e la vita”. Oggi dice: “Io sono la vite, quella vera”. La vera vite è
quella che produce frutto. Questa vite si contrappone alla vigna. La vigna non ha prodotto frutto e
questo è il dramma di Dio. Non ha trovato un uomo che rispondesse al suo amore. Il primo uomo
che risponde all’amore è il Figlio, il Figlio suo che diventa il Figlio dell’uomo. E lui è la vite, è il
primo uomo che produce il frutto desiderato da Dio. Gesù è il progetto di Dio veramente riuscito.
Poi c’è quest’uva, questo frutto dolce che è l’amore. “Io sono la vera vite”, quella vite che produce
il frutto dell’amore del Padre e dei fratelli. Per questo è la vera vite. E poi il Padre è l’agricoltore, il
vignaiolo, forse sarebbe meglio dire il viticoltore. Se pianta la vite è il viticoltore. Questa
definizione di Dio come viticoltore forse è una delle più belle in assoluto, perché noi viviamo nelle
zone delle vigne. Un viticoltore non si arrabbia con la vite, non può arrabbiarsi; deve avere una
pazienza infinita, deve avere tutte le cure, deve aspettarsi assolutamente niente per i primi anni e poi
aspetta che il tempo, le condizioni siano propizie per avere il frutto. Mette tutta la sua cura, tutta la
sua pazienza, tutto l’amore, tutta l’intelligenza, tutta la fatica, senza poterci tirare fuori niente,
almeno i primi anni. Tante volte dai figli tiriamo fuori quello che vogliamo noi e rischiamo di
ucciderli, perché lo vogliamo anche in fretta; ma è bella questa metafora di Dio come viticoltore,
che fa tutto il suo lavoro e aspetta con pazienza che l’altro produca, che risponda. Ci sono nella
Bibbia riferimenti a Dio che si lamenta di continuo con la sua vite, cioè con il suo popolo: “Cosa ho
fatto? In che cosa ho sbagliato? Forse non ho avuto abbastanza cura di te? Perché mi hai fatto
questo e non produci i frutti?”. È un dramma per Dio che questa vite non risponda, si colpevolizza.
In fondo si chiede che cosa doveva fare che non abbia fatto. È un vero dramma per Dio. Ma ora
vediamo che in Gesù il dramma si risolve, perché lui è la vite. Come è la vita così è la vite: produce
frutto. E noi che cosa dobbiamo fare? Capiamo subito: ci vuole questo legame con lui: “senza di
me…”.
2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti
più frutto.
Noi siamo i tralci e lui è la vite. Il tralcio è unito alla vite, ma ci sono anche tralci secchi, che non
portano frutto, quelli vanno tagliati. È la prima opera che fa il vignaiolo alla fine dell’inverno. Però
non solo toglie via ciò che è secco, ma fa un altro lavoro più profondo: se c’è un ramo che porta
frutto, lo pota perché porti ancora più frutto. C’è tutto un lavoro di potatura, che il Signore fa in noi.
Prima di tutto recide ciò che è male, ma poi c’è un altro lavoro più profondo; non è che tolga il male
evidente; c’è quel male nascosto frammisto al bene, che è più difficile da togliere. In fondo anche
nella vita spirituale si può cercare la propria volontà, i propri gusti, i propri piaceri, il proprio
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benessere. C’è tutto un cammino di purificazione che il Signore opera in noi, basta lasciarlo
operare. E questa purificazione avviene mediante la Parola. La vita stessa ci sfronda, ci semplifica.
La vita stessa ci rende essenziali, ma soprattutto la radice è la Parola, che ci sfronda veramente.
3Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato.
4. Il frutto è l’amore per il Padre e per i fratelli
Non portare frutto è il male sommo che ci possa essere. “Siate fecondi, moltiplicatevi” è il primo
comando di Dio, ed è per la vita. Ciò che è vivo produce vita, se no non è vivo. Come ciò che è luce
illumina, se no non è luce. Quindi non produrre frutto vuol dire essere sterili, essere morti. E per
frutto, lo vedremo alla fine, intende l’amore, l’amore del prossimo. Non amare l’altro è essere
morti. Si può essere in Cristo ed essere ugualmente morti, non amare i fratelli. Il Vangelo dice che
molti si accontentano di dire: “Signore, Signore”. E il Signore: “Non vi conosco”. Non basta essere
dei battezzati, non basta credere in Gesù e anche amare Gesù, bisogna produrre frutto e il frutto è
l’amore concreto per il Signore e per i fratelli, per il prossimo. Se non ami concretamente il
prossimo, tu non ami il Signore, che è colui che ha dato la vita per i tuoi fratelli, per tutti i fratelli.
L’unione con Gesù non è semplicemente un’unione mistica per persone privilegiate, l’unione con
Gesù, il Figlio di Dio, è effettiva ed è data dal fatto che fai ciò che fa lui, cioè: ami i tuoi fratelli.
Senza questo amore per i fratelli tu puoi essere battezzato, puoi essere un monaco, puoi essere Papa,
puoi essere tutto ed essere ramo secco che va bruciato, cioè non porti frutto. Si può tragicamente
essere cristiani senza portare frutto; ci accontentiamo del nome ed è per questo che Gesù dice: “Voi
siete già mondi per la parola che vi ho detto”. La parola del Vangelo è il continuo esorcismo che ci
libera dal nostro egoismo, ci manifesta la verità di Dio che è amore e ci fa liberi. C’è una purezza di
fondo già in noi per opera della Parola, quindi l’importanza della lectio quotidiana, che ci sfronda
continuamente. Però non basta ancora, bisogna imparare a dimorare nel Signore, a stare di casa in
lui.
5. Dimorate in me ed io in voi
La parola “dimorare” viene fuori, dal v. 4 al v. 8, otto volte. Dove sta uno di casa? Sta di casa dove
ama, dove ha il cuore e noi dobbiamo imparare a stare di casa nel Signore. Avere il cuore nel
Signore. E come si fa ad avere il cuore nel Signore? Amare il Signore vuol dire fare ciò che lui dice,
cioè fare come lui. Questo vuol dire dimorare in lui.
4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite,
così anche voi se non rimanete in me
Il frutto di una lectio vera, lo ripetiamo continuamente, è imparare a pensare come il Signore e ad
amare come lui. In questo versetto le parole sono molto chiare. Gesù dice: “Se dimorate in me
portate frutto, se non dimorate in me non portate frutto, siete tralci secchi”. E qui si parla appunto
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del frutto che noi possiamo portare semplicemente se dimoriamo in lui. Il centro della nostra vita di
credenti, tutta la nostra azione è essere uniti a Gesù. Uno poi produce secondo ciò che è. Se sei
unito a lui produci i suoi stessi frutti. La vite e il tralcio hanno la stessa linfa. Vivono della stessa
vita. Il tralcio non produce niente se non è unito alla vite. Così noi se non siamo effettivamente uniti
a Gesù con la nostra stessa vita, con la stessa linfa, con lo stesso spirito, con lo stesso amore che ha
lui siamo secchi, siamo morti. È così determinante questa unione con lui che, senza questa unione
con lui, non è possibile nessuna azione vera nei confronti degli altri. Magari questa unione è
misteriosa, non tutti la conoscono, ma solo nella misura in cui sono unito a lui, posso portare frutto.
È determinante questa unione con il Signore, senza di lui possiamo fare nulla. Quante volte avete
sentito il testo di Marta e Maria! Si tenta di contrapporre la contemplazione all’azione, ma è
sbagliato. Tu agisci secondo ciò che hai contemplato. Sono cose che vanno avanti assieme. Come il
tralcio se non è unito alla vite non può fare il frutto, così se non siamo uniti a Gesù, al Figlio, non
produciamo il frutto del Figlio che è l’amore del Padre nei fratelli. Se avessimo masticato a lungo
questi testi, forse la nostra vita, la nostra storia sarebbe più vivibile, perché questa linfa vitale
andrebbe un po’ dappertutto. Sono parole molto semplici, mi pare che ogni spiegazione sia
superflua, ma vanno costantemente ripetute, risentite, fino quando entrano nel nostro cuore in
profondità. A questo punto Gesù dice:
5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non
potete far nulla.
Questo versetto è molto trasparente. Gesù stesso spiega questa metafora: “Io sono la vite e voi i
tralci”. Se restate attaccati a me, allora portate molto frutto, cioè il mio stesso frutto; avete la mia
stessa vita di Figlio, avete il mio stesso amore per il Padre, avete il mio stesso amore per i fratelli,
perché “senza di me non potete fare nulla”. Cosa posso fare io senza Dio? È lui che mi ha dato
l’esistenza, che mi ha dato tutte le qualità e i doni che ho. Se resto unito a lui, continuo la sua opera
e la sua opera è dare vita, è dare amore. Se mi separo da lui distruggo la sua opera, distruggo
innanzitutto me stesso. Se sto in lui porto molto frutto, rispondo alla fecondità di Dio, so dare vita
anch’io, so dare amore; ho pienezza, ho gioia, ho comunione. Se non dimoro in lui non faccio
niente. Fare nulla non è semplicemente non far nulla di male, far nulla è proprio nulla, ti riduce al
nulla, sei nulla; non vivi né da figlio né da fratello. Quando uno quotidianamente prega cosa fa? La
preghiera aiuta a stare uniti a lui. Può sembrare banale, ma il principio della vita spirituale è quando
uno si mette a pregare quotidianamente al tempo stabilito. Pensiamo anche alla preghiera delle Ore:
mattina, mezzogiorno, sera, sono momenti in cui dialogo con il Signore, mi unisco a lui per trainare
tutta la giornata, per rimorchiare tutto, per dare a tutto un senso anche di preghiera. Questo è un
principio della vita spirituale. Quando uno è fedele a questi tempi si accorge che la sua vita cambia,
specialmente perché passa questi momenti con il Signore, sulla sua parola e fa di questo tempo, che
dedica alla preghiera, il centro, il senso della sua giornata e si unisce al suo Signore e si accorge che
la sua giornata cambia, eccome cambia! Evidentemente quando si prega non è semplicemente che si
faccia una pratica e poi la vita scorre per conto suo. No, la preghiera è proprio quel momento in cui
riconosci che la tua vita, la tua azione, tutto il tuo io ha il suo centro in Dio. Allora ti accorgi che
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cambia il tuo modo di impostare la giornata, di valutare le cose da fare. Veramente vivi in modo
diverso. È fondamentale questa unione, unione che poi diventa effettiva, operativa nella realtà
quotidiana. Questo richiamo alla preghiera, alla lectio, è importante, perché sono i due elementi che
ci tengono uniti a lui e ci aiutano a pensare e ad agire come lui. “Senza di me non potete far nulla”.
Qualcuno può fare l’obiezione che ci sono tante persone che non conoscono il Signore e che però
fanno delle cose buone. Penso che il tralcio è unito alla vite e ci chiede di restare uniti alla vite che è
lui, ma anche la vite è unita ai tralci. Voglio dire che c’è un aggancio con noi, Gesù questo aggancio
ce l’ha, quindi posso capire che anche delle persone che non lo conoscono possono fare delle cose
belle e buone, ma un credente è consapevole, si rende conto. Fa parte della fede questa
consapevolezza, che approfondisce l’esperienza di unione con lui, la rende entusiasta, anche bella.
È vero che ci sono persone che non lo conoscono, ma basta meditare il capitolo 25 di Matteo, dove
l’elemento discriminante è proprio l’amore. “Quando ti ho visto affamato, assetato?”. “Ogni volta
che l’hai fatto a chi era nel bisogno l’hai fatto a me”. Il frutto dell’essere legati è proprio l’amore,
quindi torno su questo “dimorare in lui”. Se leggete alcune lettere di Paolo notate che spesso ricorre
l’espressione “in Cristo”, “conosco un uomo in Cristo”. Come Paolo realizza questa unione, questa
comunione? “Conosco un uomo in Cristo”: esce di continuo, è quasi un ritornello. Lui sta di casa in
Cristo e questo non è fanatismo. Se non sto in lui, che è il Figlio del Padre, è fratello di tutti, sto
dalla parte opposta; ogni volta che non sto in lui, sto nelle mie preoccupazioni, nei miei egoismi,
nelle mie ansie, nei miei deliri, nei miei patemi. Ogni volta che sto in lui recupero la mia identità
inalienabile di figlio di Dio, di fratello. È la sorgente della mia vita. È la condizione per essere se
stessi questo stare in lui, questo dimorare in lui.
6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano
nel fuoco e lo bruciano.
Quindi se uno non dimora in me, già fu buttato fuori e già si seccò. Il non dimorare in lui è già
l’essere fuori, è già essere secchi, è già essere morti, perché lui è la vita. Allora vengono raccolti,
gettati nel fuoco e bruciati. Tutto ciò che non è amore, tutto ciò che non è in Dio è paglia che brucia,
non ha valore. È morte tutto ciò che non è nell’amore, è per la morte. Paolo dice che saremo salvati
attraverso il fuoco, cioè tutto brucerà nell’amore di Dio, come tutto lui brucerà sulla croce. Il
Signore porterà la nostra sterilità sulla croce: il nostro peccato, la nostra maledizione, i nostri
egoismi, e ci darà la sua vita. Bisogna stare attenti a volte a leggere i testi, come quelli di domenica
scorsa, dove troviamo “il giorno rovente”. “Il giorno rovente” è il giorno della morte del Signore. Il
fuoco che brucia è il fuoco dell’amore, dello Spirito Santo che brucia le nostre miserie. Non brucia
gli uomini, brucia il peccato dell’uomo. Bisogna lasciarci purificare, lasciarci bruciare da questo
amore.
7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato.
Torniamo alla prima affermazione: “Se dimorate in me e i miei detti dimorano in voi…”. Dimorare
in Gesù vuol dire accettare la sua persona, vuol dire accettare il suo amore per noi, vuol dire amarlo.
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Ma non basta accettare la persona di Gesù, amare Gesù, come non basta amare la persona
vagamente. Se ami una persona ciò che quella persona dice dimora in te. Cosa vuol dire? Amare
una persona non vuol dire soltanto: “Ti voglio bene” e basta, vuol dire che ascolto le sue parole, che
accolgo la sua storia, accolgo la sua vita, accolgo il suo modo di pensare, il suo modo di agire, i suoi
gusti; diversamente non la accetto, non la accetto fino in fondo. Così il modo concreto per accettare
Gesù è accettare le sue parole. Accettare il Signore vuol dire ascoltare quotidianamente le sue
parole. Se non si arriva ad accettare le parole di una persona vuol dire che la si esclude. Accettare le
parole vuol dire che ciò che l’altro dice diventa per me importante. È andare incontro alle sue
esigenze, alle sue domande, alle sue richieste, altrimenti non lo amo. Se ami Dio, devi fare quello
che lui dice. Devo fare quello che lui dice se lo amo. Quindi il primo modo di dimorare in lui è
ascoltare le sue parole, far sì che le sue parole dimorino in me, vivano in me, che le accolga; che
diventino queste parole, parole mie, parole che governano il mio modo di pensare, mio modo di
agire. Penso all’annunciazione: “Avvenga in me la tua parola”: è Maria a pronunciarla, colei che ha
concepito l’inconcepibile. Quando approfondisco l’annunciazione mi accorgo che qui viene fuori la
grandezza di Maria, che diventa esemplare per tutti. Non a caso Luca ha messo l’annunciazione al
primo capitolo del suo Vangelo, per insegnarci come si ascolta la Parola, e ci ha messo davanti
Maria, Maria di Nazareth. Se accolgo la sua Parola, le sue parole veramente governano il mio modo
di pensare, il mio modo di agire. Se amo Dio accolgo le sue parole, capisco la sua volontà, voglio
fare la sua volontà. Finalmente accade anche in me ciò che Dio vuole. Allora la storia, il mondo
prende il suo cammino. Se gli voglio bene, la sua Parola dimora in me, ed è importante volere e
chiedere quello che le sue parole dicono e le sue parole diranno subito dopo:
8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. 9Come il
Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
“Dimorate nel mio amore”. a cosa da chiedere, la cosa da volere è che il Padre sia glorificato. E
come è glorificato il Padre in noi? Il Padre è glorificato in noi se ci trattiamo da fratelli e da figli.
Questo è il frutto che glorifica il Padre. Quando diciamo: “Sia santificato il tuo nome”, diciamo: “il
tuo nome sia santificato nella nostra vita”. Chi vede noi glorifica il Padre. Come si rivela Dio e
come ci salva? Rivelandosi Padre, perché noi impariamo a vivere da fratelli e da figli. Questa è la
nostra salvezza e la sua gloria. Questa è la prima cosa da capire, da volere, da chiedere. In concreto:
la gloria del Padre è che noi diventiamo discepoli di Gesù, che impariamo da lui a fare quello che
faceva lui, a comportarci da figli. Gesù dice: ‘Diventatelo con me e per me, fatemi il favore,
diventate miei discepoli. Imparate da me ad amare i fratelli come io ho amato voi e così realizzate
l’amore del Padre’. Questa è la gloria del Padre sulla terra. Così egli dice:
9Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi.
Come ama il Padre il suo Figlio unico Gesù? Come ha amato il Figlio Gesù? Dio è amore senza
limiti, Dio è amore infinito. Il Padre ama infinitamente il Figlio, di un amore unico, totale,
irripetibile. Lo stesso amore che Dio Padre ha per il Figlio, lo ha il Figlio per noi. Se questa verità
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penetrasse veramente dentro di noi, non vivremmo più questo senso di abbandono, di solitudine. È
vero, è un discorso di fede, però lo stesso amore che Dio Padre ha per il suo Figlio è lo stesso amore
che ha il Figlio per noi. Ci ama con lo stesso amore del Padre. E più avanti dirà che il Padre ci ama
come ci ama il Figlio. Il Padre e il Figlio ci amano con un unico amore, che è lo Spirito Santo, che è
la loro vita. L’essere di Dio è l’amore tra Padre e Figlio. Questo è il loro essere. Non può essere
diversamente, perché Dio è amore. E nei nostri confronti, Dio ci ama come figli. Tutto ciò Gesù è
venuto a portare sulla terra: Gesù è venuto a mostrarci questo amore del Padre per noi e lo mostra
fino alla fine, lo mostra fino al compimento. Gesù andrà alla morte e più di così non poteva fare. Ci
amò fino alla fine, fino al compimento, fino a dare la vita per noi. Ci mostra l’estremo dell’amore.
Gesù ci dice: “Dimorate nell’amore, dimorate nel mio amore”. Siamo chiamati a dimorare
nell’amore che Gesù ha per noi. E qual è l’amore che Gesù ha per me? È lo stesso amore che il
Padre ha per lui, quindi vuol dire che la mia dimora, la mia casa è l’amore che il Padre ha per il
Figlio. Lì sto di casa. Sono parole superiori alla nostra comprensione. Dovremo chiedere scusa,
perdono, quando leggiamo queste cose, perché vanno al di là della nostra comprensione. Quando
capiremo realmente queste cose, vorrà dire che saremo già in Paradiso. Però il sapere già ora che io
sto di casa nell’amore che Dio Padre ha per Gesù, che io partecipo di questa comunione trinitaria
mediante questo amore, è veramente un grande dono dello Spirito. Almeno comprendiamo che
siamo destinati a questo, perché anche il nostro amore desidera essere assoluto, desideriamo essere
amati così, ma spesso ci sfugge e Gesù è venuto a dimostrarcelo, a portarcelo, a donarcelo
attraverso la sua parola, attestata poi dalla sua vita e testimoniata dallo Spirito che ci mette nel
cuore, che ci fa capire che siamo realmente figli amati. Non possiamo esistere se non siamo amati in
un modo incondizionato. Il sapersi figli amati come il Figlio unico è il dono dello Spirito. E sapere
che tutti gli altri sono amati così, è il fare una vita nuova sulla terra, finalmente vivibile, da figli di
Dio e da fratelli. Ogni parola la capisci nella misura in cui diventa vera nella tua vita, quando ne fai
l’esperienza. Dovremmo chiedere al Signore che questo diventi nostro cibo quotidiano.
6. Siamo chiamati ad avere la gioia di Dio
10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i
comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Questo vi ho detto perché la mia gioia sia
in voi e la vostra gioia sia piena.
Il fine di tutto è la gioia. Io credo che una persona di fede, se non ha malattie particolari, dovrebbe
manifestare questa gioia, questa pace interiore, questa serenità, non come volontarismo, ma come
frutto di questa presenza. È consapevolezza di essere abitati. È una continua variazione sul tema.
Qui ci porta a planare a un livello ancora più alto: “Se voi osservate i miei comandi” - ed è un unico
comando - “dimorerete nel mio amore”: lo stesso dimorare nell’amore che lui ha per me. Devo
amare anch’io, perché se non amo non dimoro in quell’amore, sono ancora egoista, non capisco che
cos’è l’amore, quindi devo farne esperienza amando. “Come io ho osservato il comando del Padre e
rimango nel suo amore” - e il comando del Padre è amare i fratelli - “così anche voi dimorate nel
mio amore se amate i fratelli”. Se non ami i fratelli non sei figlio. Tutto ciò che Gesù ha detto negli
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anni della sua vita e ha fatto è stato esattamente mostrare che, come il Padre ama il Figlio, così ama
tutti i suoi figli. E questo, Gesù ce l’ha detto per un motivo preciso: il fine della rivelazione
dell’amore è perché la sua gioia sia in noi. Noi siamo chiamati ad avere la stessa gioia di Dio. E la
parola gioia è la parola più alta, sta sopra anche l’amore. Ci sono tanti amori senza gioia, ci sono
tanti piaceri che non danno gioia, e poi ti accorgi che sono una schiavitù. La gioia però è il colore
dell’amore vero, è il colore di Dio. E ciò che l’uomo cerca in tutta la vita è proprio la gioia. Nella
tradizione spirituale, ma anche nell’esperienza propria, quando si perde la gioia del cuore vuol dire
che c’è qualcosa che non va, siamo fuori registro; spesso siamo chiusi nel nostro egoismo, nei nostri
piccoli pensieri, nei nostri piccoli progetti, usciamo dal grande progetto di Dio. È importante questa
gioia. Diciamo anche che c’è tanto amore senza gioia. La gioia c’è quando c’è questo amore
reciproco. Se non è reciproco forse non c’è nemmeno la gioia, c’è solo angustia, c’è solo pena. Ora,
Dio è amore reciproco tra Padre e Figlio, gioia perfetta e noi, ricevendo questo amore di Dio,
rispondendo al suo amore, amando gli altri, entriamo in questa gioia perfetta di Dio, partecipiamo
anche noi di questa gioia. “Quivi è perfetta letizia” è il ritornello di Francesco. È il segno della
presenza di Dio la perfetta letizia, che può convivere anche con le sofferenze e le fatiche. La sua
gioia sia in noi e la nostra gioia sia piena, come la gioia di Dio. Poi finalmente dice quali sono i suoi
comandi. I suoi comandi sono un unico comando, molto semplice. Lo ha detto al capitolo 13 dopo
aver lavato i piedi:
12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri
L’unico comando di Dio è l’amore reciproco tra di noi. Non si parla nemmeno dell’amore di Dio,
perché l’amore di Dio e dell’uomo è un unico amore. Non c’è l’amore di Dio e l’amore del
prossimo, ma solo un amore che viene da Dio, dal Padre termina al Figlio, dal Figlio va ai fratelli e i
fratelli poi si amano tra di loro. Così inizia veramente il regno di Dio. Giovanni usa poco il termine
“regno di Dio”, usa invece il termine “gloria”. Dio è glorificato, è santificato il suo nome, è
glorificato il suo nome nella nostra vita. Quando diciamo: “Sia santificato il tuo nome”, non
esprimiamo un augurio, ma intendiamo dire: il tuo nome sia santificato nella nostra vita. Chi vede
noi deve dire: “Guarda, com’è grande Dio! Com’è grande l’amore del Padre!”. E noi possiamo
amarci gli uni gli altri, perché lui ci ama come ci ama il Padre. Uno può amare nella misura in cui è
amato. E come è amato? Purtroppo chi non sperimenta l’amore di Dio anche attraverso l’amore dei
fratelli, fa fatica. Il Vangelo vuole mostrarmi come io sono amato da Dio e me lo dimostra Gesù con
la sua passione per me. Se conosco questo amore posso vivere di questo amore. Se sono amato
posso amare. Questo è il secondo vertice del testo: “Amatevi anche voi come io vi ho amati” Il
primo è: “Come il Padre ha amato me, così io amo voi”. Come ci ha amato? Come ci ama il Padre.
Il Padre come ci ama? Come ha amato Gesù, il Figlio.
13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici,
se farete ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il
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suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a
voi.
7. Non c’è amore più grande che dare la vita per gli amici
Poi Gesù dice in che cosa consiste l’amore: “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri
amici. E voi siete miei amici”. Questi amici chi sono? - Giuda, che è appena uscito e l’ha chiamato
amico. - Pietro, che lo rinnega. - Gli altri che scapperanno tutti e lo lasceranno solo. “Voi siete i miei
amici” e quando dice queste cose sta avvenendo tutto questo fatto. Gesù chiama “suoi amici”, suoi
pari, quelli che lo tradiscono, che lo rinnegano, che scappano. Quando lo vedranno innalzato,
quando scopriranno il suo amore, crederanno finalmente a questo amore. E noi siamo chiamati a
diventare suoi amici riconoscendo il suo amore per noi. È anche bella quest’altra espressione: “Non
vi chiamo servi, ma amici”. Voi non siete servi, siete qualcosa di più. Gli amici sono pari tra di loro.
Noi siamo chiamati a diventare uguali a Dio, perché l’amore che il Padre ha per il Figlio, il Figlio lo
ha dato a noi e noi possiamo amare con lo stesso amore di Dio; diventiamo come Dio, che è amore.
Ecco perché la nostra vita è una progressiva trasfigurazione, è una progressiva divinizzazione.
Maria, ai piedi del Signore, ascoltava la parola. Ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta.
Tutto ci viene tolto, l’ascolto della parola non ci viene tolto perché la parola è Parola di Dio, è
interiorizzare Dio stesso, è un cammino che ci porta a questa progressiva divinizzazione. Possiamo
amare con lo stesso amore di Dio. Diventiamo come Dio, che è amore, per partecipazione, per un
suo dono. Quindi siamo amici, siamo pari. È proprio questo amore per i fratelli che ci rende uguali a
Dio. Sarete miei amici se fate le cose che vi comando, cioè amarvi gli uni gli altri. Quindi non siete
servi, perché il servo non sa e voi sapete cosa fa il Signore. Sì, io so che cosa fa il Signore, in senso
esperienziale, ho esperienza, il Signore è amore e amo con il suo stesso amore. E tutte le cose che
Gesù, il Figlio, ha ascoltato dal Padre, le ha donate a noi. Possiamo amare con il suo stesso amore.
Bisogna sostare, dimorare per cercare di capire. Sono parole che vanno oltre la nostra
comprensione. La comprensione di queste parole si ha quando inizia quel silenzio estatico, perché
hai capito che c’è qualcosa che eccede ogni nostra capacità di comprensione, che però ti accorgi che
ti sazia nel profondo. “Sarete miei amici se fate le cose che vi comando: amarvi gli uni gli altri”.
16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il
vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.
17Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.
Ritorna questo ritornello. Se avessimo vissuto fino in fondo questa parola, le guerre, gli odi, gli
omicidi non ci sarebbero stati. Il brano termina di nuovo con il comando dell’amore e Gesù dice
ancora: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”. L’amore è scegliere: ‘Io ho amato voi, vi ho
scelti’. Perché Dio ci ha scelti? Perché ci ha amati? Perché andiamo e portiamo frutti di amore.
Andare è la missione. Così noi siamo amati, siamo scelti, diventiamo adulti, simili a Dio, perché
impariamo ad amare concretamente gli altri come lui. Questa è la missione del Figlio Gesù, dei suoi
fratelli e della Chiesa nel mondo, nella storia. È la missione costante della Chiesa, è la missione
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dell’amore e dei fratelli. Questo è il frutto. Il frutto dello Spirito – è Paolo che lo dice - è l’amore, la
gioia, la pace, la mitezza, il dominio di sé. E questo frutto dimora in eterno. Oltre questo frutto non
c’è più niente. Se non ho amore, e l’amore è tutto perché è Dio che fa questo frutto, non ho niente.
L’importanza del dimorare in Dio. Dio dimora in noi. Noi siamo chiamati a vivere questo amore. A
questo punto: “Qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome, ve la darà”. Cosa devo chiedere
al Padre nel nome di Gesù? Adesso finalmente lo so: dimorare nel suo amore. “Cercate prima il
Signore e il resto vi sarà dato”. Dimorare nel suo amore, capire l’amore che il Padre ha per il
Figlio, che è l’amore che il Figlio ha per me, ricevere il suo Spirito e amare i miei fratelli. Questo è
il “molto frutto”. Questo amore tra fratelli, questo amore reciproco è la realizzazione di Dio sulla
terra, è l’annuncio del regno di Dio sulla terra. L’amore reciproco tra di noi realizza il mistero
trinitario sulla terra. Noi portiamo sulla terra Dio che è amore e questa è la missione della Chiesa.
“Tutti conosceranno che siete miei discepoli se vi amerete gli uni gli altri”. Di che cosa ha bisogno
il mondo? Di vedere della gente che si vuol bene. Sembra di banalizzare, ma è la sostanza. Allora si
capisce che Dio è Padre se noi ci amiamo tra fratelli escludendo nessuno. Se ne escludo uno,
escludo Gesù, che si è fatto ultimo di tutti. Se escludo l’ultimo immigrato, escludo Cristo, che si è
fatto l’ultimo di tutti. Se ne escludo uno, perché è un delinquente, è un grande peccatore, perché la
pensa al contrario di me, escludo Dio, che è molto diverso da me. “Questo vi comando: che vi
amiate gli uni gli altri”. Ha iniziato dicendo: “Se dimorate in me”. Come si fa a dimorare in lui? Se
lasciamo posto gli uni agli altri.
8. Conclusione
È un testo da leggere costantemente, forse una frase per volta, allacciandola alla precedente perché
la completa. Sono parole molto elementari: stare di casa, amici, amare, portar frutto, volere,
domandare. Non c’è niente di astruso da capire, troppo semplice, però va capito, va accolto, va
chiesto, va voluto, va desiderato, va contemplato. Il finale è proprio bello, è sulla missione. Se noi
comprendiamo la scelta – ed è Lui ci ha scelti (l’elezione di Dio) - se sei veramente eletto, hai
capito che sei figlio prediletto nel Figlio, sei inviato a portare questo frutto, per amare gli altri con il
suo stesso amore. Ed è questa la bellezza che salva il mondo: la bellezza dell’amore fraterno. Non
c’è altra bellezza che salvi il mondo. Possiamo utilizzare questo tempo per riflettere su questo
brano. Fare come i padri del deserto: imparare qualche versetto anche a memoria, quello che più ci
colpisce, portarcelo dentro, farlo dimorare dentro di noi. Questa non è la Divina Commedia, è
Parola di Dio, è qualcosa di Dio che entra dentro, si deposita, dimora e certamente nasce poi una
nostra risposta.
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ESSERE DI GESU’,
RADICE DELLA NOSTRA VITA
Preghiamo
La tua volontà, o Dio, è la salvezza di ogni uomo.
Per realizzarla hai mandato il tuo Figlio,
che è morto ed è risorto per noi.
Facci comprendere il mistero del tuo amore.
Donaci un cuore grande,
capace di accogliere i tuoi desideri
e di modellare su di essi le nostre scelte.
Aprici ad accogliere la tua parola,
a riconoscerla come luce per i nostri passi,
come dono capace di dare senso alla nostra vita.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.
Gv 15,18-27:
18Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. 19Se foste del mondo, il mondo
amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per
questo il mondo vi odia. 20Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del
suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia
parola, osserveranno anche la vostra. 21Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché
non conoscono colui che mi ha mandato. 22Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non
avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato. 23Chi odia me, odia anche il
Padre mio. 24Se non avessi fatto in mezzo a loro opere che nessun altro mai ha fatto, non avrebbero
alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio. 25Questo perché si
adempisse la parola scritta nella loro Legge: Mi hanno odiato senza ragione.
26Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal
Padre, egli mi renderà testimonianza; 27e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati
con me fin dal principio.
1. Introduzione
Giovanni è sempre attraente, ma è anche difficile, però ci dà tanta consolazione e tanta speranza.
Stamani abbiamo visto che uniti a Gesù, vera vite, portiamo frutto. Lui è la vera vite, il Figlio di
Dio, che ama il Padre come è amato e ama i fratelli, e uniti a lui portiamo lo stesso frutto. Amare il
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Padre è amare i fratelli. La grossa sorpresa è che chi ama è odiato senza motivo, senza ragione,
gratuitamente, è perseguitato. Questa cosa ci può sorprendere, e non solo noi; ma a pensarci è la
cosa più ovvia che ci sia al mondo. Forse è la legge fondamentale della storia. Qual è questa legge
fondamentale? Se io faccio del male a uno, è certo che lo sente e lo paga lui, ma se faccio del bene,
in qualche modo lo pago un po’ io. Tradotto in modo un po’ paradossale nessuna buona azione resta
impunita; in qualche modo la paghi se fai veramente del bene, altrimenti la fai pagare agli altri.
Detto in un altro modo, ancora più chiaro: l’ingiustizia la sente non chi la fa, ma chi la subisce, cioè
il giusto. Oggi entriamo in questo testo, che è la parte finale del capitolo 15, dove Gesù, prima di
andarsene, dopo aver ribadito l’unione con lui, il comando dell’amore, dice: ‘Non scandalizzatevi se
vi capita questo. Quello che è capitato a me, capita anche a voi’. E queste pagine ci servono per
capire la storia di Gesù. Siamo ancora all’Ultima cena, una cena che è lunga, dura tutta la vita, non
finisce mai.
2. “Se il mondo vi odia…”
I primi versetti partono dall’odio del mondo. È un odio gratuito contro chi ama. E poi si parla dello
Spirito Santo che “testimonierà di me”, cioè “capirete chi sono io e voi sarete capaci di
testimoniare, sarete come me”. Questo è il luogo della testimonianza dello Spirito, dell’amore tra
Padre e Figlio, che ci fa capire che Gesù è Figlio e che ci dà la forza di vivere da figli in un mondo
di odio. La prima cosa è questo odio del mondo. Il mondo in Giovanni non è semplicemente la terra
come scenario dell’attività dell’uomo, in questo senso il mondo è buono, l’ha fatto Dio, è la
condizione per vivere; per mondo, per cosmo Giovanni indica l’ordinamento, com’è strutturato il
mondo e il rapporto tra le persone. Quali sono i principi che governano il mondo? Il modo di
pensare, il modo di agire? Quel mondo per Giovanni non è altro che l’uomo in quanto agisce
avendo come principio dell’azione la paura, l’egoismo, il desiderio di salvarsi la pelle a tutti i costi,
che lo chiude in se stesso e gli fa rendere tutto funzionale alla propria conservazione. Cosa
assolutamente disperata, perché sa che la vita comunque la perde, quindi tutta la vita rischia di
essere insensata se vissuta in questo modo. Allora il mondo ci dà dei surrogati di vita. Giovanni, già
nella prima lettera, quando parla della concupiscenza della carne, della concupiscenza degli occhi,
questa brama di avere, di soddisfare tutti i propri bisogni, quando li ha soddisfatti ne aggiunge degli
altri: la brama degli occhi, dell’apparire, del potere. E quando ce l’hai vuoi qualcosa ancora di più.
Quando si intende ‘mondo’ si intende questo mondo fondato sull’illusione, per cui ci si appiccica
alla vita per queste cose, eppure questo mondo Dio lo ama, per cui siamo suoi figli, anche se
viviamo così. Per questo mondo Dio ha dato suo Figlio. Cosa è venuto a fare il Figlio? A
testimoniare nel mondo cos’è veramente il mondo. Il mondo è creatura di Dio e noi siamo suoi figli,
siamo fratelli tra di noi. È bello vivere da figli e da fratelli, vivere nell’amore. Questo è venuto a
testimoniare Gesù e proprio per questo rompe quella logica di violenza, di dominio, di menzogna
che c’è nel mondo. Per questo Gesù è odiato: perché viene a toccare il nervo scoperto di questo
odio, di questa brama, e nel mondo chi è giusto si sente smarrito; chi fa il furbo sembra che vinca
sempre. Apparentemente è vero. Così è il mondo. Per cui arriveremo a capire perché è odiato chi
non sta a questo gioco. Se uno sta al gioco non è odiato, è ammirato: guarda che bravo, vorrei essere
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come lui! Chi non sta al gioco, mostra quanto il gioco è brutto. È gratuito questo odio, nel senso che
l’altro ti combatte perché lo metti in questione. È più pericoloso uno che è pacifico, uno che non è
violento, perché chi è violento giustifica la mia violenza, ma se uno è pacifico mi smonta, non posso
tollerarlo, non sta al mio gioco, non riesco a dominarlo. Noi siamo chiamati ad essere nel mondo
facendo l’altro gioco, rispetto al gioco della violenza, della stupidità, della rivalità, del dominio
sugli altri, della divisione, della morte. Il cristiano fa il gioco opposto: dell’amore, del servizio, della
solidarietà, dell’intesa, della comunione. E questa è vita, l’altra è morte. E chi vive così si trova
come Gesù a portare il peso del gioco brutto dell’altro; contro uno che fa così, si alleano tutti,
perché rovina il gioco. Il cristiano è chiamato a vivere nel mondo con questo spirito; se mi ritrovo
smarrito quando ci sono delle difficoltà e ho paura, vuol dire che sto giocando lo stesso gioco. Il
vero pericolo non è la difficoltà o l’opposizione del mondo; il vero pericolo sono le lusinghe del
mondo. E spesso queste lusinghe me le porto dentro. Il vero pericolo per la Chiesa non sono i
cosiddetti nemici, ma è questo tipo di mondanità. Il buon Celestino V è un grande santo, ed è stato
fatto Papa perché non riuscivano a mettersi d’accordo su chi fare. Dopo un po’ ha lasciato, perché
ha detto: “Certi giochi non mi interessano”. E’ l’avventura del povero cristiano. Il pericolo per la
Chiesa e per ogni uomo è la mondanità, che prima di tutto è dentro di noi. Con questo non è detto
che bisogna cercare le persecuzioni, chi le cerca è un po’ un masochista o peggio. Non si cercano. È
un testo molto ricco. Il cristiano in questo mondo è odiato come Cristo, perché in realtà rompe
molto di più di chiunque si opponga. Perché rompe? Perché non si oppone, non combatte la stessa
battaglia. Gli interessa un’altra cosa, non si lascia vincere dal male, ma lo vice col bene, come ha
fatto Cristo. C’è il pericolo di una fede spiritualistica che non esce dall’ambito della Chiesa. Ma il
pericolo oggi ancora maggiore lo sottolinea Paolo quando parla ai cristiani ex pagani: “State attenti
a non comportarvi come prima, quando la vostra mente era vana, era vuota”. La mente vana, vuota,
è la mente che pensa solo a se stessa.
18Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me.
Ecco la prima affermazione. Se il mondo non ci odia può darsi che stiamo al gioco di questo
mondo. È un’ipotesi di primo tipo. È sicuro che li odierà, infatti “prima di voi ha odiato me”. Tutta
la vita di Gesù in Giovanni non è altro che un processo contro di lui. Lui è la luce e le tenebre gli
fanno un processo, lui è l’amore e l’egoismo gli fa un processo, lui è la libertà e il potere gli fa un
processo. È tutto un gioco di amore e odio il Vangelo di Giovanni, di luce e di tenebre, dove è
chiara la vittoria, ma non è la vittoria di chi vince l’altro dominandolo, come sarebbe dell’odio,
perché allora farebbe lo stesso gioco. L’odio lo si vince non con l’odio, altrimenti lo moltiplichi, ma
con l’amore. La tenebra la si vince non con la tenebra maggiore, ma con la luce. Il potere, il
dominio sull’altro non lo vinci con un potere maggiore, lo schiavizzi di più, ma con la libertà di
mettersi a servizio, con la tua vita. Gesù è odiato, e questo è il senso della sua croce, proprio perché
ha vissuto, ha rivelato l’amore e quindi ci ha mostrato quanto sia sbagliato il gioco politico che tutti
facciamo.
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19Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io
vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia.
Si sottolinea 4 volte “non siete dal mondo”, che vuol dire appartenenza. Il mondo è questo gioco di
rivalità, dove ognuno desidera l’onore, il potere e si litiga per questo. Se sei dal mondo, se hai come
principio del tuo agire la mondanità, l’autoreferenzialità, se sei così sei amato dal mondo, perché fai
il suo stesso gioco; se poi vinci, tutti ti ammirano. Se invece tu non fai questo gioco sei odiato, ma
non perché li odi o li combatti, ma proprio perché non fai il loro stesso gioco. È un tema abbastanza
importante, abbastanza scottante. Diciamo ancora qualcosa su questo “essere dal mondo”. Il grande
Ignazio di Loiola propone una meditazione chiamata “delle due bandiere” o “dei due vessilli”: due
bandiere che ti indicano “l’una, chi sei tu e l’altra, chi è il nemico da combattere. Lui immagina due
campi in lottai (che possiamo ritrovare anche dentro di noi), uno a Babilonia e uno a Gerusalemme.
A Babilonia c’è Satana, spaventoso, incute terrore, rispetto, manda tutti i suoi emissari. E qual è la
sua strategia? Insegnare alla persona la brama della ricchezza: avere di più. ‘Non vedi quanto l’altro
ha più di te? Tu devi avere di più’. Quando ha raggiunto la ricchezza uno ha il potere, il prestigio,
l’onore; è un superuomo. Il diavolo non insegna tanto a odiare Dio, a non andare in chiesa, a
bestemmiare, ma insegna il bisogno delle cose. Devi, per vivere, garantirti le cose per vivere, così
distruggi il mondo, distruggi la vita, sacrifichi la tua vita alle cose. Poi quando le hai, il tuo rapporto
con le persone non è un rapporto di libertà, ma di dominio, di potere. La tua persona è diventata
esattamente le cose che hai, non la tua capacità di relazione; quindi distruggi te come persona. Non
hai più bisogno di Dio né degli altri, perché gli altri sono sottomessi a te. Questa è la storia del
mondo, ma uno può leggerla anche dentro di sé, perché il problema non è tanto fuori, questo campo
è anche dentro di noi. Questa è la strategia della Babilonia. Dall’altra parte – Gerusalemme - c’è la
strategia di Gesù, che è il Signore, il quale si mette in un luogo umile, basso. Cosa vuol dire questa
povertà spirituale? Vuol dire sapere che ciò che ho e sono l’ho ricevuto come dono. Vivo di dono.
Attraverso il dono sono in comunione con il Padre che mi dona, e con i fratelli con i quali
condivido. Questa dovrebbe essere la verità del mondo, il resto è menzogna, perché la vita non è
avere più cose, è l’avere se stessi sapendo chi si è: io sono un dono. Questo me lo fa capire la
povertà evangelica, che è il più grande dono che possa avere e che è la vera ricchezza, perché mi
rende veramente figlio di Dio. Che cosa può insegnare? La virtù dell’umiltà, che è una virtù
evangelica, è la virtù di chi non si monta la testa, di chi è obiettivo, di chi non si deprime davanti
alle difficoltà, di chi non si esalta, di chi è vero. Solo che l’umiltà è frutto dell’odio del mondo, del
disprezzo, dell’ignominia. Tutti cercano prestigio e potere, beni per sé. Se tu cerchi prestigio e
potere vuol dire che impiegherai la tua vita a fare qualunque abominio pur di avere prestigio e
potere. Queste sono le due strategie opposte: quella del mondo che punta sull’avere, sul potere,
sull’apparire, che esprime anche l’egoismo, struttura un mondo di violenza, dove domina il più
furbo di turno, il più violento di turno, che poi scomparirà perché un altro gli farà le scarpe. Nel
frattempo però ci saranno guerre, divisioni, ingiustizie, lotte. E dall’altra parte si propone un mondo
fondato sui valori della condivisione, del dono, della solidarietà, dell’amore, della verità.
L’importante è capire che cosa è bello di questi due, perché siamo sedotti dal primo, oggi forse più
che mai. Gesù vuol farci vedere che è bello vivere, è bello voler bene, è bello intendersi, donare la
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vita. Se facciamo così, ci sarà la lotta contro di noi, questa lotta che dura tutta una vita, anche dentro
di noi. “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo diranno ogni sorta di
male contro di voi per causa mia, in quel giorno rallegratevi, danzate di gioia, perché è grande la
vostra ricompensa nei cieli”. Voi siete simili al Signore, dice Gesù. E Giacomo nella sua lettera
dice: “Considerate perfetta letizia se subite ogni sorta di prove…” (Gc 1, 2). E anche Pietro
ribadisce:”Siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere per un po’ di tempo afflitti da varie
prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro che, pure destinato a perire,
tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo”
(1 Pt 1,6-7). “Così fate anche voi. Per questo il mondo vi odia”, insiste Gesù. Credo che si possa
ritenere commentato anche il v. 20 che non è una esemplificazione, ma è il fondamento.
3. “Non c’è nessun servo più grande del suo Signore”
20Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno
perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche
la vostra.
Il servo, siamo servi, vorrebbe essere come il suo Signore e il Signore è tale perché si fa servo.
Allora Gesù dice: “Imitate i desideri del Padre che io vi ho rivelato, come Figlio, e non quelli del
mondo che vi distruggono. Diventate come me”. In Giovanni per mondo si intende tutto ciò che è
fondato sul possesso, sull’egoismo, sul potere, sulla violenza, sulla rivalità, sull’arroganza,
sull’orgoglio, sulla rabbia. Sono parole molto ricorrenti. Questo vuol dire essere ‘dal mondo’,
potremmo dire essere ‘dal nulla’. Il mondo che pone se stesso come principio, come fine di tutto, si
autodistrugge perché non ha in sé il proprio principio e noi diventiamo schiavi del mondo. Invece
noi non siamo dal mondo, noi siamo dal Padre, quindi siamo figli e fratelli.
4. Il Padre vi ama sempre
Il Padre, da dove veniamo, non è egoista, ma ama, è misericordioso: “Siate misericordiosi come il
Padre”; non possiede ma dona, non ha orgoglio e rabbia, ma umiltà e mitezza. Non accumula, non
domina, ma dà tutto, fino a dare se stesso. Pone la propria esistenza a servizio. Quindi capite che ci
sono due modi contrari di vivere: uno è una vita per la vita, l’altro è una vita per la morte. Tra questi
due c’è una guerra molto radicale, dove uno combatte e l’altro si ritira, per questo si è odiati, perché
se non ci ritiriamo, entriamo nella stessa logica, facciamo lo stesso gioco. Se uno si sottrae è odiato,
perché fa un altro gioco. Se ti opponi con violenza fai lo stesso gioco. È il motivo dell’odio del
mondo.
21Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha
mandato. 22Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non
hanno scusa per il loro peccato.
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Questo è un testo abbastanza graffiante, perché noi siamo battezzati, siamo dei discepoli del
Signore. Ma ci domandiamo: la mia vita da dove viene? Dalla Babilonia o da Gerusalemme? Dal
mondo o dal Padre?
5. L’odio del mondo
Qual è il motivo per cui odiano? Il motivo è perché non conoscono il Padre. Non conoscere il Padre
vuol dire non riconoscersi come suoi figli, per cui non riconoscerci come fratelli. È per quello che
c’è l’odio, la violenza, la guerra. E lui dice: “Se non fossi venuto non ci sarebbe nessun peccato”,
perché il peccato c’è quando uno ha coscienza di qualcosa che è male. Fino a quando arriva il Figlio
che ci dice: “Guarda che la vita è un’altra cosa”. E dice. “Non c’è più scusa per il loro peccato”.
Perché? Perché Gesù ha mostrato il bene, ha mostrato l’amore, ha mostrato la solidarietà, ha
mostrato cos’è la vita. E allora nasce la responsabilità. Approfondire i testi è una cosa molto bella,
ma nasce anche una responsabilità. Essere responsabili del male è il più grande dono che Dio ci
possa fare, perché i più grandi mali della storia sono stati fatti senza recepire di essere responsabili.
L’ignoranza è la causa dell’odio, della paura del diverso. Però fino a quando uno non vede il volto
del Padre, il volto del fratello, fino a quando uno non conosce l’amore, non ha alternativa e dice: “Il
gioco è questo, non ce n’è un altro”. Si lotta per la sopravvivenza. Gesù è venuto a risvegliare la
coscienza dell’uomo come figlio di Dio. Solo quando abbiamo la coscienza possiamo veramente
peccare e dire: “Ho peccato”, posso fare il mea culpa e cambiare gioco. Questa coscienza del male
non si fa attraverso la colpevolizzazione. Gesù non ha voluto colpevolizzare nessuno. La coscienza
del male la si fa proponendo il bene. Ha mostrato che cos’è la vita, che cos’è l’amore, la solidarietà
e allora dice: “Adesso non hanno scuse per i loro peccati”, tant’è vero che la prima funzione dello
Spirito Santo, che è Spirito di verità, è quella di convincere il mondo di peccato.
23Chi odia me, odia anche il Padre mio. 24Se non avessi fatto in mezzo a loro opere che nessun
altro mai ha fatto, non avrebbero alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre
mio.
Qui ribadisce in altro modo quanto ha appena detto ed è importante che venga ribadito. Prima
parlava di non conoscenza, ora parla di odio. Bisogna capire che il male è frutto di ignoranza. Se
noi sapessimo veramente chi è il Padre e chi siamo noi, forse non ci comporteremmo così. Capire
che il male è frutto di ignoranza è importante, perché di per sé l’uomo non è cattivo, va solo
illuminato su quali sono i valori, perché tutti siamo fatti per ciò che è bello e se si sbaglia non è per
cattiveria, ma per l’aria che respiriamo e perché ci siamo trovati travolti in un gioco che non era il
nostro. Con questo non voglio scusare nessuno, qui si parla fra credenti che hanno questa la
consapevolezza di essere talvolta dipendenti da questo brutto gioco. Per questo il mondo ha odiato
odia Gesù, perché fa un altro gioco, fa il gioco del figlio che si fa fratello; e, di conseguenza, odia il
Padre. Però Gesù ribadisce: “Le opere che ho fatto e le parole che ho detto, fanno capire che siete
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ancora ciechi”. Per questo pecchiamo. Tutta la funzione pastorale di Gesù è quella di far vedere
l’alternativa, il bene. Vedendo il bene uno dice: “Ma allora ho sbagliato tutto, cambio storia”.
25Questo perché si adempisse la parola scritta nella loro Legge: Mi hanno odiato senza ragione.
26Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal
Padre, egli mi renderà testimonianza;
Mi odiarono gratuitamente, senza motivo. Questa parola “mi odiarono gratuitamente” è presa dal
salmo 69, che viene citato all’inizio del ministero di Gesù nel tempio, e viene citato alla fine sulla
croce quando dirà: “Ho sete”, per indicare che tutta la vita di Gesù, che è amore gratuito, è chiusa in
questo odio gratuito. Questa è la storia di Gesù, il Figlio, che ama gratuitamente i fratelli e per
questo è odiato.
6. “Quando verrà il Consolatore”
E poi Gesù aggiunge: “Quando verrà il Consolatore”, sulla croce (verrà dato proprio sulla croce),
dove quest’odio si consuma. Ed è lo Spirito che il Figlio ci manda, lo Spirito di verità che proviene
dal Padre. Cos’è lo Spirito di verità che viene dal Padre? È lo Spirito del Figlio che ama i fratelli. È
questa la verità dell’uomo: “Quello Spirito testimonierà di me, vi farà capire chi sono io”. Lo
Spirito Santo ci fa capire il mistero di Gesù, il Figlio che ci ama con l’amore stesso del Padre. Poi
non solo ci fa capire chi è Gesù, ma ci permette di viverlo.
27e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio.
Pure voi testimonierete di me. Quindi lo Spirito Santo è colui che ci introduce nella testimonianza
del Figlio e ci rende capaci di testimoniare ai fratelli lo stesso amore del Padre. Ecco perché Paolo
continua a dire che noi siamo tempio vivo dello Spirito. Purtroppo a volte siamo ignoranti, non
essendo consapevoli; non diamo voce, non diamo fiato a questa presenza, perché è lui che ci
introduce nella testimonianza del Figlio, ci rende capaci di testimoniare ai fratelli lo stesso amore
del Padre. Nel contesto di questo odio gratuito del mondo, lo Spirito che cosa fa? Ci fa testimoniare
l’amore gratuito. È tutta grazia, e l’odio gratuito è il luogo della testimonianza dell’amore. Non è
che aspettiamo un mondo diverso, un mondo migliore per dire: “Comincerò poi a voler bene”. No,
proprio in questo tipo di mondo, è lì che si testimonia il bene gratuito, è lì che manifestiamo che
veniamo dal Padre, che siamo abitati dallo Spirito, proprio nel mondo nel quale oggi il Signore ci ha
posti a vivere. È lì che testimoniamo questa gratuità dell’amore, della solidarietà, della
condivisione. Abbiamo visto il processo di questo brano: prima parla dell’odio, poi dice che la
causa dell’odio in fondo è anche l’ignoranza, il non conoscere queste cose, però questa ignoranza
non è più scusabile, perché lui ci ha rivelato l’amore. E l’amore è possibile perché è reale. Dice:
‘L’odio è gratuito, ma non spaventatevi. Nell’odio gratuito testimonierete l’amore gratuito’.
Sarebbe interessante imparare alcune frasi e portarcele dentro, respirare con questa Parola. Ci
sarebbero, infine, i 4 versetti del capitolo 16, che ci dicono: 1Vi ho detto queste cose perché non
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abbiate a scandalizzarvi. 2Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi
ucciderà crederà di rendere culto a Dio. 3E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né
me. 4Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho
parlato. Non ve le ho dette dal principio, perché ero con voi.
La conclusione del capitolo 15 la troviamo nei primi versetti del capitolo 16. Cristo finirà in croce,
voi sarete espulsi dalle sinagoghe, chi vi ucciderà penserà di rendere culto a Dio. Oggi questo deve
essere sempre più chiaro per voi.
Celebrazione eucaristica
Lc 20,27-40
È un testo che abbiamo ascoltato qualche domenica fa, ma è sempre bello sottolineare alcune verità,
come cerchiamo di fare in questi giorni, in questi nostri ritiri mensili. E’ sempre strana la storia di
questa donna che ha avuto sette mariti, ma è anche strana la domanda rivolta a Gesù: ‘A quale di
questi sette mariti sarà poi assegnata come moglie una volta arrivata nell’al di là?’. È un altro
tentativo di mettere in difficoltà Gesù. Di solito questo compito viene svolto abilmente dai farisei,
questa volta nella veste di oppositori ci sono i sadducei, gente di origine aristocratica, molto
conservatori in materia di religione e la fede nella risurrezione personale veniva considerata da loro
come una revisione dottrinale, quindi una specie di eresia. Non meraviglia la loro domanda, che
potrebbe sembrare ridicola se non avesse questa chiara intenzione di colpire una posizione
teologica, in particolare un po’ tutto il magistero di Gesù. Che interesse può avere per noi la
questione posta dai sadducei? A pensarci bene, nella loro domanda è nascosta una certa idea dell’al
di là, che in larga misura può essere anche la nostra. Se esistesse il mondo dei risorti, pensano i
sadducei, bisognerebbe immaginarlo utilizzando immagini prese dal mondo dei viventi. Anche noi
spesso fantastichiamo sull’al di là. Non dobbiamo vergognarci di riconoscere che la vita futura la
immaginiamo come la realizzazione dei nostri sogni, risarcimento dei nostri limiti, tutto rinviato
nell’al di là. In questa prospettiva diventano legittime e per nulla ridicole tante domande, che
alimentano la nostra curiosità: che cosa sarà dei nostri attuali legami affettivi? In che modo potremo
comunicare con le persone che ci sono care? Come potrà una madre ritrovare i propri figli? Quale
sarà la condizione di due che sulla terra hanno vissuto insieme, se in cielo non si può più parlare di
matrimonio? Sono diverse le domande che vorremmo formulare per sondare l’inconoscibile mistero
dell’al di là. Diverse hanno però in comune una certa visione, una certa immaginazione della
risurrezione finale, la risurrezione intesa come modo di compensare ciò che non si è avuto sulla
terra, o di perpetuare ciò di cui si è goduto. In entrambi i casi non sarebbe comunque l’inizio di una
nuova storia, né potrebbe essere la riesumazione di una storia passata. Non vale la pena star lì a
fantasticare. Gesù con la risposta data ai sadducei intende orientare diversamente la nostra
riflessione sulla vita futura. È importante anzitutto osservare che non concede nulla alla nostra
curiosità di sapere che cosa ci attende dopo la morte. La sua preoccupazione piuttosto è quella di
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farci capire che la vita risorta non ristabilisce il passato con una ricomposizione di tutto ciò che si è
vissuto, ma è un inizio, una novità, una storia che è ancora tutta da scrivere. Non ci sono modelli
terrestri per parlare della vita futura. L’accenno agli angeli - “i figli della risurrezione sono uguali
agli angeli” - nel discorso di Gesù vuol significare proprio questo: si tratta di una vita
inimmaginabile, per cui una volta accantonate le discussioni sterili, inutili, la parola di Gesù va
direttamente all’essenziale. Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi, perché tutti vivono per lui. È
come se dicesse: “Dio ama troppo l’uomo per vederlo sparire nel nulla”. Ci siamo accorti anche nel
testo di stamattina. È una verità che sarà nuovamente proclamata il mattino di Pasqua, con un
linguaggio ben più persuasivo, quello di un corpo risorto per sempre. Non è come è successo a
Lazzaro, risorto e poi morto di nuovo, qui è un corpo risorto per sempre. Se si vive di questa
certezza, il come della vita futura non ha più importanza, lasciamolo alle invenzioni dell’amore di
Dio. L’al di là è il segreto di Dio. Quello che sappiamo è comunque già sufficiente, se non a
soddisfare la nostra umana curiosità, certamente a dare un volto diverso alla successione dei giorni
che ci è concesso di vivere. Anche gli ebrei prima di credere nella risurrezione non vedevano altra
possibilità di sopravvivenza se non attraverso i figli, i quali avrebbero assicurato una continuità alla
loro storia, alle loro ragioni ideali. Oggi ci si affida ad altre forme di illusione, per lo più legate a ciò
che ciascuno riesce a realizzare, alla memoria che di sé uno è in grado di lasciare. Però sono tutti
tentativi un po’ patetici, anche se umanamente comprensibili. Come è possibile rendere eterno ciò
che di sua natura è destinato a perire? Vince invece la morte e si inoltra nell’eterno solo ciò che
viene affidato al Dio dei vivi, che in Cristo si è fatto per noi risurrezione e vita. Dovremo perciò far
nostra questa preghiera:
“O Signore, che sei il Dio dei viventi,
insegnami a confidare sempre nel tuo amore,
che non può ingannare,
non può togliere ciò che tu hai donato.
Fammi vivere oggi per i valori che non periscono.
Fammi credere oggi nel tuo amore che è eterno”.
Il nostro Dio è un Dio degli uomini e per gli uomini, è totalmente rivolto all’uomo: si dona, si
rivela, si mette in comunicazione con noi, ci ha chiamati per nome, ognuno di noi è irripetibile,
unico. Il nostro Dio non è il Dio dei filosofi, è il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe
e come persona stringe con gli uomini, in quanto persone, un’amicizia: “Siete miei amici”. C’è un
legame, c’è un impegno eterno. Stabilisce con noi un rapporto, una relazione che da parte sua non
verrà meno. Basterebbe questo pensiero: lui ha allacciato con noi un rapporto di amicizia che non
verrà meno. La nostra sopravvivenza è legata al rapporto che c’è con lui, ecco perché bisogna
intensificare su questa terra questo dialogo, questo rapporto. Il dialogo tra Dio e l’uomo è l’asse,
direi la visione religiosa della nostra realtà. Ma l’appello di Dio esige la nostra risposta, e allora
nasce una storia. L’uomo, in quanto persona è interlocutore di Dio per sua iniziativa. Questa storia
d’amore tra Dio e noi non può finire. Se lui è il Vivente, se lui è l’Amore, come può permettere che
sprofondino nel nulla quelle vite uniche, che sono le nostre, irripetibili? Non ci ha chiamati e
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destinati a scomparire. Se Dio si definisce dal suo rapporto con gli uomini Dio di Abramo, Dio di
Isacco, Dio di Giacobbe, questa relazione non può cessare con la morte, perché Dio non sarebbe più
quello che è. Se è il Dio fedele, se è il Dio vivente, non può venir meno al dono della vita, perché
Dio è colui che ama ad oltranza e dà la vita anche oltre la morte, è il Dio della vita, della speranza,
della promessa. Non è un Dio dei morti, ma dei viventi. Quindi il dialogo che Dio ha intessuto in
quanto persona con tutti noi, come persone, non si interrompe, ma si sviluppa fino alla pienezza.
Questa è un’espressione ancora più importante: la persona anche al di là della morte, continua ad
essere un interlocutore di Dio. Allora Gesù nella versione di Marco dice: “Chi dubita di questo,
merita il rimprovero: non conoscete le Scritture né la potenza di Dio”, perché da tutta la Scrittura
emerge l’eterna fedeltà creatrice di Dio e le sue promesse, ai suoi impegni verso l’uomo. La
Scrittura dice una sola cosa: “Dio è sempre fedele all’uomo”. Da qui scaturisce un’esistenza piena
di speranza. Pensate a Rom 8: “Io sono persuaso che né morte né vita, né angeli né Principati, né
presente né avvenire, né potenze né altezze, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore
di Dio in Cristo Gesù nostro Signore”. Credere alla potenza di Dio è affidarsi con totale fiducia a
colui che dà vita ai morti, che chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono. Dio è colui che
fa passare dal non essere all’essere, dalla morte alla vita. È la potenza che crea e ricrea, che risuscita
i morti, è il Dio vivo, che interviene nella storia per dar vita all’uomo, per farlo essere se stesso, per
portarlo al compimento ultimo, definitivo. Su tutto ciò si fonda la speranza che alla fine siamo tutti
destinati alla vita. L’uomo non è un essere per la morte, ma per la vita.
Il testo risente del linguaggio parlato essendo tratto direttamente dalla registrazione e non è stato rivisto dal
relatore. Stampato in proprio ad uso interno.
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